trattamento della depressione

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TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE
(secondo la teoria di Beck)
- Dr. Gian Marco De Vito
La depressione non è un mare morto.
La depressione rappresenta una costellazione di sintomi cognitivi, comportamentali, somatici ed
affettivi che nel loro insieme sono in grado di diminuire significativamente la capacità di
funzionamento di una persona, e la sua abilità di adattarsi alla vita sociale.
La persona depressa, come vedremo, non è soltanto una persona che si sente triste, abbattuta e
disperata, ma è una persona che ha perso la capacità di provare piacere in tutte le cose.
La persona depressa è una persona che non fa più niente, che ha perso l’interesse per tutto, e
rendendosene conto, si deprime ancor di più; si è innescato così un circolo vizioso.
Rispetto alla condizione premorbosa il depresso si percepisce non solo privo di energie e incapace
di “funzionare” come prima, ma si sente inadeguato o in colpa per non riuscire a portar a termine i
semplici compiti della vita quotidiana (come alzarsi, lavarsi, pagare una bolletta, ecc…), e si sente
privo di speranze e nell’impossibilità di essere aiutato.
La persona depressa è però anche una persona in lotta: si sente disperata e impossibilitata di uscire
dalla propria situazione è vero, ma si preoccupa del futuro e rimugina sul passato.
Stiamo parlando quindi di un individuo che si sente sconfitto, che questa lotta l’ha persa in modo
irreparabile, ma si sente anche angosciato da un futuro privo di speranza e in colpa per non riuscir a
uscire dalla propria condizione.
Parliamo perciò di una situazione di lotta, di conflittualità interiore, dove il depresso dispera, ma
tenta di star meglio; cerca però di farlo eliminando, reprimendo i sintomi, e questo non fa altro che
esacerbare i pensieri, le preoccupazioni e i sentimenti di disforia.
La metafora del “Tiro alla fune col mostro” utilizzata nell’ACT ben si adatta a praticamente
qualsiasi disturbo psicologico, ma è particolarmente calzante nel caso della depressione: più il
depresso tira la fune (cioè cerca di reprimere pensieri ed emozioni negativi) nel tentativo di
sbarazzarsi del mostro ( cioè dalla tristezza, dal senso di colpa, dalla rabbia, dalle preoccupazioni) e
più tira il mostro (più i pensieri e le emozioni negative aumentano), col risultato di diventare più
grande, più rilevante.
Il mostro diviene dunque tutto il suo mondo,e quindi più il depresso soffre più aumenta la tendenza
a lottare, e in ciò si riduce la sua vita, le sue giornate.
Ci dobbiamo chiedere: è possibile in questa situazione riscoprire il piacere di vivere, le piccole e
grandi gioie della vita? E’ possibile amare i propri cari, o apprezzare una bella giornata mentre sono
impegnato nella lotta col mostro?
Appare evidente come lo spirito della terapia debba esser non quello di ridurre la depressione o il
sintomo di per sé, ma quello di portar la persona a riscoprire un senso di piacere, di padronanza
nelle cose che fa, di vitalità e scopo (e allora il sintomo se ne va).
In questo senso la depressione si caratterizza come un disturbo dell’umore, nel senso che la
persona si sente triste, disperata, angosciata, è irritabile , incapace di provare piacere.
I disturbi depressivi però sono caratterizzati anche da sintomi cognitivi, vegetativi e psicomotori.
I sintomi cognitivi includono idee negative su se stesso, sul mondo e sul futuro (quindi avremo una
riduzione dell’autostima, autorimprovero, colpa, pessimismo, temi di rovina, di lutto e idee di morte)
e riduzione della capacità di pensare, di risolvere i problemi, di concentrazione e memoria, e
indecisione.
I sintomi vegetativi includono: riduzione dell’attività e del desiderio sessuale, aumento o
diminuzione dell’appettito o del sonno (in genere insonnia caratterizzata da risvegli precoci al
mattino e permanenza nel letto fino a tardi)
I sintomi psicomotori includono : astenia, riduzione movimenti spontanei, espressione facciale
fissata su un’ espressione di sofferenza o rabbia, riduzione linguaggio (fluidità, contenuti),
rallentamento o agitazione psicomotoria, mancanza di energia e facile affaticabilità.
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La depressione è uno dei disturbi psichiatrici maggiormente associati al rischio di suicidio, e
maggiormente diffusi nella popolazione generale, ma dove purtroppo la frequenza delle persone
non trattate o trattate male è del 70/75 %.
