scienza arabo – islamica

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SCIENZA ARABO – ISLAMICA
Appunti di lezione
di Roberto Del Frate
1.
Vorrei delineare con una certa precisione in che cosa sia consistito il contributo originale degli Arabi alla
matematica e all’astronomia (mi limito a queste due scienze in particolare, non sentendomi competente in altre).
Innanzitutto, va detto che parlare di “Arabi” è una imprecisione. Infatti, se è vero che tutti o quasi gli scienziati di cui si
parla scrissero in lingua araba, così come nel nostro Medioevo tutti scrivevano in latino, non è vero che essi furono tutti
di nazione araba. Pertanto, ritengo sarebbe meglio parlare di scienza “arabo - islamica”, dove a islamico si dia un valore
culturale più che religioso nel senso cristiano del termine. 1 Parlare di Avicenna (Ibn Sînâ) come scienziato o filosofo
«arabo» è come dire che Adelardo di Bath era un filosofo o naturalista «latino».
Tornando all’originalità della cultura musulmana, ci si deve guardare dal cadere in una delle due esagerazioni in cui
molti dei suoi studiosi sono caduti. Una è l’esagerazione di chi nega qualsiasi originalità alla cultura arabo – islamica,
facendo degli Arabi solo dei trasmettitori forse intelligenti ma poco originali della scienza greca. L’altra è
l’esagerazione di attribuire agli Arabi e Musulmani come scoperte originali teorie o idee già note ai Greci o agli Indiani
o ad altre civiltà precedenti.
2.
Nel campo della storia della matematica i punti che mi sembra vadano a gloria del pensiero arabo islamico sono i
seguenti:
a) L’uso della notazione posizionale. È indubbio che gli Arabi presero questo sistema dagli Indiani, tanto che in
arabo le nostre «cifre arabe» si chiamano appunto «cifre indiane», ma è certo che uno dei maggiori handicap
della matematica greca era l’insufficiente notazione simbolica, e che l’uso dei numeri arabi attraverso
Fibonacci da Pisa (1202) penetrò in Europa aprendo così possibilità enormi allo sviluppo della matematica. Ma
cosa curiosa e – non molti se ne rendono conto – che tale invenzione indo – araba fu pochissimo usata dagli
Arabi stessi. Quasi tutti gli importanti trattati di aritmetica, algebra, astronomia, trigonometria ecc. arabo –
islamici usano in genere le cifre dell’ abjad, cioè l’alfabeto arabo con lettere usate, in un certo ordine, con
valore numerico (in modo simile ai Greci) e l’uso delle cifre indiane è in generale limitato ai numeri molto
grandi, «astronomici»: è evidente che, essendo difficile scrivere un numero come, che so, 789 935, usando le
lettere dell’alfabeto impiegate numericamente, questo veniva scritto in «cifre arabe» o «cifre indiane».
b) L’algebra svincolata dalla geometria. È certo che – sebbene l’algebra di al – Khuwârizmî (ca. 830) non mostri
alcun segno di notazione simbolica, restando indietro rispetto a Diofanto che già ne ha una embrionale e usi
ancora abbondantemente di procedimenti geometrici, ben noti ai Greci, per la soluzione delle equazioni, - essa
mostra, soprattutto nei problemi di «eredità» propri del diritto canonico islamico e in quelli di divisione in
parti, una mentalità «non geometrica» che sembra tipica del mondo arabo – islamico in confronto a quello
greco. Un esempio un po’ più tardo delle sottigliezze dei calcolatori musulmani di divisioni in parti
proporzionali, con abile uso delle frazioni, è dato per esempio nella Enciclopedia dei «Fratelli della Purità»,
specie di massoneria del X secolo, dove si pone questo problema: Due compagni che viaggiano si fermano a
mangiare. Uno aveva due pagnotte e l’altro tre. Invitano anche un passante a mangiare con loro. Quando
finiscono, il passante dà loro cinque drachme, dicendo:«Dividetevele equamente fra voi!». Quello delle due
pagnotte propone, interpretando ‘equamente’ come ‘a metà’, di dividere le cinque drachme a metà fra di loro.
