EDITORIALE
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Studi di non inferiorità e di equivalenza:
limiti e ambiguità
L’incertezza del trattamento come
fondamento del trial
dimostrata, implica la superiorità del nuovo trattamento.
Obiettivo degli studi di non inferiorità è quello di dimostrare che un nuovo trattamento non sia peggiore rispetto
a quello di confronto, stabilendo a priori una differenza limite (-∆ - 0), che si possa considerare irrilevante dal punto
di vista clinico, che permetta di considerare il nuovo intervento non inferiore rispetto a quello di confronto.
Analogamente, attraverso uno studio di equivalenza si vuole verificare se i due interventi indagati
presentino lo stesso profilo di efficacia e/o di sicurezza, predefinendo la massima differenza (-∆ a + ∆),
clinicamente non rilevante, che consenta di ritenere i
due trattamenti sovrapponibili2.
In questo numero, la rubrica “Bene, bravo, bif!”
(pag. 126-7) propone una riflessione su alcuni importanti problemi posti dagli studi di equivalenza e non
inferiorità: le indicazioni per il loro utilizzo, il disegno,
l’analisi, il reporting, la loro interpretazione e soprattutto la loro utilità per la pratica clinica.
Condurre uno studio di non inferiorità o di equivalenza
potrebbe rivelarsi utile quando si voglia valutare se un
trattamento sia più sicuro rispetto a quello di riferimento,
possa offrire dei vantaggi in termini di compliance o di
costi, o ancora quando si vogliano mettere a confronto
diversi dosaggi, formulazioni o vie di somministrazioni di
uno stesso farmaco. In tutti gli altri casi sussistono forti
dubbi circa l’accettabilità etica e scientifica di tali studi.
Dal punto di vista
metodologico è importante sottolineare che
Nel
negli studi di equivaprogettare
lenza/non inferiorità la
definizione del ∆ è cruqualsiasi trial
ciale per la pianificaclinico non si
zione del trial, per la depuò prescindere terminazione della didel campione
da un principio mensione
e per la successiva interetico e
pretazione dei risultati.
Pertanto la scelta del ∆
scientifico
deve essere sempre motifondamentale:
vata clinicamente, adeguata a quello che è l’oil “principio di
biettivo principale dello
incertezza”
studio, giustificata dal
a sperimentazione clinica randomizzata e controllata
(Randomized Controlled Trial, RCT), universalmente accettata come gold standard della ricerca medica, prevede
il confronto di due trattamenti per verificare se essi si
equivalgano oppure se uno dei due risulti migliore.
Nel progettare qualsiasi trial clinico non si può prescindere da un principio etico e scientifico fondamentale: il “principio di incertezza”. Infatti uno studio clinico è giustificato unicamente se il paziente e il medico
sono incerti circa il trattamento da adottare tra quelli disponibili. In questa condizione il trial consente di superare l’incertezza e rappresenta il modo migliore per scegliere il trattamento per il paziente. Peraltro, nell’incertezza il trial rappresenta anche l’unico modo eticamente
corretto di trattare il paziente: somministrare il trattamento sperimentale senza controllarne l’efficacia significherebbe esporre il paziente a un potenziale rischio ancora non noto; viceversa decidere di non intraprendere il
nuovo trattamento significherebbe negare al paziente un
potenziale beneficio clinico. Affinché il “principio di incertezza” sia realmente rispettato si devono verificare
contemporaneamente due condizioni: che l’impiego del
nuovo intervento sia eticamente giustificato e che la
scelta del trattamento di confronto sia appropriata.
Il processo di pianificazione di un trial clinico comincia
con il riconoscimento e la definizione delle “incertezze”
circa il valore relativo dei trattamenti da testare, la traduzione delle “incertezze” in ipotesi di ricerca e la formulazione del testo dell’informazione destinata al paziente1.
L
“
I tipi di studio
A seconda del disegno pianificato si parla di studi di
superiorità, di non inferiorità e di equivalenza.
Scopo di uno studio di superiorità è dimostrare che il
nuovo trattamento sia superiore a quello di confronto, attraverso la formulazione di due ipotesi: l’ipotesi nulla della
non differenza tra i due interventi testati, e quella alternativa di superiorità del nuovo trattamento. Nella formulazione delle due ipotesi viene stabilita una differenza (∆) tra
i due interventi, rilevante dal punto di vista clinico, che, se
”
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A tale proposito è opportuno ricordare che lo stesso
CONSORT (Consolidated Standards for Reporting of
Trials) Statement, sviluppato con l’obiettivo di migliorare la qualità dei report degli RCT, è stato espressamente modificato rispetto alle esigenze sopra descritte
per una corretta presentazione dei dati relativi agli studi
di non inferiorità/equivalenza6.
