di Enrico Castellani, Valeria Raimondi con Enrico Castellani, Valeria

di Enrico Castellani, Valeria Raimondi
con Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Ilaria
Dalle Donne
collaborazione artistica di Vincenzo Todesco
consulenza tecnica Gianni Volpe
luci e audio Babilonia Teatri/Luca Scotton
realizzazione scena Sergio Dalle Donne
costumi Franca Piccoli, Cristina Fasoli
organizzazione Alice Castellani
grafica manifesto Francesco Speri
foto manifesto Massimo Molinari
foto di scena Marco Caselli Nirmal
produzione Babilonia Teatri, Festival delle
Colline Torinesi, Operaestate Festival Veneto
col sostegno di Viva Opera CIrcus, Kilowatt
Festival, Teatro Fondamenta Nuove
"Un primo irruente schema di Pornobboy ad opera di Valeria Raimondi ed
Enrico Castellani, emersi da qualche tempo con made in italy, e per ora è un
lavoro d'urto a base di dediche feroci, glamour sessuale, disputa
performativa, installazione sonora, blitz canaglieschi e cartellonistica di
beatitudine evangelica". (R.Di Giammarco, La Repubblica, 8/9/2008)
Pornobboy fotografa il nostro tempo. La realtà e le sue contraddizioni. Va a
scovare le nostre incoerenze. Per scoperchiarle. Per riderne. Con cinismo.
Con affetto.
Il centro dello spettacolo è il continuo bombardamento mediatico. Il nostro
modo di vivere e recepire tutto ciò. Il nostro farne parte. Il bisogno di
mostrare, ostentare, guardare e vedere tutto. Viviamo sotto il fuoco
incrociato di una comunicazione che ci rende dipendenti. Siamo morbosamente
attratti da particolari pornografici. Da dettagli macabri. Da una cronaca
che si occupa dei fatti senza interrogarsi su cause ed effetti. Regna
l'incapacità di scindere pubblico e privato. Il continuo mescolarsi dei
piani. Una schizofrenia in cui nuotiamo quotidianamente.
pornobboy non è una requisitoria sul sesso
è un blob del nostro presente saturo
tutto viene pornograficamente mostrato
noi ne godiamo
ci scandalizziamo
ci affoghiamo
tutto si può vedere
non di tutto si può parlare
tutto si può fare
non tutto si può condividere
tutto si può avere
qual è la distanza che separa la parola dai fatti il dire e il fare la
faccia e il culo siamo un concentrato di contraddizioni siamo ridicoli siamo
nudi
certe cose non si fanno
certe cose non si dicono
certe cose neanche si pensano
BREVE RASSEGNA STAMPA
PORNOBBOY di Babilonia Teatri
R. Palazzi, Dacci oggi il nostro porno quotidiano, Il Sole 24 Ore, 21 giugno 2009.
Per capire realmente di che stoffa sono fatti i Babilonia Teatri bisognerebbe avere visto uno degli
studi preliminari su Pornobboy, e la versione definitiva presentata al Festival delle Colline Torinesi:
nelle fasi di preparazione la scena si riempiva di una serie di oggetti allusivi, water-closet,
stampanti, slip provocatoriamente sventolati, e così via. Alla fine delle prove hanno avuto il
coraggio e la lucidità di togliere tutto, lasciando solo le parole che riversano in faccia al pubblico in
un coro insieme antico e dissennatamente post-moderno.
Il titolo come si evince dalla lunga, sarcastica dedica rivolta alle principali testate giornalistiche-e
ai loro inserti e supplementi, ai gadget in omaggio, ai fascicoli sulla cucina, sulla casa, sui
motorinon
si riferisce alla pornografia del sesso, ma a quella dell'informazione: tema dello spettacolo è la
morbosa attrazione per il sangue, i delitti, gli scandali, per i dettagli macabri, i risvolti disgustosi,
l'enfatizzazione degli avvenimenti che trasforma non tanto la natura degli avvenimenti stessi,
quanto la sensibilità di chi li recepisce.
Il testo, secondo lo stile del dirompente gruppo veronese, non ha traccia di vera costruzione
drammatica, ma è composto dall'impassibile assemblaggio dei più diversi frammenti linguistici:
stralci di articoli, frasi fatte, luoghi comuni vengono vertiginosamente accostati tra loro e
ossessivamente moltiplicati fino a diventare filastrocche, nenie, vacue elencazioni, incrociandosi
con proverbi e modi di dire, disponendosi a volte anche in imprevedibili rime baciate, che
imprimono al tutto cadenze quasi musicali.
