Università degli Studi di Roma «La Sapienza»
Facoltà di Filosofia – Cattedra di Pedagogia generale I
Antonio Labriola e «La Sapienza»
Tra testi, contesti, pretesti
2005–2006
A cura di
Nicola Siciliani de Cumis
Con la collaborazione di
Alessandro Sanzo e Domenico Scalzo
Edizioni Nuova Cultura – Roma
Con in contributo del Rettorato (Comitato per le celebrazioni dei settecento anni della
«Sapienza», 1303–2003), della Facoltà di Filosofia e del Dipartimento di Ricerche storico–filosofiche e pedagogiche dell’Università «La Sapienza» di Roma.
Copyright © 2007 Edizioni Nuova Cultura Roma
Cura editoriale: di Alessandro Sanzo
Copertina, progetto grafico e realizzazione: di Alessandra Dessi
I giudizi in quarta di copertina si riferiscono all’inaugurazione della mostra e alla presentazione del catalogo su Antonio Labriola e la sua Università (Roma, 8 marzo 2005).
A Marco Maria Olivetti,
“ricordando il futuro”
Recensioni di libri. Due tipi di recensione.
Un tipo critico–informativo:
si suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato,
ma che sia utile per lui conoscere il contenuto e le conclusioni.
Un tipo storico–critico:
si suppone che il lettore debba leggere il libro dato
e quindi esso non viene semplicemente riassunto,
ma si svolgono criticamente le obiezioni che si possono muovere,
si pone l’accento sulle parti più interessanti,
si svolge qualche parte che vi è sacrificata ecc.
Questa seconda forma è la più importante e scientificamente degna
e deve essere concepita come una collaborazione
del recensente al tema trattato dal libro recensito.
Quindi necessita di recensori specializzati
e lotta contro l’estemporaneità e la genericità dei giudizi critici.
Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, XXVII e XXVIII
Indice
Premessa
Nicola Siciliani de Cumis .................................................................................. XI
Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia.
A mo’ di prefazione
Marco Maria Olivetti ......................................................................................... 1
Antonio Labriola e l’Università «La Sapienza»
Pietro Borzomati.................................................................................................. 9
Gli innamorati di Sofia
Giovanni Cacioppo ............................................................................................ 13
Antonio Labriola, la sua università e i settecento anni della Sapienza
Mario Casalinuovo ............................................................................................19
La galassia Labriola
Sergio Cicatelli ................................................................................................. 23
La Montessori alla «Sapienza»
Giacomo Cives ................................................................................................... 29
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro.
«Rivista pedagogica e dintorni»: Alfredo Poggi
Marco Antonio D’Arcangeli ............................................................................. 33
Un Catalogo per Antonio Labriola
Girolamo de Liguori .......................................................................................... 59
Antonio Labriola e il materialismo storico
Graziella Falconi ............................................................................................... 63
Antonio Labriola e le scienze sociali
Franco Ferrarotti ............................................................................................... 65
Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola.
Centenari significativi
Remo Fornaca .................................................................................................... 81
Antonio Labriola nel centenario della morte
Vincenzo Gabriele.............................................................................................. 91
VIII
Indice
In occasione del centenario labrioliano
Norberto Galli ....................................................................................................93
Socialista fuori concorso
Tullio Gregory ...................................................................................................95
Antonio Labriola e la sua Università
Emiliano Macinai...............................................................................................99
Nel centenario della morte di Antonio Labriola
Mario Alighiero Manacorda.............................................................................103
Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»
Stefano Miccolis ...............................................................................................117
La filosofia nella scuola e nell’università
Maria Pia Musso..............................................................................................127
Labriola, la filosofia, l’Università, il socialismo
Vincenzo Orsomarso ........................................................................................133
La laurea in filosofia, quale «completamento, […] facoltativo di
qualunque cultura speciale». Note a margine
Vincenzo Orsomarso ........................................................................................163
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
Claudia Pinci ...................................................................................................173
Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia.
Anniversari e importanti libri celebrativi
Francesca Rizzo................................................................................................201
Apprendimento spontaneo e interesse razionale:
Maria Montessori tra Antonio Labriola e Lev S. Vygotskij
Federico Ruggiero.............................................................................................205
Antonio Labriola, a cuore aperto
Roberto Sandrucci ............................................................................................217
Le attente analisi dell’Ispettore Labriola
Antonio Santoni Rugiu....................................................................................221
Antonio Labriola, in prospettiva
Alessandro Sanzo .............................................................................................227
Indice
IX
La stele e lo stile di Antonio Labriola
Daniela Secondo .............................................................................................. 241
Antonio Labriola e la multimedialità
Roberto Toro ................................................................................................... 281
Appendice...................................................................................................... 303
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
Nicola Siciliani de Cumis ................................................................................ 305
Antonio Labriola, tra quadri e lettere
Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato ................................................. 321
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
Nicola Siciliani de Cumis ................................................................................ 329
Autori presenti nel volume e nel DVD ...................................................... 357
Indice dei nomi ............................................................................................ 361
Indice analitico .............................................................................................. 371
Premessa
Nicola Siciliani de Cumis
Questa raccolta di Carte Labriola, dal titolo volutamente allusivo, reiterativo, Antonio Labriola e la «Sapienza». Tra testi, contesti, pretesti 2005–
2006, raccoglie quasi tutto quello che è stato scritto e detto pubblicamente, a margine della mostra documentaria del marzo–maggio 2005, su Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia; e sul relativo catalogo1. Nella forma, in qualche modo, della recensione.
Considerato il loro carattere prevalentemente privato, restano invece
fuori dal libro alcune lettere personali, che pur avrebbero un taglio critico–recensivo. Così come rimangono escluse dalla raccolta — tranne che
in alcuni casi e per i motivi che si diranno —, le centinaia di pagine, redatte da diverse decine di studenti tra il 2005 e il 2006 a mo’ di recensione; e aventi, sempre e comunque, per oggetto la mostra, il catalogo, Labriola e «La Sapienza».
Ciò che ne risulta, è pertanto un volume a più voci, monotematico e a
suo modo “enciclopedico”. Un volume, che corrisponde al primo dei titoli della collana di documenti universitari su carta e/o su supporti informatici, pur sempre riferibili a Labriola e alla sua Università, che, per
conto del Rettorato dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza»,
viene ora pubblicata nei tipi di Nuova Cultura Editrice con la formula
del print on demand.
La mostra era stata allestita nelle tre sedi dell’Archivio Centrale dello Stato
(Roma–EUR), dell’Archivio di Stato di Roma (Sant’Ivo alla Sapienza) e della Facoltà
di Filosofia dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (Villa Mirafiori, Fondazione «Giovanni Gentile»). Titolo del catalogo: Antonio Labriola e la sua Università.
1
Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla
morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005
(nuova ristampa con correzioni e integrazioni, 2006). Si ebbero quindi, parallelamente
e successivamente alla mostra e sulla base del catalogo, corsi di lezioni, seminari di
studio, proiezioni di film.
XII
Premessa
Una collana che, proprio in quanto aggregazione di dossier concernenti Labriola e l’Università di Roma «La Sapienza», ha l’obiettivo di configurare precise sinergie archivistiche con le parallele possibilità documentative labrioliane nell’Archivio Centrale dello Stato, nell’Archivio di
Stato di Roma, e altrove, a Roma e fuori Roma. Prime fra tutte, quelle
derivanti dalle importanti Carte Labriola conservate a Napoli, presso la
Società Napoletana di Storia Patria.
Carte d’un archivio in formazione — quelle contenute intanto in questo volume —, che hanno reso possibile la realizzazione della presente
raccolta, pressoché in contemporanea con la loro stessa acquisizione archivistica… E che, tenuto conto dell’argomento, fanno in qualche modo
da cerniera tra i testi inediti o pressoché sconosciuti, già compresi nel catalogo della mostra su Antonio Labriola e la sua Università, e le nuove aggregazioni di documenti labrioliani via via scaturenti dagli archivi della
«Sapienza».
Nuove aggregazioni documentarie, che il catalogo del resto già preannunciava; e che il presente volume, pur nella sua specificità e limitatezza, comincia ora concretamente col prefigurare nel quadro di più ampie e sistematiche documentazioni. Del tipo di quella, per esempio, in
volume e in DVD, relativa alle Carte Labriola del Rettorato dell’Università
degli studi di Roma «La Sapienza» (a cura di Giordana Szpunar); oppure di
quell’altra, pure in volume e in DVD, delle Carte Labriola nell’Archivio
Centrale dello Stato (a cura di Maria Pia Musso); o dell’altra ancora su Antonio Labriola e il Museo d’Istruzione e di Educazione (a cura di Alessandro
Sanzo); ovvero di quelle, in cartaceo e in CD–ROM o in DVD, sul «Laboratorio Labriola» e le sue tesi di laurea, sull’Immagine di Labriola e «La Sapienza» (entrambe a cura di Daniela Tarabusi); e in un CD, su Antonio Labriola e «La Sapienza» in Google (a cura di Luigi Gregori), ecc.
Una raccolta di scritti, quella che qui si presenta, che consiste quindi,
per un verso, in una sorta di estemporaneo prolungamento delle attività
per il centenario della morte di Labriola; e, per un altro verso, come libro
tutto e soltanto di recensioni al catalogo, in un nuovo fatto bibliografico–
archivistico labrioliano. Carte d’archivio su Labriola, quindi, pur sempre
utili da conoscere, ordinare e mettere a disposizione degli studiosi, assieme alle altre documentazioni otto–novecentesche dei piani nobili e
degli scantinati della «Sapienza».
Premessa
XIII
E si tratta, da questo o da quell’altro punto di vista, su questo o su
quell’altro argomento, di testi di recensione e talvolta di autorecensioni,
a cura degli stessi autori del catalogo. Di pratiche scientifiche e di attività
didattiche in corso e, quasi quasi, di esperimenti da laboratorio.
Insomma, un libro su un libro: o, meglio, un sorta di catalogo sul catalogo; ovvero un documentario storico, a parte obiecti, relativamente al
medesimo tema di Labriola alla «Sapienza». Una sorta di antologia di
letture in medias res, variamente utili a spiegare, a integrare, a correggere
quel che si è fatto fin qui e si continua a fare; e ad aprire possibili, ulteriori piste d’indagine, muovendo per l’appunto dal presente, provvisorio punto d’arrivo.
Un recensire Antonio Labriola e la «Sapienza». Tra testi, contesti, pretesti
2005–2006, a metà strada tra didattica e ricerca e quasi all’incrocio di riscontri critici di competenti e formazione di competenze critiche. E ciò,
nei due sensi del recensire: come un’attività definita, che si è venuta esplicando nel farsi delle numerose e varie recensioni che “fanno” il volume; e come un’attività recensiva in corso, che si vorrebbe continuare e
far continuare nell’intreccio di didattica e di ricerca: tanto più in quanto,
già in questa sede, vengono ammessi a mo’ di esempio i risultati di alcune prove scritte d’esame, con l’intento di sottolineare proprio una
maggiore varietà di livelli di approssimazione al problema, la commistione di diversi piani critici e la mescolanza di didattica e ricerca nelle
attività laboratoriali con al centro Labriola.
Recensioni, dunque, fiorite spontaneamente o sollecitate da chi scrive:
ma sempre e comunque riconducibili alle tematiche della mostra e al catalogo della «Sapienza», ai corsi universitari che vi si sono affiancati o ne
sono scaturiti. Ovvero derivate dalla stessa parallela esperienza del reperimento, riordinamento, digitalizzazione e pubblicazione delle Carte
Labriola nella sua Università.
Più precisamente, come si diceva, un primo, eppur significativo gruppo di recensioni archiviabili, che viene affiancandosi ad altri esiti recensivi da archiviare. Giacché sono ancora frequenti e significativi gli interventi labrioliani dello stesso genere, ospitati o sul punto di essere ospitati negli studi, nelle biblioteche della «Sapienza»: vuoi nella forma del
saggio scientifico o come prodotto didattico; oppure nella dimensione
del film, del documentario in CD–ROM, DVD o via e–mail; ovvero nei
XIV
Premessa
modi di un’oralità conferenziera, della lezione accademica o del ciclo di
lezioni in audio o video, dell’elaborato scritto e delle tesi di laurea e di
dottorato di ricerca; e, dunque, nella veste di un libro.
Interventi di differente natura filologica e scritti di diversa consistenza critica: e realizzati, ora da studiosi di Labriola ovvero da specialisti di
varie discipline e da competenti di chiara fama; ora — lo si vuol sottolineare — da studenti della «Sapienza», nel corso della normale preparazione dell’esame o della redazione dell’elaborato scritto o della tesi di
laurea. Essendo per l’appunto la recensione, in presenza della specifica
materia labrioliana oggetto di studio, il primo strumento di espressione
della crescita intellettuale e, dunque, uno dei mezzi migliori di “accreditamento” universitario nelle discipline storico—filosofiche e pedagogiche.
La recensione, come attrezzo mentale di mediazione tra indagini
scientifiche e senso comune. La recensione, come dimostrazione dell’esistenza, e tramite operativo, del nesso tra ciò che già si conosce e ciò che
ancora non si conosce.
La recensione come evento didattico e scientifico caratterizzante, costitutivo di una tradizione accademica e di un modo di insegnare e di
apprendere. La recensione, quindi, da fare, da far fare e da veder fare; e
dunque, come modalità dell’operare universitario nel suo procedere: attento,
disattento, esplicativo, correttivo, integrativo, generoso, ingeneroso, utile, inutile, formativo sì e no, chiuso, aperto.
La recensione seria e il suo contrario. La recensione creativa, innovativa, e quella solo informativa o piuttosto ripetitiva; quella “a tema” e
quella “fuori tema”; quella edificante e quell’altra stroncatoria, con o
senza strascico polemico.
Recensioni pertanto — quelle di questo volume — che, per la loro
immediata configurazione, variano dal contributo di un certo impegno
alla scheda di lettura; dall’apporto scientifico originale, alla testimonianza o allo “sfogo” prevalentemente personale; dall’intervento di natura
divulgativa, alla grafica d’arte; dall’esercizio di ricerca per un esame, al
capitolo di un elaborato scritto di laurea… Di qui la ragione per la quale
si è ritenuto opportuno ristampare tra l’altro, in appendice al libro, un
testo dello stesso curatore, sulla recensione e le sue dimensioni educati-
Premessa
XV
ve; un testo di natura metodologica e deontologica, che vorrebbe tornare
utile a spiegare le ragioni e il senso della presente raccolta.
Un libro di recensioni, del resto, variamente “annunciato”: e non solo
perché già se ne accennava nel catalogo della mostra su Antonio Labriola
e la sua Università; ma anche perché se ne è riparlato, strada facendo, durante lo svolgimento dei corsi di lezioni su Labriola, successivamente
all’allestimento e all’apertura della mostra e alla redazione del catalogo.
Lo stesso Labriola, del resto, con la sua singolare esperienza di recensore
nella «Sapienza» e della «Sapienza», risulta essere, a più livelli, un momento effettivamente qualificante di tale operazione critica e autocritica:
un momento “storico” particolarmente autorevole, che invita ad allargare e ad approfondire il quadro delle indagini in corso, per continuare a
giovarsene, sia scientificamente sia didatticamente (e bibliograficamente
e archivisticamente).
In tale ottica, come un ampliamento dello stesso quadro recensivo,
viene a far parte integrante del volume un DVD, a cura di Domenico
Scalzo, contenente tre filmati. Il primo, con gli “atti” dell’inaugurazione
della mostra Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia e
della presentazione del relativo catalogo; il secondo, con una fiction di
Corrado Veneziano, dal titolo Antonio Labriola, il Gusto della Filosofia, che
mostra il progressivo coinvolgimento nella materia labrioliana specifica
di una studentessa di oggi, laureanda in filosofia, nel corso della preparazione di una tesi sul Labriola filosofo, educatore, etico–politico; il terzo, con un filmato dello stesso Scalzo, su Antonio Labriola e la sua Università. Testi e contesti, in chiave prevalentemente documentaria, ma con soluzioni visive e approssimazioni narrative, tali da sensibilizzare alla
complessità dell’intero mondo di Labriola, nel suo tempo ed in rapporto
al nostro.
Di qui la ragione per cui, tra l’altro, di tutti gli interventi relativi all’inaugurazione della mostra e alla presentazione del catalogo, che sono
ora compresi nel suddetto DVD, si è ritenuto opportuno recepire a mo’
di prefazione al libro, proprio il testo di Marco Maria Olivetti. E questo,
non soltanto per la convinta adesione, da lui espressa a più riprese, alle
iniziative romane per il centenario della morte di Labriola, e per l’elevata prospettiva universitaria del suo contributo, tra passato, presente e
futuro; ma anche e soprattutto per il carattere chiarificatore delle parole
XVI
Premessa
di Olivetti, circa la sostanza scientifica, didattica e politico–culturale della mostra e del catalogo su Antonio Labriola e la «sua» Università, nel
più ampio contesto delle celebrazioni dei settecento anni della fondazione della «Sapienza» e della vicenda della Facoltà di Filosofia, dalle origini ai nostri giorni.
Università di Roma «La Sapienza», novembre 2006
Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà
di Filosofia in Italia. A mo’ di prefazione∗
Marco Maria Olivetti
Sono lieto di parlare immediatamente dopo il Prorettore Dazzi e lo
ringrazio, anche a titolo personale, di essere qui a rappresentare il Rettore.
Il fatto che sia il Prorettore Dazzi a salutare il convegno, da parte del
Rettorato, mi sembra ancora una delle varie circostanze o delle varie
coincidenze in qualche modo “astrali”. Se uno credesse agli oroscopi,
vedrebbe in queste coincidenze di cui parlerò… ma sono coincidenze
non troppo astrali, ma attentamente calibrate e costruite.
Ecco, il fatto che sia Dazzi, il quale si richiamava nelle parole che ci ha
detto alla sua formazione filosofica, mi sembra ricco di significato. Per
parte mia, sono molto lieto, come rappresentante pro tempore della Facoltà di Filosofia, di salutare gli intervenuti.
Lo faccio con vivo compiacimento, con vera, profonda soddisfazione:
con soddisfazione, se volete anche personale, ma proprio come soddisfazione della Facoltà. Ringrazio gli intervenuti di qualificare con la loro
presenza, appunto qualificata, insigne, questa iniziativa; e nel volerla
onorare in questo modo, contribuendo con la loro presenza e con la loro
partecipazione, anche attiva, al significato di questo convegno.
∗
Si tratta della trascrizione, il più possibile fedele al parlato originario, ma con gli
opportuni aggiustamenti di forma, dell’intervento di Marco Maria Olivetti, Preside dalla
Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», all’inaugurazione della mostra (8 marzo 2005, Sant’Ivo alla Sapienza), su Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto
della filosofia e alla presentazione del catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra
documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di
Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. Il
DVD, a cura di Domenico Scalzo, con l’intervento integrale di Olivetti e con gli altri contributi di Nino Dazzi, Luigi Londei, Aldo G. Ricci, Fulvio Tessitore, Tullio De Mauro,
Franco Ferrarotti, Giacomo Marramao, Luigi Punzo, Gennaro Sasso, Giuseppe Vacca,
Mario Alighiero Manacorda, unitamente ai filmati di Domenico Scalzo e di Corrado Veneziano, è ora in allegato al presente volume.
2
Marco Maria Olivettti
L’iniziativa — credo di poterlo dire per il fatto di essere nel mio piccolo parte in causa, quanto meno istituzionalmente, parte in causa —, è
un’iniziativa importante e rappresenta il contributo che la Facoltà di Filosofia dà alla celebrazione dei settecento anni della «Sapienza». Naturalmente, ciò che si richiede perché queste parole non siano meramente
parole di circostanza, è un’illustrazione del perché questo sia un contributo specifico.
Beh, intanto, la Facoltà di Filosofia, che esiste da lungo tempo in
quanto struttura istituzionale, esiste da cinque anni. Il Presidente Ciampi — con la sensibilità culturale e con l’interesse e l’impegno, che ha più
volte mostrato per la res universitaria, per l’avvenire della ricerca, per le
questioni culturali — ecco, il Presidente Ciampi ha voluto ricevere una
delegazione della Facoltà di Filosofia, dopo la sua istituzione. E il Presidente Ciampi ha concesso il suo Alto Patronato a questa iniziativa, che
noi, con la nostra stessa presenza, stiamo celebrando e alla quale stiamo
dando corpo.
Ebbene, i settecento anni della «Sapienza» e un centenario, quello della morte di Labriola, che in qualche modo sono venuti in congiunzione
astrale. È soltanto la sorte?
Ma io credo che ci sia qualcosa di più intrinseco, di più specifico, che
va messo in luce e su cui non vorrei intrattenermi non senza avere prima
ringraziato il Comitato per le celebrazioni dei settecento anni della «Sapienza», per avere voluto sostenere finanziariamente questa iniziativa,
avendone riconosciuto il rilievo, l’importanza, nel quadro delle celebrazioni dei settecento anni della «Sapienza»; e, dunque, avendo riconosciuto il carattere tutt’altro che estrinseco di questa grossa iniziativa… Grossa iniziativa, non effimera, che si prolunga nel tempo; e che, in qualche
modo, è incominciata ai primi del 2004 con il convegno tenuto a Villa
Mirafiori su Antonio Labriola e la sua Università, i cui “atti” sono raccolti
in questo più ampio catalogo di cui avremo modo di parlare ampiamente, intitolato appunto Antonio Labriola e la sua Università.
Un convegno che, a sua volta, era in prosecuzione e in qualche modo
faceva parte del convegno, che nel Parlamento della Repubblica era stato
tenuto per le onoranze di Labriola; e questa continuità, che è una continuità temporale, ma anche tematica, si palesa in questo incontro di oggi,
nel convegno–incontro, diciamo, degli studiosi che sono qui presenti; si
Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia
3
prolungherà nei mesi di marzo e di aprile con una serie di seminari di
studio, di seminari scientifici, che presso la Facoltà di Filosofia, sotto la
regia del collega Siciliani, si terranno su temi labrioliani e su problemi
pedagogico–filosofici, filosofico–pedagogici, in connessione con l’indagine storiografica sull’attività e l’insegnamento di Antonio Labriola.
Dunque, una cosa estremamente complessa, duratura, ma soprattutto
duratura, perché si concreta grazie all’attività di Siciliani su cui in conclusione dovrò dire ancora qualche cosa. Perché, come è già stato ricordato dal Direttore dell’Archivio di Stato di Roma, è in realtà il propulsore e l’anima di questa iniziativa, di questa iniziativa articolatissima e
prolungata nel tempo.
Dunque, questa iniziativa, ha forse il suo cuore in ciò che rimane, in
scripta che manent, e che sono stati recuperati, e che vengono illustrati
nella mostra, qui, e poi a Villa Mirafiori, e poi all’Archivio Centrale dello
Stato. Scritti, che sono pubblicati nel catalogo.