Gli studi di non inferiorità/equivalenza presentano
forti elementi di ambiguità che vanno tenuti presenti da
tutti gli attori (comitati etici, sperimentatori clinici,
editori) coinvolti a vario titolo nella loro progettazione,
valutazione, reclutamento dei pazienti, conduzione,
presentazione dei dati, trasferimento dei risultati alla
pratica clinica. Un aspetto particolarmente delicato e
ambiguo di questo tipo di studi è rappresentato dall’informazione destinata ai pazienti cui viene proposta
la partecipazione a questi studi. Attualmente il testo del
“consenso informato” viene formulato allo stesso modo
per gli studi di superiorità e per quelli di non inferiorità/equivalenza. Tuttavia i due tipi di studi hanno
obiettivi decisamente diversi, pertanto servirsi della
stessa “formula” di consenso informato potrebbe non
essere ritenuto etico da tutti. Nel caso dei trial di superiorità bisognerebbe prevedere l’affermazione che “il
nuovo trattamento potrà dimostrarsi migliore, uguale o
peggiore rispetto a quello di confronto”, mentre chi partecipa ad uno studio di non inferiorità/equivalenza
deve essere messo al corrente che potrebbe andare incontro a rischi, senza che la ricerca si proponga alcun
vantaggio clinico o, qualora vi fosse, il disegno sperimentale potrebbe non essere in grado di rivelarlo. I pazienti dovrebbero sapere se lo studio a cui partecipano
non è in grado di fornire alcun vantaggio clinico, ma è
condotto con scopi puramente commerciali7.
punto di vista statistico. Parimenti rilevanti, e talvolta
complesse, sono le analisi statistiche ed eventuali modifiche post-hoc del disegno dello studio. L’analisi tipo intention to treat (ITT) e quella per protocol (PP) sono da
considerarsi egualmente importanti. Infatti, entrambe,
prese singolarmente, presentano bias che possono inficiare i risultati della ricerca. In particolare, in presenza di
un elevato numero di drop-out (pazienti che si sono ririrati dallo studio) e di missing data, l’ITT tenderebbe ad
escludere la presenza di una differenza tra i trattamenti
indagati (effetto sfortunatamente spesso frequente in
questi studi). Più imprevedibile risulta essere la direzione
(pro o contro la non differenza/equivalenza dei trattamenti) dell’analisi PP, influenzata soprattutto dallo sbilanciamento dei due bracci dovuto ad eventuali differenti
percentuali e cause del drop-out2.
A causa della flessibilità del disegno i trial di non inferiorità/equivalenza presentano un elevato rischio di manipolazione dei risultati. Ad esempio, è stato dimostrato che
nel 62% dei report relativi a questi studi l’outcome primario
era stato cambiato, introdotto ex novo oppure omesso. Analogamente l’entità del ∆, che deve essere fissata a priori,
viene spesso aumentata per nascondere il fatto che il nuovo
trattamento si è dimostrato inferiore a quello di confronto3.
Infine, non di rado, studi inizialmente progettati per essere studi di superiorità vengono successivamente presentati come trial di equivalenza/non inferiorità qualora non
sia stato possibile dimostrare la superiorità del nuovo intervento. A tale proposito potrebbe risultare con il tempo
rischiosa la posizione assunta dall’autorità regolatoria europea (EMEA) che dichiara accettabile, sebbene in situazioni “estreme”, l’adozione di un disegno di superiorità con
un livello di significatività superiore allo 0,05 quale alternativa alla definizione di un ∆ di non inferiorità4.
Una recente revisione sistematica (peraltro presentata nella rubrica “Bene, bravo, bif!”) mostra che i report
relativi agli studi di non inferiorità/equivalenza sono
spesso carenti, probabile indice di un altrettanto carente conduzione degli studi stessi. Gli autori hanno evidenziato nella loro analisi che soltanto il 20% di tutti gli
studi analizzati (162) presentava i quattro elementi fondamentali per un corretto reporting: margine di non inferiorità/equivalenza (∆) predefinito, calcolo della numerosità campionaria sulla base di tale differenza (in tal
modo è possibile “smascherare” eventuali trial disegnati
per dimostrare la superiorità di un nuovo trattamento e
successivamente pubblicati come studi di non inferiorità/equivalenza, a seguito del fallimento della dimostrazione dell’ipotesi di superiorità), analisi tipo ITT e
PP, intervallo di confidenza al 95% dei risultati con la
specificazione del limite superiore e di quello inferiore,
per poter verificare un’eventuale inaspettata superiorità da parte del nuovo trattamento5.
Bibliografia
1. Djulbegovic B, Clarke M. Scientific and ethical issues in
equivalence trials. JAMA 2001; 285: 1206-8.
2. Gøtzsche PC. Lessons from and cautions about noninferiority
and equivalence randomized trials. JAMA 2006; 295: 1172-4.
3. Chan AW, Hrobjartsson A, Haahr MT, Gøtzsche PC, Altman
DG. Empirical evidence for selective reporting of outcomes
in randomized trials: comparison of protocols to published
articles. JAMA 2004; 291: 2457-65.
4. Guideline on the choice of the non-inferiority margin.
European Medicines Agency; July 2005.
www.emea.eu.int/index/indexh1.htm
5. Le Henanff A, Giraudeau B, Baron G, Ravaud P. Quality of
reporting of noninferiority and equivalence randomized
trials. JAMA 2006; 295: 1147-51.
6. Piaggio G, Elbourne DR, Altman DG, Pocock SJ, Evans SJ;
CONSORT Group. Reporting of noninferiority and equivalence randomized trials: an extension of the CONSORT statement. JAMA 2006; 295: 1152-60.
7. Garattini S, Bertele’ V, Li Bassi L. How can research ethics
committees protect patients better? BMJ 2003; 326: 1199201.
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