Alexis De Toqueville è un illuminista, contemporaneo di

ALEXIS DE TOCQUEVILLE
Alexis De Tocqueville (1805-1859) è un illuminista, contemporaneo di
August Comte (1798-1857), che Emile Durkheim (1858-1917) riconoscerà
essere stato il fondatore della sociologia. Nella sua opera infatti Comte, il
fondatore del positivismo, descrive una compiuta società ideale, basata sulla
collaborazione fra classi diverse, è poi seguita facendo riferimento soprattutto
alle sue formulazioni di ordine morale, alle sue intenzioni cioè di coniugare, in
termini analoghi alla tradizione utopica, progetto politico e regole etiche. Mentre
Comte era un conservatore interessato alla sociologia al fine di osservare e
prevenire il disordine sociale per poter programmare la costruzione di una
società migliore, Tocqueville, pur essendo di origine aristocratica, si ispira
all’illuminismo francese e si pone come un incuriosito osservatore dei
cambiamenti sociali, partecipando anche attivamente alla vita politca in qualità di
deputato all’Assemblea Nazionale. Contemporaneo anche di Karl Marx (18181883), Tocqueville è promotore di numerose iniziative volte ad ottenere
l’abolizione della schiavitù, ed a favore di un regime carcerario meno disumano,
secondo gli insegnamenti di Cesare Beccarla (1738-1794).
Tocqueville è stato un uomo il cui pensiero è ancora attuale, essendo
vissuto in un periodo in cui le scienze sociali si stavano formando per distacco
dalle discipline “classiche” quali la storia e la filosofia. Il “fatto sociale” infatti è
l'opzione "classica" di Durkheim e nessuno dopo di lui ha saputo darne una
versione più chiara ed esplicita. Il fatto sociale è iscritto nell'ordine della natura e
"spiegare" non può che essere descrizione ed enunciazione di rapporti causali
ed oggettivi (erklaren). La società è una forma esterna e indipendente da coloro
che singolarmente ne fanno parte. E' una realtà. Questa società come fatto
naturale, oggettivo, esterno, che precede l'individuo stesso, può essere studiata
con procedure rigorose e controllabili ispirate al metodo delle scienze fisiche e
naturali.
Quella di Durkheim è una nozione che è stata aspramente criticata da
Gabriel Tarde (1843-1904), un suo contemporaneo, che l'ha definita "realista",
mutuando il termine dalla filosofia medievale. Inoltre Tarde ritiene limitativo
circoscrivere i fenomeni sociali a quelli che esercitano una costrizione, perché si
escluderebbero tutte quelle relazioni sociali fondate sulla cooperazione e sulla
imitazione che non hanno nulla di costrittivo [SOROKIN, 1974].
Nella sua più celebre opera, La democrazia in America, Tocqueville
analizza le dinamiche che sottostanno alla nascita di quella che, ancora oggi, è
considerata la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America.
Secondo l’analisi del pensatore francese, gli USA non sono scaturiti da una
rivoluzione, come molte nazioni europee dopo le rivoluzioni borghesi del 1848, o
la Francia del 1789 o il Commonwealth nell’Inghilterra repubblicana di Oliver
Cromwell del 1651 o della cacciata di Carlo II° Stewart del 1668 e ascesa al
trono della casata olandese con Guglielmo Orange, ma sono uno stato nuovo,
che non confina con altri, e con immensi territori e ricchezze naturali.
In America il liberalismo (libertà di stampa, di culto, di perseguire
liberamente l’attività economica preferita) convive con la democrazia e
l’individualismo, che talvolta può tuttavia divenire egoismo, come accade nelle
democrazie nate dalle rivoluzioni, in cui gli ex aristocratici ricchi si isolano dal
popolo che si è contemporaneamente elevato. Popolo che, memore delle recenti
lotte di classe e delle diatribe con i nobili, manifesta diffidenza ed ostilità nei loro
confronti.
L’individualismo tuttavia, sostiene Tocqueville, è da considerarsi un fattore
positivo e tipico della democrazia, nel momento in cui si manifesta spingendo il
cittadino a concentrarsi su se stesso o su ambiti più ristretti come la famiglia,
lasciando così la gestione allo Stato in nome del popolo sovrano. Tuttavia non
bisogna chiudersi troppo in se stessi dando spazio all’egoismo.
Negli USA i cittadini sentono di essere eguali gli uni agli altri, sia i ricchi,
che lo sono diventati, sia i poveri, che sono consapevoli di poter migliorare la
propria condizione, e la cui situazione non è comunque così negativa come nei
regimi aristocratici, nei quali i nobili sono così abituati alla ricchezza da non
curarsene, dedicandosi a condurre una vita dissoluta, mentre i meno abbienti
non hanno alcuna speranza di migliorare il proprio status.
Dopo una rivoluzione, afferma il pensatore francese, i nobili solitamente si
isolano, senza tuttavia soffrire particolarmente la perdita di parte della loro
ricchezza, rispetto a coloro che precedentemente vivevano in condizioni di
povertà e di ingerenza, preoccupati di poter perdere il nuovo status e benessere
acquisiti a fatica dopo tante pene e sofferenze. “Il grande vantaggio degli
Americani è di essere arrivati alla democrazia senza aver dovuto passare
attraverso una rivoluzione democratica e di essere nati uguali al posto di
diventarlo”.
Negli Stati Uniti il bene comune e collettivo è percepito dai cittadini come
un sentimento ed un dovere condiviso da tutti, superiore addirittura all’interesse
individuale. Questo sentimento di uguaglianza è dovuto all’assenza di moti
rivoluzionari e di aristocratici, per cui tutti i cittadini sono uguali ed i ricchi si
preoccupano di non fare eccessivo sfoggio dei loro beni, prendendosi cura anche
dei meno abbienti.