Questo è l’aspetto duraturo e il fondamento di ulteriore ricerca storico–filosofica. Una grossa iniziativa, quindi, in cui il prolungamento nel
tempo è — diciamo — documento della grandezza delle forze coinvolte
e dell’attività esplicata.
Ma quello che a me preme di sottolineare in queste poche parole di
introduzione, che ho l’onore di dire, è appunto il carattere non estrinseco
di questo contributo specifico, che la Facoltà di Filosofia arreca alle celebrazioni per i settecento anni della «Sapienza» [alcune parole non del
tutto chiare].
Congiunzione astrale — si potrebbe dire — la vicinanza tra gli astri
del centenario della «Sapienza» e poi il centenario della morte di Labriola. Certo, un elemento di casualità, questo, ma di una casualità sapientemente utilizzata, in funzione del legame [alcune parole non del tutto
chiare].
Il legame non è estrinseco, né rispetto all’Università «La Sapienza»,
né rispetto alla Facoltà di Filosofia. Rispetto all’Università «La Sapienza», il titolo del catalogo, e già del convegno di cui il catalogo arreca gli
“atti” Antonio Labriola e la sua Università, è alquanto felice ed eloquente in
proposito: Antonio Labriola e la sua Università.
Ora, questo «sua», questo aggettivo possessivo, ha in qualche modo
una duplice valenza: l’università di Labriola, cioè «La Sapienza». «La
4
Marco Maria Olivettti
Sapienza», nella cui sede storica noi siamo oggi riuniti… Una serie di
circostanze, che ora si richiamano in una sapiente regia, intenta a combinare gli ingredienti storici e culturali; e quindi in qualche modo di grande valenza simbolica.
Quindi siamo qui alla «Sapienza», nella sede storica della «Sapienza»,
dove appunto Labriola, primo professore di filosofia nella «Sapienza»
del nuovo stato unitario ha operato. La sua Università è dunque
l’Università «La Sapienza».
Si pensi che tra i documenti di cui l’attività di Siciliani, del collega Siciliani e di tutte le persone che con lui hanno collaborato, sono stati riesumati, tirati fuori, ci sono persino degli appunti che non sono nel catalogo, perché sono stati trovati recentissimamente (ma credo siano esposti nella mostra), in cui Labriola mostra la sua attenzione al Museo dei
gessi della [alcune parole non del tutto chiare] e dà disposizioni, indicazioni, su come debba essere concepito il Museo dei gessi, che attualmente è [alcune parole non del tutto chiare] nel piano seminterrato, di quella
che una volta era la Facoltà di Lettere e filosofia.
Ecco, quindi, la sua Università, in questo senso, è effettivamente
un’espressione che condensa l’azione e l’entusiasmo con cui Labriola ha
messo la sua Università e la sua mente al servizio della causa della «Sapienza». Ma questa sua Università, l’espressione la sua Università, ha anche un’altra più ampia valenza, che ancora una volta instaura un circolo
virtuoso: la sua università è anche l’università ideale che Labriola cercava di rendere massimamente reale.
La sua Università è naturalmente l’idea di Università di Labriola.
Un’idea di Università, che i documenti pubblicati, le relazioni e gli scritti
pubblicati in questo grosso «catalogo di cataloghi», come lo chiama Siciliani, documenta.
Un’idea di Università [alcune parole non del tutto chiare]. Noi siamo
sempre pronti ad importare giustamente… a riconoscere l’importanza
della cultura non soltanto italiana; molto ci si richiama all’Università
humboldtiana; ma sicuramente, qui da noi, abbiamo un’idea di università, che è l’Università da Labriola difesa appassionatamente in interventi
a convegni, in discorsi [parola non chiara], in dibattiti molto accaniti.
Dal discorso celebrato e celeberrimo L’Università e la libertà della scienza, a tutta una serie di scritti, che sono raccolti nel volume di Nicola Sici-
Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia
5
liani, Filosofia e università, che molto opportunamente torna ad essere
pubblicato in questa circostanza nell’edizione Utet–Libreria (dopo aver
segnato un momento, alcuni anni fa, tre decenni fa circa, un momento
assolutamente importante dell’attività della ricerca labrioliana)… Torna
ad essere pubblicato e si congiunge con il catalogo in sinergia culturale.
C’è tutta una concezione dell’università nella sua autonomia della libertà scientifica, da un lato, ma nei suoi strettissimi nessi con la società,
con le esigenze della società: sicché non c’è un rapporto inversamente
proporzionale, ma un rapporto di proporzionalità diretta… Appare in
questi scritti labrioliani, in questa concezione dell’università labrioliana,
un rapporto di proporzionalità diretta fra autonomia e libertà della ricerca scientifica e sensibilità, ricezione delle istanze della società e [parola non chiara] per esigenza della società.
E qui viene, appunto, in questione l’altro aspetto che mi proponevo
non di lumeggiare, ma quanto meno di ricordare brevissimamente: e,
cioè, il rapporto non estrinseco che c’è tra questo contributo che la Facoltà di Filosofia offre alla celebrazione dei settecento anni della «Sapienza», l’Università di Labriola, Labriola e la sua Università… Un rapporto
che c’è… non solo l’Università, intesa come Universitas Studiorum e magari come Università degli Studi di Roma «La Sapienza»; ma anche un
rapporto non estrinseco con la Facoltà di Filosofia, che ho l’onore di rappresentare.
Una parte cospicua dei documenti pubblicati nel catalogo e gli scritti
che vengono pubblicati o ripubblicati in Filosofia e università riguardano
precisamente la laurea di filosofia. E riguardano la laurea in filosofia, la
laurea universitaria in filosofia; e riguardano il rapporto che intercorre e
che deve intercorrere tra la laurea in filosofia e l’enciclopedia delle
scienze dell’Univarsitas Studiorum, l’enciclopedia, il sistema, forse oggi
diremmo la rete dei saperi di una Universitas Studiorum. E ciò [alcune parole non chiare]. Il rapporto tra la filosofia e le scienze che vengono coltivate.
Questo viene fatto presente nell’introduzione che Garin ha anteposto
al volume di Nicola Siciliani su Filosofia e università, che esamina appunto il rapporto su filosofia e università negli scritti labrioliani e tutto il dibattito che si è sviluppato dal 1882 ai primi anni del secolo, in questo
ventennio, fino al 1902. Ecco, Garin insiste in modo particolare sulla ri-
6
Marco Maria Olivettti
levanza dell’idea, che Labriola ha per la laurea in filosofia; ma anche, per
converso, [sulla rilevanza dell’idea] che la laurea in filosofia, così come
la concepiva Labriola, ha per l’università.
C’è una lettera che viene documentata nei pannelli della mostra, la
lettera del 12 luglio 1887 al direttore della rivista «Rassegna critica» (vi
risparmio la lettera, perché qualcuno potrà leggerla o la ha già letta nei
pannelli, qui all’ingresso della mostra), in cui appunto Labriola parla del
significato che ha la laurea in filosofia... E, allora, perché ho voluto soffermarmi su questo?
Perché appunto in quanto Preside della prima (questo posso dirlo
senza iattanza, in senso cronologico) della prima Facoltà di Filosofia in
Italia: beh, è chiaro che questa grande iniziativa culturale (la mostra, i
convegni e tutta l’attività che ancora proseguirà nei prossimi mesi) in
qualche modo documenta ancora come l’esistenza, l’istituzione di questa
Facoltà di Filosofia alla «Sapienza» — e questo ci tengo a dirlo — non sia
il frutto di un provvedimento, di un’iniziativa meramente amministrativa che, per ciò che con orribile termine ma ormai invalso nel jargon universitario, si suole chiamare il «decongestionamento» (decongestionamento: da una università se ne fanno tante, da una facoltà si fanno più
facoltà)…
Di nuovo, questa può essere la coincidenza astrale — e quasi quasi alla fine di questo discorso comincio a credere alle coincidenze astrali —.
Ma tutto questo è frutto soprattutto di un progetto, di un progetto culturale.
Di un progetto culturale che, appunto, è in qualche modo rappresentato dalle espressioni che Labriola utilizza per la laurea in filosofia, intesa nell’idea che debba esservi una laurea in filosofia…
Non tutti sono necessariamente interessati a questi aspetti… Però direi che il progetto culturale è stato, con una certa dose di profezia, iniziato da Labriola medesimo, per quel che riguarda l’afferenza della Facoltà
di Filosofia a uno degli Atenei federati, in cui si articola «La Sapienza».
Labriola parla di positivismo — non è questo il caso —: ma lo è il
modo in cui, in quel momento, Labriola utilizzava questo termine… Un
rapporto, dunque, non estrinseco: e la Facoltà di Filosofia e il contributo
che essa arreca al centenario della «Sapienza».
Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia
7
Per dimostrare quanto poco sia estrinseco questo contributo, quanto
esso sia un progetto culturale, che in qualche modo infutura la memoria,
infutura il passato, sarei quasi tentato di riprendere pensieri e stilemi
heideggeriani, per questo progetto che infutura il passato, ecco vorrei
semplicemente ricordare due aspetti: il primo è la stretta connessione tra
studi filosofici e studi pedagogici. Una filosofia che non può non avere il
suo prolungamento nella dimensione pedagogica e, per altro verso, una
pedagogia che non può esimersi, quali che siano gli aspetti sperimentali
— e nella nostra Facoltà questi sono massimamente valorizzati — tuttavia non può esimersi da un quadro di riferimento teorico–filosofico.
La Facoltà di Filosofia offre all’Ateneo «La Sapienza» l’intero servizio pedagogico; cioè la dimensione pedagogica è fornita dalla Facoltà di Filosofia. E
questo è, sicuramente, nella linea non soltanto delle idee, ma anche della pratica di Labriola; il quale, per esempio, fu il fondatore di quella che è l’attuale
Biblioteca di filosofia: e questo è l’aspetto che vorrei sottolineare.
Questa Biblioteca di filosofia, che è nata inizialmente per opera di Labriola, come biblioteca pedagogica, essenzialmente… Parecchi materiali,
recentissimamente ritrovati grazie all’attività di Siciliani e della sua équipe
è estremamente eloquente, fino proprio agli ordini e ai libri di questa biblioteca, che era cara a Labriola come le pupille dei propri occhi.
La Biblioteca di filosofia è in sostanza l’istituzione, lo “spirito oggettivo”, in cui si concreta la sede di ricerca scientifica della Facoltà. Una biblioteca è il momento didattico.
Dai tempi di Labriola, è cresciuta e si è articolata. Oggi conta più di
150.000 volumi, abbonamenti a riviste; e credo sia la biblioteca specializzata in filosofia più grande d’Europa. E, appunto, all’origine di tutto
questo, c’è Labriola.
Dunque non c’è nulla di estrinseco e di vacuamente celebrativo: certamente “celebrativo”, ma non vacuamente celebrativo, in questa iniziativa; e la Facoltà di Filosofia ambisce a incrementare questa posizione,
per altro coordinandosi con l’attività di ricerca filosofica… anche se, crescendo, si sono moltiplicate le sedi universitarie. Per fortuna, i rapporti
anche di collaborazione scientifica e culturale con le altre università romane e con la filosofia praticata dalle altre università romane è essenziale… Il che fa sì che le iscrizioni alla Facoltà di Filosofia della «Sapienza»
8
Marco Maria Olivettti
e, in genere, agli studi filosofici a Roma siano in controtendenza nel panorama nazionale.
C’è un incremento di iscrizioni. Per quanto riguarda la filosofia, queste iscrizioni sono in aumento. Per la Pedagogia, addirittura, è stato necessario mettere il numero programmato, per evitare di essere travolti
dalla domanda pressante delle iscrizioni. Per quanto riguarda la Facoltà
di Filosofia, in cinque anni di esistenza, c’è stato un trend costante di
aumento delle immatricolazioni [alcune parole non comprensibili]; un
aumento del 10% annuo, che dimostra — effettivamente — che la Facoltà è vista come un punto di riferimento; e che, se l’espressione non fosse
un po’ incriminata, vorrei dire come un Centro di eccellenza…
Per tutto questo — dicevo —, dovrei concludere con alcune parole di
ringraziamento all’amico, non dirò più al collega, Nicola Siciliani de
Cumis.
Beh, Nicola Siciliani de Cumis, nel catalogo, nel grosso catalogo (con
tutte le felicitazioni che gli sono dovute), che appare tempestivamente e
che abbiamo trovato qui sul tavolo, in questo catalogo, Nicola Siciliani si
prolunga in una serie di ringraziamenti a persone e istituzioni, di quasi
una pagina di questo non piccolo catalogo… Ma questo dà la misura
dell’impegno enorme, che egli ha profuso nell’iniziativa; dà la misura
della quantità di ricerche e di sollecitazioni che ha dovuto fare alle varie
persone; e, sicuramente, se ha trovato rispondenza, questo va certamente a merito delle persone che egli ha sollecitato, ma anche alla sua iniziativa, alla amabilità con cui ha saputo intraprenderla e all’energia con cui
ha saputo portarla avanti.
Nicola Siciliani è l’incarnazione della figura di studioso, che è al contempo, non per una sovrapposizione, ma per una radicale coincidenza,
filosofo e pedagogista; e quindi, in questo senso, questo mi piace considerarlo in qualche modo… Insomma c’è una qualche continuazione della figura di Labriola nella figura di Nicola Siciliani; e quindi desidero
concludere queste mie parole, ringraziando il collega Siciliani per questo
contributo enorme destinato a [alcune parole non del tutto comprensibili] alla Facoltà di Filosofia, alla figura di Labriola, ai settecento anni della
«Sapienza».
Antonio Labriola e l’Università «La Sapienza»∗
Pietro Borzomati
La crisi di oggi, nei suoi vari aspetti e momenti, non trova una adeguata soluzione perché affonda le sue radici in una pseudo cultura resa
grave dallo scarso interesse per un’analisi storica attenta a cogliere anche
il passato remoto e prossimo persino di una umanità che non è stata ritenuta «degna» di essere considerata per lo stato di grande indigenza.
Il catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i
settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis (Roma, Aracne,
2005, pp. 690, euro 15,00) conferma questo rilievo attraverso l’adozione
di una metodologia che ha una sua originalità per la lettura «pedagogica» di quella che è stata una grande storia.
Siciliani ha avuto sempre il merito di essere stato un anticonformista
nel senso più metodologico del termine non considerando, ad esempio,
quei limiti inopportunamente invocati quando era necessario portare
avanti un progetto interdisciplinare al fine di ottenere risultati di notevole rilievo.
Si vedano a tal proposito tanti suoi studi, parzialmente raccolti nel citato volume su temi diversi ma in vario modo attinenti al tema trattato:
la storia dell’Ateneo romano, il ruolo di Labriola da anni oggetto di studi da Siciliani de Cumis, i «percorsi» della mostra, gli interventi su vari
aspetti e momenti della vita e del pensiero del grande studioso e persino
uno stimolante saggio «sulla prima pedagogia universitaria romana e
don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi» dello stesso Autore.
È utile a questo punto soffermarsi sui contenuti del volume; ha un significato la proposta labriolana a proposito dell’insegnamento del tedesco nei licei dato a semplici maestri «in quanto lingua perché la classe
degli studenti di università non rimanga sequestrata da tre quarti della
cultura moderna» (A.G. Ricci). Arricchente è poi lo studio di M.G. Bran∗
Pubblicato in «L’Osservatore Romano», 15 settembre 2005.
10
Pietro Borzomati
chetti sul palazzo della «Sapienza»: le vicende edilizie dal XVI al XX secolo con riferimenti anche al ruolo di Francesco Borromini nominato «architetto» e, sostenuto, in questa occasione, anche dal suo eterno rivale
Gian Lorenzo Bernini.
Ovviamente non manca un saggio di M. Dormino su Labriola nelle
«Grandi Scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia». Sono resi noti alcuni
documenti come, ad esempio, stralci di importanti verbali dei Consigli
di Facoltà persino sulle motivazioni dei trasferimenti dei docenti.
Questa attenzione a fonti rarissimamente consultate ha una grande
importanza per una storia della Università e della cultura, si fa luce sulle
motivazioni delle scelte delle commissioni concorsuali oppure ― come
scrive Labriola ― a proposito del «compare Ferri» che è «stato già rinominato ordinario all’Università di Pisa, lui martire del Ministro tiranno.
Così è l’uso in Italia, che i professori siano nominati alla vigilia delle elezioni generali perché possano entrare nel sorteggio sé ne riescono più di
dieci… È una vera commedia».
La suggestiva attenzione di Siciliani a Labriola e la cultura del suo
tempo arricchisce la storia, la filosofia e la pedagogia, allorquando raccomanda, ad esempio, di «fare i conti con le urgenze della realtà e con il
portato della storia, con il dominio delle cose e le loro oggettive pesantezze e interne necessità. E con la vita e le sue estemporaneità ed imprevedibilità, le sue passioni e contraddizioni».
Fu discepola del Labriola la Montessori per «i suoi interessi per una
pedagogia non dogmatica aperta alla storia, alla società, alla scienza tendenzialmente diretta allo sviluppo civile e all’innovazione culturale».
Molti erano convinti ― come rileva Laura Bellagamba ― che non sono i
singoli uomini a determinare l’intero processo storico, bisogna innanzitutto partire dal factum.
Labriola in questo senso elabora un suo particolare concetto della storia che non è la storia delle classi dirigenti, dei grandi personaggi delle
guerre, delle paci e delle dinastie che hanno impresso il loro segno ai
tempi, com’era stato insegnato fino a quel momento, ma la storia della
fatica di tutti, del lavoro, delle cause e degli effetti considerati nel concreto svolgimento delle civiltà, alla quale tutti gli uomini portano, sia
pure anonimamente il loro contributo. Storia di costumi, storia che si
Antonio Labriola e l’Università “La Sapienza”
11
evolve, dove i grandi personaggi riacquistano le loro proporzioni umane
i loro limiti».
Queste considerazioni da un cinquantennio vengono riproposte da
insigni storici, soprattutto francesi, come se fossero una novità «metodologica» e quel che è di più grave senza fare riferimento alle teorie labriolane; spetta quindi al volume che presentiamo il merito di indurre a riflettere sul concetto di storia e di verificare sugli esiti che si ebbero nel
dibattito storiografico dopo così stimolanti suggestioni.
L’iconografia pubblicata nel volume è molto ricca e proposta spesso a
conclusione dei vari capitoli come appendice documentaria; sono state
pubblicate, ad esempio, le copertine di molte monografie di studiosi diversi, esemplari di atti ufficiali delle Università e esemplari di manifesti
e volantini che erano stati esposti alla mostra. È ovvio che un’attenzione
a questi documenti può offrire se non altro interessanti ipotesi di ricerca
e di studio.
La novità di questo volume è, a mio giudizio, costituita da un ponderoso lavoro di Siciliani «Sulla prima pedagogia universitaria romana e
don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi».
Due scritti, uno di Labriola e l’altro di don Guanella per molti aspetti
identici nei contenuti e nelle prospettive sociali, opportunamente sono
stati pubblicati come introduzione al saggio, con il fine ovviamente di
presentare il programma dei due protagonisti e sottolineare la felice
coincidenza del loro «servizio» nel mondo. L’Autore premette di considerare l’opera guanelliana una «pedagogia di sicuro impatto innovativo,
soggettivamente inseparabile dalla fede e nondimeno oggettivamente
valida per sé. Una pedagogia della subitaneità».
Efficace tentativo dell’Autore per un «confronto a distanza» con Guanella «uomo di fede» vissuto nello stesso periodo, Labriola «filosofo
dell’immanenza e insegnante laico» e «tormentato dal premoderno».
Don Guanella nel 1866 con «pietoso affetto» assisteva gli operai poveri,
non mancando di dedicarsi persino ai lavori più umili e Labriola pensava di occuparsi del cristianesimo primitivo, non mancando di valutare
«la profonda differenza che passa tra un filosofo ed un incredulo».
Vi sono ovviamente delle «analogie» nella differenza tra i due; Siciliani a tal proposito mette innanzitutto a confronto lo scritto guanelliano
per i maestri «Nella scuola» (1883) e quello di Labriola sulle idee espres-
12
Pietro Borzomati
se nelle conferenze magistrali (1878 e sgg.) pubblicato in «Scritti pedagogici».
Nicola Siciliani de Cumis, ideatore e regista di questo progetto, ha infine il merito, quello cioè di aver saputo stabilire un confronto tra Guanella e Labriola che ha una grande importanza in questo nostro tempo
volto alla ricerca di «radici» ed ideali comuni per l’avvento della pace
indispensabile perché regni la giustizia.
Gli innamorati di Sofia
Giovanni Cacioppo
La lettera di Labriola al Direttore di «La Tribuna» presenta due motivi di interesse. Il primo è la scelta della sede giornalistica per la presentazione della sua proposta: seppur si rivolga esplicitamente solo ai
colleghi, il parlarne su una testata politica comporta immediatamente
uno scenario di opinione pubblica del tipo di quello che per prima
l’Encyclopédie aveva ipotizzato e realizzato. Il secondo è naturalmente nei
contenuti, nella concezione di filosofia che la ispira e che rifiuta l’obbligo
di legame con storia e filologia a favore di legami facoltativi con qualunque cultura speciale: «Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i
veri pensatori».
Questo opportuno sguardo retrospettivo comporta però affrontare
grossi nodi terminologici, con tutto quello che alle terminologie sta dietro.
In sintesi, se oggi cerchiamo con difficoltà e non sempre con successo di
distinguere filosofia, scienza–scienze, religione, pubblicità e quant’altro,
l’antica Sofia tutto ricomprendeva, i suoi innamorati avevano solo i limiti
che volevano porsi.
I pochi innamorati, dobbiamo subito dire. Ma non perché essa attraesse poco; furono i primi accreditati come sapienti a dirne difficile l’accesso, a farla esoterica, a porre se stessi come indispensabili mediatori
per itinerari iniziatici densi di misteri e riti. Si può probabilmente dare
interpretazione estensiva a quanto ipotizzato da Mencken per i sacerdoti: «Se il primo sacerdote fu prudente […] comprese immediatamente
che il suo monopolio non poteva durare […] ve ne fu tutta una corporazione, e cominciaron ad agire in cooperazione accordandosi sui loro segreti e sul loro equipaggiamento professionale»1. Il caso più evidente —
che corrisponde comunque ad un effettivo importante ruolo nella storia
di Sofia — è probabilmente quello dei Pitagorici. Ma il Vangelo di Marco
1
H.L. MENCKEN, Trattato sugli dei, Milano, Il Saggiatore, 1967, p. 34.
