A margine della nuova Lettera pastorale del Cardinale Giordano “Testimoni della carità politica” L’alibi spirituale del “buon governo” La lettera pastorale del Cardinale Giordano ai laici politicamente impegnati, pone problemi tremendamente attuali e che, da tempo lo sostengo, la caduta del Muro di Berlino ha aggravato. È, infatti, accaduto che, cancellata l’ideologia comunista, è sembrato restare in piedi solo il liberalcapitalismo, che contiene in sé germi patogeni ugualmente pericolosi. L’economia, o se si vuole, l’accumulo del profitto capitalistico, sembra come legittimata a procedere senza alcuna responsabilità sociale. La libertà non sempre di doversi caricare di alcun riferimento comunitario. Ne è nato, in una convergenza che il maggioritario ha indotto della sinistra e della destra verso il centro, un doversi riferire della politica alla formula dl “buon governo”. Che è come dire nulla, visto che poi nessuno ha precisato in cosa possa o debba consistere. Ecco così che l’ “ubi consistam” dell’impegno laico dei credenti in politica ha avuto bisogno di una pastorale che ne ricercasse i contenuti. L’Arcivescovo fa riferimento ad un impegno di “servizio” che è un termine chiaro ma, a mio avviso, insufficiente. Tanto che, in altre parti della lettera, il Card. Giordano precisa che per servizio deve intendersi una manifestazione dell’amore verso la comunità locale, nazionale e internazionale. Dopo la caduta del Muro non è più così semplice, perché nelle ideologie crollate troppi hanno ricompreso anche gli ideali. E la politica si è ridotta sempre più all’amministrazione del quotidiano, del contingente e dell’emergente, senza porsi obiettivi spirituali di fondo e senza dover e poter più costruire gradualmente, cancellato il retroterra ed i valori culturali con i quali alimentare un progetto, a medio e lungo termine azioni coerenti con la propria visione del mondo. Il Cardinale non si è soffermato su un altro problema che è insorto e che è quello delle identità a rischio di scomparsa con l’incedere della globalizzazione priva di regola. Di regole sociali soprattutto, ma anche di regole morali e politiche come quelle relative al rispetto della altrui 1 identità, senza dover rivendicare in misura fondamentalistica la propria ma anche senza rinunziarvi ed aprendosi tuttavia al più consapevole dei confronti. Vi è poi, nella lettera, un riferimento negativo al “corporativismo”, anche se è chiaro che il Cardinale intende, con questa parola, riferirsi all’egoismo di settore e di classe. Ma se facciamo mente a quanto fa parte della dottrina sociale della Chiesa e all’enciclica di Leone XIII, se oggi occorre qualcosa alla politica (e, perché no?, all’economia) è proprio il sentimento della partecipazione alla “comunità di destino” che include tutti i corpi sociali, avvertendo che è la comunità, da quella più piccola e fondante della famiglia a quella aziendale, a quella del “natìo loco”, a quella europea ed internazionale il riferimento cui guardare in termini di solidarietà umana e di condivisione sociale ed economica. Fermo restando il rispetto profondo, anche se non dovessimo condividerle, per le identità culturali e tradizionali dei popoli. Concludo accettando, da credente laico impegnato in politica, le indicazioni tutte dell’Arcivescovo. E non solo per coerenza verso i contenuti del Magistero della Chiesa e delle indicazioni di Giovanni Paolo II, ma per coerenza rispetto alle stesse ragioni e passioni del mio personale impegno che in quei contenuti coincidono. Senza una simile coerenza la politica si ridurrebbe, come spesso si riduce, dalle maggioranze alle opposizioni, ovunque site e poste, ad un mero esercizio del potere da un lato ed alla sua contestazione dall’altro, vivendo e lasciando vivere e perdendo il senso stesso, il significato e la direzione della propria presenza ed impegno nella politica e senza farne lo strumento, umile ed al contempo orgoglioso, della crescita, non solo economica e materiale, ma spirituale, culturale e sociale, della comunità cui si appartiene. Antonio Parlato direzione nazionale An 2