Prof. Diego Manetti Filosofia NIETZSCHE – APOLLINEO E DIONISIACO La nascita della tragedia (1872) offre una immagine dello spirito greco assai dissonante da quella “bella armonia” che aveva affascinato la cultura tedesca a cavallo tra Settecento e Ottocento. Nietzsche mostra come la stessa serenità apollinea di questo popolo votato alla bellezza non sia una condizione ingenua e semplice, ma il risultato di una lotta contro il fondo oscuro del dionisiaco, che sa guardare in faccia la tragicità della vita, l’indissolubile mescolanza di gioia e di dolore. La tragedia attica è la forma più alta dell’arte antica, in quanto fonde in maniera irripetibile apollineo e dionisiaco, unendo musica e danza con la forma poetica della rappresentazione drammatica. Il dionisiaco è l’elemento originario, in quanto espressione della tragicità, caotica e irrazionale, della vita. L’apollineo sorge dal conseguente tentativo di riportare ordine, rendendo sopportabile il lato dionisiaco della vita. Originariamente apollineo e dionisiaco sono separati, per poi fondersi nella tragedia attica (Sofocle, Eschilo), che inizia la decadenza allorché (Euripide) prevalgono elementi della vita quotidiana, intrisi di quello spirito apollineo che cerca ora non più di fondersi bensì di sovrastare il dionisiaco. È una decadenza che nella filosofia si esprime con Socrate (intellettualismo etico vs la lotta tra ragioni e passioni). La strada da percorrere, secondo Nietzsche, è quella che riscatta la decadenza offrendo un maggiore equilibrio tra i due principi, contenendo la menzogna apollinea (che si esprime altresì nell’iperuranio platonico e nel paradiso cristiano) in favore di una “riscoperta” del dionisiaco (per cui esalta la musica e Wagner). Da La nascita della tragedia Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente. Questi nomi noi li prendiamo a prestito dai Greci, che rendono percepibili a chi capisce le profonde dottrine occulte della loro visione dell’arte non certo mediante concetti, bensì mediante le forme incisivamente chiare del loro mondo di dèi. Alle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine «arte» solo apparentemente supera; finché da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della «volontà» ellenica, appaiono accoppiati l’uno all’altro e in questo accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia attica. Per accostarci di più a quei due impulsi, immaginiamoli innanzi tutto come i mondi artistici separati del sogno e dell’ebbrezza; fra questi fenomeni fisiologici si può notare un contrasto corrispondente a quello fra l’apollineo e il dionisiaco. (…) Se vogliamo intendere meglio questi due istinti, immaginiamoli innanzi tutto come i due mondi artistici distinti del sogno e dell'ebbrezza: tra i loro rispettivi fenomeni fisiologici corre lo stesso divario che, come si rileva, intercede tra l’apollineo e il dionisiaco. Nel sogno, secondo il pensiero di Lucrezio, apparvero la prima volta alle anime umane le sovrane immagini degli dèi, nel sogno il grande artista figuratore vide le forme affascinanti di esseri sovrumani; e il poeta ellenico, richiesto del segreto della creazione poetica, si sarebbe anch’esso ricordato del sogno e avrebbe risposto: (…) Tutta l’arte e la poesia altro non è che rivelazione della verità nel sogno. (…) Di più, l’uomo filosofico ha il presentimento che anche dietro la realtà nella quale viviamo e siamo se ne nasconda un'altra, in modo che anche questa nostra realtà sia quindi un'apparenza; e Prof. Diego Manetti Filosofia Schopenhauer indica addirittura come contrassegno del talento filosofico il dono che altri abbia di vedere in certi momenti gli uomini e tutte le cose come puri fantasmi o ombre di sogno. Come il filosofo con la realtà dell’esistenza, così l'uomo artisticamente sensibile si comporta con la realtà del sogno: la contempla con diligenza e con soddisfazione; perché dalle immagini del sogno impara a spiegarsi la vita, e su queste esperienze si esercita per la vita (…) perché egli vive queste scene e soffre insieme coi loro fantasmi, sebbene non smarrisca interamente la fuggevole sensazione della loro apparenza; anzi molti forse, come me, si ricordano che tra i pericoli e lo spavento del sogno gridarono, riprendendo intanto animo e con effetto immediato: «E’ un sogno! Voglio sognarlo ancora!». Come sull'infuriante mare che, per tutti i lati infinito, ululando montagne d'acqua innalza e precipita, siede in barca il navigante e sé affida al debole naviglio; così siede tranquillo, in mezzo a un mondo pieno di tormenti, il singolo uomo, poggiandosi fidente sul principium individuationis». Anzi, bisognerebbe dire che la fiducia imperturbabile in quel principium, e la tranquillità di chi vi si fonda, hanno avuto in Apollo l’espressione sovrana; e si vorrebbe riconoscere il superbo prototipo divino del principium individuationis appunto in Apollo, di cui i gesti e gli sguardi ci comunicano tutto il piacere e la saggezza dell’«apparenza» in uno con la sua bellezza. Nello stesso luogo Schopenhauer ci ha descritto il mostruoso orrore da cui l’uomo è assalito, quando è staccato via d’improvviso dalle abituali forme conoscitive del fenomeno, pel fatto che il principio di causa sembra che in taluna delle sue manifestazioni non si avveri, soffra eccezione. Se accanto a questo orrore poniamo il rapimento ardente, che per l’infrazione stessa del principium individuationis sale dal fondo intimo dell'uomo, anzi della natura, noi ci formiamo l’idea dell’essenza del dionisiaco, che ci è resa anche più accessibile mercé il paragone con la ebbrezza. Quei commovimenti dionisiaci, che crescendo sommergono in completo oblio il senso soggettivo, sorgono o per effetto delle bevande narcotiche, delle quali tutti gli uomini e i popoli primitivi parlano in termini ditirambici, oppure per la potenza della primavera, il cui approssimarsi compenetra di allegrezza l’intera natura. … Il fascino dionisiaco non ripristina solamente i vincoli tra uomo e uomo: anche la natura, straniata o ostica o soggiogata, celebra la festa di riconciliazione col suo figliuol prodigo, l’uomo. La terra getta di buon grado i suoi doni, e le belve rapaci delle rupi e dei deserti si avvicinano in pace. Il carro di Dioniso è coperto di fiori e ghirlande; la pantera e la tigre avanzano sotto il suo giogo. Si tramuti l’«inno alla gioia» di Beethoven in un quadro dipinto, e non si ponga freni alla propria immaginazione quando milioni di esseri cadono fremendo nella polvere, percossi dal prodigio: solo così possiamo appressarci a ciò che è la fascinazione dionisiaca. Ecco che lo schiavo è libero, ecco che tutti infrangono le rigide, nemiche barriere, che il bisogno, l’arbitrio o «la moda insolente» hanno piantato tra gli uomini. Ecco che nel vangelo dell'armonia universale ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma si sente fatto uno con lui, quasi che il velo di Maia fosse squarciato e svolazzasse non più che in brandelli davanti al mistero dell'Uno primigenio. Nel canto e nella danza l’uomo si palesa come componente di una comunità superiore: egli ha disimparato a camminare e a parlare, e danzando è in atto di volarsene via nell'aria. Nei suoi atteggiamenti parla la magia. (…) egli si sente come un dio, ed ora egli stesso incede rapito e sublime, come vide in sogno incedere gli dèi. L'uomo non è più artista; è divenuto egli stesso opera d’arte: la potenza artistica di tutta la natura, a suprema beatificazione dell'Uno primigenio, si rivela ora nei brividi dell'ebbrezza. (…) Il greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici. L’enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura (…) fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici.