Il presente opuscolo-guida è stato realizzato sulla base delle

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Il presente opuscolo-guida è stato realizzato sulla base delle ricerche effettuate da Gianluigi Bera e
Pier Sergio Bobbio, appassionati “curiosi” e cultori di Canelli.
Le notizie e le osservazioni qui riportate, inerenti alle testimonianze ancora riscontrabili nella città,
non hanno la pretesa di esaurire pienamente la storia e l’arte, ma vogliono semplicemente rappresentare un
primo passo verso una più estesa ed approfondita conoscenza del territorio.
Poiché le ricerche sono state difficoltose e non pienamente soddisfatti sono gli autori, si invitano
tutti coloro che fossero in possesso di ulteriori notizie, a sottoporle agli interessati che provvederanno a
modificare od integrare il testo.
Presso la Biblioteca Comunale si possono consultare i testi originali più dettagliati; le
notizie qui riportate sono state volutamente sintetizzate.
Olga Danove Guasco
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CANELLI ROMANA
Stele funebri
Tra i ritrovamenti di epoca romana avvenuti nella Valle Belbo, meritano particolare attenzione tre stele
rinvenute nel territorio di Canelli, due delle quali erano murate nell’androne delle Scuole Elementari site in
Via G. B. Giuliani. Queste stele rimosse recentemente, sono attualmente in restauro.
1° stele
E’ di arenaria, priva di cornice ed arrotondata nella parte superiore. Le dimensioni sono le seguenti: h. cm
214, larghezza alla base cm 82 e cm 76 all’inizio dell’arrotondamento.
L’iscrizione: “Plòtiaè Marci filiae Primae annorum nata XIII nupta fuit dies C Marcus Plotius Cai filius
pater Egnatia Marci figlia mater posuerunt”, è dedicata alla figlia defunta “Plotia Prima” dai genitori M.
Plotius ed Egnatia. Interessante la menzione dell’età della fanciulla (13 anni) unitamente alla durata del
matrimonio (100 giorni).
Da ciò emerge la conoscenza che le nozze sarebbero avvenute nel dodicesimo o tredicesimo anno di vita e
pertanto in un momento molto vicino all’età minima alla quale le giovani potevano sposarsi.
2° stele
Situata anch’essa nell’androne delle Scuole Elementari di Via G. B. Giuliani, un tempo si trovava
nell’angolo della Chiesa di San Tommaso. La forma è come la precedente e le dimensioni sono: h. cm 212 e
l. cm 70. L’iscrizione, dedicata a M. Calvisius Veltovis per disposizione testamentaria dello stesso
dedicatario, offre un esempio di formulario onomastico completo:
“Marco Calvisio Marci filio Tromentina tribù Veltovi ex testamento”.
(a Marco Calvisio Veltovis figlio di Marco, iscritto alla tribù Tromentina, per testamento).
Degno di nota è il cognome “Veltovis”, il quale sembra rivelare la derivazione da una formula preromana, si
sarebbe pertanto in presenza di una delle testimonianze della sopravvivenza del substrato ligure nella
Cisalpina occidentale.
3° stele
E’ pervenuta ai nostri giorni soltanto l’iscrizione manoscritta corrispondente al titolo funerario dedicato ai
genitori M. Cestius e Carantia Rufa dai tre figli Caio, Lucio e Marco.
Le diciture latine di Canelli costituiscono una delle non molte testimonianze della presenza romana nella
media Valle del Belbo, ove la distribuzione degli antichi insediamenti rurali non è ancora oggetto di uno
studio approfondito ma che ulteriori testimonianze, oltre le citate stele, fanno dedurre che la zona di Canelli,
in epoca romana, fosse una comunità minore di tipo rurale compresa nella circoscrizione municipale di
Acquae Statiellae.
Lapide di Fello
Stele a testa tonda di calcare grigio di m.1,07 per 0,76 e specchio di m.0,50 per 0,76. Nel timpano,
delimitato da cornice a listello, è modellato un rilievo con due animali fantastici affrontati, ai lati di una
testa umana. Si trova attualmente murata a filo della facciata di una casa agricola in reg. Fello presso cui è
stata trovata. Il testo cita:
“L. Cominio. C. F. Cami. Super. Iuniae C. F. Modestae Clarus Iunius C. F. Secundus Frater Fecit De Suo Et
Vir”. (Si potrebbe forse così completare: Lucio Cominio Cai Filio Camilla Tribù Superiore, Iuniae Cai
Filiae Modestae Clarus Iunius Cai Filius Secundus Frater Fecit De Suo Et Vir).
L’iscrizione funeraria fu posta a proprie spese da un Clarus Iunius Secundus per la sorella Iunia Modesta e
per il fratello Cominius Superiore.
La decorazione del timpano, la testa umana piatta ed informale, mostrano la persistenza di qualche elemento
di substrato non privo di raffronti (vaga rassomiglianza con una statua-stele ligure di Filetto). I due
esemplari di forma fantastica affrontati, hanno il corpo di uccello (con fantasioso richiamo alla forma del
pesce), la testa e le zampe di capro. La modellazione arcaica è un notevole esempio di arte popolare
probabilmente con richiami al substrato ligure ben vivo nel canellese. La testa, fortemente stilizzata, è
l’espressione antica di una società ancora legata alla propria identità, alle proprie tradizioni mentre gli
animali parrebbero rappresentazioni zodiacali con riferimenti alla cultura romana. Lo stile delle figure, il
testo scolpito, fanno collocare la stele tra il primo ed il secondo secolo d.C.
2
Fonte Battesimale di San Tommaso
Non si conosce con precisione l’origine né la collocazione antica: si fanno solo ipotesi che possono essere
avvalorate da elementi storici.
La più probabile è forse quella del “puteale” e cioè del parapetto di un pozzo. A chi appartenesse questo
pozzo si fanno solo congetture: la più veritiera è quella di carattere votivo a Giove.
E’ realizzato in marmo a cui i secoli hanno conferito la tonalità dell’avorio. Ricavato da un unico blocco ha
forma cilindrica lievemente rastremata in alto. Il bordo superiore, sporgente, è decorato con una cornice di
ovuli (modanatura comune dell’epoca romana); quello inferiore è ornato da motivi curvilinei molto semplici.
La superficie esterna del cilindro è arricchita da eleganti scanalature, a spigolo vivo, ad andamento tortile.
L’interno è completamente cavo con un fondo piano probabilmente aggiunto in epoca successiva.
L’autore è senza dubbio un ottimo lapicida che ha dimostrato di saper “plasmare” il marmo con perizia ed
eleganza creando un insieme raffinato e pittoricamente interessante.
L’”oggetto” è da secoli in S. Tommaso: le prime citazioni risalgono al ‘500 e ne parlano come fonte
battesimale.
Fu probabilmente rinvenuto nel territorio canellese in epoca medioevale, forse durante i lavori per la
costruzione della Chiesa nel X secolo.
SAN TOMMASO
La chiesa, situata nell’antico “borgo” su una piccola altura, si eleva sul piazzale omonimo a cui si accede da
Piazza Bonelli, da Via Garibaldi che la collega con Piazza Gioberti (della verdura), da Via Villanuova (la
stenìa), la più antica che già nel passato univa il “borgo” alla “villa” posta in posizione molto più elevata.
Il primo documento in cui compare il nome di Canelli è del 961 e probabilmente in quel tempo già esisteva
la parrocchiale di S. Tommaso di cui troviamo citazione il 12 novembre 1156. La primitiva chiesa, orientata
in senso opposto all’attuale, era di dimensioni minori, aveva un chiostro, una canonica ed era circondata su
due lati dal Cimitero.
