“DA SARAJEVO 1914 A SARAJEVO 1992” Prof.ssa Claudia Desalvo – Liceo Banfi (testo redatto da Sara Anello e Veronica Poli - I A LC - e rivisto dall’autrice) Nel 1800 si affermano in Europa gli stati nazionali. I Balcani sembrano vivere un’altra storia, nonostante la pertinenza geografica all’Europa. A partire dal XV secolo l’Impero Ottomano controlla gran parte dei Balcani (la dominazione arriva sino al confine settentrionale della Bosnia, escludendo Croazia e Slovenia), ma non impone uniformità religiosa, rimane anzi tollerante concedendo la libertà di culto, pur permanendo differenze fiscali per i non musulmani. I Balcani appartengono perciò ad un’altra epoca rispetto agli altri paesi europei, che invece vivono un lungo processo di maturazione nell’età moderna. Quindi le terre che ne fanno parte subiscono un brusco passaggio dal Medioevo alla contemporaneità, che avviene non senza problemi. Del passato va segnata una data importante: quella del 28 giugno 1389, giorno della battaglia di Kosovo Polje, quando l'esercito cristiano, composto da una coalizione tra la Serbia Moravica e il Regno di Bosnia, guidato dal principe Lazar, tenta di fermare l’avanzata turca, senza però riuscirci. Questa data (non a caso) ricorre spesso nella storia della Bosnia, sempre in corrispondenza di eventi molto significativi. L’onda lunga degli ideali nazionali raggiunge comunque nel corso del 1800 anche i Balcani, e si comincia a diffondere anche lì l’idea che ogni nazione debba avere uno stato proprio. Ad esempio, nel 1830, i Serbi si ribellano al governo centrale (Costantinopoli, la “Sublime Porta”) ottenendo l’autonomia interna e un principato autonomo. In seguito, nel 1852, anche il Montenegro ottiene la costituzione di un Principato Montenegrino (dinastia Petrovic). Così, in parallelo con il progressivo disfacimento dell’Impero Ottomano, si cominciano a costituire degli Stati Balcanici, anche se i confini di uno stato non corrispondono mai ad una sola nazione, identificata grazie alla lingua (differiscono per la scrittura, come il cirillico dal latino) e alla religione (cattolicesimo, ortodossia, islam), intesa non tanto come confessione e pratica religiosa, ma come appartenenza culturale (denotata ad esempio dal vestire, dal modo di abitare e di mangiare…). Tra il 1912 e il 1913 abbiamo due pesanti guerre balcaniche che accelerano l’uscita di scena dell’Impero Ottomano dal continente europeo. Il 28 giugno 1914 avviene l’attentato di Sarajevo, in cui Gavrilo Prinzip, un bosniaco appartenente alla setta serba della “Mano nera”, la quale aveva come scopo la creazione di uno stato degli Slavi del Sud (= jugoslavi) accomunati dalla stessa lingua (ideologia detta “jugoslavismo”), uccide l’erede al trono austro-ungarico. Dopo la guerra, nel 1918 si forma il regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Si tratta di uno stato molto debole con profonde divergenze e tante differenti realtà. Croazia e Slovenia, temendo che l’Italia (vincitrice della guerra) pretendesse un allargamento territoriale nei loro confini, si legano alla Serbia a malincuore, accettando l’unione come il male minore. Tuttavia hanno una storia diversa dalla Serbia (facevano parte 1 dell’impero austro-ungarico, erano cattolici, lo sloveno era una lingua diversa dal serbo-croato) e vorrebbero mantenere la loro peculiarità e una certa autonomia ottenendo una forma di stato federale. La Serbia al contrario, la cui dinastia regnante ottiene la corona del nuovo regno (che ha perciò tutta l’aria di un’estensione della sovranità serba ai territori vicini), vuole un governo centrale forte per compiere l’unificazione jugoslava e per paura di non riuscire a controllare le zone dove la popolazione serba era minoritaria (il Kosovo e la Vojvodina, in particolare). I Serbi si sentono autentici “slavi”: scrivono in cirillico e professano il cristianesimo ortodosso. I partiti che siedono nel parlamento di questo giovane stato sono di tipo “nazionale”, in particolare si fronteggiano il Partito Contadino Croato e Partito Nazionale Serbo, in un clima sempre più rissoso: nel 1928 Stjepan Radić, leader del Partito Contadino Croato, viene ucciso in parlamento durante una sparatoria iniziata da un deputato montenegrino. Questo episodio (in cui si contarono cinque morti) causerà nel 1929 la chiusura del parlamento, la sospensione della Costituzione, la messa al bando dei partiti nazionali e la denominazione dello stato come “Regno di Jugoslavia” da parte di Alessandro I