14
Giovanni Cacioppo
(IV, 11–12) ci attesta esplicitamente una forte componente esoterica e
l’uso di un doppio codice anche nella predicazione del Cristo: «A voi è
dato il segreto del regno di Dio, a quelli invece che sono fuori tutto si fa
in parabole, affinché, guardando guardino e non vedano e ascoltando
ascoltino e non sentano, perché non si convertano e non sia loro perdonato»; in forma attenuata poi Luca (VIII, 10): «A voi è dato conoscere i
misteri del regno di Dio, ma agli altri si parla in parabole affinché vedendo non vedano e udendo non comprendano».
È solo con gli illuministi ed in particolare con l’Encyclopédie che ci si
comincia a proporre sistematicamente di rendere pubblico il sapere, di
far riferimento all’opinione pubblica, di moltiplicare gli innamorati di
Sofia.
A questo riguardo Labriola può esser posto in posizione intermedia:
propone per la filosofia un ampliamento d’orizzonte ma sempre all’interno della dimensione accademica, informa però della proposta l’opinione pubblica.
Ma è l’Università l’ambiente di vita di Sofia? Parlando del periodo
che precede la prima guerra mondiale, scrive Garin: «Erano solo “professori” quasi tutti i molti produttori di filosofia del momento […] è grave errore sempre confondere il moto del pensiero con i corsi universitari»2.
Il trauma della guerra solleva problemi di impegno, di responsabilità.
Molti fanno finta di niente. Risponde esemplarmente Bertrand Russell:
«Bertrand Russell, che se ne era stato per tanto tempo sepolto e muto
sotto il peso della logica, della matematica e dell’epistemologia, avvampò improvvisamente, come una fiamma liberata, e il mondo rimase attonito nel trovare che l’esile professore dall’aspetto anemico era un individuo di grande coraggio e un amico appassionato dell’umanità»3.
L’umanità intera deve essere l’ambiente di Sofia. E il filosofo cerca di
parlare a tutti, con tutti i mezzi possibili, col massimo di chiarezza possibile. Per miriadi di individui in tutto il mondo, Russell ha posto la
prima connessione tra riflessione filosofica e problemi della vita reale.
2
3
E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, 2 voll., Bari, Laterza, 1966, p. 293.
W. DURANT, Gli eroi del pensiero, Milano, Sugar, 1961, p. 584.
Gli innamorati di Sofia
15
Quando le condizioni lo consentono, anche in Italia alcuni cercano di
muoversi nello stesso orizzonte. Così Guido Calogero tiene la sua rubrica su «Panorama», Nicola Abbagnano su «Gente» (raccogliendo poi in
volume), qualche altro… Ma ormai nella società della comunicazione di
massa il peso dei “professori” (in quanto categoria; le eccezioni ci sono
sempre) nella formazione dell’opinione pubblica tende a svanire. Lo avverte tra i primi Tullio De Mauro: «Per la crescita dell’educazione scientifica collettiva è stato ed è maggiore il contributo che viene dalle rubriche […] di parecchi settimanali meno apprezzati dal pubblico intellettuale»4.
La questione riguarda naturalmente tutti i livelli formativi. Riguardo
alla discussione aperta proprio in questo periodo sull’opportunità di un
insegnamento filosofico a livello elementare, osserva Fabrizio Desideri:
«Talvolta quello che passa nelle nostre Scuole superiori per filosofia non
è niente più di un’indigesta carrellata di sistemi e di distinzioni (di nomi
e formule da mandare a memoria). Il primo lavoro da fare allora è proprio questo: promuovere, laddove la filosofia la si insegna espressamente come disciplina, un “senso comune” della sua attualità, del suo intimo
legame con le domande che sorgono dalla vita di ognuno»5. Da parte
suo ricorda un ex liceale: «la mia prima professoressa di filosofia […]
veniva a scuola con variopinti tailleur pitonati, gonne cortissime, altissimi tacchi a spillo e trucco estremo e, così conciata, parlava di Socrate e
Platone. Il problema era che poi pretendeva che la si stesse a sentire»6.
Professori di filosofia sono protagonisti di recenti opere letterarie.
Nella strage di una commissione di maturità raccontata da Scurati,
l’unico risparmiato è il docente di filosofia, le cui riflessioni costituiscono
poi tutto il romanzo. Nell’opera di un Filosofo accademico ― Preside di
Facoltà ― appassionato di enigmistica (un neopitagorico?) è l’uomo che
scompare lasciando un’esile e ardua traccia che verrà seguita non dai
colleghi filosofi ― com’egli pensava e sperava ― ma solo da uno studente di statistica (sarebbe certo piaciuto a Labriola).
T. DE MAURO, La cultura, in AA.VV., Dal ‘68 a oggi. Come siamo e come eravamo.
Bari, Laterza, 1979, p. 219.
5 F. DESIDERI, La filosofia nella scuola primaria, in «La Vita Scolastica», marzo 2006.
6 M. LOPEZ, Alunno a vita, Milano, Sperling & Kupfer, 2001, p. 43.
4
16
Giovanni Cacioppo
In verità non si può dire che in questi anni non vi sia un interesse
pubblico per opere di carattere filosofico. Enorme è stato il successo internazionale per l’originale formula giallo–avventurosa applicata da Gaarder alla storia del pensiero (minor successo ha avuto la stessa formula
usata da Guedj per la storia delle matematica che naturalmente s’incrocia spesso con la filosofia ma probabilmente incontra maggiori avversioni e diffidenze). Enorme il successo (18 milioni di libri venduti, solo in
Italia) della serie di storie filosofiche dell’ingegnere (aveva ragione o no
Labriola?) Luciano De Crescenzo che a «Sorrisi e Canzoni» ― che ne ha
proposto una serie di 8 libri in abbonamento settimanale ― dichiarava:
«in genere, chi scrive di filosofia non si fa capire. Se uno è capace di farsi
capire è normale che venda. Vede, io non è che scrivo. Ricopio, o meglio
traduco in parole semplici».
Credo possa valere per i filosofi di professione ― e per molti altri
specialisti affini ― quanto recentemente confessava Ehrman per gli storici: «La capacità di registi e scrittori di condizionare i sentimenti e modificare le opinioni del pubblico non è di per sé né buona né cattiva; è
semplicemente una realtà dei nostri tempi […] ma a quelli di noi che dedicano la vita allo studio della storia, la cosa dà un po’ sui nervi»7.
Il nervosismo si può esprimere in un arco molto ampio di posizioni,
avendo ad un estremo il disprezzo dell’opinione pubblica e l’esaltazione
di ambiti necessariamente ristretti per la vera Sofia, all’altro estremo
compromessi e banalizzazioni per inseguire la pubblica attenzione. In
mezzo, si ripropongono con accresciuta ― per l’espansione della comunicazione di massa ― attualità ed incidenza le osservazioni di De Mauro, nella consapevolezza per altro che negli stessi canali possono venire
proposti messaggi illuminanti e messaggi oscuranti. Ben più complesso
di quello posto da Labriola ― che naturalmente resta un benemerito sollecitatore nella prospettiva storica ― è questo problema della presenza
di Sofia nel mondo attuale e futuro, un problema che richiede approfondita riflessione e discussione.
7
B.D. EHRMAN, La verità sul Codice da Vinci, Milano, Mondadori, 2005, p. 7.
Gli innamorati di Sofia
17
Riferimenti bibliografici
ABBAGNANO NICOLA, La saggezza della vita, Milano, Rusconi, 1985.
CERAMI VINCENZO, L’incontro, Milano, Mondadori, 2005.
DE MAURO TULLIO, La cultura, in AA.VV., Dal ‘68 a oggi. Come siamo e come eravamo. Bari, Laterza, 1979.
DESIDERI FABRIZIO, La filosofia nella scuola primaria, in «La Vita Scolastica», marzo
2006.
DURANT WILL, Gli eroi del pensiero, Milano, Sugar, 1961.
EHRMAN BART D., La verità sul Codice da Vinci, Milano, Mondadori, 2005.
GAARDER JOSTEIN, Il mondo di Sofia, Milano, Longanesi, 1994.
GARIN EUGENIO, Cronache di filosofia italiana, 2 voll., Bari, Laterza, 1966.
GUEDJ DENIS, Il teorema del pappagallo, Milano, Longanesi, 2000.
LOPEZ MASSIMO, Alunno a vita, Milano, Sperling & Kupfer, 2001.
MENCKEN HENRY L., Trattato sugli dei, Milano, il Saggiatore, 1967.
SCURATI ANTONIO, Il sopravvissuto, Milano, Rizzoli, 2005.
Antonio Labriola, la sua università e i settecento anni
della Sapienza∗
Mario Casalinuovo
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento
anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–
2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis (Roma, Aracne, 2005), è opera
che ha richiesto un lavoro attento, appassionato e paziente sulla straordinaria figura del filosofo, dello storico, del Maestro, del politico, fortemente
rappresentativa della cultura italiana fra Ottocento e Novecento, così delineata in tutta la sua importanza.
In apertura della prima delle “presentazioni” (p. 17), il prof. Marco
Maria Olivetti, preside della Facoltà di Filosofia ha scritto: «La Facoltà di
Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” è particolarmente lieta
di presentare questo volume–catalogo che riassume e mette a disposizione in modo durevole le attività congressuali ed espositive, di ricerca e
di documentazione, svolte per ricordare il centenario labrioliano. Le attività sono state sviluppate nel quadro delle iniziative che l’Ateneo ha
intrapreso in occasione delle celebrazioni per il settimo secolo di vita
della “Sapienza”, e rappresentano lo specifico contributo della Facoltà di
Filosofia a tali celebrazioni.
Di questo contributo siamo grati al collega ed amico professor Nicola
Siciliani de Cumis, che ha ideato e realizzato con passione e grande impegno personale tutto il ventaglio di attività che questo volume–catalogo
rende durevoli. Egli ha curato il volume medesimo, quale iniziativa conclusiva di tutte le altre iniziative che esso riassume e perpetua in forma
bibliografica».
La figura di Antonio Labriola è così ricordata a cento anni dalla sua
morte in occasione della mostra documentaria per i settecento anni della
«Università che fu sua. Un’Università, quella di Labriola, a trecentoses∗
Pubblicato in «il Quotidiano della Calabria» (edizione di Catanzaro e Crotone),
22 settembre 2005.
20
Mario Casalinuovo
santa gradi: e nel senso più ampio, soggettivo ed oggettivo del genitivo,
comprendente intanto l’Università come sede fisica–architettonica e tecnico–istituzionale delle funzioni scientifiche e didattiche proprie della
vecchia “Sapienza” nel trentennio 1874–1904; ma inclusiva anche dell’Università come luogo mentale–ideale e pratico–educativo perpetuo, in
cui si rispecchia la complessiva esperienza culturale e pedagogica labriolana nella società civile», come ha ritenuto e specificato nella Premessa il
curatore dell’opera.
L’Indice analitico consente di avere presenti tutti gli approfondimenti
che, nel tempo, sono stati fatti sulla figura e sull’opera di Antonio Labriola ed anche della sua esperienza di ispettore delle “scuole normali”,
le scuole destinate alla preparazione dei maestri elementari, per conto
del Ministero della pubblica istruzione, con il suo appassionato contributo per lo studio ed allo studio della “storia” nelle scuole elementari.
Tra gli altri approfondimenti sull’opera del Labriola, tutti di grande
importanza, ci sono quelli dell’Autore–curatore del volume–catalogo che
ritengo di particolare interesse, anche per i riferimenti politici. In Antonio
Labriola, a centosessanta anni dalla nascita (p. 165), il prof. Nicola Siciliani
de Cumis analizza, tra l’altro, le lezioni conclusive del Labriola all’Università di Roma, con oggetto anche tanti ricordi autobiografici. E, tra
questi, ci sono brani di due lettere: una lettera aperta a Ettore Socci ed
un’altra a Filippo Turati. Nella prima, il Labriola affermò: «Da alcuni
anni in qua, ch’io mi professo pubblicamente socialista, dopo d’aver maturata già innanzi, nella mente e nell’animo, cotesta dottrina e cotesta
persuasione, ho chiuso sempre gli occhi alla critica poco seria, poco garbata, poco ragionevole di quelli i quali credono di cogliere in fallo un
uomo se affermano che le idee alle quali è giunto non sian quelle dalle
qual è partito… senza aver letto e udito quello che ho scritto, insegnato e
detto da vent’anni in qua, da che punto, davvero io sia partito, e a che
punto io sia davvero arrivato». Nella seconda, a Filippo Turati, evidentemente rispondendo ad altre critiche, disse ancora: «Ma v’ingannate
quando credete che io non viva il contatto con gli operai. Ho menato a
Roma vita rumorosa dal 1888 al 1° maggio 91, avrò fatto duecento discorsi ed ho preso parte ad altrettante riunioni, ho ideato circoli, federazioni e cooperative…
Antonio Labriola, la sua università e i settecento anni della Sapienza
21
La mia casa è un va e vieni di operai di ogni parte d’Italia…». E prima,
in una sua opera, aveva già avuto occasione di precisare: «Com’è risaputo,
io entrai semplicemente e pubblicamente nelle vie del socialismo solo dieci anni fa» (cioè nel 1889) e «fin dal 1873 scrissi contro i principi direttivi
del sistema liberale e dal 1879 cominciai a muovermi su questa via di
nuova fede intellettuale. nella quale mi son fermato e confermato can gli
studi e con l’osservazione negli ultimi tre anni» (così anche a p. 23 della
sua conferenza, Del socialismo, Roma, 1890).
Pochi spunti tratti dal volume–catalogo, di tanto interesse in ogni sua
pagina, che mi porta ad esprimere all’Autore–curatore, il prof. Nicola Siciliani de Cumis, nostro carissimo ed insigne conterraneo, il più convinto e profondo apprezzamento.
La galassia Labriola∗
Sergio Cicatelli
I cataloghi delle mostre costituiscono un genere letterario del tutto
particolare. Hanno una funzione principalmente documentaria nei confronti della mostra (rispetto alla quale spesso fungono da guida), ma talvolta vivono di vita autonoma (una volta conclusa la mostra) al punto
da far sembrare che la mostra sia stata solo un pretesto per la pubblicazione del catalogo. La mostra che ha dato origine al catalogo di cui intendiamo occuparci — Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, pp. 690 — è rimasta aperta, distribuita su varie sedi
romane, dall’8 marzo al 25 aprile 2005 ed il catalogo è arrivato poco dopo per documentare e proseguire in qualche modo le attività che facevano capo a quella mostra. Se dunque di solito lo sguardo di un catalogo è
rivolto al passato, a raccogliere nella maniera più completa e ordinata
possibile il materiale relativo all’oggetto (o al soggetto)1 della mostra, in
questo caso si può dire che il passato sia semplicemente un punto di partenza per volgere lo sguardo al futuro, passando attraverso una accurata
ricognizione del presente.
Il ponderoso volume (quasi settecento pagine) raccoglie una documentazione estremamente varia, che spazia dagli atti dei convegni celebrati in occasione del centenario della morte di Labriola ai materiali che
costituivano la mostra vera e propria, a lettere e verbali d’epoca: una documentazione ricchissima che si presta a suggerire inevitabilmente selettivi percorsi di ricerca, di approfondimento e di studio. Bisogna dare atto a Nicola Siciliani de Cumis — più che curatore del Catalogo, animatore degli eventi legati al centenario labrioliano — che il volume costitui-
∗
Pubblicato su «Rassegna di Pedagogia», luglio–dicembre 2005, pp. 301–305.
Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, in Antonio
Labriola e la sua Università, cit. nel testo, pp. 27–39.
1
24
Sergio Cicatelli
sce una miniera di contributi capaci di far scoprire o riscoprire aspetti
talvolta meno noti o ancora non indagati della personalità di Labriola.
Ma soprattutto, bisogna dire che il Catalogo è labrioliano non tanto per
il riferimento all’oggetto specifico della mostra, quanto per lo spirito che
Siciliani de Cumis fa rivivere in queste pagine, percorse dall’attenzione
alla pedagogicità intrinseca al vivere e al produrre cultura dentro e fuori
dalle aule universitarie. Quello che qui si propone è solo uno dei possibili percorsi, ma, dato il suo procedere in maniera asistematica e casuale,
sarebbe meglio parlare di semplice vagabondaggio guidato da estemporanee curiosità.
Nel titolo della mostra vale la pena richiamare l’attenzione sul possessivo che descrive un rapporto di appartenenza — potremmo dire reciproca — fra Labriola e la “sua” università di Roma (che oggi ha recuperato il vecchio nome de «La Sapienza» per distinguerla dalle altre università sorte recentemente nella capitale, ma che all’epoca di Labriola
era semplicemente l’università di Roma, collocata nel palazzo della «Sapienza»).
Perché «La Sapienza» è l’università di Labriola? La risposta più immediata e banale è che Labriola vi ha insegnato per oltre trent’anni e
dunque ha stabilito con essa un rapporto istituzionale tutt’altro che irrilevante. Ma si tratta di una relazione ancora estrinseca. Se entriamo nel
merito di un rapporto che non fu solo professionale, dobbiamo riconoscere in Labriola un ruolo di fondatore (o di rifondatore) degli studi filosofici romani. Dopo il 1870, con la fine del potere temporale dei papi sul
territorio romano, l’università di Roma passava dalla giurisdizione pontificia a quella statale ed assumeva inevitabilmente un volto nuovo anche e soprattutto in quegli studi che potevano testimoniare in misura più
evidente il passaggio epocale. Labriola occupò dal 1874 al 1902 la cattedra di filosofia morale e di pedagogia, passando poi alla cattedra di filosofia teoretica che tenne fino alla morte. In quegli anni, insegnando per
oltre tre lustri anche filosofia della storia, divenne il principale artefice
della via italiana al marxismo (del 1895 è il primo dei Saggi sulla concezione materialistica della storia), ponendo al tempo stesso le basi di una
scuola pedagogica di cui il Catalogo vuole ricostruire la continuità fino
ai giorni nostri attraverso i nomi — almeno — di Credaro, Calogero,
La galassia Labriola
25
Lombardi, Visalberghi e Siciliani de Cumis2. È questa continuità prospettica che richiama l’attenzione sul futuro e rende il Catalogo stesso
un’opera aperta, in quanto documentazione non solo della mostra e delle iniziative promosse per il centenario labrioliano ma anche della vita e
della vitalità dello studio filosofico–pedagogico che fu di Labriola, con
un’attenzione che si potrebbe definire wirkungsgeschichtlich verso le conseguenze tuttora rilevabili delle basi poste dallo studioso.
L’apertura sul presente e sul futuro riserva indubbiamente qualche
sorpresa a chi si accosti alla produzione pedagogica di Labriola con la
precomprensione della sua collocazione teorica nella linea di pensiero
dell’hegelo–marxismo italiano.
L’odierno dibattito sulla natura della didattica si muove ad esempio
nella costante incertezza sulla collocazione di questa disciplina tra le
scienze o tra le arti, e Labriola costituisce un originale punto di sintesi
con il suo riferirsi alla figura di Socrate, da sempre riconosciuto modello
etico–teoretico ma talvolta involontario modello didattico per chiunque
si occupi di filosofia e di pedagogia (e Labriola insegnava entrambe le
discipline)3. Proprio l’abbinamento delle due discipline accademiche
può in qualche modo rendere ragione della natura della pedagogia labrioliana, considerata istituzionalmente come una sorta di filosofia applicata ma poi emancipatasi con un’autonoma consistenza anche sperimentale. Tuttavia, nella sintesi labrioliana non si può trascurare l’originale mediazione personale e soggettiva (condita di ingredienti herbartiani), che rendeva impossibile proporre metodi o ricette universalmente
validi, sollecitando invece un’attenzione alla critica formazione delle intelligenze e alla libera ricerca di scelte di vita. D’altra parte, la filosofia
della prassi, per quanto formula abusata e restrittiva, continua ad essere
una sintesi possibile delle posizioni teoriche di Labriola, pensatore asistematico non perché anarchico ma perché contrario alle ortodossie filo-
Cfr. M. DORMINO, Antonio Labriola nelle "Grandi scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia", in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 56–60.
3 Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio
Labriola e la sua Università, cit., pp. 174–184.
2
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Sergio Cicatelli
sofiche o ai sistemi tradizionali, come ebbe a dire, fra l’altro, nella celebre prolusione del 1896 su L’università e la libertà della scienza4.
Alcune intuizioni o acquisizioni metodologiche labrioliane non sfigurerebbero accanto ai teorici delle più recenti riforme scolastiche italiane,
anche di segno diverso, non perché Labriola sia un autore buono per tutte
le stagioni ma perché la sua possibile trasversalità testimonia la bontà e la
sensatezza delle sue affermazioni, precedenti alla stagione dei tecnicismi
didattici e della politicizzazione delle riforme scolastiche. A puro titolo di
esempio, è questo il caso del richiamo alla centralità dell’alunno e alla
molteplicità degli universi formativi in cui si sviluppa la sua vita, che oggi
ci viene proposto in termini di personalizzazione degli apprendimenti
dalla riforma Moratti con la ben nota metafora dell’ologramma lanciata da
Morin5, ma che nelle parole di Labriola acquista la valenza di una raccomandazione dettata più dal buon senso pedagogico che da scelte ideologiche: «In ogni questione pedagogica non bisogna mai dimenticare che il
punto d’incidenza dell’azione didattica è nell’individualità dell’educando;
e che questa per essere in istato di continuo sviluppo entra in sempre
nuovi e sempre variati contatti col mondo circostante, per via del conoscere e del sentire, il che porta una continua variazione negli addentellati che
il moto interiore dell’animo offre all’opera dell’istruire e dell’educare»6.
Con il che si apre la strada alla feconda collaborazione tra psicologia e pedagogia che Labriola all’epoca poteva solo intuire ma che oggi è alla base
della pedagogia sperimentale e di qualsiasi ricerca educativa7, al punto di
ritrovare tra gli allievi di Labriola la stessa Maria Montessori8.
Cfr. I. VOLPICELLI, Antonio Labriola: cento anni dopo (1904–2004), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 42–46.
5 Cfr. E. MORIN, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero,
trad. it. di S. Lazzari, Milano, Raffaello Cortina, 2000, p. 97.
6 A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET,
1981. p. 266.
7 Cfr. G. BONCORI, Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti
pedagogici di Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 208–216.
8 Cfr. G. RECCHIA, Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 217–223 e A. MATELLICANI, Dati e documenti
sul rapporto tra Maria Montessori e Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 224.
