IL MARXISMO, LA DIALETTICA E L` ECONOMIA POLITICA di Bruno

IL MARXISMO, LA DIALETTICA E L’ ECONOMIA POLITICA
di Bruno Jossa
SOMMARIO
L’articolo individua una concezione della dialettica di Marx che è diversa da quella di Hegel, ma
che vale a distinguere il marxismo dalla teoria economica ortodossa. L’articolo tratta, poi, della necessità
di rendere confrontabili il marxismo e la scienza economica ortodossa sulla base di un metodo che,
seppur diverso nelle due scuole, sia in entrambe scientifico. Allo scopo occorre interpretare la dialettica di
cui il marxismo fa uso in modo che non sia in contrasto col principio di non contraddizione.
Classificazione JEL: B14, B24, B4, P2.
Parole chiave: marxismo, socialismo, dialettica, metodologia, materialismo storico.
1. Introduzione
Qual è una corretta interpretazione del metodo di Marx? E anche e soprattutto: quali
sono le possibili interpretazioni del metodo marxista? Queste domande hanno acquistato
particolare importanza da quando Lukàcs ha sostenuto che la novità del marxismo è da
cercare esclusivamente nel metodo (cfr. Lukàcs, 1923, pp.1-2 ed Engels, 1859; l’opinione
opposta si trova in Carver, 1984 e Farr, 1984, p. 217).1
Un’idea ampiamente condivisa è che il metodo del marxismo sia la dialettica. Ma
come va concepita la dialettica? Marx ha scritto che, “if ever the time comes when such
work is a pain possible, I should very much like to write two or three sheets making
accessible to the common reader the rational aspect of the method which Hegel not only
discovered but also mystified” (Marx 1858, p. 249). In point of fact, this plan was never
turned into practice and this is why his dialectical method is still interpreted in a variety of
different ways (see Bhaskar 1991 e Reuten, 2002, p. 28).2
1
Anche Levine ha osservato che “i vari, più concreti, problemi dell’economia Marxiana dopo
Marx…. sono tutti compresi meglio in relazione a faccende di metodo” (Levine, 1998, p. 16).
2
Scrive Oldrini (2007, p. 219): “in filosofia non conosco termine più scivoloso ed indeterminato:
non solo perché – come è ben noto – la dialettica è venuta assumendo via via significati molteplici,
sempre diversi tra loro, ma anche perché presso i pensatori dove apparentemente sembra designare un
complesso problematico organico e unitario, Hegel in testa, il suo statuto resta impreciso, le sue
1
Capire quale sia una corretta o possibile interpretazione della concezione marxista
della dialettica, ma anche quale siano le sue diverse interpretazioni è importante per un
economista soprattutto per comprendere se il marxismo, e quale marxismo, sia compatibile
con l’economia politica ortodossa. Capire quali siano le possibili interpretazioni della
concezione marxista della dialettica, poi, è importante per un economista anche per
comprendere il rapporto di Marx con Hegel che si collega alle diverse interpretazioni,
perché, se Marx viene visto come fondamentalmente un filosofo, il compito
dell’economista nell’interpretarlo è molto limitato, ma, se Marx è o può essere considerato
soprattutto uno scienziato ed un economista, il suo apporto nella storia del pensiero potrà
essere chiarito, senza lasciare molto spazio alle diverse interpretazioni, perché ogni
proposizione scientifica o è corretta per tutti o è falsa per tutti.
Quel che, dunque, il nostro scritto vuole innanzitutto argomentare è che vi è una
concezione diffusa della dialettica usata da Marx che è perfettamente accettabile dalla
teoria ortodossa, ma che è scorretta, perché toglie ogni forza critica alla teoria di Marx.
Noi mostreremo come siffatta concezione sia diffusa e cercheremo poi di chiarire qual è
l’errore della detta concezione. Lo scritto presenta, poi, un’interpretazione della dialettica
di Marx che, anche se è estranea alla scienza economica ortodossa, è compatibile con essa.
Per discutere delle possibili accezioni della dialettica dobbiamo, tuttavia,
preliminarmente chiarire il concetto di ‘contraddizione’.
Per Elster (1985, p. 44), nel campo sociale una contraddizione si ha “when several
individuals simultaneously entertain beliefs about each other which are such that, although
any one of them may well be true, it is logically impossible that they all be:” and “an
important special case arises when a particular description that may be true of any agent,
for purely logical reasons cannot be true of all”. Questa definizione di Elster è poco
perspicua perché sembra confondere le contraddizioni sociali con le contraddizioni tra
opinioni. A nostro avviso, quel che si può e si deve dire è che una contraddizione culturale
sorge quando una teoria, la teoria neoclassica, afferma che il capitale ha diritto ad una
parte di ciò che viene prodotto, mentre un’altra teoria, la marxista, afferma che il valore è
applicazioni presentano variabili innumerevoli, la sua comparsa è spesso sottaciuta o clandestina”. Cfr.
anche Fineschi, 2006, pp. 16-17.
2
prodotto solo dal lavoro e che, pertanto, un modo di produzione ove il capitale si appropria
del sovrappiù sarà inevitabilmente transitorio. Quanto alle classi e alle contraddizioni
sociali, si deve dire che vi è una contraddizione quando ciascuna classe pretende per sé
una maggior quota del prodotto sociale.
Per essere più precisi, bisogna dire che ci sono contraddizioni logiche, che sono per
loro natura da correggere, e contraddizioni reali; e queste ultime vanno distinte in
contraddizioni individuali, come quelle di tipo psicologico tra i possibili desideri, e
contraddizioni sociali, che non sono contraddizioni tra opinioni, ma contraddizioni insite
nei fatti.
Il punto fondamentale, poi, da sottolineare a riguardo è che vi possono essere
contraddizioni dialettiche, che sono quelle che per loro natura vengono prima o poi
superate, e pure e semplici contraddizioni (non dialettiche), che possono permanere
all’infinito, perché non ci sono forze che tendono a superarle; e che le contraddizioni che
Marx considera sono contraddizioni dialettiche. Una contraddizione dialettica è, ad es., per
Marx ed Engels la contraddizione nel capitalismo tra il carattere sociale delle forze
produttive e il carattere privato dell’appropriazione, che da vita ad una contraddizione che
non può durare illimitatamente, perché, mentre le forze produttive diventano col tempo
sempre più sociali, l’appropriazione resta sempre privata (il che comporta che la
contraddizione debba essere, prima o poi, superata).
Un esempio di contraddizione non dialettica per la teoria ortodossa è, invece, la
contraddizione tra le pretese dei lavoratori, che vogliono più alti salari e le pretese dei
capitalisti, che vogliono più alti profitti, perché questo contrasto, per l’opinione degli
economisti ortodossi, non è un contrasto che viene superato col tempo con una
rivoluzione, ma è tale che viene di continuo composto con la contrattazione collettiva o in
altro modo.