E’ presente in tutte le età, inclusi gli adolescenti e i bambini in età scolare, ed è maggiormente
presente nelle donne (in un rapporto 2:1 rispetto agli uomini), con una prevalenza puntuale della
depressione maggiore che va dallo 0,6 % del Taiwan al 10,3 % degli Usa ( nella maggioranza dei
paesi è tra il 3% e il 7 %).
L’attuale DMS V separa i disturbi bipolari dai disturbi depressivi (di cui ci occupiamo).
I disturbi depressivi si distinguono dai disturbi bipolari per l’assenza di episodi maniacali, misti o
ipomanicali.
Tra i disturbi depressivi troviamo il Disturbo depressivo maggiore (caratterizzato da uno o più
episodi depressivi maggiori, ossia umore depresso o perdita di interesse per almeno due settimane,
più almeno altri quattro sintomi depressivi) e il Disturbo depressivo persisente (Distimia)
(caratterizzato dalla presenza quasi giornaliera di umore depresso per almeno due anni più altri
sintomi depressivi, che non soddisfano i criteri per la presenza di un episodio depressivo maggiore).
Le teorie attuali sulle cause della depressioni danno importanza non soltanto alla predisposizione
biologica ma anche a quelle variabili latenti come gli schemi depressogeni e gli stili di coping
(fattori predisponenti) che sono in grado di modulare la risposta personale agli eventi stressanti
(fattori precipitanti).
Al tempo stesso l’inattività della condizione depressiva e le distorsioni cognitive vengono
considerati i fattori di mantenimento del disturbo, perché impediscono alla persona depressa di
accedere ai rinforzi e correggere il proprio modo di pensare distorto.
In questo senso assume importanza il significato che diamo agli eventi stressanti, ed è questo il
motivo per cui un determinato evento stressante può assumere il significato per una persona e uno
diverso per un’altra.
E’ questo il motivo per cui a parità di eventi ambientali alcune persone divengono depresse e non
altre, mentre diversi fattori stressanti sono associabili a depressi con diversi stili di personalità.
Riassumendo accade che nella depressione, a seguito di uno stress specifico (come una separazione)
o una successione di eventi stressanti, vengano attivati schemi negativi formatisi in origine in
presenza di stimoli con analogo significato, che portano ad un’interpretazione negativa
dell’esperienza vissuta (in termini di perdita irreversibile e inaccetabbile circa le proprie risorse e
poteri).
Una volta attivato lo schema si verifica un circolo vizioso per cui i pensieri disfunzionali conducono
all’inattività che a sua volta rinforza le idee depressive.
Per poter spiegare le differenza individuali nella vulnerabilità al Disturbo depressivo Beck ipotizza
l’esistenza di due sub-organizzazioni schematiche di personalità pre-depressiva: sociotropica e
autonoma, che rendono il soggetto più sensibile ad una specifica categoria di eventi.
La personalità sociotropica è caratterizzata dal fatto che l’individuo considera il proprio valore in
relazione ai rapporti intimi che intrattiene, valutandosi sulla base delle manifestazioni di affetto e di
accettazione delle altre persone.
L’individuo con personalità autonoma invece è orientato all’indipendenza e al successo e pertanto
le valutazioni circa il proprio valore sono legate alla propria abilità e al proprio successo.
Pertanto gli eventi in grado di scatenare la Depressione sono diversi in base alla personalità: perdite
sociali e interpersonali per quella sociotropica e perdite di ruolo per la personalità autonoma.
TRATTAMENTO
Il trattamento cognitivo-comportamentale di Beck per i disturbi depressivi si pone l’obiettivo ultimo
di modificare le strutture di significato del paziente, intervenendo sulle idee, sui processi di
ragionamento e sul comportamento.
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Per raggiungere questo scopo il terapeuta utilizzerà
tecniche cognitive e tecniche
comportamentali.
Il modello cognitivo della depressione secondo Beck si basa su 3 concetti principali:
1) la triade cognitiva
2) gli schemi
3) le distorsioni cognitive
Utilizziamo l’espressione triade cognitiva per riferirci ai pensieri, alla visione negativa che il
depresso ha di sé stesso , del mondo (gli eventi, gli altri) e del futuro.
In sostanza il paziente vede se stesso come inadeguato e difettoso, e questi suoi presunti difetti lo
portano a sentirsi indesiderabile e inutile, a sottovalutarsi e a criticare ogni cosa che fa.