4
La galassia Labriola
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Forse avrebbe meritato uno spazio maggiore nel Catalogo l’esperienza di Labriola direttore del Museo d’Istruzione e di Educazione,
un’istituzione che con la sua sola esistenza testimonia la scientificità della riflessione pedagogica dell’epoca e, al di là delle intenzioni ideologiche più o meno esplicite, la volontà di documentare una prassi didattica
troppo spesso condannata all’oblio dalla vita scolastica quotidiana. La
modernità di quel Museo che possiamo associare al nome di Labriola è
provata dall’attuale Museo storico della didattica che, grazie all’opera
del compianto Mauro Laeng, si è da meno di un ventennio costituito
presso l’Università Roma Tre in evidente continuità con le precedenti
esperienze di Labriola e di Credaro9.
La terza parte del volume è propriamente dedicata a documentare la
mostra su Labriola e la sua università, riproducendone in un’ottantina di
pagine i pannelli. È qui che comincia a rivelarsi la natura aperta del catalogo, rispecchiante le movenze della stessa riflessione labrioliana. La
mostra si nutre ampiamente di interdisciplinarità, di documenti dotti e
testimonianze di vita quotidiana, di testi e contesti filosofico–pedagogici
e di spunti per eterodossi itinerari di ricerca, mescolando insieme documenti storici e tesi di laurea, verbali e sceneggiature cinematografiche.
Ne esce qualcosa di più di quella che si potrebbe definire un’immagine a
tutto tondo di Labriola, perché il quadro si allarga a scene di vita dell’epoca ed elaborazioni contemporanee che possono essere lette come il risultato più recente e la prova dell’attualità dello stimolo offerto dalla
proposta — pedagogica più che filosofica — di Antonio Labriola. La documentazione non teme di superare i confini della parola scritta e si avventura sui sentieri della grafica, in cui Labriola è talvolta solo un lontano tema unificante ma non per questo un pretesto occasionale.
In una logica del genere si collocano anche i contributi di vario genere
raccolti nelle pagine successive del Catalogo, che arricchiscono da varie
angolature questo ritratto del mondo labrioliano. Tra quelli su cui vale la
pena soffermarsi in questo erratico e sommario itinerario, uno spazio
deve essere dedicato ai tentativi di ricostruire il profilo di Labriola pro-
Cfr. C. COVATO, Il Museo storico della didattica dell’Università degli Studi Roma Tre.
Dalle origini all’attualità, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 290–297.
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Sergio Cicatelli
fessore: non il cattedratico o lo studioso ma l’uomo che cercava di relazionarsi con gli studenti, facendosi carico dei loro problemi anche attraverso l’adeguamento dell’organizzazione accademica10. Ne esce il ritratto di un docente che ha davvero a cuore le sorti della “sua” università e
dunque non disturba, anzi arricchisce il quadro, l’analisi minuziosa dei
diversi contributi che documentano il ruolo di Labriola commissario nei
concorsi universitari11: verbali che sono peraltro una testimonianza interessantissima del clima accademico dell’epoca, della natura dell’istituzione universitaria e dello scrupolo con cui si procedeva alla valutazione
dei docenti (senza ridursi a semplice fonte per pettegolezzi accademici
d’annata).
Dopo aver appena sfogliato le pagine di questo Catalogo, con intenti
di lettura più che di studio, si vorrebbe tornare a ispezionare il volume
con un atteggiamento più sistematico, utilizzandone le sollecitazioni per
avviare un esame più completo del Labriola pedagogista e professore,
del politico e dell’uomo, caratterizzato da una varietà di interessi ed attività non solo successivi nel tempo ma anche coesistenti in una stessa
fase biografica. Ci si accorge allora che il Catalogo è tutt’altro che disordinato, episodico o destinato a un pubblico di specialisti. Può essere utilmente adoperato per una originale ma autentica e corposa introduzione al mondo labrioliano, soprattutto perché un approccio del genere suscita inevitabilmente motivazioni più genuine e vivaci, dettate dall’attiva
ricostruzione di un percorso organico in luogo della passiva lettura di
una monografia precostituita. E questo è ancora una volta un modo labrioliano per accostarsi a Labriola.
Cfr. G. DI DIECO, «Lui professore dell’Università, proprio nell’Università», in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 454–457.
11 Cfr. A. BROCCOLI, Antonio Labriola nei concorsi universitari, in Antonio Labriola e la
sua Università, cit., pp. 458–462, ed i numerosi verbali successivi.
10
La Montessori alla «Sapienza»∗
Giacomo Cives
La prima impressione che suscita questa ricerca di Anna Matellicani
sul periodo 1890–1919 di Maria Montessori, cioè sulla sua giovinezza ma
anche sulla sua maturità e affermazione, in Italia e soprattutto nel mondo, è di straordinaria ammirazione per la pazienza e la minuziosissima
applicazione con cui ha raccolto i documenti sulla sua vita, sulle sue battaglie (non lievi) nell’università, nel mondo accademico, in quello culturale e sociale per giungere alla sua affermazione, sempre del resto così
contrastata nel nostro paese. Incideva qui, come dirà poi don Sturzo nel
dopoguerra, il peso del paternalismo, dell’autoritarismo della tradizione
italiana. E lui aveva potuto confrontarla dal vivo col filone di libertà e
democrazia dominante nel mondo anglosassone, ove aveva vissuto da
esule durante il fascismo.
Matellicani ricostruisce dunque il periodo degli studi universitari, dal
noviziato accademico all’insegnamento come libero docente di antropologia e nella Scuola Ortofrenica, nella cosiddetta “scuola pedagogica”
per il perfezionamento dei maestri fondata da Credaro (dal 1906 al
1910), nell’Istituto Superiore Femminile di Magistero della Montessori.
Qui fu docente di igiene e antropologia, dal 1900 al 1919, anche se negli
ultimi anni fu molto spesso assente per la crescente attività di messa a
punto, verifica e diffusione nel mondo del suo “Metodo” educativo rivoluzionario.
L’autrice lo fa in virtù di un’analisi estremamente accurata ― condotta sulla base del metodo filologico e di reperimento di carte inedite o
dimenticate della sua guida, vero maestro in questo campo, Nicola Siciliani de Cumis, che però non è maestro solo in tale settore ― di certificati, registri, lettere relative a Maria Montessori, reperite soprattutto
∗
Si tratta della Postfazione al volume di A. MATELLICANI, La “Sapienza” di Maria
Montessori. Dagli studi universitari alla docenza (1890–1919). Presentazioni di N. Siciliani de Cumis e F. Pesci. Postfazione di G. Cives, Roma, Aracne, in corso di stampa.
30
Giacomo Cives
nell’Archivio Studenti dell’Università romana «La Sapienza» e nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Materiale che è qui abbondantemente riprodotto e inserito nella ricostruzione della vita della “Dottoressa”.
Le notizie mettiamo sugli esami universitari sostenuti, sugli insegnamenti del corso di laurea in filosofia per i quali la Montessori si è iscritta,
sono accompagnati da tanti altri di inquadramento, come in questo caso
le schede biografiche e bibliografiche dei vari docenti. Ma si consideri
poi che la partecipazione alle iniziative e all’insegnamento della Montessori alla «Sapienza» si accompagna alla sua attività qui ben ricordata di
femminista, di partecipante con comunicazioni e relazioni ai congressi di
pedagogia, di oratrice su temi sociali e educativi, di costruttrice dal 1907
del Metodo della “Casa dei bambini”, poi sviluppato e esteso per le
scuole elementari, di autrice di opere importanti come Il Metodo della Pedagogia Scientifica nel 1909, Antropologia pedagogica nel 1910, L’autoeducazione nelle scuole elementari nel 1916, di promotrice di corsi nazionali dal
1909 e internazionali dal 1913 per la formazione di insegnanti montessoriani.
Ebbene, se si tien conto di tutto questo, si comprende come il periodo
esaminato 1890–1919 in rapporto particolare all’Università di Roma, naturalmente poi si allarga alla ricostruzione complessiva di uno dei periodi più importanti (in realtà il più decisivo) per le vicende della Montessori. Così questo lavoro costituisce in gran parte una biografia complessiva particolarmente documentata di un periodo della vita e dell’opera della pedagogista, anche se veduta specie attraverso l’angolazione
della presenza universitaria. Il lavoro non si limita a una più o meno arida raccolta di lettere e atti amministrativi, ma integra il discorso con un
felice riferimento ai testi della Montessori, e pertanto riporta, con interessante iniziativa, il testo integrale della sua tesi di laurea in medicina e
chirurgia, dal titolo Contributo critico allo studio delle allucinazioni a contenuto antagonistico. Raccoglie poi una significativa antologia per estratti di
suoi articoli e saggi, spesso rari, per il periodo 1896–1907, di contenuto
sociale, medico, antropologico e educativo. In un distinto capitolo l’autrice si occupa, più o meno per lo stesso periodo, delle conferenze e relazioni della Montessori sulla questione femminile. Il volume è arricchito
poi da una ricca e esauriente bibliografia.
La Montessori alla Sapienza
31
Nel complesso si può dire che in questa storia dello sviluppo montessoriano fondata sull’analisi particolareggiata di tanti documenti (molti
dei quali riportati anche nella vasta appendice) emerge l’evoluzione dei
suoi interessi, dalla medicina alla psichiatria, dall’antropologia all’antropologia pedagogica, dalla pedagogia e didattica speciale dei bambini
handicappati a quelle della teoria e metodologia educative di tutti, con
una speciale attenzione per l’osservazione e la comprensione dell’infanzia, questo arcipelago così misterioso e insieme fondamentale per il destino dell’umanità, cui reca un apporto davvero condizionante e decisivo (si ricordi il tema del “bambino padre dell’uomo”).
Di fronte al così grande sforzo di ricerca, di ammirevole impegno e
particolare attenzione di Anna Matellicani risultano una lettura nuova,
qualche nuova radicale scoperta per la storia della Montessori? Forse no,
si potrebbe rispondere, non emergono fatti fin qui sconosciuti eclatanti,
che rivoluzionino la ricostruzione della vita della “Dottoressa”. Com’è
noto vi sono stati ormai contributi importanti sull’argomento, che hanno
offerto una visione piuttosto ricca e nutrita delle sue complesse vicende,
ora in una lettura complessiva, ora in un’analisi particolare, in chiave
tematica o cronologica. I loro autori sono stati tra gli altri (e li vogliamo
mettere in ordine alfabetico) V.P. Babini, G. Honneger Fresco, R. Kramer, L. Lama, A.M. Maccheroni, F. Pesci, M. Schwegman, E.M. Standing,
P. Trabalzini. Ma tutto questo non toglie nulla all’importanza della ricerca di Anna Matellicani, che con la ricchezza dei suoi documenti ha ora
permesso di capire meglio e in modo più circostanziato tante notazioni
che sono state avvertite prima in modo sommario e intuitivo o con approssimazione.
Un apporto specifico è poi distintivo del suo lavoro: ed è il tema di
fondo de La “Sapienza” di Maria Montessori. Pur in un quadro ampio e
generale, l’autrice mostra come sia stato decisivo l’incontro della pedagogista, nella sua formazione, nella sua maturazione, nella sua appartenenza alla rilevante e troppo dimenticata “scuola antropologica romana”
dei Sergi e dei Bonfigli, dei De Sanctis e dei Montesano, nei vari anni di
docenza universitaria con l’Università di Roma «La Sapienza». La stessa
Università in cui in questi ultimi anni, con l’impegno di F. Pesci, P. Trabalzini e anche di chi scrive, legati all’Opera Nazionale Montessori e in
particolare membri del suo Istituto Superiore, è venuto maturando un
32
Giacomo Cives
indirizzo di studi di approfondimento del pensiero della Montessori.
Mentre dall’insegnamento di N. Siciliani de Cumis, inesauribile studioso
del filosofo e pedagogista della «Sapienza» Antonio Labriola, le cui ultime lezioni la Montessori fece appena in tempo a seguire prima della
sua morte, sono derivate varie tesi montessoriane che si sono degnamente guadagnate il Premio Jervolino, assegnate dall’ONM alle migliori tesi
di laurea sul montessorismo. E tra queste va segnalata la tesi della stessa
Matellicani, dalla cui elaborazione è maturato questo volume.
Ebbene, di fronte al suo lungo e articolato impegno nella «Sapienza»
di Roma, la Montessori si sentì chiamata a esprimere una scelta difficile
e decisiva: continuare la via accademica così bene avviata per divenire
un qualificato docente universitario ordinario, o dedicarsi a pieno tempo
a diffondere nella teoria e nella pratica il suo pensiero educativo nel
mondo, formando educatori di vari paesi che fossero in grado di realizzare una elevata formazione nella libertà e valorizzassero al massimo le
straordinarie potenzialità costruttive del bambino, del ragazzo, dell’adolescente, senza distinzione di ceto, di tradizione culturale o religiosa?
La Montessori scelse la seconda via. Così a tutt’oggi la sua pedagogia,
che è molto di più del semplice “Metodo”, continua a costituire il supporto per una educazione davvero antiautoritaria, emancipatrice e “dilatatrice”, e il suo nome giustamente rimane come quello più noto e affermato della pedagogia italiana del Novecento in campo internazionale.
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro.
«Rivista Pedagogica» e dintorni: Alfredo Poggi
Marco Antonio D’Arcangeli
1. Premessa
Nelle pagine che seguono, dopo aver tracciato un brevissimo profilo
di Alfredo Poggi (1881–1974), se ne approfondirà, illustrandone la consistenza e tentando di coglierne il significato complessivo, la collaborazione con la «Rivista Pedagogica», il periodico fondato nel 1907 e diretto,
per gran parte del corso delle sue pubblicazioni (1908–1939), da Luigi
Credaro, lo studioso e uomo politico di origine valtellinese che dal 1902–
1903, per trasferimento dall’Università di Pavia, ove insegnava dal 1889
Storia della filosofia, succedette ad Antonio Labriola sulla cattedra di
Pedagogia della «Sapienza» romana1.
La «Rivista», per il suo trentennale percorso, il prestigio dei collaboratori, la ricchezza e costante elevata qualità dei contenuti, s’impose
senz’altro come il foglio pedagogico e scolastico più significativo del
primo Novecento italiano: ideando e realizzando una complessa operazione politico–culturale, Credaro riuscì a far confluire nel periodico, e
così a dar forma e voce, a un vasto schieramento intellettuale, unito da
un orientamento realista “critico”, antimetafisico e antidogmatico, di a-
Nella sezione intitolata Alfredo Poggi nella «Rivista Pedagogica» vengono riprodotti, assemblandoli, e senza modificarli nella sostanza, tutti o quasi i brani che si
riferiscono, direttamente o indirettamente, al pedagogista ligure, già apparsi in
M.A. D’ARCANGELI, Luigi Credaro e la Rivista Pedagogica (1908–1939), Roma, Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Dipartimento di Ricerche Storico–Filosofiche e Pedagogiche – Tipolitografia Pioda, 2000 (cfr., ivi, l’Indice dei nomi: si è ritenuto opportuno, infatti, per non appesantire la lettura, di non richiamare per ogni
brano qui ripreso le pagine corrispondenti nel testo). A questo volume — del quale
è in allestimento la seconda edizione — si rimanda altresì per quanto si afferma
nell’immediato prosieguo sulla storia e i caratteri della «Rivista» di Credaro.
1
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Marco Antonio D’Arcangeli
pertura alle scienze empiriche nello studio del mondo dell’uomo, destinato a costituire, nei decenni a cavallo fra le due guerre, il fronte di “resistenza” antidealista della pedagogia italiana2.
Nell’ambito di un’esperienza sicuramente non trascurabile per la cultura — non soltanto pedagogica — italiana dei primi decenni del secolo
scorso, Alfredo Poggi si segnalò come “portavoce” di un peculiare socialismo, “kantiano” ed “etico–morale”, che fu poi, in realtà, l’unico socialismo che circolerà con una certa continuità sulle colonne della «Rivista» e
che vi avrà, per dir così, diritto di cittadinanza. Introducendo e illustrando la recensione dello stesso Credaro al volume di Poggi Socialismo
e cultura, pubblicata sulla «Rivista» nel 1925, si avrà modo di approfondire non solo il pensiero filosofico–politico e pedagogico di Poggi, la sua
ricezione da parte del Valtellinese, e in generale le relazioni fra i due
studiosi: ma, anche e soprattutto, di verificare quello che fu l’atteggiamento complessivo dell’intellettualità raccolta nel foglio di Credaro nei
confronti del socialismo (modus ponendi che il punto di vista del Valtellinese, non a caso Direttore della «Rivista», ben si presta ad esemplificare).
Si delinea, sullo sfondo (ché, certo, la questione non può essere che
accennata in questa sede), il quadro di una cultura altrettanto “borghese” di quella gentiliana, pure esplicitamente (ma — forse — solo “accademicamente”) combattuta, della quale i “nostri” paiono condividere
non pochi presupposti, primo fra tutti quello della conservazione dell’assetto sociale e politico preesistente (con la relativa ricerca di un dispositivo teorico in grado di legittimare i rapporti di forza dati, e determinati
esiti): e in definitiva, non può dirsi che Poggi riesca a porsi al di là o al di
sopra di questo quadro. Del resto, a ben vedere, siamo di fronte al medesimo “corto circuito” fra ragione (o teoresi) e ideologia che aveva determinato, nell’immediato primo dopoguerra, la sostanziale incomprensione della natura eversiva del fascismo e la conseguente illusione della
2 Con questa espressione si richiama (e lo si farà anche in seguito) il volume di F.
CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia. Il fronte antidealistico della pedagogia italiana
1900–1940, Milano, Mursia, 1990, fondamentale per la comprensione di questa stagione della riflessione educativa nostrana. Altrettanto centrale e significativa, al riguardo, è l’opera di G. CHIOSSO, L’educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra,
Brescia, La Scuola, 1983.
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
35
possibile sua futura “normalizzazione” da parte di tanta parte dell’intellettualità italiana, pure schierata su posizioni liberali (emblematico, in questo senso, fu il caso di Benedetto Croce).
D’altro canto pur se, con ogni evidenza, il socialismo di Poggi fu ben
diverso, e “altro”, da quello di Antonio Labriola, resta che era impossibile o quasi occuparsi di questa tematica, in Italia, fra ultimo ‘800 e primissimo ‘900, senza confrontarsi con le posizioni del Cassinate. E in effetti lo
studioso ligure tentò ancor giovanissimo di avvicinare l’autore dei Saggi
sulla concezione materialistica della storia, ed alcuni interpreti attribuiscono
alla lettura di questi ultimi, e ai “contatti” con lo stesso Labriola, una
funzione decisiva nello stimolare Poggi ad «affrontare il problema etico
nell’ambito del socialismo»3. Ma altrettanto rilevanti, in quell’itinerario
intellettuale, furono Kant, ed anche Herbart, il “primato” della Ragion
pratica e l’urgenza del problema morale, la centralità del soggetto e della
sua formazione e autoformazione, con l’assunzione di sempre maggiore
rilievo dell’esperienza religiosa e della categoria e della dimensione della “persona”: tutti motivi che legano a doppio filo Poggi al gruppo della
«Rivista», anche da un punto di vista “evolutivo” (o meglio, per certi
versi almeno, “involutivo”) cioè considerando quelli che furono, concretamente, gli sviluppi della “filosofia” e della “pedagogia” del periodico,
in specie dai primi anni ‘30 in poi (con Credaro rimasto praticamente solo a difendere la “scienza dell’educazione”, “assediato” da «slittamenti,
Cfr. F. CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., pp. 46 e 55, nota 72. I rapporti fra Labriola e Poggi reclamano nuovi approfondimenti: a quanto sostiene
Cambi circa i «contatti» fra i due, basandosi su M. TORRINI, Alfredo Poggi, in T. DETTI
– F. ANDREUCCI (a cura di), Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, IV volume, Roma, Editori Riuniti, 1978, va affiancato, per contrasto, l’episodio ricordato
da S. MICCOLIS in Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, in «Belfagor», a.
LXI, n. 361, 31 gennaio 2006, pp. 84–90. Fra «errori e imprecisioni» di vario genere,
Miccolis rileva, alle pp. 267–268, l’affermazione che Poggi fu «allievo di Labriola»,
richiamando, a volerla motivare, la circostanza che «il filosofo, nel rispondere (31
dicembre 1902) a una sua» [di Poggi] «lettera, lo confondeva con un semiomonimo
marchigiano, un decennio prima studente all’Università di Roma», mentre Alfredo
Poggi, precisa di seguito il recensore, studiò e si laureò in altre Università (cfr. S.
MICCOLIS, Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, cit., pp. 87–88). Sulla base
di questo episodio si dovrebbe parlare, più che altro, di un contatto mancato.
3
36
Marco Antonio D’Arcangeli
cedimenti, conversioni» all’ideologia fascista e/o a metafisiche e ontologie se non con quella congruenti, certo consolanti e “sterilizzanti”)4.
Alfredo Poggi, dunque, con la sua figura e con le sue idee, nel suo
porsi e confrontarsi con il coevo milieu culturale, con i principali orientamenti teoretici e ideologici a lui contemporanei, pare costituire un “testimone esemplare” e “privilegiato” (rappresentando, anche, una sorta
di trait d’union) per iniziare ad approfondire, da una fra le molte possibili angolazioni, insieme particolare e “totale”, comunque centralissima —
fra filosofia, politica, etica e educazione; fra Kant, Marx, Herbart ecc. —
il “rapporto” fra Antonio Labriola e Luigi Credaro (intendendo, con
questi nomi, oltre i “singoli”, il complesso del movimento, anzi dei movimenti, di pensiero, e di persone, dei quali ciascuno dei due fu interprete e protagonista).
Con la nota che segue, in altre parole, s’intende offrire un esempio di
possibile ripresa, integrazione e sviluppo di quel “discorso” sul Cassinate e il Valtellinese che lo scrivente ebbe modo di iniziare a svolgere in
Antonio Labriola e la sua Università, il catalogo della Mostra documentaria
allestita a Roma fra l’inverno e la primavera 2005 (A cento anni dalla morte
di Antonio Labriola), curato — al pari della stessa Mostra — da Nicola Siciliani de Cumis5. Lo scopo è, anche, quello di mostrare che il “passaggio” del 1902, su cui nella rammentata circostanza si è insistito, rappresentò un “avvenimento”, un “movimento” di superficie da ricondurre e
4 Credaro fu anche fra i pochi che nella «Rivista» evitò, sino all’ultimo o quasi, di
fare esplicita professione di “fede” fascista e/o di celebrare i fasti del regime. A testimonianza della sua indipendenza di giudizio — ed anche, lo si può quantomeno
supporre, dell’esistenza di uno stretto rapporto personale fra i due — va rammentato che il Valtellinese continuò a offrire a Poggi la possibilità di collaborare con il periodico da lui diretto anche dopo che il pedagogista ligure fu estromesso dall’insegnamento universitario per il suo antifascismo.
5 M.A. D’ARCANGELI, Discorrendo di Antonio Labriola e Luigi Credaro, in Antonio
Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”
(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, pp. 61–70 (per il contributo di chi scrive al volume si v. anche gli interventi in Antonio Labriola e la sua Università, a cura di A.