Molti documenti medioevali, acquisti o contratti riguardanti Canelli, riportati nel Codex Astensis, erano
sottoscritti nel chiostro di S. Tommaso ma purtroppo tutti gli scritti dell’epoca, che erano conservati nella
canonica, sono stati bruciati nel 1636 causa il “contaggio” che rese necessaria la distruzione della casa
parrocchiale e quanto in essa contenuto. Dopo il fatto e quindi dal XVII sec. si riforma la documentazione
che consente di ricostruire le vicende, i restauri, gli acquisti della chiesa.
Verso la fine del 1600 avvenne una radicale trasformazione dell’edificio che assunse la struttura oggi
esistente. Precisamente tra il 1694 e il 1728, venne demolita in parte e la si ricostruì cambiandone
l’orientamento primitivo: la sede dell’antica abside divenne la nuova ed attuale facciata.
Venne lastricato parte del Cimitero riservando, a tale scopo, la zona laterale sinistra. Il nuovo Coro fu
completato nel 1842 al posto della primitiva canonica determinando un ampliamento anche in senso
longitudinale della chiesa. I lavori, comprensivi della nuova Sacrestia, dei restauri, degli arredi, delle
decorazioni, vennero eseguiti nei secoli XIX e XX.
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Esterno
La facciata fu completamente rifatta alla fine del 1800. In tale occasione venne soppresso un grande affresco
del pittore canellese Vanzino, raffigurante S. Tommaso in gloria, dipinto nella prima metà del settecento e
assai apprezzato dai contemporanei. Essa ha un’impronta barocca pur nella semplicità delle sue linee. I
cornicioni orizzontali e le paraste verticali, scandiscono lo spazio creando un lieve senso chiaroscurale che
muove ed alleggerisce l’insieme. Il coronamento con timpano curvo la completa armoniosamente.
Gli affreschi delle due zone sovrapposte il bel portale centrale, raffigurano S. Tommaso patrono e l’Assunta,
titolare della chiesa (come da antica consuetudine) (Laiolo XX secolo?).
Il fianco destro e l’abside sono rustici. I mattoni a vista consentono di visionare le modifiche avvenute nel
tempo quali la tamponatura di alcune finestre della navata minore e l’elevazione della navata maggiore.
Anticamente questo lato era fiancheggiato dalla strada che univa il “borgo” alla “villa”, ora chiusa da una
recente abitazione.
Il fianco sinistro, al quale si può accedere per mezzo di un cancello, conserva parte del terreno un tempo
adibito a Cimitero. La parete, intonacata, evidenzia le modifiche barocche, specialmente nelle finestre. Da
questo lato, ai piedi della gradinata, si ha una gradevole visione d’insieme dell’edificio.
Il campanile
Un po’ inclinato per cedimento del terreno, risale probabilmente al periodo medioevale ma fu ristrutturato
nel XVII° sec. Successive modifiche lo ornarono di cornicioni e lo rivestirono di intonaco. Le 5 campane di
cui è dotato sono del XIX e XX sec. (attualmente funzionano elettronicamente).
La banderuola fu posta nel 1698 per volere del Comune e rappresenta il “cane” stemma di Canelli.
Interno
Vi si accede per mezzo del bel portale barocco centrale ( i due ingressi laterali sono raramente utilizzati). Un
piccolo atrio con tre bei portali, funge da sostegno alla tribuna dell’organo.
La sala ha carattere basilicale con tre navate a cui fanno capo due cappelle con finte absidi per le navate
minori ed il presbiterio con coro ed abside per la navata maggiore.
L’intero edificio è rivestito da affreschi con motivi decorativi, con riquadri, di epoche diverse ma in
maggioranza risalenti a questo secolo..
Pilastri cruciformi, con capitelli in stucco - opere del ticinese Fossati di fine ‘600 - sovrapposti da archi,
sostengono la parete innalzante la navata centrale scandita da finestre decorate che illuminano la sala
sottostante.
La volta ad arco della navata centrale è decorata con “medaglioni” raffiguranti episodi della vita della
Madonna (XIX-XX sec. Laiolo ?) che trovano il naturale epilogo nella scena trionfale dell’Assunzione di
Maria, affrescata nella cupola che sovrasta il presbiterio.
Controfacciata
E’ coperta dall’alta tribuna e dall’imponente organo fatto costruire e risistemare nel 1904 (Pacifico Insoli di
Crema). In basso, a destra, scaletta e porta per accedere allo stesso.
Navata destra
Come la sinistra, la volta è a vele incrociate alla stessa altezza degli archi.
La parete, priva di cappelle, ha una semplice decorazione e le paraste corrispondenti ai pilastri della navata
centrale ne ripartiscono lo spazio.
Nella zona corrispondente alla terza campata, quadro di notevoli dimensioni raffigurante l’”Assunta con S.
Tommaso e Apostoli”, datato 1785. E’ attribuito a Carlo Gorzio per i dati stilistici emersi. In origine la sua
sede era nel coro ma fu rimosso a seguito delle modifiche del XIX e XX secolo.
Nella quinta campata, confessionale di legno intagliato di pregevole fattura; su di esso un quadro, poco
leggibile per la sovrapposizione di più strati di polvere e fumo, celebra la “Natività” ed è attribuito al
Taricco, pittore cheraschese operante tra il ‘600 e ‘700.
Chiude la navata destra la cappella dedicata alla Madonna di Lourdes.
Presbiterio
Due gradini sinuosamente delineati, elevano il piano del Presbiterio che è limitato verso la sala da una bella
balaustra in marmo policromo proveniente dalla Lomellina e risalente al 1749. E’ opera dei fratelli
Pelagatta, astigiani.
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L’altare Maggiore, anch’esso in marmo a più tonalità che ne sottolineano la fattura barocca, è imponente ma
elegante nello stesso tempo e risale al 1767 (autori Giacomo e Diamante Pelagatta di Asti). I candelabri, del
1716, sono opera dello scultore astigiano Bonzanigo.
Gli affreschi alle pareti raffiguranti “Ultima Cena” a destra e la “Discesa della Manna” a sinistra, sono opera
del pittore Laiolo dell’inizio secolo.
Antistante l’Altare Maggiore è collocata, secondo il nuovo rito liturgico, la Mensa ricavata dall’ambone
ottocentesco.
Il coro (XIX sec.) ha sostituito il precedente, barocco, assai prezioso a 8+8 stalli che si trovava nell’abside
seicentesca quadrata. Segue l’andamento dell’abside ed è formato da due file di stalli in legno. E’ illuminato
da finestre monofore con vetrate policrome del XX sec. Al centro, in alto è dipinto in affresco la
“Incredulità di S. Tommaso” (Laiolo XX sec.).
Alla parete destra una tela che celebra, pur essa, l’ “Incredulità di S. Tommaso”. Già pala d’altare della
precedente chiesa, fu dipinta nei primi anni del ‘600 probabilmente dall’astigiano Stefano Pellizza. Dopo il
1785 fu collocata in S. Giovanni Decollato. E’ stata recentemente restaurata.
Sulla parete sinistra è posta una tela dedicata alla “Immacolata Concezione” del primo settecento. Poco
leggibile per gli strati polverosi, viene attribuita, su basi stilistiche, al pittore Giancarlo Aliberti.
Il catino, fortemente decorato, è suddiviso da paraste curve con zone a spicchio nelle quali sono affrescati
“medaglioni”. Un’apertura dà accesso alla Sacrestia, ampia sala del XIX sec. con arredi del XVII e XVIII
sec.
