Spirito apollineo
Lo Spirito apollineo è un concetto introdotto dal filosofo tedesco Friedrich
Nietzsche ed è uno dei temi fondamentali della sua filosofia matura. È
contrapposto allo Spirito dionisiaco e indica la "ratio" umana che porta
equilibrio nell'uomo, che è capace di concepire l'essenza del mondo come
ordine e che lo spinge a produrre forme armoniose rassicuranti e razionali.
Senza di esso, nell'uomo ci sarebbe un'esplosione di emozioni incontrollate
che hanno bisogno di essere controllate.
Lo spirito apollineo è quel tentativo (proprio soprattutto dell'Antica Grecia)
di spiegare la realtà tramite costruzioni mentali ordinate, negando il caos
che è proprio della realtà e non considerando l'essenziale dinamismo della
vita. Lo spirito apollineo, cioè, è la componente razionale e razionalizzante
dell'individuo, contrapposta allo spirito dionisiaco, che rappresenta il suo
contrario.
Nietzsche sostiene che ci sia una fondamentale visione dolorosa
dell'esistenza in seno al pensiero greco, in cui l'idea della morte e della
vanità di tutte le cose si radica ossessivamente. È proprio l'essere dionisiaco,
cioè il Sileno, a rivelare per primo questa verità a re Mida che lo interrogava
insistentemente su quale fosse il bene supremo della vita. Il Sileno
rispondeva: non esser mai nati è di certo la miglior cosa, e subito dopo una
morte il più prematura possibile (così anche Edipo a Colono). Il terrore
davanti a questa verità si colora davanti agli occhi dei greci con le immagini
orride dei titani, cioè le divinità barbariche pelasgiche. Per esorcizzare la
visione di questo panorama di morte i greci crearono, mediante un atto di
pura volontà (Schopenhauer ricorre spesso), le divinità olimpiche, la cui
connotazione fondamentale è la forza vitale. Ecco che un primo abbozzo
dell'apollineo si viene a sovrapporre al primo abbozzo del dionisiaco
sostituendolo. Ma quella che a prima vista appare come dialettica di
elementi irriducibili gli uni agli altri si viene in realtà a smorzare nel
momento in cui ci si rende conto che gli dei olimpici sono figli dei titani, e di
Crono e di Rea in particolare. Comunque sia, il mondo omerico prende così
vita, con le sue immagini immerse nell'atmosfera sognante del mito. Sulla
scorta degli dei loro padri, gli eroi omerici dichiarano apertamente l'amore
per la vita (l'ombra di Achille interrogata da Ulisse nel paese dei Cimmeri
dichiara che preferirebbe essere schiavo di un contadino per godere ancora
della luce del sole piuttosto che regnare tra i morti). Il dolore si libera nel
sogno. È il sogno allora, cioè l'apparenza (ma quanto verosimigliante alla
realtà!), la contemplazione ingenua della natura che si pone a fondamento
del mondo omerico arcaico, con le sue figure eroiche tutelate dagli dei
olimpici. Ma l'ingenuità, dice Nietzsche, non è da intendersi come uno stato
"nato per se stesso", "inevitabile", alla maniera di Schiller, bensì come la più
alta espressione dell'apollineo: prima dell'edificazione del mondo omerico
c'è bisogno dell'azione di uccisione dei titani, della relegazione nel fondo del
Tartaro dell'irrazionale orrore. Lo spirito apollineo è sognante, il principio di
individuazione di Schopenhauer compie la sua opera preservando l'io dalle
tempeste esteriori, dai titani terribili nascosti fra le pieghe del reale. Il velo
di Maya non è ancora strappato. L'artista avviluppato nel velo di Maya è
come un navigante al sicuro sulla propria imbarcazione che non si cura, o
non si accorge, della tempesta che gli infuria intorno. Omero ci culla in
apollinea quiete con i suoi versi. È in questo senso che si indirizza
successivamente la teoretica neoclassica winkelmaniana della "quieta
potenza". Tutto questo presuppone ovviamente un senso del limite, quel
limite che Apollo non permette di superare. Il dio di Delfi ammonisce contro
l'eccesso mediante il "conosci te stesso", cioè il principium individuationis.