Etica e teorie normative degli stakeholder

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Teorie normative degli stakeholder
1. Il problema centrale: definire un criterio di bilanciamento
tra interessi e tra doveri fiduciari verso gli stakeholder
 Nucleo normativo della teoria degli stakeholder: stabilire i criteri
di bilanciamento tra interessi o diritti degli stakeholder,
 ovvero di bilanciamento tra i doveri fiduciari molteplici degli
amministratori e dei manager, nonché la loro formulazione in
principi di governo dell’impresa
 la principale inadeguatezza della letteratura esistente di
business ethics: non aggredisce effettivamente il problema di
dedurre da una teoria normativa la struttura istituzionale e di
governance dell’impresa in grado di bilanciare gli interessi
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2. La teoria normativa degli stakeholder:
Donaldson e Preston (1995)
 Tre impieghi della teoria degli stakeholder:
a) Descrittivo: l’impresa è una costellazione di interessi al contempo
cooperativi e conflittuali tra diversi stakeholder e la sua natura è quella
di una forma organizzativa per risolvere i problemi di coordinamento e
cooperazione tra tali stakeholder.
b) Strumentale: qualunque sia lo scopo o l’interesse che l’impresa
persegue, la teoria degli stakeholder sottolinea il fatto che occorre
gestire le relazioni con gli stakeholder se si vuole ottenere successo
nel raggiungimento dello scopo dato
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c) Normativo: l’aspetto essenziale della teoria degli stakeholder è
normativo e si basa sull’accettazione di due presupposti
i) che gli stakeholder hanno interessi legittimi (diritti) e sono i
loro interessi a definirli come stakeholder, non l’interesse che
l’impresa può avere per loro;
ii) tali interessi (comunque definiti) hanno valore intrinseco, cioè
meritano considerazione e rispetto in sé stessi e non solo in
senso strumentale rispetto ad altri scopi dell’impresa.
 E’ una teoria manageriale: non si limita a spiegare le relazioni di
causa ed effetto, ma è consapevolmente prescrittiva, raccomanda
atteggiamenti, strutture e pratiche, e intende quindi guidare la scelta
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 La natura manageriale/prescrittiva è ancoraggio per il
primato normativo (etico): se si cercano criteri di bilanciamento
accettabili da tutti gli stakeholder bisogna sollevarsi al di sopra di un
singolo interesse e assumere una posizione imparziale.
 Ci si pone nella prospettiva della giustizia, che ha una sua
interna logica normativa in quanto trattamento imparziale delle
caratteristiche di valore (diritti, utilità, preferenze, autonomia virtù,
well-being ecc.) degli stakeholder stessi.
 Però la natura manageriale può diventare il suo limite:
o Il bilanciamento investe la struttura istituzionale e di governance
dell’impresa e non solo le decisioni gestionali
o Non si rivolge solo al management, ma gli amministratori non
operativi, la proprietà, gli altri interessi organizzati, le autorità
pubbliche ecc..
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3. Uno sguardo su circa 10 anni di teoria normativa degli
stakeholder nelle discipline manageriali e in business ethics
A) Gli approcci contrattualisti degli anni ‘80.
 Donaldson (1982): il contratto sociale dell’impresa come il contratto
tra la società (l’insieme dei suoi componenti) e le “organizzazioni
produttive” (imprese) intese come istituzioni sociali.
 La ragion d’essere dell’ “organizzazione produttiva” è migliorare il
livello di benessere della società rispetto a quello possibile in uno
“stato di natura”.
 Via contratto sociale l’impresa viene istituita per provvedere ai
consumatori beni e servizi e dare opportunità ai lavoratori di trarre
benefico dalle attività produttive.
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 l’impresa incorpora come diritti fondamentali , ai quali deve
rispondere, il benessere dei lavoratori e quello dei consumatori.
 Il diritto alla massimizzazione dei profitti è secondario e può essere
soverchiato dai diritti fondamentali dei consumatori e dei collaboratori
dell’impresa.
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Donaldson (1989): gli obblighi delle multinazionali per garantire la
loro legittimità morale sono visti in prospettiva di contratto sociale
globale.
 promuovere il benessere di lungo periodo dei collaboratori e dei
consumatori;
 minimizzare gli effetti esterni negativi, che altrimenti farebbero
venire meno la ragione del passaggio dalla “stato di natura” a
una situazione che preveda le organizzazioni produttive;
 rispettare gli standard minimi di giustizia e i diritti umani
fondamentali (ad es. come riconosciuti dalle carte ONU e delle
organizzazioni internazionale quali ILO ecc.).