Cappella a sinistra del Presbiterio
dedicata a S. Giuseppe, vi è collocato, anche se la sistemazione non è ottimale, il bel quadro del “Transito di
S. Giuseppe”, opera del pittore canellese Giancarlo Aliberti (1662-1727). La tela era stata realizzata per la
cappella che la famiglia Aliberti deteneva nella chiesa conventuale di S. Agostino, oggi soppressa.
Navata sinistra
Adiacente al vano del campanile (una porta ne segna l’ingresso), è il Battistero che ospita due capolavori:
uno è il fonte battesimale ricavato da una splendida “colonna” romana rinvenuta nel XVI sec. sotto il
pavimento della chiesa. Si tratta forse di un “puteale” in marmo dalle raffinate scanalature tortili; il secondo
è costituito dai frammenti di un monumento sepolcrale del XVI sec. Le bellissime paraste in marmo, del
primo ‘500, erano nella cappella di S. Giovanni Battista, eretta nel 1466 dagli Scarampi, dove vi rimasero
fino al 1818. Costituivano la cornice dell’ancona dipinta a fresco sul muro.
I putti appartenevano al mausoleo funebre nella stessa cappella, già smantellato verso il 1720, quando i
Galleani subentrarono nel patronato della stessa. Nel 1738 essi cambiarono titolazione, dedicandola a S.
Anna e provvedendo la statua del Bonzanigo, oggi nella prima cappella del lato sinistro.
Attualmente, il piccolo altare è sovrapposto da un affresco del Laiolo.
Seguono tre cappelle rientranti:
1° Cappella, oggi dedicata a S. Anna. Fu fondata e datata nel 1696 dalla nobile famiglia Stresia col titolo di
Immacolata Concezione. Sull’altare era il dipinto dell’Aliberi, oggi nell’abside; ancora visibile la cornice.
Nel 1818 vi fu collocata la statua di S. Anna già nell’omonima cappella poi demolita.
2° Cappella. Dedicata dagli inizi del secolo al Sacro Cuore, ha perso l’originario dipinto del ‘700 ma ha
conservato la decorazione in stucco che è tra le più antiche nella provincia di Asti. La cappella era
anticamente dedicata a S. Francesco, dotata ed arredata dalla nobile famiglia Laneri nel 1692.
3° Cappella. Dedicata alla Madonna del Rosario (Laiolo XX sec.) presenta ricche decorazioni barocche in
stucco realizzate nel 1696.
Anticamente vi si onorava la Madonna delle Grazie o del Suffragio ed apparteneva ai nobili Pistone, poi
Pistone-Mastrazzi.
Segue un bel confessionale in legno, recentemente restaurato ed adattato al nuovo rito. Il vano occupato
dallo stesso, era in origine una quarta cappella, dedicata alla Madonna del Carmine, di proprietà della
omonima Compagnia. Era la più grande e la meglio dotata. Fu smantellata durante i lavori della cupola
(1870 circa).
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Anticamente quasi tutte le parrocchiali erano rette da Confraternite o Compagnie che nell’interno avevano i
loro altari da custodire e zone per seppellire i defunti con cariche speciali. Anche per S. Tommaso si trovano
citate, in documenti, le seguenti Compagnie:
Altare Maggiore: Compagnia del S. S. Sacramento
Altare della Madonna del Carmine: Compagnia del Carmine
Altare della Madonna della Misericordia (ora del Rosario): Compagnia del Suffragio
Altare di S. Giuseppe (demolito nel 1820): Compagnia degli Agonizzanti
Altare di S. Anna: Compagnia della dottrina cristiana.
Da documenti del 1785 risultano altri altari con obbligo di Messa ma dei quali non rimane traccia: di S.
Carlo, di S. Antonio Abate, di S. Vincenzo Ferrari.
Molti sepolcri erano sistemati all’interno della chiesa ma sono stati coperti quando fu posta la nuova
pavimentazione (l’attuale), come pure la presunta cripta della primitiva chiesa che dovrebbe essere nella
zona sottostante l’entrata odierna, e di cui si hanno notizie ancora nel 1838.
Può darsi che il sottopavimento celi elementi interessanti del passato, soprattutto può raccontarci otto secoli
di storia della chiesa e dunque di Canelli.
E’ un libro chiuso e sigillato che aspetta di essere aperto e “letto” dalla ricerca archeologica stratigrafica,
non mancheranno le sorprese.
SAN ROCCO
La chiesa è situata in via Villanuova, in posizione dominante la valle del Belbo. La prima chiesa era stata
eretta accanto alle mura del Castello (attualmente chiesa di S. Antonino).
In seguito alla distruzione delle fortificazioni (XVII sec.), all’aumento dei fedeli e al trasferimento della
parrocchiale di S. Leonardo nella posizione attuale, si ritenne opportuno erigere una nuova chiesa di S.
Rocco che fosse anche il completamento della sistemazione del nucleo religioso. Fu proprio la sua
costruzione a definire la piazza che ancor oggi conserva l’impronta voluta nel XVII sec.
L’edificio, voluto dalla Confraternita dei Disciplinati di S. Rocco, occupa l’area in cui anticamente pare vi
fosse un forno. I lavori iniziarono nel 1727 e da documenti, venne consacrata nel 1740. Al 1735 risale la
zona campanaria (Carlo D. Buriano - B. P. Milanese). Inizialmente la chiesa era formata da due corpi:
ellissoidale a navata unica la zona dei fedeli, a forma poligonale prolungata il Presbiterio.
In un secondo tempo, nel 1755-1764 si unì sul lato sinistro interno, a fianco di parte del Presbiterio, una sala
rettangolare (Sacrestia); circa nel 1831 si costruì un’area esterna a destra modificando parte della curva
ellissoidale in una parete rettilinea acquisendo uno spazio ampio che forse fu adibito ad oratorio. Autori del
progetto figurano Bartolomeo Reale e Defendente Cometa. Un non specificato architetto fu collaudatore
dell’opera ultimata.
Esterno
Rivestito in pietra, presenta i tipici caratteri settecenteschi. La facciata vera e propria, si eleva elegante ed
armonica nelle modanature, nelle ripartizioni, nel chiaroscuro sottolineato da cornici aggettanti. Il portale
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semplice ma perfettamente inserito nel contesto (i battenti sono recenti e sostituiscono quelli rubati negli
anni ottanta), è la base di una zona d’ombra che idealmente continua nella nicchia sovrastante, nell’occhio
della zona superiore per concludersi, espandendosi, nel timpano curvo che corona la facciata completandone
lo slancio verticale.
Alla sinistra è evidente il settore aggiunto nel 1765 formato da un piccolo portico nel quale, a vista, è
inserita una scala in pietra che univa il piano terra all’organo della chiesa. L’insieme, pertanto, risulta quasi
asimmetrico ma non disturba l’armonia per l’equilibrata distribuzione degli elementi architettonici e
decorativi, anzi ne fa un elemento unico ed interessante.
Interno
Anticamente decorato, è ora in uno stato di deplorevole abbandono ma nonostante ciò, molto interessanti si
rivelano le strutture architettoniche che, se in un futuro fossero restaurate adeguatamente, riporterebbero
l’insieme all’antico splendore.
La controfacciata è arricchita da un doppio sottarco a curva abbassata che sorregge la tribuna dell’antico
organo.
La sala ellissoidale, con asse maggiore parallela all’entrata, è forse la parte più originale ed interessante per
le membrature architettoniche, per le proporzioni, per la copertura a cupola. Il Presbiterio è separato dalla
sala, in basso, da un gradino e da un breve spazio voltato ad arco in alto.
