Elementi per una comprensione del
passaggio dal criticismo kantiano
all'idealismo
Schema
1. PREMESSA
1
2. NOTE PER UNA VALUTAZIONE CRITICA SU KANT
2
3. LA NASCITA DEL ROMANTICISMO COME MOVIMENTO CULTURALE
(DALLO "STURM UND DRANG" AL ROMANTICISMO )
5
4. RISCOPERTA DI SPINOZA
9
5. SVILUPPI DEL CRITICISMO (CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA
PROBLEMATICA DELLA COSA IN SÉ)
1.
11
5.1. Reinhold (1758-1823)
13
5.2. Schulze (1761-1833)
14
5.3. Beck (1761-1840)
14
5.4. Maimon (1754-1800)
15
Premessa
Lo sviluppo di pensiero che ci accingiamo ad indagare è uno dei più complessi ed importanti
della storia della filosofia e della cultura, per la sua influenza determinante su tutta la
produzione filosofica successiva.
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
2
Inoltre, guardando non solo al futuro ma anche al passato, si può pensare ad una linea di
sviluppo, che, partita da Cartesio, giunge all'estrema coerenza proprio nell'idealismo, ovvero
quel sistema di pensiero, la cui nascita ci accingiamo a spiegare.1
Così, forse, siamo all'esito culturale supremo della modernità, che, (a livello filosofico non
certo politico o letterario), vede in questi autori (idealisti) la sua ultima grande espressione,
prima di frammentarsi in miriadi di rivoli senza più la pretesa di un sapere onnicomprensivo e
al fondo propositivo2.
Per una comprensione chiara ed approfondita della vicenda occorrerà analizzare tre linee
problematiche:
1) la nascita del romanticismo come movimento culturale in senso ampio.
2) la rinascita del pensiero spinoziano.
3) lo sviluppo della problematica del criticismo (il pensiero kantiano), in specie la discussione
sul termine problematico della "cosa in sé".
Tuttavia occorrerà partire, innanzi tutto, da una chiara prospettiva critica sul pensiero
kantiano, onde puntualizzare meglio alcuni punti nodali della sua prospettiva filosofica.
2.
NOTE PER UNA VALUTAZIONE CRITICA SU KANT
- Kant è il filosofo della scissione; egli pone una netta separazione tra natura conosciuta
(fenomeno) e natura inconoscibile (noumeno); tra uomo sensibile e uomo razionale (tale
scissione diviene drammatica nell'imperativo categorico che impone un comando assoluto e
insieme distante dalla sensibilità umana, al punto da dover necessitare, a causa dello sforzo
1
si pensi alla suggestiva prospettiva: Cartesio pone nell'io l'evidenza prima che fonda ogni altra
evidenza, e da essa dunque si può procedere nel dimostrare la realtà esterna all'io, il mondo, che risulta esistente
indipendentemente dall'io stesso, ma che tuttavia solo faticosamente é possibile dimostrare, grazie anche alla
garanzia teoretica di Dio, che non ci inganna; Kant pone nell'io non solo e non tanto la prima evidenza ma la
stessa determinazione della conoscenza: l'io (come "io penso") é la struttura conoscitiva attorno alla quale si
sviluppa tutta la nostra conoscenza che difatti, secondo la rivoluzione copernicana, ruota non attorno all'oggetto
ma attorno al soggetto. Ciò implica che l'oggetto non solo sia lontano e difficile da conoscere se esterno all'io
(come in Cartesio), ma sia del tutto inconoscibile. Così inteso esso é noumeno (pensabile ma non conoscibile).
Tuttavia questa prospettiva non deve preoccupare (a parere di Kant) perché la conoscenza umana é certissima ed
universale relativamente al fenomeno, ovvero a ciò che io stesso (per la parte formale) predetermino. L'io
dunque é ciò che legifera e determina il fenomeno (unico ambito di conoscenza).
Nell'idealismo (ma vedremo meglio quando si affronteranno gli autori) l'io non solo determina il fenomeno
conosciuto, ma determina il reale stesso, il quale viene inteso come lo stesso pensiero reso oggetto (il soggetto si
auto-nega come soggetto) e ricompreso come attività pura e produttiva del soggetto (il soggetto nega la
negazione -l'oggetto- ed in tal modo si ri-afferma). Dunque la realtà extra-soggettiva (la cosa in sé), non é altro
che un momento del movimento dell'attività del soggetto, e precisamente il momento della sua autonegazione (la
quale poi negandosi come negazione, si riaffermerà come soggetto).
2
la seguente linea interpretativa non vuol avere valore né assoluto, né preponderante rispetto ad altre
linee di interpretazione, o rispetto ad ulteriori precisazioni o chiarimenti che si possono apportare. Tuttavia se si
stringe il campo d'indagine al punto di vista strettamente teoretico, tale riflessione possiede un suo forte valore
interno. Si tenga inoltre presente che lo stesso Hegel (considerato unanimemente l'apice dell'idealismo), o
meglio alcuni suoi discepoli, considerò il suo pensiero come l'ultima espressione possibile della filosofia, ossia
lo considerò come pensiero assoluto che ricomprende in sé tutti gli altri pensatori passati e tutti quelli possibili.
Inoltre va considerato che secondo questa linea interpretativa la modernità si identifica, filosoficamente, in un
processo che giunge all’affermazione di una assoluta immanenza ontologica (vedi dispensa dello scorso anno su
Cartesio).
2
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
3
tremendo ed infinito che impone, del postulato dell'eternità); vi è scissione inoltre tra
sensibilità ed intelletto in campo conoscitivo (le percezioni intuitive empiriche, e le categorie
incapaci di intuizione).
-tale scissione risulta necessaria per sostenere un pensiero in perenne equilibrio tra due
prospettive: l'idealismo e il realismo. (problema antitetico).
Kant è realista, (difende peraltro la scienza newtoniana, che fa dell'esistenza reale della
materia sensibile un perno fondamentale della sua prospettiva) ma insieme è convinto che la
ragione umana sia capace di determinare in maniera assoluta la conoscenza (che in ogni caso
viene definitiva fenomenica); questo è vero sebbene non sia ammesso esplicitamente dallo
stesso Kant, il quale afferma la centralità dell' apriori con mediazioni tese a togliere
l'immediato impatto della spontaneità del soggetto (intelletto) sulla realtà sensibile
(problematica dello schematismo). Tuttavia, si rifletta, se ciò non fosse3 occorrerebbe negare
la stessa rivoluzione copernicana.
Tale ulteriore scissione (tra un realismo ed un idealismo entrambi presenti nella Critica),
questa volta non sanabile, sarà causa di una lettura del pensiero di Kant diversa da quella che
Kant stesso avrebbe auspicato; lettura che da una parte si spiega con l'intervento di una
mutata sensibilità culturale (romanticismo), ma dall'altra con l'esigenza interna del pensiero
kantiano di approdare ad una più profonda unità, esigenza mal celata dai tentativi kantiani di
trovare un equilibrio rimanendo all'interno della prospettiva trascendentale. In sintesi
potremmo dire che la prospettiva trascendentale chiede urgentemente di uscire da sé per
intraprendere un approfondimento più radicale della prospettiva copernicana; radicale a tal
punto da essere misconosciuto dal padre della stessa. Tale approdo sarà l’idealismo.