Quel che, dunque, vogliamo sostenere in questo scritto è basato sulle seguenti
premesse, che possono essere facilmente accettate e non richiedono, pertanto, lunghe
dimostrazioni:
3
- ci sono due tipi di contraddizioni, quelle dialettiche, che contengono in se forze
che tendono ad essere superate e contraddizioni non dialettiche, che non contengono tali
forze.
- ci sono due tipi di contraddizioni dialettiche, quelle di tipo A, secondo cui una
contraddizione dialettica si ha quando la contraddizione contiene forze che tendono a
superarla, ma essa non viene superata attraverso la triade tesi, antitesi e sintesi, e quelle di
tipo B, secondo cui una contraddizione dialettica si ha quando una tesi viene contraddetta
da un’antitesi ed entrambe sono superate da una sintesi,
- il primo tipo di contraddizioni dialettiche non nega il principio di noncontraddizione, il secondo tipo di non-contraddizione lo nega.
Sulla base di queste premesse, lo scritto vuol contrapporre tre diverse visioni della
realtà economica, quella ortodossa, quella marxista e quella hegeliana e dimostrare,
ripetiamo, che molte interpretazioni marxiste correnti poco si distinguono dalla teoria
ortodossa e sono, pertanto, inaccettabili.
A noi, comunque, si badi, più che la corretta interpretazione del metodo di Marx,
che sarà sempre discutibile, date le contraddizioni presenti nel suo pensiero,3 in questo
scritto interessa una possibile interpretazione del metodo del marxismo, che ne rispetti
l’idea di fondo.
2. Due visioni della dialettica
Il noto filosofo della politica italiano Norberto Bobbio ha scritto che occorre
distinguere due accezioni della dialettica. Infatti, “di fronte a due enti in contrasto, il
metodo della compenetrazione degli opposti, o meglio dell’azione reciproca, conduce a
mantenere entrambi i termini del contrasto e a considerarli come condizionantisi a
vicenda; al contrario, il metodo della negazione della negazione conduce a considerare il
primo eliminato in un primo tempo dal secondo, e il secondo eliminato in un secondo
tempo da un terzo termine” (Bobbio, 1958, p. 347); e, secondo Badaloni (1962, p. 110), il
3
Sul metodo marxiano – scrive Fineschi (2006, pp. 16-17) – “si sono sviluppate posizioni
antitetiche in cui il metodo marxiano è stato di volta in volta dialettico-hegeliano, dialetticoantihegeliano, antidialettico-antihegeliano-empirista e si potrebbe continuare”.
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primo modo di concepire la dialettica è quello del Marx maturo, del Marx economista e
scienziato, il secondo è quello del Marx giovane.
Secondo Backhaus, che ha avuto un ruolo molto rilevante nella pubblicazione della
Mega2, vi è una concezione esoterica della teoria di Marx, che la concepisce come
l’analisi di un modello logico delle contraddizioni di un modo di produzione, ed una
concezione essoterica o engelsiana, che concepisce il metodo di Marx come un’analisi
storica delle vicende e delle contraddizioni di un sistema economico. Questa è
un’opinione simile a quella di Bobbio, ma, a giudizio di Backhaus, Marx non fu
pienamente consapevole di tale distinzione e per questo fu portato a ridurre
progressivamente l’esposizione dialettica nelle opere pubblicate (cfr. Backhaus, 1997 e
Fineschi, 2008, pp. 24-28).
La distinzione di Bobbio non è quella su cui noi vogliamo centrare l’attenzione, che
è la distinzione tra il metodo di Hegel e quello di Marx, che sono entrambi pensatori
dialettici, e non sembra neppure corretta, perché il primo tipo di contraddizione che
Bobbio considera non è necessariamente una contraddizione dialettica: la contraddizione
caratterizzata da una “compenetrazione degli opposti”, o meglio dall’azione reciproca “che
conduce a mantenere entrambi i termini del contrasto e a considerarli come
condizionantisi a vicenda” è, infatti, così esposta, una contraddizione che, mantenendo
entrambi i termini del contrasto ed essendo basata solo sull’azione reciproca degli opposti,
può ben durare infinitamente. Noi siamo interessati, invece, solo alle contraddizioni
dialettiche, quelle che tendono ad essere superate, e ci sembra, ripetiamo, che si debba dire
che vi sono due accezioni di tali contraddizioni, l’una, che abbiamo chiamato di tipo A,
che identifica la dialettica con una visione basata sulla totalità e che pone in luce come vi
sono realtà con aspetti contraddittori, i quali, anche se coesistono e si condizionano a
vicenda, diventano alla lunga incompatibili tra loro, e l’altra, che abbiamo chiamato di tipo
B, che identifica la dialettica con il movimento di tesi, antitesi e sintesi e che, a differenza
dell’altra accezione, non accetta il principio di non contraddizione.
La prima concezione della dialettica di cui parla Bobbio è oggi ampiamente
accettata da molti studiosi, anche marxisti. Diffusa, infatti, è l’idea che la dialettica sia uno
5
stile di pensiero che tende ad affrontare i problemi concentrandosi su due fenomeni
essenziali, focali e opposti (Rothschild, 1986, p. 188) o che essa sia la concezione della
realtà come interpenetrazione degli opposti o come riconciliazione delle contraddizioni
(cfr. Sowell, 1985, pp. 28-35) o che sia l’espansione della nostra nozione di ogni cosa per
includervi, come aspetti di ciò che essa è, sia il processo per cui essa è diventata ciò che è,
sia il più ampio contesto interattivo in cui essa si trova (Ollman, 2003, p. 13). La dialettica
– si osserva – “ha particolare importanza negli studi che prendono in considerazione gli
organismi, il loro rapporto con l’ambiente, i rapporti sociali, tutti fenomeni quanto mai
complessi con molte relazioni reciproche” (Vidoni, 2007, p. 260). Sicché il metodo
dialettico è la ricerca dei molti modi in cui le entità sono internamente collegate (Ollman,
1976, p. 61) e che mette al centro dell’attenzione i contrasti e le contraddizioni che
esistono nella società (cfr., ad es., Labriola, 1902, p. 22, Gallino, 1987, pp. 219-20, Volpi,
1989, p. 29 e Sherman, 1995, cap. 11); con il chiarimento che, per poter accettare questa
interpretazione, le contraddizioni di cui trattasi, secondo la distinzione ben chiarita più
volte da Colletti (cfr., in particolare, Colletti, 1974 e Colletti, 1980) devono essere
opposizioni reali, non opposizioni logiche.
