Le tecnologie dell`estremamente piccolo

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Le tecnologie
dell’estremamente piccolo
Le persone di una certa età ricordano le radio a cinque valvole ed il loro
utilizzo durante la seconda guerra mondiale per informazione e per intrattenimento. Oggi piacciono tanto quei bei mobili in legno, a volte delle dimensioni di un odierno apparecchio televisivo con display con tubo a raggi
catodici. Il Pc che sto utilizzando per queste note, o anche il diffusissimo
telefono cellulare, hanno un numero di componenti attivi che è dell’ordine
dei miliardi: non si tratta più di valvole, che somigliavano a lampadine in
vetro, ma di transistori, minuscoli oggettini realizzati con il silicio.
La facile disponibilità di componenti funzionali che occupano poco spazio, consumano pochissimo ed hanno una lunga vita utile è legata alla tecnologia dei semiconduttori, essenzialmente del silicio. In poco più di mezzo secolo i progressi tecnologici sono stati enormi, tanto da essere sbalorditivi anche per chi ha vissuto l’evoluzione dell’elettronica. È questa tecnologia che è alla base della rivoluzione digitale che ci ha condotto nella società dell’informazione e della conoscenza.
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Vito Svelto
I transistori
L’industria dei semiconduttori ha oggi raggiunto un fatturato pari a 250 miliardi di dollari. Per un apprezzamento di questi enormi importi, si fa presente che il Pil di una nazione come l’Italia è maggiore, rispetto a tale importo, solo poco più di quattro volte.
Il punto di partenza fu l’invenzione del transistore, che ebbe luogo nei
laboratori della Bell in Murray Hill (NJ, Usa), nel 1948; per tale invenzione
William Shockley, John Bardeen e Walter H. Brattain furono insigniti del
premio Nobel per la fisica nel 1956. L’esigenza di individuare componenti
più adeguati per lo sviluppo dell’elettronica era legata alle limitazioni degli
apparati allora disponibili, peraltro usati nelle comunicazioni radio e telefo-
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Fig. 1 Un insieme di singoli transistori inseriti
in adeguati contenitori metallici, su una
vecchia scheda di memoria di un calcolatore
Nixdorf del 1969.
Fig. 2 Una scheda elettronica costituita da un
circuito stampato sul quale sono montati ed
interconnessi numerosi componenti discreti
ed integrati per realizzare una funzione
elettronica.
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La dimensione tecnologica
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Fig. 3 I ricercatori-progettisti Grove, Boyce e
More in una fotografia del 1978 insieme ad
uno dei primi esempi di pellicola adeguata a
trasferire immagini per realizzare circuiti
elettronici.
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Fig. 4 Chips di un circuito integrato realizzati
su di uno strato-fetta di semiconduttore di un
calcolatore sperimentale progettato
dall’Università di California a Berkeley. Ogni
chip misura 5 mm.
niche. I tubi a vuoto erano ingombranti e poco affidabili e dissipavano una
notevole potenza elettrica; i relais elettromeccanici, usati nelle centrali telefoniche, erano lenti ed anch’essi ingombranti e poco affidabili. L’idea e il
compito di trovare adeguati sostituti per i tubi a vuoto con dispositivi allo
stato solido e, più precisamente, a semiconduttore erano nella missione costitutiva del gruppo di Shockley alla Bell.
Il semiconduttore inizialmente usato per lo sviluppo del dispositivo attivo che fu chiamato transistore, fu il germanio. Il transistore aveva molteplici
caratteristiche che lo rendevano migliore rispetto al tubo a vuoto, nell’amplificazione di segnali elettrici, che era allora la principale funzione elettronica. Molteplici apparati esistenti furono “transistorizzati”, realizzati cioè con
transistori, invece che con i tubi a vuoto, migliorandone nettamente le caratteristiche.
In pochi anni ebbe luogo l’invenzione del circuito integrato, che si riconduce a Jack Kilby, della Texas Instruments, nel 1958. Lo sviluppo e la
grande affermazione dei circuiti integrati, sono dovuti all’interconnessione
di diversi transistori sulla stessa piastrina, fu realizzato nel silicio: questo
semiconduttore continua ad essere il materiale leader per lo sviluppo dei
circuiti integrati.
Il modello di sviluppo a rete
Le basi tecnologiche della rivoluzione digitale sono state poste nel decennio 1950-60. La diffusione dell’invenzione del transistore al di fuori dei laboratori Bell è legata al modello di impresa diffusa usato da questi laboratori per estendere e utilizzare le proprie conoscenze: alle imprese interessate furono offerti la licenza d’uso ed il know-how relativo al transistore
e agli sviluppi relativi, dietro un pagamento di una anticipazione fissa sulle
future eventuali royalties. L’invenzione non fu tenuta in casa, nel gruppo
ATT, allora monopolista della telefonia negli Usa; l’offerta del ritrovato
coinvolse oltre quaranta imprese, principalmente statunitensi, sia provenienti dal mondo dei produttori di tubi a vuoto, sia operanti in altri settori,
anche non elettronici. L’invenzione del circuito integrato aveva avuto luogo alla Texas Instruments, perché questa, sorta per operare nel campo del
petrolio, voleva diversificarsi affrontando la produzione dei transistori. All’invenzione del circuito integrato, specialmente nella forma che si rivelò adeguata ai successivi sviluppi, contribuì Robert Noyce
della Fairchild Semiconductors, impresa creata da
persone fuoriuscite dalla Bell, dal gruppo, cioè, che
aveva inventato il transistore e la tecnologia dei semiconduttori. La partecipazione alle conoscenze,
ma anche al futuro sviluppo industriale, da parte di
numerose e diverse imprese, contribuì a creare rapidamente un vasto mercato manifatturiero di transistori e di circuiti integrati, ma anche di utilizzatori
dei ritrovati in diversificate applicazioni. Si creò un
insieme di persone operanti nel campo dei semiconduttori, che avevano acquisito l’informazione
primaria dai laboratori Bell, ma che si erano conosciuti ed avevano apprezzato il vantaggio della comunicazione abbastanza libera e della condivisione
dell’informazione. Il clima delle imprese statuniten-
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si, in particolare di quelle operanti là dove si sarebbe realizzata la Silicon
Valley, contribuì ad attenuare fortemente la rilevanza della segretezza industriale delle conoscenze; le persone si muovevano frequentemente da
un’impresa ad un’altra, magari creando nuove imprese; difficilmente, anche volendolo, si poteva limitare l’accesso alle informazioni. Complessivamente si può osservare che ciò non è stato secondario nel formare un numero di persone operanti nel settore che costituirono una massa sopracritica, importante nelle fasi di industrializzazione dei prodotti.
Lo sviluppo dell’elettronica
L’elettronica superò il campo della radiotelefonia e pervase in modo trasversale quasi tutti i campi d’interesse umano. I transistori furono impiegati, inizialmente, per gli apparecchi radio, piccoli e portatili: ricordo ancora
che tali radio venivano sinteticamente chiamate «il transistore». Ebbero applicazioni civili nella realizzazione di apparati acustici per persone con difficoltà di udito. Dimensioni, peso e consumo limitati furono aspetti che resero queste applicazioni utili per utenti mobili.
È indubbio che l’interesse militare nell’acquisire svariati prodotti dell’elettronica con transistori e nel valutarne le potenzialità d’uso, ha costituito
un forte supporto indiretto allo sviluppo del settore. Non bisogna dimenticare, peraltro, che lo sviluppo della tecnologia del silicio e dei circuiti integrati è stato il frutto dell’industria privata statunitense, trainata dal grande
mercato delle applicazioni militari e civili, anche se poco finanziato, direttamente, da fondi pubblici.
Gli anni Cinquanta videro l’affermarsi in ambito industriale della tecnologia di produzione dei semiconduttori, principalmente transistori del tipo
a giunzione, con caratteristiche sempre più coerenti con le previsioni teoriche e con continue migliorie del processo produttivo. L’obiettivo di fondo
era la riproducibilità dei prodotti, il raggiungimento, cioè, di una elevata
resa di produzione di transistori con caratteristiche simili e adeguate, da
impianti sempre più automatici.