- l'antropologia di Kant è del tutto insoddisfacente. L'uomo spezzato in sensibilità ed
intelletto aspira ad una risoluzione in unità di tale duplice prospettiva, risoluzione che in Kant
risulta invisibile ed impalpabile, in quanto affidata ai postulati della ragion pratica. Anche
qui sono forti gli indugi in cui Kant cade per non seguire quella che è l'unica direttiva
coerente del suo pensiero morale: fare dell'uomo e della sua attività razionale l'origine e la
fonte di ogni realtà4. Risulta, inoltre, piuttosto paradossale ed ultimamente incomprensibile il
contrasto tra la assoluta spontaneità dell'imperativo categorico e l'assoluta dipendenza
dell'uomo da esso. Esso è chiarito da Kant nell’ambito della prospettiva della divisione
dell'uomo in aspetto sensibile e aspetto noumenico, ma pure è evidente che la prospettiva qui
indicata non trova il suo principio esplicativo. Al momento dell'azione, quale è il principio
determinante l'azione stessa? Non può essere un semplice principio trascendentale, ma una
3
intendi "se non fosse vero che la coscienza determina in maniera assoluta l'oggetto conosciuto". Si
cerchi di prospettare la conoscenza kantiana e si veda come, (lo afferma lo stesso Kant), ciò che conosciamo non
sia altro che ciò che noi stessi poniamo nell'oggetto. Questo equivale a dire che, limitatamente all'oggetto
conosciuto (il fenomeno), noi determiniamo assolutamente l'oggetto. Ovviamente Kant non accetterebbe tale
riflessione ricordandoci come il fenomeno sia costituito sia dall'aspetto formale che dall'aspetto materiale, il
quale non dipende dal soggetto. Rimane vero che é lecita la domanda: cosa conosciamo per Kant? E la risposta
non può che essere: ciò che apriori é determinato dal soggetto nell'oggetto. Ovvero il conosciuto é
semplicemente ciò che io assolutamente determino. L'ambiguità sta nella parola "determinato" della frase
precedente. In Kant questa parola a livello intellettivo significa unicamente "unificato"; questo implica l'assenza
del contatto immediato tra soggetto e oggetto (e quindi l'assenza di una produzione da parte dell'intelletto
dell'oggetto intero, oggetto che invece é "prodotto" dalla sensibilità grazie alle intuizioni sia pure che
empiriche). Tuttavia noi sappiamo come Kant debba poi recuperare questa “determinazione-produzione”
dell'intelletto sull'oggetto tramite vie tortuose (dalla deduzione trascendentale, all'io penso allo schematismo).
4
e non solo della formalità dell'atto morale, per cui l'uomo deve attenersi al solo formalismo etico.
Difatti questo formalismo pare ai più del tutto inattuabile e teorico. La prospettiva di Kant assume valore se
anche i contenuti morali sono posti dalla ragione, ovvero in ottica idealistica.
3
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
4
reale attività del soggetto (come affermerà l'idealismo), che in quanto assoluta non può
trovarsi di fronte l'aspetto sensibile come ostacolo estraneo ed insormontabile (in Kant non lo
è solo a partire dai postulati, i quali in realtà spostano la problematica in una dimensione
eterna ed infinita che non è dichiarata esistente né per fede, né per conoscenza, ma è solo,
appunto, postulata5).
- Questa etica (detta "del risentimento" da Scheler 6) è un misconoscimento della prima
evidenza: l'unità dell'uomo singolo Questo misconoscimento passerà negli idealisti 7 , i
quali porteranno il discorso filosofico ancor più lontano, sottolineando la realtà trascendentale
dell'uomo intesa come spirito universale. Cerchiamo di chiarire tale misconoscimento.
L'uomo vive una sua intrinseca unità, l'unità personale ed individuale, chiamata dalla
tradizione filosofica "io". Ora, in Kant questa unità personale è spezzata, in quanto si afferma
che, da una parte, l'identità noumenica è coincidente con la ragione umana nella sua libera
attività legiferatrice, dove però tale ragione umana è trascendentale (e dunque trascendente il
singolo), cioé universale; dall'altra, l'io sensibile (singolo in quanto in uno spazio ed in un
tempo - "hic et nunc") è mera apparenza sensibile, e le sue esigenze sono semplici “impuri”
piaceri sensibili (di contro al comando della "pura" ragione). Dunque l'individualità perde di
importanza, anzi non è più affatto la nostra personalità, la quale si riduce all'io trascendentale
nella sua funzione morale. L'io individuale, considerato da Kant solo nel suo aspetto sensibile
è da ricacciare lontano dalle prospettive di azione pena il perdere la moralità stessa delle
nostre azioni (si pensi al fatto che moralità in Kant, in fin dei conti, significa inserirsi in un
ordine universale). Ciò non toglie che si possa esaltare l' "interiorità" come l'aspetto
essenziale dell'uomo, ma si noti come tale interiorità non coincida con la "singolarità" della
mia esistenza, bensì con l' "universalità" della ragione. La categoria del "Singolo", con la sua
pregnanza peculiare (persona, identità cosciente) è definitivamente persa, a favore dell'io
trascendentale (io penso) che ben presto gli idealisti trasformeranno in io assoluto.
- a livello conoscitivo risulta poi discrepante la prospettiva di una centralità del soggetto che
funge da garante della scientificità della conoscenza, ma che paga, per questa conquista,
il prezzo della distanza dalla effettiva realtà delle cose. In questo senso Kant raccoglie tutta
l'eredità di un pensiero che più che esser mosso dalla meraviglia dell'essere, è semplicemente
proteso nel tentativo di rinchiudere l'essere nei propri canoni (i più comodi, necessari e
indiscutibili possibile!). Ovvero Kant (e, poi, ancor più l'idealismo) risulta essere una summa
del tentativo moderno (da Cartesio in poi) di determinare la verità non sulla base
dell'indiscutibile forza dell'evidenza dell'essere, ma sulla cogenza logica interna al discorso
razionale. In questo senso la prospettiva kantiana decide per una cecità dell'uomo nei
5
credo si intuisca il delicato equilibrio, (per non dire la palese contraddizione!) di tale prospettiva.
Scheler nomina così l'etica kantiana, in quanto vi vede una posizione di ostilità e pre-giudizio nei
confronti della sensibilità e corporeità umana. Il rigorismo kantiano sarebbe insomma giustificato da una
incapacità del pensiero dello stesso di valorizzare l'aspetto sensibile dell'uomo, facendolo così cadere in una
esclusione totale dalla vita etica dell'uomo. Kant, avendo un atteggiamento di risentimento nei confronti della
vita sensibile e corporea, costruirebbe una prospettiva di un uomo dimezzato.
Noi qui sottolineiamo come questa prospettiva implichi anche, proprio per la frattura di ragione e sensibilità e
proprio per l'esclusione di una di queste due parti sezionate, la rottura dell'identità personale ed individuale.
7
rispetto alla perdita dell'identità del singolo c'é una continuità assai marcata tra Kant e gli idealisti.
Proprio per questo l'idealismo non può essere ritenuto coincidente tout-court con il romanticismo, il quale vede
nell'esaltazione del singolo genio creativo un aspetto importante della sua prospettiva. Il singolo invece é del
tutto misconosciuto dagli idealisti, i quali vedono nell'esaltazione dell'universale, l'unica possibilità di
realizzazione dell'uomo.