 Il difetto: l’enfasi posta sulla natura bilaterale del contratto tra
società e impresa che reifica le due entità collettive (impresa e
società) l’una di fronte all’altra,
non permette di spiegare l’insorgenza dell’impresa per via di accordo
tra i suoi stakeholder
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 Keeley (1988): teoria contrattualista dell’organizzazione intesa come
costellazione di diritti convenzionali basati sul contratto sociale
implicito tra gli stakeholder.
 Lo scopo dell’organizzazione come tale, concepito come a sé stante
rispetto ai componenti, può essere ricondotto all’insieme dei
diritti concordati nel contratto sociale implicito tra i suoi
stakeholder.
 distinzione tra
 scopo e risultati per l’organizzazione
 scopo e risultati dell’’organizzazione
 L’organizzazione non ha scopi per sé e non genera conseguenze per
sé, bensì solo per gli stakeholder cha la compongono.
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 I risultati dell’organizzazione sono quei risultati che l’impresa
produce grazie all’azione organizzata e coordinata, resa possibile
dalla trama dei diritti e dei doveri convenzionali reciproci,
 tali risultati e scopi dell’organizzazione non sono per l’organizzazione,
ma per gli individui che la costituiscono.
B) teoria “kantiana” e le sue promesse, Freeman ed Evan
(1990, 1993)
 E’ caratterizzata da un’ambivalenza tra l’approccio strumentale
(rispetto allo scopo di “garantire il successo e la sopravvivenza
dell’impresa”) e l’approccio esplicitamente normativo.
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 Contiene affermazioni importanti per l’approccio normativo:
il management nell’impresa deve occupare i ruolo di un
moderno “Re Salomone”, cioè colui che deve esercitare la
virtù dell’imparzialità e dell’equità nell’aggiudicare i conflitti
tra gli stakeholder.
 Definizione impegnativa dello scopo dell’impresa (rovescia la visione
strumentale):
- essa serve perseguire in modo coordinato gli interessi di tutti gli
stakeholder
- kantianamente nessuno stakeholder è solo mezzo per il
perseguimento dei fini di qualche altro stakeholder, ma è al
contempo anche fine a sé - cioè ciascuno stakeholder attraverso
l’impresa deve poter perseguire i suoi interessi, mentre favorisce
il perseguimento degli interessi altrui.
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 Da ciò seguono i due principi kantiani della gestione
strategica:
P1: I dritti e gli interessi di tutti gli stakeholder dovrebbero essere
perseguiti e ciascuno stakeholder dovrebbe prendere parte al processo
decisionale;
P2: il management ha una relazione fiduciaria nei confronti sia di tutti
gli stakeholder, sia nei confronti dell’impresa come “entità artificiale
astratta”
Qui emerge anche la debolezza maggiore:
 quando è impossibile soddisfare al contempo le pretese di tutti gli
stakeholder, allora il manager deve fare prevalere il suo ruolo di
rappresentante dell’ entità astratta “impresa” e l’interesse per la
sua sopravvivenza
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 Si rinvia la definizione di un criterio di aggiudicazione di conflitti e si
considera l’interesse alla sopravvivenza dell’impresa come prioritario
 Ma la sopravvivenza dovrebbe essere un fine intermedio per gli
interessi (valori ultimi) degli stakeholder
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C) Teoria kantiana dell’organizzazione, Bowie 1999
 tre formulazioni dell’imperativo categorico kantiano:
 dobbiamo sempre agire secondo una massima derivabile da
una legge universale, che chiunque riconoscerebbe come
razionale indipendentemente da ogni condizionamento e fine
particolare - inclusi i propri (autonomia);
 nell’ascrivere le regole ad un’ unione sociale (come
l’impresa) non possiamo mai trattare alcuni partecipanti come
meri mezzi, ma sempre anche come fini a sé;
 le unioni sociali sono “un regno dei fini” in cui ogni individuo
deve insieme andare soggetto alle regole ma anche poter
esserne legislatore.
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 I principi per l’impresa come “comunità morale” e “regno dei
fini” sono perciò
i. L’impresa deve riconoscere e considerare gli interessi di tutti
gli stakeholder influenzati;
ii. Essa dovrebbe consentire a tutti gli stakeholder influenzati di
partecipare alla determinazione delle regole organizzative prima
che siano attuate;
iii. A nessuno stakeholder dovrebbe essere a priori accordata la
prevalenza in tutte le decisioni;
iv. Quando la composizione dei conflitti tra stakeholder implica che
non tutte le pretese legittime possono essere soddisfatte, e
quindi alcune devono essere sacrificate, allora tale decisione non
dovrebbe essere presa solo sulla base del numero dei
componenti di ciascun gruppo di stakeholder
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v. Non possono essere adottati principi e regole organizzative che
violano le varie formulazioni dell’imperativo categorico;
vi. Ogni organizzazione for-profit ha un dovere imperfetto (cioè
senza un destinatario specifico in grado di esigerlo come un
proprio specifico diritto) di beneficenza nei confronti della
società in cui risiede;
vii. L’organizzazione deve stabilire procedure per la presa delle
decisioni influenti sui partecipanti, che
riconosciute come proceduralmente giuste.
possano
essere
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 Tesi di un’ un’ampia “sfera morale libera” per l’affermarsi di
forme di impresa compatibili con gli standard kantiani,
 L’etica kantiana non ha una risposta univoca al problema della
soluzione dei conflitti distribuitivi
 Piuttosto permette di rigettare sulla base dei criteri, una quantità di
approcci, teorie e metodologie organizzative:
 il taylorismo, che viola chiaramente la seconda formulazione
dell’imperativo categorico,
 la teoria dell’impresa come gerarchia (Williamson) basata su
relazioni di autorità, in quanto viola il principio di partecipazione
alle decisioni
 gli schemi di incentivazione indiretta dello sforzo basati sulla
misura dell’output (principale-agente) in quanto promuovono un
modello psicologico di lavoratore contrastante con l’idea di agente
morale kantiano, cioè
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- un agente che solo strumentalmente assolve ai propri compiti di
lavoro,
- anziché un agente motivato dall’interesse per la soluzione dei
problemi e per il raggiungimento degli obbiettivi valutati come
degni in sé stessi
 Al contrario sono compatibili con quelle dottrine del comportamento
organizzativo che
 sottolineano la possibilità di sviluppare motivazioni non
egoistiche e strumentali da parte dei lavoratori,
 disegnano i sistemi di controllo dell’organizzazione sull’ipotesi che i
collaboratori attribuiscano valore intrinseco
- alla partecipazione alle decisioni sul lavoro,
- alla realizzazione degli obbiettivi purché condivisi e fatti propri
dal team di lavoro,
- alla percezione di giustizia procedurale nelle decisioni
relative alla gestione del personale
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 Difetto:
 manca del tutto la dimensione istituzionale ed economica
 non resta che saltare dagli standard filosofici astratti
all’indicazione delle metodologie di “comportamento
organizzativo” coerenti o incompatibili e alle storie o casi
manageriali di successo (economico)
che ne mostrano
l’applicabilità caso per caso.
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D) Etica della virtù e impresa.
 Il comunitarismo neo-aristotelico di McIntyre, applicato
all’impresa (Solomon 1992), trae il suo appeal proprio dalla critica alla
vuotezza dell’etica delle regole astratte e generali di tipo kantiano.
 Si sposta l’enfasi dal valore intrinseco (normativo) degli interessi e
delle pretese degli stakeholder al valore intrinseco del carattere
degli individui (virtù ed eccellenza)
 in quanto esso sia coerente con il finalismo interno proprio di
ciascuna pratica e istituzione sociale, tra cui l’impresa e le attività
economiche.
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 Questa
ricostruzione
discende
dai
neoaristotelica dell’impresa (concetti base):
“parametri”
dell’etica
 Comunità. L’impresa come una comunità, costituisce una
personalità morale superiore agli individui e serve a definire la
loro identità, in base ai significati condivisi delle pratiche che vi
avvengono (il modo di intenderne la natura e le finalità)
 Appartenenza. L’identità individuale è sempre contestuale e
non assoluta, ed essa non può non dipendere dal contesto al
quale per una buona parte del tempo gran parte degli individui
normalmente appartengono, cioè l’impresa.