L’altro dice:«No! Io dovrei averne tre e tu due!». Litigano, e finiscono davanti a un giudice che capiva la
legge, il quale decreta che quello delle due pagnotte dovesse avere una drachma, e quello delle tre pagnotte
quattro drachme! Il testo non spiega perché, ma il ragionamento è abbastanza evidente. Infatti, malgrado
l’apparente giustezza della proposta di chi vorrebbe dare tre drachme a chi aveva tre pani e due a chi ne aveva
due, chi ne aveva tre ha dato, in proporzione, più di quanto non pensi “intuitivamente”. Cinque pani diviso tre
fanno 5/3 di pane, il che, su cinque pani significa 5/3 diviso 5 cioè 5/15. Ogni persona avrà, cioè 5/15
dell’intera proprietà. Ma quello che aveva tre pani possedeva 3/5 cioè 9/15 della proprietà mentre quello che
aveva due pani ne possedeva 2/5, cioè 6/15. Per dare i suoi 5/15 al nuovo venuto il primo dovrà dare 9/15 –
5/15 cioè 4/15. L’altro dovrà dare 6/15 – 5/15 cioè 1/15. Quindi il reale rapporto di quel che danno rispetto a
quel che posseggono è di 4 a 1! Non solo questi (e simili problemi connessi col diritto canonico islamico), ma
certo anche questi problemi, contribuirono allo speciale interesse dei musulmani per un’algebra svincolata
dalla geometria. Al – Khuwârizmî presenta la prima sistematica ed esauriente trattazione di tutte le equazioni
di 1° e 2° grado, anche se, contrariamente a quanto può credere qualcuno che non lo abbia letto nell’originale,
il trattato di al – Khuwârizmî abbia ancora molto di comune, nelle dimostrazioni, col metodo geometrico
euclideo e sia completamente privo di simbolismo matematico (è del tutto discorsivo).
L’Islam è soprattutto religione di legge, e suo scopo è creare un regno di Dio sulla terra, non precipuamente quello
della salvezza personale dell’anima del credente. La “legge” e non la “teologia” è l’interesse centrale dell’ideologia
musulmana classica, per la quale cultura, politica e religione finiscono per identificarsi.
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2
Intorno all'830 d.C. Muhammad ibn Musa al - Khuwârizmî compose il primo trattato arabo di algebra e iniziò una
scuola algebrica nel mondo arabo che durò per parecchi secoli. Come scolaro della Casa della Sapienza, che iniziò
in Baghdad come biblioteca di Harun al - Rashid (che regnò dal 786-809) e fiorì sotto il califfo al - Ma'mun (che
regnò dall' 813-833), al - Khuwârizmî, insieme al collega Banu Musa diresse e indirizzò gli interesse intellettuali
spaziando dall'algebra e geometria all'astronomia e alla traduzione dei manoscritti scientifici greci. In questa
atmosfera di mecenatismo al - Khuwârizmî scrisse il suo trattato intitolato:
Al -Kitab al mukhtasar fi hisab al-jabr w'al-muqabala [The compendious book on calculation by completion
and balancing; Libro di compendio nel processo di calcolo per trasporto ed equazioni] 2.
Era concepito come un testo elementare di matematica pratica ed iniziava con una discussione di algebra delle
equazioni di 1° e 2° grado e le sue due parti finali erano dedicate a problemi di misura e legali.
 Quali sono le fonti dell' al-jabr wa'l-muqabala?
L'uso delle giustificazioni geometriche nelle manipolazioni algebriche insieme al fatto che gli Elementi di Euclide
esistevano in due distinte traduzioni dal greco in arabo da parte del suo contemporaneo alla Casa della Sapienza, al
- Hajjaj ibn Yusuf ibn Matar, suggerisce una linea di discendenza da Euclide. D'altra parte, a causa del trattamento
della geometria pratica, così vicina a quella seguita dal testo ebraico Mishnat ha Middot, che è datato intorno al 150
a.C., c'è anche un'ancestrale evidenza semitica. La trattazione delle equazioni di 2° grado ricorda lo stile
babilonese, mentre il suo stile completamente retorico rimanda agli Indù e ai testi greci più tardi come l'Arithmetica
di Diofanto. La prima traduzione araba dell' Arithmetica di Diofanto non fu completata fino alla metà del IX secolo
o più tardi da Qusta ibn Luqa, per cui si può ritenere che le idee teoriche di Diofanto non entrarono in conflitto con
la matematica araba. Si può pensare che l' al-jabr wa'l-muqabala sia cresciuta come una selezione naturale di idee.