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Il circuito integrato
È importante far presente che, sia con tubi a vuoto che con transistori, qualsiasi apparato funzionale (quale una radio, un televisore, un telefono cellulare) oltre che dei componenti attivi, i transistori, necessita anche di altri componenti (quali resistori, condensatori, ecc.) da interconnettere, per ottenere
un circuito elettronico funzionalmente valido.
Uno dei vantaggi dei transistori era costituito dalle sue piccole dimensioni: una riduzione enorme rispetto ai tubi a vuoto, ma senza una parallela diminuzione degli altri componenti e delle interconnessioni tra un
componente ed un altro, la dimensione complessiva dell’apparato, pur riducendosi, restava elevata e non coerente con quanto ottenuto con i transistori. Miniaturizzare anche gli altri componenti, diversi dai transistori, e
collegarli tra loro con conduttori di piccole dimensioni conduceva ad un
piccolo apparato. La realizzazione di tutti i componenti (attivi e passivi,
transistori e resistori) in una struttura compatta e piccola, effettuata su di
una sottile piastrina di silicio, costituisce il circuito integrato nel silicio. Il
singolo transistore ha dimensioni submicrometriche. Si fa presente che un
capello umano, per fare un confronto, ha le dimensioni di circa 100 micrometri. L’invenzione del circuito integrato monolitico nel silicio la si de-
Fig. 5 Un circuito integrato inserito in un
contenitore per montaggio superficiale con 8
piedini montato, tramite saldature, su di un
circuito stampato che lo interconnette ad
altri componenti.
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La dimensione tecnologica
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Fig. 6. L’immagine mostra quattro circuiti
integrati, ingranditi di molto.
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ve, come si diceva, a Jack Kilby della Texas Instruments, che realizzò nel
1958 un piccolo amplificatore integrato interconnettendo solo pochi componenti (una decina), attivi e passivi. Era stato questo il primo passo della
rivoluzione tecnologica della microelettronica, che doveva portare a realizzare su superfici di silicio dell’ordine del millimetro quadrato (con spessori inferiori al millimetro) circuiti funzionali con milioni di transistori. Le
piccole dimensioni comportano funzionalità accresciute, consumi energetici ridotti, e costi minimi.
Bisogna osservare che nella realizzazione di dispositivi che debbono
trattare segnali elettronici, che sono il supporto di “informazioni”, che, ovviamente, non hanno dimensioni geometriche o peso, non esiste un limite
dimensionale come per altri oggetti manufatti, destinati ad interagire direttamente con l’uomo (come un’autovettura, una lavatrice, ecc.). Gli apparati
elettronici debbono avere parti con dimensioni “umane” solo allorquando
devono interfacciarsi direttamente con i sensi dell’uomo; è il display che
determina le dimensioni di un televisore o di un Pc, non l’elettronica di acquisizione dei segnali e della loro elaborazione.
Nella fabbricazione sia dei singoli transistori sia dei circuiti integrati,
l’aumento della produzione contribuisce a migliorare le rese produttive, secondo una curva di apprendimento del processo produttivo. Ciò consente
di ridurre il costo del singolo prodotto, del singolo transistore, in modo
piuttosto drastico. La diminuzione dei costi dei dispositivi a semiconduttore
nel tempo, con l’aumento della produzione, contribuisce all’affermarsi del
prodotto; maggiore è la produzione, minori sono i costi. Ciò determina una
domanda maggiore da parte del mercato, aumentano gli acquisti e, con la
maggiore produzione, diminuiscono sempre di più i costi. È questo il ciclo
di reazione positiva che continua a sostenere la diffusione dei prodotti elettronici, il cui costo a parità di funzioni diminuisce notevolmente nel tempo.
Prodotti complessi e sofisticati diventano, in poco tempo, prodotti adeguati
alle disponibilità economiche di massa.
