Filosofia
Platone
Critone
399-388 a.C.
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Il Dovere dell’uomo, nel più alto senso etico e filosofico, è il tema di questo breve ma
celebre dialogo. Platone ci racconta la mattina nella quale Critone, un amico, coetaneo e
discepolo di Socrate, visita il Maestro in carcere, condannato a morte dai suoi concittadini
ateniesi. Critone, animato da immenso affetto per Socrate, cerca di convincerlo a fuggire.
Socrate gli spiega le ragioni del suo rifiuto e le spiegazioni morali che lo portano ad
accettare la tremenda condanna. La Giustizia, infatti, deve sempre prevalere sull’utile o la
convenienza. Alla fine, Critone accetta la posizione di Socrate.
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PUNTI CHIAVE

Critone invita Socrate a fuggire dal carcere in cui è rinchiuso dopo la sentenza.

Socrate spiega i motivi per i quali non fuggirà, confutando il tentativo di Critone.

La Giustizia deve sempre prevalere sull’utile e sulla convenienza.

Il Senso del dovere deve prevalere anche sugli affetti e le amicizie.

Critone accetta le motivazioni del suo Maestro.
RIASSUNTO
Discorso di Critone
Il dialogo ha un’ambientazione temporale e spaziale precisa: tre giorni prima
dell’esecuzione della condanna a morte di Socrate, nella cella del carcere che lo rinchiude,
in una mattina della primavera del 399 a.C. Critone fu un coetaneo e ammiratore di
Socrate, che pur non avendo una grande capacità filosofica personale svolse comunque
un’attività letteraria. La figura che emerge dal dialogo è quella di un uomo devoto, legato
a colui che considera la sua guida e che vorrebbe salvare ad ogni costo.
Critone entra alle primissime luci dell’alba ed annuncia a Socrate l’arrivo della nave che, in
giornata, sarebbe approdata ad Atene da Delo e che avrebbe sancito l’ultimo giorno di vita
del condannato. Senonchè il filosofo afferma di aver fatto un sogno che lo induce a
credere di non morire all’indomani, bensì da lì a due giorni. Una donna bella, maestosa e
vestita di bianco lo avverte che si ricongiungerà con la Patria celeste, nel luogo delle
anime, dove è la sua vera dimora.
A questo punto Critone cerca di convincerlo a fuggire dal carcere adducendo una serie di
argomentazioni che verranno respinte dal filosofo. Critone gli dice, in sintesi, che qualora
Socrate non fuggisse, la gente ricoprirà di biasimo i suoi amici per non averlo aiutato o per
non averlo persuaso. Tutte i problemi pratici relativi alla fuga, infatti, sono superabili.
Inoltre, mantenendosi ostinatamente attaccato al suo intendimento di rispettare la
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sentenza, Socrate danneggia se stesso, i figli, i famigliari e gli amici.
È come se Critone dicesse: c’è la possibilità di fuggire, si tratta solo di acconsentire ed in
questo modo la vita di Socrate sarà salva, i più avranno una buona opinione di chi lo ha
aiutato nella fuga, i figli e gli amici non debbono soffrire della perdita. La sostanza della
posizione di Critone è vicina a quella del mondo, al parere della stragrande maggioranza, a
coloro che non giudicano in base ai criteri della giustizia, ma a quelli della convenienza,
della comodità personale.
A Critone non interessano la giustizia, la sentenza, le leggi o tutta una serie di
considerazioni troppo profonde. A Critone interessa che Socrate si salvi: per motivi
egoistici che crede validi anche per Socrate, e per i sentimenti che provano per lui i figli e
gli amici. Chiunque può agevolmente situare in tutte le epoche la posizione di Critone, che
rappresenta un uomo dai riferimenti concreti, poco incline alle sottigliezze, all’idealità o al
senso di giustizia quando si deve applicare al proprio caso o a coloro che gli stanno a
cuore.
Discorso di Socrate
La risposta di Socrate parte da una prospettiva del tutto differente, cioè dalla valutazione