Il Presbiterio vero e proprio è ampio ed ha forma poligonale. Interamente decorato ad affresco e con stucchi
forse coevi alla chiesa (Abbondio Peragallo) ma difficilmente leggibili per il cattivo stato di conservazione.
A sinistra, una porta introduce alla sacrestia, mentre l’antico oratorio è stato incorporato in una costruzione
retrostante l’edificio.
Le tele che arredavano le pareti sono collocate nella chiesa di S. Leonardo.
L’abbandono in cui è stata lasciata per circa 90 anni, ne mostra il degrado ed ancor più i tentativi di
ridipintura rendono l’interno quasi irriconoscibile. Anche l’esterno aveva subito notevole deterioramento
con perdita di alcune parti decorative. Nel 1980 è passata al Comune che ne ha curato il restauro affidando
la direzione dei lavori al capo dell’Ufficio Tecnico architetto Stefano Rossi (1991-92).
Quanto prima, sembra, riprenderanno i lavori per l’interno: ce lo auguriamo tutti!
SAN LEONARDO
Nel 1070, Gandolfo e Oggero, signori di Canelli, ottennero da S. Guido, Vescovo di Acqui e loro parente,
l’autorizzazione ad edificare una chiesa nel castello. Detta chiesa, dedicata a S. Michele, fu affidata ai
Benedettini di S. Leonardo nel XII sec. e protetta dalle mura, diventò la sede principale della Parrocchia,
ubicata in Reg. Aie, Cascina S. Leonardo.
Tra il 1450 ed il 1463, dopo aver cambiato la dedicazione in quella di S. Leonardo, venne completamente
ricostruita a lato dell’attuale Canonica e riconsacrata unitamente all’antistante cimitero.
Per ragioni di instabilità del terreno, per il numero crescente dei fedeli, si pensò di edificare una nuova
Chiesa su un’area più stabile. La costruzione fu di spettanza della Confraternita dello Spirito Santo.
La famiglia Sardi donò l’appezzamento di terreno all’interno del recinto murale di Villanuova e posto tra le
due porte che mettevano in comunicazione le vallate. Il Comune fece murare la Porta davanti a S. Rocco e
colmare il dislivello tra i bastioni e le prime case trasformando le mura in strutture di sostegno per il nuovo
sagrato.
Nel 1682, sotto la guida del capomastro Stefano Melchioni, si iniziò la costruzione della Chiesa progettata
da un architetto il cui nome non è riportato nei documenti. Nel 1694 fu ultimato il corpo principale, nel 1691
venne eretto il campanile, nel 1694 fu rifinita ed intonacata la facciata con l’aggiunta del pronao squadrato
tuttora esistente.
La primitiva struttura era più longitudinale dell’attuale poiché molta importanza si dava al coro ed all’abside
che dovevano ospitare le riunioni della Confraternita.
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Verso la metà del ‘700, l’abside ed il coro, costruiti su terreno di riporto, minacciarono di crollare. Nel
1747-49 si procedette alla demolizione di parte del coro e dell’abside diminuendo sensibilmente l’area del
presbiterio spostato verso la navata.
Nel 1750 iniziarono i lavori di rinnovamento estetico e di aggiornamento stilistico che si protrassero a
lungo, con il rifacimento degli altari principali, l’affrescatura delle pareti e delle volte e l’installazione del
monumentale organo ottocentesco, restaurato negli anni ottanta.
Facciata
E’ un interessante esempio del perdurare del gusto rinascimentale in ambienti provinciali del tardo ‘600 con
accenti rigorosi, equilibrati, eleganti.
Due paraste impostate su alti plinti, la rinserrano e sostengono il timpano; all’interno di questo spazio un
finto arcone (di gusto rinascimentale), evidenzia esternamente la navata illuminata da un finestrone
centinato.
Il portale è sormontato da un portico che interpreta in modo classico il protiro medioevale. Anticamente la
facciata era dipinta con toni intensi e decorata con figure allegoriche della Fede e della Carità ormai
scomparse.
Interno
E’ a navata unica fiancheggiata da due pseudo navate costituite da Cappelle laterali. L’accorciamento
dall’abside non ha falsato i volumi inizialmente più imponenti e scenografici.
Lato destro
1° Cappella: di patronato della famiglia Sardi, è detta dell’”Epifania”, o dei “Re Magi”, per la pala
dell’altare dipinta da Giancarlo Aliberti nel 1700. Dello stesso artista la piccola cimasa con la Natività e gli
affreschi del sottarco. Le pareti laterali sono affrescate con pitture attribuite all’Aliberti o alla sua scuola e
rappresentano i “Re Magi al cospetto di Re Erode, la strage degli Innocenti, il sogno di S. Giuseppe, la fuga
in Egitto”. Restauri approssimativi hanno reso illeggibili gran parte delle opere. La Cappella è un prezioso
esempio di decorazione a stucco di gusto seicentesco, purtroppo pesantemente degradata.
2° Cappella: oggi del Sacro Cuore ma un tempo dedicata all’Angelo Custode. Fu realizzata nel 1689 per
volere di Gerolama Cacheramo Scarampi Crivelli, ultima marchesa di Canelli.
Modificata nell’800 e spogliata nell’ultimo dopo guerra. Rimane l’ancona in stucco seicentesco ma
deturpata da pitture moderne. La Mensa è del ‘900. La volta della cappella è decorata da un bellissimo
affresco di C. Gorzio della seconda metà del settecento.
3° Cappella: è della Compagnia del Rosario. Le pareti sono decorate con pitture “eclettiche” di Davinci
Aliberti, artista canellese nel ‘900.
La pala d’altare con la Madonna del Rosario del 1698, è una delle prime opere documentate di G. Aliberti.
Il pregevole altare marmoreo è dei fratelli Pelagatta (1775). Nella stessa Cappella, in un armadio a vetri del
1725, è custodita la “macchina” processionale della Madonna del Rosario, realizzata nel 1711 dallo scultore
astigiano Giovanni Battista Bonzanigo. E’ una pregevole opera barocca sormontata dal ricco baldacchino e
da quattro angioletti che accompagnano la Sacra Rappresentazione. Il gruppo processionale della “Madonna
del Rosario” riveste particolare interesse per capire la figura dell’autore: il Bonzanigo al quale viene
attribuito con documentazione formale. Commissionato nel 1711 dai confratelli del S. S. Sacramento, segna
un periodo in cui i gruppi processionali avevano particolare interesse e divulgazione.
L’autore, in questa opera, denuncia un solido mestiere ed intuizioni spettacolari (tipici dell’epoca). La
modellazione è morbida e raffinata specialmente nei volti; le pieghe delle vesti ed ancor più del manto
mostrano un andamento fluido ed avvolgente che accentua la regalità del gruppo.
La visione d’insieme, unitamente alle decorazioni floreali, sembra evocare il festevole evento processionale.
Lato sinistro
1° Cappella dall’ingresso, un tempo dedicata a S. Anna è oggi adibita a Battistero. Interamente rifatta è
affrescata con scene dell’Antico e Nuovo Testamento, opere del Laiolo (XX sec.).
2° Cappella: in origine dedicata a S. Giacomo, aveva un altare in legno dorato, sostituito nel primo decennio
del XX° sec. da un altare marmoreo su cui fu collocata la pala di S. Giacomo, opera di G. Aliberti datata
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1714. Dalla vicina chiesa di S. Rocco proviene la pala “S. Rocco tra gli appestati”, sempre dell’Aliberti
sistemata sulla parete sinistra.
