Francesca Peiretti classe 3 Soleri Bertoni - Saluzzo La Diversabilità L’espressione “diversamente abili” è di uso recente: essa si è sovrapposta alla più diffusa “disabili”, introdotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già nel 1980. In entrambe le espressioni si fa riferimento ad un uso deficitario o “differente” di determinate abilità che di norma dovrebbero appartenere al soggetto. La persona in condizione di diversabilità è un soggetto che per un qualunque motivo non è in grado di svolgere determinati compiti nel modo e nei limiti normalmente possibili ad un essere umano. La disabilità è la conseguenza di una menomazione, ovvero un’alterazione a carico della struttura fisica o psichica del soggetto, che può essere di natura congenita oppure conseguente a malattia e trauma. Disabilità e menomazione devono infine essere distinte da handicap, termine molto usato nel linguaggio comune, designa lo svantaggio sul piano sociale causato all’individuo dalla sua disabilità, è un concetto molto relativo, in quanto è solo in relazione alle richieste dell’ambiente e al modo in cui questo è strutturato che la disabilità del soggetto diventa “handicappante”. È in quest’ottica che si muove il più recente sistema di definizione e di classificazione delle disabilità elaborato dall’OMS, il cosiddetto ICF (International Classification of Functionning, 2001), che, partendo dalla definizione in positivo di salute, individua diversi livelli di compromissione di questo quadro ideale, che possono riguardare, in misura maggiore o minore, o per un periodo di tempo più o meno prolungato, tutti gli individui. C’è infatti “disabilità” ogniqualvolta un evento mette l’individuo in condizione, anche solo temporanea, di non poter svolgere attività solitamente per lui agevoli. Questa restrizione ci apparirà tanto più penosa quanto più l’ambiente in cui viviamo riesce ad aggravarla. Il fenomeno della diversabilità permanente appartiene in qualche modo all’esperienza di ognuno. Ogni persona disabile ha una sua storia alle spalle, non solo in termini umani e psicologici, ma anche in termini fisiopatologici: sono molte e diverse le situazioni che causano in un soggetto menomazioni disabilitanti: Ci sono innanzitutto disabilità conseguenti a malattie o condizioni patologiche di natura genetica, dovute cioè ad alterazioni del corredo cromosomico o ad altre anomalie nella costituzione biochimica delle cellule. La sindrome di Down, ad esempio, è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in eccesso nelle cellule di chi ne è affetto. I soggetti portatori di tale anomalia genetica presentano un ritardo più o meno grave nello sviluppo fisico, motorio e mentale, talvolta aggravato da disturbi a livello organico. Oggi sappiamo che con un precoce intervento educativo e riabilitativo, molti soggetti Down rivelano confortanti margini di recupero e possono raggiungere livelli soddisfacenti di autonomia personale, inserendosi con successo nel mondo del lavoro. Alcune malattie genetiche possono essere invalidanti, cioè l’individuo pur essendo già “malato” dalla nascita, sviluppa solo in un momento successivo le anomalie fisioanatomiche che ne compromettono le abilità. È il caso di alcune forme di distrofia muscolare o della retinite pigmentosa. In questi casi le limitazioni sempre più numerose imposte alle attività quotidiane obbligano la persona a modificare il corredo delle abilità e dei comportamenti, con costi spesso rilevanti sul piano dell’adattamento psicologico e sociale. Molte situazioni di disabilità permanente hanno origine da patologie sopravvenute in fase prenatale e perinatale. Malattie come la toxoplasmosi o la rosolia, se contratte dalla madre durante la gravidanza, possono causare gravi danni al sistema nervoso del nascituro, provocando ad esempio cecità o deficit di tipo intellettivo. Anche alcuni farmaci assunti dalla gestante o l’esposizione ad agenti chimici fortemente tossici