La crisi jugoslava: I'impotenza dell'Europa
Quasi assente durante la crisi del Golfo e i negoziati sul futuro del Medio Oriente
che ne seguirono, la Comunità europea pensa di potere cogliere un'occasione
propizia nel 1991 quando, alle sue porte, si deteriora il clima politico in Jugoslavia.
Quando la Slovenia e la Croazia dichiarano la loro volontà di indipendenza, gli
Europei propongono alla repubbliche
jugoslave un progetto di associazione
La guerra in Jugoslavia ha messo a
nodo le debolezze dell Europa
ispirato al modello comunitario. Ma la
attuale. Senza un mandato chiaro
situazione è radicalmente diversa: mentre
delle Nazioni Unite e per di più
nell'Europa occidentale della fine degli anni
senza I unita d' intenti dell' Europa
i caschi blu dell ONU impegnati sul
Cinquanta si trattava di riavvicinare Paesi
campo hanno assistito impotenti
dilaniati dalla guerra, nella Jugoslavia dei
prima alle provocazioni delle milizie
primi anni Novanta, la posta in gioco è la
serbo-bosniache e poi anche a
definizione delle condizioni di
quelle dell' esercito creato. Benché
un accordo di pace sia stato
un divorzio consensuale reso
finalmente firmato a Dayton sotto
ineluttabile dagli eccessi del
d patrocinio americano permane I
nazionalismo verbale ai quali il
incertezza sul futuro destino della
Bosnia. A detta di molti la guerra
presidente serbo Slobodan
in Bosnia rappresenta una sconfitta
Milosevic si abbandonava dal
dell' Europa e del suo ideale di
1986 (abrogazione dello statuto di
fraternità Se vuole vincere la sua
autonomia del Kossovo a maggioranza
scommessa e suscitare di nuovo
fiducia l' Unione europea deve
albanese) senza che l'Occidente vi prestasse
certamente superare una nuova
davvero attenzione. All'indomani del
tappa e raccogliere la sfida di una
plebiscito croato per l'indipendenza nel
reale unione politica... Ph @ D.
Brauchli/Sygma
maggio 1991 (94% di si), la Comunità
europea condiziona la concessione di un
aiuto economico al mantenimento di strutture economiche e di una moneta comuni.
Nel giugno, gli europei ottengono da Zagabria e da Lubiana una sospensione delle
loro dichiarazioni di indipendenza in cambio di una tregua. I Dodici si ritengono in
grado di regolare questo conflitto regionale, senza ricorrere alle Nazioni Unite o alla
NATO.
Ottengono che la OSCE dia mandato alla Comunità di inviare sul terreno degli
osservatori incaricati di controllare i numerosi "cessate il fuoco". Ma questi vengono
sistematicamente violati. In settembre, la CEE delega l'inglese Lord Carrington a
presiedere una Conferenza di pace che si tiene all'Aia e propone ai belligeranti di
lasciar evolvere la Jugoslavia verso una libera associazione con diritti ampi per le
minoranze nazionali: bandiera, doppia cittadinanza, autonomia legislativa e
giudiziaria.
Si scontra con l'intransigenza della Serbia che sostiene i secessionisti
serbi di Croazia. Da parte sua, il croato Franjo Tudjman conta sul
sostegno ufficioso della Germania e non ha fretta di offrire serie
garanzie per il rispetto dei diritti delle importanti minoranze serbe di
Krajina e di Slavonia. In questo contesto di tensione si scopre che la
capacità di influenza della Comunità è limitata dalla sua difficoltà di trovare una linea
politica chiara accompagnata da mezzi credibili: non è nemmeno in grado di
decretare un embargo petrolifero nei riguardi di Belgrado, che pure ha rifiutato il
piano di pace europeo, perché la Grecia si
oppone.
L’Unione
economica
e
monetaria e l'Unione politica
costituiscono le due grandi
proposte di Maastricht. Ma
quando
l'inchiostro
del
trattato era ancora fresco,
gli insuccessi del Sistema
monetario
europeo
e
l'impotenza
dell'Europa
in
Jugoslavia hanno mostrato
l'ampiezza del divario tra le
professioni di fede, benché
sancite solennemente da un
trattato, e una realtà più
complessa.