SANZO e G. SZPUNAR, ivi, pp. 143–144, 161–162; e la nota su Luigi Guanella e Luigi
Credaro inserita in N. SICILIANI DE CUMIS, Sulla prima pedagogia universitaria romana e
don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi, ivi, pp. 452–453).
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
37
interpretare nell’ottica delle “lunghe durate” sottostanti, determinanti
anche gli sviluppi futuri — e dunque che la ricerca del suo «reale significato, soggettivo» e soprattutto «“oggettivo”» (fra la quasi unanimemente
condivisa, dalla critica, attribuzione della “regìa” dell’operazione a Labriola, e l’assoluta mancanza di riscontri, se non meramente indiziari, di
tale asserzione — anche e soprattutto riguardo ai moventi), non è che un
aspetto o una tranche di una “questione critica” ben più estesa e complessa. Del pari, l’approfondimento «dei rapporti (accademici e professionali, e/o scientifici e culturali, e/o politico–ideologici e/o umani, personali) fra Labriola e Credaro», cui rimanda, di necessità, l’indagine
sull’episodio di cui sopra (anche se per raggiungere conclusioni probanti
quest’ultima ricerca richiede comunque l’acquisizione di elementi esterni ed estranei alle relazioni fra i due studiosi, le quali, a loro volta, costituiscono un problema storiografico autonomo, a se stante), può avere
senso e rivestire un qualche valore, oltrepassando realmente ogni forma
di aneddotica e di gossip pseudostoriografico, se e solo se assume prospettive e si colloca lungo coordinate di ampio respiro euristico6. Il che
6 Con ciò non s’intende certo sminuire l’importanza delle ricerche sui rapporti
personali fra i due studiosi che fissano, in ogni caso, dei punti di partenza ineludibili per ogni ulteriore riflessione: e su questo versante, peraltro, va segnalato il recente
rinvenimento di una serie di interessanti elementi di fatto. Se appare oramai assodato che Labriola e Credaro, prima del loro avvicendamento sulla cattedra romana di
Pedagogia, o non avevano avuto contatti di sorta o si conoscevano appena, così
sembra lecito affermare che al Consiglio della Facoltà di Filosofia e Lettere della
«Sapienza» del 27 maggio 1902, che sancì il “passaggio”, seguì un intensificarsi dei
rapporti personali fra i due studiosi che interessò anche le famiglie. L’uso del condizionale, in casi come questi, nei quali si dispone di scarsa e spesso contraddittoria
documentazione, è chiaramente d’obbligo. Per quanto concerne i rapporti Labriola–
Credaro prima dell’incontro romano, suscitano ad esempio più di un interrogativo i
volumi di Antonio Labriola conservati nel “Fondo Credaro” presso la Biblioteca Civica “Pio Rajna” di Sondrio (si tratta della biblioteca personale del Valtellinese, che
per sua volontà, dopo la sua scomparsa, fu donata alla Biblioteca della sua città natale). Questi volumi dovrebbero corrispondere a quelli che lo stesso Labriola annuncia di far recapitare a Credaro nella lettera a quest’ultimo del 24 novembre 1902, inedita, pubblicata per la prima volta dallo scrivente nel cit. saggio incluso in Antonio
Labriola e la sua Università. Rispetto alla lista labrioliana, in effetti, v’è una sola discordanza: un volume doppio — che quindi, vien da pensare, Credaro possedeva
già, ma del quale potrebbe anche essersi procurato una seconda copia, per una qual-
38
Marco Antonio D’Arcangeli
che ragione, dopo aver ricevuto il primo esemplare dallo stesso Cassinate. Il testo è
L’Università e la libertà della scienza (Roma, 1897): e la circostanza non è senza rilievo,
considerando la forte affinità che lega questo scritto all’ultima prolusione pavese di
Credaro, La libertà accademica, del novembre 1900, che echeggia in più punti le argomentazioni labrioliane del 1896 e che indubbiamente poté segnalare il giovane
professore lombardo al maturo docente della «Sapienza», discorso considerato da
molti interpreti, anche se senza il conforto di un qualche riscontro oggettivo, una
delle “cause” dell’appoggio di Labriola alla “candidatura” di Credaro alla sua sostituzione sulla cattedra di Pedagogia. Particolare ancor più curioso e “intrigante” è
che entrambi i frontespizi recano una dedica di Labriola: in una copia, v’è un secco
«dall’autore», senz’altra indicazione; nell’altra, si usa la formula ben più “confidenziale” «All’amico Credaro l’autore», che ritorna in altri casi di testi sicuramente donati
dal Cassinate a Credaro nell’occasione sopra ricordata (gli Essais sur la conception matérialiste de l’histoire, deuxième édition, Paris, V. Giard & E. Brière, 1902, recano:
«All’amico L. Credaro A. Labriola»; su Discorrendo di socialismo e di filosofia, seconda
edizione ritoccata ed ampliata, Roma, Ermanno Loescher & C., 1902, si legge invece
«All’amico Credaro A. Labriola»). Ma quella dedica è anche l’unica seguita da una
data, e questa, «Roma 22/11 ‘900», anticiperebbe addirittura di due anni il primo serio
contatto fra i due: solo che quel «22» è molto, forse “troppo” vicino al 24 novembre —
ma 1902 — giorno nel quale Labriola scrive a Credaro la lettera sopra ricordata, con
indicazione dei volumi che sta inviandogli in dono — e questo particolare potrebbe
far concludere che il Cassinate abbia commesso un errore nel datare la sua dedica,
scrivendo «1900» in luogo di 1902; d’altro canto, quel «22» è pure a ridosso di quel
15 novembre (stavolta, effettivamente, 1900) nel quale Credaro lesse la sua prolusione pavese sulla libertà accademica echeggiante quella romana del Cassinate… e resta sempre da spiegare la presenza di una dedica su entrambe le copie (se anche Labriola avesse voluto, nel novembre 1902, spedire 2 copie di L’Università e la libertà
della scienza a Credaro, anche a prescindere dal fatto che di tale decisione non v’è
traccia nella sua lettera, perché autografarle entrambe? E perché in maniera così diversa, con secchezza e quasi freddezza, in un caso, e con colleganza e vicinanza
nell’altro?).
Nella necessità di effettuare nuovi sondaggi e accertamenti e nella speranza di
rinvenire ulteriori elementi di fatto sarà bene tornare sul più consolidato terreno dei
rapporti Labriola–Credaro posteriori alla primavera del 1902. Al proposito, si v. ad
esempio la lettera inviata da Giacomo Tauro a Credaro il 29 luglio 1902, nella quale,
verso la conclusione, si legge: «La famiglia Labriola, che andai a visitare [l’altro]
giorno, mi incarica di salutarla. Il Professore sta meglio» (ACS, Fondo Credaro, busta n. 5, fasc. n. 5. Giacomo Tauro – Castellana Grotte, Bari, 1873–1951 — presiedeva
al tempo l’Associazione pedagogica nazionale fra gl’insegnanti delle scuole normali,
intrattenendo, per tale ragione, intensi rapporti con Credaro: il Valtellinese, infatti,
dopo la nascita della FNISM, mirava a trasformare il vecchio sodalizio professionale
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
39
significa, in definitiva — è bene ribadirlo — cercare di stabilire se questo
«incontro», nelle sue premesse, nel suo realizzarsi e nel suo svolgersi —
chiaramente in Credaro, vista la prematura scomparsa di Labriola, «rimase un semplice “avvicendamento”, oppure venne ad incidere sulla
qualità […] della costruzione di una continuità e/o identità teorico–pratica
dell’insegnamento universitario della pedagogia alla “Sapienza”»; ma per far
questo — si può aggiungere — occorre andare a rintracciare, a ricostruire, a confrontare tutta la pedagogia dei “nostri” protagonisti, ben oltre
facendogli assumere finalità scientifiche — progetto che realizzò nel 1907. Libero
docente di Pedagogia alla «Sapienza» dal 1903 alla metà degli anni ‘20, in seguito
Tauro insegnò nelle Università di Cagliari e di Bologna). Dopo la scomparsa di Labriola, diversi elementi comprovano che Credaro si mantenne fedele alla sua memoria e vicino ai familiari. Come Preside della Facoltà di Filosofia e Lettere, si adoperò
a sostegno della domanda di una pensione privilegiata avanzata della vedova, Rosalia Von Sprenger (v. MPI, DGIS, Divisione Prima, Fascicoli personale insegnante,
II versamento, I serie, 1900–1940, busta 77, fasc. Labriola, Antonio; per la domanda
della von Sprenger si v. anche il fasc. Labriola, Antonio, presso l’Archivio Storico
della «Sapienza» di Roma). Significativa fu altresì la sua presenza, fra il 1905 e il
1906, nel «Comitato Promotore» di un monumento al Cassinate, un «ricordo marmoreo» che avrebbe dovuto essere allocato «in quell’aula della Sapienza che un
tempo si affollava di studiosi attratti dalla Sua parola agitatrice di pensieri»: fra gli
altri membri del Comitato vanno rammentati Ettore Ciccotti, Andrea Costa, Benedetto Croce, Angelo Fortunato Formíggini e la consorte Emilia Santamaria, allieva
prima di Labriola, poi di Credaro, Andrea Torre e Adolfo Venturi (si v., in ACS, il
Fondo dello scultore Ettore Ferrari, busta n. 21. Debbo la conoscenza di queste carte
alla cortesia del prof. Nicola Siciliani de Cumis, che ringrazio). E si v. anche in ACS,
Fondo Credaro, busta n. 8, fasc. n. 5, la lettera di Luigi Bacci a Credaro del 13 novembre 1904, nella quale questi rammenta al Valtellinese che «Alberto Francesco
Labriola», «innanzi il partire per il Sud Affrica», lo aveva a lui raccomandato «per
l’incarico dell’insegnamento pratico dello spagnuolo». Non va, in ultimo, dimenticato che nelle diverse stesure del suo Philosophie in Italien, sintetico profilo della storia
della filosofia italiana contemporanea racchiuso nel Friedrich Ueberwegs Grundriss der
Geschichte der Philosophie, a partire dal 1902 (nona edizione), e sino al 1928 (dodicesima edizione), Credaro fece costantemente anche se sinteticamente menzione, a seguito della trattazione dedicata al padre, Antonio, degli scritti di Teresa Labriola (e
di quelli dell’allievo di Labriola Paolo Orano, con il quale, pure, come testimoniano
le sue carte, il Valtellinese fu in cordiali rapporti).
40
Marco Antonio D’Arcangeli
quella “tecnicamente” e “disciplinarmente” professata nelle aule universitarie, nonché in volumi, saggi, articoli ecc.7.
Lo scrivente si scusa con i curatori del volume e con i lettori se, in ultimo, si
concede una breve precisazione “a margine”, approfittando ancora della loro disponibilità e del loro tempo. Il riferimento è al cit. saggio di S. MICCOLIS Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, che a p. 85 chiama in causa — anche se non lo
nomina esplicitamente — il sottoscritto, estrapolando dal suo pure cit. Discorrendo di
Antonio Labriola e Luigi Credaro, l’affermazione che Nicola Siciliani de Cumis va posto «fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell’opera» di Labriola (si
v., per l’esattezza, Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 62, nota 3). Verrebbe
quasi voglia di ringraziare, per essere stato il primo dei coautori del volume ad essere citato, curatore a parte; forse, però, non è il caso. Perché la ripresa di quel giudizio è in chiave polemica, e ironica, e segna l’avvio — dopo poco più di una pagina
di “tregua”, nell’ouverture del commento — della assolutamente preponderante pars
destruens della recensione di Miccolis: la quale, in definitiva, altro non è, tutta, che
un tentativo di dimostrarne la falsità, facendo vedere, ad esempio, che non vi sarebbe in Siciliani de Cumis quella «conoscenza aggiornata e non superficiale degli studî
prodotti sul filosofo» di Cassino che la veridicità di tale asserzione implicherebbe
(ibidem), o ancora rilevando tutti gli errori e le sviste presenti nel volume, opera dei
collaboratori di Siciliani, ma dei quali quest’ultimo sarebbe, in quanto curatore, comunque responsabile, se non altro per non averli notati; ecc. ecc. Ci assale un dubbio, e si manifesta un senso di colpa, perché sembrerebbe quasi che siano state quelle nostre parole a scatenare lo tsunami che si è abbattuto, con questa recensione, sul
catalogo della mostra labrioliana del 2005: ma è sufficiente riflettere un poco per
comprendere che, se mai, con quella frase si è fornito un buon pretesto, e un comodo spunto per far “partire” una serie di argomentazioni già in precedenza e del tutto indipendentemente elaborate e “confezionate” (involontariamente, insomma, avremmo fatto da “spalla”). Solo che, son convinto, non è possibile per il sottoscritto
esimersi dal tornare su quella affermazione, pena il “lasciar passare” una serie di
ambigui messaggi subliminali che la citazione della medesima, per dove è collocata
e per come è stata effettuata, non può non indurre nella mente dei (pochi o molti che
siano, non ha importanza) lettori del commento di Miccolis. Purtroppo, per quanto
abbia tentato, non sono riuscito a togliermi dalla mente l’idea che l’ulteriore, sotteso
— ma neanche tanto — malizioso intento della menzione fosse quello di far “passare alla storia” lo scrivente come il “Fantozzi” del mamozio — o “il più Fantozzio” dei
“mamozi” — sorprendendolo in un eccesso di laudatio del professore curatore (tutto
questo, certamente — almeno credo — non per un “fatto personale”, quanto come
testimonianza emblematica di un “costume”). Confesso di aver esitato a lungo di
fronte al dilemma se predisporre o meno una qualche replica, anche perché il solo
tentativo di motivare ulteriormente quella mia asserzione mi sembrava poco rispet7
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
41
2. Alfredo Poggi
Alfredo Poggi nacque a Sarzana (La Spezia) nel 1881. Si laureò nel
1904 in Filosofia a Palermo, e nel 1907 in Legge a Genova. Formatosi con
Giovanni Vidari e con Giuseppe Tarozzi, studiò il pensiero marxista e, al
pari di Rodolfo Mondolfo, si pose alla ricerca di una sua integrazione col
kantismo, ridefinendolo in chiave etico–morale, su un’interpretazione
che in Germania era stata sostenuta da Karl Vorländer (1860–1928) e da
Max Adler (1873–1937), e dallo stesso neokantiano marburghese Hermann Cohen (1842–1918). Dalla seconda metà degli anni ‘20, gli studi
sulle filosofie della crisi e sulla categoria religiosa orientarono in diretoso nei confronti di Siciliani de Cumis, il quale, compiendo con il prossimo anno
accademico 2006–07 — se non erro — un quarto di secolo di ordinariato di Pedagogia alla “Sapienza” (a proposito: auguri!), non necessitava e non necessita, sicuramente, di “conferme” di sorta. E poi, se si dovesse badare a tutte le “voci” non benevole che ci riguardano e che circolano nei nostri ambienti di lavoro… Ma non si
trattava, in definitiva, di “giustificare” — né, tanto meno, di ridimensionare — il
giudizio in questione, bensì di precisarne il significato e il senso, che, ad ogni modo
(tralasciando le intenzioni), erano stati travisati: ché certamente non si aveva, come
anche al presente non si ha, da parte del sottoscritto, la pretesa e la presunzione di
essere in grado di individuare con sicurezza e di indicare in maniera incontrovertibile chi possa essere annoverato o meno, a tutt’oggi, fra i più efficaci esegeti
dell’opera di Labriola. Si noti, per iniziare, come la valutazione proposta dallo scrivente nel suo Discorrendo…, non sia poi tanto “a priori” e “apodittica” quanto appare sulla recensione pubblicata su «Belfagor»: se non altro per il suo fare riferimento
a degli elementi di fatto, “quantitativi”, almeno tendenzialmente “oggettivi”, vale a
dire a «tutto il lavoro compiuto da Siciliani de Cumis» sul Cassinate. Ma tale “premessa” è ignorata da Miccolis, così come la successiva argomentazione che puntualizza estensione e intensione, per dir così, di quella affermazione: insistendo sui diversi piani e livelli della “interpretazione” labrioliana di Siciliani, dal «virtuoso “circolo” fra» didattica e ricerca «che ne rappresenta un dichiarato, ed effettivamente
praticato, presupposto» (a sua volta, insieme, effetto e “traduzione” della lezione
del Cassinate ed esegesi “in atto”, vivente e vissuta, del suo pensiero), al «serrato
approfondimento del patrimonio teorico–pratico, della “tradizione” e dello “stile”,
delle cattedre di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza”
[…]», nel quale la rilettura di cui sopra, in definitiva, va inquadrata, che «certo»
prende le mosse, e insiste, «sul magistero del filosofo marxista, ma come chiave di
lettura, fra somiglianze e differenze, del complesso di quell’itinerario più che secolare».
42
Marco Antonio D’Arcangeli
zione “personalistica” il pensiero di Poggi, senza che, tuttavia, venisse
meno in lui il riferimento al socialismo.
Insegnante liceale, ottenne la libera docenza in Pedagogia all’Università di Genova nel 1926, ma all’atto di iniziare il suo primo corso universitario, nel ‘30, venne esonerato dall’insegnamento per essersi rifiutato
di prestare giuramento di fedeltà al regime. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale fu incaricato di Storia della Filosofia sempre presso l’Ateneo
del capoluogo ligure.
Militante dalla prima gioventù nel Partito Socialista, Poggi si schierò
costantemente su posizioni riformiste. Nel 1933, accusato di attività
clandestina, fu arrestato e poi rilasciato. Ripresa l’attività politica subito
dopo l’8 settembre 1943, fu il coordinatore delle forze socialiste in Liguria, e per tale motivo fu nuovamente arrestato e deportato, con il figlio, a
Bolzano.
Scomparve a Genova nel 1974.
Fra le sue opere si ricordano: La questione morale nel socialismo. Kant e il
socialismo (1904); Scuola facile e vita difficile (1909); I gesuiti contro lo stato
liberale (1925); Socialismo e cultura (1925); Filosofia e diritto (1930); La filosofia di G. Herbart e la filosofia dell’azione (1932); Il concetto del diritto e dello
Stato (1933); Ragionare e credere (1943); La preghiera dell’uomo. Discussioni
di religione e filosofia (1944); Capitalismo e socialismo (1945); L’uomo come
persona (1949); Cultura e socialismo (1958).
3. Alfredo Poggi nella «Rivista Pedagogica»
3.1. Fra socialismo e kantismo. Il socialismo di Alfredo Poggi visto
da Luigi Credaro
Alfredo Poggi esordì sulla «Rivista Pedagogica» con alcuni contributi
di carattere storiografico. Il fascicolo del luglio 1909 ospitò Il mutuo insegnamento nel Ducato di Maria Luigia (1819–31)8; a questo saggio fecero se-
Cfr. «Rivista Pedagogica», a. II, n. 10, luglio 1909, pp. 980–985; Poggi risulta, al
tempo, insegnante liceale a Livorno.
8
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
43
guito, fra l’altro, altri contributi sulle istituzioni scolastiche del Ducato
parmense9.
Nell’analisi critica della riforma Gentile sviluppata dalla «Rivista»,
Poggi si concentrò sull’introduzione dell’obbligo dell’insegnamento della religione nelle scuole elementari, quale «fondamento e coronamento
[…] punto di concentrazione di tutti gli elementi di cultura sparsi nei vari insegnamenti»: emblematico, in questo senso, fu Neutralità scolastica ed
insegnamento religioso del 192310. I suoi interventi polemici contro le concessioni dello Stato italiano al clero ed agli istituti confessionali si basarono, anche, su accurate analisi degli ordinamenti scolastici di altre nazioni occidentali: La libertà d’insegnamento e la scuola pubblica in Germania11; Scuola libera e scuola pubblica in Russia, Inghilterra, Stati Uniti, Belgio,
Olanda12.
Più avanti, quando il gruppo della «Rivista» cercò di riorganizzarsi e
riproporsi sotto il profilo teoretico, Poggi si segnalò con l’ambizioso Lineamenti di una fondazione pura della teoria educativa del 192613, che racchiude le conclusioni del suo itinerario di riflessione e di ricerca.
Interessante risulta la circostanza che negli anni più duri dello scontro teorico e ideologico–politico fra la «Rivista» e il neoidealismo, vale a
dire nel biennio 1924–1925, il Direttore Luigi Credaro recensisca a più
riprese, sul suo periodico, volumi di Poggi: Stato, Chiesa, Scuola. Studi e
polemiche14; I Gesuiti contro lo Stato Liberale15 (volume di cui aveva peraltro
A. POGGI, Ordinamento della scuola popolare nel Ducato Parmense sotto Maria Luigia
(1814–1831), in «Rivista Pedagogica», a. III, n. 3, dicembre 1909, pp. 237–262.
10 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XVI, n. 5–6, maggio–giugno 1923, pp. 345–374.
11 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XVII, n. 5, 25 maggio 1924, pp. 369–383.
12 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XVII, n. 9, 6 novembre 1924, pp. 754–771. Da riferirsi al dibattito sulla riforma Gentile, e in specie ai nuovi programmi di Lombardo
Radice per l’istruzione primaria, è altresì Dell’insegnamento del disegno nelle scuole elementari, in «Rivista Pedagogica», a. XIX, n. 3, 27 marzo 1926, pp. 233–244.
13 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XIX, n. 9, novembre 1926, pp. 677–697.
14 L. CREDARO, recensione a A. POGGI, Stato, Chiesa, Scuola. Studi e polemiche, Firenze, R. Bemporad e figlio, s.d., in «Rivista Pedagogica», a. XVII, n. 5, 25 maggio
1924, pp. 421–422.
15 ID., recensione a A. POGGI, I Gesuiti contro lo Stato Liberale, Milano, Unitas, 1925,
in «Rivista Pedagogica», a. XVIII, n. 1, gennaio 1925, pp. 79–80.
9
44
Marco Antonio D’Arcangeli
curato la prefazione)16; Socialismo e cultura17.
Nel “gruppo” della «Rivista Pedagogica» la pregiudiziale ideologica
borghese precluse decisamente una seria considerazione delle tematiche
marxiane: l’unica — parziale — eccezione fu rappresentata proprio da
Poggi. Si è detto della consonanza di posizioni con Rodolfo Mondolfo,
che però collaborò col periodico di Credaro solo sporadicamente; i contributi di Poggi furono invece numerosi e la sua impostazione dà conto
di uno degli sbocchi possibili del sotteso kantismo che animava la riflessione dei pedagogisti della «Rivista».