 Eccellenza. l’eccellenza nelle attività economiche dell’impresa
è un modello normativo - il fine cui la comunità-impresa riconosce
valore e che definisce le virtù del carattere dei partecipanti.
 Felicità: (McIntyre) la virtù di chi persegue il fine proprio di una
pratica sociale è auto-remunerativa.
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 NB: La soddisfazione o felicità non dipende dal ricevere un
premio estrinseco alla pratica (che può essere un bene
scarso), ma è piuttosto intrinseca e consiste nel condurre una
“vita buona” conforme all’ideale di eccellenza della pratica
stessa
 Ruolo: noi siamo riconosciuti come membri della comunità in
quanto ottemperiamo alle richieste del ruolo,
 attraverso il ruolo possono essere definite le richieste
normative e quindi i modelli di eccellenza per ciascun
partecipante alla comunità-impresa
 Olismo. L’etica della virtù richiede una posizione olista nella
spiegazione delle organizzazioni, cioè assumere che il tutto
(l’impresa) non sia riducibile e spiegabile attraverso le sue parti.
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 Tesi olista: l’impresa è qualche cosa di più di un collettivo di
individualità,
 andare oltre la separazione tra le persone e la contrappostone tra
l’io e gli altri
 riconoscere che l’impresa è una pratica sociale di tipo
cooperativo in vista di un fine comune, sostenuta da relazioni di
fiducia e affettive, che trascende i fini individuali
 comunitarismo e olismo portano a rigettare la definizione di
impresa come costellazione e luogo di interazione e coordinamento
tra gli stakeholder
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 Rifiuto dell’idea di responsabilità sociale dell’impresa come insieme di
obblighi che l’impresa dovrebbe ottemperare nei confronti dei diversi
stakeholder
 dovere fiduciario rinvia a diritto individuale o di gruppo, quindi a
gruppi e individui come constituencies che avanzano pretese
verso l’impresa.
 Osservazione critica: l’etica della virtù viola il postulato (in effetti
kantiano) di considerare tutti gli stakeholder come fini a sé e non
come puri mezzi dell’impresa.
 la “vita buona” consiste nella coerenza con il modello di
eccellenza della pratica, che consente di identificare le virtù
funzionali a raggiungere il fine interno della pratica.
 Nell’organizzazione
produttiva
l’eccellenza
per
ciascun
partecipante è stabilita dal ruolo, e a ciascuno ruolo è associata
una virtù funzionale.
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 la massima di giustizia per l’impresa sarà “trattare ciascuna
persona in proporzione alle sue virtù funzionali allo
scopo e al fine dell’impresa”: produrre beni e sevizi e
scambiarli sul mercato.
 si propone una visione apologetica dell’impresa:
 i partecipanti all’impresa non sono altro che mezzi per un
fine altro da loro,
 “a ciascuno in proporzione alla virtù” mostrata nel servire lo
scopo dell’impresa stessa
 Il trattamento etico degli stakeholder altro non è che farli agire
in modo da assecondare il fine dato - le loro pretese di
giustizia contano zero.
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E) Il contratto sociale integrativo. TCSI (Donaldson e Dunfee
1994, 1995, 1999).
 la TCSI fondo
- l’idea di un contratto sociale ipotetico,
- il comunitarismo, inteso come riconoscimento dell’esistenza di
molteplici norme concrete legate ai significati che ogni comunità
parziale vi attribuisce,
- la nozione humiana di convenzione
 L’ipotesi di partenza: agenti economici hanno razionalità morale
limitata:
- limitata abilità delle teorie morali generali di rendere conto
dell’insieme delle intuizioni e delle convinzioni morali;
- limitate capacità concettuali degli agenti morali individuali di
apprendere, memorizzare e utilizzare l’insieme dei fatti moralmente
rilevanti
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 Nella sfera economica: esistono una miriade di tipologie di
transazioni su beni e servizi di vario genere, caratterizzate da
molteplici dettagli e pratiche diverse e di diversa complessità
 Le istituzioni economiche “particolari” hanno perciò tipicamente
natura artificiale:
 dipendono non dalla natura generale dei fatti,
 ma dalle molteplici scelte, accordi e convenzioni create dalle
parti, dalle informazioni di volta in volta in loro possesso, e dai
valori delle comunità locali o settoriali e in funzione di scopi
particolari.