Anche Lenin, per il quale il significato della dialettica era il problema che più di
ogni altro lo interessava (cfr. Meyer, 1957, p. 19), concepì la dialettica come strumento per
capire il rapporto di ogni cosa con ogni altra (op. cit., p. 21). La stessa idea si trova in
Bernstein, 1899, p. 52.4
Sembra, dunque, che, secondo un’opinione molto diffusa, il concetto di totalità è
legato a quello della dialettica, perché “il materialismo storico di Marx-Engels ha tentato
di produrre per la prima volta – questo è il suo grande merito storico-sociale – un nesso
unitario di tutto l’accadere sociale” (Vorländer, 1911, p. 248), cioè perché “per la
dialettica la verità è la totalità” (Bell, 1995, p. 112), si ha logica dialettica quando le
relazioni tra le parti perdono il loro significato fuori del contesto globale (Sachs, 1969, p.
355), quando le relazioni sono a loro volta collocate come momenti di una totalità (Arthur,
1998, p. 11).
4
Anche Leopardi pensava che la ragione non dialettica “cancella tutto ciò che è vasto e grande” e
“non riesce mai a cogliere il tutto dalla natura” (cfr. Citati, 2010, p. 53).
6
Ma è vero che questa concezione delle contraddizioni esistenti nella realtà possa
definirsi dialettica e che essa sia la concezione della dialettica di Marx?
3. La dialettica come totalità nelle opere di Marx secondo un’opinione diffusa
Secondo Bobbio (1958, pp. 343-46) e Dal Pra (1972, pp. viii-x), Marx, sopratutto
nelle opere della maturità, accettò la visione della dialettica basata sul concetto di totalità.
Marx, si osserva, ha scritto: “Il risultato al quale perveniamo non è che produzione,
distribuzione, scambio, consumo, siano identici, ma che essi rappresentano tutti delle
articolazioni di una totalità, differenze nell’ambito di un’unità” (Marx, 1857-58, vol. I, p.
25). ed “è stato sostenuto a partire dal Lukàcs di Storia e coscienza di classe che la critica
marxiana tende a mettere in crisi la parzialità dello sguardo e della strutturazione del
capitalismo in funzione di un recupero dell’orizzonte della totalità” (Rovatti, 1973, p.
125).5 Nella celebre Introduzione del 1857 – osserva Ollman (2003, p. 186) – produzione,
distribuzione, scambio e consumo non sono solo legati l’uno all’altro come precondizioni
e risultati necessari; ciascuno è anche un aspetto dell’altro, e – attraverso le sue relazioni
interne con altri processi collaterali – ciascuno è anche una versione, sebbene unilaterale,
dell’intero che le contiene tutte.6
Che il concetto di totalità sia centrale in Marx è quanto sostengono con forza anche
Wolff, Callari e Roberts, 1982.
L’importanza del concetto di totalità, si dice, ha a che vedere con il modo in cui
Marx concepisce la storia e la dinamica, ma, come scrive Althusser, nella visione di Marx
“la struttura del tutto deve essere concepita prima di ogni discorso sulla successione
temporale” (cfr. Althusser e Balibar, 1965, p. 105).
5
Scrive Lukàcs (1923, pp. 35-36), ”ciò che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza
borghese non è il predominio delle motivazioni economiche nella spiegazione della storia, ma il punto di
vista della totalità”. Ed a riguardo Negt osserva (1979a, p. 350) che a ragione Lukàcs considera la visione
della totalità come la differenza decisiva tra il modo di pensare marxista e il modo di pensare borghese
(cfr. anche Balibar, 1993, p.98).
6
Importante a riguardo è anche l’influenza di Spinoza (che fu forte tra la fine del Settecento e
l’inizio dell’Ottocento), il quale aveva una concezione panteistica della realtà e credeva che la natura
coincide con la totalità.
7
L’importanza del concetto di totalità per il marxismo, si dice ancora, spiega
l’affinità tra marxismo e strutturalismo, perché il primo e più importante principio di ogni
corrente che appartiene alla famiglia strutturalista (sia che si tratti di scienze naturali o di
scienze umane e sociali) è la considerazione dell’oggetto della ricerca come un tutto
(Shaff, 1974, p. 18).
Un’osservazione che anche si trova nella letteratura è che una manifestazione della
totalità che caratterizza il sistema di Marx è da vedere nel fatto che strettamente collegato
al materialismo storico e al concetto di modo di produzione vi è il concetto di ideologia
(cfr., ad es., Bidet, 1998, p.179).7
Da ricordare, infine, è l’interpretazione di Galvano Della Volpe, il quale anche
ritiene che la dialettica di Marx sia diversa dalla dialettica hegeliana e ritiene che Marx
abbia scoperto un nuovo metodo, la dialettica scientifica, cioè analitica: e Della Volpe
identifica la dialettica con il metodo che va dal concreto all’astratto e poi ritorna
dall’astratto al concreto e che accetta, pertanto, il principio di non-contraddizione (cfr.
Galvano Della Volpe, 1964). Che il metodo di Marx consista nel partire dal concreto per
andare all’astratto e poi di nuovo al concreto non è un’idea corretta. Comunque
l’originalità di Galvano Della Volpe è di aver argomentato che la dialettica consiste
appunto nel metodo di cui si è detto.
4. Critica dell’opinione corrente
7
L’importanza del metodo che pone al centro dell’indagine il problema della totalità appare
particolarmente evidente in un periodo, come quello attuale, in cui gli economisti “hanno rimosso, e fatto
rimuovere ai loro utilizzatori, il problema del funzionamento complessivo del capitalismo” (Becattini,
2009, p. 76). Ma non solo di questo si tratta. Il ‘tutto’ è un concetto centrale anche nella concezione
freudiana, come interpretata da Lacan, ove il ‘tutto’ è da sempre conservato nell'inconscio. Per Lacan la
rivoluzione freudiana è consistita nel detronizzare l'Io, riconoscendo nell' inconscio la fonte dell’attività
dell'individuo: l'individuo che fa le scelte non è mosso dall'Io, ma dall'inconscio. E il tutto opera
nell’inconscio, non nell’Io (cfr. Lacan, 1955, p. 203).
Il legame a riguardo tra Marx e Freud è ben colto da Althusser quando scrive (1974, p. 29):
“Da Copernico sappiamo che la terra non è il ‘centro’ dell’universo. Da Marx sappiamo che il
soggetto umano, l’io economico, politico o filosofico non è il ‘centro’ della storia, e sappiamo anche,
contro i filosofi illuministi e contro Hegel, che la storia non ha alcun ‘centro’, ma possiede una struttura
senza necessità di un ‘centro’ se non nel disconoscimento ideologico. Freud a sua volta ci rivela che il
soggetto reale, l’individuo nella sua specifica essenza, non ha l’aspetto di un ego centrato sull’ ‘io’.”
