L’APPROCCIO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE AL DISAGIO PSICOLOGICO Non esiste una sola psicoterapia, esistono psicoterapie diverse che seguono approcci, modelli, autori, teorie tra loro molto diverse. Ogni psicoterapeuta abbraccia uno specifico filone di pensiero che determina le specifiche caratteristiche del suo modo di fare psicoterapia. Viene da se che ogni paziente dovrebbe poter scegliere il proprio terapeuta conoscendone l’approccio di riferimento e le modalità di lavoro. Questo breve articolo vuole descrivere un particolare tipo di approccio: quello cognitivo-comportamentale. L’approccio cognitivo-comportamentale si basa sull’idea che esista una complessa relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti e che, più nello specifico, le nostre emozioni e i nostri comportamenti siano legati in maniera unica non tanto alle situazioni di vita che sembrano scatenarli quanto alla lettura, all’interpretazione che noi diamo a quelle situazioni. Dire ciò significa dire, quindi, che non sono i fatti a farci sentire o reagire in un certo modo quanto piuttosto il significato personale che attribuiamo ai fatti (Ellis, 1990; Lorenzini e Sassaroli, 1995) La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) si basa su di uno specifico modello, il modello ABC di Ellis (1962, 1994). A rappresenta gli antecedenti, ovvero le situazioni gli avvenimenti, gli eventi i fatti come li vedrebbe una telecamera. B indica le credenze, i pensieri, i ragionamenti, le valutazioni, i significati che riguardano i fatti che si trovano in A. C indica le conseguenze, siano esse emozioni o comportamenti, che seguono ciò che accade in B, dato un certo A potremmo quindi costruire una sorta di schema a tre colonne A Situazione B pensieri e credenze C emozioni e comportamenti Proviamo a fare un esempio per comprendere come utilizzare questo schema e come mettere in relazione le sue varie parti. A (Situazione): devo tenere una conferenza C (emozioni e comportamenti): sento lo stomaco che si chiude, iniziano a sudarmi le mani, mi sento tesa, in imbarazzo, in ansia Si potrebbe pensare che il fatto di tenere la lezione mi provochi tutte queste sensazioni ed emozioni. Ma proviamo a guardare bene che cosa c’è dentro B (pensieri, credenze, valutazioni, ecc) B: “penseranno che sono troppo giovane per sapere veramente di cosa parlo”, “farò sicuramente brutta figura come tutte le volte”, “sarebbe terribile se il proiettore non funzionasse subito e avessi bisogno di chiedere un aiuto per far partire le slide” Proviamo ora a vedere che cosa succederebbe se dentro B ci fosse qualcosa di diverso B: “resteranno colpiti dal fatto che anche se sono molto giovane sono già molto competente”, “le altre lezioni che ho fatto sono andate bene, me la posso cavare” “spero che il proiettore questa volta non dia problemi…in caso chiederò a qualcuno di aiutarmi” Il C che consegue da questo tipo di pensiero sarà sicuramente diverso dal C precedente, è più probabile che ci sia una maggior sensazione di serenità, di padronanza e di fiducia nei confronti di me stessa e del compito che devo svolgere. Eppure….siamo partiti dalla stessa identica situazione! Che cos’è che fa sì che io provi emozioni e sensazioni diverse nei due casi? I miei pensieri. Quello che mi dico nella testa quando mi trovo a dover affrontare una certa situazione. Secondo gli autori della TCC ognuno di noi cerca di dare un senso a ciò che lo circonda e organizza l'esperienza per non essere sopraffatto dalla grande quantità di stimoli a cui è sottoposto ogni giorno. Con il passare del tempo questo porta ad avere convincimenti, pensieri e convinzioni che possono essere più o meno aderenti alla realtà e più o meno funzionali al benessere della persona. Secondo la TCC esistono, infatti, due tipologie di pensieri o credenze: quelle funzionali, ovvero quelle che permettono all’individuo di adattarsi in maniera ottimale alla realtà e agli eventi; e quelle disfunzionali, ovvero credenze “distorte” che si attivano in modo rigido e automatico producendo sofferenza nella persona (Ellis, 1990). La TCC mette quindi a fuoco un punto fondamentale per produrre un cambiamento che aiuti la persona a stare meglio: modificare B, ovvero modificare le convinzioni e i pensieri disfunzionali della persona. L’intervento cognitivo-comportamentale quindi presenta degli aspetti di peculiarità che lo differenziano in maniera sostanziale da altri tipi di terapia: 1. è centrato sul problema attuale, ovvero terapeuta e paziente pongono attenzione a ciò che nel presente contribuisce a mantenere la sofferenza (anche se un certo spazio viene comunque dedicato all’analisi di eventi passati ed esperienze infantili come fonti di informazione sull’evoluzione dei sintomi e sul perché della costruzioni di certe specifiche convinzioni) 2. è basato sulla collaborazione attiva tra paziente e terapeuta, entrambi infatti, lavorano per identificare, mettere in discussione e sostituire le credenze disfunzionali che provocano sofferenza nel paziente 3. è di breve durata 4. è orientata ad uno scopo: questo tipo di intervento è rivolto alla risoluzione di problemi psicologici concreti e circoscritti, terapeuta e paziente scelgono insieme gli obiettivi del trattamento e concordano in percorso da svolgere 5. è basata su evidenze scientifiche: i percorsi di intervento cognitivo-comportamentale intrapresi per molti disturbi psicologici (es: ansia, depressione, attacchi di panico) sono fondati su evidenze scientifiche di efficacia. Tale tipologia di intervento può essere applicata sia a situazioni di disagio psicologico (sensazione di bassa autostima, stress, difficoltà relazionali o personali) che a situazioni più problematiche (ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi alimentari, ossessioni, ecc), è inoltre adeguata per il lavoro sia con adulti che con utenti in età evolutiva, in modo particolare con gli adolescenti. Per i bambini invece, spesso, si utilizzano alcune di queste tecniche affiancate da alcune strategie basate sulla modificazione del comportamento. Tale tipo di intervento permette solitamente di ottenere una riduzione dei comportamenti problematici (es: iperattività, scarso autocontrollo, ecc) e di aumentare, invece, quelli più postivi ed adeguati alle situazioni di vita.