Molto probabilmente questa psicologia politica in Tocqueville influenza gli
studi successive sulla spiegazione degli eventi collettivi in base a motivazioni in
primo luogo mentali, o comunque lo studio delle motivazioni interiori dell'agire
politico, che sono alla base dei primi e fondamentali studi di Gustave Le Bon
(1841-1931) e della sua opera Psicologia delle folle, del 1895 (“Ho letto tutta
l'opera di Le Bon – dirà più tardi Mussolini- e non so quante volte abbia riletto la
sua Psicologia delle folle. E' un opera capitale alla quale ancora oggi spesso
ritorno").
Anche questo pensatore, francese, era stato assai colpito dalle folle
rivoluzionarie: da quelle del 1789 a quelle della Parigi della Comune del 1871,
che aveva potuto osservare direttamente, e quelle degli anni successivi. Egli
notava nella folla spontanea un fenomeno di enorme suggestionabilitá reciproca,
di tipo ipnotico, con l'emergere conseguente di tratti di atavismo o primitivismo,
da branco o meglio orda primordiale, in cui tutte le emozioni e sentimenti
venivano esasperati: si trattasse di paure, di forme di entusiasmo, di
manifestazioni di aggressivitá o di coraggio di fronte al pericolo. Il prevalere delle
pulsioni irrazionali, spesso connesso all'azione addirittura di ipnosi di fatto da
parte di agitatori, avrebbe reso le folle inconsce, e perció capaci di atti che i
singoli componenti non avrebbero compiuto mai se presi uno ad uno.
Tocqueville, durante il suo viaggio in America, rimase particolarmente
colpito dall’alleanza tra lo spirito di religione, e lo spirito di libertà, possibili grazie
alla separazione tra religione potere temporale, fonte di estrema democrazia,
insieme all’enorme prestigio della magistratura, primo potere dello Stato.
Ne La democrazia in America, infatti, il pensatore francese rovescia il modo
in cui il pensiero settecentesco, da Rousseau in poi, ma partendo anche da
Macchiavelli, aveva affrontato il problema, descrivendo empiricamente il
funzionamento di una democrazia esistente, anzichè deducendo logicamente
quale forma di governo possa attuare gli ideali di libertà - intesa come ideale di
vita morale dell’uomo, viene intesa come un compito da realizzare - e di
eguaglianza cui adeguare la realtà storico-politica.
Ad interessarlo è il funzionamento delle istituzioni, del potere e l’assetto
sociale, che, nelle analisi di Tocqueville, ha importanza pari a quello dell struttura
in Karl Marx. E proprio percorrendo la strada della moderna sociologia della
conoscenza, esamina l’influsso di un assetto sociale sul movimento intellettuale,
sui sentimenti, sui costumi, e come questi poi reagiscono sulla società politica.
L’analisi di Tocqueville aspira a cogliere le relazioni tra assetto sociale e cultura,
anticipando il pensiero gramsciano.
Mettendo in luce le passioni dei popoli e delle classi, si differenzia
dall’impostazione hegeliana di Marx, che parte dalla struttura economica per
interpretare il mondo. Infatt, per Toqueville è la pricologia degli uomini e della
classi sociali, e non il volere imperscrutabile della Provvidenza o un ciaco
determinismo economico, a spingere l’umanità vesro l’uguaglianza delle
condizioni. Si tratta quindi di vinvcere gli “istinti selvaggi” propri dell’umanità, che
portano inevitabilmente verso una mera eguaglianza, mirando al raggiungimento
dell’utile, contemperandolo con il giusto, unendo benesse a virtù, disciplinando
ed educando la libertà naturale dalla libertà civile (o morale): in questo modo
l’uomo deve combattere soltanto contro se stesso.
Difatti, condizione indispensabile della libertà Americana è la stessa natura
del paese: con grandi spazi che allentano la durezza dei conflitti politici e sociali,
e li scaricano localmente senza coinvolgere tutta la nazione; con una frontiera in
movimento, che consente una rapida mobilità sociale; e, infine, con l’essere
questo continente di fatto un’isola, circondata dal mare e non da nazioni ostili,
come l’Utopia di Tommaso Moro del 1516. E proprio questa situazione consente
agli Stati Uniti di non avere “grandi guerre da temere” e, proprio per questo, di
poter mantenere una struttura politica articolata e decentrata, perchè I “popoli
confederati non possono lottare a lungo, a parità di forze, contro una nazione,
dove il potere del governo è centralizzato”.
Tocqueville capovolge più avanto questa impostazione, sostenendo che fra
le cause che tendono a conservare in America le libere istituzioni, le circostanze
diventano meno importanti delle leggi, e le leggi meno importanti dei costumi. Fra
I costumi appare, in primo luogo, la particolare condizione religiosa degli
Americani, quell’alleanza dello spirito di religione con lo spirito di libertà, che
consente il nuovo esperimento di libere Chiese in un libero Stato; in secondo
luogo appare l’assenza negli Stati Uniti di movimenti politici fortemente
ideologicizzati, dovuta alla profonda differenza fra la Rivoluzione Americana e
quella francese: la prima, diversamente dalla seconda, non ha dovuto
distruggere una società feudale, ma solo difendere una democrazia che già
esisteva. In francia, invece, la religione era ancora abituata a sentirsi legata al
potere politico, sia quando lo sosteneva, sia quando lo osteggiava, e dove non
c’era la democrazia, ma un suffragio elettorale assai ristretto, e insieme una
rivoluzione democratica impersonata da partiti ad alta carica ideological. La
maggioranza che teme Tocqueville, infatti, non è tanto quella parlamentare, ma
quella resa possible sotto il governo giacobino dalla pressione delle masse
popolari, già denunciata dai dottrinari della Restaurazione. Egli teme la tirannide
della maggioranza “legale” degli elettori, non solo perchè esssa ritiene di poter
fare tutto agendo attraverso una legge, ma soprattutto perchè, con la sua
pressione conformistica nella vita sociale, ad di fuori degli organi di governo,
riesce a dettar legge persino al pensiero.
