Dialogo della Natura e di un Islandese Riassunto Un Islandese, mentre esplorava la parte più interna dell’Africa, si imbatte in un busto simile a quelli di pietra dell’Isola di Pasqua, solo che era vivo e rappresentava una donna seduta, la Natura. L’Islandese risponde alle domande della Natura sul motivo di trovarsi in quel luogo, spiegando che stava fuggendo la Natura stessa. L’uomo introduce il suo discorso parlando degli uomini di tutto il mondo, definendoli stolti, in quanto combattono per piaceri che non diletteranno e di beni inutili, poiché più cercano di avvicinarsi alla felicità, più si allontanano da essa. D’altra parte egli dice di essersi allontanato da queste sofferenze, in quanto lo riteneva l’unica soluzione. Questo era il motivo dei suoi viaggi. Tuttavia, pur essendosi liberato dalla molestia degli uomini,non riusciva a vivere senza sofferenze causate dalle difficoltà delle stagioni. Affermò che l’obbiettivo di questi viaggi era quello di trovare un luogo dove potesse non soffrire non godendo e di vivere in modo tranquillo non creando molestie alle altre creature. Ma il risultato fu quello di imbattersi in svariati tormenti,come avversità climatiche e malattie. Conclude dicendo che l’uomo è destinato necessariamente a patire per colpa della natura che è nemica di tutti gli uomini,definendola “carnefice della tua propria famiglia”. La Natura quindi rispose che il mondo non è stato fatto per il genere umano e per la sua felicità, anzi se un giorno esso si estinguesse,lei forse non se ne accorgerebbe. L’Islandese rispose paragonando la Natura ad un signore, il quale lo ha invitato nella sua villa,e all’arrivo in casa fosse maltrattato dai figli e rinchiuso in una cella,lacera e rovinosa,esso ricorderebbe al signore di essere stato invitato e di non esserci andato di spontanea volontà e perciò non aveva il diritto di essere trattato male. Afferma perciò che la Natura ha collocato gli uomini nel mondo, ma non se ne cura minimamente, anzi li lascia soffrire. La Natura controbatte dicendo che l’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione,le quali servono necessariamente alla conservazione del mondo. L’Islandese si chiese a chi giova questa vita piena di sofferenza . Mentre cosi ragionano,giungono due leoni affamati che mangiandosi l’islandese riescono a sopravvivere per quel giorno. Sopra il corpo dell’uomo fu edificato un grandissimo mausoleo di sabbia che venne ritrovato e collocato in un museo europeo. Commento Quest’opera fa parte della raccolta “Operette morali”,composte da Leopardi tra il 1824-1832. Queste sono prose di argomento filosofico,ma come citato nello Zibaldone “non si tratta di filosofia pienamente speculativa e teoretica, ma lo scrittore si prefigge un fine pratico, ‘scuotere’ la sua ‘povera patria’ e il suo ‘secolo’.” Il diminutivo “operette” indica il taglio breve dei testi e sottolinea l’ironia. Sono dialoghi,i cui interlocutori sono creature fantastiche o personaggi storici mescolati con creature bizzarre. Questo testo è il dialogo tra la Natura e l’uomo. Ella viene personificata e descritta come una donna. L’opera segna una fondamentale svolta,poiché compare per la prima volta il pessimismo cosmico:la Natura non è più considerata benefica e provvidente ma nemica e persecutrice. La Natura è vista come meccanismo che provoca infelicità all’uomo,il quale non riesce a sfuggirgli. Leopardi approda cosi a un materialismo assoluto. La Natura crea distruzione poiché è necessaria per la conservazione del mondo . La domanda che si pone l’islandese,ovvero a cosa serva questa vita in felicissima,è la domanda che il pastore del “canto notturno” rivolgerà alla luna. Nell’opera ci sono due diverse concezioni della Natura:per l’Islandese essa è come un’entità malvagia che perseguita deliberatamente le sue creature;la Natura stessa invece si rispecchiano due diversi atteggiamenti dello scrittore:quello filosofico-scientifico ,che considera la natura come un puro meccanismo impersonale inconsapevole,e quello poetico,immaginoso e mitico,che vede la Natura come una specie di divinità malefica. E’ la visione che Leopardi affiorerà poi nell’Ad Arimane. Lo stile è diverso da quello delle precedenti,che comprende una requisitoria incalzante che anticipa la protesta degli Idilli.