8
La visione della dialettica di Marx di cui si è detto, pur così diffusa, non è
accettabile. L’errore di essa non sta nell’associare la dialettica con il concetto di totalità,
ma nel non chiarire al contempo, che la dialettica è una visione della realtà come totalità
con contraddizioni dialettiche. E’ vero, in altre parole, che, a partire da Storia e coscienza
di classe di Lukaks, l’interpretazione di Marx ha messo giustamente al centro
dell’attenzione il concetto di totalità, ma, nel ricordare ciò, bisogna subito aggiungere il
commento del giovane Lukàcs a riguardo, con riferimento alla storia, secondo il quale:
“Marx, analogamente alla filosofia classica tedesca e a Hegel in particolare, ha
riconosciuto la storia mondiale come un processo unitario, come un ininterrotto processo
rivoluzionario di liberazione” (Lukàcs, 1968a, p. 34); Lukàcs chiarì, infatti, che una
contraddizione per essere dialettica deve essere tale “nel senso che la contraddizione
esprime proprio l’essenza del movimento” (Lukàcs, 1956, p. 92) (anche se egli meglio
avrebbe dovuto dire che una contraddizione in senso marxista è una contraddizione che
tende a essere superata).
Corretta è, invece, l’opinione di chi, seguendo Althusser, scrive: “Non si può
affrontare una contraddizione senza tener conto delle altre. Nessuna contraddizione può
essere totalmente risolta se le altre non lo sono, o non iniziano ad esserlo. Non esiste,
dunque, né contraddizione ‘pura’, che non subirebbe l’intervento delle altre
contraddizioni, né contraddizione ‘unica’, che definirebbe da sola il problema e la cui
soluzione sarebbe sufficiente per sé a risolvere l’insieme del problema” (Karsz, 1974, p.
142); sicché, “una rivoluzione sociale non mira a mettere una classe al posto di un’altra,
ma tutte le classi in posti nuovi in un complesso inedito” (op. cit., p. 147). Bisogna, cioè,
sottolineare che l’aspetto critico del pensiero di Marx è di aver concepito la storia come un
processo di liberazione, cioè come un processo che ha alla base contraddizioni che
vengono necessariamente superate. Luporini osserva che il concetto di totalità di Marx è
quello di un processo “consistente nel modificarsi, o anche arrovesciarsi, di situazioni
precedentemente accertate” (Luporini, 1966, p.155 e 1974, p. IX).
Vi è, dunque, un errore fondamentale nel dire, puramente e semplicemente, che la
dialettica di Marx coincide con una visione della realtà basata sul concetto di totalità. Vi
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sono mille realtà interpretabili con il concetto di totalità che non contengono
contraddizioni dialettiche, vi sono cioè mille realtà che, pur essendo da interpretare come
totalità, restano sostanzialmente costanti nel tempo, perché non contengono contraddizioni
che, per loro natura, tendono ad essere superate. Tale, ad es., è la visione dell’universo
come realtà ove tutti i corpi sono legati dalla legge di gravità, ove vi è un movimento con
equilibri che si ripetono anni dopo anni. Tale è la vita di ogni meccanismo, ad es., di
un’automobile, un areoplano o un telaio meccanico, che vivono eventualmente a lungo e,
se si logorano, ciò avviene lentamente e per consunzione, non per contraddizioni
dialettiche. Tale è anche la vita dei mille organismi esistenti che, se prima o poi muoiono,
non muoiono per contraddizioni a loro interne, ma per l’esaurimento della forza che li
tiene in vita. Tale, poi, quel che più ci interessa, è il capitalismo nella visione ortodossa,
che, si dice, contiene in sé contraddizioni, ma che si crede che sia destinato a durare in
eterno, perché le contraddizioni di cui trattasi non sono dialettiche. La contraddizione tra
le pretese del capitale e del lavoro, per la teoria neoclassica, è, infatti, ripetiamo, una
contraddizione che si compone di continuo, equilibrando le diverse spinte contrapposte, in
un equilibrio che può durare all’infinito.
Ma che quale è, allora, la visione della totalità nei testi di Marx?
Marx non solo non ha mai chiarito, come si è detto, il suo concetto di dialettica, ma
non ha usato il termine ‘contraddizione’ per indicare ogni tipo di conflitto o di
opposizione. Il concetto di contraddizione di Marx, bisogna, tuttavia, chiarire, va visto alla
luce di una visione dialettica e la dialettica, come si diceva, è proprio il metodo che
suppone che la realtà si sviluppi superando di continuo le sue contraddizioni. Non vi è
dubbio, infatti, che per Marx le grandi contraddizioni del capitalismo siano dialettiche e
che, come si diceva, una contraddizione dialettica si ha solo nelle situazioni di contrasto o
disarmonia che per loro natura tendono ad essere superate nello sviluppo storico.
Marx, in altre parole, accetta indubbiamente la visione del capitalismo come totalità,
ma la totalità di cui egli parla è una totalità dialettica.
È ben noto il seguente passo della Prefazione a Per la critica
dell’economia politica:
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“In the real production of their existence men inevitably enter into definite relations,
which are independent of their will, namely relations of production appropriate to a given
stage in the development of their material forces of production. The totality of these
relations of production constitutes the economic structure of society, the real foundation
on which arises a legal and political superstructure, and to which correspond definite
forms of social consciousness. ... At a certain stage of development, the material
productive forces of society come in conflict with existing relations or production or – this
merely expresses the same thing in legal terms – with the property relations within the
framework of which they have operated hitherto. From forms of development of the
productive forces these relations turn into their fetters. Then begins an era of social
revolution” (Marx 1859, p. 263)
E nella Critica del 1861-63 Marx ha scritto anche:
“As capitalism develops into a universal social power, the contradiction between it
and the private power of the individual capitalist over these social conditions
of
production becomes increasingly acute and imply the dissolution of the relations between
the two” (Marx, 1861-63, p. 1672).