Karageorgevic. In pratica, Alessandro I attua autoritariamente lo jugoslavismo, calandolo dall’alto con una serie di atti che vogliono significare che le differenze nazionali fra i popoli che fanno parte del suo regno non hanno alcuna rilevanza, ma tutti sono “jugoslavi”, e basta. Egli divide ad esempio il territorio dello stato in distretti (banovine) senza tener conto delle differenze nazionali, attuando una divisione geometrica (e astratta) del territorio per imporre a forza il superamento delle distinzioni fra i popoli balcanici. La questione delle diverse nazionalità (diversità non “etnica” o “razziale”, ma culturale), dunque, viene messa forzatamente a tacere. Questo fa sì che il tema dell’identità nazionale cominci a diventare il manifesto di movimenti eversivi, che si oppongono allo stato. Nasce così in Croazia un movimento illegale che vuole l’autonomia/indipendenza dal dominio serbo, il Movimento Ustascia, sostenuto e addestrato da fascisti italiani. Nel 1934 il re Alessandro I, dopo essere già sfuggito ad un attentato, viene ucciso, appena sbarcato a Marsiglia per una visita ufficiale, da un macedone incaricato dal movimento ustascia. Il regno di Jugoslavia si trascina stancamente sino alle soglie della seconda guerra mondiale, quando, anche per l’accerchiamento da parte del nazismo, entra ufficialmente in alleanza con le potenze dell’Asse. Quando arriva a Belgrado la notizia che il reggente ha firmato un'alleanza con Hitler e Mussolini, scoppia una rivolta, i militari serbi revocano l’adesione al Patto. Ciò provoca come risposta il bombardamento della città da parte dei tedeschi (1941). La Jugoslavia viene occupata e divisa tra Italiani (parte della Slovenia, costa dalmata della Croazia, Kosovo) e Tedeschi (Serbia). Lo stato croato, che comprende anche il territorio della Bosnia, è guidato dal croato Ante Pavelic, capo degli Ustascia, non più illegali, ma diventati il partito-guida di uno stato filo-nazista e antisemita, che attua una politica di persecuzione contro i Serbi, i Rom e gli Ebrei. Il Campo di concentramento di Jasenovac fu il più grande campo di sterminio costruito nei Balcani durante la seconda guerra mondiale. A Jasenovac gli Ustascia croati sterminarono molte migliaia di “indesiderati”, fra cui soprattutto serbi, ma anche ebrei e rom. Ancora oggi le cifre delle possibili vittime divergono molto, le stime vanno da ventimila a due milioni (e il motivo è, come si accennerà più sotto, che la memoria pubblica e condivisa di quei misfatti è stata per lungo tempo tacitata). Ogni anno, il 22 aprile si ricordano a Jasenovac le vittime del campo di concentramento che vi sorgeva; il memoriale edificato all’inizio degli anni Settanta per rappresentare questo tristissimo evento è un fiore dalle dimensioni gigantesche che si apre al cielo quasi a simboleggiare la vita che continua nonostante orrori e tragedie. Un fiore che assomiglia anche a un urlo silenzioso che non tace il dolore e la sofferenza che l’Uomo provoca fuori e dentro di sé. 2 Naturalmente durante l’occupazione e la guerra sorgono anche movimenti di resistenza all’oppressione nazifascista: in particolare, i Cetnici serbi e i Partigiani Comunisti. I primi sono nazionalisti serbi filo-monarchici, per lo più ex militari serbi, il movimento è clandestino. Gli altri, guidati da Tito, costituiscono l'unica forma di resistenza che non appartiene ad una sola nazione, ottengono l'appoggio trasversale della popolazione, e proprio perché diffusi fra tutti i gruppi nazionali e perciò più efficaci, ricevono aiuto da parte degli Inglesi. La liberazione del paese avviene grazie ai partigiani, senza l’aiuto dell’Armata Rossa sovietica, che non entra in territorio jugoslavo. Il 29 novembre del 1943 nasce la democrazia federale di Jugoslavia che nel 1946 diviene la Repubblica Federale Popolare e poi nel 1963 Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, che comprende 5 nazioni: Serbia, Macedonia, Croazia, Montenegro e Slovenia. Lo stato che nasce non pretende dunque di essere lo stato dell’unica “nazione jugoslava”, ma accetta la diversità dei popoli che lo costituiscono: popoli diversi che decidono di unirsi perché insieme hanno combattuto e insieme si sono liberati dal nazi-fascismo. Simbolo di questa unione è anche rappresentato dalla bandiera: un fuoco a 5 fiamme. “Mito fondativo” del nuovo stato è dunque la lotta partigiana di Resistenza, a cui una vera e propria “politica della memoria” dedicherà moltissimi monumenti e feste di