6
4
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
5
confronti dell'essere, che rimane un orizzonte sempre più lontano e sconosciuto per il
pensiero umano.8
3.
LA NASCITA DEL ROMANTICISMO COME MOVIMENTO CULTURALE
(dallo "sturm und drang" al romanticismo 9)
A cavallo dell'Ottocento si assiste ad un avvicendamento dell'egemonia culturale europea, a
favore della Germania ed a discapito della Francia.
Abbiamo difatti a fine Settecento una reazione tedesca all'egemonia culturale francese,
(egemonia che diverrà anche dominazione politica col Napoleone), reazione che può essere
vista come concausa della nascita di ciò che chiamiamo romanticismo.
Innanzi tutto abbiamo una variazione del gusto estetico, ovvero una reazione alle regole del
neoclassicismo importate dalla Francia.
La reazione si spiega (oltre che con la suddetta ribellione di stampo politico, culturale e
nazionalistico) a partire dalla incapacità delle regole neoclassiche ad esprimere e
ricomprendere al loro interno l'opera di grandi poeti e autori, quali Shakeaspeare e i poeti
ossianici. Inoltre il classicismo genera in Germania pedanti seguaci decisamente mediocri dal
punto di vista artistico, che evidenziano ancor più fortemente, l'insufficienza di una tale
prospettiva estetica.
Di fatto si arriva ad identificare classico con francese, per poi identificare romantico con
tedesco.
In questo contesto nasce l'astro Goethe (1749-1832), grande dominatore dell'epoca romantica,
il quale assume la funzione di eroe nazionale, da affiancare agli inglesi Shakeaspeare e Gray
nella battaglia antifrancese ed anticlassicista. Goethe è una figura singolare riuscendo ad
essere classico ed anticlassicista, romantico ed antiromantico allo stesso tempo. Capiremo in
seguito come ciò sia possibile. Ricordiamo inoltre che in questa rinascita culturale tedesca è
ricompresa l'arte in tutte le sue valenze (prosa e poesia, architettura e pittura) oltre che la
filosofia, ma non la musica, che assurgerà ad una funzione analoga, (essere funzione di una
rinascita culturale), solo con Wagner10.
Un assunto che determina la percezione romantica della vita e della realtà è l'importanza del
sentimento.
La Francia con la sua estetica classicista aveva di fatto determinato i fondamenti dell'arte a
partire da precise regole trasparenti all'intelletto. Un freddo razionalismo era l'impianto
dell'estetica classicista.
8
si tenga presente tutto il discorso relativo all'esse ut actus tomista e alle riduzioni essenzialiste
cartesiane e razionaliste, riflessioni sviluppate lo scorso anno scolastico.
9
la dicitura tra parentesi é il titolo di un saggio di Vittorio Mathieu sulla Grande Antologia Filosofica,
ed. Marzorati, Vol. XVII pp. 356-364. Da questo saggio traggo, quasi esclusivamente, le tesi esposte in queste
pagine.
10
la musica é relegata a funzione secondaria e solo lentamente assumerà un valore di dignità culturale
pari se non superiore alle altre discipline.
5
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
6
Dall'Inghilterra invece proveniva una estetica proto-romantica che faceva del sentimento (e
quindi della percezione sensibile) il punto di fondazione dell'arte.
Ciò era possibile anche grazie alla grande importanza filosofica data dagli inglesi al senso; si
ricordi come lo stesso illuminismo ereditava dagli Inglesi il valore del sensus communis come
capace di dare alle argomentazione una loro cogenza logica. In maniera chiara e determinante
vediamo soprattutto in Shaftesbury l'attribuzione alla sensibilità della capacità di cogliere
l'universale. Il senso coglie l'universale. Questa è una dottrina che si scontra con la
prospettiva filosofica tradizionale, la quale vede solo nell'intelletto o nella ragione la facoltà
dell'uomo di pervenire ad un'ottica universale. Per Shaftesbury, poi, l'universale, compreso
dal senso, palesa le sue valenze estetiche (riguardo al modo di porsi) ed insieme etiche
(riguardo al contenuto). L'arte e l'etica, dunque sono determinate dal sentimento-senso, e al
fondo hanno una prospettiva comune.11
Questa importanza del senso nella comprensione del valore dell'azione dell'uomo e della
legge da seguire, si inserisce in una polemica anti-concettualista che in Germania è fatta
propria dallo Herder,12 il quale riprende tali spunti dallo Hamann.
Hamann 13 fu tra i primi a ribellarsi contro il "giudizio determinante" 14 inteso come
sussunzione del molteplice sensibile (il particolare) sotto una regola (universale) posseduta
dall’intelletto trascendentale. La ribellione di Hamann si fonda sul principio secondo cui
l'universale non è dominio umano, non può essere una regola posseduta dall'intelletto. Questo
presunto 15 possesso è una pretesa ingiustificata. Per Hamann la regola, l'universale, va
ricercato invece attraverso l'individuo che vive nel tempo, nella storia, va ricercato al fondo
delle regole della lingua e delle tradizioni, espressione reale e concreta dello spirito umano.
Herder, sulla scia delle precedenti riflessioni, affermò il carattere storico-organico-specifico
di ogni manifestazione dell'assoluto. L' Assoluto si manifesta nello sviluppo storico, è
manifestazione di una totalità16 che mai può essere ridotta a "regola data" dall'intelletto. Le
"condizioni dell'esperienza" non sono dunque regole intellettive, ma è lo spirito umano nella
sua attività creativa, che si esprime come assoluto all'interno della tradizione di un popolo
(storicamente determinato). Così accade nell'arte e nella poesia. Dunque la poesia è
patrimonio di un popolo, ed il popolo è manifestazione della totalità divino-umana
(Volksgeist)17.
11
si ricordi che lo stesso Hume affermò il dominio in campo morale del sentimento e come Kant trasse da
Shaftesbury e dallo Hutcheson la indicazione di dover separare la morale dalla metafisica già nel periodo
pre-critico. Vedi il manuale Reale-Antiseri, Vol. 2°, pp. 651. Evidentemente Kant intuì che la struttura
determinante la morale si distingue da quella determinante la conoscenza. Tale distinzione di "struttura" é
radicale in Shaftesbury, in quanto la morale é colta nel sentimento mentre il conoscere é affidato alla ragione.
Noi sappiamo che il Kant critico poi affida alla ragione sia il dominio sul conoscere che il dominio sulla morale;
tuttavia la ragione pratica é radicalmente distinta e diversa, per il modo di procedere, da quella teoretica.
12
in verità già il Vico in Italia aveva mostrato come l'umanità inizialmente avesse percezione del
"progetto ideale eterno" a partire dai sentimenti e dall'immaginazione (sapienza poetica) e come tale sapienza si
fosse irrimediabilmente persa a causa della fisica galileiana e della filosofia cartesiana. Ma Vico non era
conosciuto in Germania e tale sviluppo prese una direzione autonoma dalle idee vichiane che comunque hanno
un'incredibile carattere anticipatorio della problematica relativa a tutto il successivo storicismo.
Per il pensiero di Herder vedi il manuale Reale-Antiseri, Vol. 3°, a pp. 31-32; (N.B. a p. 32 dove si tratta della
nuova concezione della storia).
13
considerato dal Mathieu un "barocco in ritardo". Per il pensiero di questo autore vedi il manuale
Reale-Antiseri, vol. 3° a pp. 26-29.