Per il Marx ed Engels – è noto - la contraddizione fondamentale del capitalismo è
da vedere nel fatto che, mentre la produzione, che è basata nelle grandi imprese sul
lavoro in comune di centinaia o di migliaia di lavoratori, è sociale, l’appropriazione, che
è basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, è privata. Ciò si ritiene che
comporti che alla contraddizione fondamentale se ne aggiunga un’altra: “la
contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica - si legge, infatti, in
un passo dell’Antidühring, un’opera che Marx lesse e approvò - si riproduce come
antagonismo tra I’organizzazione della produzione nella singola fabbrica e I’anarchia
della produzione nel complesso della società” (Engels, 1872, p. 291), ove appunto la
seconda contraddizione è individuata nel contrasto tra il carattere organizzato della
produzione nella fabbrica e il carattere anarchico della distribuzione nel complesso della
società, che è una contraddizione che si accresce di continuo col passare del tempo per
essere alla fine superata, perché la dimensione delle imprese diventa sempre più grande
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(e, quindi, il progresso delle forze produttive porta ad un aumento del loro carattere
sociale), mentre l’appropriazione resta sempre privata.8
Nell’ Antidühring si legge anche (1878, pp. 303-04):
“Rivoluzione proletaria. Soluzione delle contraddizioni: il proletariato si
impadronisce del potere pubblico e in virtù di questo potere trasforma i mezzi di
produzione sociale che sfuggono dalle mani della borghesia, in proprietà pubblica. Con
quest’atto il proletariato libera i mezzi di produzione dal carattere di capitale che sinora
essi avevano e dà al loro carattere sociale la piena libertà di esplicarsi”.
Con riferimento alla caduta del saggio di profitto, che per Marx è la principale
causa dell’eventuale crollo – si può, infine, osservare - l’idea è che “this process would
entail the rapid breakdown of capitalistic production, if counteracting tendencies were
not constantly at work alongside this centripetal force, in direction of decentralization”
(Marx, 1894, p. 355).
Questi passi, dunque, non lascano dubbi che per Marx le contraddizioni del
capitalismo siano contraddizioni dialettiche.
5. La dialettica di Marx è quella di Hegel?
Dobbiamo ora chiarire che rapporto vi sia tra la dialettica di Marx e quella di Hegel.
Se, dunque, Marx accetta indubbiamente il concetto hegeliano di totalità con
contraddizioni dialettiche, è del pari indubbio che il suo sia un concetto di dialettica
diverso da quello di Hegel.
Che Marx prenda il concetto di dialettica da Hegel è testimoniato dallo stesso Marx,
com’è ben noto. Nella prefazione alla seconda edizione del libro I del Capitale si legge, ad
esempio (1867, p.45): “La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di
Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e
consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica”. Ma quel che Marx
prende da Hegel è la visione della realtà con contraddizioni dialettiche, ma non anche, di
8
La contraddizione fondamentale è “quella contraddizione che svolge in un processo complesso il
ruolo dirigente nei confronti delle altre contraddizioni, dette secondarie” (Karsz, 1974, p. 136).
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regola, l’idea che le contraddizioni dialettiche comportino che una tesi viene contraddetta
da un’antitesi per essere poi superata da una sintesi.
Come il libro di Dal Pra, 1972, chiarisce nel modo più esauriente, Hegel ha un
concetto di dialettica come metodo basato sulla totalità, che concepisce la realtà come un
organismo che nasce cresce e muore, ma Hegel chiarisce che ogni contraddizione
dialettica si sviluppa attraverso tesi, antitesi e sintesi. Scrive Hegel: “importa assai
distinguere la negazione come negazione prima, o come negazione in generale, dalla
negazione seconda, la negazione della negazione. Quest’ultima è la negatività concreta,
assoluta; la prima, invece, non è che la negatività astratta” (Hegel, 1831, p. 134). Le
contraddizioni che Hegel vede nella realtà, in altre parole, sono contraddizioni che noi
abbiamo chiamato di tipo B.
Non si può, tuttavia, negare che Marx usi raramente anche la dialettica come
metodo basato sull’idea che il movimento si realizza attraverso una successione di tesi,
antitesi e sintesi.
Per abolire il capitalismo – egli pensava - non basta l’abolizione della proprietà
privata, che è solo la prima negazione, insufficiente ad abolire il capitale, ma occorre
anche una seconda negazione, la negazione della negazione, cioè appunto la negazione del
capitale. E Marx conclude il terzo manoscritto del 1844 scrivendo; “il comunismo è, in
quanto negazione della negazione, affermazione; perciò è il movimento reale, e necessario
per il prossimo svolgimento storico, dell’emancipazione e della riconquista dell’uomo”
(Marx, 1844, p. 126). Anche nel Capitale si legge: “Il modo di appropriazione capitalistico
che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica,
sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale.
Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo
naturale, la propria negazione. E’ la negazione della negazione” (Marx, 1867, p. 826).
Che la dialettica di Marx sia quella hegeliana e che essa non sia compatibile con la
logica formale è quanto hanno argomentato a lungo Adorno e Habermas (cfr. Habermas,
1963, cap. iv).
13
L’uso della triade tesi, antitesi e sintesi è, tuttavia, in Marx solo eccezionale. Le sue
contraddizioni dialettiche sono le contraddizioni che noi abbiamo chiamato di tipo A, che
tendono ad essere superate, non, di regola, contraddizioni di tipo B, ove una tesi è
contraddetta da un’antitesi ed entrambe sono superate da una sintesi.
Che la dialettica di Marx sia diversa dalla dialettica hegeliana è opinione ben nota.
Ma i discorsi a riguardo sono di tutt’altro tipo da quello qui svolto, perché l’argomento
trattato a riguardo è quello dell’inversione della logica hegeliana da parte di Marx, nel
compiere il passaggio dall’idealismo al materialismo.
Per quanto detto negli ultimi due paragrafi, non ci sembra, tuttavia, giustificata
neppure l’affermazione di Habermas (1971, p. 326) secondo la quale “nella più recente
critica del marxismo è diventata un topos l’affermazione che il marxismo presuppone la
logica hegeliana.”
6. Il marxismo come scienza
Dopo tutto quanto detto, è importante ricordare l’opinione di chi, nel trattare del
problema ‘la dialettica e le scienze’, lo taglia in radice, affermando che il marxismo è
“scienza della storia reale, e quindi anche scienza delle contraddizioni oggettive” (Paci,
1962, p. 1869), cioè che il marxismo è scienza dei fatti sociali e che non si può ridurre il
metodo storico al solo ed esclusivo metodo logico (Gruppi, 1962, p. 196).9
9
Mèszàros scrive (1978, p.138) che senza un quadro di totalizzazione “non può esistere una
concezione dialettica della storia”.
Quella di cui parliamo è anche la concezione della dialettica di Gramsci (cfr. Finocchiaro, 1988,
cap. 6). “Trovare la reale identità dietro l’apparente differenziazione e contraddizione, e trovare la
sostanziale diversità sotto l’apparente identità - scrive Gramsci - è la più delicata, incompresa eppure
essenziale dote del critico delle idee e dello storico dello sviluppo storico” (1975, p. 2268). E Finocchiaro
commenta questo passo osservando che ”quest’abilità del critico-storico è il pensare dialettico per
eccellenza, o la dialettica in un senso speciale e ristretto” (1988, p. 157).