La chiave di volta sul piano economico per comprendere questa rivoluzione,
restavano le leggi sulle successsioni che, in Francia come in America, avrebbero
tolto all’aristocrazia le basi stesse del potere, consentendo il formarsi di una
classe media di piccoli contadini proprietary e una più intense mobilità sociale. La
democrazia, invece, favorisce lo sviluppo dell’industria, e l’apparire di una nuova
aristocrazia, quella dei capitalisti, che può reintrodurre “la disuguaglianza
permanente delle condizioni” e una nuova condizione servile. Il conflitto di classe
risulta inevitabile: l’industria fa retrocedere continuamente la classe degli operai,
dall’altro innalza quella dei padroni”.
Tuttavia l’esperienza Americana, alla base della quale vi è comunque il
suffragio universale, dimostra che le classi medie possono governare uno Stato,
differentemente dalla classe media francese che governava il paese sotto la
monarchia di luglio, con un suffragio elettorale assai ristretto, e che sarà la causa
di distacco del popolo dalla vita politica, ed il motore della protesta operaia del
1948. Alla fine, come per la rivoluzione del 1789 che opponeva aristocrazia a
classe media, anche in questo caso si tratta di lotta di classe, ma tra classe
media e classe operaia. Lo Stato assoluto, infatti, non volendo attivare o volendo
distruggere gli organi di autogoverno della società corporative francese, volendo
impedire che la nazione “ridomandasse le sue libertà”, fu costretto “a vigilare
senza tregua affinchè le classi rimanessero divise e non potessero concertare
una resistenza concorde”: “la divisione delle classi fu vera colpa dell’antica
monarchia”; e da questo peccato originale la Francia non si purificò mai: oggi “il
borghese è altrettanto diviso dal popolo, quanto il gentiluomo lo era dal
borghese”. In questo, il processo di transizione della Francia da un assetto
sociale aristocratico a uno democratico differisce profondamente da quello
dell’Inghilterra, dove l’autogoverno locale e la libertà politica avevano consentito
che I confini fra I ceti fossero assai più sfumati.
Il centralismo è la stessa causa dello spirito rivoluzionario dei francesi e
della loro impotenza alla libertà: con l’ostacolare ogni reale forma di
partecipazione politica, col sostituire l’intervento dello stato alle diverse forme di
autogoverno locale, l’assolutismo impedì il radicarsi ed il consolidarsi nella
società francese del gusto e della capacità dell’autogoverno, e creò soltanto
uomini servili, in cerca di un buon posto negli ingranaggi amministrativi del
governo, o ribelli, disposti solo a contestare la società presente per crearne una
del tutto nuova ed immaginaria, come gli “economisti del 1750” o I socialisti del
1848.
Il centralismo resta il peccato originale della storia francese, dal quale le
nuove e future rivoluzioni, quelle democratiche e quelle socialiste, non
riusciranno mai a purificarla. Infatti I riformatori del 700 non volero distruggere la
natura accentrata dello Stato francese, vollero “soltanto prendere a prestito il
braccio del potere centrale, e servirsene per tutto distruggere e tutto rifare
second oil disegno da essi ideato”. Gli stessi socialisti del 1848 non sono immuni
da questo peccato.
Anche per questi motivi, Tocqueville ritiene che per guardar fuori
bisognasse uscire dalla Francia: il dibattito politico nel suo paese restava infatti
dominato dai ricordi della Rivoluzione, nei confronti della quale ogni partito era
chiamato a chiarire la propria posizione e a scegliere una fra le tante ideologie
che essa aveva prodotto: il dibattito, così, si estraniava sempre più dalla
concretezza della realtà, legato ai ricordi e non in vista del futuro.
La libertà degli antichi di partecipare collettivamente e direttamente alla
formazione della volontà dello Stato non è necessariamente contrapposto alla
libertà dei moderni, ma deve esssere in qualche modo mantenuta in un grande
Stato, pena la perdita delle libertà. Per Tocqueville l’utopia rousseauiana della
democrazia diretta, del piccolo Stato, deve essere parzialmente realizzata anche
nel grande Stato, anche in una società di massa, altrimenti non solo non c’è
democrazia, ma non c’è neppure libertà. Lo strumento è una struttura pluralistica
e non monistica dello Stato che, come quello federale, consenta quelle
articolazioni interne, quelle differenziazioni che il principio francese un popolo=un
governo non permette. Attraverso ampie libertà o autonomie locali che diano agli
uomini la possibilità di partecipare alla gestione delle cose comuni; attraverso
ampi spazi di libertà, nei quail libere associazioni possano intervenire per
risolvere alcuni problemi della comunità e, con l’eludere l’intervento impersonale
della macchina burocratica dello Stato, consentano ai gruppi di autogovernarsi;
infine e soprattutto attraverso elezioni frequenti a diversi livelli, per una
molteplicità di funzioni pubbliche, con limitazioni alla rieleggibilità, onde
consentire, oltre ad una vasta circolazione delle elites, che, il potere, non
essendo tutto concentrato in un punto, non possa essere totalmente
monopolizzato dai partiti, che agiscono solo in vista di conservare il proprio
potere, al contrario di quanto si era storicamente realizzato in Francia
nell’incontro fra l’esperienza democratico-giacobina e la tradizione del
centralismo amministrativo.
Riguardo la contrapposizione fra spirito di religione e spirito di libertà, tra
cristianesimo e democrazia, solo la netta distizione tra la sfera politica e la sfera
religiosa, solo l’assoluta autonomia delle due funzioni, può essere il presupposto
del loro storico incontro. Come la democrazia, per esistere, ha bisogno della
libertà, così pure essa ha bisogno ha bisogno di autentiche passioni religiose;
una democrazia materialistica, fondata cioè sul mero benessere, o su una
concezione atea dell’uomo, è una democrazia senza speranza. Secondo
Tocqueville la religione è anche un fatto pubblico, una “istituzione politica”, e non
un fatto meramente privato, dove il governo non aveva il diritto di intervenire.