Nella parte algebrica di apertura dell' wa'l-muqabala, al - Khuwârizmî distingue e risolve sei tipi di equazioni, che
in notazione moderna sono:
ax ^2 = bx , ax ^2 =c , bx = c , ax ^2 + bx =c , ax ^2 + c = bx e bx + c = ax ^2
in modo che a, b e c siano sempre positivi, in sei casi separati, come era consuetudine fra i matematici del tempo in
quanto essi non conoscevano i coefficienti nulli e i numeri negativi. Questo modo di procedere permette di evitare
che vi possano essere numeri negativi che compaiano da soli in un membro di un'equazione e che si effettuino
sottrazioni in cui la quantità sottratta possa essere maggiore del sottraendo.
Al - Khuwârizmî presenta sistematicamente le soluzioni algebriche, note fin dai tempi dei Babilonesi, di casi
particolari e poi giustifica geometricamente le sue regole algebriche. Un esempio di equazione di secondo grado
trattata da al - Khuwârizmî suona così: <<Un quadrato e 10 delle sue radici sono uguali a 9 e 30 dirhems, cioè tu
sommi dieci radici e un quadrato e la somma è uguale a nove e trenta.>>. La soluzione viene spiegata in questo
modo:<<Prendi metà del numero delle radici, cioè in questo caso cinque, poi moltiplicalo per se stesso e il risultato
è cinque e venti. Somma questo a nove e trenta, il che dà sessantaquattro; prendi la radice quadrata, cioè otto, e
sottrai da essa la metà del numero delle radici, cioè cinque, e rimane tre. Questa è la radice>>.La soluzione segue
esattamente le linee del metodo del completamento del quadrato.
In notazione moderna il problema doveva risolvere l'equazione:
x ^2 + 10x = 39 per x ^2.
Il metodo utilizzato è passo passo traducibile in
1/2 X10 = 5,
5^2 = 25,
39 + 25 =64,
√64 = 8,
8-1/2X10 = 3
così x = 3 e
x^2 = 9.
Al - Khuwârizmî dà il seguente metodo geometrico per risolvere l'equazione x ^2 + 10x = 39.
Si supponga che AB rappresenti il valore dell'incognita x e si costruisca il quadrato ABCD. Si prolunghi DA fino a
H e DC fino a F in modo che AH = CF = 5, che è uguale alla metà del coefficiente di x, e si completi poi il
quadrato su DH e DF. Allora, le aree I; II e III sono rispettivamente uguali a x², 5x e 5x e la loro somma è uguale al
2
La parola al-jabr significa "ristabilire" e in questo contesto significa precisamente ristabilire l'equilibrio in
un'equazione scrivendo in un suo membro un termine che era stato eliminato dall' altro membro; così, se -7 viene
eliminato da x²-7=3, l'equilibrio viene ristabilito scrivendo x²=7+3 .
al-muqabala significa "semplificazione", come quando si scrive 7x in luogo di 3x+4x o quando si sottraggono
termini uguali da entrambi i membri di un'equazione.
al-jabr venne anche a significare "conciaossa" e quando i Mori trasportarono il termine in Spagna esso divenne
algebrista, continuando a conservare quest'ultimo significato. In quel periodo era molto comune in Spagna vedere
un' insegna con la scritta "Algebrista y Sangrador" (conciaossa e salassatore) sopra l'ingresso delle botteghe dei
barbieri perché i barbieri, allora come nei secoli successivi, si occupavano anche di fornire i trattamenti medici più
semplici.
L'incognita viene chiamata cosa o radice (di una pianta) e da questo uso deriva il nostro termine radice.
2
3
primo membro dell'equazione. Si sommi ora la entrambi i membri l'area IV, che è uguale a 25. Allora, l'intero
quadrato è uguale a 39 + 25 = 64 e perciò il suo lato deve essere uguale a 8. Ne segue che AB = AD = 8 - 5 = 3 e
questo è il valore di x. Il ragionamento geometrico si basa sulla proposizione 4 del libro II degli Elementi.
H
A
D
I
II
C
B
IV
III
F
c)
Forse più "nuovi" e importanti sono i tentativi arabi di risolvere equazioni di terzo grado sia con metodi
approssimati, sia con metodi geometrici. Un esempio basto su una approssimazione sempre maggiore è quello
proposto da al-Birûni (sec. X) nel suo Canone Astronomico3. Si tratta di trovare la corda di un arco di 40°, cioè
il lato di un poligono di 9 lati inscritto in una circonferenza. Al-Birûni, dopo un procedimento geometrico,
giunge a un'equazione del tipo: x^4 = 3x^2 + x, facilmente riducibile all’equazione di 3° grado x^3 = 3x + 1.