Per Garin Gramsci è un fautore “di una ‘dialettica storica’ senza preclusioni o limiti di campo, ma
costantemente ‘aperta’ e capace, non solo di affrontare ogni problema, ma di operare per la sua
soluzione” (Garin, 1974, p. 338).
Marcuse sostiene che la dialettica di Marx si differenzia da quella di Hegel perché, mentre
quest’ultima è universale e ontologica, la dialettica di Marx è storica e non ontologica (Marcuse, 1954,
pp. 348ss.).
Sulla distinzione tra dialettica sistematica e dialettica storica cfr., ad es., Arthur, 1998, pp. 3-4.
14
Che la dialettica sia da applicare soprattutto nell’indagine storica, nell’analisi dei
fatti sociali ci sembra indubbiamente un’idea corretta.10 Ma il problema che ci siamo posti
è se la dialettica abbia a che vedere anche con le analisi che più propriamente vengono
chiamate scientifiche, con le scienze che, anche se trovano applicazione in fatti specifici,
formulano leggi di carattere generale. E’ vero, pertanto, - ci siamo domandati – che ogni
scienza particolare, come l’economia politica, quando “isola il proprio lavoro in una
scientificità astratta” (Paci 1962, p.189), non si pone e neppure si può porre il problema
della dialettica? A noi sembra chiaramente di no e che il grande pregio della teoria
economica marxista è che essa fa uso della dialettica anche quando analizza leggi di
carattere generale. Ciò ci porta a dire, con Bensaïd (2002, p. 204), che il più grande pregio
della teoria economica marxista rispetto alla scienza ortodossa sta proprio nel fatto che è
generalmente criticato dal pensiero prevalente, nel fatto, cioè, che il marxismo fa uso del
metodo dialettico non solo quando analizza i fatti storici, ma anche quando formula teorie
generali.
L’uso da parte di Marx del concetto di totalità dialettica rende le sue analisi più
convincenti delle analisi ortodosse che non ne fanno uso. La scienza economica ortodossa
è certamente da criticare, infatti, come già faceva Veblen, perché ha un metodo d’indagine
molto restrittivo. Né si può dire che i limiti della scienza economica scompaiono, se essa
fa uso anche di concetti sociologici e filosofici, di concetti non falsificabili, come certo
può fare. L’economia ortodossa può certo far uso di analisi basate sul concetto di totalità,
senza tradire se stessa, ma non può fare analisi basate su contraddizioni dialettiche senza
diventare con ciò una teoria dialettica, cioè marxista.
Ciò che, inoltre, ci interessa argomentare alla luce di quanto detto è che la nostra
interpretazione del metodo marxista ci consente di attenerci rigorosamente alla linea
interpretativa del marxismo come scienza, nella tradizione della Logica come scienza
positiva di Galvano della Volpe, condivisa, tra i tanti, da Zolo (1977, pp. 47-48), perché la
10
Secondo Adorno, l’espessione totalità ha il suo significato più proprio quando riferita alla
società borghese (cfr. Reichelt, 2008, p. 224).
Anche secondo Proudhon il capitalismo è una totalità sistematica che si sviluppa con un groviglio
di contraddizioni (cfr. Proudhon, 1923 e Ansart, 1969, pp. 159ss.).
15
dialettica che Marx usa, quella di tipo A,
come abbiamo detto, non nega il principio di
non contraddizione.11 Ed a riguardo, pertanto, è da dire che non è accettabile l’opinione
dei marxisti analitici che sostengono che il metodo marxista non differisce per nulla dal
metodo degli economisti ortodossi (cfr., ad es., Dymski, 1991, p. 19 e Wright, 1995, pp.
15-18)12 e ancor meno accettabile è l’idea che il marxismo non sia scienza a causa del
metodo che usa.13 Le opere di Marx – osserva Farr, 1984, p. 217 – sono sicuramente
pervase dallo spirito scientifico del secolo diciannovesimo. Questo, del resto, è quanto
Marx ha detto apertamente. Un recensore del Capitale aveva scritto che il libro si sforzava
“solo di fare una cosa: comprovare attraverso un’indagine scientifica precisa la necessità
di determinati ordinamenti dei rapporti sociali”; e il commento di Marx nel Poscritto alla
seconda edizione della sua opera è: “nel commentare quel che egli chiama il mio metodo
effettivo in maniera così esatta e così benevola per quanto concerne la mia applicazione
personale di esso, che cos’altro ha rappresentato l’egregio autore se non il metodo
dialettico?” (Marx, 1967, p. 44).14
11
Una visione strettamente scientista di Marx è anche quella di Vilar per il quale ciò che
accomunò Marx ed Engels, quando nel 1845 decisero di collaborare quotidianamente, fu l’idea che
“l’economia politica è, nella giustificazione delle società moderne, la sola teoria che possa valere come
punto di partenza scientifico” e che era perciò necessario abbandonare l’involucro inconsistente
dell’interpretazione dei filosofi; anche se poi in seguito essi considerarono anche la storia come oggetto di
indagine scientifica (Vilar, 1978, pp. 66-68).
12
Un autore che sottolinea molto la differenza del metodo di Marx da quello degli economisti
ortodossi è Blaug, 1991.
13
Per quanto detto, diffusa è la convinzione che le idee centrali del marxismo non possono essere
espresse in teoremi matematici. A riguardo vien fatto, allora, di ricordare l’opinione di Roemer, 1994,
secondo la quale il marxismo ha una serie di proposizioni ‘analitiche’, e che, pertanto, si può parlare di un
‘marxismo analitico’ come di quella interpretazione del marxismo che ne vede solo ciò che può
esprimersi in un modello ipotetico deduttivo, cioè, come una serie di teoremi passibili di dimostrazioni
rigorose. Analogamente, Cohen ritiene (1978 e 2000, pp. xvii-xxv) che il marxismo non ha un metodo
d’indagine suo proprio, contrariamente a quanto per lo più si crede. Per meglio dire, il ‘marxismo
analitico’, che si definisce (cfr., ad es., Burawoy, 1995, p. 137) come il marxismo che non fa uso della
dialettica, e che viene talora considerato come l’erede del marxismo althusseriano (cfr. Carling, 1995,
p.31), è per Cohen un modo di ragionare che si collega strettamene a Marx, ma che non ha un suo metodo
d’indagine diverso da quello dell’economia ortodossa. Contro queste opinioni bisogna dire, a nostro
avviso, che il marxismo non può essere ridotto a marxismo analitico.