La Cappella era di patronato della famiglia Ravazza.
3° Cappella: della Compagnia dello Spirito Santo, ha un altare marmoreo del 1774 (Pelagatta), ora molto
deteriorato. Pregevole la pala raffigurante la “Pentecoste”, opera giovanile dell’Aliberti ancora influenzato
dal tardo manierismo romano. La Cappella era affrescata con finte architetture del primo settecento eseguite
dal canellese Vanzino ma inspiegabilmente coperte da una tinteggiatura rossastra.
Presbiterio e Coro
La balaustra marmorea (Pelagatta 1796), delimita il Presbiterio. L’altare Maggiore (Pelagatta 1749) fu
sistemato al posto del precedente demolito in seguito alle modifiche strutturali dovute alla riduzione
dell’abside.
La volta del presbiterio, affrescata dal Gorzio e dal De Carvalho, pittore di Lisbona, nel 1766, rappresenta il
Trionfo della Religione sulle quattro parti del mondo; opera interessante che in passato fu attribuita
all’Aliberti. Del Gorzio sono i dipinti affrescati alle pareti con storie di Abramo, Isacco e Giacobbe (qualità
inferiore dei precedenti).
Nel 1757 Gorzio dipinse la pala della “Madonna, S. Leonardo e Clodoveo re dei Franchi”; con il De
Carvalho realizzò le decorazioni, a tromp-d’oeil, nella parete di fondo. Architetture e figure allegoriche
creano l’illusione dell’abside soppressa. Il coro, i cui venti stalli sono stati scolpiti nel 1656 per la
precedente parrocchiale e modificati nel 1686 per la nuova sistemazione, è degno di nota per le sue sculture.
Volta della navata
Fu dipinta da Carlo Gorzio con aiuto del De Carvahlo e ultimata nel 1768.
E’ un interessante ciclo barocchetto influenzato dai pittori Pozzo, attivi in quegli anni nell’astigiano.
Entro esuberanti decorazioni a “rocailles” con ghirlande e fiori, sono campite la “gloria di S. Leonardo, la
Vergine e S. Giuseppe”. L’affresco fu restaurato in questo secolo dal pittore canellese G. Olindo, i
medaglioni monocromi del Gorzio, furono sostituiti da ritratti di Santi a forte contrasto, rompendo l’euritmia
più delicata dell’epoca barocca.
La volta del Gorzio, per l’esuberante apparato cromatico, per la fastosità delle tinte, per la spigliata
sicurezza del disegno, e soprattutto per la sua integrità appena scalfita dall’Olindo, rappresenta un
eccezionale documento d’arte, praticamente unico in tutto l’Oltretanaro, dove non sono noti cicli barocchetti
di tale complessità, vastità ed impegno. Nella stessa Asti, che pure vanta superbi cicli affrescati del primo
settecento, non esiste niente di simile ad esclusione dei dipinti del Carloni in Duomo, di almeno 20 anni più
tardi.
La chiesa, che verso la metà del ‘700 fu sede del Vicario Foraneo diocesano, disponeva di una ricca
dotazione di argenti, paramenti di gran pregio, sculture, reliquari. Saccheggiata più volte da eserciti nemici
(nel 1696 gli alemanni la depredarono fortemente) e da ladri locali, del patrimonio iniziale non rimaneva
traccia già all’inizio di questo secolo.
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ANNUNZIATA
La Confraternita dell’Annunziata era una delle più importanti e facoltose del tempo (XVIII sec.). Ad essa
aderivano i commercianti benestanti del Borgo e le famiglie più in vista.
Disponendo di cospicui redditi, i confratelli, conformi al nuovo fervore edilizio civile e religioso che aveva
investito Canelli e vi aveva portato qualificate maestranze non solo da Asti ma da Milano e dal Ticinese,
decisero di fare edificare una nuova chiesa i cui lavori terminarono nel 1731.
Sul piazzale attuale, si affacciavano un antico oratorio, sede della Confraternita delle Umiliate, ed una
piccola chiesa che già nel ‘400 ospitava la Confraternita dell’Annunziata.
Gli edifici furono in parte demoliti ed in parte inglobati nella nuova “fabbrica” che risultò imponente e
grandiosa tanto da rivaleggiare con le due Parrocchiali. Mentre le precedenti costruzioni avevano gli
ingressi sulla “sternia” la nuova chiesa ebbe il fronte sul piazzale di S. Tommaso, da poco realizzato, con
chiara intenzione di arricchirlo scenograficamente secondo i canoni urbanistici allora imperanti.
Il forte dislivello del terreno richiese una notevole sopraelevazione della facciata per allinearla all’abside.
L’ingresso fu così raccordato alla piazza con un alto terrazzamento a cui si accede per mezzo di una
scalinata che in origine avrebbe forse dovuto essere più grandiosa, equilibrando scenograficamente la
costruzione al sottostante sagrato.
Facciata
Elegante e slanciata, costituisce un pregevole esempio di architettura barocca ispirata ai modelli astigiani.
Le pareti laterali sono lievemente concave e raccordate al corpo centrale da volute girate verso il basso. Le
paraste che partono dalla zona inferiore e continuano in quella superiore ne accentuano l’elevazione. Il
timpano, a doppia curva, ne corona armonicamente l’insieme.
Il portale barocco è incorniciato da stucchi che ne esaltano lo stile maggiormente visibile nella decorazione
della “finestra” e dell’affresco che lo sovrastano. Le due nicchie laterali completano il ritmo chiaroscurale
accentuandone il movimento. E’ forse l’edificio religioso architettonicamente più riuscito per le proporzioni,
per lo stile e per i rapporti con l’ambiente.
Interno
La pianta è a croce latina rovesciata. L’ingresso, rettangolare, è sormontato da una tribuna per l’organo e la
cantoria che copre la controfacciata. A lato la statua della Madonna Addolorata, un tempo assai venerata dai
canellesi tanto da identificarne la chiesa stessa che oggi è più nota come l’ “Addolorata” e proviene dalla
chiesa di S. Giovanni Decollato.
La navata unica si dilata ai fianchi dando origine a due Cappelle (una per lato) sopraelevate da tre gradini
conferendo, all’insieme, un senso di ampio spazio valorizzato in alto da una falsa cupola.
Gli altari delle Cappelle laterali, della metà del settecento, sono eccellenti opere in stucco di puro stile
rococò, eseguite dalle abili maestranze attive in quegli anni nella chiesa di S. Marzano Oliveto. L’altare di
destra è dedicato alla Beata Vergine del Buon Consiglio, quello di sinistra, dedicato a S. Caterina da Siena,
era della Compagnia delle Umiliate.
Presbiterio e Coro
Molto profondo longitudinalmente, contiene l’altare settecentesco in stucchi e marmo proveniente dalla
soppressa chiesa di S. Giovanni Decollato. Ai lati due porte danno accesso ai locali adibiti a sacrestia.
Il Coro, con stalli in legno, è molto spazioso perché un tempo era consuetudine utilizzarlo dalle
Confraternite per le riunioni. Nella parete centrale dell’abside, vi si può ancora ammirare una pala
settecentesca dell’Annunziata.
Tutta la chiesa era affrescata ma l’antica decorazione è stata sostituita, agli inizi del secolo, da affreschi
coronati dal “Giudizio finale” della “cupola”. Autore, in gran parte dell’opera, è Giovanni Olindo, pittore
canellese.
Campanile
Benché manomesso è medioevale. La parte superiore è stata restaurata nel 1935, ma la cuspide ottagonale ne
attesta l’antica origine.
