La depressione infantile: segnali d`allarme e modalità d`intervento A

La depressione infantile: segnali d’allarme e modalità d’intervento
A cura della Dott.ssa Eleonora Piacentini
Il fantasma della depressione infantile è stata per lungo tempo oggetto di misconoscimento da parte
della comunità scientifica. Negli ultimi venti anni, tuttavia, il crescente interesse verso questa
patologia ha permesso una sua legittimazione ed ha permesso di ridiscutere una serie di miti che
avevano da sempre vincolato la materia. Tali errori di valutazione riguardavano l’idea che la
depressione infantile non esistesse o che rappresentasse una variante fisiologica dello sviluppo
psichico del bambino o che, addirittura, si potesse manifestare esclusivamente in forma
“mascherata”, in modalità del tutto lontane da quelle tipiche della depressione in età adulta.
Identificare la depressione in un bambino è un atto di estrema delicatezza e di grande valore clinico:
occorre innanzitutto essere cauti nell’affermare che la depressione infantile presenti caratteristiche
sintomatologiche totalmente sovrapponibili a quelle di pazienti adulti.
Nello specifico il DSM-IV (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali [1994])
definisce il disturbo depressivo maggiore un periodo di due mesi caratterizzato da episodi
depressivi (della durata di due settimane) con declino significativo del tono dell’umore e/o perdita
di piacere e interesse che si accompagni ad altri sintomi quali: umore depresso e/o irritabile,
significativa perdita o aumento di peso, diminuzione o aumento di appetito, insonnia o ipersonnia,
agitazione o rallentamento psicomotorio, faticabilità e mancanza di energia, sentimenti di
autosvalutazione o di colpa eccessivi, ridotta capacità di pensare, di concentrarsi o di indecisione,
pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un
piano specifico o ideazione di un piano specifico.
Per diagnosticare tale malessere occorre, inoltre, che esso non sia giustificato da una condizione
medica generale e da un lutto o da una perdita di una persona amata in un periodo immediatamente
precedente. Il DSM-IV, quindi, pur mantenendo l’equivalenza e la sovrapponibilità nosografica tra i
disturbi depressivi del bambino, dell’adolescente e degli adulti, ha introdotto alcune correzioni ai
singoli criteri. In particolare viene proposto che l’umore depresso possa essere sostituito in età
evolutiva dall’irritabilità e che il criterio temporale di durata delle diverse forme sindromiche possa
essere significativamente ridotto nei bambini; in quest’ultimi possono inoltre essere predominanti le
lamentele somatiche.
I sintomi appena elencati, quindi, rappresentano il sentiero che il clinico segue nel corso del
processo diagnostico; alla luce di questo elenco, è doveroso, pertanto, disincentivare la
formulazione di una diagnosi “fai da te” (effettuata da personale non esperto), che non tenga conto
di altri aspetti fondamentali (quali ad esempio il contesto familiare, eventuale presenza di disturbi
mentali in famiglia, la fase evolutiva che il bambino attraversa, dimensioni temperamentali) che
contribuiscono a formulare un quadro esaustivo e completo del vissuto del piccolo paziente.
Riconoscere eventuali segnali d’allarme in via preventiva, risulta certamente nodale nell’evitare che
il disturbo depressivo ricorra in età successive. Alcuni autori evidenziano il pericolo che la stessa
diagnosi continui a perpetuarsi in adolescenza e successivamente in età adulta (Weissman et al,
2000; Fombonne et al., 2001) o che, in alternativa, costuisca un fattore di rischio per altre patologie
psichiatriche (Akiskal et al., 1983).
Coloro che sono strettamente a contatto con un bambino sofferente di depressione, potrebbero
interrogarsi su eventuali cause alla base del disturbo. Innanzitutto, è necessario sottolineare che,
come per la maggior parte delle sofferenze psichiche, non esiste soltanto una via univoca, ma anzi
l’esordio della depressione (in età adulta come in infanzia) è spesso a carico di molteplici istanze in
continua interazione tra loro. Le tesi più accreditate indicano che la depressione infantile possa
essere un connubio di fattori genetici, temperamentali, di personalità, ambientali e neurobiologici.