Nello stesso tempo, la religione non deve essere neppure un docile vassallo del
potere, perchè condizione indispensabile per la religione è l’assoluta libertà nella
sua propria dimensione, che politica non è (libere Chiese in libero Stato).
La democrazia vuole l’eguaglianza nella libertà e il socialismo vuole
l’eguaglianza nella servitù; così la libertà, come aveva fatto I conti con
l’eguaglianza, avrebbe dovuto farli anche con il socialismo, portando alla
conclusione inevitabile secondo la quale il socialismo, data la struttura dei
sistemi politici europei, si sarebbe tradotto in statalismo.
Il livellamento delle condizioni sociali porta all’aumento dei salari, e, a mano
a mano che i salari aumentano, le condizioni si livellano.
Tocqueville vive in un periodo in cui l’aristocrazia era morta, ma la
rivoluzione non aveva creato alcun nuovo assetto duraturo; Tocqueville si era
infatti proposto l’immane compito di terminare la Rivoluzione democratica,
cercando di coniugare liberalismo e democrazia, e si era così schierato su
posizioni radicali.
Ritiene che il destino dell’Europa non vada letto nel suo passato,
cercandone l’unità nella diversità, ma vada colto in America, poichè la carica
livellatrice insita nella rivoluzione democratica tende a rendere le nazioni del
vecchio continente sempre più uguali.
Parimenti, come sociologo della conoscenza, critica le conseguenze della
sete di eguaglianza e benessere, che, contribuendo alla maggior diffusione della
cultura, porta ad un appiattimento delle lettere e delle scienze, atrraverso la
creazione di un’”industria culturale”. Tutto questo porta inevitabilmente ad un
modello di grigio uomo commune, con rozzi gusti e sentimenti edonistici, schiavo
del materialismo, del conformismo di massa che ne impediscono lo sviluppo
morale interiore.
Tocqueville ammira invece l’Inghilterra perchè vi è una compenetrazione
delle classi, e non una rigida separazione, come in Francia, anche se nel
contempo critica i sottili e precari equilibri giuridici dello Stato misto, che non
crede possano risolvere il problema della libertà nel rapporto fra governo e
società civile.
Sotto il profilo metodologico, infatti, Tocqueville critica implicitamente
l’ottocentesca filosofia della storia, che pretende di dare all’uomo una facile
ricetta sul comportamento da tenere, in base ad una spiegazione unitaria di tutto
lo svolgimento storico, mentre la sociologia della conoscenza gli consente di
storicizzare, e quindi di superare, la posizione dei suoi avversari, pensando lo
sviluppo storico in termini reali e non ideologici. Da un lato, la filosofia
immanentistica tedesca hegeliana che concepisce la storia come una
progressiva emancipazione dello spirito dalla trascendenza, che ha come meta
la piena autocoscienza, dall’altro, in Francia, la visione illuministico-positivistica
comtiana del progresso che affida l’emancipazione dell’uomo alla scienza.
Tocqueville va oltre queste teorie, ed inquadra lo sviluppo come trasformazione
dell’assetto sociale, e non solo come progressiva acquisizione di verità,
concependo la vera grandezza dell’uomo in base alla sua trascendenza rispetto
alla natura ed alla storia, contro ogni visione monistica o panteistica, che sono
espressione del conformismo democratico di massa. Questa nuova scienza
politica doveva servire a capire empiricamente la nuova società che stava
sorgendo, al fine di consentire un’azione che garantisse agli individui ed ai gruppi
un massimo di libertà, mentre ai socialisti serviva soltanto per ricostruire in modo
razionale e scientifico la società. Il metodo di Toqueville è storico-psicologico,
mentre l’economia politica libera Marx dalla sua educazione filosofica, ed
entrambi cercano di cogliere le profonde trasformazioni della vita collettiva in
seguito alla scomparsa della società feudale ed aristocratica, per capire il
problema politico del proprio tempo. Marx tuttavia ragiona esclusivamente in
termini di struttura economica, perdendo il legame con le sovrastrutture, mentre
Toqueville parte con il concetto di assetto sociale che gli serve a fondere la
struttura economica con le istituzioni, le idee, i sentimenti, i costumi.
Anche lo Stato è visto come un semplice modo di organizzare il potere
sociale e la forza, diversamente da hegel che lo ritiene l’universale stessso, la
manifestazione del divino sulla terra, la vita morale realizzata effettivamente
esistente. Le simpatie di Tocqeville, naturalmente, non vanno allo Stato chiuso
accentrato e burocratico di Hegel o Fitche, che vi dissolvono la società civile e
pacificano in questo modo i contrasti, ma difende l’autonomia di una società
civile aperta, nella quale soltanto, e non nello Stato, si dà la vera libertà
dell’individuo. Da ciò deriva anche l’estraneità dell’idea di nazionalità, frutto della
concezione pluralistica della società. Infatti, in una democrazia politica
pluralistica, come quella americana, l’elemento dominante resta l’eguaglianza,
che porta a risolvere i conflitti sociali a favore della maggioranza dei “non ricchi”.
Toqueville scopriva così nel 1848 le classi, ma vedeva anche il peso
esercitato dalla struttura dello Stato sulla società civile, nel condizionarne i
processi e le trasformazioni.