14
che in verità pare non soddisfare lo stesso Kant, a giudicare dalla Critica del Giudizio, e dalle sofferte
riflessioni in essa contenute.
15
da Kant e dagli illuministi.
16
si colga in questo termine "totalità" un chiaro collegamento di istanze con la parte della dispensa
dedicata alla rinascita del pensiero spinoziano.
17
il Volksgeist (spirito del popolo) é un concetto che esprime la umanità nel suo aspetto più alto (libera
6
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
7
La problematica appena esposta è visibile come prefigurata nello Sturm und Drang.
Questo movimento culturale, che raccoglie l'esigenza di un rinnovamento (con il limite,
tuttavia, di essere riducibile ad aspetti psicologici, contingenti e salottieri) ha una funzione
importante poiché fa uscire dai ristretti cerchi del mondo accademico le problematiche
appena esposte. In particolare, l'opposizione al classicismo-francesismo diviene fenomeno
diffuso ed assume, dunque, maggiore efficacia di mentalità comune. Così la polemica
anticlassicista, fondata sulla considerazione della poesia come poesia popolare, sulla
valorizzazione della poesia medievale e dell'architettura "gotica", diviene fenomeno di moda.
Questo è di fatto lo Sturm und drang: poco più che un fenomeno alla moda. In effetti nessun
grande autore si identifica con esso. E' pur vero che esso permise a nuovi astri nascenti di
emergere. Vediamo dunque Herder, Schiller e Goethe passare attraverso di esso, essere
identificati a lungo come aderenti al movimento e, tuttavia, rifiutare un'identificazione con
esso.
Ma ciò che rende paradossale e del tutto indefinibile il fenomeno del romanticismo è il suo
richiamo alla classicità in maniera non classicista.
La crisi che nel romanticismo si avverte, per cui si valuta del tutto insufficiente la prospettiva
classicista e si ricercano nuove strade (mai chiare e determinate), è attraversata dallo stesso
Goethe che per uscire dal disordine e dalla confusione regnante si propone ed effettua un
viaggio in Italia. Ebbene l'Italia, nella forza mite della natura mediterranea e nelle
testimonianze storiche del mondo classico, ripresenta agli occhi di Goethe quella pace,
quell'armonia perduta, che i classici possedevano e che i moderni hanno disperso. Dunque si
torna a guardare al classico, ma con occhi diversi rispetto alle formali prospettive del
classicismo francese.
Occorre, qui, approfondire l'importanza della figura di Goethe.18
Goethe si pone come eccezione assoluta nel suo tempo. Egli (che pure da nome all'epoca:
Goethezeit ) è uomo al di fuori del suo tempo (e forse da ogni tempo). Goethe è classico
anche nella sua ammirazione per il gotico, egli è l'incarnazione dell'artista classico che
possiede un'inesauribile creatività positiva, una ricchezza di vita ed energia capace di
creatività infinita, capace di generare un'armonia ed una pace che suscita stupore e
meraviglia; quello stupore e quella meraviglia che ritroviamo nelle grandi opere dei greci, ed
insieme nelle grandi opere che continuamente la natura ci presenta. 19 Goethe è spirito di
equilibrio senza essere morta staticità, è presenza di regole ed armonia senza essere puro
formalismo, è arte senza essere perdita della naturalità. Anzi in Goethe creatività artistica e
creatività naturale coincidono. Ebbene la figura di Goethe, questo romantico antiromantico,
questa classico anticlassicista, è determinante per la nascita del romanticismo.
La nascita del romanticismo si pone proprio in questo delicato punto dove si può tornare a
guardare ai classici per trovare un approccio alla vita consono alla natura. Il romanticismo
nasce quando ci si accorse che contro il classicismo francese e dalla parte della natura ci sono
proprio i classici.
Dunque il romanticismo può essere visto come un'aspirazione ad essere come i classici.
creatività, energia universale) ed insieme la divinità (proprio intesa come umanità senza i limiti individuali).
18
Per il pensiero di questo autore vedi il manuale Reale-Antiseri a pp. 24-26.
19
abbiamo la congiunzione di naturalismo ed arte classica. Ricordiamo che l'artista, per Goethe, nella sua
genialità creativa, rivive (anzi é con essa un tutt'uno) l'energia della natura.
7
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
8
Occorreva smettere di imitare i classici per tornare ad essere classici, pur non potendolo mai
essere, in quanto si avrà sempre di fronte l'esempio dei classici. In questo paradosso (aspirare
ad essere ciò che mai si potrà essere) sta il romanticismo.
In tale contesto si rifiuta ogni separazione di arte e vita; si attua un desiderio di armonia e
unità ed un rifiuto della separazione e dello schematismo fino a spingere la filosofia a rifiutare
qualsiasi distinzione.20
"Il romanticismo consiste proprio (...) nel non distinguere: nel non distinguere tra arte e vita,
tra natura e libertà, tra serietà e scherzo, tra immediatezza e riflessione, tra poesia e
filosofia, pur riconoscendo esplicitamente che questa indistinzione si può accettare solo nel
paradosso". 21
A riprova di questa prospettiva sta la diatriba tra Schiller e F. Schlegel. Schiller di fronte a
Goethe, ammette di non essere al suo pari ma poi giustifica questo con una presunta
superiorità morale. Ovvero l'impossibilità di essere un classico (come invece lo era il
"paradosso Goethe") era compensata dalla spiritualità, libertà, eticità dei moderni. In tali
categorie rientrava la sua propria produzione, che dunque era superiore a quella del Goethe e
a quella dei classici allo stesso tempo.22
Questa posizione è rifiutata energicamente da Schlegel, il quale afferma che l' "essere
romantico" è proprio nell'accettare il paradosso (vivente in Goethe) dell' "essere classico
come possibile impossibilità". Il paradosso è l'unico modo di essere del romanticismo,
ovvero, detto in altri termini, il paradosso è l'unico modo per i moderni di esser come i
classici.
Il Korff affermerà che il romanticismo è una romantizzazione del classico.
Si, potrebbe così esprimere la questione:
- classicità del classico = possesso di classicità;
- classicità del romantico = aspirazione alla classicità.
Questa diatriba ci fa capire che più profondamente romantica di quella affermata da Schiller,
(che poneva l'assoluto nella morale e considerava l'arte come introduzione a tale prospettiva
etica 23 ), è la prospettiva Schlegeliana che identifica l'assoluto con un assoluto estetico.
Questa determinazione arrivò anche a posizioni (tra cui quella dello Schlegel giovanile) di
dichiarato immoralismo. L'arte è l'unico assoluto e ad essa (alla sua potenza creativa) si
identifica (o si deve identificare) la vita (intesa come incessante creatività). L'impossibilità
dell'identificazione della vita con questa creatività, è poi la materia stessa del romanticismo in
quanto dà vita al paradosso che abbiamo esposto sopra.