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La legge di Moore
La riduzione dei costi del componente elementare con lo sviluppo della tecnologia è un fenomeno peculiare dei circuiti integrati; esso si traduce nella
cosiddetta «legge di Moore», da colui che mise in evidenza il fenomeno.
Gordon Moore notò, nel 1965, che il numero di componenti che si riusciva
a realizzare su di una piastrina di silicio raddoppiava ogni anno, a parità di
area occupata. Dato che il costo del dispositivo dipende essenzialmente
dalla superficie occupata nel silicio, da ciò deriva il rapido decrescere del
costo del componente nel tempo. Questo aspetto, che equivale ad un rapido miglioramento delle prestazioni e/o dei costi, ha continuato e continua
a caratterizzare la produzione dei dispositivi al silicio.
Tale fenomeno tipico e unico nell’esperienza umana e è la causa principale della rivoluzione digitale e dell’affermarsi della società dell’informazione: funzionalità sempre più complesse a costi sempre inferiori portano un
numero maggiore di persone ad usufruire di apparati elettronici e dei servizi
connessi determinando la pervasività dell’elettronica in tanti settori, da quello di consumo, ai calcolatori, agli apparati di telecomunicazione. Nessun altro prodotto subisce e consente una confrontabile riduzione dei costi come
un dispositivo elettronico. Dalla prima comparsa sul mercato a solo qualche
anno dopo, un componente integrato può essere venduto ad un costo notevolmente inferiore. In questo modo l’elettronica è stata il trascinatore del
progresso scientifico e tecnologico alla base dello sviluppo economico e sociale che ha avuto luogo dalla seconda metà del XX secolo. Considerando le
applicazioni più attuali, la microelettronica ha avuto un ruolo chiave nella
telefonia mobile, nei “media” digitali, nei calcolatori, nelle reti di comunicazione, in particolare per Internet, nella realizzazione di automobili sempre
più sicure e meno inquinanti, nella ottimizzazione degli apparati sanitari.
Molto spesso l’interesse commerciale ha portato a prodotti che, a parità
di costo, rendono disponibili funzioni nettamente più avanzate; ciò è alla
base di un normale sottoutilizzo degli apparati elettronico-informatici, nel
senso che l’utente medio usa una piccola parte delle potenzialità disponibili in un apparato.
Un effetto indiretto, ma rilevante, della legge di Moore – che in effetti consisteva in una semplice osservazione di ciò che era avvenuto nella produzione
dei componenti integrati nel silicio – è la sua importanza predittiva. Il passato
viene estrapolato e si prevede il futuro; a livello industriale, si mette a punto
un cammino tecnologico, una “road map”, che consente di individuare le tecnologie elementari che devono essere migliorate o addirittura introdotte, per
ottenere un processo produttivo che consenta di raggiungere quanto previsto. Nello sviluppo del processo produttivo, gli aspetti generali sono condivisi
dalle industrie mondiali nel settore: è anche la sinergia tra i molti partecipanti,
malgrado la riservatezza industriale, che consente l’impegno di un gran numero di tecnici nelle diverse imprese e, quindi, il raggiungimento degli obiettivi produttivi previsti nei tempi indicati. Si prevede il futuro e ci si impegna
perché le previsioni si avverino e si traducano in realtà.
Infatti, aspetto peculiare nel campo, come si è detto, è la disponibilità
a condividere informazioni scientifiche e industriali, sin dall’invenzione del
transistore.