E’ la continua critica allo Stato moderno, prima assoluto, poi democratico,
ma sempre burocratico e accentrato, e l’esaltazione delle libertà locali, che
consentivano ai cittadini di imparare la difficile arte dell’autogoverno, e delle
libere associazioni, che, determinando una più reale partecipazione dei cittadini
alla vita politica e sociale, impedivano il cristallizzarsi del potere in un sistema di
piccoli partiti, che traevano la loro forza non da un consenso dell’elettorato, ma
dalla possibilità di strumentalizzare lo Stato burocratico per dispensare onori,
favori e posti. Solo dalle forze della società e dalla divisione del potere sociale, e
rendendo responsabili i cittadini, può essere corretto il funzionamento della
grande macchina burocratica, che pensa solo al bene del tutto (questo tema
diventerà centrale nel pensiero di Max Weber).
La libertà è vista come l’eterna condizione dell’uomo, che deve ritrovare in
se stesso la energie sufficienti e la fantasia creatrice, per rispondere alle sempre
nuove sfide poste dall’evoluzione storica. La libertà dell’uomo è in primo luogo
forza morale. Toqueville non crede infatti alle filosofie o scienze della storia, pur
avendo delineato la nuova scienza politica, poichè producono soltanto fatalismo
storico e relativismo etico. Egli vuole un’obbedienza all’autorità che sia libera e
non servile; desidera una libertà che alberghi nella coscienza interiore, nei cuori,
poichè solo degli uomini interiormente liberi possono garantire il futuro ad una
società oppressa.
Tocqueville teme una società democratica in cui l’individualismo,
sentimento sconosiuto alle passate generazioni, “spinge ogni singolo cittadino ad
appartarsi dalla massa dei suoi simili”, e lo rinchiude nell’ambito dei suoi interessi
domestici, tant’è che “a mano a mano che i cittadini divengono più eguali e più
simili, la disposizione a credere nella massa aumenta, ed è sempre più l’opinione
a guidare il mondo”. “L’amore del benessere è la caratteristica saliente e
indelebile delle età democratiche”, è l’amore dei godimenti materiali, “tipica
passione da classe media”, che persegue un “materialismo onesto” che non
corrompe le anime, ma ne infiacchisce le energie, rendendo gli uomini disponibili
a sacrificare l’ideale della libertà agli idoli della società di massa, ed impedendo
così alle future società democratiche di massa di conoscere vere e proprie
rivoluzioni intellettuali e politiche. Il liberale Tocqueville, infatti, ritiene che la
sopravvivenza della democrazia possa essere assicurata solo da nuove
aristocrazie non più legate a privilegi o al censo.
Oltre al tema dei desideri e dei piaceri individuali, nella Dèmocratie en
Amérique vengono analiizate le antitossine esistenti al dispotismo burocratico e
accentratore: le libere associazioni, la libertà di stampa, il potere giudiziario, il
rispetto delle regole democratiche, il sentimento dei diritti individuali ed il
costituzionalismo, che pone dei limiti al potere della maggioranza, ergendosi a
difesa di questi diritti. La libertà di stampa, infatti. È necessaria per comprendere
la vita dei partiti politici americani, poichè rappresenta una forma di controllo da
parte dell’opinione pubblica della classe dirigente ben più efficace di quella
esercitata dall’opposizione, la quale è, anch’essa “nel governo”. La stampa e le
associazioni, infatti, sottrraendo il monopolio della trasmissione della domanda
politica ai partiti, impediscono che gli interessi corporativi dei diversi “piccoli”
partiti si saldino sulla testa della sovranità del popolo, e consentono una nuova
forma di democrazia, quella pluralistica che, sul piano teorico, resta ignota agli
europei. L’opinione pubblica si presenta ai partiti già organizzata dai giornali e
dale associazioni, già costituita in reali poteri. Il partito americano non organizza,
ma subisce l’opinione pubblica. Mentre la struttura politica francese (monistica o
chiusa) porta i partiti a modellarsi sullo Stato, a farsi Stato in nuce o a diventare
organi dello Stato, mentre la struttura politica americana (pluralistica o aperta) li
costringe a muoversi sul piano di una articolata società civile, al fine di
combinare in vista delle elezioni le diverse istanze già da essa organizzate.
Difatti, nella sua riflessione filosofica, il Tocqueville affronta con impegno il
tema centrale della tirannia della maggioranza. “A mano a mano che i cittadini
divengono più eguali e più simili, la tendenza di ognuno a credere ciecamente in
un certo uomo o in una certa classe, diminuisce. La disposizione a credere nella
massa aumenta, ed è sempre più l’opinione commune a guidare il mondo”. Ed
ancora: “L’opinione commune è l’unica guida che rimanga alla ragione
individuale presso i popoli democratici”, e la massa “non fa valere le proprie
opinioni attraverso la persuasione, ma le impone e le fa penetrare negli animi
attraverso una specie di gigantesca pressione dello spirito di tutti sull’intelligenza
di ciascuno”. “L’pinione pubblica pesa enormemente sullo spirito di ciascun
individuo: essa l’avvolge, lo dirige, l’opprime (……) la maggiornaza non ha
bisogno di obbligarlo: lo convince. Il che favorisce straordinariamente la stabilità
delle opinioni”. Si afferma così un conformismo di massa difficile da sradicare,
per cui “le grandi rivoluzioni intellettuali e politiche diverranno molto più difficili e
più rare”. Vi può essere inizialmente un momento di “anarchia delle opinioni”, ma
alla fine prevale “la stabilità delle opinioni, un’opinione commune”.
L’uomo del sociologo Tocqueville è precario e instabile, senza passato nè
futuro, isolato, chiuso nella cerchia familiare, ma senza autentici vincoli di
solidarietà con gli altri, e dominato dalla passione per la ricchezza e per i
godimenti materiali, in una visione quantitativa legata al denaro. “Gli uomini sono
legati tra loro non più da idée, ma soltanto da interessi”, e questo atteggiamento
porta inevitabilmente all’apatia politica, con la conseguenza che la legittimità del
potere non risiede più in valori, come la libertà o l’eguaglianza, ma è frutto
dell’interesse personale e dalla protezione e sicurezza garantiti dal governo.