Tale paradosso, peraltro, non è semplice considerazione culturale o intellettuale; il paradosso
è vivente e si identifica con la figura di Goethe. Goethe è impersonificazione del classico; egli
dunque è la realizzazione di ciò che cercano i romantici (una genialità creativa pari a quella
20
si pensi ancora una volta a come ciò chiarifica il perché del grande successo della filosofia spinoziana
(vedi prossimo paragrafo), e a come certe problematiche kantiane risultino del tutto inaccettabili (scissione tra
fenomeno e noumeno nella natura, scissione tra essere e dover essere nella morale) mentre saranno più
facilmente apprezzate dai romantici le riflessioni della Critica del Giudizio in quanto propongono un'armonia tra
le varie componenti dello spirito e dello stesso con la natura (vista anch'essa armonicamente). Si comprende
anche come la ripresa dei termini kantiani di pensiero vada in direzione di una negazione della cosa in sé
separata dalla conoscenza umana. In una parola si può dire che l'aspirazione alla totalità diviene così forte da
richiedere una decisa reinterpretazione del pensiero kantiano.
21
Vittorio Mathieu, Dallo Sturm un drang al Romanticismo, in Grande Antologia Filosofica, ed.
Marzorati, Vol. XVII p.361.
22
siamo nell'ambito della distinzione che Schiller opera tra "arte ingenua" (degli antichei) e "arte
sentimentale" (dei moderni).
23
in questa sottolineatura dell'importanza della morale (assoluto etico) é evidente l'influsso kantiano.
8
prof. Polverelli Emanuele "Dal criticismo all'idealismo"
9
dei classici); come tale tuttavia (in quanto identificato col classico) egli è oltre il
romanticismo (che è semmai pura aspirazione ad essere classico).
Come si vede il romanticismo subisce l'influenza decisiva di Goethe che pur sfugge al
romanticismo (se con esso intendiamo la pura aspirazione al classico).
In una parola il romanticismo non vive di vita propria ma è riflesso struggente, nostalgico,
straziante di una bellezza, armonia, creatività perduta inesorabilmente.
Mathieu tenta anche di dare una spiegazione dell'alleanza politica (almeno iniziale) dei
romantici con la restaurazione.24
Egli ritiene insufficiente una spiegazione della posizione romantica a fianco della
restaurazione
che si basi solamente sulle reazioni anti-francesi e, al contempo,
anti-razionaliste. Se è vero che combattere contro il razionalismo ed il classicismo è
combattere contro la Francia napoleonica, è pur vero che ciò non implica sostenere la
reazione.
E' vero invece che il romanticismo, movimento inizialmente rivoluzionario (Sturm und drang,
anti-moralismo, rinnovamento di tutte le regole), mira ad un'affermazione dell'assoluta libertà
dell'uomo nella utopia-sogno della realizzazione del Regno di Dio sulla terra (ovvero della
realizzazione totale dell'umanità). Qualora subentri lo scetticismo nella creatività umana in
quanto incapace di realizzare tale ideale, si rischia di trovare appoggi parziali e riduttivi nella
pacificazione sociale data dalla restaurazione. Ecco dunque il sottile filo che lega la
prospettiva rivoluzionaria e restauratrice all'interno dello stesso romanticismo: l'aspirazione
all'assoluto quando non è realizzata dalle mani rivoluzionarie, rimanda ad un pessimismo
accomodante con il potere25.
4.
RISCOPERTA DI SPINOZA
Il successo di Spinoza dopo circa un secolo di oblio, è dovuto sia alla mutata sensibilità che si
sta sviluppando, sia a fattori casuali e contingenti. Nel 1785 il pensiero di Spinoza viene
accusato da Jacobi 26 come la causa reale della prospettiva ateistica, in quanto il suo
razionalismo onnicomprensivo obbliga ad una considerazione dell'uomo come privo di libertà
e di spiritualità. Obbliga cioè ad una considerazione meccanica e necessitante anche della
realtà spirituale. Se ciò è vero per l'uomo, tanto più sarà vero per Dio, ridotto a puro essere
necessario (identificato con la natura: Deus sive natura )27, e non riconosciuto come persona.
Il libro di Jacobi ebbe l'effetto (opposto alle intenzioni dell'autore) di far si che Spinoza
tornasse ad essere studiato ed apprezzato, anche perché Lessing (astro in voga
dell'illuminismo) in punto di morte dichiarò la sua adesione allo spinozismo. Dunque
abbiamo una rilettura ed una ritrovata sintonia con la prospettiva spinoziana, peraltro del tutto
24
come sappiamo dalle lezioni di storia nei primi anni dell'ottocento il romanticismo é in stretta alleanza
con le forze restauratrici.
25
Mathieu aggiunge che sia rivoluzione che restaurazione guardano al "Regno di Dio in terra", ma mentre
la rivoluzione lo guarda come da realizzarsi, la restaurazione (che non crede alle energie umane) lo guarda come
già definito nelle regole dello status quo (esaltazione dello status quo come perfezione insuperabile, e da non
superare).
26
vedi su questo autore il manuale Reale-Antiseri pp. 29-31. Sulla esatta evoluzione del dibattito di Jacobi
intorno allo spinozismo vedi p. 29.
27
si noti come lo spinozismo si accompagni dunque al rinnovato naturalismo dei romantici (Dio é la
natura), ed insieme sia un'espressione affine al razionalismo meccanicistico della scienza newtoniana (tutto é
determinato da necessarie leggi razionali).
9
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inquietante per gli "spiriti liberi", in quanto essa determinava una considerazione dell'uomo
come un essere privo di libertà. In ogni caso la strada di Jacobi, che pensava ad una difesa
della libertà umana incentrata sulla fede (intesa come intuizione pura dell'assoluto), non fu
seguita e il pensiero di Spinoza si sviluppò nel mondo culturale tedesco, ritenuto peraltro un
pensiero necessariamente conseguente ad un uso corretto e rigoroso (scientifico) della
ragione.
Spiegata la nascita dell'influenza del pensiero di Spinoza nell'ambiente tedesco pre-romantico
e poi romantico, occorre ora vedere quale sia la incidenza di tale pensiero sul nostro tema.
Questa influenza è duplice, per un aspetto positiva (diretta) ed e per un altro negativa
(indiretta):
a) influenza diretta. Da una parte, la prospettiva spinoziana porta a considerare fenomeno e
noumeno come aspetti di una stessa realtà; più precisamente porta ad una considerazione del
noumeno come fosse la causa del fenomeno. Il rapporto tra natura naturans e natura
naturata presente in Spinoza viene applicata al pensiero kantiano: il noumeno è la natura
naturans mentre il fenomeno è la natura naturata ; ovviamente il tutto si giuoca all'interno
di un rigido monismo, ovvero in un superamento della prospettiva kantiana28. Ma ciò non è
sufficiente. In un secondo passaggio speculativo la natura naturans-noumeno viene
identificata con l'io penso kantiano. Dunque l'io penso è il noumeno causa del fenomeno.
Ovvero è la natura naturans, unica realtà realmente esistente, laddove il fenomeno è
semplicemente dispiegamento (espressione) dell'io penso. Si vede bene come si sia già in
ambito idealistico, in quanto tutto il reale consiste nell'io e nelle sue espressioni.29
b) influenza indiretta. Ma, dicevamo, abbiamo anche un motivo negativo di tale incidenza
dello spinozismo nel passaggio dal criticismo all'idealismo. Difatti si consideri come Fichte
(primo rapresentante esplicito dell’idealismo) si possa definire come uno spinoziano
rovesciato. Si intende con questa frase indicare come Spinoza indichi come unica realtà
esistente l’oggetto (la Sostanza) mentre Fichte indichi il soggetto (l’io puro). Ma come si
spiega tale ripresa di Spinoza in chiave però di ribaltamento o opposizione?