L’edificio, non più utilizzato per funzioni sacre, ma non sconsacrato, possiede ancora discrete condizioni
statiche, ma addossato alla collina di Villanuova, soffre per devastanti infiltrazioni di umidità.
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S. GIOVANNI DECOLLATO
Chiesa del primo settecento, in origine sede dei Battuti Neri, è ancora in buone condizioni statiche ma quasi
illeggibile per le modifiche apportate.
La facciata, una cinquantina di anni addietro, fu mutilata dell’alto timpano triangolare e del campanile di cui
rimane solo la base.
L’edificio, ora conosciuto come “circolino”, fu adibito a teatro trasformando l’abside in palcoscenico ed
abbassando la volta con una soletta.
Oggi vi si riunisce la Banda Musicale e i locali sovrapposti sono utilizzati per riunioni catechistiche.
I volumi della chiesa, soprattutto interni, sono comunque ripristinabili con poca spesa, restituendo alla città
un prezioso spazio per l’aggregazione.
Dalla chiesa proviene l’altare maggiore oggi nell’ “Addolorata” e la statua della “Vergine dei sette dolori”
nella stessa collocata.
SACRO CUORE
Nel 1892 Don Francesco Sacchero (canellese), nominò Mons. G. Marello, fondatore della Congregazione di
S. Giuseppe sorta presso l’Opera Pia Michelerio e poi trasferita nella Casa di S. Chiara ad Asti, e Don
Cortona, eredi universali affinché istituissero un’opera a scopo benefico.
Fu scelto il terreno, appartenuto a Don Sacchero, situato oltre il torrente Belbo lungo la strada che unisce
Canelli a Cassinasco. Nel 1903 iniziò la costruzione dell’orfanotrofio maschile a cui fu in seguito unito un
convitto.
Nel 1917 fu requisito, ad uso militare, il sotterraneo della Casa che era adibito a teatrino. Durante la guerra
‘16-’18, la ditta Zoppa fece distribuire ai poveri una minestra e nelle feste una pietanza con pane e vino.
Gli orfani diminuirono e furono ospitati, nella Casa di Canelli, i Probanti, ossia i giovani aspiranti alla vita
religiosa: è avviato il Ginnasio Superiore della Congregazione.
Nel salone attuale, al primo piano, era situata la Cappella ma ben presto si sentì la necessità di una vera e
propria chiesa che servisse non solo agli studenti sacerdoti, ma anche alla popolazione limitrofa che aveva
notevoli difficoltà a raggiungere la parrocchia di S. Tommaso.
Nel 1932, con la benedizione del Papa Pio XI, comunicata dal Cardinale Pacelli, poi Papa Pio XII, con
l’approvazione del Vescovo di Acqui, Mons. L. Delponte, e del Parroco di S. Tommaso, Don Carlo
Benazzo, si avviò l’iter per la costruzione della chiesa del Sacro Cuore (a Canelli più conosciuta come S.
Chiara perché voluta dai Padri di S. Giuseppe la cui Casa Madre di Asti era sita nell’antico convento di S.
Chiara).
La prima notizia ufficiale fu data il 10 gennaio 1932 e si affidò l’incarico di preparare il progetto al
Canonico Prof. Alessandro Thea. Il 6 agosto 1933 iniziarono i lavori commissionati all’impresa di Carlo
Torchio. Promotore e guida dei suddetti fu Padre Simone Marsero che non vide l’opera compiuta essendo
morto un mese prima dell’inaugurazione avvenuta il 16 giugno 1935.
Dal 1947 al 1960, il complesso religioso, ospitò lo studentato filosofico della Congregazione e poi sede della
scuola preparatoria.
Con l’accresciuta popolazione urbana, si sentì la necessità di aumentare le Parrocchie di Canelli ed il 27
novembre 1977, Mons. Moiso, Vescovo di Acqui, eresse la chiesa del Sacro Cuore a Parrocchia.
Facciata
Semplice e slanciata è caratterizzata da lesene bianche che spiccano sullo sfondo di mattoni e tripartiscono
l’insieme suggerendo le tre navate interne. Un elegante arco in pietra di Vicenza sul quale campeggia la
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statua del Sacro Cuore benedicente (di Emilio Demetz) dà adito ad un ampio pronao con ingresso principale
al centro ed ai lati due porte che immettono in Chiesa per un piccolo atrio ad uso di bussola.
Le porte sono in rovere di Slovenia ed eseguite dai falegnami Musso e Seitone su disegno del Thea.
L’insieme risulta eclettico con qualche slancio neogotico come era in uso nei primi decessi del secolo.
Campanile
Nel progetto avrebbe dovuto elevarsi notevolmente e terminare con un’alta guglia ma non fu terminato.
Dell’originale rimane una torre mozza. Le campane non esistono ed il loro suono si propaga con sistema
elettronico registrato.
Interno
Pianta a croce latina suddivisa in tre navate: una centrale ampia ed elevata e due laterali minori.
Scandiscono lo spazio otto colonne in marmo rosso di Verona con piedistallo in marmo di S. Vitale e base in
verdello. I capitelli, in verdello, sono a quattro facciate con bassorilievi a tema simbolico (opere dei fratelli
Pallavicini di Acqui).
Sui capitelli poggiano ampie arcate che sostengono una parete che eleva la navata centrale. Tale spazio è
interamente affrescato con episodi tratti dal Vangelo (opere del Laiolo?). Sei finestre a trifora stilizzata,
illuminano la sala.
Controfacciata
Costituta da un’alta tribuna, anch’essa affrescata (Ultima Cena) ed illuminata da un’elevata trifora stilizzata.
Navata destra
Tre sono le Cappelle rientranti. Molto semplici e dotate di altari in marmo in conformità agli altri elementi
della Chiesa.
1° Cappella: priva di balaustra è stata recentemente dedicata al Beato Marello (un tempo era utilizzata per
gli avvisi parrocchiali).
2° Cappella: dedicata al Crocifisso- pala di P. G. Crida ?
3° Cappella: dedicata a S. Giuseppe - pala opera di P. G. Crida 1941
Navata sinistra
1° Cappella: dedicata a S. Antonio
2° Cappella: dedicata a S. Rita da Cascia- pala di P. G. Crida 1937
3° Cappella: dedicata a Maria (non si hanno dedicazioni più precise).
Presbiterio
Sopraelevato da tre gradini in marmo di S. Ambrogio, è coronato in alto da una cupola appoggiata al
tamburo ottagonale e illuminata da otto triplici finestre. Una fascia in oro, con scritta, ne sottolinea la forma.
Nella zona sottostante ai quattro pinnacchi di raccordo, gli affreschi di Laiolo ritraggono gli Evangelisti.
Il Presbiterio è limitato, in basso, da 4 colonne di marmo pernicino con ricchi capitelli compositi sui quali
poggiano due archi abbassati (uno per lato) e due matronei adibiti a cantoria. Esse sono ornate da 4
colonnine con bei capitelli che a loro volta sostengono una parete sottolineata da un finto grande arco
decorato con simbologie.
L’altare Maggiore è in marmo e si armonizza con l’insieme.
Nell’abside, in una nicchia ornata da elementi decorativi ed architettonici, campeggia la statua del Sacro
Cuore. Nel catino un affresco raffigurante la Trinità.
La balaustra che occupa tre lati del Presbiterio, è in verdello traforato con specchi di onice del Marocco.