Il secondo elemento della triade si riferisce al fatto che la persona depressa interpreta negativamente
le sue interazioni con l’ambiente circostante, descrivendole come fossero delle sconfitte o delle
privazioni, spesso fraintendendole.
Il terzo elemento ruoto attorno alla visione negativa del futuro e cioè al pessimismo: il paziente ha
la tendenze a prevedere frustrazioni e difficoltà future come il naturale prolungamento di quelle
attuali, con la nefasta previsione che continueranno indefinitamente.
La triade cognitiva funziona come uno schema che guida l’elaborazione delle informazioni.
Gli schemi rappresentano dei presupposti cognitivi relativamente stabili, basati sulle esperienze
precedenti, in base ai quali reagiamo all’ambiente esterno.
Secondo Beck il contenuto di questi schemi è costituito da credenze, convinzioni, conoscenze e
scopi. Inoltre il contenuto di questi schemi può essere diviso in base a diversi livelli interdipendenti
di specificità e generalità; avremo:
- le credenze di base: convinzioni di base che riguardano le caratteristiche del sé e del mondo
e sono generali, globali e ipergeneralizzate.
Esse si formano precocemente durante lo sviluppo e sono strettamente legate a vicende di
attaccamento del bambino.
- Le credenze intermedie: convinzioni e regole che la persona utilizza per far fronte alle
credenze di base e si distinguono in regole (“devo …”; “quando …”) , atteggiamenti (“è
terribile fallire”), assunzioni (“se … allora…”)
- I pensieri automatici: effettive parole o immagini che attraversano la mente di una persona,
sono situazioni specifiche, sono rapidi e automatici, e possono esser considerate il livello di
cognizione più superficiale.
Come abbiamo già visto nel depresso il contenuto di queste credenze o pensieri è negativo, centrato
sul fallimento, l’autocritica, l’insuccesso, l’incapacità, il pessimismo: il tema predominante è la
perdita.
Ovviamente questi pensieri condizionano l’emozione e il comportamento in maniera disfunzionale.
Questi schemi che rappresentano la base della depressione non si costituiscno ex-novo, ma piuttosto
si formano a partire dalle proprie esperienze, e possono rimanere latenti fino a quando un evento
traumatico o una serie di eventi stressanti li attiva, generando un meccanismo depressivo di tipo
circolare che coinvolge il pensiero l’umore e il comportamento.
Infine è importante il concetto di distorsione cognitiva.
Se fino ad ora abbiamo parlato di credenze e quindi di contenuti, con il concetto di distorsione
cognitiva ci riferiamo a dei processi, ovvero ad errori nel processo di ragionamento.
I pazienti depressi non solo quindi hanno idee negative su di sé, sul mondo e sul futuro, ma
commettono tipici errori di ragionamento che le generano e le mantengono, in un processo di
causalità circolare.
Il modello cognitivo di Beck considera l’individuo come uno scienziato, che genera delle ipotesi e
ne cerca la conferma, ovvero dei dati che le supportino.
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Ora il punto è che non solo il paziente è inconsapevole di molti pensieri o immagini che
attraversano la sua mente, ma anche che per un bisogno di coerenza interna la sua mente è
strutturata (come quella di tutti) per cercare la conferma piuttosto che la disconferma delle ipotesi.
Accade dunque che spesso le informazioni vengano elaborate in maniera distorta: quelle
confermano la validità delle idee o credenze dello schema vengono riconosciute, mentre quelle che
le contraddicono o vengono ignorate o vengono distorte per renderle coerenti con le convinzioni già
possedute.
Questi errori nel processo di ragionamento vengono chiamati da Beck distorsioni cognitive, che
l’autore distingue in diverse categorie (di cui ci occuperemo successivamente).
Questi errori sono sistematici rinforzano ulteriormente gli schemi disfunzionali.
Con il tempo l’organizzazione depressiva basata sulla triade cognitiva, sugli errori cognitivi può
divenire così autonoma da essere indipendente dai cambiamenti ambientali, a meno di un intervento
terapeutico adeguato.
Assessment
La fase di valutazione è molto importante.
In questa fase il terapeuta ha il compito di instaurare una buona relazione terapeutica e di
promuovere nel paziente la collaborazione e un senso di fiducia.
Il clinico per effettuare la sua valutazione si servirà di diversi strumenti, quali i test, il colloquio e le
schede di registrazione compilate come compito a casa dal paziente.
