13 settembre 2014 La Stampa (TorinoSette) web Gioachino Rossini per Settembre Musica il 13 al Regio Una serata incentrata sull’opera del Cigno di Pesaro, dirige Gianandrea Noseda LEONARDO OSELLA TORINO La tempesta scoppiata al Teatro Regio, con il direttore Gianandrea Noseda e il sovrintendente Walter Vergnano ai ferri che più corti non si può, non impedisce che quanto è stato già messo in cantiere dai due vada avanti. Così sarà per le opere e i concerti programmati per l’imminente nuova stagione, e cosi è per la partecipazione a Mi.To. E dunque sabato 13 alle 21 al Regio (piazza Castello) l’Orchestra e il Coro del Teatro daranno vita a una serata (biglietti a 22 e 30 euro) incentrata sul nome di Gioachino Rossini. Visto il successo riscosso in casa e nelle tournées italiane ed estere dal «Guglielmo Tell» (sulla scena o in forma di concerto), è da lì che si prendono le mosse, proponendo la sempreverde Ouverture: un vero e proprio poema sinfonico che evoca l’atmosfera naturalistica della vicenda, tra chiaroscuri boschivi, tuoni e fulmini della tempesta, canti di uccelli con il ritorno del sereno e squillanti echi di cacce. Quindi il Cigno di Pesaro comparirà per così dire «al quadrato», per l’interposta persona di Ottorino Respighi. Si ascolterà infatti la «Rossiniana» che il compositore bolognese e romano d’acquisizione creò nel 1925 (prima esecuzione ad Amburgo) sull’onda del precedente balletto «La boutique fantasque». Poggiando sulla sua ben nota maestria di orchestratore, Respighi ha creato una Suite in quattro parti: nella prima si viaggia su suggestioni folcloristiche («Capri, Taormina, Barcarola, Siciliana»), cui segue una strana marcia funebre («Lamento»); il successivo «Intermezzo» (che Alberto Cantù collega a una «musica da carillon») prelude alla scatenata «Tarantella puro sangue», appena attenuata dal solenne snodarsi di una processione sacra. Infine, riecco il Rossini vero. E’ quello dello «Stabat Mater», sulla scultorea sequenza di Jacopone da Todi. Qui con orchestra e coro (diretto da Claudio Fenoglio) entrano in campo il soprano Erika Grimaldi, il contralto Daniela Barcellona, il tenore Piero Pretti e il basso Mirco Palazzi. Benché la versione definitiva sia del 1841, una prima tranche di sei delle dodici parti (le altre sei furono affidate all’amico Giovanni Tadolini) risale al 1831 - 1833, ossia soltanto a 2 - 4 anni dall’abbandono delle scene dopo il successo del «Guglielmo Tell» Questa versione «fifty - fifty» fu presentata a Madrid il Venerdì Santo del 1933. Per anni, fino alla definitiva «prima» parigina del 1842, il destino della partitura fu oggetto di beghe legali tra editori e la chiesa spagnola. Lo «Stabat Mater» è certamente un’opera sacra, ma le influenze del canto operistico vi sono evidenti, il che esige un impegno talora improbo da parte dei solisti: si pensi ad esempio che la parte di tenore fu ritagliata sulla voce del mitico Mario di Candia e nel «Cuius animam» sfora fino al re bemolle acuto. Degni di immancabile ammirazione sono anche certi passi a cappella del coro.