Tocqueville è comunque contrario all’individualismo, che porta all”atomizzazione
sociale”, e spinge il singolo ciitadino “ad appartarsi dalla massa dei suoi simili e a
tenerso in disparte”. Questi concetti saranno alla base del pensiero di George
Simmel (1858-1918), relativamente all’analisi dell’uomo standardizzato della
metropoli, ed in parte anche della teoria dell’”agire razionale” di Max Weber
(1864-1920).
Alla condanna del panteismo, delle filosofie della storia, e delle sociologie
che pongono il primato del Tutto, della Storia, della Società, sull’individuo, e
dell’utilitarismo inglese che rende sovrano il maggior numero, Tocqueville
propone l’azione politica come la vera essenza dell’uomo: la libertà coincide così
con la politica, che tuttavia è slegata dal potere ed è determinata solo dall’azione
etico-politica. La libera associazione è il solo vero vincolo della politica, perchè in
essa domina il principio della fraternità e del dialogo, contro lo Stato burocratico,
la società di massa conformistica, e l’atomizzazione sociale.
L’individualismo, infatti, porta a costruire lo Stato-macchina, che s’identifica
con la burocrazia, spingendo questi due distinti processi (democratizzazione e
conquista del diritto di cittadinanza, secolarizzazione e scomparsa di ogni codice
di condotta ed accentramento burocratico) ad incontrarsi in “un compromesso tra
il dispotismo amministrativo e la sovranità popolare”.
Tocqueville negli anni 1830-1831 del suo viaggio negli Stati Uniti, si è
occupato anche dell’analisi e dello studio dei partiti politici americani, che non
erano gruppi parlamentari puri e semplici come in Francia, ma erano forme di
organizzazione dell’opinione pubblica presenti nella società in vista delle elezioni,
oltre che nelle assemblee legislative. Anche a causa del suffragio universale, i
partiti statunitensi si trovavano in una fase di transizione da “partito elettoralelegislativo” a “partito elettorale di massa”, mentre in Francia ed in Europa, a
causa del suffragio ristretto, ci si trova di fronte a meri gruppi parlamentari, o
partiti di notabili, non ancora organizzzati nel paese attraverso comitati elettorali
(i caucuses). Di seguito I partiti europei eveolveranno in direzione diversa da
quelli americani, divenendo partiti organizzativi di massa, con un organizzazione
burocratica forte ed accentrata, composta da politici di professione. La differenza
fondamentale risiede comunque nell’organizzazione dei partiti americani, estesa
ma debole, costituita in vista della mobilitazione elettorale, rispetto a quella dei
partiti europei capillare e centralizzzata, costituita in vista di una mobilitazione
permanente degli iscritti.
Un’altra differenza si evidenzia nell’analisi della partecipazione: dove c’è
partecipazione degli elettori e degli iscritti, abbiamo dei partiti che esprimono al
massimo la società; dove non c’è partecipazione degli elettori, e scarsa è quella
degli iscritti, il partito è piuttosto una fazione, che agisce e governa per il proprio
particolare. Infatti, l’obiettivo dei partiti americani è proprio quello di ampliare la
propria presenza nei posti di governo, nell’esercizio effettivo del potere unito al
desiderio di garantirsi il consenso dell’elettorato, mettendo così da parte la
partecipazione in nome di comuni ideali. Sulla base di questa analisi, Tocqueville
distingue tra “grandi” e “piccoli” partiti, dove grande e piccolo non indicano una
dimensione quantitative (il numero degli aderenti), ma qualitative (i grandi ideali o
i piccoli interesssi che li animano).
Nel completare l’analisi tra i partiti francesi e quelli americani, Tocqueville
ne evidenzia la necessaria evoluzione (o involuzione), marcando l’intervenuta
assenza di contrapposizione fra idee e interessi in entrambi, sempre più lontani
dalle antiche passioni della giovinezza, pur distinguendosi i primi come fazioni,
ed i secondi come consorterie, a causa della particolare natura della Rivoluzione
francese rispetto a quella Americana. Il partito americano era infatti cementato
dagli interessi, mentre quello francese era basato sulle idee, sebbene quello del
1789 avesse idee e passioni fresche e generose, in contrapposizione con il
partito misantropico o fazioso della Francia del 1830. La differenza, più che fra
partiti francesi o americani, sembra essere fra partiti “giovani” o “grandi”, e partiti
“vecchi” o “piccoli”.
Secondo Tocqueville, i grandi partiti politici hanno “in generale, dei tratti più
nobili, delle passioni più generose, delle convinzioni più vere, un atteggiamento
più franco e più ardito degli altri. L’interesse particolare, che gioca sempre un
grande ruolo nelle passioni politiche, si nasconde qui più abilmente sotto il velo
dell’interesse pubblico (…). I piccoli partiti, al contrario, sono di solito privi di fede
politica; i loro caratteri sono improntati ad un egoismo che si manifesta
osteentatamente in ognuno dei loro atti (…) I grandi partiti infervorano la società,
I piccoli la tormentano più che scuoterla; (…); entrambi hanno un tratto in
commune: non impiegano quasi mai, per raggiungere i loro fini, dei mezzi che la
coscienza approvi completamente. Ci sono persone oneste in quasi tutti i partiti,
ma non si può dire che ci sia un partito onesto”.
La differenza, più che in partiti “piccoli” (le consorterie e le fazioni), risiede
nei diversi tipi di “grande” partito: uno che mira al cambiamento della costituzione
politica, l’altro che punta al sovvertimento dell’assetto sociale; e la differnza
risiede nella diversità della Rivoluzione Americana dalla Rivoluzione francese:
“Nesuno dei due [grandi partiti americani dell’età rivoluzionaria], per vincere,
doveva distruggere un ordine antico, nè rovesciare tutto un assetto sociale”. Per
questo la loro capacità di mobilitazione politica risulta assai scarsa: “Nessuno dei
due, di conseguenza, allacciava un gran numero d’individui al trionfo dei suoi
principi”. Questa analisi sarà centrale nel pensiero marxiano, che ritiene
indispensabile, per la riuscita della rivoluzione socialista, la completa distruzione
degli apparati burocratici dello Stato borghese capitalistico.