14
Sul rapporto tra marxismo e scienza, al termine di una sua disamina del problema, Geymonat
scrive: “Se il metodologo marxista propone un ritorno al materialismo non è per ‘fedeltà’ ai classici del
marxismo, ma per un motivo assai serio e convincente: perché si trova in grado di abbozzare una nuova
forma di materialismo – non più meccanicistico, ma dialettico – che risulta capace di enunciare in termini
filosoficamente corretti quanto vi è di più significativo nell’effettiva dinamica della scienza” (Geymonat,
1972, p. 40).
16
In conclusione, dunque, ripetiamo ancora, occorre distinguere tra due visioni diverse
della dialettica, quella hegeliana che non è un metodo, ma “il mondo nel suo presentarsi
nel discorso” (Sichirollo, 1973, p.149) e quella del marxismo che noi accettiamo, che,
anche se è di origine hegeliana, è, invece, un metodo che non nega il principio di non
contraddizione.15
Quanto detto ci porta, comunque, a ribadire che la nostra convinzione che la
dialettica sia compatibile con la logica formale non nasce tanto da un’interpretazione
esegetica di Marx, ma soprattutto dall’idea che vi siano interpretazioni del marxismo che
sono compatibili con la scienza.
7. Il marxismo come scienza: critica a Colletti
Quanto detto ci consente di criticare l’opinione di Colletti che il marxismo non sia
una scienza.
Colletti basa la sua convinzione soprattutto sull’idea che il metodo d’indagine di
Marx sia la dialettica hegeliana che non accetta il principio di non-contraddizione,
principio che è, invece, alla base di ogni indagine scientifica. Noi abbiamo visto, al
contrario, che vi è un modo di interpretare la dialettica che non è in contrasto con la
scienza. Né è a dire che per Colletti il marxismo sia da considerare come filosofia e non
come scienza, perché, a suo giudizio, “economia, filosofia, storia, teoria del diritto e dello
Stato, nessuno di questi comparti è in grado di contenere il marxismo, ma nessuno di essi
sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro” (Colletti,
1979, p. 48).
La convinzione di Colletti che il marxismo non possa fare a meno della dialettica
hegeliana che non accetta il principio di non contraddizione si basa soprattutto sull’idea
che alla base di tutto il discorso di Marx ci sia la sua teoria dell’alienazione e che
l’alienazione richiede che si accetti la dialettica nel senso ora detto (cfr. Lissa, 1982, p.
254). A conferma di questa idea egli scrive: “l’alienazione infatti nasce dalla separazione
15
Secondo Tosel, che segue Popper, l’affermazione dell’identità del logico con il reale porta
Hegel a negare il principio di non-contraddizione (Tosel, 2007, p. 299). Il marxismo, invece, che non
identifica il logico con il reale, può ben accettare il principio di non-contraddizione.
17
di ciò che originariamente è unito, cioè dalla divisione o rottura di un’ ‘unità originaria’ ”
(1979, p. 47). Ma per Marx alienato è il lavoro che non è fine a se stesso, il lavoro imposto
da una necessità esterna; e questo concetto di alienazione non ha necessariamente a che
vedere con la dialettica hegeliana (cfr. Jossa, 2008).
Colletti, inoltre, ritiene che il marxismo non è scienza perché è pregno di giudizi di
valore. Ma ciò non è accettabile, perché il punto di vista critico-normativo può ben essere
compatibile con una scienza rigorosa, come ha chiarito, a suo tempo, Hilferding. Ha scritto
Hilferding (1923, p. 5): “è stato detto che la politica è una dottrina normativa, fondata, in
ultima istanza, su giudizi di valore che non rientrano nell’ambito della scienza, sicché la
trattazione politica esulerebbe dalla sfera dell’indagine scientifica”; e Hilferding ha
obiettato a ciò che “per il marxismo, anche il fine della trattazione politica può essere
unicamente la scoperta di nessi causali…. Nella scoperta dei fattori che determinano la
volontà delle classi consiste, secondo la concezione marxista, il compito di una politica
scientifica, di una politica cioè che sappia descrivere nessi causali. Come la teoretica,
anche la politica del marxismo è esente da ‘giudizi di valore’ ” (op. cit., pp. 5-6).16
A queste considerazioni Colletti replica osservando che per i marxisti la storia
garantisce il passaggio dal capitalismo ad una formazione sociale ‘superiore’, “cioè più
alta nella scala dei valori” (1979, p. 39). Ma è facile controbattere a riguardo che anche un
marxista può credere, come faceva Schumpeter, 1942, che il capitalismo prima o poi porti
al socialismo, per ragioni scientifiche, ma non perché ha una scala di valori più alta.
Per concludere osserviamo che una forte critica al marxismo come scienza, a tutte le
varianti del marxismo moderno, nessuna esclusa, è stata fatta con grande erudizione anche
da Soldani (cfr., in particolare, Soldani, 2001 e Soldani, 2007), per il quale il marxismo
non ha seguito i progressi della metodologia della scienza moderna, che da tempo rifiuta il
realismo epistemologico. I marxisti - egli dice - hanno trasformato il sistema sociale in una
sorta di mondo autonomo al quale è assegnata la funzione di confermare o meno le nostre
16
A proposito delle polemiche suscitate dall’epistemologismo di Max Weber, che sosteneva,
com’è noto, l’avalutatività della scienza, Macchioro giustamente osserva che il merito epistemico di
Weber “non fu l’individuazione del principio di avalorità, che era principio di origine” (Macchioro, 2001,
p. 514), cioè un principio già allora ampiamente condiviso dalla scienza economica, con la sua conquista
del formalismo ipotetico-deduttivo.
18
spiegazioni delle cose. Oggi, invece, l’idea che la società e la sua storia costituiscano un
oggetto esterno alle teorie non può avere più alcun senso. La storia della società è fatta
dall’azione per lo più razionale degli individui e non può, perciò, rappresentare qualcosa di
esterno ed oggettivo rispetto agli attori sociali che la creano; e per sua natura non può
essere distinta dalle pratiche dei suoi attori. I fenomeni empirici, in società, non sono altro
che pensiero materializzatosi in una certa configurazione di cose. I processi di sviluppo
non sono esterni e oggettivi rispetto a chi li osserva. Per Soldani, pertanto, è ormai
improcrastinabile un radicale ripensamento della concezione marxista della storia e
dell’interpretazione marxista della conoscenza.
Ma questa critica di Soldani è stata giustamente ridimensionata in un’approfondita
recensione di Dell’Ombra, alla quale rinviamo (cfr. Dell’Ombra, 2008). Per parte nostra ci
basti osservare che il costruttivismo dell’interpretazione di Soldani del metodo della
scienza in una società capitalistica, con il suo soggettivismo e con l’enfasi posta sul ruolo
attivo nella conoscenza, mina il valore della scienza, di tutta la scienza, non solo del
marxismo. Soldani, per chiarir meglio il suo pensiero, ritiene che esista uno stato
conoscibile della realtà, ma che esso non venga mai raggiunto nella società odierna, per la
cecità che il capitalismo genera, il che pare francamente eccessivo.