La patologia depressiva ha un forte impatto familiare: figli di genitori depressi hanno un rischio
relativo di sviluppare una patologia dell’umore lungo il loro arco di vita sei volte maggiore rispetto
ai figli di genitori sani (Downey , Coyne 1990). Una delle possibili spiegazioni di questo fenomeno
è che un genitore depresso, oltre alla trasmissione diretta di una vulnerabilità genetica per i disturbi
depressivi, fornisca ai loro figli uno stile affettivo-ambientale sfavorevole e in grado di amplificare
il dato genetico puro (Cicchetti, Tucker, 1994). Per quel che riguarda i fattori ambientali, sembra
che la depressione in età evolutiva sia correlata con esperienze di vita negative, come un lutto, una
perdita, difficoltà economiche o scolastiche, conflitti coniugali, eventi traumatici. (Cicchetti,
Tucker, 1994).
In ogni caso, è senza dubbio di vitale importanza cogliere precocemente i segnali di allarme che un
bambino manifesta attraverso il proprio malessere. Che si tratti di depressione o di altre avvisaglie
comportamentali, si consiglia un consulto immediato per evitare che la sofferenza si irrigidisca, si
perpetui e esponga il bambino a disturbi più seri e più invalidanti col passare del tempo. Lo scopo
dell’intervento terapeutico dovrebbe articolarsi in tre funzioni che riguardano il miglioramento dei
sintomi, la consolidazione e il mantenimento della remissione e la prevenzione di ricadute negli
anni successivi. L’approccio farmacologico è in espansione, nonostante i pericoli connessi con l’uso
di tali farmaci in età precoce (Ammanniti, 2001): i farmaci antidepressivi di tipo serotoninergico (in
grado, cioè, di aumentare i livelli di serotonina) sembrano essere una delle vie elettive per la
riduzione dei sintomi depressivi (Costello, 2002). In ambito scientifico si riscontra un’unanimità
nell’indicare il trattamento psicoterapeutico come l’intervento più opportuno per la cura della
depressione infantile. In base alla specificità situazionale, è consigliabile intraprendere un percorso
di psicoterapia cognitivo-comportamentale, sistemica (che quindi coinvolga tutta la famiglia) o
interpersonale. Nell’approccio psicoterapeutico è indispensabile un sostegno alla famiglia mirato
alla migliore comprensione dei disturbi del’umore e dei bisogni profondi del bambino depresso di
essere sostenuto durante la giornata. La psicoterapia individuale deve includere un approccio
cognitivo e uno più strutturato e diretto all’espansione delle funzioni sociali. Poiché le competenze
sociali possono restare compromesse anche dopo l’esordio acuto sono importanti interventi a lungo
termine e integrati sull’ambiente sociale (Levi, Sogos, 1999).
In conclusione, ci sembra opportuno consigliare tre aspetti fondamentali: essere allerti nel
riconoscere manifestazioni anomale del comportamento infantile, agire tempestivamente, affidarsi
congiuntamente ad un equipe di professionisti di ambito psicoterapeutico e neuropsichiatrico.
Bibliografia di riferimento:
Akiskal, H.S., Walker, P., Puzantian, VR., King, D., Rosenthal, T.L., Dranon, M. (1983), Bipolar
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(DSM-IV). Washington, DC: American Psychiatric Association, 1994. Edizione italiana a cura di
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Ammaniti, M. (a cura di) (2001), Manuale di psicopatologia dell’infanzia. Raffaello Cortina,
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Guidetti, V. (a cura di) (2006), Fondamenti di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Il
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Levi, G., Sogos, G. (1999), Psicopatologia dello sviluppo e psicoterapia Giornale di
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