commemorazione. Con la vittoria nella lotta di Resistenza il Partito Comunista di Tito acquisisce l'egemonia che porta all'eliminazione degli avversari interni ed esterni. Tra gli avversari esterni vanno ricordati i numerosi italiani dell’Istria costretti ad abbandonare le loro case o uccisi nelle foibe carsiche. Per quanto riguarda i nemici interni, viene liquidato il movimento cetnico (il capo dei Cetnici viene condannato a morte) e quello ustascia con i suoi fiancheggiatori (l’arcivescovo di Zagabria Stepinać fu condannato a sedici anni di carcere perché accusato di aver collaborato con il regime). Il Partito Comunista Jugoslavo di Tito, dopo un iniziale accordo con Stalin, nel 1948 viene espulso dal Cominform (il coordinamento internazionale dei movimenti comunisti guidato da Mosca) perché accusato di socialismo non ortodosso. La via al socialismo di Tito prevede l'autogestione (per cui i consigli operai delle fabbriche prendevano parte alle decisioni in merito alla gestione delle aziende) e il non allineamento (né con URSS, né con USA). Negli anni ‘60 vengono adottate misure di liberalizzazione anche nel senso della libertà di espatrio, inizia un'economia di mercato non più interamente controllata dallo stato e comincia a formarsi una società dei consumi, con una progressiva diffusione del benessere. Anche le diverse nazionalità ottengono nel tempo vari riconoscimenti, ad esempio alle province serbe del Kosovo e della Vojvodina, abitate rispettivamente da maggioranze albanesi e ungheresi, vengono riconosciuti statuti particolari e il diritto di voto, seppure circoscritto a limitati livelli decisionali. Nel 1971 i musulmani di Bosnia (il paese più mescolato etnicamente per ragioni storiche, con popolazione serbobosniaca, croato-bosniaca e musulmana, appunto) chiedono e ottengono di essere riconosciuti come sesta nazione costituente della Federazione Jugoslava: verranno chiamati Bosgnacchi. La costituzione del 1974 prende atto della loro esistenza come “nazione” (e le fiamme sulla bandiera diventano sei!). Con la morte di Tito avvenuta del 1980, si crea un grande vuoto di potere ed è introdotto un sistema di alternanza presidenziale (6 mesi a testa per ciascuna delle nazioni costituenti la Federazione). Vengono meno in breve tempo nel corso degli anni Ottanta i tre fattori che avevo tenuto unita la Jugoslavia: - Tito, che con il suo carisma era riuscito a mantenere salda l'unione. 3 - La paura dell'Unione Sovietica, che aveva tenuto unite le nazioni della Federazione. Che ci fosse questa paura, è indubbio. Ad esempio, il 5 gennaio del 1968 inizia in Cecoslovacchia (paese del blocco sovietico) la “Primavera di Praga”, scaturita dall'ascesa al potere del riformista slovacco Alexander Dubček, che continua fino al 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione dell'Unione Sovietica e dei suoi alleati del Patto di Varsavia invade il paese. L’intervento sovietico andava a soffocare il tentativo di “socialismo dal volto umano” intrapreso dai Cecoslovacchi. L’ingresso dei carriarmati sovietici in Praga fece un grande effetto su Tito, che temette che presto sarebbe stata la volta di Belgrado (altra capitale del socialismo non ortodosso!) ad essere invasa: creò in quell’occasione sezioni armate per la difesa territoriale sparse in tutto il paese. Ora, con la caduta del muro di Berlino (1989) anche il pericolo sovietico svanisce. - La prosperità economica viene meno a causa di una terribile inflazione e di un grande calo dell’occupazione. Accade così che, tolti quei fattori di coesione, i problemi legati alle differenze nazionali (differenze culturali, dicevamo, ma anche economiche: la Slovenia e la Croazia avevano un’economia molto più sviluppata del resto della Federazione) ricominciano a farsi sentire. Nel 1986 l'Accademia Serba delle Scienze e delle Arti pubblica un “Memorandum”, testo al quale si ispirerà il leader politico Slobodan Milošević che salirà al vertice del Partito Comunista serbo. Il Memorandum afferma che la politica della Federazione era stata per oltre 40 anni anti-serba. Al suo interno la situazione in Kosovo è descritta come "un genocidio fisico, politico, giuridico, culturale e la sconfitta più grave subita dalla Serbia nelle sue lotte di liberazione"; i dirigenti della Federazione e della Repubblica Serba sono accusati di non avere difeso il popolo ed il territorio serbo e di non essere stati capaci di porre fine "ad una guerra aperta e totale", che ha come fine un Kosovo "etnicamente puro". Gli autori del Memorandum (rimasti anonimi) denunciavano inoltre che nelle zone della Croazia popolate da Serbi (Krajna e Slavonia) i Serbi erano discriminati e correvano il rischio di un genocidio. Si rileggeva insomma la storia della Federazione Jugoslava in chiave di persecuzione anti-serba, in una operazione di mistificazione che ebbe terribili conseguenze. Si chiedeva infine di modificare la costituzione del 1974. Milošević diventa capo dei comunisti serbi con un colpo di stato nel 1987, con abili manovre riesce ad estendere il proprio potere nelle province autonome del Kosovo e della Vojvodina, fa poi approvare dal parlamento una nuova costituzione per la quale le due province sopra nominate abbiano minore peso e perdano le prerogative acquisite negli ultimi anni di governo di Tito. Sottopone poi questa costituzione ad un referendum popolare ottenendo un consenso del 97%. Il 28 giugno del 1989 ricorre il 600° anniversario della battaglia di Kosovo. Si verificano nei giorni precedenti la commemorazione numerosi episodi di violenza innescati da provocatori serbi nei confronti degli albanesi. La notizia delle violenze commesse dagli albanesi nei confronti dei serbi, senza menzione delle provocazioni che le avevano originate, trova ampia diffusione su tutti i mezzi di informazione, e contribuisce a creare un clima di grande tensione. Durante la celebrazione dell’anniversario Slobodan Milošević tiene il famoso discorso sull'origine serba del luogo dove è stata combattuta la storica battaglia, esalta la nazione serba e l'unità jugoslava a guida serba, e alzando un dito in segno di minaccia, dice: “Da oggi nessuno oserà più alzare un dito su un serbo!”. 4 Con un’abile campagna di stampa anche gli stermini di serbi da parte dei croati, avvenuti durante la seconda guerra mondiale, cominciano ad essere ossessivamente ricordati. Quella tragedia (che aveva avuto in Jasenovac il suo momento più tetro) era sì conosciuta, ma ricordata solo a livello familiare e non pubblicamente. Ora questi ricordi vengono rimessi in circolazione, per suscitare intenzionalmente l’odio fra la popolazione. Nel 1990 Milošević viene eletto presidente della Serbia. L'anno successivo, spettando ad un croato la carica semestrale di presidente della Federazione, la Serbia non lo riconosce e questo ben presto dà le dimissioni. La situazione precipita molto rapidamente. Il 25 giugno 1991 la Slovenia si dichiara indipendente. Ma il paese non interessa a Milošević, che lascia andare lo stato per la sua strada. Con poco più di dieci giorni di guerra la Slovenia è definitivamente fuori dalla Federazione jugoslava. Milošević trae peraltro vantaggio da tale indipendenza: infatti, tutti i soldati sloveni presenti nell’esercito jugoslavo vengono sostituiti da serbi. Inizia così la “serbizzazione” dell'esercito. Il 25 settembre dello stesso anno la Croazia si dichiara indipendente, come conseguenza scoppia la guerra tra l'esercito federale e i Croati. Nel corso dei combattimenti fanno la loro comparsa forze non regolari che precedono/seguono/accompagnano l'esercito commettendo razzie, omicidi e stupri: molti di loro vestono le vecchie divise dei Cetnici, come a riesumare gli antichi odi fra serbi e croati. A questo punto l'Unione Europea consiglia alla Bosnia di indire un referendum per capire le intenzioni della popolazione in merito ad una eventuale indipendenza. Il referendum si svolge a febbraio del 1992 e viene boicottato dai serbi; la maggioranza dei votanti (croato-bosniaci e bosgnacchi) si esprime per l'indipendenza dello stato. Il 3 marzo del 1992, di fronte al proposito della Bosnia di dichiararsi indipendente, i serbi di Bosnia proclamano una repubblica serba con capitale Pale. Il clima è sempre più rovente e la popolazione inizia a manifestare pacificamente perché non vuole la guerra. Durante una di queste manifestazioni pacifiche in Sarajevo, il 6 aprile 1992, dei cecchini nascosti sul tetto dell’Holiday Inn sparano sui civili uccidendo due giovani donne. Comincia così l'assedio di Sarajevo, circondata da forze serbe, che dà inizio alla guerra. L’assedio durerà quasi quattro anni, sarà il più lungo di tutta la storia europea: una tragedia nella tragedia immane che fu la guerra che ben presto infiammò tutta la Bosnia. Segno ancora visibile di questo conflitto sono i numerosi buchi provocati dalle granate. Alcuni di essi sono stati coperti con smalto rosso creando figure chiamate “rose di Sarajevo” per non dimenticare. 5