F originale per mostrare al vivo il modo di esprimersi, formalmente
Vale la pena di tradurre esattamente il passo
ancora «retorico», cioè senza simboli algebrici, usato da questi scienziati musulmani.
«Si giunge così a tre censi e una cosa uguali a un censo del censo (cioè 3x^2 + x = x^4); scaricando4
una volta, diventa: uno e tre cose uguale a un cubo (1 + 3x = x^3) i cui gradi (marâtib) non combinano
(tatalâsiq) altro che per successive proporzioni e comunque per approssimazione. Perseverando [nelle
successive proporzioni] si ottiene la cosa che risolve questa equazione per approssimazione (bi’t-taqrîb) e cioè
1; 52, 15, 17, 13». (In frazioni sassagesimali, ed espresso in lettere, alla greca, senza usare le «cifre indiane»! Il
risultato è di notevole esattezza, perché corrisponde a un grado di accuratezza di oltre sei cifre decimali. AlBirûni usa spesso questo metodo, manca in lui quell’orrore per l’approssimazione che è tipico dei matematici
greci.
d) Sia Birûni qui, sia, più apertamente, il grande poeta e matematico Omar Khayyâm (1050-1122) ritenevano
(erroneamente) che fossero impossibili soluzioni aritmetiche delle equazioni di terzo grado. Omar Khayyâm
abborda in modo sistematico le equazioni di terzo grado con metodo geometrico, cioè mediante l'intersezione
di coniche. Consideriamo uno dei casi più semplici che vi vengono trattati, cioè quello dell'equazione x^3 + Bx
= C, con B e C positivi. Khayyâm scrive l'equazione nella forma x³ + b²x =b²c dove b²= B e b²c = C.
Costruisce poi una parabola il cui latus rectum è uguale a b. Questa quantità determina la parabola e sebbene
la curva non possa essere costruita nella sua interezza con riga e compasso, è possibile costruirne quanti punti
si vogliono. Traccia poi il semicerchio avente come diametro QR di lunghezza uguale a c. Allora, l'intersezione
P della parabola e del semicerchio determina la perpendicolare PS e QS è la soluzione dell'equazione.
La dimostrazione di Khayyâm è puramente sintetica. Dalla proprietà geometrica della parabola data da
Apollonio (o come si può vedere dall'equazione x²=by) si ha
x² = b·PS,
o anche
b / x = x / PS
Consideriamo ora il triangolo rettangolo QPR. La sua altezza PS è media proporzionale tra QS e SR e perciò
x
PS
=
PS c - x
b
PS
=
x c-x
PS = x ^ 2 / b
Al-Qânûn al Mas’ûdî, o «Canone [astronomico dedicato a] Mas’ûd [di Ghazna]»
Il verbo usato è hattata, letteralmente «scaricare», termine tecnico dell’algebra islamica, cioè «diminuire di un grado
l’equazione dividendo il tutto per x».
3
4
3
4
Sostituendo questo valore nell'equazione b/x = PS/(c-x) sivede che x soddisfa all'equazione x³ + b²x =b²c.
(vedi FIG)
Khayyâm risolve anche equazioni del tipo x³ +ax² = c³, le cui radici sono determinate dall'intersezione di un
'iperbole e di una parabola, ed equazioni del tipo x³±ax²+b²x=b²c, le cui radici sono determinate
dall'intersezione di un'ellisse e di un'iperbole. Risolve pure l'equazione di quarto grado (100-x²)(10-x)²=8100,
le cui radici sono determinate dall'intersezione di un'iperbole e di un cerchio. Khayyâm dà soltanto le radici
positive.
