Riflessioni a margine della Lettera pastorale del Card. Giordano

Riflessioni a margine della Lettera pastorale del Card.
Giordano “Testimoni della carità politica”
Allargare
gli spazi
della
democrazia
di GIUSEPPE OSSORIO ed ERNESTO PAOLOZZI
Con la lettera pastorale “Testimoni della carità politica” il Cardinale
Michele Giordano richiama i cristiani al dovere dell’impegno politico e,
specificamente, al dovere dell’impegno politico in favore dei più deboli, dei
poveri che Paolo VI definiva plasticamente come «coloro che non contano e
sui quali si decide senza sentirne il parere». L’Arcivescovo ricorda le fonti
filosofiche dell’impegno cristiano, quella concezione per la quale l’uomo è
ontologicamente relazionale all’altro. Non solo. Compito precipuo del
cristiano. Ma ciò sempre in un orizzonte pluralista nel quale anche il
diversamente opinante merita rispetto e richiede solidarietà.
Con la lettera pastorale “Testimoni della carità politica” il Cardinale
Michele Giordano richiama i cristiani al dovere dell’impegno politico e,
specificamente, al dovere dell’impegno politico in favore dei più deboli, dei
poveri che Paolo VI definiva plasticamente come «coloro che non contano e
sui quali si decide senza sentirne il parere». L’Arcivescovo ricorda le fonti
filosofiche dell’impegno cristiano, quella concezione per la quale l’uomo è
ontologicamente relazionale all’altro. Non solo. Compito precipuo del
cristiano. Ma ciò sempre in un orizzonte pluralista nel quale anche il
diversamente opinante merita rispetto e richiede solidarietà.
Il pressante e così argomentato invito del Cardinale deve essere dunque
accolto e meditato, soprattutto da chi ha responsabilità politiche e da chi a
vario titolo svolge una funzione di orientamento dell’opinione pubblica e dei
giovani in particolare. Ora, chi è abituato a concepire laicamente la sfera della
vita politica come autonoma, anche se non avulsa dagli altri valori della vita,
deve meditare con particolare attenzione sull’invito a testimoniare la carità
politica.
Venti anni di ideologia liberista ci hanno portati a considerare l’idea della
solidarietà, o dell’equità, per usare un linguaggio laico, come un valore non
diciamo sorpassato ma insufficiente a gestire i rapporti sociali e politici. Nei
pensatori in buona fede e intellettualmente onesti, la questione si è argomentata
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secondo un principio etico, il principio per cui soltanto la produzione della
ricchezza può garantire la ridistribuzione della stessa.
In pensatori meno acuti, e qualche volta più vicini al senso comune, la
questione è stata affrontata secondo principi di mera utilità, o mero
utilitarismo. Si è argomentato che la carità, la solidarietà, o la giustizia sociale,
sono atteggiamenti che si possono assumere se utili ai fini di una buona
gestione della società. Così come altri atteggiamenti come degli strumenti, fra
gli altri strumenti, di cui la politica può disporre.
In molti uomini politici, di affari, o anche in molti cittadini comune, questi
argomenti sono serviti da alibi o copertura ideologica per praticare una sorta di
darwinismo sociale, di disimpegno sociale e morale, fino a forme di meschino,
e certe volte banale, cinismo. Ma ora, passata quella che potremmo definire la
sbornia liberista, si fanno i conti con le nuove ingiustizie sociali, non solo
quelle eclatanti fra mondo occidentale e Paesi poveri e poverissimi, ma anche
le nuove disparità che nascono nel seno stesso delle nostre società opulente.
Non solo. Ma il liberismo come ideologia, come ricerca del successo a tutti i
costi, ha come debilitato la nostra società, snervato i nostri rapporti,
banalizzato la nostra vita. Sia che la questione si guardi dal punto di vista del
credente, che teme per la scristianizzazione strisciante della nostra società, sia
che la si guardi con gli occhi del laico, che a suo mode crede nel liberalismo
etico o nella religione della libertà, essa si presenta come crisi di civiltà, prima
ancora che come crisi economica o politica.
Sia il cristiano che il liberale, assertore di una cultura civica, ritengono
l’uomo il centro dell’interesse politico, l’uomo economico quanto l’uomo
morale. E sanno bene che la libera attività economica è un bene fondamentale
perché nessuno può credere che la risposta alla nostra crisi di civiltà possa
affrontarsi con una sorta di ideologia pauperista, con un romantico ritorno al
sogno di società primitive nelle quali i beni (i pochi, pochissimi beni)
sarebbero stati in comune.
Il punto allora è: è possibile immaginare una società libera che liberamente
crei ricchezza e che sia in grado di garantire anche la giustizia sociale? In altre
parole, c’è un legame logico, filosofico, fra libero mercato e l’ideologia
liberista? Oppure l’atteggiamento ideologico è solo, appunto, un atteggiamento
che si può e si deve combattere senza che per questo venga depressa
l’economia e la libera e schietta concorrenza?
A nostro modo di vedere, non c’è necessaria contraddizione, anche se è
evidente che la contiguità fra impegno politico e impegno psicologico è
innegabile. Il problema non è allora di mera filosofia, ma di impegno etico, di
testimonianza, per usare la terminologia tipica della Chiesa.
È qui, a nostro avviso, l’attualità della Lettera pastorale e, vorremmo dire, la
sua non casualità temporale. La questione può affrontarsi se la politica torna a
governare l’economia, e ciò può accadere solo se si allargano gli spazi della
democrazia. Ma la democrazia non può funzionare, diventa disordinata
demagogia, se il cittadino non torna ad essere protagonista dell’impegno
politico.
L’urgenza, dunque, dell’appello, se così possiamo definirlo, del Cardinale
Giordano, deve essere fatta propria da tutti coloro i quali hanno a cuore la
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salvezza della nostra democrazia e intendono promuovere nuova libertà. Il
richiamo al dovere etico, e sottolineiamo etico, dell’impegno politico del
cattolico ci sembra, in questo momento storico, non più eludibile: se il cattolico
vuole vivere la sua fede concretamente, con militante passione e non come
mera, abitudinaria, consuetudine.
Giuseppe Ossorio
Repubblicano, Consigliere regionale della Campania
Presidente di Commissione
Ernesto Paolozzi
Liberale, Docente di filosofia Fondazione “L. Einaudi”
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