Negli anni della direzione di Guido Della Valle (1910–16), e anche
successivamente, fra la conclusione della Grande Guerra e l’immediato
dopoguerra, nella «Rivista» si nota l’avvio di una riflessione e di un dibattito, di natura sia filosofico–pedagogica sia, anche, ideologico–
politica, sul socialismo e sul pensiero cattolico. La circostanza di questa
considerazione parallela non sorprende, rivelando la volontà di una intellettualità in sostanza legata alla tradizione liberale (benché contraddistinta da un accento radicale) di situarsi e definirsi, elaborando posizioni
proprie, rispetto a quelle che si andavano imponendo come le due “culture” maggioritarie nel nostro Paese. Il periodo in questione, peraltro, si
segnala come quello nel quale la «Rivista», assai più che in altre fasi della sua storia, “prende posizione” o meglio tenta di farlo, e le ambiguità
della sua impostazione vengono più chiaramente alla luce, così come
gl’intrinseci suoi limiti, e altresì meglio si intravedono le possibilità e potenzialità, pure presenti, ma non perseguite e fatte emergere (emergono,
in altre parole, con la massima nettezza, tutti i suoi a priori ideologici).
È proprio il caso del socialismo di Poggi, che esamineremo in un luogo in cui ci è apparso chiaramente formulato, anche se non direttamente
da lui, bensì per il tramite di Credaro nella sua citata recensione
dell’ottobre 1925 al volume del pedagogista ligure Socialismo e cultura.
È indispensabile ricordare e mettere in rilievo come personaggi di
spicco della «Rivista», quali Vidari e Resta, avessero nutrito giovanili
simpatie per il socialismo, per terminare, entrambi, sia pure per vie e con
Cfr. ID., Prefazione, in A. POGGI, I Gesuiti contro lo Stato Liberale, Milano, Unitas,
1925, pp. V–VII.
17 ID., recensione ad A. POGGI, Socialismo e cultura, Torino, Editore Piero Gobetti,
1925, in «Rivista Pedagogica», a. XVIII, n. 8, 15 ottobre 1925, pp. 685–688.
16
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
45
modalità diverse, fra le braccia del Regime e dell’ideologia fascista. Possiamo soltanto postulare una ricezione affatto adeguata, al più emotiva e
sentimentale, del pensiero marxista, per poterci chiarire come ciò si sia
potuto verificare. Ma quali possano esser stati i limiti della ipotetica “via
kantiana al socialismo” forse può illustrarcelo proprio il pensiero di
Poggi, affrontando il quale, contestualmente, getteremo uno sguardo anche al Marx di Mondolfo, cui abbiamo più volte fatto riferimento.
Credaro, nell’iniziare il suo resoconto del saggio di Poggi, lo inseriva
decisamente nel «vasto movimento» che s’era «sviluppato specialmente
nel campo filosofico tedesco» e che tendeva «a rinnovare le teorie fondamentali del socialismo per mostrare il loro intimo spirito etico anzi che
economico», attraverso un collegamento tra il «movimento socialista e
l’etica Kantiana»; citava a questo proposito Vorländer, e precisava come
dal versante marxista il tentativo fosse perseguito attraverso «una critica
del formalismo kantiano» che veniva «a sfigurare la dottrina del Kant»,
mentre nel «campo filosofico» sempre allo stesso fine si finiva per ridurre la «dottrina socialista […] ad una pura questione morale». Poggi, che
nel 1904 (Kant e il Socialismo) sosteneva l’impossibilità di un accordo, appunto, fra «formalismo kantiano» e «realismo marxista», pur affermando che «la seconda forma dell’imperativo categorico esprimeva il fine
umano, cui il movimento socialista» doveva «ispirarsi», si «manifesta[va] ora», a detta di Credaro, in «Socialismo e cultura, il più deciso
Kantiano fra tutti i marxisti, che» s’erano «occupati di questo problema».
Egli lo concepiva in termini teorici, non storici: non occorreva per lui
andare alla ricerca, in Marx ed Engels, di supposte proposizioni del
«problema morale» o cercare di stabilire se la loro dottrina fosse addirittura da far derivare dal kantismo, bensì unicamente se potesse ritenersi
insita nel socialismo «una profonda aspirazione morale e se questa aspirazione» fosse «sublimemente espressa dalla morale kantiana». Da ciò si
sarebbe potuto comprendere l’atteggiamento finora mantenuto dal movimento socialista nei confronti del «problema culturale, a seconda che»
avesse percepito «o no il problema morale, cui obbedi[va]», per Poggi, «lo
stesso bisogno economico»18.
Il corsivo è nostro, e intende sottolineare la direzione prescelta da Poggi nel
suo tentativo d’integrazione fra marxismo e criticismo.
18
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Marco Antonio D’Arcangeli
La prima parte del libro, precisava Credaro, «esamina il modo di
comportarsi dei partiti socialisti di fronte al problema culturale», mentre
la seconda si occupa del «rapporto filosofico tra Marxismo e Kantismo».
Puntualizzato come «l’ottimismo» sulle possibilità dell’educazione, tipico del socialismo utopistico, non potesse essere nutrito, per il suo «determinismo economico», da quello marxista, veniva sottolineato da Poggi come il «problema scolastico» fosse stato per lungo tempo sottovalutato dai partiti socialisti, specialmente il francese e l’italiano, nonostante
l’esplicita direttiva del Manifesto in favore di una «educazione pubblica e
gratuita di tutti i fanciulli». Ripreso dal congresso di Erfurt, e risolto nella richiesta della «Scuola statale gratuita ed obbligatoria», il tema continuò, proseguiva Poggi, ad essere trattato superficialmente dai socialisti
italiani, tranne qualche vago accenno ad una «educazione integrale» e
nonostante che Turati, e lo stesso Credaro, in qualità di presidente
dell’U.M.N., lo invitassero ad una chiara formulazione delle proprie tesi
in proposito19. Situazione che, invero, si modificò radicalmente nell’immediato dopoguerra, quando in seno al Partito si aprì un vivace confronto sul tema della «Scuola libera», dal quale peraltro scaturirono delle
precise proposte in opposizione a quelle dei Popolari e dei vari Ministri
della Pubblica Istruzione dal 1919 al ‘22.
A proposito di questo confronto interno, vanno rilevate le posizioni
assunte da Poggi, in Socialismo e cultura, verso altri protagonisti del dibattito. Egli negava, ad esempio, la distinzione fra educazione morale ed
educazione intellettuale operata da Mondolfo (considerato peraltro «il
vero avvivatore della polemica socialista») e lo faceva da «kantiano puro», in nome cioè «del concetto unitario dello spirito»; e respingeva «certi concetti rigidamente materialistici» che Zanzi, già collaboratore della
«Rivista», «espone[va] parlando dell’opera educativa». Si trattava di una
critica, osservava Credaro, ispirata «ai principii di un sano spiritualismo», sui quali del resto si basava, aggiungeva sempre il recensore, la
difesa del Metodo Montessori intrapresa dallo stesso Poggi contro la diffidenza che Zanzi, ancora una volta da posizioni a suo avviso dogmatiche nel senso sopra indicato, aveva mostrato nei confronti del contenuto
spiritualistico a cui la pedagogista si sarebbe «innalzata» nelle sue Case
19
CREDARO , recensione a POGGI, Socialismo e cultura, cit., p. 685.
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
47
dei Bambini (e qui si alludeva evidentemente proprio al contributo di
Zanzi pubblicato sulla «Rivista» nel 1918).
Tornando alla «scuola libera», ricordava Credaro con un accento velatamente polemico come all’interno del Partito Socialista le posizioni non
fossero univoche, contrapponendo le tesi sostenute in quel frangente
dall’allora militante Raffaele Resta, sostenitore, in linea con la «tradizione» del movimento, della Scuola di Stato, a quella di Baratono, che nell’occasione s’era fatto sostenitore «del principio gentiliano della scuola libera». E, riprendendo e concludendo il resoconto della prima parte del
saggio di Poggi, Credaro rammentava la «via di mezzo» tra scuola statale e scuola libera sostenuta da una apposita Commissione nominata dal
Partito Socialista, e le critiche rivolte dall’autore del volume, «rigido difensore della Scuola, come funzione di Stato», a tale risoluzione20. Va
precisato che le critiche rivolte dalla «Rivista» al P.S.I., più che specifiche
prese di posizione, spesso si appuntavano proprio sulla sua irresolutezza, sull’incapacità reiteratamente evidenziata di assumere un punto di
vista ben definito sulle problematiche educative e scolastiche.
Rivolgiamoci ora alle formulazioni propriamente teoretiche di Poggi,
espresse nella seconda parte del suo libro. Egli rispondeva affermativamente alla questione «se una finalità etica» si potesse «naturalmente inquadrare nella concezione materialistica della storia (tirando le ultime
conseguenze», a detta di Credaro, dell’interpretazione del marxismo offerta da Mondolfo); ma riteneva si dovesse sostituire, alla dizione sopra
enunciata, quella di «concezione prammatica della storia», perché era «il
bisogno morale», cioè «l’uomo stesso, spinto dal suo fondamentale bisogno di essere uomo, che muove[va]», a suo parere, «la storia». L’uomo,
«mentre» desiderava questo, perché si sentiva «degno di una vita migliore», poteva «voler questo oggi che le condizioni sociali gli apprestano i mezzi per ottenere il fine»: in tal modo, per lui, si sarebbero potuti
conciliare «volontarismo e determinismo». Poggi sottoponeva a decisa e
recisa critica il determinismo di Engels, iniziando col rigetto della «tendenza anti–statale del socialismo così detto scientifico»: lo Stato costituiva nella sua visuale «la più concreta ed alta manifestazione etica del volere umano» ed il socialismo poteva e doveva opporsi solo «al principio
20
Ivi, p. 686.
48
Marco Antonio D’Arcangeli
di uno Stato di forza, che non» traesse «la sua vita dal consenso dei cittadini»21. Frequenti erano i richiami all’interpretazione marxiana di
Mondolfo, «volontarismo critico–pratico», al «concetto della prassi rovesciata»: in generale di Marx si rifiutava (o «correggeva») il materialismo
ed il «fatalismo storico».
Non s’intendeva, affermava Poggi, individuare ed introdurre quello
che obiettivamente non era presente nel materialismo storico: quest’ultima costituiva senz’altro una «concezione puramente realistica, che in sé
conteneva […] una complessa visione sociale, delle esigenze morali, ma»
tutto questo «subordinava ad un rigido realismo economico». Non si
andava alla ricerca, pertanto, di un’«etica marxista» (né si condivideva
l’idea di Baratono, che «la linea spirituale dell’Engels e del Marx» fosse
«una linea idealistica o addirittura kantiana»), ma solo si trattava «di
mettere in luce le preoccupazioni morali da cui» erano stati «inconsapevolmente mossi» sia Engels che Marx, si voleva «allacciare questa dottrina marxista ad una dottrina morale per rendere consapevole il socialismo del suo malcelato contenuto morale». A questo proposito Poggi criticava Croce affermando che la vera forma universale pratica fosse quella «etica», non «l’utile»; riteneva inoltre che postulare ciò non implicasse
un regresso sulle posizioni del socialismo utopistico del XVIII secolo, in
quanto la centralità dell’etica non si poneva affatto in contrasto con il rispetto del «senso storico di cui aveva dato prova il socialismo marxista»
— che andava mantenuto — anche se poi veniva respinta come altrettanto «utopistica» l’idea che «l’uomo» subisca «la storia»22.
In sostanza Poggi, dopo aver sottoposto a «esame critico» le dottrine
dei «neokantiani tedeschi e italiani […] (Woltmann, Stammler, Natorp,
Struvve, Baratono)», per verificare «entro quali limiti» si potesse effettuare «l’allacciamento» fra kantismo e marxismo, si affidava alla «geniale reinterpretazione» di Mondolfo (allievo, vorremmo ricordarlo, di De
Sarlo, Tarozzi e Tocco a Firenze) che vedeva Marx profondamente influenzato dall’umanesimo di Feuerbach, e mostrava la presenza nella
dottrina del filosofo tedesco di un «indirizzo teleologico» (definito «momento soggettivo della dialettica storica») che fra l’altro non escludeva
21
22
Ivi, pp. 686–687.
Ivi, p. 687.
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
49
«la necessità (momento oggettivo)»; sebbene poi tutto ciò «nulla più lasciasse di materialismo a tale concezione», questo modo d’interpretare la
storia «non» andava «tuttavia» considerato «come meno marxistico»23. E
qui Poggi stabiliva un parallelo con Kant nella cui visuale «la necessità
nel mondo fenomenico non esclude, ma presuppone la libertà del volere.
La dignità umana, l’Umanità, fine vero della condotta umana», costituiva dunque per lui anche «il vero scopo del movimento socialista».
Era dunque la «Ragione» che doveva ispirare la condotta umana:
Poggi respingeva ogni «empirismo» nell’azione, ed ogni movente di
quest’ultima di carattere utilitaristico od edonistico — necessaria conseguenza di ogni riduzione della morale a pura sensibilità (materialismo).
E citava Frierich Engels, per il quale «il socialismo» non costituiva «una
questione di ventre, ma di umanità» — l’uomo, aggiungeva Poggi,
«non» andava considerato «solo “homo oeconomicus”, ma “homo”, cioè
spirito». Il socialismo diveniva così in Poggi «educazione umana — pertanto, nella sua propaganda e nella sua prassi», doveva «sentirsi subordinato all’imperativo categorico Kantiano». Tutto ciò per sottolineare
come lo stesso Engels (che al pari di Kant concepiva la «storia» come «opera di ragione») fosse radicalmente contrario «agli inconsulti colpi di
mano», cioè alla conquista del potere con mezzi violenti24; il che faceva il
paio con ciò che Poggi aveva affermato più sopra, a proposito del socialismo «per la sua essenza morale, democrazia» — che pertanto doveva
negare e combattere soltanto uno «Stato di forza»25. L’innesto Kant–
Marx conduceva dunque, una volta in più, al riformismo ed alla socialdemocrazia.
Notevole senz’altro, a nostro avviso, era l’accento sul socialismo come
opera educativa, progetto etico–pedagogico — anche se ciò che conta, in
definitiva, sono i contenuti che s’intendevano comunicare alle classi popolari, che non possono non apparirci “sospetti” se tendevano, innegabilmente, a svuotarle della loro carica rivoluzionaria. Il punctum pruriens
dell’interpretazione di Poggi risiedeva, con ogni probabilità, nel suo tentativo d’introdurre, nel marxismo, “l’Uomo” e “la Ragione” astorici, atemporali — il che significava snaturarlo completamente. Ed in effetti
Ivi, pp. 687–688.
Ivi, p. 688.
25 Ivi, p. 687.
23
24
50
Marco Antonio D’Arcangeli
Poggi, anche nei suoi interventi polemici nei confronti del clericalismo,
insisteva decisamente su di una «morale» che prendesse le mosse da
«fondamentali principi comuni, verità […] derivate da un fondamento
a–priori e quindi universale: la ragione»26. Su questa base egli contestava
— nel già menzionato Neutralità scolastica ed insegnamento religioso le argomentazioni di parte cattolica che tendevano a svuotare di ogni consistenza il concetto di «scuola neutrale», fondamento dei sistemi educativi
del moderno Stato liberale. Se era pur necessario, per Poggi, che una fede, ed anche — in sostanza — un afflato di religiosità27 animassero
l’insegnamento, affinché quest’ultimo potesse arricchirsi di idealità, ciò
non implicava che «il professore» dovesse trasformarsi in un «fanatico
sacerdote» d’una qualsiasi setta; era sufficiente ch’egli nutrisse
la fede nel progressivo perfezionamento dell’umana natura, nell’efficacia morale del sapere, […] nel suo compito […] di foggiare spiriti capaci di scegliersi per
sé stessi la fede, la via da seguire, e consci del dovere morale di professare questa loro fede, qualunque essa sia, lealmente, umanamente, senza intolleranze e
senza violenze28.
Poggi, in altre parole, distingueva recisamente religiosità e settarismo, respingendo il concetto di una scuola e di un insegnamento necessariamente improntati alla trasmissione di un’esclusiva ed esclusivistica
visione del mondo29, e mentre si domandava se, in definitiva, «lo spirito,
per realizzarsi, dovesse necessariamente esprimersi in quella fede che è
sua, che è lui stesso, ma che egli può dominare, perché può dominarsi»30,
sosteneva con vigore che la «migliore preparazione alla religione vera»
— cioè non estrinseca, precettistica, catechistica — risiedesse nella «educazione morale: solo nella morale e per la morale l’uomo si sente uomo e
sente il divino che porta in sé», affermava31.
La morale della “Ragione”, a cui si affidava Poggi, era, ancora una
volta, quella kantiana; il valore, sui cui principalmente si soffermava, era
POGGI, Neutralità scolastica ed insegnamento religioso, cit., p. 357.
Ivi, pp. 358–359 e 372–373.
28 Ivi, p. 356.
29 Ivi, pp. 368–371 (sulla concezione della “Scuola di Stato” di Condorcet).
30 Ivi, p. 361.
31 Ivi, p. 373.
26
27
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
51
l’illuministica, laica «tolleranza»32; pure, egli conservava all’elemento religioso, nel novero delle espressioni della spiritualità, un’inalienabile autonomia, un’insostituibile funzione (e di conseguenza gli assegnava un
ruolo centrale in ambito educativo). Si allontanava così, sensibilmente,
dal concetto d’una “fede” laica, pur senza rinnegare, ed anzi riproponendo con vigore, idealità caratteristiche della tradizione del pensiero
moderno. Un’impostazione, la sua, contrassegnata da un pieno rispetto e
da un’attenta considerazione dei più divergenti punti di vista — come
del resto da un’acuta sensibilità nei confronti delle diverse modalità di
manifestazione dell’attività spirituale: le sue conclusioni, tuttavia, apparivano sostanzialmente deboli e senz’altro esposte ad una efficace controreplica da parte cattolica.
Vorremmo ancora segnalare, in Poggi, la conquista della dimensione
dell’analisi formale (che fu sua come del nostro neocriticismo pedagogico in generale, e che se pure risultò limitata all’analisi di specifici settori
dell’esperienza, segnò indubbiamente un cospicuo progresso nei confronti del “sostanzialismo” della generazione precedente — che non
venne però oltrepassato, come già precisato, in sede metafisica). Alludiamo a Lineamenti di una fondazione pura della teoria educativa, apparso
sulla «Rivista» sul finire del ‘26, in cui (evidenziando un parziale influsso herbartiano) «la pedagogia» veniva definita una «scienza etica» fondata «sulla persona e sul suo rapporto con gli altri», incentrata sulla «dualità dei soggetti» e sullo «sforzo del dovere», risolvendosi così in «etica
applicata». L’educazione si configurava in questo quadro «fatto umano
che implicava l’azione dell’altro sull’io, orientata però secondo “fini”
che» dovevano «essere razionali, cioè universali» in direzione della costruzione di una «società di esseri ragionevoli, fondata sul principio della libertà». A ciò Poggi saldava «una concezione laica della scuola, anche
se non irreligiosa» (come abbiamo già intravisto), contraria però ad ogni
«catechismo» nocivo allo «spirito autonomo dell’insegnamento morale»
ed in contrasto con «tutto quanto d’educazione si» poteva «trarre
dall’insegnamento scientifico»33.
32
33
Ivi, p. 356.
CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., p. 47.
52
Marco Antonio D’Arcangeli
Certo è che da chi, come Poggi, aveva preso contatto con la visuale
marxiana era forse lecito attendersi qualcosa di più; una più viva coscienza della dinamicità storico–sociale poteva senz’altro arricchire e
complessificare anche una “fondazione pura”. Resta che in Poggi l’emancipazione delle classi popolari, sebbene si ponesse chiaramente come progetto politico (restando però sul terreno della democrazia borghese) tendeva però a concretarsi in primo luogo ed essenzialmente in
un’elevazione morale da conseguirsi per il tramite della cultura. Una sola voce di carattere radicale si levò dai fascicoli della «Rivista»: fu quella
di Antonino Pane, in un anno drammatico, quel 1925 che segnò la definitiva svolta autoritaria del Regime. In Socialismo ed educazione operaia34.
Pane definì il marxismo «dottrina di vita e d’azione, di lotta e di progresso per la realizzazione dei valori superiori dello spirito», della «essenza razionale ed etica dell’uomo», richiamandosi esplicitamente al
modello sovietico quale tentativo di armonizzazione delle esigenze individuali e collettive35.
Ma questa “rondine” non poteva “far primavera” — ed era troppo
tardi, del resto. Una decisa ideologia borghese — che a volte (come nel
caso, che però non è possibile approfondire in questa sede, degli interventi del Direttore Della Valle), non era del resto nemmeno tanto “inconscia” — dovette causare una tendenza alla “rimozione” e provocare
“resistenze” tali non solo da impedire un serio approfondimento del tema, ma anche una sua adeguata circolazione nei fascicoli del periodico,
perfino a quel livello di trattazione astrattamente “professorale” o asetticamente “dottrinale” che molto spesso lo caratterizzava. È singolare, e
va rimarcato, come anche nelle occasioni nelle quali si parla di materialismo storico, il nome di Antonio Labriola resti sistematicamente nell’ombra — e Credaro, ad esempio, aveva indubbiamente un “debito”, quantomeno di riconoscenza, nei confronti del filosofo cassinate. Il problema
dell’educazione popolare, pur così centrale nella «Rivista», va così spesso a finire in anguste questioni di orientamento didattico proprio perché
è estraniato da una complessiva visione storico–sociale; quando questa
ultima, in un certo senso, è presente, è costituita dal modello giolittiano,
A. PANE, Socialismo ed educazione operaia, in «Rivista Pedagogica», a. XVIII, n. 8,
15 ottobre 1925, pp. 663–675.
35 CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., pp. 71 e 79 (note 79–81).
34
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
53
d’integrazione–neutralizzazione delle masse, ed ai pedagogisti del periodico sfuggono, per così dire, preoccupati accenti, che tradiscono un
netto conservatorismo, al di là delle loro nobili (e sincere) idealità umanitarie.