Un test molto utilizzato in tal proposito è il Beck Depression Inventory (BDI): utilizzabile allo
scopo di valutare l’incidenza della depressione sia prima del trattamento che durante e dopo
(punteggio 0-9= depressione lieve; 10-19= moderata; 20-29= grave; 30-39= molto grave; +40=
profonda)
Possono essere utilizzati anche il CBA 2.0 e il Millon.
Per la valutazione del rischio di suicidio è utilizzabile la Scala dell’Ideazione Suicida di Beck.
Mediante il colloquio oltre a raccogliere informazioni più generali che riguardano la vita del
paziente, bisogna indagare:
- comportamenti da estinguere e da incrementare
- contingenze di rinforzo
- analizzare contenuti cognitivi
- capire gli antecedenti dello stato depressivo
- capire qual’è la causa
Per indagare i contenuti cognitivi il terapeuta, dopo aver istruito il paziente al modello cognitivo
mediante la psicoeducazione, e avergli mostrato come il suo modo di pensare determini l’emozione
e il comportamento, potrà nelle prime sedute distribuire al paziente una scheda di
automonitoraggio, da compilare durante la settimana.
Tale scheda sarà composta di diverse colonne: situazione / emozione / pensieri/ comportamento
Intervento
Terminata la fase di valutazione il terapeuta discute con il paziente la diagnosi, e formula con lo
stesso un piano di trattamento e degli obiettivi.
Il clinico ha il compito di infondere fiducia nel paziente e di favorire l’instaurarsi di un empirismo
collaborativo tra lui e il paziente.
Per raggiungere la collaborazione nella relazione terapeutica col paziente depresso il terapeuta ha il
compito di spiegare al paziente i fondamenti della terapia cognitivo-comportamentali e del modello
cognitivo, evidenziare l’importanza della collaborazione attiva, far notare al paziente come i suoi
pensieri influiscano sull’emozione e il comportamento, permettere al paziente di acquisire
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consapevolezza sul suo disturbo e i suoi schemi cognitivi, sviluppare insiemi obiettivi concreti e un
programma terapeutico, anticipare l’eventualità che durante il percorso terapeutico si abbiano
possibili ricadute, strutturare le sedute inserendo all’ordine del giorno problemi pressanti per il
clienti, e chiedere feedback durante la seduta.
Inoltre per facilitare il progresso del paziente nel percorso terapeutico, il terapeuta è tenuto a
rinforzare il paziente per ogni piccolo miglioramento, trasmettendogli il messaggio che i suoi
problemi hanno un senso, e che il suo attuale deficit di funzionamento è dovuto ad una reale
malattia piuttosto che a una sua incapacità intrinseca.
In tal modo il terapeuta aiuta il paziente depresso a raggiungere e considerare piccoli successi,
piuttosto che a persistere in un atteggiamento di autosvalutazione totale.
Inoltre il clinico costruirà una relazione funzionale mediante l’ascolto attivo, il calore umano, la
schiettezza e l’empatia.
Nella terapia cognitivo-comportamentale della depressione bisogna intervenire su quattro livelli:
- sul piano ambientale (modificando le contingenze di rinforzo)= bisogna educare le persone
che circondano il paziente a smettere di rinforzare i comportamenti disfunzionali mediante
attenzioni o rimproveri, e rinforzare i comportamenti funzionali
- sul piano comportamentale = modificando i comportamenti
- sul piano cognitivo= modificando le convinzioni
- sul piano emozionale/fisiologico= insegnando al paziente a gestire l’ansia e il panico
mediante il rilassamento o altre tecniche come la mindfulness
Lo scopo ultimo della terapia è quello di modificare le cognizioni del paziente depresso, e di
conseguenza le emozioni e il comportamento disfunzionale.
L’obiettivo è quello di ridurre i sintomi depressivi consentendo alla persona di riaccedere ai rinforzi,
e riscoprire un senso di piacere, valore e scopo in quello che fa: per ottenere questo risultato il
trattamento si serve di tecniche comportamentali e tecniche cognitive.
Le tecniche comportamentali di solito sono utilizzate per prime nel corso del trattamento, anche se
non mancano eccezioni, in quanto il paziente all’inizio dell’intervento terapeutico non è sempre in
grado di valutare e discutere in modo approfondito i propri processi cognitivi, a causa della gravità
della sindrome depressiva.
Pertanto le tecniche comportamentali vengono utilizzate dal terapeuta per cercare di migliorare
l’umore del paziente il minimo necessario per poter utilizzare nel modo migliore le tecniche
cognitive.