Un sistema di “piccoli” partiti di tipo americano consente una forte stabilità
politica, a causa dell’abitudine dei cittadini di continuare a votare per i rispettivi
vecchi partiti: “Quando tutte le teorie scoiali sono state di volta in volta contestate
e combattute, coloro che hanno aderito ad una di esse la conservano, non tanto
perchè sono sicuri che essa sia buona, quanto perchè non sono sicuri che ve ne
sia una migliore”.
Analizzando più in profondità le strutture del sistema politico statunitense,
l’analisi del partito politico si innesta con quella dell’esistenza di vere autonomie
locali, di un decentramento che va ben oltre la struttura federale dello Stato
concepita nel 1788 da James Madison ed Alexander Hamilton in The Federalist
Papers, quello del diffuso spirito associativo che stimola l’azione volontaria al
posto dell’intervento dello Stato, e infine quello del suffragio universale che
condiziona in modo diverso partiti e associazioni. In realtà, contrariamente alla
cultura poiitica settecentesca dominante, è il grande spazio o “l’allargamento
dell’orbita”, e non il piccolo Stato a rendere possible una vera democrazia. “Gli
Stati Uniti non hanno una capitale: la cultura e il potere sono disseminati
dappertutto”, mentre in Francia il potere dei giornali “è concetrato in uno stesso
luogo, e,per così dire, nelle stesse mani”. L’esistenza di un piccolo partito
sembra, così, essere favorita dall’immensità di uno spaazio in continua
espansione e trasformazione, da una pluralità di centri di potere, dei quail
nessuno, per il privilegio di risiedere nella capitale, può imporre la sua guida agli
altri”. Inoltre il cittadino americano “non getta sull’autorità sociale che uno
sguardo diffidente e inquito, e ricorre al suo ptere solo quando non può farne a
meno”, così che il partito americano risulta ulteriormente ridimensionato, proprio
perchè, per la soluzione dei problemi della società, il ruolo del “governo” appare
meno esclusivo e quindi meno importante; mentre dove questi problemi possono
essere risolti solo attraverso l’azione dello Stato burocratico, il partito, essendo
appriunto lo strumento per trasmettere e soddifare la domanda politica, una volta
conquistata la maggioranza, diventa il necessario centro attorno al quale
convergono tutti coloro che aspettano dall’alto certe soluzioni.
Il pericolo di una tirannide della maggiornaza, secondo Tocqueville,
risiederebbe nel suffragio ristretto, in conseguenza del quale in Europa “non vi è
quasi associazione, che non pretenda o non creda di rappresentare la volontà
della maggioranza”, mentre in America “la maggioranza non è mai dubbiosa” e
“le associazioni sanno che esse non rappresentano punto la maggioranza”, ma
sperano di guadagnarla. Questo grande partito assomiglia sempre meno ai
“grandi” partiti dell’età rivoluzionaria, e sempre più alle associazioni giacobine, o
alle sette segrete o ai futuri partiti soclaisti del 1848. Tuttavia Tocqueville vede
dei pericoli anche nelle grandi Convention americane, attraverso le quali “i
partigiani di una stessa opinione possono riunirsi in collegi elettorali, e nominare
dei mandatari che li rappresentino in un’assemblea centrale. Propriamente
parlando, questo è il sistema rappresentativo applicato ad un partito”.
E’ il diverso assetto sociale che genera partiti così diversi: nelle società
democratiche, dove vige l’eguaglianza, e dove non c’è una divisione in caste o
classi, prevale l’individualismo, e il deputato è servo dell’elettore, mentre nelle
società aristocratiche “i partiti si dispongono naturalmente sotto certi capi”, e
l’elettore è un fedele del deputato che elegge, il quale agisce nell’assemblea
come rappresentante di tutta la nazione. Il partito democratico di massa è
“piccolo” proprio perchè, volendo ciascuno “camminare per proprio conto”, viene
meno la possibilità di quella identificazione nel partito, che è la caratteristica dei
“grandi”. Il partito democratico è immobilistico, preso tra le diverse ambizioni alla
leadership dei deputati, ed “è quindi naturale che, nei paesi democratici, i membri
dei congressi politici pensino più ai loro elettori che al partito, mentre nelle
aristocrazie si occupano più del partito che degli elettori”.
In questo modo il suffragio universale sembrerebbe portare al partito
“pigliatutto”, usando la definizione di O. Kirchheimer (La trasformazione dei
sistemi politici in Europa occidentale, 1966, ed. it. 1979), cioè al partito che è a
disposizione dei deputati, i quali, a loro volta, sono al servizio degli elettori, a un
partito che serve a trasmettere e soddisfare le domande particolari degli elettori.