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 Perciò l’etica degli affari è caratterizzata da una “sfera morale
libera”:
 le norme etiche sono indeterminate da un punto di vista
generale.
 le varie comunità economiche locali o speciali definiscono valori,
norme e principi valide al proprio interno
 Compatibilità col contratto sociale ipotetico: distinzione tra macrocontratto sociale e micro-contratti sociali (o norme comunitarie),
 le parti nel macro-contratto sono consapevoli della razionalità
morale limitata,
 desiderano tanto soddisfare i loro interessi quanto partecipare
a comunità economiche che riflettano i loro valori culturali.
 essi desiderano lasciare a disposizione delle comunità locali
la possibilità di completare i dettagli via micro-contratti sociali
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 I principi su cui
accorderebbero :
le parti nel
macro-contratto sociale
si
 Alle comunità economiche locali devono essere lasciato uno
spazio morale libero per generare norme etiche vincolanti per i
loro membri attraverso micro-contratti sociali.
 I micro-contratti sociali devono essere basati su consenso
autentico, e ai membri delle comunità devono essere garantititi i
diritti di protesta (voice) e di uscita (exit);
 affinché le norme stabilite via micro-contratto sociale possano
essere obbligatorie (legittime) tali norme devono essere
compatibili con le ipernorme;
 Qualora norme locali entrino in conflitto tra loro, si farà ricorso a
criteri di priorità.
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 I criteri si priorità del principio 4 sono
a) le transazioni che avvengono all’interno di una singola comunità,
e che non hanno effetti esterni negativi su altre comunità, dovrebbero
essere governate dalle norme della comunità stessa;
b) più estesa è una comunità maggiore dovrebbe essere la priorità
delle sue norme,
c) le norme essenziali alla protezione dell’ambiente economico
dovrebbero avere la priorità sulle norme che tendono a danneggiare
tale ambiente;
d) se esistono norme in conflitto si darà priorità alle norme che
nell’assieme assicurano maggiore coerenza,
e) le norme più precise e concrete avranno la priorità su quelle più
generali e meno precise.
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 L’autenticità è data da un genuino consenso di fatto (non soggetto a
condizioni ideali sulla situazione di scelta)
o vi è il pericolo che alcuni membri della comunità non desiderino aderire a
una norma , ma siano costretti a farlo dalla forza della maggioranza.
o consenso autentico presuppone la condizione minimale che a ciascun
membro sia riconosciuto sempre il diritto voice and exit
 La definizione di consenso autentico ha tutta e soltanto la (limitata)
forza normativa delle convenzioni nel senso di Hume e Lewis (def Petitt
1990):
Una norma N è autentica all’interno di una situazione ricorrente S per i
membri della comunità C se e solo se
o Una parte significativa (più del 50%) dei membri di C quando si trova
nella situazione ricorrente S agisce secondo N (adesione di fatto)
o L’osservanza di N è approvata dalla maggior parte dei membri di C
o La deviazione da N in S è disapprovata dalla maggioranza dei membri
di C
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 La legittimità delle norme comunitarie:
 un consenso autentico non basta perché una norma sia accolta come
legittima nel macro-contratto sociale.
 Occorre che non entri in contrasto con nessuna ipernorma.
 Ipernorme:
 sono norme di ordine superiore da cui giudicare le norme di ordine
inferiore, cioè principi così fondamentali dell’esistenza umana che si
riflettono nella convergenza di tutte le varie concezioni religiose,
politiche e filosofiche
 Devono stare nell’intersezione tra le più diverse culture, visioni
politiche, religiose e filosofiche,
 N.B: si dice solo che esse di fatto esistono e che sono compatibili con le
spiegazioni più diverse di tipo razionale (kantiano o contrattualista, ad es.
Rawls: overlapping consensus), evolutivo (in senso humiamo o biologico) o
metafisico (lo “spirito del tempo” hegeliano) .
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Vari problemi.
 non vi è alcuna teoria analitica dei micro-contratti sociali, che si
svolgeranno sotto il vincolo della scelta costituzionale.