Inevitabilmente, pertanto — in conseguenza di un retroterra ideologico che pur non avvertito e formulato, per lo più, consapevolmente, in
ogni caso influì decisamente sugli orientamenti di questo nucleo intellettuale — i collaboratori della «Rivista» finirono per concentrare i loro
sforzi nel contrastare l’avanzata del socialismo, che nella contingenze
politico–sociali in cui si trovarono ad operare (almeno sino al ‘23) dovette apparire loro come il “pericolo” più imminente e gravoso: di conseguenza, la vena laicista (ed in alcuni casi propriamente anticlericale) che
almeno in origine costituiva la nota precipuamente “radicale” del periodico venne progressivamente ad affievolirsi, a perdere di mordente. È
evidente che una completa rottura con la Chiesa cattolica avrebbe indebolito il blocco che si opponeva al dilagare del marxismo, nel quale volente o nolente venivano a collocarsi questi intellettuali; e Giolitti, in effetti, il loro “modello” (anche ben al di là del periodo in cui lo statista di
Dronero fu a capo dell’esecutivo), ben conscio di ciò perseguì la via del
riavvicinamento fra borghesia e clero; se ricordiamo, ancora una volta, le
prese di posizione sfumate ed incolori assunte più volte da Credaro in
tutti i casi in cui era in gioco la sensibilità delle masse cattoliche nei confronti dello Stato liberale, abbiamo una immagine abbastanza esatta del
tenore che venne ad assumere l’anticlericalismo della «Rivista». Certo la
coscienza “radicale” di questi intellettuali non poteva non insorgere allorquando si manifestava palesemente l’intenzionalità della Curia di ingerirsi nell’istruzione pubblica (o si ravvisava la debolezza del Governo,
la sua accondiscendenza sul tema delle scuole private confessionali): ma
all’iniziale, accesa “ribellione” seguiva quasi sempre un fermarsi a mezza strada. Il gruppo della «Rivista» non oltrepassò mai un atteggiamento
sostanzialmente passivo e “difensivo” nei confronti della cultura cattolica; occorreva in altre parole che la parte avversa sferrasse un “attacco” in
forze per poter registrare delle consistenti, definite, marcate prese di posizione da parte di questi intellettuali — e quando ciò si verificava, per la
verità, la reazione appariva di un’intensità tale da far pensare ad una
54
Marco Antonio D’Arcangeli
precedente “repressione” in tal senso: questo, in particolare, quando il
tema del confronto era prettamente “professorale”.
3.2. Gli studi e le letture delle filosofie della Krisis
Non v’è dubbio peraltro che, al di là dei limiti che si riscontrano nelle
sue posizioni teoriche e di quelli caratteristici dello “schieramento” al
quale, sostanzialmente, fece riferimento, la figura di Alfredo Poggi, uno
dei pochi intellettuali italiani a salvare l’onore della categoria rifiutandosi di barattare la propria libertà di coscienza e di giudizio con un cattedra universitaria, meriterebbe se non altro per tale ragione più circostanziata attenzione. Sarebbe interessante verificare, in specie, quanto il
prolungato “viaggio” in particolari temi e figure della Krisis, da lui intrapreso a partire dai tardi anni ‘20 — come documentato dai fascicoli
della «Rivista Pedagogica» che ospitarono i suoi saggi su queste tematiche — implicasse una revisione dei canoni del suo “kantismo” filosofico
e pedagogico.
Alla diversa curvatura, che veniva assumendo la riflessione di Alfredo Poggi alludeva già Il fondamento irrazionale della pedagogia giansenista,
uscito nel 192736. Lo studio — pubblicato sulla «Rivista» nell’annata successiva — della Pedagogia del Contingentismo (Ravaisson, Boutroux, Bergson, Le Roy)37 svolse evidentemente la funzione d’introdurre il pedagogista ligure in una ben determinata temperie storico–culturale; esaminata, nel 1929, La pedagogia di Hans Cornelius38, lo ritroveremo nel ‘36 ad analizzare Il problema del male nella teoria educativa di Maurizio Blondel39, e
nel ‘37 a trattare L’importanza dell’educazione per Africano Spir (1837–
1890)40, prima di condurre a termine, l’anno seguente, il suo decennale
Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XX, n. 3, marzo 1927, pp. 204–240. L’anno precedente, pochi fascicoli prima dei Lineamenti…, Poggi aveva pubblicato il saggio storico–pedagogico L’attualità nell’indirizzo pedagogico del Comenius, in «Rivista Pedagogica», a. XIX, n. 4, 30 aprile 1926, pp. 282–293.
37 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XXI, n. 6–7, giugno–luglio 1928, pp. 405–422.
38 «Rivista Pedagogica», a. XXII, n. 6–7, giugno–luglio 1929, pp. 421–452.
39 «Rivista Pedagogica», a. XXIX, n. 5, novembre–dicembre 1936, pp. 545–581.
40 «Rivista Pedagogica», a. XXX, n. 5, novembre–dicembre 1937, pp. 543–579.
36
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
55
itinerario di ricerca con il significativo La “Crisi” moderna ed il problema
educativo41.
Prima di esaminare questo saggio, l’ultimo pubblicato da Poggi sulla
«Rivista» e uno dei più significativi usciti sul periodico nelle ultime,
“sofferte” annate, sarà bene ricordare, rammentando alcuni altri suoi
brevi scritti, apparsi sul periodico di Credaro nel periodo in questione,
come la volontà di sostanziare la sua “fondazione pura” della pedagogia
di diversi apporti disciplinari e l’interesse per nuovi approcci teorici si
possa cogliere, anche, ad esempio, nella recensione alla Psicologia dei popoli di Wundt del 192942; e sarà anche opportuno ribadire come il socialista Poggi non mostri, in alcuna occasione, il venir meno delle sue convinzioni: così, nel 1937, recensendo La scuola corporativa di Rosario Bonaccorso non lesinerà giudizi alquanto critici43.
In La “Crisi” moderna ed il problema educativo Poggi mostrò di non ignorare i legami sussistenti fra l’aspetto interiore ed individuale, etico–
morale ed “esistenziale” del problema e le concrete condizioni di vita
dell’uomo odierno, inserito in una determinata trama di rapporti produttivi, in una precipua forma d’organizzazione sociale, in peculiari regimi politici. Benché poi non si assistesse, nel suo contributo, ad un articolato sviluppo di questo rapporto, ed anzi (coerentemente all’evolversi
«Rivista Pedagogica», a. XXXI, n. 4, luglio–ottobre 1938, pp. 406–436.
A. POGGI, recensione a G. WUNDT, La psicologia dei popoli, Torino, B. S. M. F.lli
Bocca, 1929, in «Rivista Pedagogica», a. XXII, n. 9, novembre 1929, p. 698. Interessanti risultano altresì le recensioni di Poggi nel fascicolo precedente, in gran parte
dedicate a testi teologici o religiosi, di pensatori cattolici, o concernenti intellettuali
di matrice cattolica, comunque non strettamente “ortodossi” (S. BONAVENTURA,
Itinerarium mentis in Deum, Torino, Soc. Editr. Internazionale, 1929; BONAVENTURA
DA BAGNOREA, Itinerario della mente in Dio, introduzione e traduzione e commento di
G. Dal Monte, Bologna, Cappelli, 1929; G. DORÈ, Savonarola. Pagine cristiane antiche
e moderne, Torino, Soc. Editr. Internazionale, 1928; L. DE REGIBUS, Lattanzio. Pagine
cristiane antiche e moderne, Torino, Soc. Editr. Internazionale, 1928), ma anche, sintomaticamente, all’opera di un teologo protestante “inquieto” come Paul Tillich (di
cui Poggi presenta Lo spirito borghese ed il Kairos, Roma, Doxa, 1929: cfr. «Rivista Pedagogica», a. XXII, n. 8, ottobre 1929, pp. 619–622).
43 A. POGGI, recensione a R. BONACCORSO, La scuola corporativa, Roma, Soc. Ed.
Dante Alighieri, 1936, in «Rivista Pedagogica», a. XXX, n. 3, maggio–giugno 1937, p.
367.
41
42
56
Marco Antonio D’Arcangeli
della sua stessa interpretazione del marxismo ed alla definizione della
sua pedagogia sui fondamenti “puri” della «dualità dell’Io» e della «Ragione» kantiana) la soluzione della «Crisi» si profilasse in un recupero
della concezione dell’«Uomo» elaborata dai classici della filosofia occidentale (Kant, appunto, soprattutto — quel «senso del dovere», attraverso il quale l’uomo può trascendersi — l’«amore superindividuale», la liberazione dall’«egoismo», in un quadro che vedeva una netta riaffermazione del valore della fede religiosa), non mancavano nell’analisi di
Poggi passaggi notevoli (sintomi d’una lucida comprensione del momento storico ed espressione d’una sostanziale opposizione al regime).
Così, ad esempio, per il pedagogista ligure, pur avendo «il capitalismo» inizialmente preferito «la forma democratica» — anche perché necessitava, per espandersi, della rottura delle «sbarre dei privilegi» — allorché (e trascuriamo le interessanti osservazioni sull’età imperialistica)
«si temette che il principio d’uguaglianza dovesse estendersi anche alle
condizioni economiche, allora la democrazia fu di fatto sospesa, come
non più rispondente alla nuova situazione»44. Penetranti apparivano pure le osservazioni sulle «responsabilità» della «mentalità hegeliana» nel
promuovere l’adorazione del «feticcio» dello Stato, e l’accettazione del
fatto compiuto, con l’identificazione di conoscenza e volontà, essere e
dover–essere45, come le critiche al sostanziale irrazionalismo del «fenomenologo» Scheler46 ed all’insufficienza di soluzioni «mistiche» quali
quella proposta dallo spiritualista Loisy47. Ma il suo discorso slittava però, progressivamente, in direzione, per dir così, intimistica: l’analisi delle
motivazioni e la ricerca delle possibili soluzioni della «Crisi» finivano
per muoversi e svolgersi su di un piano esclusivamente spirituale, cosicché giungeva inevitabile la riproposizione del valore della (astratta)
«persona», individuale ed universale ad un tempo48; e nel definire infine
il malessere contemporaneo un fenomeno essenzialmente d’élite, scono-
POGGI , La “Crisi” moderna ed il problema educativo, cit., p. 408.
Ivi, pp. 408–409.
46 Ivi, pp. 409–412.
47 Ivi, pp. 412–415.
48 Ivi, pp. 420–422.
44
45
Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro
57
sciuto alle masse49, Poggi mostrava fra l’altro di non averne compreso
appieno l’estensione e la profondità.
Siamo — una volta ancora — di fronte alle congenite contraddizioni,
o incertezze, del fronte della «Rivista» — anche se, in questo contesto, occorre tener presente l’autocensura che i nostri intellettuali dovettero, per
forza di cose, imporsi. Le oscillazioni di Poggi riproducevano, su scala
per così dire individuale, quelle della pubblicazione nel suo complesso,
incapace di risolversi fra le diverse anime che la costituivano, anche perché da sempre impostata (per riprendere le parole usate dal fondatore e
direttore Credaro nel “programma” tracciato in apertura del primo fascicolo della «Rivista», nel gennaio 1908) quale «congresso pedagogico
permanente». Tale restò — in definitiva — sino alla fine, ed in ciò risiede, tutto sommato, il valore di quest’esperienza: una proposta di cultura
aperta, il rifiuto di ogni settarismo — pur se quest’atteggiamento fu anche in parte il riflesso di un’intrinseca debolezza teorica (ed ideologica),
e ciò si evidenziò nei momenti cruciali della vita politica e culturale italiana ch’essa si trovò ad affrontare. Da tali irrisolte ambiguità derivò,
senz’altro, la sua finale dissoluzione: ma era e resta corretto menzionare
interventi come quelli di Poggi, che mostrano come la «Rivista» seppe, o
comunque volle, almeno in alcuni dei suoi collaboratori, conservare sino
all’ultimo la propria identità, riaffermare e sottolineare l’impostazione
che da sempre l’aveva contraddistinta, salvaguardare in ogni caso la dignità di una trentennale esperienza intellettuale50.
Ivi, pp. 417–418.
Da ricordare, al proposito, il fascicolo della «Rivista Pedagogica» del novembre–dicembre 1934 (a. XXVII, n. 5), interamente dedicato a Giovanni Vidari, a seguito della sua scomparsa, nel quale si rinviene, di A. POGGI, Le traduzioni kantiane di
Giovanni Vidari e la “Esigenza Morale” di ritornare al Kant, pp. 731–740.
49
50
Un Catalogo per Antonio Labriola∗
Girolamo de Liguori
Lo scorso anno si è compiuto il primo centenario dalla morte di colui che
dovrebbe essere ritenuto, per unanime riconoscimento, il maggior filosofo
italiano della seconda metà dell’800, se l’approssimazione, le mode, la ciarlataneria dei filosofanti e degli esperti di tuttologia, con le connesse ritualità
accademiche, non avessero divelto la salubre pianta del buon senso dall’«onesto e retto conversar cittadino» di alta leopardiana memoria.
Labriola fu un filosofo praticante che fece della filosofia arte educativa, nella scuola come nella vita civile, e della politica lo strumento di lotta per l’emancipazione dell’uomo.
Tra gli studiosi assidui del suo pensiero, dopo l’indimenticabile Garin, il Mastroianni e pochi altri, Nicola Siciliani de Cumis è certamente
colui che, con maggiore dedizione, passione e puntigliosa competenza,
si è dedicato a tale autore, seguendone il complesso itinerario, dagli anni
napoletani del moderatismo liberale fino al socialismo e all’insegnamento romano alla «Sapienza». Quasi combinandosi, nel 2004, il centenario
della morte (1904) con i settecento anni dalla fondazione dell’Università
«La Sapienza» (1303–2003), Siciliani ha raccolto, in un nobile zibaldone
di immagini, cronache, schemi, saggi, commemorazioni e testimonianze,
buona parte del ponderoso lavoro da lui portato avanti, promosso, stimolato in questi ultimi anni, anche con la collaborazione di colleghi e allievi. Il volume–catalogo ― che catalogo vuole essere ― si articola in
quattro parti, delle quali soltanto la terza è interamente dedicata alla
mostra (La mostra e le mostre su Antonio Labriola e la sua Università), tenutasi a Roma, dall’8 marzo al 25 aprile 2005, di cui riporta integralmente
pannelli e didascalie, ma nel suo insieme è solo la punta luccicante di un
imponente iceberg di sforzi, sacrifici, conoscenze e amore, spesi da questo
∗
Pubblicato su «La Critica Sociologica», n. 154–155, aprile–settembre 2005, pp.
203–205.
60
Girolamo de Liguori
fedele studioso, che Ferrarotti definisce argutamente «speleologo più
che filologo della formazione del pensiero di Antonio Labriola» (p. 541).
Catalogo, si diceva, nel vero e profondo senso del termine: non soltanto
nel significato letterale di enumerazione o sequenza sistematica di nomi,
oggetti o manufatti, ma anche in quello, più sottilmente filosofico, intriso
della ironia socratica, di elenco (élegkhos), confutazione ovverosia esame
dialettico cui Socrate sottoponeva asserzioni, ipotesi e tesi contrapposte al
fine di confutare gli errori tra i quali la classica ignoratio elenchi. Lo richiama anche lo stesso autore in apertura del catalogo, presentando il suo lavoro come “un Labriola–catalogo”, catalogo di cataloghi su Labriola e
l’Università che fu sua (p. 11). Viene ribadito qui subito, in apertura del lavoro, il suo esplicito non voler essere libro. Soltanto catalogo, presupposto,
cioè, di altre tappe della ricerca: indicazioni di lavoro, bilancio e messa a
punto ― come in un consuntivo ― di quanto è stato fatto per sgombrare
la strada a quanto si dovrà fare ― come in un preventivo. È tutta qui la
originalità del lavoro che non si circoscrive alle 690 pagine di zibaldone
che si offrono alla lettura ma si collegano al già fatto e al da farsi, alla
scuola, alle indicazioni di metodo, al lavoro parallelo di altri studiosi: storici, politici, sociologi, filosofi, pedagogisti che proseguono la complessa e
minuta opera di ricerca nei loro singoli campi.
È, in fondo, la lezione ancora operante di Labriola filosofo, politico,
educatore, da lui portata avanti al Caffè Aragno, come all’università, nei
circoli, tra gli operai: la lezione di un Socrate dei nostri giorni che Nicola
Siciliani era andato già individuando criticamente, non solo in Labriola
ma nel suo stesso lavoro di docente, ed emulando in quello dei suoi maestri, tra i quali, in modo particolare, Garin. Antefatto di questo lavoro
resta certamente Laboratorio Labriola, del 1994 ma, ancor più, il volumetto
dell’anno prima, A scuola con Socrate, una peregrinazione amorosa con
Eugenio Garin nei luoghi socratici da questi percorsi nel suo lungo itinerario di ricerca di storico della filosofia medioevale, rinascimentale e
moderna e talora rimasti in ombra o addirittura negletti. In punta di
piedi, com’è suo costume, Siciliani raccatta i fili dei percorsi ideali e avvia l’ordito della ricostruzione storiografica su cui sola si fonda una conoscenza criticamente sostenuta. Ed è per questa sua capacità che può, a
dispetto degli anni e dei fati, sedersi a un stesso tavolo, con il suo Labriola,
il suo professore di liceo a Catanzaro, Giovanni Mastroianni e i suoi gio-
Un Catalogo per Antonio Labriola
61
vani scolari di Roma, laureandi e laureati, cui qualche giorno prima ha
letto e spiegato il Discorrendo, o le Lettere ad Engels o Della libertà morale o
il Socrate o lo Spinoza e farsi ritrarre, tra presente e passato, in un delizioso falso fotografico, così vero in questo nostro mondo così falso e mistificatore delle immagini.
Nella prima parte sono riportate le relazioni del convegno del 2–3
febbraio 2004, apertosi in Parlamento e alla presenza del Presidente della
Repubblica, a cominciare da quella di apertura di Fulvio Tessitore; nella
seconda, intitolata Punti di vista, alcune relazioni del convegno di Cassino, in cui vengono trattati temi fondamentali della formazione e degli
approdi di Labriola filosofo: il principio dialogico, le questioni socratiche, l’herbartismo, il rapporto polemico col positivismo, la storiografia,
Croce, Gentile, ecc. La terza, come s’è accennato, è dedicata alla mostra e
la quarta, Momenti e moventi, riporta una serie di studi e interventi su argomenti labrioliani, dalla prolusione sull’università e la libertà della scienza
del 14 novembre del 1896 alla ricostruzione minuta di dati biografici fino
alla discussione critica di aspetti fondamentali del magistero, della didattica e del pensiero di Labriola. Dati biografici, minute tracce dei suoi
interventi in campo scolastico, politico e di impegno civile diventano,
nel catalogo di Siciliani, un laboratorio aperto, una scuola di metodo per
la ricerca in cui Labriola torna a dire la sua come intellettuale attivo con
il suo linguaggio (vedi i lemmi riportati dal Grande dizionario italiano
dell’uso, diretto da Tullio De Mauro, pp. 638–649), il suo stile di pensiero,
la sua intransigenza e il suo nitore concettuale, nei suoi rapporti con i
grandi interlocutori dei suoi anni, da Croce ad Engels a Sorel, fino a
quelli degli odierni esegeti, tutti invitati da Siciliani al suo simposio senza luogo e senza tempo, eppure tanto onestamente e correttamente storicizzato.
Antonio Labriola e il materialismo storico∗
Graziella Falconi
Il professor Nicola Siciliani de Cumis, pedagogista e filosofo ― (uno
dei massimi studiosi di Labriola) ―, ha ideato e realizzato l’intero ciclo
di attività connesse alla mostra sul filosofo marxista nato a Cassino nel
1843, e scomparso il 2 febbraio 1904. Mostra allestita quindi non solo in
occasione dei settecento anni della «Sapienza» ma anche del centenario
della morte del suo insigne Professore, formatosi a sua volta dal benedettino Pappalettere, ammiratore di Giordano Bruno. Sul “maestro perpetuo" sia dentro che fuori l’Università, al caffè Aragno ― secondo un
gustoso ritratto di Andrea Torre ― il catalogo acquisisce nuova documentazione, in tutte e quattro le sezioni in cui la mostra è suddivisa. Siciliani de Cumis ci restituisce così un ritratto a tutto tondo di Labriola,
grande sostenitore della libertà della ricerca, privilegiando soprattutto le
intenzioni pedagogiche e gli ideali universitari nonché le concrete proposte educative del cassinate. Circa l’adesione di Labriola al materialismo storico, Luigi Punzo, ricorda come essa possa essere intesa come
l’evento catastrofico (nell’accezione data dal Labriola alle rivoluzioni in
quanto catastrofi e quindi evento storico) determinato nell’evoluzione,
molto articolata, del pensiero di Labriola, che del marxismo contribuì a
chiarire la natura piuttosto di indagine storica che non di filosofia della
storia.
∗
Pubblicato in «Le nuove ragioni del socialismo», a. III, n. 27, ottobre 2005, p. 47.
Antonio Labriola e le scienze sociali
Franco Ferrarotti
1. Incontri e osservazioni∗
Antonio Labriola è stato l’unico professore e maestro riconosciuto
dall’autodidatta non laureato Benedetto Croce. È curioso che il “marxista” Antonio Labriola, autore della celebre Concezione materialistica della
storia (destinata ad alleviare i rigori della prigione a Leon Trotski, con la
sua frase, ripetuta come un ritornello, «le idee non cascano dal cielo»,
come si legge in Une vie, l’autobiografia del grande rivoluzionario anti–
stalinista), sia stato il maestro del conservatore Croce, teorizzatore della
«religione della libertà», ma anche, e qui si scorge una connessione significativa, critico acerrimo delle scienze sociali, nel trattare delle quali usa
il pettine di ferro, in particolare della sociologia, da lui considerata
«mezzo inferiore della vita intellettuale», «inferma scienza», al più capace di produrre non concetti con valore propriamente cognitivo, ma solo
pseudo–concetti, classificazioni tassonomiche, generalizzazioni indebite e
spesso gratuite. Labriola assegna per tempo a Croce una ricerca sulle origini storiche dei cosiddetti diritti naturali. Croce si mette al lavoro e ovviamente non trova nulla. Di qui, l’idea che non si danno valori naturali
meta–storici, che tutta l’esperienza umana non può che essere storica, ossia realizzata nella storia passata, che va penetrata, interpretata, dal pensiero, quindi nella storia storica, marmorizzata, rinunciando alla previsione storica, ossia alla storia nel suo farsi, imprevedibile perché ancora-
∗
Testo dattiloscritto, autografo, per una lezione tenuta il giorno 8 aprile 2005
presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», nel quadro dei
“seminari di approfondimento” organizzati dalla Prima cattedra di Pedagogia generale (Prof. N. Siciliani de Cumis) sui temi labrioliani presenti nella Mostra e nel Catalogo su Antonio Labriola e la sua Università.
66
Franco Ferrarotti
ta e mossa al libero spirito umano, tanto da ridurre qualsiasi filosofia della
storia a pura congettura farneticante1.