Immobili nella scena vuota, lo sguardo un po' truce, il tono impersonale, i bravissimi Valeria
Raimondi, Enrico Castellani e Ilaria Dalle Donne snocciolano con furiosa energia un'incalzante
litania in cui convergono Cogne e Perugia, Veronica, la nazionale di calcio, Eluana che “aveva
ancora le mestruazioni” e “poteva concepire un figlio”. La singolarità della loro scelta espressiva è
che essa trascende la satira, trascende la protesta: si limita a tracciare con gelida oggettività uno
spassionato ritratto di ciò che siamo. Usa le quotidiane idiozie della nostra società per ritorcergliele
contro, con effetto deflagrante.
Questo flusso sonoro, il cui ritmo non cade neppure per un attimo, si interrompe solo al risuonare
fuori campo di un motivetto infantile, da Zecchino d' Oro: stranamente, a differenza del solito, la
trovata non ha nulla di derisorio, ma evoca invece una specie di vaga nostalgia: poi un macchinario
sospeso riversa un enorme colata di schiuma che inghiotte l'intero palco e i suoi occupanti.
L'impressione è fortissima: non vorrei esagerare ma credo che siamo di fronte a uno dei fenomeni
più audaci e innovativi del teatro italiano degli ultimi vent'anni.
M. G. Gregori, Quanto sono porno i media, L'Unità, 20 giugno 2009.
Nel benemerito festival delle Colline Torinesi, da sempre dedicato al nuovo teatro e ai più
interessanti giovani gruppi europei, quest'anno la punta di diamante per il linguaggio del corpo, per
il provocatorio uso della parola, per la precisa scelta di cambio è Babilonia Teatri, ensemble del
Nord Est rivelatosi qualche anno fa grazie al Premio Scenario. In scena , in questo loro nuovissimo
Pornobboy, sono solo in tre, ma la riempiono tutta, anche se se ne stanno lì, immobili.
Un ininterrotto flusso di parole come una scudisciata, una richiesta incessante, estrema di verità. E'
un coro tragico, che denuncia un profondo malessere sociale e morale, giocato su tre voci in
perfetta sintonia. Che, arrivate al culmine del discorso, si arrestano all'improvviso, per poi
riprendere come se avessero un metronomo infallibile nella testa dopo aver rovesciato su di noi una
serie di domande sulla nostra vita. Domande che nascono dal bombardamento dell'informazione,
che non ci racconta solo i fatti per commentarli, ma che vuole soddisfare, con tutta una serie di
allegati, ogni curiosità. Da qui nasce quell'idea del porno, un po' un'ossessione per questo gruppo
che vuole fare un teatro “pop e rock”, veloce e immediato, che non riguarda solo la sessualità, ma
che è il metro di ogni azione. Gambe larghe, vestiti come i ragazzi d'oggi, Castellani, Raimondi,
Dalle Donne, ci raccontano di una società guardona, di un mondo che, a seconda delle scelte, rivela
“verità”diverse.
Pornografici sono il modo in cui i fatti vengono raccontati, la nostra richiesta spasmodica che non è
un bisogno di conoscenza, ma desiderio di particolari sempre più tragici nella loro cretina ovvietà,
nella loro impudicizia. Vogliamo sapere le cose più insignificanti, sulla morte di Giuliani, di
Quattrocchi, sul delitto di Cogne, su Veronica e Silvio. Così, tanto per sollecitare il bisogno di
spettacolo a tutti i costi, di un reality più falso del falso. Il vertice si tocca secondo i Babilonia
Teatri, con la tragica vicenda di Eluana Englaro, dove il riportare parole dette davvero e qui
snocciolate come un rosario, ci precipita in un paesaggio sinistro, in una violenza di massa, senza
pietà nei confronti di una vittima innocente.
Questi attori che non vogliono di certo farci una morale, ci comunicano fisicità ed energia,
trasformandosi nella maschera e nel megafono di una requisitoria che ci riguarda.
Sarcasmo, provocazione, disperazione, con un'improvvisa apertura non si sa se irridente o dolce
verso l'ingenuità dell'infanzia rappresentata da un coro di bambini dello Zecchino d' Oro che canta
la pace e la condivisione. Altrimenti un enorme mare di bianca schiuma artificiale (quasi sperma
che fa nascere pensieri e parole “morte”), prodotto a vista da una macchina che sta in alo sopra la
scena e che inghiotte gli attori, ci sommergerà, ci seppellirà, ci farà fuggire. Verso dove?