La soluzione delle equazioni di terzo grado mediante l'uso di coniche che s'intersecano è il risultato più
importante dell'algebra araba.
e) La geometria araba fu influenzata principalmente da Euclide, Archimede ed Erone. Gli Arabi scrissero
commentari critici agli Elementi di Euclide e ciò è sorprendente, perché rivela che apprezzavano il rigore
nonostante non se ne curassero, di solito, per quel che concerne l'algebra. Un nuovo argomento, divenuto
popolare nell'Europa rinascimentale e studiato per la prima volta dal persiano Abû'l-Wafâ o Albuzjani
(940-98), è quello delle costruzioni effettuate mediante la riga e un cerchio fisso (cioè, con la riga e con un
compasso avente apertura fissa).
f) Altro sostanziale contributo arabo - islamico alla matematica è il perfezionamento della trigonometria. È
noto che i Greci operavano con le corde, anziché con i seni, con notevoli risultati, certo, ma con maggiore
complicazione di calcoli. Anche in questo campo gli arabo - musulmani «popolarizzarono»e divulgarono
in Occidente, un'idea che era, alle origini, indiana. Gli Arabi presero cioè, dagli Indiani l'idea di sostituire
alle più ingombranti corde il seno di un arco, cioè la metà della corda dell'arco doppio. Le principali tappe
della trigonometria araba sono rappresentate da Habash (primo decennio del sec. X), Abu 'l-Wafâ, al Biruni, Nasîr ad - Din Tûsî (1201-1274) e dalla scuola astronomica di Ulugh Beg intorno all'osservatorio
di Samarcanda (secc. XIV-XV).
Il nostro nome di «seno» è mediamente, di origine araba. Infatti il termine sanscrito jyâ (variante:
jîvâ), corda di un arco (arma), poi anche "corda geometrica", era usato dai matematici indiani in luogo del
più esatto jyârdhâ (mezza corda, cioè seno). Gli Arabi arabizzarono jîvâ in jîb, che nella scrittura araba,
può leggersi anche jaib. Ma jaib, per un curioso caso, significa in arabo "tasca", "seno", "sacca". In
Europa, nel XII secolo, con Adelardo di Bath (1075-1160), s'introduce il prestito arabo elgeib, mentre il
calco linguistico sinus compare per la prima volta nelle traduzioni del famoso Gherardo da Cremona, suo
contemporaneo (1114-1187).
g) Dopo Biruni, altri astronomi si provarono in altri metodi di approssimazione. Il più interessante è forse quello
di un astronomo piuttosto tardo, della scuola di Samarcanda, Ghiyâth ad-Din Jamshîd al Kâshî (m. 1429),
persiano, il quale, con metodi geometrici basati su teoremi tolemaici, giunse, per il seno dell'arco di 1°, a
un'equazione di 3° grado di questa forma (chiamiamo x il seno richiesto e il raggio del cerchio: non si
dimentichi però anche Ghiyâth ad-Din descrive a parole l'equazione!):
4 3
x
3r 2
r2
2
3 / 4r - sen 3° = x 3
4
x = 1 / 3 sen 3° +
ovvero
L'originalità di Ghiyâth ad-Din non sta tanto nell'aver visto che la trisezione dell'angolo comporta
un'equazione di 3° grado (cosa già nota), quanto nella soluzione che dà a quell'equazione, in un modo che
ricorda quello che la matematica moderna chiama "sviluppo in serie".
Chiamando 3/4 r²P e r²/4sen3°Q avremo x³ + Q = Px dove P e Q sono numeri positivi e P è,
ovviamente, molto grande rispetto a Q (dato che sen3° è una quantità molto piccola). Evidentemente anche x
Q + x3
sarà molto piccolo e ancor più x³. Avremo pertanto x =
, ma, data la grande piccolezza di x³ sarà,
P
approssimativamente, x = Q/P. Questa divisione darà un quoziente a e un resto R cioè Q = a·P + R. Il valore
preciso di x sarà in ogni caso maggiore di a, poniamo, = a+m. Avremo così:
Q + (a + m) 3 a • P + R + (a + m) 3
R + (a + m) 3
a+m =
=
=a+
P
P
P
4
5
R + a3
e, approssimativamente, dato il valore piccolo di m e delle sue potenze, a + m ~ a +
. La divisione
P
R + a3
darà a sua volta il quoziente b e il resto S così che R = b.P+S-a³. Poniamo ancora x = a + b + p. Da ciò
P
segue:
a+b+p =
Q + (a + b + p ) 3
R + ( a + b + p) 3
S - a 3 + (a + b + p) 3
e,
=a+
= a+b+
P
P
P
approssimativamente, per le ragioni già dette
S - ( a + b) 3 - a 3
. Continuando così, ci si approssimerà sempre più al valore di x.
P
_8
È un risultato notevole, il cui errore è minore di 10 !
a + b + p ~a + b +
5
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