possono avere effetti teratogeni. Al momento della nascita situazioni di prolungata anossia o un uso maldestro del forcipe possono provocare nel neonato lesioni cerebrali, turbe sensoriali, spasticità e altri disturbi motori più o meno gravi. Alcuni studiosi riconducono a una lesione cerebrale anche l’autismo, una sindrome complessa caratterizzata dall’incapacità di stabilire normali sistemi di comunicazione con gli altri. Menomazioni che invalidano in modo irreversibile il soggetto possono infine comparire in ogni momento successivo alla nascita, a seguito di malattie o di eventi traumatici gravi. Special Olympic ha lo scopo di integrare la persona speciale nella società attraverso la pratica di ben 18 “sport adattati”, assicurando ogni anno allenamenti e gare ad atleti, con disabilità intellettiva, dagli otto anni d’età. Per Special Olympic ciò è una vera e propria missione, da assolvere con dedizione ed entusiasmo. Sviluppare abilità sportive e sociali con allenamenti regolari, consigli nutrizionali, programmi adeguati e gare tra atleti con capacità simili. Ciò è avvalorato dalla consapevolezza che, per il processo evolutivo della persona speciale, lo sport è un’attività importante perché momento di emancipazione ed accrescimento; praticarlo le consente di acquisire delle abilità motorie, generali e specifiche, di ampliare e differenziare lo sviluppo delle sue competenze. L'aiuta, inoltre, a meglio identificare l'efficienza fisica e quindi a fornire un feedback continuo sulla prestazione motoria e cognitiva. Aumentando l’autoefficacia, cioè la capacità di raggiungere gli obiettivi preposti, l’atleta speciale viene a disporre di un utile materiale per costruire la propria autostima. Special Olimpic International (S.O.I.) nato nei primi anni ’60, ora è sponsorizzato da corporazioni quali: Coca-Cola, General Motors.. Riconosciuto nel 1988 dalla Commissione Internazionale Olimpica, è responsabile dei Programmi delle Nazioni che vi aderiscono e ne provvede il supporto attraverso la pubblicazione di materiale informativo, seminari, conferenze internazionali e servizi di consulenza. L’attività in Italia oggi è gestita da Special Olympics Italia Onlus. Uno sport a cui possono partecipare anche i disabili è, a partire dal 2007, la danza. Lo scorso anno durante il Dancesport Grand Prix c’è stata la competizione di danze Latino Americane e Standard per atleti in carrozzina; ecco l’articolo riportato sul sito ufficiale della FIDS (Federazione Italiana Danza Sportiva): “Domenica 30 maggio scenderanno in pista anche altri campioni. Si tratta dei diversabili. Si svolge infatti all’interno di Dancesport un campionato interamente dedicato ai disabili. Si tratta dei “Tricolori di danza per diversamente abili”. La filosofia è che la musica e la danza possono aiutare persone con limiti fisici o psichici non solo a superare i propri problemi, ma perfino ad eccellere. Per questi nel padiglione verde i riflettori saranno puntati nel pomeriggio sulle oltre 50 coppie di ballerini diversabili che si esibiranno in pista. La FIDS ha creduto moltissimo in questi anni proprio nei laboratori di danza sportiva per ragazzi e ragazze in carrozzina, ciechi, o anche portatori di altri handicap. E oggi, dopo diversi anni di scuola, con allenamenti costanti e tanta passione, si vedono i frutti di questo lavoro. Fra gli atleti, divisi per età e categoria, gareggeranno minorati della vista, minorati dell’udito, cioè persone con disturbi relazionali e disabili in carrozzina. Il programma prevedeva danze standard e latine, combo (una persona in carrozzina assieme ad una normodotata) e duo, due ballerini entrambi in carrozzina. Per Sergio Rotaris, vicepresidente FIDS e responsabile delle gare “chi fa danza acquisisce comportamenti che lo migliora nel rapporto con sé e con gli altri. Tanti di questi ragazzi sono veramente bravi e iniziamo a formare atleti in grado di gareggiare anche a livello internazionale”.”