R. di Giammarco, I malcostumi dell'informazione, La Repubblica, 12 dicembre 2009
Scioccante e implacabile, Pornobboy di e con Enrico Castellani e Valeria Raimondi (con la ben
affiatata Ilaria Dalle Donne) distoglie dal blob nazionalpopolare del loro precedente di culto made
in italy, e impartisce un affondo cupo sui malcostumi mediatici. In perfetta sincronia i tre danno
vita a un oratorio che riproduce temi e schemi efferati dei linguaggi informativi. Una prestazione
rara, la loro, votata a un eccesso (anche sarcastico) di sfrontatezza e di macabro che discenda da un'
etica dello scandalo. Superbi tecnicamente, sfiorano forse l'estenuazione. Ma la cartellonistica cui
si dedicano in apertura, e quella travolgente (incredibile) schiuma che li sommerge alla fine,
bilanciano con lievità l'integralismo del lavoro.
M. Poli, Ben calibrato il mantra di Pornobboy, Il Corriere della Sera, 2 ottobre 2009
Tre attori immobili sullo sfondo di un cartellone pubblicitario composto da vari manifesti del loro
spettacolo «Pornobboy» si lanciano in una invettiva-litania sarcastica e pungente che ha per tema la
pornografia delle parole e delle immagini che quotidianamente ci riempiono occhi e orecchie con
implacabile volgarità: il linguaggio dell’informazione, per i «Babilonia Teatri», gruppo di
straordinario interesse, è autentica pornografia. Del resto cos’altro sono le mezze verità, le verità
pilotate, le grossolane semplificazioni, l’insistere su scandali rosa e su delitti con morbosa solerzia
in un linguaggio, parola e immagine, degradato e corrotto che sicuramente favorisce lo scadimento
culturale e etico di una società? Titoli di giornali, brani di articoli, frasi fatte, luoghi comuni,
evocazioni di trasmissioni televisive dove si disquisisce sui dettagli macabri e più sgradevoli di
delitti e fatti luttuosi, si intrecciano in un gioco linguistico agghiacciante, ben calibrato e ben
recitato, in un mantra terrificante senza intenti né moralistici né predicatori, finché da un
marchingegno fallico sospeso nel cielo del teatro cadrà una schiuma bianca sommergendo i
bravissimi Valeria Raimondi, Enrico Castellani – anche autori del testo – Ilaria Dalle Donne e con
loro tutta la nostra società dal linguaggio malato di cinico opportunismo.
www.delteatro.it A. Porcheddu
A Volterra, ogni estate, si celebra il teatro. È un rito laico e struggente, un coinvolgimento emotivo
straziante, una festa e un funerale assieme. Ogni estate si torna qua, arrampicandosi su tornanti di
una Toscana bellissima e fieramente appartata, per capire le possibilità dell'impossibile: per vedere
la compagnia della Fortezza anno dopo anno; per cogliere tensioni, per tastare il polso ad artisti che
inseguono percorsi di marginalità eppure fondamentali, per sentire il profumo di poetiche inattese e
sorprendenti.
Ci si scontra con spettacoli aspri e scomodi, con arrembanti denunce, con fragorosi tormenti. È il
caso di Pornobboy della compagnia Babilonia Teatri, acida requisitoria sulla pornografia del
contemporaneo. Lo spettacolo è una aguzza critica sociale, una disperata ballata sul voyeurismo
estremo di un'Italia fatta di guardoni e spacciatori di immagini, di opinioni drogate e inculcate, di
cronaca nera che si tramuta in isteria collettiva. Pornobboy si apre con una dedica alle mille
"possibilità" dei giornali italiani, fatti di inserti, supplementi, omaggi, regali, raccoglitori, libri: tutti
uguali per produrre una poltiglia di notizie da consumare velocemente e indifferentemente,
parlando di tutto tranne che di questioni davvero urgenti.