Il microcomputer
Un’altra pietra miliare nello sviluppo della microelettronica è la realizzazione del microcomputer, che ebbe luogo presso Intel nel 1971, con l’ap-
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porto determinante di un italiano, Federico Faggin. Intel, attualmente la più
importante impresa produttrice di semiconduttori, allora era una piccola
azienda, con un centinaio di persone, che realizzava soluzioni e circuiti integrati su incarico di produttori di svariati apparati funzionali. Essa ebbe
l’incarico da parte di una società giapponese, la Busicom, di realizzare una
serie di circuiti integrati adeguati a diversi prodotti di calcolo, in primo luogo ad una calcolatrice stampante da tavolo a basso costo. Per la loro ideazione, progettazione e realizzazione fu determinante l’apporto di Faggin:
questi chip sono alla base della nascita del microprocessore. Fu realizzata
la famiglia 4000, che comprende quattro chip di silicio: uno, il principale,
è l’unità centrale di elaborazione di uso generale, programmabile per eseguire le funzioni della calcolatrice; altri tre chip comprendono le funzioni
di memoria e di ingresso-uscita. Non si trattava dell’invenzione del computer, in uso già da molti anni, a livello di grosse macchine, del costo di milioni di dollari, o, anche, di minicomputer: anche in Italia Olivetti aveva realizzato un calcolatore di notevoli funzionalità e dimensioni, e apparivano
già i famosi minicomputer della DEC, la famiglia PDP. Si faceva qualcosa
anche di più importante: si integrava in una singola piastrina di silicio, delle
dimensioni di pochi millimetri, la parte essenziale di un calcolatore, l’unità
centrale di elaborazione.
L’invenzione del microcomputer è alla base della rivoluzione microelettronica, cioè della diffusione di intelligenza in tanti diversi apparati, anche
lontani dal calcolo e dall’elettronica. La disponibilità di un chip intelligente,
di piccole dimensioni, con consumo limitato, a basso costo, programmabile,
affidabile, quindi adattabile a molteplici usi, è stata fondamentale per sviluppi e applicazioni, anche ben diversi da una calcolatrice da tavolo.
Nasceva così il microprocessore: una piastrina di silicio che misura tre
per quattro millimetri e contiene circa 2300 transistori MOS (Metallo Ossido
Semiconduttore).
È da osservare che dal 1971 ad oggi l’evoluzione tecnologica è stata
enorme: su di una confrontabile superficie di silicio si realizzano chip con
centinaia di milioni di transistori, per funzionalità molteplici e variabili. Il
singolo transistore ha oggi dimensioni di nanometri, centinaia di volte inferiori rispetto a quaranta anni fa circa.
Dall’analogico al digitale
La disponibilità economica di dispositivi microelettronici e l’esigenza di
un’affidabile capacità di elaborare e trasmettere informazioni hanno portato ad utilizzare sempre più segnali digitali invece che analogici. Il mondo
in cui viviamo costituisce una sorgente di segnali essenzialmente analogici;
quando si parla al telefono, il microfono crea un segnale elettrico analogico, replica del suono che si emette. I transistori erano e sono anche utilizzati, quindi, per realizzare amplificatori di segnali elettrici analogici. Peraltro, i sistemi elettronici complessi, in particolare i calcolatori, sono basati sull’uso di segnali digitali, cioè di bit: di informazione binaria, di segnali con due livelli significativi. I transistori si prestano anche meglio
nell’utilizzare i più semplici segnali digitali. Per realizzare una determinata
funzione elaborativa occorre disporre di un numero ben maggiore di transistori nel caso digitale, ma si ottengono notevoli vantaggi, quale una sostanziale insensibilità ai disturbi e indipendenza dall’origine del segnale (i
bit sono bit!).
Gli apparati elettronici odierni sono principalmente digitali; si utilizza-
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no i notevoli vantaggi di tale tipo di segnale in circuiti integrati, per funzioni quale memoria o calcolo. È relativamente facile passare, dove necessario come in molti organi di ingresso e di uscita dell’informazione, da segnali analogici a digitali o viceversa.
Nel nostro telefonino noi inviamo e abbiamo di ritorno un’informazione
analogica, il suono della voce, ma il corrispondente segnale elettrico è elaborato e viene trasmesso nei due sensi in forma digitale.
Dalla microelettronica alla nanoelettronica
Nel passare dalla microelettronica alla nanoelettronica la pervasività e l’importanza degli apparati, che si basano su hardware elettronico, certamente
non diminuisce. La nanoelettronica può essere definita come l’elettronica
che realizza e utilizza strutture elementari dei suoi componenti con dimensioni nel campo dei nanometri (milionesimi di millimetri!). Finora ci si basa,
principalmente, su dispositivi al silicio, sempre più adeguatamente miniaturizzati, ma la prospettiva di utilizzare dispositivi elementari consistenti in
semplici atomi o molecole non è lontanissima.