 Le comunità regolano le loro pratiche economiche secondo i significati che
vi attribuiscono in base alla cultura
 una convenzione non ha altra proprietà normativa che quella di essere un
equilibrio di coordinazione tra i molti possibili, che non coincide
necessariamente con l’accordo che le parti farebbero in fase costituzionale
(da cosa nasce l’approvazione?)
 le iper-norme non nascono per via del macro-contratto sociale, ma sono
esse stesse ereditate dalle tradizioni o dall’evoluzione.
 Così la TCSI, anche a livello macro-sociale, è quasi del tutto vuota, se
non per la condizione debole di prescrivere il diritto alla voice e all’exit
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 Fonte dei problemi : inversione del rapporto più naturale tra principi
astratti e generali dell’etica e razionalità limitata:
 la razionalità economica delle parti è non meno limitata, cosicché i
contratti particolari non potranno che essere incompleti e quindi
delegare autorità ad alcune parti sulle materie che non possono essere
previste ex ante.
 Lo scopo del contratto sociale è stabilire principi etici che limitano la
discrezionalità, in quanto non contingenti sulla descrizione della
molteplicità delle eventualità che li renderebbe muti.
 l’astrattezza e generalità dei principi morali è non il problema, ma la
risposta al problema posto dalla consapevolezza dei limiti della
razionalità economica e al rischio di abuso della discrezionalità nei
contratti incompleti.
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Dieci anni dopo l’avvio delle teorie normative degli stakeholder :
 Freeman (2000) : si tratta di una teoria solo di tipo manageriale, cioè
non pertinente né per una teoria sociale complessiva, né per una teoria delle
istruzioni economiche in qualche modo alternative a quelle esistenti nel
capitalismo americano.
 Scopo: stabilire l’etica dell’organizzazione in modo compatibile con gli scopi
propri dell’impresa nelle società di mercato (creare e scambiare
ricchezza), cioè permette di stabilire un’etica speciale dell’impresa
capitalista o più propriamente un capitalismo degli stakeholder.
 La proposta più recente: la teoria normativa degli stakeholder
come libertaria (Freeman e Phillips 2002) in contrapposizione con
le posizioni liberal
 Questa svolta limitatrice rischia di costituire l’eutanasia normativa della
teoria degli stakeholder rispetto alle sue promesse (ad esempio in Freeman
ed Evan, o Donaldson e Preston).
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Freeman e Phillips (2002) :
stakeholder
principi di un capitalismo degli
1) Cooperazione tra gli stakeholder: il valore è creato dalla
cooperazione tra gli stakeholder perché essi possono agire congiuntamente
per soddisfare i loro bisogni e desideri facendo accordi volontari;
2) Responsabilità tra e verso gli stakeholder: ogni stakeholder che fa
parte di un accordo volontario è responsabile verso gli altri partecipanti, e
se ci sono terze parti danneggiate devono essere risarcite
3) Complessità motivazionale: il management deve riflettere il fatto che le
persone hanno motivazioni psicologiche complesse e non solo
egoistiche, e agiscono quindi sulla base di valori e punti di vista diversi.
4) Creazione continua del valore: l’impresa è una istituzione per la
creazione continua di valore, e il management crea valore cooperando con gli
stakeholder
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5) Competizione: La competizione emerge in una società libera, dallo
sforzo di innovare in modo da creare sempre nuove opportunità per gli
stakeholder
 Questi principi in realtà non hanno necessariamente
connessone con la posizione libertaria (Nozick)
 Circa l’importanza della cooperazione tra stakeholder:
una
o il libertario non ha molto da dire su come debbano essere regolate
forme di azione collettiva e di cooperazione sociale (produzione di
beni pubblici volte a eliminare esternalità oppure a realizzare attività
congiunte la cui funzione di produzione sia superadditiva)
o Nell’orizzonte libertario ha valore soltanto la libertà negativa e i
diritti che la proteggono, ad esempio il diritti di proprietà, e lo scambio
volontario di titoli di proprietà in modo da ridisegnare le sfere di libertà
negativa su base volontaria.
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o Caso dell’impresa: il rispetto di un certo insieme di diritti negativi
(clausola Lockeana) è tutto quello che il libertario ha da dire sull’equità
dell’accordo.
o Ma come dovrà essere ripartito il surplus, in che modo potremo
dire che esso sia equo? Secondo il libertario nessun esito, purché
accordato volontariamente, è più legittimo dell’altro, nessuno infatti ha
la proprietà sul frutto dell’azione congiunta (azione collettiva o
cooperazione)
o Il surplus è il risultato superadditivo dell’azione congiunta e non
rientra in ciò che può legittimamente fare ciascuno individualmente
grazie a ciò che appartiene alla sua sfera di libertà negativa.
o Inoltre il contratto con il quale si costituisce l’organizzazione è un
contratto incompleto che delega discrezionalità a chi governa l’impresa.