Ecco, allora una infilata di "casi" più o meno recenti, dalla Franzoni a Quattrocchi, da Meredith a
Lady Veronica, e tutte le storture e le brutture di una cronaca che scavalla agilmente dal noir al rosa,
dallo splatter al salottiero. Ma naturale è parlare della tv, degli approfondimenti morbosi di
trasmissioni disgustose e davvero pornografiche. Il bisogno di dettagli, di particolari
raccapriccianti, di zoomate implacabili, di testimonianze faziose: ecco il nuovo made in italy della
compagnia veronese. In questo testo che è ritmo e evocazione, gioco verbale fatto di allitterazioni e
assonanze, rimandi e sonorità, la realtà è denunciata in tutte le sue banali contraddizioni: è una presa
di posizione politica e dignitosa di chi sa di essere dentro un sistema distorto, di chi sa di essere
complice, consapevole o meno, di una grande truffa di massa.
Con Pornobboy il gruppo - Valeria Raimondi, Enrico Castellani affiancati in scena da Ilaria Dalle
Donne, già apprezzato per le precedenti prove - tocca forse l'apice della propria ricerca recente: qui
il percorso si fa ancora più rigoroso e tagliente, asciutto e per nulla indulgente, tanto da travolgere il
pubblico e lasciarlo senza fiato. Non c'è un cedimento, semmai un frastornate atto d'accusa che non
ha pietà né di chi dice né di chi ascolta.
Dopo aver attaccato mille manifesti (auto)promozionali su un enorme pannello che limita sul fondo
la scena - manifesti che riproducono i volti degli attori e il titolo dello spettacolo, quasi a
sottolineare l'estremo esibizionismo dei nostri tempi - i tre interpreti si posizionano al centro della
scena e qui resteranno immobili sino alla fine. Cominciano a parlare all'unisono, scandendo, quasi
urlando ferocemente, battuta dopo battuta, tutto il testo. Solo brevi pause, un respiro, un istante a
dividere una "litania" dall'altra; solo un segno delle croce o una inquietante ninna nanna da
Zecchino d'Oro a ricordare i tanti anestetici del nostro tempo.
Poi sono le storie, come quella di Eluana, che diventa qui oggetto di un mantra dalle mille
declinazioni: Eluana al centro di tutto, usata, sfruttata, denudata, derubata della propria riservatezza
in nome di un diritto di cronaca, di un dibattito politico tanto volgare quanto pretestuoso. Le parole
di Babilonia sono un'eco di quelle esasperazioni, di quelle volgarità: in dialetto o in italiano,
macinano secondo dopo secondo la distanza tra scena e platea. Ed è un attacco senza via di scampo
per chi ascolta. Le luci in sala sono accese, gira quasi la testa, ma loro non si fermano. Pornobboy
esplode alla fine con una macchina da schiuma, di quelle usate nelle grandi discoteche: un apparato
chiaramente fallico, che si gonfia fino a far schizzare sopra le teste degli attori un mare di schiuma
bianca, un blob che lentamente invade la scena, inghiotte gli interpreti, lambisce gli spettatori della
prima fila. In quel mare affoga il Bel Paese...
Tommaso Chimenti
VOLTERRA – Se “Made in Italy” era il cinico ritratto a colori delle nostrane deturpaggini, questo
“Pornobboy” è il suo negativo, il bianco e nero, che concede molto meno all'estetica lasciando
trapelare nient'altro che il vuoto scarno della pulizia, la voce sola dei tre Babilonia, sempre
megafoni arrabbiati ma stavolta meno urlanti. Sono altoparlanti, bocche di fuoco che sparano come
mitragliatrici in uno spazio scevro e povero, senza alcun appiglio concettuale. La voce, il testo, tre
corpi che potrebbero essere decuplicati all’infinito come la parabolica d’acciaio alle loro spalle sulla
quale, come pubblico in una ola da stadio, sono appesi ed appiccicati i loro tre volti, non
rassicuranti né sorridenti (e in fondo non c’è niente di che sorridere), nei cartelloni promozionali
della piece. Niente è casuale, come le magliette di icone che indossano: c’è il Che rosso, il teatro
(Santarcangelo) sul blu, I love NY in bianco. Simboli e stilemi da distruggere o quel che resta (del
giorno) da salvare? Sono, se possibile, ancora più duri e cupi, rabbiosi e incazzati, e le loro parole
s’incollano nelle teste, s’appiccicano negli occhi nelle piene dei continui rafforzativi recitativi così
come nei lunghi e prolungati e ingestibili silenzi opprimenti che mettono a subbuglio dentro, che
rendono inquieti, che danno fastidio, prurito e ruggine. Stanno in posizione da marines, gambe
larghe e braccia lungo il corpo, non concedono niente alla poesia, nulla all’estetica, e la loro
denuncia si infarcisce di dialetto negli attacchi ai giornali, Cogne, Quattrocchi, Carlo Giuliani e