Ovviamente il ricorso ai due tipi di tecniche si sovrapporrà nelle fasi successive del trattamento.
Per prima cosa è indispensabile formulare con il paziente un piano di attivazione
comportamentale: cioè una lista di attività, gradualmente più difficili, che permattano al paziente
di riacquisire rinforzi, e di sperimentare piccoli successi, nonché di avere una settimana migliore e
più produttiva.
Nell’esatto momento in cui il cliente porta a termine qualche semplice attività quotidiana, e il
clinico glielo fa notare, l’idea di non riuscire più a svolgere nessuna attività e che da tale situazione
non ne uscirà più inizia a indebolirsi, mentre l’aiutare il paziente a riconoscere il merito di ciò che
riesce a fare, seppur piccolo , lo aiuto a riavere accesso al sistema di rinforzi e percepire un minimo
senso di vitalità, scopo e valore personale.
Ciò riduce la lotta interiore favorendo la disponibilità nei confronti dei propri vissuti spiacevoli
anche mediante un processo di centratura sul momento presente, e riduce l’intensità dei vissuti
spiacevoli mediante un processo di abituazione.
Lo svolgimento di queste attività permette inoltre al paziente di monitorare i suoi pensieri
automatici, e quindi divenirne consapevole, e di notare come il suo umore e comportamento è
influenzato da cognizioni almento in parte erronee.
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Durante l’attivazione comportamentale è importante stabilire obiettivi concreti facilmente
raggiungibili dal paziente, collaborando eventualmente con familiari o amici, aumentando
gradualmente la difficoltà del compito: ad esempio stabilire inizialmente di alzarsi alle 10 di mattina,
vestirsi, lavarsi e scendere al bar a prendere un caffè.
Solo successivamente stabiliremo attività più impegnative come cercare un lavoro o iscriversi a un
corso di qualche tipo.
Particolarmente rilevante è stabilire attività di tipo fisico o che recavano piacere alla persona prima
dell’insorgere della depressione.
E’ possibile anche in questo caso utilizzare schede di automonitoraggio in cui il paziente scriverà
ciò che ha fatto durante ciascun giorno della settimana, con i relativi orari, quantificando
numericamente il piacere provato nello svolgere ciascuna attività e la bravuta con cui l’ha svolta.
Il miglioramento di umore che generalmente segue alla esecuzione dei compiti fa sì che il paziente
si senta motivato ad eseguire compiti sempre più difficili; in tal modo si può instaurare un circuito
virtuoso a feedback per cui l’esecuzione di un compito del programma rende il paziente più
fiducioso nelle proprie possibilità e ciò a sua volta gli rende possibile effettuare compiti più
complessi e così via.
Un'altra tecnica comportamentale è quella che Beck definisce prova cognitiva: si tratta di far
immaginare mentalmente al paziente tutte le azioni necessarie a completare un compito; ciò
permette di mettere a punto tutte le fasi necessarie al raggiungimento di un obiettivo ed aiuta a
prevedere eventuali difficoltà.
Vi sono poi altre tecniche comportamente usate frequentemente nel trattamento della depressione:
- training delle abilità sociali= ciò è spesso utile perché come sottolineato anche da teorie
comportamentali precedenti la teoria di Beck , come quella di Lewinshon , il depresso è
sovente una persona con disabilità sociali, e ciò determinando un disadattamento sociale
causa una diminuzione dei rinforzi positivi e un aumento delle esperienze avversive.
- il training assertivo= che consente alla persona depressa di sentirsi più sicuro e quindi
adeguato nelle situazioni sociali e di modulare l’ansia e l’aggressività
- biblioterapia: consigliare al paziente libri di aiuto aiuto
- tecniche di rilassamento= per gestire meglio i sintomi ansiosi, gli eventuali attacchi di
panico, la rabbia
- training di gestione della rabbia= per insegnarli a gestire la rabbia
- prevenzione della risposta= per aiutare il paziente a gestire le preoccupazioni e focalizzarsi
su qualcosa di più utile
- tecniche di mindfulness= per aiutare il paziente a rimanere centrato sul momento presente e
ridurre la lotta interiore
Le tecniche cognitive si basano invece sulla ristrutturazione cognitiva.
Si tratta perciò di insegnare il paziente ad identificare, valutare e modificare il proprio modo di
pensare, e tipicamente si concentra inizialmente sui pensieri automatici, per giungere solo in un
secondo momento al lavoro sulle credenze intermedie e di base.