Spieghiamo questo punto per gradi. Prima di tutto bisogna tener presente che Spinoza
proponeva una prospettiva necessitante e deterministica del reale e dell'uomo. In questo (solo
in questo) il suo pensiero coincideva con il razionalismo scientista di stampo illuministico.
Ovvero negli effetti esso coincideva con la scienza newtoniana (malgrado le differenze di
prospettiva teoretica); l'esito in entrambi era la rigida chiusura del mondo (e al suo interno
dell'uomo) in una serie di determinazioni causali. Ebbene questa conseguenza risulterà
insopportabile agli spiriti più sensibili del tempo, già intrisi di quella aspirazione all'assoluta
libertà e infinità della creatività umana che poi risulterà l'elemento irrinunciabile per l'animo
romantico. Dunque ciò causerà una ricerca spasmodica di una nuova prospettiva capace di
difendere ed esaltare la libertà umana. Tale ricerca non era semplice, poiché da una parte
pareva esserci il razionalismo deterministico (Spinoza e la scienza), dall'altra la fede come
puro intuito o sentimento (Jacobi, Schleiermacher) che, se poteva soddisfare un romanticismo
letterario, certo non era sufficiente per un animo filosofico30. Occorreva affermare la libertà
dell'uomo senza perdere la scientificità ed il rigore dell'indagine. La grande novità risultò
28
che, ricordiamo, é caratterizzata da un espresso dualismo.
si noti il radicale cambiamento delle prospettive kantiane: l'io penso, che in Kant non si poteva dire in
alcun modo esistente, qui é considerato come l'unica realtà che esiste. Se in Kant l'io penso é realtà
trascendentale, qui é attività produttiva, ovvero l'unica realtà esistente all'interno di un mondo che é solamente
espressione di tale realtà. (in verità tale passaggio sarà complesso e avverrà per gradi; infatti vedremo come in
Fichte si sostenga che l'io assoluto non esiste, é attività ideale produttrice del reale).
30
il filosofo non può accontentarsi dell’intuizione, intesa in chiave quasi mistica o sentimentale; il
filosofo abbisogna di spiegazioni razionali. Hegel affermerà che l'intuizione pura dell'assoluto di Jacobi é la
morte della filosofia.
29
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essere proprio il pensiero di Kant in quanto esso permetteva (con la Critica della Ragion
Pratica) di considerare l'uomo assolutamente libero e (grazie alla "rivoluzione copernicana")
di sostenere un rigoroso discorso razionale. Tuttavia era inconcepibile pagare lo scotto delle
scissioni kantiane (senso-ragione; essere-dover essere); ecco allora la ricerca del principio
unificatore del pensiero di Kant rintracciato nell'attività produttiva della ragione, ovvero nella
sostanza de-sostanzializzata di Spinoza 31 . Si comprende come questa pura attività del
soggetto, resa causa assoluta del reale e sostituita alla sostanza spinoziana, risulti essere
estremamente efficace per non perdere una prospettiva da una parte assolutamente razionale32
e, dall'altra, tale tuttavia da permettere di non cadere in una prospettiva deterministica33. Il
rischio del determinismo è tolto in quanto è la stessa libertà umana ad essere la realtà (la
realtà è espressione dell'attività dello spirito); insieme la razionalità è salvata in quanto non si
scende sul piano di una scelta di fede o di una intuizione irrazionale, ma si pensa al reale
come svolgimento necessario di un principio unico (sempre la spontaneità dello spirito
umano, intesa come causa assoluta di tutto il reale). Si comprende come Fichte possa
esclamare "non c'é sapere assoluto se non in una libertà assoluta e non c'é libertà assoluta se
non in un sapere assoluto".34
5.
SVILUPPI DEL CRITICISMO (con particolare riferimento alla problematica
della cosa in sé)
Nel 1781 viene pubblicata la Critica della ragion pura. In pochi anni il testo divenne
famoso e fu letto da tutto il mondo accademico. Il successo della critica kantiana assume i
connotati dell'inspiegabile se si tiene in conto che essa fu mal compresa ed equivocata. Difatti
la prima interpretazione che passò dell'opera fu quella di un testo di stampo
idealistico-berkleyano. Kant scrisse la seconda edizione (1787) con notevoli modifiche
proprio per venire incontro all'esigenza di evitare l'equivoco idealistico. Ma, se fu così poco
compresa, perché lo straordinario successo della stessa?
Valerio Verra 35 suggerisce una interessante traccia per individuare la risposta a tale
interrogativo: evidenziare la funzione di critica interna all'illuminismo che il pensiero
kantiano poteva assolvere.
La Critica della Ragion pura corrisponde in maniera straordinaria all'esigenza
dell'illuminismo tedesco di operare un'autocritica al suo interno 36 . Più precisamente
31
si ricordi il passaggio: Sostanza spinoziana - noumeno - io penso. Le tre realtà identificate e corrette a
vicenda saranno gli elementi di genesi dell'io puro produttivo fichtiano (di cui parleremo in seguito).
32
tutto il reale é conseguenza necessaria e deducibile, quindi razionalmente esprimibile, dal primo
principio (l'io assoluto).
33
essendo il primo principio lo stesso io, la sua assoluta libertà, autonomia e creatività non vengono in
alcun modo coartate da alcuna necessità, essendo tale necessità (nella nota precedente esplicitata) la stessa libera
attività dell'io.
34
la comprensione completa ed esatta di questa frase sarà possibile solo dopo la spiegazione del pensiero
dello stesso autore.
35
Valerio Verra, Critica e sviluppi del pensiero kantiano, Grande Antologia Filosofica, ed. Marzorati,
Vol. XVII pp. 613-618 e ss.
36
é d'obbligo a questo punto ricordare quanto da noi affermato nella dispensa relativa a storia Cultura e
lotta nell'età romantica, a p. 2-3, dove si sosteneva che la differente profondità speculativa dell'illuminismo
tedesco rispetto a quello francese é anche spiegabile a partire dalle differenze tra l'illuminismo tedesco e quello
francese. L'illuminismo tedesco era visto come più vicino alla prospettiva romantica per la sua riflessione sullo
spirito umano. Qui ci pare venga confermata questa tesi, ed anzi descritta, essendo descritto lo sviluppo e
l'esigenza critico-teoretica di tale illuminismo, esigenza critico-teoretica in parte assente in quello francese.
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l’Illuminismo avverte la necessità di approfondire la conoscenza della ragione, posta come
"lume", come principio di progresso e di novità. Il criticismo venne dunque incontro a questa
esigenza.
Difatti la ragione poteva essere intesa in diverse sfumature e valenze. La ragione poteva
essere dissacratrice di tutti i valori tradizionali, poteva essere conscia dei suoi limiti e dunque
limitata a certi ambiti (tecnico-scientifici), poteva essere fondativa di nuovi e vecchi valori,
poteva giungere a Dio oppure non giungervi affatto. Si capisce come affermare il "lume della
ragione" potesse essere un principio piuttosto vuoto e ambiguo; occorreva capire cosa si
dovesse intendere con il termine ragione. Dunque una critica della ragione
era
effettivamente un'esigenza profonda ed inderogabile dello stesso illuminismo.