oggettiva della validità o della liceità di aderire alla sentenza, di sottostare alla giustizia, di
osservare le Leggi. Quindi, fin da subito, non è all’opinione del mondo che si riferisce, né a
quella della stragrande maggioranza, bensì ad un universo di valori che trascendono la sua
situazione e il suo caso. Socrate ricorda che le situazioni contingenti non possono mutare i
convincimenti che ha sostenuto fino a quel momento. Egli non può non essere coerente
con quanto ha sempre definito come giusto. Non saranno le conseguenze, seppur nefaste,
a spaventarlo, come pure non sarà l’opinione della gente il criterio da tener conto per
valutare ogni questione. Convenienza, comodità personale, dolore dei congiunti e degli
amici non sono motivazioni sufficienti per farlo recedere, perché se cedesse smetterebbe
di seguire il suo demone interno che gli comanda di orientarsi al giusto in sé, non certo al
conveniente o al comodo.
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Più che l’opinione della gente, va seguita l’opinione di colui che ha riflettuto sul
giusto, sul bello, sul buono, insomma sui concetti. In breve, Socrate sta parlando del
pensiero del filosofo. Chi pensa filosoficamente, dice Socrate, sa che non bisogna dare
grande peso al vivere tanto per vivere, ma al vivere secondo virtù e giustizia. Questa è la
bussola che dobbiamo tenere sott’occhio, questa la stella polare del nostro agire: la vita
secondo virtù e giustizia.
Ed eccoci ad uno degli snodi centrali: è giusto fuggire dal carcere? La risposta di Socrate è
chiara e senza possibilità di fraintendimenti: no, non è giusto fuggire dal carcere. Si
compirebbe un’ingiustizia, e in nessun modo e per nessun motivo si deve compiere
ingiustizia. Socrate conclude questa sezione della sua argomentazione, tesa a smontare le
flebili motivazioni di Critone, con l’esplicito richiamo a non derogare mai dall’inflessibilità
del giusto, riconoscendolo e facendolo proprio. Un uomo è tale se fa coincidere le
motivazioni che lo sostengono con le azioni della sua vita, con il suo agire. Nell’etica greca
il non comportarsi secondo i propri convincimenti era un segnale avvertito da tutti come
un’esplicita svalutazione per i convincimenti stessi; di converso, chi aveva un ideale era
chiamato a viverlo attraverso le azioni quotidiane.
Il senso del dovere
La riflessione sul dovere sta al cuore dell’intero dialogo. È infatti sul senso del dovere che
Platone ci invita, attraverso Socrate e la forma drammaturgica del dialogo, a pensare
profondamente, in una sorta di compartecipazione, sulla vicenda di un uomo sul punto di
morte. Platone immagina, mediante le parole di Socrate, che si personifichino le Leggi e la
Città, ed invita ad immaginare che esse si presentino davanti a Socrate stesso per
chiedergli il conto del suo operato. Con questo espediente narrativo Platone fa dire alle
Leggi e alla Città che non si può disattendere il contenuto della giurisdizione cittadina
scappando e non rispettando una sentenza emessa in un processo da un tribunale
regolarmente accettato.
Platone suggerisce chiaramente che non ci si possa ritagliare uno spazio giuridico
personalizzato, una Legge a misura dei propri desideri e delle proprie necessità, pena la
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distruzione dello spazio giuridico comune, del concetto stesso di giustizia. Nella
polis greca il cittadino ha un rapporto di dipendenza con le Leggi che lo governano: egli è
tale in virtù proprio delle Leggi e della loro concezione di giustizia, e quindi ogni violazione
del firmamento giuridico è una sorta di sovvertimento (è il termine che usa anche
Platone) delle basi del vivere associato.
All’autore preme però far capire che il sovvertimento avviene non solo nelle Leggi e nella
Città, ma anche nell’uomo che non le osserva. Questa riflessione sposta l’attenzione verso
una prospettiva eterna, non limitata alla situazione presente. Fare uso della violenza o