Grazie all’utilizzo di schede di automonitoraggio (che abbiamo già visto), esposizioni in
immaginazioni o il colloquio, il terapeuta permette al paziente di chiedersi: “che cosa mi stava
passando per la mente in quel momento?”
Ciò gli permette di diventare anzitutto consapevole dei propri pensieri, e in un secondo momento di
metterli in discussione mediante il dialogo socratico, cioè di valutarli su un piano logico, empirico,
funzionale, analizzando le prove a favore e contro un’ idea e le sue implicazioni in termini di
vantaggi/ svantaggi o di conseguenze.
Successivamente laddove emergono pensieri irrazionali o false verranno generate credenze
alternative e identificate le distorsioni cognitive.
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In questo caso è possibile utilizzare diagrammi a torta per generare spiegazioni alternative, con le
ralative probabilità, oppure scrivere i nuovi pensieri su un quaderno e chiedere al paziente di
rileggerli in momenti precisi della giornata.
Utilizzeremo anche una scheda terapeutica con diverse colonne indicanti:
situazione/emozione/ pensieri/ pensieri alternativi / comportamenti alternativi
Infine possiamo chiedere al paziente, quando ha qualche pensieri disfunzionale, di scrivere su un
quaderno il pensiero alternativo.
Una volta individuate le distorsioni cognitive il paziente diviene pian piano in grado di riconoscerle
autonomamente durante la giornate, e di valutare e rispondere ai propri pensieri disfunzionali.
In particolare, nelle depressione, le principali distorsioni cognitive sono:
- catastrofizzazione= tendenza a prevedere nel futuro solo eventi negativi, ignorando
possibili esiti contrari
- inferenza arbitraria= si trae una conclusione, di solito negativa, da un evento o situazione,
in assenza di prove a sostegno ed anche di fronte ad elementi che la contraddicono
- astrazione selettiva= si estrapola un unico dato o alcuni elementi da una situazione e la si
interpreta sulla base di questi, senza tenere conto delle altre informazioni disponibili o delle
evidenze contrarie
- ipergeneralizzazione= le caratteristiche proprie di un evento o di un’esperienza vengono
arbitrariamente estese nell’interpretazione di altre simili
- pensiero dicotomico= modo di pensare di tipo tutto/nulla
- personalizzazione= tendenza a riferire a sé eventi esterni anche senza nessuna evidenza al
riguardo
- esagerazione e minimizzazione= enfatizzare gli aspetti negativi di sè e degli eventi e
sottovalutare quelli positivi
- lettura del pensiero= attribuire pensieri o intenzioni ad altre persone in modo arbitrario
Durante il dialogo socratico o nella compilazione dei report è consigliabile chiedere al paziente di
indicare il grado di convincimento del paziente di un idea, soprattutto in seguito alla messa in atto di
un comportamento alternativo congruente alla nuova interpretazione.
Una volta che è stata portata a compimento l’analisi del sintomo l’intervento si sposta verso
l’individuazione delle credenze disfunzionali, mediante l’utilizzo della tecnica delle Freccia
Discendente.
In questa fare può esser utile un training sull’autostima, avendo il depresso una concezione negativa
di sé.
Un’altra tecnica cognitiva utilizzata è il Problem Solving: è un modo di ragionare sistematico che
aiuta il paziente depresso a risolvere problemi per il quale non riesce a trovare una soluzione (vuoi
per la difficoltà del problema vuoi per le sue difficoltà dovute alla depressione).
E’ composto da una serie di passi: rendersi conto che esiste un problema, individuare il problema,
stabilire gli obiettivi, brainstorming per individuare possibilità di soluzione, valutazione delle
alternative, scegliere quella più efficace ed efficiente mediante analisi costi/benefici, programmare
l’azione, realizzazione, valutazione conseguenze.
Per prevenire le ricadute programmeremo delle sedute di follow-up inizialmente mensili e
successivamente trimestrali , lavoreremo sulle credenze di base, riepilogheremo col paziente le
azioni necessarie per evitare una ricaduta.
Risultati
Le ricerche dimostrano che l’80 % dei pazienti che segue un trattamento cognitivocomportamentale riesce a guarire dalla depressione, mentre alcuni fattori sembrano correlati
maggiormente all’insuccesso: gravità del disturbo, tentativi di suicidio, carenze di supporti sociali,
presenza problemi coniugali, aspettative basse di guarigione, età superiore ai 50 anni, scarsa
compliance.
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