Il primo pensatore che intuì queste possibilità intrinseche al pensiero di Kant, fu Reinhold, il
quale con le sue "Lettere sulla filosofia kantiana" mise in luce aspetti nuovi della filosofia
kantiana (fino ad oltrepassare lo stesso kant), divulgandone peraltro i contenuti. Importante è
il fatto che Reinhold mostri l'applicabilità del criticismo ad altri campi della cultura umana e
ne mostri la fecondità dei principi critici, al punto da conferire la netta impressione ai
contemporanei che la prospettiva di Kant fosse una feconda ed assoluta novità del pensiero,
fondamentale per una rigenerazione della cultura.
Tuttavia Kant aveva costruito un impianto di pensiero retto da intelaiature che risultavano tra
loro contraddittorie (spirito teoretico, pratico, estetico), e su del materiale che in ultimo era
del tutto eterogeneo (materiale sensibile, aspetto razionale a priori, sentimento).
Nasce allora con forza l'esigenza di rintracciare quale sia il principio unitario del pensiero
kantiano, esigenza che Reinhold esprime nel "Saggio di una nuova teoria delle facoltà
rappresentative" (1789). Questo principio unitario è qui rintracciato nella rappresentazione e
nella coscienza; ovvero si afferma che la prospettiva trascendentale si giustifica sulla base
della coscienza rappresentativa.
Il mutamento e l'allontanamento dalla prospettiva kantiana è quasi impercettibile ma
fondamentale. Mentre Kant si chiede quali siano le condizioni a priori dell'esperienza
conoscitiva, Reinhold si chiede a quali condizioni sia possibile una filosofia trascendentale37.
Si ricordi che noi avevamo affermato la strana situazione in cui si trova il pensiero kantiano:
esso vive un suo delicato equilibrio interno, che se ha qualche plausibilità, tuttavia viene a
crollare se si pensa al soggetto trascendentale come effettivamente in azione; la filosofia
trascendentale ha difficoltà nel considerarsi concretamente spiegazione di un soggetto
conoscente in atto. La stessa problematica è qui esposta da Reinhold: la filosofia
trascendentale necessita di una spiegazione. La chiave della spiegazione da Reinhold è
ritrovata nella coscienza e nella rappresentazione.
Questa esigenza era particolarmente avvertita anche per le contestazioni scettiche operate
sulla filosofia critica da Schulze, il quale afferma che Kant non ha affatto superato Hume.
Si può così descrivere la situazione:
- se dai più Kant è equivocato come un idealista soggettivista (Jacobi, Kleist, Jean Paul) ed è
osteggiato in nome della difesa dei valori, del trascendente e della persona umana (abbiamo
cioè una critica a Kant a sfondo esistenziale),
- e dunque nasce un'opposizione in nome della fede (fede filosofica), la quale sarebbe l'unico
baluardo contro una prospettiva, quella kantiana incentrata sulla coscienza, al fondo nichilista
e distruttiva,
37
tale orientamento sarà tipico poi di tutti gli autori successivi, fino ad arrivare agli idealisti. Questa
istanza dimostra quanto il pensiero di Kant per essere "operativo" (ovvero per aver plausibilità di spiegazione
reale del conoscere in atto) dovesse vincere gli indugi ed intraprendere la strada dell'idealismo.
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- e allo stesso tempo nasce una critica più generale, quale critica alla prospettiva illuminista
come in Herder e Hamann, i quali negano l'esistenza di una ragion pura svincolata dalla
storia, dalla tradizione e dal linguaggio,
- da altri autori, considerati seguaci di Kant (pensatori critici, o corrente del "criticismo")
Kant è ripreso e rielaborato quale baluardo per un rinnovamento della cultura che sappia
inverare ed approfondire le prospettive dell'illuminismo, venendo incontro all'esigenza
romantica di rigenerazione della cultura e della società, ritrovando nel nostro autore la
prospettiva e la chiave di volta per tale rinnovamento. Tale chiave di volta è la filosofia
trascendentale vista come rinnovato panorama per una spiegazione della coscienza umana.
In questo procedimento sta tuttavia contemporaneamente innervandosi una nuova esigenza:
cogliere l'unità 38 di una prospettiva di pensiero che in sé è fondamentalmente dualista: tale
unità la si ritroverà nella coscienza, che risulterà l'ambito entro il quale il pensiero di Kant
assume valore e plausibilità.
Si noti come in questo sviluppo non trovi posto alcuno la cosiddetta cosa in sé, in quanto
essa, per ammissione dello stesso Kant, si porrebbe fuori dalla coscienza. La cosa in sé
risulta dunque del tutto incomprensibile perché si pone al di fuori della condizione di
comprensibilità della prospettiva trascendentale: la coscienza. Si vede bene come la
discussione su questo termine dovesse essere l'aspetto più problematico e stridente, e come
l'unico esito coerente dovesse poi essere la sua effettiva eliminazione, cosa che avverrà in
maniera definitiva solo con il pensiero di Fichte, ma che inizierà già a partire dalle riflessioni
di Reinhold e dei più vicini collaboratori di Kant.
Diviene così concretamente esplicito (anche dal punto di vista della storia del pensiero) quello
sviluppo che in linea teoretico-speculativa abbiamo descritto nel secondo paragrafo della
presente dispensa: la cosa in sé, termine problematico per una prospettiva trascendentale che
voglia possedere plausibilità, diviene la struttura che si manifesta nel fenomeno (e non ciò che
è al di fuori dell'orizzonte conoscitivo) e tale struttura manifestantesi si identificherà con la
stessa attività rappresentativa.
Vediamo ora i principali autori che daranno inizio a tale processo in modo da considerare poi
il pensiero fichtiano con la dovuta consapevolezza.39
5.1. Reinhold (1758-1823)
Dapprima gesuita, dopo la soppressione dell'ordine (1773), passa ai Barnabiti.
Si consegnerà poi alle idee illuministe e massoniche allora in auge (adesione alla loggia Zur
warhen Eintracht ) e si impegna nella polemica anti-cattolica a favore della riforma
protestante e dell'illuminismo.
Una svolta di prospettiva si ha con la lettura di Kant.
Egli cercherà di cogliere del pensiero kantiano il principio unificatore, principio che ritiene
possa consistere nella rappresentazione. La coscienza rappresentativa è l'originario; di essa
poi abbiamo una distinzione tra soggetto rappresentativo e oggetto rappresentato. Il primo
termine è la forma (identificata con la spontaneità) ed il secondo la materia (identificata con
la recettività); tuttavia entrambi trovano unità nella rappresentazione.
Una nota è d'obbligo. Se è vero quanto detto, si comprende come la cosa in sé intesa in senso
kantiano non trovi più posto in tale prospettiva. Il cambiamento di prospettiva è forse lieve
38
questa esigenza può essere considerata come da una parte una conseguenza interna della prospettiva
kantiana per i motivi già detti sopra, ovvero la necessità di avere in mano un principio di esplicazione della
filosofia trascendentale; dall'altra essa testimonia, forse ancora timidamente, la nuova temperie romantica
nell'esigere di una spiegazione unitaria di tal pensiero (dunque come esigenza di unità). Ben altra forza, tale
temperie romantica, troverà in Fichte, come vedremo.
39
per una completa visione di tali autori si rimanda al manuale (Reale-Antiseri), alle pp. 33-35.
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(anche Kant parla di materia data dalla recettività della sensazione e di forma pura a priori,
dunque "spontanea", e definisce questi due aspetti come costitutivi del fenomeno), tuttavia è
sufficiente perché la cosa in sé, termine già problematico, diventi del tutto inintelligibile.