I Mems
La capacità di realizzare nel silicio e sul silicio strutture meccaniche complesse molto piccole rispetto a quelle tradizionali della meccanica, ha suggerito
la possibilità di impiego di questa tecnologia anche in altri settori. I Mems
(Sistemi microelettromeccanici) sono interessanti e speciali componenti, che
hanno una struttura le cui parti hanno dimensioni nel campo dei micron (millesimi di millimetri): possono essere completamente statici o avere qualche
parte in movimento. Il connubio tra tecnologie microelettroniche e micromeccaniche è l’aspetto caratterizzante di questi più recenti componenti.
I Mems combinano strutture microelettroniche, micromeccaniche e, a
volte, micro-ottiche e micromagnetiche: si ottengono in tal modo non solo
sensori ma anche attuatori.
Le prime realizzazioni furono costituite da sensori di pressione per applicazioni mediche e automobilistiche. Sistemi per misurare l’accelerazione trovano largo impiego negli odierni airbag per auto. Alcune testine
per scrittura nelle stampanti Ink-Jet sono correntemente realizzate con
queste tecnologie. I Mems attuatori sono adeguati per il movimento di
piccoli specchi per realizzare visualizzatori di immagini o televisivi a
proiezione.
Alcuni settori applicativi
È opportuno far presente quali sono i principali settori applicativi in cui gli
apparati elettronico-informatici costituiscono la tecnologia fondante.
L’utilizzo di dispositivi intelligenti di piccole dimensioni, a basso costo
e consumo consente di rendere intelligente l’ambiente in cui viviamo, dalla
casa, al luogo di lavoro, all’auto. Utilizzare apparati multimediali con possibilità di comunicazione e interazione a distanza, riduce fortemente il problema delle distanze geografiche e dei tempi di risposta; ciò rende il lavoro
più produttivo e migliora la qualità della vita. Per i singoli individui, l’utilizzo di apparati mobili, connessi in rete, può consentire un controllo della
propria salute e sicurezza. Non ci sono difficoltà di principio a rendere disponibili apparati che inglobano telefoni mobili intelligenti, dispositivi di
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localizzazione geografica (Gps), sensori del proprio stato di salute: le possibilità di facile e immediata interazione diventano elevatissime.
La disponibilità di adeguate funzionalità a basso costo è il catalizzatore
di sistemi elettronici complessi e interattivi che facilitano la vita, se ben utilizzati.
Notevoli sono le applicazioni e le prospettive nel campo della nanobioelettronica. Apparati miniaturizzati, a basso costo, consentono di effettuare
analisi di liquidi organici e di individuare bassissime concentrazioni di costituenti, che possono essere di aiuto nelle diagnosi mediche, ad esempio
di tipo genetico.
In un altro campo, quello dei trasporti, l’utilizzo di apparati elettronici
è fondamentale per la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni
inquinanti degli attuali motori, come è determinante per il controllo e la sicurezza del traffico. L’auto elettrica nelle sue diverse varianti richiede elettronica a basso costo, quindi miniaturizzata.
Si deve tener presente che in tutte le applicazioni di massa il costo dell’apparato e del sistema in rete è determinante, per cui la drastica riduzione
dei costi che caratterizza la microelettronica, rende realisticamente possibili
numerose applicazioni, che comportano rivoluzioni nel comportamento e
nella vita quotidiana.
La velocità dello sviluppo della tecnologia dei semiconduttori riferita
agli anni Sessanta è semplicemente sbalorditiva e non trova un confronto
in altri settori. La dimensione di un singolo componente, quale il transistore, è diminuita di ben diecimila volte ed oggi si possono integrare in dimensioni superficiali del centimetro quadro miliardi di transistori. Ciò è alla
base dei microprocessori e delle memorie digitali. Il prezzo per conservare
in memoria elettronica un Gbit di informazione è diminuito di oltre un milione di volte. La rivoluzione microelettronica discende da questa evoluzione quantitativa rapida, che non ha confronti in altri campi.
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