A destra ed a sinistra due ampi e profondi slarghi (il transetto) destinati un tempo uno agli aspiranti e l’altro
al pubblico ma attualmente, non essendoci più studenti-sacerdoti, sono entrambi per il pubblico.
Dal transetto sinistro si apre la Sacrestia che comunica, tramite un corridoio ed una scala, con il campanile
mozzo e con i due matronei.
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Attualmente la chiesa, la Casa ed i cortili, servono per la Parrocchia, solo una parte del piano terra, del
primo piano e tutto il secondo piano dell’antico ginnasio, sono affittati ad una scuola Tecnico-Professionale.
I Padri prestano servizio come Cappellani all’ospedale di Canelli.
Le notizie ed i dati sopraelencati sono tratti da “giornali” e documenti giacenti presso la Parrocchia stessa ed
in fotocopia presso la Biblioteca comunale che potrà esibire notizie più particolareggiate anche sui fondatori
e sui benefattori.
CASTELLO GANCIA
Tra il X e l’ XI sec. esisteva una vasta rete commerciale facente capo ad Asti.
Per la difesa di una di queste rotte commerciali (forse per volere di Ottone III°) sorse, presumibilmente agli
inizi dell’XI sec. un Castrum a Canelli con il compito di salvaguardare le strade che, risalendo la Valle
Belbo, conducevano ai porti di Savona e Vado.
Il castello venne edificato sulla sommità del colle detto poi di “Villanuova”, dominante l’antica corte
ottoniana. Il grande Castrum, verso la fine del XIII° sec., subì profonde trasformazioni: decaddero gli edifici
nobiliari che lo caratterizzavano dovuto anche all’estinzione o emigrazione delle famiglie nobili dal
Consortile di Canelli.
Verso il 1330, il Castrum fu trasformato in “Villaforte” detta poi “Villanuova” perché da poco tempo
l’elemento popolano aveva occupato gli spazi lasciati liberi dai nobili.
Dell’antico complesso rimase, fino al XII° sec., il “palatium veterum” con torre sede del castellano e delle
guarnigioni. Le mura del Castrum possedevano due porte: quella di Mezzo, interrata alla fine del XVII° sec.
per costruire il sagrato della nuova chiesa di S. Leonardo, e la porta dell’Anitra, sotto il castello verso la
vallata opposta. Gli Asinari acquistarono il feudo di Canelli nel 1335 senza modificare il Castello ma i loro
successori, gli Scarampi, vi apportarono importanti migliorie ed ammodernamenti tra il XV ed il XVI° sec.
di cui rimangono frammenti scultorei ed architettonici.
Il Castello con le fortificazioni, fu in gran parte smantellato nel 1617 per opera degli spagnoli durante la
guerra di successione del Monferrato distruggendo ciò che era vanto ed ammirazione dei visitatori.
L’opera di ricostruzione iniziò nel 1626 ripristinando le fortificazioni; il Castello fu riedificato a partire del
1676 per opera degli ultimi marchesi Scarampi Crivelli, anche se in forme ridotte e con carattere di un
palazzotto.
Gli interni pare fossero progettati da Amedeo di Castellamonte, architetto ducale. Nel 1706, estinta la
famiglia Scarampi-Crivelli, il complesso venne infeudato ai conti Galleani. Nel 1803 fu acquistato dagli
Alfieri di Asti, ben inseriti nell’establishment napoleonico.
Le signorie feudali furono abolite dalla Francia rivoluzionaria (1810) ed il Castello fu acquistato dal conte
Bellini come privato cittadino, passò poi ai Parone e quindi a Gaspare Sardi e poi ancora all’avv. Vincenzo
Bertolini, senatore del Regno i cui eredi lo cedettero al Grande Ufficiale Camillo Gancia che affidò all’arch.
Arturo Midana (1929-1930) il restauro e la ristrutturazione dell’edificio. Gli intenti del Midana furono quelli
di conferire al Castello lo stile di fine ‘600 anche per gli interni, dove un’attenta ricerca d’epoca diede ai
locali un’armoniosa varietà di arredi. Le decorazioni del pittore canellese Giovanni Olindo, ed i numerosi
stucchi policromi, richiamano la corrente barocca. Esternamente furono aggiunte due ali rendendo più
imponente l’edificio. Lesene angolari e mediane rompono la compattezza della costruzione, più semplici
sono le fiancate ed i corpi sporgenti.
Le finestre del piano rialzato e quelle del primo piano sono sobriamente fregiate. Sopra il portale, al quale si
accede per mezzo di due scale laterali, vi è una balconata la cui porta-finestra campeggia con maggior
larghezza di motivi ornamentali. Tra le due rampe di scale, un’apertura porta alla piccola cappella.
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Significativa fu anche la sistemazione delle aree circostanti; la creazione del giardino all’italiana riporta il
Castello agli splendori del ‘600; la portineria ricavata dal terreno scosceso verso la strada ed
armoniosamente collegata ad una piccola Cappella preesistente.
Al lato opposto, un vecchio fabbricato, fu adattato dal Midana ad uso autorimessa.
Il Castello, così restaurato, domina tuttora l’abitato dall’alto del colle ed è punto di riferimento panoramico e
simbolo di Canelli.
Interessante: Ambientazione; Interni; Grandioso ed elegante atrio con ritmi spaziali che rammentano lo
Juvarra.
DIMORE STORICHE
Palazzo Grasso - Stresia (via Roma)
Sede del Circolo G.B. Giuliani. Fatto costruire nella seconda metà del seicento dall’ “Illustre Magnifico
Signor” Giovanni Battista Grasso, Giudice del Marchesato di Canelli nel 1671, poi podestà di Asti fino al
1685. I suoi eredi nella prima metà del settecento fecero decorare la facciata (che oggi guarda il giardino),
imitando il palazzo Crova di Nizza, ricostruito dal Nicolis di Robilant.
Bello il portoncino d’ingresso sotto il portico, con lo stemma di famiglia.
Dai Grasso, il palazzo passò agli Stresia ed infine ai Merlo nel 1813.
Antica casa comunale (oggi Scarazzini - piazza A. d’Aosta)
Già nel medioevo sorgeva sulla piazza del Borgo: al pianterreno ospitava il tribunale, al primo piano il
Consiglio Comunale. Fu distrutta nel 1617 assieme al Castello, e l’archivio incendiato.
Ricostruita tra il 1625 e il 1627, ebbe la caratteristica facciata nel 1814. Fu in seguito destinata ad usi privati
e pesantemente trasformata all’interno da restauri recenti.
Palazzo Scarampi, poi Palazzo Osasco (via XX Settembre)
L’antico castello medioevale, durato fino al 1627, benché ristrutturato, non doveva essere molto
confortevole.
Nel 1613 il Marchese Scarampi Crivelli risiedeva di preferenza nella villa delle Belline, (oggi proprietà
Parone) e ancor prima i feudatari di Canelli, detenevano un ampio palazzo sulla Contrada Maestra del
Borgo. Tale palazzo, benché molto modificato, esiste ancora e mantiene qualche elemento interessante: in
particolare il vasto locale del pianterreno (negozi verdura Molinari, Rosa panetteria,...) di fine ‘500 inizi
‘600, a volte su agili colonne tuscaniche.
Il locale è molto simile al pianterreno del castello di Mango, degli astigiani marchesi Busca.
Nel cortile si intuisce l’esistenza di un portico tamponato.
Casa Cornaro (piazza Gioberti)
E’ forse una delle più belle dimore barocche della piccola nobiltà di provincia.
Appartiene ai Cornaro dall’800. Lo stupendo portale barocco fu parzialmente demolito da un camion in
manovra, una decina di anni addietro.