Difatti, se il principio, stando al quale è comprensibile e giustificabile la prospettiva
trascendentale, è il principio di coscienza (la rappresentazione), risulta assurdo porre come
elemento fondamentale del conoscere una realtà che è del tutto estranea alla coscienza, una
realtà in sé. La "realtà in sé" sarà semmai da intendere come un aspetto (quello recettivo)
della coscienza, ma non certo come la "realtà considerata a prescindere dal suo rapporto con
la coscienza" (significato letterale della "cosa in sé").
Come si vede ci si avvicina senza giungervi ad una prospettiva che rende assoluto il campo
d’orizzonte della coscienza. In questo cammino Reinhold sarà sopravanzato da Fichte, assai
più radicale e spregiudicato nel trarre le ultime conseguenze del percorso del pensiero iniziato
dallo stesso Kant.
5.2. Schulze (1761-1833)
Scrive l' "Enesidemo" (1792) in cui accusa la filosofia critica di non aver superato affatto lo
scetticismo humiano, che pure era il punto contraddittorio che Kant esplicitamente prende
come ostacolo da superare.
Difatti la conoscenza trascendentale è per Schulze impossibile.
Riportiamo schematicamente il ragionamento di Schulze:
- come si può parlare delle forme pure del conoscere se ogni contento conoscitivo deve essere
dato a posteriori (deve avere un aspetto empirico)?
- se esse sono totalmente apriori come possono pretendere valore conoscitivo?
- forse si afferma tale valore conoscitivo per necessità di pensiero; cioé implicano una
necessità logica. Ma questo è lo stesso errore che in campo teologico commette la prova
ontologica: trasporre una necessità di pensiero in una necessità reale.
- o forse si rimanda ad una realtà in sé come causa del conoscere. Ma allora si fa un uso
indebito (perché al di fuori dell'ambito fenomenico) delle categorie (in specie di quella di
causa).40
Come si può osservare anche in questo pensatore risulta determinante lo spostamento della
problematica dalla ricerca delle condizioni della possibilità dell'esperienza, alla ricerca delle
condizioni di possibilità della filosofia trascendentale; qui le condizioni di possibilità della
filosofia trascendentale non sono ritrovate affatto, ed essa è esplicitamente negata.
5.3. Beck (1761-1840)
Discepolo di Kant, fu incaricato dallo stesso Kant per una difesa del suo pensiero dalle
interpretazioni svianti. Scriverà a questo scopo il "Sommario esplicativo degli scritti critici di
Kant" (1793-6)
In realtà tale opera è una vera e propria revisione del pensiero kantiano.
Infatti Beck si chiede quale sia il punto esplicativo del pensiero kantiano e risponde che
consiste nella attività del rappresentare originario. In questo sta l'idealismo critico che, a
parere di Beck, è l'espressione adeguata per indicare la prospettiva kantiana. Questo
rappresentare originario, da cui dipende sia l'aspetto formale che l'aspetto materiale del
conoscere, è il sapere in quanto raggiunge il livello del filosofare. La filosofia difatti è
rappresentare in maniera originaria ed assoluta.
Inutile dire che Kant, amareggiato, si distaccherà con forza dalle tesi del discepolo.
40
peraltro proprio il principio di causa era ciò che doveva essere fondato (poiché criticato da Hume).
Invece Kant lo utilizza surrettiziamente (senza fondarlo), proprio per uscire dalla critica humiana.
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5.4. Maimon (1754-1800)
Ebreo, contestato dalla comunità ebraica, con la quale fu in perenne conflitto (considera la
religione una espressione semplicemente mitica), aveva una carattere stravagante e litigioso.
Scrive il saggio "Saggio sulla filosofia trascendentale" (1790), che merita l'ammirazione
dello stesso Kant.
Maimon si pone contro Kant a favore di Hume e Leibniz, tra i quali si pone in mezzo quale
punto di equilibrio. In particolare Maimon rifiuta di Kant la tesi della separazione tra
sensibilità ed intelletto, affermando, come Leibniz che la differenza è solo quantitativa (la
sensibilità è una conoscenza non del tutto chiara, l'intelletto è una conoscenza chiara). Così si
interpreta la cosa in sé come l'imperfezione del nostro conoscere. Interessante l'esempio
matematico riportato dal manuale41.
Questi autori dunque mostrano chiaramente come il dibattito sulla possibilità del pensiero
kantiano porti ad una direzione di fondo che risulta inconciliabile con quell'equilibrio
espresso dallo stesso Kant. Difatti uno degli elementi essenziali che frenava la prospettiva
critica nel suo protendersi verso l'idealismo, era proprio la nozione di cosa in sé, la qual
nozione diviene un termine incomprensibile ed assurdo accettando il quale si potrebbe far
cadere nell'assurdo tutta la prospettiva kantiana. Difatti, se il principio di esplicazione di Kant
è il principio di coscienza (ed è indubbio che questa esplicitazione è in coerenza con la
rivoluzione copernicana), risulta del tutto inaccettabile che causa del conoscere, oltre al
soggetto, sia una cosa in sé estranea ed indipendente da esso. Ma a questo punto il salto
all'idealismo è già compiuto, ed è del tutto inessenziale l'impianto critico suddetto. Questo
spiega la grandezza teoretica di Fichte che comprese tutto questo e raccolse l'eredità di Kant,
o se non altro quell'eredità che proietta il kantismo verso l'idealismo.
Una seconda sottolineatura pare opportuna. Se abbiamo un abbandono degli equilibri
kantiani, tuttavia la linea di continuità è forse più forte ed interessante.
Tale linea di continuità è rintracciabile nella centralità dell'io. Si vede bene come la nostra tesi
iniziale di uno sviluppo coerente del pensiero che da Cartesio giunge fino ad Hegel, risulti
sufficientemente fondata. Tale fondamento è riscontrabile proprio nella centralità dell'io, il
qual concetto potrebbe essere visto come il motivo ispirante tutta la modernità
(antropocentrismo). Quando tale concetto sarà incrinato si dovrà parlare di crisi della
modernità e di epoca contemporanea.42
41
Reale-Antiseri, pp. 34. La cosa in sé non va immaginata come un numero immaginario, che sta fuori
dagli assi cartesiani (qui posti a simbolo della coscienza), bensì come un numero irrazionale che si pone
all’interno della coscienza (assi cartesiani), ma che tuttavia é indefinibile nella sua esatta collocazione, rispetto
alla quale ci si potrà approssimare sempre più, senza tuttavia mai poter giungere all’assoluta conoscenza della
stessa.
42
tale processo inizierà subito dopo Hegel (per quanto su questo punto le interpretazioni sul marxismo, ad
esempio, divergano), e prenderà piena coscienza con Nietzsche, pur continuando per vie originali.
Ribadiamo ancora, con forza, che tale lettura della storia della filosofia moderna non é l'unica, né forse la più
completa, tuttavia é indubbio che possieda elementi di verità notevoli. Altre prospettiva affascinanti esistono
nell'ambito della ricerca filosofica. Solo a modo di esempio si pensi alle riflessioni di A. del Noce espresse in Il
problema dell'ateismo, ed. Il Mulino. Tale lettura pur differendo in alcuni punti determinanti da quella qui
espressa, merita di essere considerata tra le più valide ed interessanti che ho avuto modo di incontrare.
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