Anno A 4ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Sof 2,3; 3,12-13 - Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero. Dal Salmo 145 - Rit.: Beati i poveri in spirito. 1 Cor 1,26-31 - Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Rallegratevi, esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Alleluia. Mt 5,1-12a - Beati i poveri in spirito. Beati i poveri È ormai un luogo comune rovesciare fiumi di lagne e di prediche moraleggianti contro la società consumistica. Anche gli intellettuali-moralisti laici si scagliano, soprattutto durante le feste, contro la prodigalità sperperatrice della gente superficiale e spendacciona. E le grida e le rampogne, gli anatemi anticonsumistici vengono anche dai giornali che sono spalmati di pubblicità costosa e dai canali televisivi vertiginosamente crivellati di «spots» chiaramente superflui, ma redditizi. D’altra parte, tutti oggi dichiarano di essere dalla parte dei poveri, di amare e aiutare i poveri. Nessuno esibisce pubblico disprezzo o noncuranza per i poveri. Tutti sembrano d’accordo col Vangelo. Eppure, in effetti, i poveri restano, sono abbandonati ed emarginati. Non è un carosello di ipocrisia tutto questo sbandieramento di moralismo facile e a buon mercato? Impariamo dalla Bibbia il giusto atteggiamento. Ricerca di Dio e povertà La 1a lettura ci propone due piccoli brani del profeta Sofonia, vissuto verso il 630 a.C. Il primo passo (2,3) è caratterizzato dalla triplice ripetizione del versetto «cercare». Il contesto è quello della predicazione del «giorno di Ihwh», cioè del giudizio di Dio. In vista di quel giorno, il profeta invita alla conversione con l’espressione: «Cercate il Signore». Concretamente la ricerca di Dio si traduce in altri due inviti: «cercate la giustizia, cercate l’umiltà». La «giustizia» equivale alla costruzione di una società di uguali e di fratelli. L’«umiltà», invece, o potremmo dire la «povertà», è un atteggiamento di abbandono in Dio, di fiducia in lui. Esortando alla giustizia e all’umiltà, il profeta invita a un impegno attivo e concreto, ma anche a una disponibilità interiore nei confronti del Signore. Non c’è infatti una vera ricerca di giustizia se non ci si apre umilmente a Dio. La seconda parte (3,12-13) della lettura liturgica contiene una positiva promessa di Dio. Nonostante tutte le infedeltà e i tradimenti, Dio stesso conserverà un «resto», un gruppo di Giudei fedeli, che viene definito «un popolo umile e povero». Esso sarà la vivente testimonianza della bontà di Dio, dalla quale sarà sostenuto. Sarà un gruppo che «confiderà nel nome del Signore», in lui porrà tutta la sua speranza. Da questo intimo abbandono in Dio, il gruppo trarrà la forza per una rinnovata condotta morale. «Non commetteranno più iniquità, non proferiranno menzogna». Questa condotta rinnovata sarà frutto dell’azione divina. E Dio li farà riposare e pascolare in pace, senza che nessuno li molesti. Dio stesso sarà il «riparo» presso il quale rifugiarsi. 4ª Domenica del Tempo Ordinario - “Omelie per un anno - vol. 2”, Elledici 1 Vantarsi nel Signore La comunità cristiana di Corinto non era un ambiente di intellettuali («non ci sono tra voi molti sapienti»). Ma ciò non significa che fosse costituita dalla classe infima della società. Alcuni erano colti, altri godevano di una condizione privilegiata per potere o nobiltà di origine. Il Vangelo si era diffuso, però, soprattutto nei centri urbani, tra le classi medie. Del resto, nemmeno il cristianesimo è una filosofia raffinata o un movimento intellettuale. Ma qual era il pericolo al quale Paolo reagisce? C’era la tendenza a idealizzare i fondatori delle scuole filosofiche e forse molti tendevano a fare di Paolo, Apollo e dei loro collaboratori, dei filosofi o fondatori di differenti scuole di pensiero. Per questo si tendeva a pensare che ciascuno avesse il