disattendere le Leggi non è mai giusto, in nessun caso. Platone lo motiva anche con
l’ossequio che è dovuto alla Patria, ma è facile intendere come non è solo in un orizzonte
della Città che si deve intendere questa normativa, bensì in quello universale. Non
possiamo accettare un ordinamento solo quando ci fa comodo oppure in ciò che ci fa
comodo e poi disattenderlo quando non risponde più alle nostre convenienze. Nella
mentalità della polis ateniese si deve un rispetto ed un’obbedienza per la Patria affini a
quelli che si nutrono per i genitori.
Socrate sente che non può, semplicemente, disobbedire ad una sentenza che lo riguarda e
che non può, dopo aver parlato per tutta la vita della giustizia e del senso del dovere,
evitare la condanna a morte fuggendo. Socrate mostrerebbe una clamorosa incoerenza,
accompagnata da un esempio per i propri figli e per i propri amici ben misero. Ben più del
vivere e degli affetti Platone, attraverso Socrate, ci dice che dobbiamo tenere in
considerazione la giustizia. E se questa, attraverso l’applicazione di uomini inadeguati,
mostra di non essere giusta, questo non significa che non vada osservata comunque.
Significa, piuttosto, che qualcuno non ha avuto cura di ben applicarla, ma che noi
dobbiamo mostrare di osservare le Leggi e la Giustizia a prescindere dalle applicazioni
erronee. Nell’epilogo Critone rimane persuaso dalle pregnanti parole di Socrate, che
conclude con queste parole significative: «facciamo in questo modo, perché in questo
modo il dio ci indica la via» (p. 64)
CITAZIONI RILEVANTI
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Sulle doti della gente comune
«Magari, o Critone, fosse in grado la gente di fare i mali più grandi, così che potesse fare
anche i beni più grandi! Sarebbe veramente bello. E, invece, non sa fare né gli uni né gli
altri: infatti non sa rendere nessuno né assennato né dissennato, e quello che fa lo fa
come capita» (p. 55).
L’unica opinione che conti, ossia quella del filosofo
«Quando si tratti delle cose giuste e delle ingiuste, delle brutte e delle belle, delle buone e
delle cattive, intorno alle quali dobbiamo ora decidere, forse dovremo dar retta
all’opinione della gente e averne timore, o dovremo, invece, dar retta al parere di
quell’unico, se mai ci sia, che se ne intende, del quale solo bisogna avere rispetto e
timore, più che di tutti gli altri insieme» (p. 57).
Si deve sempre essere giusti
«Diciamo che, in nessun modo, di proposito, si deve compiere ingiustizia, oppure in
qualche modo sì ed in qualche altro no? … In nessun modo, dunque, si deve fare
ingiustizia … Dunque, neppure se si subisce ingiustizia si deve rendere ingiustizia, come
invece crede la gente, perché per nessuna ragione si deve commettere ingiustizia» (p. 59).
I veri valori
«Non tenere i figli, né il vivere, né altra cosa in più alta considerazione che non la giustizia,
affinché, arrivato all’Ade, tu possa avere tutte queste cose da dire in tua difesa a coloro
che laggiù governano» (p. 63).
L’AUTORE
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Platone nacque ad Atene nel 427, che a vent’anni divenne discepolo di Socrate e che fu suo
discepolo per otto anni, fino alla sua morte nel 399 a.C. Nel 388 intraprese il suo primo viaggio in
Italia, visitando i circoli pitagorici, oltre che la Taranto del tiranno Archita e la Siracusa di Dionigi I.
Nel 387, di ritorno ad Atene, acquistò un terreno con un ginnasio ed un parco e vi fondò una
scuola chiamandola Accademia. Nel 367 e nel 361 compì il secondo e terzo viaggio a Siracusa.
Morì ad Atene nel 347 a.C.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Platone, Critone, Bompiani, Milano, 2000, p. 212, a cura di Giovanni Reale.
È stata utilizzata questa edizione: Platone, Tutti gli scritti, Milano, Rusconi, 1991, a cura di
Giovanni Reale.
Titolo orginale: Kriton
PLATONE – Critone
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