Meredith. Il dramma che diventa faceto nel piccolo schermo e l’ovvietà che pare tragica attraverso
il tubo catodico. Ed allora le canzoncine da jingle stupido e banale si miscelano a Veronica Lario, le
canzonette popolari si imbottiscono di Eluana in tutte le salse, ritornelli sanremesi di serie B e
slogan e luoghi comuni e partite di pallone, tutto triturato come frattaglie nel videogioco della vita
dove c'è sempre un altro schema e non si muore mai per davvero. Non fanno sconti i picconatori
Babilonia mai consolatori; ti guardano come a dire: “E allora?!”, un po’ sfida, un po’ “hai tu la
soluzione?”. Ti gettano addosso il mare di schiuma-sperma come un blob avvolgente e viscido nel
quale non possono far altro che sprofondare e farsi inghiottire, cadere fagocitati. Sono militanti ed il
loro è ancora, sempre più, un teatro malinconico-politico senza scialuppe di salvataggio. Hanno
www.scanner.it
scelto la direzione senza farsi portare, hanno puntato i piedi ed hanno deciso senza compromessi.
C. Orsini, L'orrore quotidiano, Rolling Stone, settembre 2009
“sghei e osei finchè ghe né ciapei” (soldi e uccelli, finchè ce ne sono, prendeteli) esortavano nel
loro spettacolo precedente, made in italy. Premio Scenario 2007.
Si definiscono con un paradosso: un teatro pop, un teatro rock, un teatro punk.
Babilonia Teatri, gruppo veronese in rapida affermazione, esegue un teatro dell'eccesso di parola
esattamente ortogonale al teatro narrativo della verticalità del verso. Estraendo temi e tormenti da
tutti i media in cui siamo immersi, li ripropongono a ritmo vertiginoso come litanie, senza respiro,
formando una massa di parole orizzontale e magmatica, di cui lo spettatore è chiamato a ricomporre
il senso.
Il loro nuovo spettacolo, Pornobboy, fa riferimento alla pornografia dell'informazione, all'eccesso di
orrore e di gossip nel cui flusso ci dibattiamo ogni giorno. Ce la sbattono in faccia in tre in scenauna
scena nuda, abitata solo dai molteplici manifesti del loro spettacolo- in cui appaiono
moltiplicati in un coro tragico.
Si va dalla giaculatoria sui nomi degli inserti dei quotidiani al compiacimento dell'orrore di porta a
Porta, alla spettacolarizzazione giornalistica delle liti tra Veronica e Silvio, fino alla crudeltà del
caso Englaro, premendo il pedale sull'intervento vaticano in merito alla presunta fertilità di Eluana.
Arrivano a farci rabbrividire con un parallelismo tra il bianco papale e il bianco sperma, e con
“Eluana, tutta tana...Eluana barbuta sempre piaciuta...”
Teatro militante, che nel vomitare sulla scena con un détournement la bestialità della
mediatizzazione globale dell'orrore quotidiano obbliga a prendere posizione, senza imporne una.
Fino all'estremo del fraintendimento: durante una sequela sul razzismo in made in italy, alla terza
ripetizione di “negro di merda”, una signora di colore se n'è andata offesa...
G. Capitta, «Pornobboy», la schiuma che affoga la politica, il manifesto, 29 novembre 2009
Il gruppo veronese Babilonia Teatri si è conquistato in un paio d’anni un ruolo rimarchevole
sulla scena italiana. Dal loro spettacolo d’esordio, Made in Italy , a oggi, Valeria Raimondi e
Enrico Castellani hanno elaborato un proprio preciso linguaggio scenico, tanto originale quanto
penetrante nella coscienza del pubblico. Si dimostrano in grado infatti di scavare, frugare e
selezionare nella montagna di sciocchezze da cui siamo sepolti, nei luoghi comuni e negli
slogan, nelle false certezze e negli inganni bestiali da cui siamo sommersi, per trarne un canone
liberatorio e irresistibile, trascinante e funereo che davvero attira verso l’abisso. La schiuma di
politica e comportamenti, di turpitudini «civili» e di incivili perbenismi, è la materia che nelle
loro voci si fa quasi partitura (assieme a loro, nel modulare impettiti, c’è Ilaria Dalle Donne),
una raffica armonica, una sorta di canto gregoriano della nostra epoca. Era così nei due
spettacoli precedenti, ma ora in Pornobboy (all’India fino a oggi pomeriggio) la tecnica si è
evoluta, e anche il paesaggio circostante si è degradato: le posizioni, i pensieri e le
rivendicazioni «di destra» come «di sinistra» si sono uniformate nella riproduzione
massmediatica, come ognuno del resto si può rendere conto ogni sera accendendo la tv. Ma si
sente ben presente il rischio di una stasi, quasi una prigionia dentro un modello che non riesce a
oltrepassare il valico della denuncia, per quanto spietata e a 360 gradi. Mentre sicuramente il
gruppo ha capacità e fiuto per scavalcare quella barriera e arrivare a un teatro più articolato.