suo «partito», la sua «scuola» diversa e contrapposta alle altre. In questa situazione, Paolo richiama a comprendere il cristianesimo non come una o più filosofie, bensì come la sapienza divina dataci per mezzo di Gesù Cristo: «Voi siete in Cristo Gesù». La nuova esistenza del cristiano è una nuova prospettiva sulla realtà, per cui il cristiano è libero dagli «standards» e dai giudizi comuni su cui si basa il mondo per valutare ciò che è debole, ciò che è sapiente, ciò che vale. Il criterio di giudizio è quello di Dio: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono». Soltanto la «sapienza», che ci è data in e con Cristo, permette di valutare esattamente le cose, di scegliere veramente secondo «giustizia» e «santificazione». Il mondo propaganda i suoi criteri di valutazione, spaccia i suoi pretesi valori, incalza e opprime con la pressione sociale dell’opinione pubblica. Il cristiano è chiamato a una condotta paradossale, fuori dagli schemi comuni, libera dai «luoghi» divulgati dalla cultura dominante. Ciò non lo isola in un atteggiamento orgoglioso di «splendido isolamento» aristocratico: «Chi si vanta, si vanti nel Signore». Saggio o poco colto, forte o debole, nobile o plebeo, il cristiano sa che il cambiamento della società e della qualità della vita proviene dal Signore, non dai «mezzi» umani. È il Signore che può davvero rinnovarci e soltanto in lui possiamo vantarci. Scegliere la povertà Gesù sale sul monte, simbolo della sfera divina e luogo che richiama il Sinai: egli infatti proclama lo statuto del popolo della nuova alleanza. Gesù si presenta come il nuovo Mosè; anzi, come il Figlio di Dio, l’Emmanuele, che parla direttamente agli uomini. Il discorso della montagna è la «torah» messianica con cui il Figlio di Dio sancisce la nuova ed eterna alleanza con gli uomini. In otto beatitudini Gesù riassume il nuovo «codice», che si presenta non come legge o imposizione, bensì come promessa e invito. Ogni beatitudine si compone di due membri: nel primo viene enunciata un’opzione, uno stato di vita o condizione; nel secondo, viene fatta una promessa. All’inizio è introdotta una promessa di felicità («beati»). La prima e l’ultima beatitudine formano come una cornice (vv. 3 e 10) con la stessa promessa («perché di essi è il regno dei cieli»). Le altre sei beatitudini sono divise in due parti: tre descrivono situazioni «negative» di sofferenza e di oppressione; tre invece riguardano un’attività o uno stato positivo. Le prime tre riguardano situazioni da cui si attende e viene promessa una liberazione; nelle altre tre si indicano atteggiamenti positivi convenienti con il regno di Dio. Limitiamoci qui alla prima: «Beati i poveri in spirito». Gesù proclama felici coloro che scelgono di essere poveri. La «povertà in spirito» non significa povertà interiore, il distacco spirituale dai beni. Lo «spirito» è, secondo la Bibbia, il centro della persona, dove si prendono decisioni e si operano scelte. La povertà in spirito è quella che viene scelta, voluta, non una povertà imposta da necessità, non quella subita per determinate circostanze. Ci sono dei «poveri per necessità», ai quali Gesù oppone i «poveri per 4ª Domenica del Tempo Ordinario - “Omelie per un anno - vol. 2”, Elledici 2 scelta». Ora, sceglie la povertà chi decide di vivere non puntando tutto sul denaro, sul potere, sulla carriera. Povero in spirito è chi ha rotto con l’idolatria del denaro e del potere. Gesù ha scelto di essere povero, non solo di aiutare i poveri. Il cristiano è povero se fa come Gesù, cioè se conta unicamente su Dio e confida totalmente soltanto in lui. La povertà come quella di Gesù è la totale fiducia del cristiano che lascia sempre spazio all’imprevedibile azione liberatrice di Dio e quindi alla speranza che si radica in lui. 4ª Domenica del Tempo Ordinario - “Omelie per un anno - vol. 2”, Elledici 3