Bellissimo l’atrio e lo scaloncino della zona padronale. Suggestivi i locali rustici del cortile. La casa è in
stato di avanzato degrado, ma va conservata ad ogni costo.
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Casa Calzato
Uno dei più bei palazzi secenteschi di Canelli, orribilmente deturpato da un finto restauro. In particolare è
scomparso il cortile porticato, gli antichi giardini a terrazze in pietra sono stati sbancati e ridotti a garages.
Rimangono alcuni bei locali a volta ed il bellissimo prospetto esterno lungo il vicolo dei Piaggi.
Il voltone
Porta d’ingresso del più antico recinto murato (XII sec.) del Borgo, ampliato poi tra il XIII ed il XIV secolo.
La struttura conserva ancora le tipologie di una porta-torre romanica. Oggi si presenta potentemente
interrata a causa dell’erosione.
Il prospetto sud è stato “restaurato” in modo ridicolo; quello a nord, a dispetto di un “servizio” che vi
incombe, si presenta più genuino.
Da qui partiva la via principale di Canelli alto-medioevale, che raggiungeva S. Tommaso proseguendo fino
alla via G.B. Giuliani.
Casa Giuliani
Vi nacque l’insigne, dimenticato dantista G.B. Giuliani. La famiglia Giuliani vi risiedeva almeno dal ‘500.
E’ il risultato di adattamenti ottocenteschi di strutture molto più antiche.
Casa Prato - Via Villanuova (alla sommità, sotto il castello)
Appartenne al nobile Magnifico Signor Gerolamo Prato, gentiluomo astigiano, podestà di Canelli tra il 1580
ed il 1610. Severamente semplice, è l’unica casa canellese ad aver conservato intatti gli antichi soffitti “a
travetti” ed i volumi originari.
ARTISTI CHE HANNO OPERATO IN CANELLI
SEBASTIANO TARICCO
Figlio di Giovanni, nacque a Cherasco il 26 settembre 1641 e morì a Torino il 23 settembre 1712 (articolo di
Giovanni Taricchi di Cherasco).
La sua formazione non è documentata: probabilmente studiò le opere degli artisti bolognesi (i Carracci),
come era in uso all’epoca e che tanta influenza avevano diffuso anche tra gli artisti piemontesi.
Si riscontra, infatti, nella sua opera una tendenza ad apparire con scene particolarmente contrastanti nel
colore. La modellazione è ricercata ma poco incisiva nei caratteri. C’è una ricerca del bello e della
composizione spettacolare come era in uso all’epoca.
Numerose sono le opere sia ad affresco che ad olio su tela site nelle varie località piemontesi come Torino,
Bra, Cherasco.
Il quadro collocato nella chiesa di S. Tommaso, è attribuito al Taricco, ma per una più sicura lettura occorre
attendere una pulitura efficace.
BARTOLOMEO PELIZZA
Attivo ad Asti tra il 1590 ed il 1620. Fu pittore, soldato e gentiluomo al seguito di Guido Aldobrandino - S.
Giorgio, governatore di Asti e dell’Astesana. La sua personalità è emersa di recente, così come i relativi dati
biografici: a tuttora le opere a lui ricondotte o attribuite sono ancora pochissime. Se nell’ “Incredulità di S.
Tommaso”, nella parrocchia omonima, appare legato alla pittura devozionale di fine ‘500, in seguito
abbracciò un manierismo vigoroso e “classicista” alla F. Albani, attivo alla corte di Carlo Emanuele I°.
Rappresentò un’alternativa di buon livello allo strapotere del Moncalvo, che infatti non riuscì a
“colonizzare” completamente la committenza di Asti.
CARLO GORZIO
Moncalvese, attivo tra il 1765 ed il 1794.
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Formatosi alla scuola di P. Francesco Guala, fu il maggiore pittore del Piemonte sud nella seconda metà del
settecento, sebbene oggi un po' troppo sottovalutato, anche per la sua enorme ipertrofica produzione che
andò spesso a scapito della qualità.
Ancorato all’accademismo imperante nel Regno Sardo dell’Acien Régime, (dalle cui fila usciranno il
Beaumont, il Rapous, il Molinari), godette di fama e prestigio nella provincia di Asti, Casale ed Acqui, dove
si produsse in pale d’altare monumentali e cicli a fresco. Oltre alle due pale canellesi è notevole, nella nostra
zona, quella della parrocchiale di Bubbio.
La sua arte eccelle negli affreschi, dove sa essere naturale e spumeggiante come in S. Leonardo, opera
giovanile ma forse uno dei suoi capolavori.
GIAN CARLO ALIBERTI
Nato a Canelli il 5 marzo 1662 e morto ad Asti nel 1727.
Della sua giovinezza non esiste documentazione ma secondo il Claretta, studiò a Roma grazie ad una borsa
di studio elargita dal Duca Carlo Emanuele III di Savoia. La formazione romana è ripresa dal Lauzi che ne
suggerisce la scuola presso il Maratta, dove viene a contatto col mondo tardo-manierista gravitante attorno
ai Carracci.
La grande capacità dell’Aliberti è stata quella di costituire un “tramite” tra il mondo secentesco della scuola
romana e le fresche rappresentazioni già protese verso il barocchetto settecentesco. Prima di sostare a Roma,
il giovane artista, ha avuto la possibilità di osservare e studiare assiduamente il patrimonio pittorico delle
chiese di Asti. Ad attrarlo erano soprattutto le ultime ricerche dei pittori “moderni” che dotavano le loro
opere di luci, ombre e movimento (in particolare il La Veglia, poi suo suocero).
Probabilmente già nella sua prima giovinezza ha lavorato per piccoli committenti o per le Confraternite
mettendo in evidenza le sue capacità di attento osservatore degli sviluppi dell’arte contemporanea. Non ci
sono prove concrete.
Dopo gli studi romani, il pittore si apre a nuove visuali affinando la sua personalità che concretizza in opere
in cui la sua sensibilità pittorica è realizzata attraverso lo studio delle composizioni e degli atteggiamenti
figurativi che seguivano i canoni suggeriti dalla controriforma e non ancora del tutto soppressi. Il disegno è
fine ed il colore pastoso. La sua è una pittura, quindi, manierista con sapore accademico bolognese-romano.
Il suo linguaggio secentesco è scenografico ma elegante e sensibile, raffinandosi nelle tonalità più dolci.
L’attività pittorica fu prolifica ma gran parte delle sue opere, specialmente gli affreschi, andarono perduti.
Numerose le opere situate nelle chiese di Asti, Alessandria, Cuneo, Cherasco, Casale, Pavia. A Canelli
lavora per le chiese di S. Rocco, S. Leonardo, S. Tommaso, S. Agostino.
Nella chiesa di S. Leonardo è collocata una delle sue prime opere pubbliche (1700) “la Pentecoste” in cui si
riscontra traccia del gusto rinascimentale specialmente nella modellazione dei visi. Nella stessa chiesa si
trova un’opera proveniente dalla vicina S. Rocco: la pala “S. Rocco tra gli appestati”, la pala detta di S.
Rocco ma in realtà di “S. Giacomo” per l’omonimo altare dei Ravazza, fu eseguita nel 1714, l”Epifania “
(1700) e la “Madonna del Rosario” (1698).
In S. Tommaso troviamo i “il transito di S. Giuseppe” attribuito al pittore con molte probabilità; anche la
tela raffigurante l’ “Immacolata Concezione”, nonostante la mancata “pulitura” non consenta una chiara
lettura di stile, è sicuramente del maestro.
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