Come dimostra l’unica, vera e forte idea spettacolare, la montagna di schiuma che dall’alto
piove alla fine a avviluppare e forse soffocare in una melma indistinguibile i tre attori e il
contenuto del loro canone urlato. Funziona egregiamente come giudizio di valore, e minaccia
apocalittica, ma fa venire in mente che da lì la serata, o la prossima creazione debba nascere e
andare avanti.
E. Fiore, Il pornoblob quotidiano negli eccessi dei media, Il mattino, 4 maggio 2010
Enrico Fiore Non se lo sarebbe mai immaginato, Carmelo Bene, che dieci anni dopo due giovanotti
di Verona, roccaforte leghista, avrebbero allestito uno spettacolo a misura del suo «’l mal de’ fiori».
Quel poema, che calò come una folgore a stracciare le cartoline letterarie del Novecento, era basato
sullo scontro fra l’Eros (che dà affanno, giusto Platone che lo vuole figlio della Penuria) e il Porno
(che dà quiete, giusto perché non fa alcuna differenza fra una donna e una tazza). Ed Enrico
Castellani e Valeria Raimondi di Babilonia Teatri - reduci dai Premi Scenario, Ubu e Vertigine -
hanno presentato al Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, nell’ambito del festival «Barock»,
un’implacabile performance, «Pornobboy», che si muove per l’appunto fra l’angoscia e la stasi. È
illuminante già la sequenza iniziale, con Castellani e la Raimondi che, affiancati da Ilaria Dalle
Donne, si danno a ricoprire il tabellone di fondo con le locandine dello spettacolo in corso. Siamo di
fronte a un’eclatante tautologia, e dunque proprio alla pura superficie che costituisce l’essenza e lo
scopo del porno, ovvero la sostituzione del corpo con la sua immagine proiettata o stampata. Poiché
di questo si tratta: della valanga di particolari con cui i media ci sommergono continuamente senza
che mai, a proposito di un qualsiasi avvenimento, quei particolari si unifichino in una significante
visione d’insieme, fino a scendere nella profondità delle idee. Ecco, allora, che i tre interpreti,
allineati e immobili, ci rovesciano addosso in coro - e insieme ossessivi e gelidi - cinquanta minuti
di un torrenziale rap (o salmo o preghiera o mantra) tessuto con tutte le parole dei giornali e delle
televisioni accoppiate con tutte le frasi fatte dagli stessi indotte circa la cronaca recente: in un
vortice di morbosità e voyeurismo che mescola, senza soluzione di continuità, la canottiera di
Giuliani, le pappe di Samuele, la kefiah di Quattrocchi, i capelli di Amanda, la riservatezza di
Veronica, le mestruazioni di Eluana e così via ubriacandosi di vuoto e d’idiozia. Inutile, a questo
punto, sottolineare la bravura e il non comune dispiego di energia fisica messi in campo da Enrico
Castellani, Valeria Raimondi e Ilaria Dalle Donne. E la conclusione non poteva essere diversa, nel
solco di un lavoro, appunto quello di Babilonia Teatri, che - lo ripeto ancora una volta - si rivela
necessario perché storicamente fondato, in perfetta e straziante (ma anche ironica) sintonia col
nostro presente. Al termine della «Ninna nanna di felicità» lanciata dallo Zecchino d’Oro, un mare
di schiuma sommerge gl’interpreti e dilaga in platea. Ma non è nera, come la massa gelatinosa del
«Blob» televisivo. È bianca, perché il bianco è per tradizione il colore della morte.