8. Un commento ulteriore
Quanto detto in questo scritto può esser riassunto, per il suo aspetto principale, in
una semplice affermazione: se il marxismo e l’economia politica ortodossa sono
produzioni scientifiche e, quindi, razionali, se in essi, cioè, non vi è (o viene eliminato)
l’elemento fideistico, essi possono essere confrontati tra loro e discussi alla luce della
ragione.
Ma il confronto farà cadere le parti deboli delle due concezioni e le arricchirà
entrambe con le parti valide dell’altra, che ognuna considera, di regola, estranee: il
discutere di un nuovo modo di produzione alla luce della teoria economica ortodossa può
19
contribuire a questo confronto e all’accostamento tra le due teorie.17 Viene così esclusa, ad
esempio, l’idea assurda che l’economia politica ortodossa, per sua natura, non possa
ammettere che il capitalismo è una forma transitoria dell’evoluzione storica.
Per dire in altro modo, con le parole di Zolo, quanto già detto, noi consideriamo
“superato l’equivoco epistemologico che si annida da almeno cinquant’anni all’interno
della tradizione teorica del movimento socialista”, l’equivoco che squalifica “le procedure
analitiche e persino la logica formale”, ma riteniamo che “si debba contrapporre al metodo
delle ‘scienze borghesi’ una concezione ‘materialista’ e ‘dialettica’ della società e della
natura, come globalmente alternative al sapere borghese”. Questa concezione – chiarisce
sempre Zolo – consiste “nella duplice identificazione del neopositivismo con un
atteggiamento politico necessariamente conservatore e della filosofia dialettica con la sola
valida teoria critica della società borghese, ispirata al marxismo e collegata al movimento
operaio” (Zolo, 1977, p. 4). A nostro avviso, ripetiamo, una concezione dialettica è insita
nel pensiero marxista, anche se deve chiarirsi di quale dialettica si tratta, e la visione
ortodossa non è dialettica.
Come Rusconi e Colletti hanno ricordato, Korsch individuava in Marxismo e
filosofia tre epoche nel marxismo (cfr. Rusconi, 1968, pp. 109-10 e Colletti, 1979, pp. 4849). La prima è quella che comincia verso il 1843 e si conclude con Il Manifesto, ed è
l’epoca del Marx filosofo e pensatore dialettico, che puntava ad una rivoluzione immediata
e che dava enorme importanza alla soggettività rivoluzionaria. Dopo il 1848, invece, con
la sconfitta della rivoluzione parigina e con la dissoluzione delle organizzazioni operaie,
inizierebbe un’involuzione del pensiero di Marx e del marxismo che si manifesterebbe
appieno nel Capitale e arriverebbe, poi, fino alla fine del secolo. In questo periodo, per
Korsch (1931, p. 134) in Marx si ha “una separazione congenita tra teoria e prassi”,
l’economista prevale sul filosofo, la visione dialettica perde importanza e quella scientifica
diventa dominante: gli elementi deterministici prendono il sopravvento e la rivoluzione
viene affidata a leggi oggettive. La terza epoca è quella della ripresa della visione
filosofica e dialettica del marxismo che Korsch condivide e di cui egli è, con Lukàcs, parte
17
Su marxismo ed economia borghese cfr. anche il lungo saggio di Lange, 1958b, con le critiche
ad esso rivolte in L. Foa, 1975.
20
importante. Per Korsch il socialismo è scientifico se si libera dai limiti della scienza
borghese e dall’idealismo e diventa un modo di pensare dialettico e materialistico (Korsch,
1923a, p. 6).
Ma questa visione di Korsch è per più aspetti inaccettabile. Il Capitale di Marx, se è
certo basato su di una visione scientifica della realtà, è basato su di una visione dialettica,
anche se diversa da quella hegeliana, e contiene una visione della realtà capitalistica che
Marx non ha poi abbandonato. Di conseguenza, nel pensiero di Marx non vi è una terza
fase diversa dalla seconda.
9. Marx, Hegel e l’economia politica: le nostre conclusioni
La conclusione di quanto detto si può, pertanto, riassumere nelle seguenti
proposizioni.
1. il metodo di Marx è dialettico e, come tale, è diverso da quello delle analisi
ortodosse e rende le due concezioni del capitalismo radicalmente diverse tra loro,
2. vi sono due nozioni della contraddizione dialettica, che abbiamo chiamato A e B:
la nozione A che basa le sue analisi sul concetto di totalità o sulle contraddizioni collegate
al condizionamento reciproco, che chiarisce che si deve trattare di contraddizioni che
tendono ad essere superate nel corso del tempo, e la nozione B, che usa il metodo della
negazione della negazione e conduce a considerare una tesi eliminata in un primo tempo
da un’antitesi, e l’antitesi eliminata in un secondo tempo da una sintesi tra tesi e antitesi;
3. Marx (come noi lo interpretiamo) usa, di regola, la nozione A, che accetta il
principio di non contraddizione, anche se eccezionalmente fa uso anche della definizione
B. E’ indubbio, infatti, come è stato tante volte notato (cfr., ad es., Cingoli, 2005, p. 129),
che fu Engels, assai più di Marx, a continuare ad usare la dialettica nel senso hegeliano di
tipo B;
4. Hegel usa esclusivamente o soprattutto la nozione B; e ciò comporta che egli non
accetti il principio di non contraddizione; sicché le contraddizioni che Marx vede alla base
del capitalismo, anche se sono contraddizioni dialettiche, sono diverse dalle contraddizioni
dialettiche di Hegel,
21
5. la concezione della realtà basata sul concetto di totalità, che è tipica di molte
analisi marxiste, è compatibile sia con una concezione dialettica sia con una concezione
non dialettica,
6. l’identificazione della dialettica marxista con una visione per la quale la realtà va
esaminata in base al concetto di totalità con contraddizioni non dialettiche, se differenzia il
metodo del marxismo dal metodo prevalente nell’economia ortodossa, non rende le due
concezioni del capitalismo radicalmente diverse tra loro,
7. l’uso da parte di Marx di un concetto di dialettica che è compatibile con la
scienza fa sì che Marx possa esser visto fondamentalmente come un economista,
8. il marxismo e l’economia ortodossa, accettando entrambe il principio di non
contraddizione, sono confrontabili tra loro per stabilire quale sia la visione più corretta del
capitalismo.
Questa è una serie di proposizioni che non ci sembra siano state da altri messe
assieme.
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