È l`euro la camicia di forza che sta strangolando la Grecia

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C1LE ANALISI
IL CAFFÈ 19 giugno 2011
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NUMERI
LORETTA NAPOLEONI
@ www.imf.org
europa.eu/index
È l’euro la camicia di forza
che sta strangolando la Grecia
Reuters
Q
uesta settimana l’Islanda è ricomparsa sui mercati internazionali dei capitali con
un’emissione di un miliardo di dollari, che ha piazzato senza problemi
con un tasso d’interesse appena superiore al 3%. Anche l’Argentina non
ha problemi a finanziare il suo debito.
Eppure entrambe queste nazioni si
sono trovate in una situazione analoga a quella in cui oggi si dibatte la
Grecia, ma non hanno ascoltato il
Fondo monetario, che le incitava a ripagare a tutti i costi il debito, hanno
scelto invece la strada del fallimento.
Onorare il debito era impossibile perché le dimensioni erano enormi, all’inizio del 2008, ad esempio, quello
islandese era 1000 volte il Pil, in più il
pagamento degli interessi deprimeva
l’economia. Nei tre anni in cui l’Argentina cercò di farlo l’economia si
contrasse dell’8,4%. Naturalmente
l’ammissione di essere in bancarotta
provocò un cataclisma nell’economia
nazionale. Nel 2002, l’economia di
questo Paese si contrasse dell’11%.
Ma l’anno dopo ricominciò a crescere
e secondo gli ultimi dati pubblicati
dal Fondo monetario dal 2003 lo ha
fatto con un tasso medio del 7,4%.
Argentina ed Islanda sono vittime del
neoliberismo di Wall Street, ma la
loro fortuna fu di non potersi qualificare per il bail-out, il salvataggio del
Fondo monetario e dell’Unione Europea. Il crollo del loro sistema bancario non minacciava di contagiare
nessuno e quindi nessuna grossa
banca centrale o governo si è intromesso nella gestione del debito e
della bancarotta.
Il governo islandese, dunque, non
ebbe problemi a dividere le banche
deficitarie in due sezioni: quella straniera, dove confluirono i debiti degli
ROSA & CACTUS
UNA
ROSA
A...
UN
CACTUS
A...
Alice Moretti
Attilio Bignasca
Novant’anni in musica per
l’ideatrice della rassegna “Ceresio
estate”, che festeggia anche oltre
40 anni di carriera al servizio della
comunità in mille modi diversi.
È una pista “spinosa” quella
scavata dal parlamentare leghista
per raggiungere una sua proprietà
sui monti di Sonvico. E soprattutto
“salata” per l’abusivismo.
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investitori esteri, e quella nazionale
dove invece finirono i soldi degli islandesi. Il governo garantì solo
quest’ultima e ristrutturò i debiti
della prima. Così facendo il sistema
bancario islandese si ridusse
dell’80%, ma l’economia non venne
privata del contante necessario per
riprendere a crescere.
La sventura della Grecia è l’euro, la
moneta unica europea. Per difenderlo si è disposti a sacrificare l’intera popolazione greca ed ad affossare l’economia di questa nazione.
Secondo il Fmi, dal 2008 l’economia
greca si è contratta del 9,3% e le previsioni sono per una crescita futura
anemica, pari al 2% perché dal 2011
un quarto del Pil andrà a pagare gli
interessi sul debito.
L’euro è una camicia di forza che sta
strangolando la Grecia, le impedisce
di svalutare drasticamente la moneta, come avvenne in Argentina ed
in Islanda. Ma se la Grecia esce dall’Euro, allora questa prospettiva diventa possibile anche per il Portogallo, l’Irlanda e forse anche la Spagna e l’Italia, nazioni che troverebbero nella svalutazione l’ossigeno
necessario per ricominciare a crescere. Naturalmente chi lo mantiene
si troverà con una moneta diversa,
molto forte. Ne soffrirebbero le
esportazioni tedesche e francesi all’interno dell’Europa Unita, ma anche nel resto del mondo, poiché il
nuovo euro nel medio periodo si rivaluterà rispetto al dollaro ed allo
yen.
La popolazione greca ha dunque ragione a voler scacciare gli stranieri da
casa propria, solo il governo greco
può fare gli interessi del popolo e
forse è giunta l’ora di fare proprio
questo.
ESTOVESTSUDNORD
LUIGI BONANATE
C’È UN PREZZO
DA PAGARE
PER LA LIBERTÀ
S
eppure con un andamento sussultorio un po’ inspiegabile e imprevedibile, il Vicino Oriente (specie
nell’Africa del Nord e nella penisola arabica) sta facendo il suo ingresso ufficiale, per così dire, nel mondo
delle relazioni internazionali. Dopo aver partecipato al
banchetto dello sviluppo e del progresso internazionale
degli ultimi decenni stando in cucina o forse nell’anticamera dell’accesso a libertà, democrazia e uguaglianza,
ora finalmente si direbbe che un qualche blocco sia stato
rimosso e la storia abbia ricominciato a camminare. Altro
che Fukuyama e la “fine della storia”: da quando ha lanciato questa formula, non abbiamo avuto che continue
accelerazioni!
Ma mentre molte di queste sono state all’origine di guerre
vere e proprie (anche “sporche guerre”), come quelle di
Bosnia, Kossovo, Afghanistan e Iraq, ciò che dall’inizio di
quest’ anno ha incominciato a succedere e a ripetersi è
più che una serie di crisi di regime (Tunisia, Egitto, Siria)
che sconfinano in qualche cosa che vorrebbe restare - ma
non ci riesce - qualche cosa meno di una guerra internazionale vera e propria (Libia). Ma proprio quest’ultimo
caso, che sembrava il più facile da risolvere (dato il degrado e il letargo del regime libico) sta creando invece i
maggiori e anche più delicati problemi, non soltanto tra
la coalizione occidentale dei “liberatori” e la Libia, ma anche all’interno della coalizione e poi ancora di ciascuno
dei Paesi che ne fanno parte. Non soltanto infatti questa
nuova coalizione ha affrontato in modo superficiale e
ignavo la crisi libica, ma non riesce neppure, nonostante
l’ovviamente immenso divario di forze, a risolverla. E addirittura, sia negli Stati Uniti sia in Gran Bretagna e anche
in Italia si sta mettendo sotto accusa lo “sperpero” che si
starebbe facendo del denaro dei contribuenti...
Ma attenzione: la dignità dell’Occidente, e la sua giustificazione ad agire, stanno proprio in questo: che per difendere la libertà, diffondere la democrazia, favorire l’uguaglianza sociale e lo sviluppo non si debba badare a spese,
in base al principio che l’Occidente ha avuto la fortuna di
avere tutto ciò prima degli altri (e anche sfruttandoli, per
secoli) e dunque ora gli tocca di ricambiare aiutando i
meno fortunati o gli ultimi arrivati. È comunque una
buona notizia quella che ci dice che i popoli di quella
parte del mondo stanno sollevandosi per uscire da regimi
sultanistici e arretrati e chiedono giustizia e democrazia.
Comunque stiano le cose, è giusto che li aiutiamo, anche
se ci costa qualche cosa.
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