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o L’incompletezza presuppone che vi siano stati di cose in presenza dei
quali le parti non hanno espresso le clausole dello scambio, ma proprio
in relazione ai quali possa emergere il frutto dell’azione congiunta, cioè il
surplus generato dall’attività cooperativa dell’impresa.
o Sulle conseguenze che possono emergere in questi stati non è
prestabilito nessun accordo, né vi è una precedente libertà negativa
che autorizzi alla loro appropriazione
o Tuttavia se la parte in posizione di autorità si potesse appropriare
arbitrariamente di esse, senza alcun vincolo, le altre parti dell’impresa
avrebbero assai scarse ragioni di aderirvi e accettarne l’autorità.
o L’unica base per l’accentazione dell’autorità è dunque il vincolo che essa
operi per garantire un’equa quota di benefici secondo quanto
avrebbero concordato in un accordo originario.
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 Circa la responsabilità tra e verso gli stakeholder:
o dal punto di vista libertario non c’è una responsabilità per le
conseguenze a meno che queste non siano descritte come violazione
delle libertà negative o della proprietà di qualcuno, oppure di contratti
espliciti.
o Ma ci sono molte conseguenze delle azioni su cui non sono ben
definiti diritti di proprietà e che non sono oggetto di libertà
negativa
o Se le transazioni causano costi sociali su terzi, e ci sono costi di
transazione, il libertario non sa che dire a proposito di tali conseguenze,
perché nessuno ha proprietà sugli oggetti in merito ai quali rileviamo i costi
sociali (cioè i beni pubblici), cosicché non c’è un effetto sulle libertà
negative degli altri.
o se il contratto è incompleto, non c’è una volontà esplicitamente
espressa e quindi il libertario non si sente vincolato da alcuna
responsabilità contro l’abuso.
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 il libertario si prende la responsabilità delle conseguenze dell’impresa sugli
stakeholder per anticipare una reazione che porterebbe a una
riduzione della sfera delle attività puramente volontarie a causa di
un intervento autoritativo da parte dello Stato.
o Ma in un mondo di agenti libertari lo stato minimo non potrebbe
correre in soccorso di tali conseguenze negative sugli stakeholder,
semplicemente perché non sarebbero riconosciute come danni degni di
risarcimento o di intervento dal punto di vista libertario.
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4. I difetti delle teorie normative degli stakeholder esistenti
 Le teorie normative degli stakeholder sviluppate in B.E mancano il bersaglio
nella discussione sulla CSR e la corporate governance: mancano le analisi
che mettano in discussione le forme giuridiche e istituzionali
rilevanti.
una tassonomia basata su
tre livelli (Hendry 2001):Ideale, Istituzionale. Manageriale,
tre tipi di pretese: Mera presa in considerazione; Soddisfare gli
interessi;Partecipazione alle decisioni
Claim \ level
ideale
istituzionale
manageriale
Presa
in
considerazione
soddisfare
partecipare
??????
Bowie
41
 Solo l’intersezione tra livello “istituzionale” e pretesa che “l’impresa
soddisfi gli interessi degli stakeholder” mette la teoria degli
stakeholder in lizza nella discussine pubblica sui modelli di governance
(dibattito Bearle & Means VS Dodd 1932)
 le teorie normative degli stakeholder(Bowie, Donaldson, Solomon, Freeman
e Evan, Freeman e Phillips ecc.) si collocano un po’ troppo in alto (livello
ideale) e un po’ troppo in basso (livello manageriale), saltando l’analisi
delle strutture giuridiche e istituzionali
 La teoria del contratto sociale dell’impresa deve essere una teoria
normativa della scelta costituzionale (livello ideale), che conduce (sotto
certi vincoli) a una forma istituzionale che stabilisca in nome di quali
interessi l’impresa deve essere condotta (sia istituzionale che manageriale),
cioè di chi sono fiduciari coloro che gestiscono e governano l’impresa
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