Tocqueville, da buon aristocratico, predilige il “grande” partito, dove l’ideale
prevale sull’interesse, ma, pur ammirando la democrazia, ne critica gli aspetti
negativi, in quanto l’uguaglianza porta alla diffusione della proprietà e ad
un’insaziabile sete di benessere, con la conseguenza che sarà difficile attuare
grandi rivoluzioni intellettuali e politiche, poichè ciascuno non vede cosa
potrebbe guadagnarvi, e tutti le temerebbero in quanto sanno cosa potrebbero
perdervi. In una società democratica, come quella statunitense, lo spirito si
impigrisce, e l’individualismo rinchiude l’uomo nella sua privata solitudine, mentre
in Europa si hanno ancora “idee e passioni rivoluzionarie”. L’eguaglianza
individualistica scaturita dalla Rivoluzione democratica francese ha visto sempre
nello Stato paterno non un nemico, ma il necessario tutore ed il sicuro garante
dei propri fini, e per questo la Francia è esposta a maggiori pericoli, proprio
perchè il dispotismo è amico dell’isolamento degli uomini. “Il dispotismo, che, per
sua natura, è diffidente, vede nell’isolamento degli uomini la garanzia più certa
della propria durata, e in generale mette ogni cura nel tenerli separati”. Infatti,
resi impotenti gli individui, “i compiti del potere pubblico aumenteranno di
continuo, e i suoi stessi sforzi li renderanno ogni giorno più vasti. Più esso si
metterà al posto delle associazioni, più i privati, rinunciando all’idea di associarsi,
avranno bisogno che venga in loro aiuto”. Solo rimedio la libertà politica, cioè le
lezioni frequenti, diversi livelli e per la maggior parte delle funzioni pubbliche
(“non è il magistrato eletto che fa prosperare la democrazia americana, essa
prospera perchè la magistratura è elettiva”).
I partiti servono a difenderci “contro l’azione dispotica della maggioranza”, e
le associazioni sottraggono al governo compiti e funzioni, e con questo limitano il
suo potere e ridimensionano il suo ruolo a quello di semplice arbitrio fra gruppi,
dato che il potere sociale è disseminato in un pluralità di centri. I Re, così come i
repubblicani, che si ritenevano servitori dello Stato moderno, e lo ponevano al
servizio del popolo, per aumentarne il potere, di fatto aumentavano invece quello
dello Stato, continuando così l’antico assolutismo dello Stato burocratico. L’uomo
che cerca la protezione dello Stato non è diverso dall’aristocratico che cercava la
protezione del Re, ma deve associarsi per autogovernarsi e per realizzzare una
resistenza al potere centrale. In America il partito, proprio per l’esistenza ed il
potere delle associazioni, tende a non dissociarsi dalla società civile, mentre in
Europa, l’abitudine a risolvere attraverso lo Stato burocratico i problemi sociali
porta il partito ad utilizzare la fonte di potere statale per i propri fini.
Tocqueville tende al modello di “grande” partito francese, in cui l’interesse
particolare è messo da parte, ed in cui è ancora presente lo spirito dei grandi
ideali rivoluzionari, anche se ne vede il declino dovuto all’affermarsi dei principi di
democrazia e di uguaglianza. Anche i deputati cercavano di sofddisfare
l’interesse individuale, e non quello generale; interesssi locali erano anteposti
all’interesse nazionale, ed il deputato era al servizio del collegio e non del Paese,
mentre il governo acquisiva nuova forza e potere per soddisfare la richiesta di
impieghi pubblici e le clientele politiche. Scomparsi i “grandi” partiti in Francia,
poichè dopo il 1830 a governare, in conseguenza del suffragio ristretto, c’era la
“classe media”, troppo omogenea ed uniforme perchè si potessero dare nel suo
seno veri e priopri contrasti di interessi e di ideali, la dialettica tra governo e
opposizione risultava impossibile, mentre prevalevano gli accordi su interessi
particolari, e nessuno interpretava più disinteressatamente la nazione.
Attraverso un’analisi acuta percepisce che “le classi medie hanno fatto la
rivoluzione, e Dio voglia che esse non debbano pentirsene molto presto. Già i
ceti inferiori le trattano come una nuova aristocrazia (…). Avranno mai una
condotta abbastanza intelligente da sentire i pericoli della loro posizione attuale e
da sapersi unire per apportarvi qualche rimedio?”. Tocqueville ha intuito che la
rivoluzione industriale sta portando alla nascita della nuova classe del
proletariato urbano, quella dei slariati, degli operai delle fabbriche, che
troveranno nel socialismo marxista la dottrina rivoluzionaria che indicherà loro la
strada per rovesciare lo Stato borghese capitalista. “Ben presto, e non c’è da
dubitarne, la lotta dei partiti politici si combatterà tra quelli che possiedono e
quelli che non possiedono.Il grande campo di battaglia sarà la proprietà (…).
Allora rivedremo le grandi agitazioni pubbliche ed i grandi partiti”.
L’unica via d’uscita, secondo Tocqueville, che vedeva avvicinarsi
all’orizzonte i nuovi “grandi” partiti socialisti, era l’allargamento del suffragio
universale, poichè i “grandi” partiti non nascono più dalla testa o dal cuore, dai
nobili ideali o dale generose passioni, ma sono strattamente connessi alla realtà
degli interessi di un mondo sociale, e cioè, per dirla con Marx, di classe.
Tocqueville osserverà dalla Parigi, centro politico della Francia e fortilizio della
classe operaia, la rivoluzione del 1948 da lui preconizzata, e l’affermarsi del
“nuovo” partito socialista.
I “grandi” partiti devono esprimere i principi dei ricchi e quelli dei poveri, il
principio aristocratico e quello democratico, e devono trovare un consenso
sull’assetto istituzionale della società e sulle regole del gioco, come accade in
America, mentre in Europa occorre destreggiarsi tra reazione e rivoluzione.
Bisogna inserire le forze politiche socialiste escluse dal voto nel sistema
democratico, spingendole così a rinunciare ai programmi di un radicale
rovesciamento della società, che porterebbe solo all’instaurazione dello Stato
accentrato e burocratico.
Bibliografia
M. Gauchet, L’america e noi
Matteucci, Tocqueville – 3 esercizi di lettura
Annamaria Battista, Studi su Tocqueville
Tesini, Tocqueville tra destra e sinistra
J. J. Chevallier, Le grandi opere del pensiero politico, Il Mulino, Bologna
Inoltre, da Le grandi opere del pensiero politico: Locke, Montesquieu, Tocqueville
e Burke