02 SocrateTesto - Comune di Casalecchio di Reno

Percorso sulla COSTITUZIONE
Scuole secondarie I grado “Galilei” e “Marconi” - Casalecchio di Reno
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SOCRATE
(Atene 470 a. C – 399 a. C.)
Chi si sottrae alle leggi della società cui appartiene, nega le radici e rinnega quei patti indissolubili
che fanno di un uomo un vero cittadino.
Poiché Socrate non ha lasciato testi scritti, conosciamo la sua vita e il suo
pensiero attraverso le opere di Platone, famoso filosofo, suo allievo.
Che cos’è un filosofo? Per Aristotele, che fu un grande filosofo, significa
“amico del sapere” e indica una persona che si pone domande profonde
come: “Cos’è giusto e cos’è sbagliato?”, ma anche “Cos’è il bene e cosa il
male?”e cerca di rispondere in modo sensato.
I Greci furono i primi filosofi dell’Occidente e a quei tempi erano anche scienziati che
studiavano la natura.
Socrate nacque ad Atene nel 470 a. C., quasi 2500 anni fa.
Suo padre, Sofronisco, era scultore e sua madre, Fenarete, levatrice, cioè l’ostetrica di un
tempo. Fu educato alla maniera dei giovani benestanti, frequentava le palestre e praticava
la musica e la poesia.
A quel tempo Atene era il luogo di incontro dei maggiori uomini di cultura e Socrate si
interessò di fisica e medicina. Così divenne abile nel linguaggio dei medici ed esperto di
scienza e retorica, che è l’arte del saper comunicare e convincere tramite i testi scritti e i
discorsi. Fu uno degli intellettuali ateniesi più seguiti per la sua preparazione, ma anche
più criticato per la sua originalità.
Socrate era comunque un cittadino esemplare e poiché Atene, in quegli anni era
perennemente in guerra con altre città greche, combatté come oplita, cioè come fante con
un’ armatura pesante, e si distinse per aver salvato un amico ferito e per aver sopportato
in modo sorprendente i disagi della guerra e del freddo, dimostrandosi sempre un soldato
disciplinato e coraggioso.
Si sposò in tarda età con Santippe, una donna dal carattere forte, ed ebbero tre figli.
Nella sua città, Atene, era conosciuto per il rispetto che aveva per le leggi e per i consigli
che dava ai giovani seguaci, molti dei quali diventarono grandi filosofi, come Platone, e
importanti scrittori e politici.
Era un uomo serio ed equilibrato, che amava stare in compagnia per conversare e
discutere. Infatti aveva l’abitudine di fermare amici e conoscenti per la strada e rivolgere
loro domande per coinvolgerli nella sua ricerca filosofica.
Lui stesso diceva di essere come una specie di moscone che disturba le persone per
stimolare quella ricerca del vero e del giusto che ogni uomo deve impegnarsi a fare, e non
lasciare questo compito solo agli intellettuali con la barba!
Ripeteva spesso che solo il vero e il giusto guidano gli uomini nel loro vivere insieme e
dunque, discutendo con gli altri, ogni uomo deve raggiungere la verità e vivere in
coerenza con essa.
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Comunque, essere un buon cittadino non significava per Socrate solo
ubbidire, ma denunciare anche le ingiustizie e gli errori.
Così, rivolgendosi ai molti giovani che erano suoi allievi criticava
l’incompetenza dei governanti, la debolezza e la corruzione delle
istituzioni politiche di
Atene. In questo modo rimase vittima
dell’intolleranza dei governanti che lo accusarono di corrompere i
giovani, di non riconoscere gli dei che la città adorava e di introdurne
di nuovi.
Durante il processo Socrate rifiutò di essere difeso e svolse la sua apologia, cioè difesa, da
solo, trasformando il suo discorso in un violento atto d’accusa contro la classe politica che
governava la città.
Se si fosse riconosciuto colpevole, se la sarebbe probabilmente cavata solo con una multa o
un periodo di esilio, ma Socrate non accettò di inchinarsi di fronte ad accuse ingiuste e
ribadì la sua dignità di cittadino e di uomo che non tradisce la sua missione di educatore.
La pena richiesta fu la morte.
Attraverso gli scritti di Platone sappiamo che quando gli amici proposero a Socrate la via
della fuga, egli rifiutò, rivendicando la propria fedeltà alle leggi e la propria appartenenza
alla comunità ateniese.
Bevve dunque la cicuta, un potente veleno, parlando fino all’ultimo con i suoi allievi:
“L’uomo giusto non ha nulla da temere dalla morte ed anche se è vittima dell’ingiustizia
degli altri uomini, può continuare a essere giusto nel rapporto con la città e le sue leggi.
Quella stessa città e quelle stesse leggi che lo stanno condannando a morte”.