Nel dicembre 1991, alla vigilia
del vertice di Maastricht, Bonn
ottiene dai suoi partner europei
la
promessa
di
un
riconoscimento dell'indipendenza di queste due
repubbliche a condizione che aderiscano al
piano di pace e alle sue disposizioni in favore
delle minoranze. Facendo ciò, la Comunità
gioca precipitosamente la carta vincente del
riconoscimento internazionale senza peraltro
offrire alcuna garanzia di sicurezza a questi
nuovi Stati che ha portato al battesimo.
L'Europa ripeterà questo errore con la Bosnia-Erzegovina multietnica che conta tra le
sue popolazioni non solo i musulmani (44%), ma anche i serbi (32%) e i croati
(17%), oltre ad altri “jugoslavi” spesso nati da matrimoni misti. Dopo aver chiesto a
Sarajevo di organizzare, nel febbraio 1992, un referendum - boicottato dalla
minoranza serba - I'Europa riconosce nel mese di aprile l'indipendenza della BosniaErzegovina senza aver prima avuto, nonostante i molteplici avvertimenti, la
accorttezza di dispiegare forze di mantenimento della pace.
Subito, i serbi-bosniaci di Karadzic e Mladic proclamano la Repubblica serba
autonoma della Bosnia Erzegovina e, con il sostegno dell'”esercito federale” di
Belgrado, estendono alla Bosnia-Erzegovina la loro politica di conquista e di “pulizia
etnica”. Le condanne delle atrocità commesse sul terreno dai separatisti serbi restano
puramente verbali.
Sul fronte diplomatico occidentale, la confusione è totale.
Nel giugno 1992, I'ONU spedisce i caschi blu i cui contingenti più numerosi sono
europei (francesi, inglesi, ma anche olandesi, belgi, italiani ecc.). Mentre i
combattimenti infuriano, il vincolo della loro missione di “mantenimento della pace”
li riduce all'impotenza.
Nel maggio 1993, il Consiglio di sicurezza delibera la creazione di "zone di
sicurezza" intorno alle città bosniache assediate di Sarajevo, Tuzla, Bihac,
Srebrenica, Zepa e Gorazde.
Ma i bombardamenti serbi continuano mentre i loro cecchini terrorizzano
intenzionalmente la popolazione civile.
Nel luglio 1994, le principali potenze - Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e
Germania - si organizzano in un “Gruppo di contatto” incaricato di coordinare
l'attività diplomatica.
Con l'instaurazione di questo “Gruppo di contatto”, l'opposizione di una gestione
europea del conflitto viene definitivamente scartata, è giocoforza constatare che i
principi della PESC (Politica Europea di SiCurezza) non sono rispettati: il “Gruppo di
contatto” riproduce il sistema del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
I limiti dell'Unione europea sono dunque venuti
Unite. Anche se l'Unione vi è
alla luce: certo, essa ha potuto evitare un
rappresentata durante gli incontri a
allargamento del conflitto e mantenere la sua
unità, ma, secondo le parole di Jacques Santer,
livello ministeriale, è soprattutto il
essa ha messo in evidenza «che non si crea
direttorio dei tre "grandi" Paesi
una politica estera con un trattato». E, nel
dell'Unione che tratta, da solo, la
dicembre 1995, egli aggiungeva: «Se nella crisi
bosniaca
l'Unione
europea
avesse
questione
jugoslava,
sistematicamente agito e parlato in quanto tale,
accontentandosi di renderne conto
non c'è dubbio che l'immagine dell'Europa e, io
soltanto dopo agli altri Stati membri,
oso dire, la sua efficacia ne sarebbero uscite
accresciute".
di cui alcuni sono anche fisicamente
impegnati sul terreno.
La debolezza del mandato dell'Onu
impedisce di mettere fine alle
offensive serbe; nel luglio 1995, la comunità internazionale assiste, impotente, alla
conquista delle zone di sicurezza che aveva istituito a Srebrenica e a Zepa.
Soltanto l'impegno americano, alla fine, spingerà la Nato a impiegare le forze aeree
per imporre ai serbi il ritiro delle loro armi pesanti dalle ultime zone di sicurezza.
Conseguenza logica, gli Stati Uniti riprendono la leadership politica e imporranno gli
accordi di Dayton, pur largamente ispirati ai precedenti piani europei.
TRATTO DA:
COLLANA XX SECOLO di MASSOULIE’ GANTELET GENTON
LA COSTRUZIONE DELL’ EUROPA pag165-168