Il secondo incontro, per quanto mi riguarda, con Antonio Labriola
avviene con la lettura delle sue Lettere a Federico Engels, l’amico fraterno
di Marx ed estensore della parte finale del Capitale, terzo volume, lasciato incompiuto da Marx. È una lettura importante, ancora oggi, soprattutto per i sociologi, che peraltro si guardano bene dal fare. Labriola mette
in luce le confusioni concettuali dei sociologi italiani di fine Ottocento,
una fase storica in cui, a detta di Palgrave Inglis e altri, in Italia la sociologia era più lussureggiante e florida che altrove, prendendo di mira soprattutto Enrico Ferri e Cesare Lombroso. In particolare, Labriola impietosamente denuncia il mescolamento acritico di mondi di pensiero non
solo differenti ma teoricamente incompatibili, quali l’evoluzionismo biologico di Charles Darwin, l’evoluzionismo socio–economico universale,
dall’inorganico al superorganico senza soluzione di continuità, di Herbert Spencer, e il materialismo storico dialettico di Karl Marx e Friedrich
Engels (anche se su Engels — si veda l’Antidühring — una riserva, rispetto alla dialettica, è necessaria). Sprezzantemente, Labriola indicava la
triade Darwin, Spencer, Marx come la “trinità” dei sociologi e filosofi ad
orecchio, ciarlatani impenitenti, incapaci di elaborare ricerche sostenute
da un impianto o apparato teorico–concettuale rigoroso, quindi frammentarie, slegate, dovute a motivi occasionali o a invenzioni estemporanee, secondo un modulo critico ripreso, più tardi, in toto, da Benedetto
Croce, specialmente in Storia d’Italia dal 1871 al 1915. Non si tratta solo di
positivisti “meno accorti”, come dirà, in Cronache di filosofia italiana, vol. I,
Eugenio Garin, ma, secondo la formula coniata da Antonio Gramsci, di
vero e proprio “lorianesimo”, vale a dire di esempi di disonestà e irresponsabilità intellettuale, il cui prototipo sarebbe da vedersi in Achille
Loria e nella sua inconsapevolmente umoristica teoria della questione
sociale risolta con l’aviazione2. Aiutati dal generale orientamento spiritualistico e soggettivistico europeo agli inizi del Novecento (tipici Georges Sorel e Henri Bergson in Francia), ma anche, all’immediato primo
Si veda, contra, sul diritto naturale, L. STRAUSS, Diritto naturale e storia, a cura di
N. Pierri, Venezia, Neri Pozza, 1955; e gli studi di Alessandro Passerin d’Entrèves.
2 Cfr. U. RICCI, Tre economisti, Bari, Laterza, 1934.
1
Antonio Labriola e le scienze sociali
67
dopoguerra, dall’avvento del fascismo in Italia e dalla sua autarchia, che
fu non solo economica ma anche culturale e che doveva paradossalmente contribuire alla “dittatura dell’idealismo” crociano, pur blandamente
antifascista, e dalla presa del potere in Germania del nazismo, dieci anni
dopo, che avrebbe ridotto le scienze sociali a scienze di puro servizio e
accertamento demografico a favore della dittatura, come in Italia, i critici
delle scienze sociali, capitalizzando ampiamente sulle riserve radicali
espresse da Antonio Labriola, riducevano la sociologia a pseudoscienza.
Nel giro di una generazione, questa disciplina, che del resto era insegnata come incarico a medicina e a giurisprudenza, per lo più sotto le vesti
di criminologia, sarebbe scomparsa (la «Rivista italiana di sociologia»
cessa le pubblicazioni nel 1925), per rinascere solo nel secondo dopoguerra, con la istituzione della prima cattedra a livello pieno nel 1960,
per merito di una facoltà a torto ritenuta minore, il Magistero di Roma,
dove pure avevano a suo tempo insegnato Antonio Labriola, Guido De
Ruggiero e Luigi Pirandello.
Per comprendere a fondo i meriti e i limiti di Antonio Labriola rispetto alle scienze sociali, a parte le Lettere a Engels e altri interventi, come
Discorrendo di socialismo e di filosofia, e l’opera fondamentale su La concezione materialistica della storia, può essere utile riprendere contributi in
apparenza marginali, ma forse proprio per questo rivelatori. Uno di
questi è certamente il saggio La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, premesso all’edizione italiana dei Memorabili di Senofonte (ed. Rizzoli, 1989). In questo saggio, come sempre negli scritti di
Labriola, si notano ottima documentazione di prima mano, una sequenza logico–razionale impeccabile; eppure, il saggio è, almeno in parte,
fuorviante. Intanto, per cominciare, può essere dubbio che esista una vera e propria “dottrina” di Socrate. Del resto, ciò suona contraddittorio
con la tesi principale del saggio, che consiste nel concepire l’apporto di
Socrate come una lezione, di “vita pratica, di onestà morale”, una lezione non certamente impartita ex cathedra, ma secondo suggerimenti permeati di moderazione ed equilibrio. Rispetto alla concezione platonica di
Socrate, che sarebbe stato tutto proteso e dedicato alla pura speculazione
filosofica, da considerarsi come il compito e insieme la pienezza degli
esseri umani, non mi sembra dubbio che Labriola colga in Senofonte al-
68
Franco Ferrarotti
cuni elementi importanti, in primo luogo il carattere fondamentale del
ragionare socratico, che è essenzialmente non sistematico, e quindi non
dottrinario. «L’oggetto e la natura della ricerca socratica sono affatto
nuovi», scrive Labriola. In che cosa consiste questa novità? Secondo Labriola, «deriva intimamente dai suoi bisogni etici e religiosi, ed è il risultato di un esame che egli ha esercitato su sé medesimo» (p. 19). Labriola
ha ragione e torto nello stesso tempo. La ricerca socratica parte, come egli vede correttamente, da un’istanza introspettiva, da un’esigenza interiore, ma non si esaurisce in una precettistica per la retta vita, in
un’opzione di natura morale–pratica. Ha un profilo teoretico a livello pieno.
Indica un modo nuovo, una strada nuova per la formulazione e la costruzione dei concetti ― una strada che, al limite, mette in crisi la concezione elitaria della cultura come concetto normativo e capitale privato,
come dote esclusiva del kalòs kaì agathòs, negata ai più, ai pollòi, che sono
uomini solo da un punto di vista zoologico, non propriamente umano.
Labriola scorge correttamente che «tolta di mezzo la posizione pratica
del Socrate senofonteo, tutta la storia della filosofia greca non può più
intendersi» (p. 22). E tuttavia, Labriola non esita ad affermare il limite,
probabilmente a suo giudizio invalicabile, della riforma socratica: «[…]
la poca perfezione della sua attitudine logica non gli permetteva di determinare intrinsecamente il valore obbiettivo delle forme etiche» (p. 27).
C’è da restare sbalorditi! Labriola si contenta di chiarire: «[…] non sconosciamo l’influenza socratica nella tendenza riformatrice del platonismo […] in fondo non è che la naturale esplicazione di quella esigenza
socratica, che facea necessariamente dipendere l’attività dal sapere» (p.
27). Temo che si tratti di un fraintendimento macroscopico. Non solo il
Socrate senofonteo non prepara la strada alla riforma platonica, ma la
démarche di Socrate, il suo modo di procedere alla costruzione del concetto, passeggiando e interrogando per strada chi capitasse, dall’agorà al
Pireo, al modo, se non di un flâneur, di un “perditempo geniale”, come è
stato mirabilmente definito da Siciliani de Cumis interrogando Eugenio
Garin (in A scuola con Socrate), è un’impostazione originale, ammonta a
una inedita costruzione del concetto non attraverso la deduzione da
principi primi, ma in base all’esame empirico di situazioni umane specifiche.
Labriola questo non poteva capirlo perché gli mancava la ricerca sul campo, come mancava a Croce e a tutti gli ipercritici delle scienze sociali,
Antonio Labriola e le scienze sociali
69
come, almeno in parte, mancava a Marx e a Engels (anche se si ha notizia di un questionario elaborato da Marx per gli operai inglesi e se è noto che i capitoli più “sociologici” del Libro primo del Capitale, quelli sulla
giornata di lavoro e sulla meccanizzazione della grande industria, che
forse devono molto a Engels, dirigente industriale a Manchester nella
succursale dell’azienda di famiglia, che aveva sede in Germania, a Brema, traboccano di osservazioni empiriche). La ricerca sul campo implica
l’uscita dal concetto tradizionale di cultura né può effettuarsi ritenendo a
priori che il ricercatore abbia, oltre la consapevolezza del problema, le
domande fondamentali già prima di iniziare la ricerca. Un ricercatore è
sempre anche un ricercato. Nessun fenomeno sociale può essere a priori
ipotizzato se non sulla base delle esperienze dirette di coloro che l’hanno
vissuto (siamo lontani anni–luce dalla cultura ancora prevalente, se si
considera che ancora recentemente, il 29 o 30 marzo 2005, in un editoriale del «Corriere della Sera» si può tranquillamente parlare del “popolo
bue”). Ma la cultura prevalente, intrinsecamente elitaria, viene da lontano e, con riguardo alla cultura italiana, chiama in causa testi come il
Sommario di pedagogia come scienza filosofica di Giovanni Gentile, in cui il
delirio iper–soggettivistico conduce, necessariamente e logicamente,
all’auto–fondazione del soggetto indipendentemente dalle circostanze
oggettive, ossia all’auto–ctisi.
La ricerca delle scienze sociali non può usare concetti essenzialistici,
quidditativi. Ha bisogno di concetti, che, nel Trattato di sociologia, ho definito operativi. Nel senso preciso che si tratta di concetti da operazionalizzare, ossia da scomporre nei loro componenti o variabili, in modo da poterli connettere con i parametri empirici messi in luce dalla ricerca sul campo, simultaneamente guidata, o orientata, dai concetti operativi e nello
stesso tempo in grado di verificare le ipotesi generali e le ipotesi di lavoro
specifiche attraverso la raccolta sistematica dei dati empirici pertinenti.
70
Franco Ferrarotti
2. Spiegazioni∗
[…] Ho molto rispetto per Antonio Labriola. Ho molto rispetto, in
generale, per il marxismo italiano così come stato pensato e rivissuto da
Antonio Gramsci in termini di egemonia sociale; ma io vedo Gramsci
come un marxista che si discosta da Lenin, in tema di classe rivoluzionaria. Per Lenin il partito è l’avanguardia organizzata e cosciente della
classe operaia e, quindi, è su una posizione elitaria. La classe operaia,
per quanto sia indubbiamente una “massa”, risulta guidata. Per Gramsci, al contrario, abbiamo soprattutto l’idea del partito come uno strumento di acculturazione delle masse popolari, le quali, a poco a poco,
stabiliscono un rapporto di effettiva padronanza sulla società. Egemonia
non è dittatura. Egemonia è una guida accettata liberamente, non imposta. Queste idee fanno parte della tradizione del marxismo italiano. E
non dimentichiamo che una siffatta tradizione ha certamente in Antonio
Labriola uno dei suoi grandi autori. Non si deve infatti dimenticare il
suo libro fondamentale, La concezione materialistica della storia: che è un
libro di grande interesse. Né si può tralasciare il fatto che Labriola fu
forse l’unico maestro riconosciuto da Benedetto Croce (che non era laureato). I grandi meriti del marxismo italiano hanno anche avuto, però,
un prezzo alto. Il marxismo italiano, cioè, è rimasto un marxismo, come
ha detto Lucio Lombardo Radice, imbevuto di idealismo e di soggettivismo. Un marxismo, che spiega ciò che io rimprovero in qualche modo
anche al partito comunista di Togliatti, che non ha mai avuto un grande
interesse per le ricerche sul campo, supponendo intellettuali marxisti seguaci di Marx e Engels, i quali riflettano sulla storia e facciano da guida
∗
Ciò che segue corrisponde ad alcuni stralci di un’intervista concessa da Franco
Ferrarotti a Olena Konovalenko, nel maggio 2005 e uscita su «Slavia» di gennaio–
marzo 2006, pp. 3–23. Titolo dell’intervista: Conversando con Franco Ferrarotti di “sociologia critica” e dintorni. Argomento della conversazione: La polemica Efirov–Ferrarotti su «Rassegna Sovietica» del novembre–dicembre 1976. L’intervista, soprattutto nelle
pagine qui riproposte, è, da diversi punti di vista, un ulteriore intervento su Antonio
Labriola e la sua Università: e ne riprende, direttamente o indirettamente, i temi e
problemi, in particolare a proposito di Labriola e le scienze sociali, dei rapporti Labriola–Croce, della “linea” Labriola–Gramsci–Togliatti e, dunque, di Labriola e la
“sociologia critica” di Ferrarotti.
Antonio Labriola e le scienze sociali
71
al proletariato, ma senza interrogarlo, senza avvertirne direttamente le
esigenze “di base”. Qui, a mio parere, Labriola ha avuto una grandissima funzione, nel criticare i socialisti riformisti e sociologi italiani della
fine dell’’800. Stranamente, però, le sue critiche ricordano un po’ quelle
che Efirov ha rivolto a me molti anni dopo. Di che si tratta? Si tratta,
sembra, di critiche superficiali, ad orecchio, intellettualmente arbitrarie,
politicamente disorientanti. E poi su queste critiche si innestano quelle
di Benedetto Croce, all’inizio del ‘900, quando comincia a pubblicare la
rivista «La Critica». E, in tal caso, si tratterà di critiche che Croce per così
dire capitalizza contro le scienze sociali, e specialmente contro la sociologia, da lui definita addirittura “inferma scienza”, mezzo inferiore di
vita intellettuale. Perché inferiore? Perché non dà vere conoscenze, ma
soltanto pseudo–concetti. E questo, che cosa significa in definitiva? Significa che in fondo il marxismo italiano resta un marxismo da professori, un marxismo che presume di sapere cosa la gente pensa senza che la
gente, interrogata, dica la sua. È ancora la vecchia cultura dominante
dell’Italia liberale. Io trovo che Antonio Labriola per il suo tempo ha fatto cose eccellenti. Ho molto rispetto per Labriola, ma Labriola non ha
mai fatto ricerche di prima mano, sul campo. Faceva le lezioni nell’agro
romano, parlava agli operai, ma non ha mai interrogato, ascoltato gli operai. Questo vale per tutta la cultura italiana, che è quindi rimasta profondamente asociologica, antisociologica e paternalistica, non aperta assolutamente alle istanze del “sociale”. Chi ha mai visto un professore fare le ricerche nelle borgate di Roma?
[…] Mi sento molto vicino a Nicola Siciliani de Cumis, devo dire non
tanto per gli studi pedagogico–educativi, che non ho… Come sociologo,
ho conosciuto in America (dove sono rimasto tre anni) le opere di John
Dewey, a Chicago. Dove c’era anche la scuola progressiva montessoriana. Ora, ammiro molto il professor Siciliani per ciò che ha fatto per il recupero critico di Antonio Labriola. Ha fatto moltissimo: e Labriola, nonostante le critiche che io gli rivolgo, resta indubbiamente un punto
fondamentale nella storia del marxismo e nella cultura italiana… Quanto a Siciliani, io lo ammiro soprattutto per quello che egli ha fatto con la
figura di Socrate. A mio parere, il suo volume A scuola con Socrate non è
solo una lunga intervista con Eugenio Garin. Più che un’intervista, è un
72
Franco Ferrarotti
costringere il genio a rivivere la sua esperienza. Per questo è molto bello
e interessante. Anche se, sul Socrate di Labriola, posso essere in parte in
disaccordo; o forse no. Ma si tratta solo di una piccola dissonanza: perché, per me, il Socrate che conta è quello di Senofonte, non quell’altro di
Platone (assai presente in Labriola, nonostante la scelta labrioliana della
fonte senofontea). Per me è soprattutto importante il Socrate «perditempo di genio». Sta qui, infatti, una vera e propria discriminante: che è
questa. Nella formazione dei concetti sociologici e non solo sociologici,
nella formazione dei concetti filosofici e dei concetti in generale, si può
procedere o per via deduttiva, da certi principi; oppure si può procedere
sulla base dell’esperienza, raccogliendo, direi quasi racimolando, per la
strada, dove capita, poniamo al porto di Atene, al Pireo, piccoli pezzi,
scampoli grezzi, schegge di concetti, magari preconcetti, pregiudizi. Ma
la formazione deve procedere dal basso. In Senofonte c’è il Socrate che
procede dal basso, che a mio giudizio è il vero Socrate, che dice una cosa
sola: di sapere di non sapere. Questo Socrate, evidentemente, si apre
molto all’esperienza e fa del lavoro sul campo. Il che è per me fondamentale. E arriviamo a quello che è il concetto di verità come frutto di
introspezione interiore oppure la verità intersoggettiva. È la verità partecipata; è la verità, noi diciamo, acquisita da una persona o da un gruppo, per così dire in esclusiva. Insomma, si è come degli esploratori in terra ignota; e ci si muove a poco a poco, cominciando sempre da ciò che
non si sa. In tal senso, il Socrate senofonteo è la rappresentazione vivente di questa specie di costante incertezza: è più creativo del Socrate platonico, che parte da una verità a lui già nota, come educatore è soprattutto un autopedagogo. Perché in fondo ― egli sembra dire ― nessuno
può nascondersi dietro la coscienza di un altro. Ecco perché il suo è un
processo autopoietico, che va stimolato, ma che non può essere comandato. Di qui tutti i problemi relativi al tema della verità intersoggettiva,
che è cosa che mi interessa molto. E da questo punto di vista penso che
oggi Siciliani de Cumis è uno dei pochi studiosi non sociologi, forse
l’unico a Roma, che si avvicina molto alla pratica sociologica. Mentre i
sociologi, paradossalmente, si stanno allontanando da questa posizione,
perché attratti dal bisogno, dai soldi, dalla politica. Diventano sempre
più tecnici al servizio di un padrone, tecnici sul mercato, sono a disposizione del miglior offerente. Secondo me, non sono manco più studiosi,
Antonio Labriola e le scienze sociali
73
scienziati. Ecco, in questo senso, per me Siciliani de Cumis resta una figura straordinaria. La pedagogia in Italia, che è stata, soprattutto, istituita dal fascismo, aveva la sua natura, diciamo così, di educazione
dall’alto e di formazione a seconda dei bisogni del regime. Un po’ come
poteva essere nell’unione Sovietica staliniana oppure nella Germania
nazista. Mentre la pedagogia gentiliana (di Gentile, vedi Genesi e struttura della società) era la mente del fascismo. Siciliani, che rinvia al Socrate di
Senofonte, si muove all’opposto nel solco di questa grande tradizione,
per cui la verità nessuno può dire di averla in esclusiva; è una conquista.
Non si conosce. Il sapere, invece, è una impresa collettiva; un’impresa
interindividuale; ed è, quindi, un patrimonio comune, una conquista
proprio intersoggettiva. Si potrebbe anche chiamarla una lucidità condivisa. E questo, naturalmente, porta me in particolare molto vicino a Siciliani. Perché allora, evidentemente, l’identità è correlativa all’alterità.
Così mi sento anche vicino alla filosofia moderna, più che a Sartre e a
Heidegger, che non hanno il senso dell’alterità. E da questo punto di vista Siciliani sta facendo un ottimo lavoro. Io gli ho mandato anche un
lungo pezzo su Sartre dove metto in luce questa negatività di Sartre…
Già i greci, ho trovato in Plutarco, diventano consapevoli della loro
grecità. Essi sono in contatto con i barbari non greci, ma questo è un altro discorso…
[…] Si può dire che Gramsci abbia naturalmente studiato e intensamente vissuto il marxismo, ma con alcuni gravi limiti imputabili non a
lui ma a due fattori: il primo è che dopo tutto Gramsci era in carcere e
non aveva tutti i libri che voleva avere; in secondo luogo: alcuni libri, alcuni testi di Marx furono pubblicati soltanto molto più tardi. Per esempio, i fondamentali Manoscritti economico filosofici del 1844 hanno visto la
luce soltanto pochi anni fa, e i Grundrisse (gli “elementi” dell’economia
politica), anche questi sono stati pubblicati solo recentemente. In ogni
caso, la visione che Gramsci offre del marxismo è una visione non materialistica inerte, non è una visione positivistica come fu anche quella di
Engels. Direi piuttosto che in Gramsci, forse anche perché era un militante politico, un capo partito, c’è una forte componente di dimensione
soggettivistica e volontaristica. Vale a dire che il marxismo di Gramsci è
un marxismo anche un po’ idealistico, nel senso che l’attività del sogget-
74
Franco Ferrarotti
to è fortemente sottolineata; e nel senso che la rivoluzione è un compito
umano perseguibile, non è un esito fatale della storia. Questo lo avvicina
molto a Lenin: anche se la grande differenza fra Lenin e Gramsci, a mio
giudizio, è probabilmente anche una differenza legata al retroterra storico della Russia rispetto all’Europa occidentale. Il fatto è che, per Gramsci, questo elemento soggettivistico e questo elemento volontaristico non
si devono tradurre in una forma di dominio dittatoriale sulle masse, viste soltanto come uno strumento passivo per attuare la rivoluzione nella
nuova società. Il che credo si possa dire per Lenin. Per Gramsci, invece,
il momento volontaristico deve indicare la partenza del movimento rivoluzionario dalla base della società; ed è per questo che Gramsci organizza a Torino i consigli operai. Lei mi dirà che certamente anche Lenin,
Plechanov, Lunačarskij, Bucharin e tutti gli altri hanno costituito il soviet… Certamente, questo è vero. Tuttavia la grande differenza sta in
ciò: che Gramsci, in carcere, nei suoi Quaderni del carcere, avvia una riflessione nuova, originale. Infatti, c’è in Gramsci un’idea delle masse non
come masse di urto, non come masse di manovra, non come strumento
della rivoluzione. Da una parte c’è l’avanguardia organizzata e cosciente
degli intellettuali, dei militanti, del partito; dall’altra ci sono le masse,
che vengono messe in movimento, orientate da questo inizio. E si tratta
di un’avanguardia cosciente, che interagisce sugli altri non ancora coscienti, mediante i “Consigli di base”. Mentre Lenin parla di dittatura
del proletariato, Gramsci sviluppa questo concetto di egemonia. Ora la
dittatura che cos’è? La dittatura è uno strumento di lotta, meglio è una
formazione giuridica che prende su di sé tutto il potere e lo fa valere, lo
detta. La dittatura vuol dire dettare proprio quel che va fatto. L’egemonia
invece è anche una guida, una guida in qualche modo collettiva, collegiale, consiliare; e, quindi è una egemonia che non s’impone alla società,
ma la aiuta a diventare consapevole di se stessa e dei propri scopi. Molti
mi hanno detto che questa mia concezione dell’egemonia è insostenibile.
Gramsci, in realtà, parla di egemonia e di filosofia della prassi e non di
marxismo. A rilevarlo è stato soprattutto Louis Althusser, un filosofo
marxista francese. Diceva che Gramsci aveva preferito adoperare espressioni “egemonia” e “filosofia della prassi”, al fine di evitare la censura
del carcere. Io non lo credo. Gramsci non aveva tutto questo bisogno di
nascondersi, perché il sistema carcerario italiano come tutte le cose ita-
Antonio Labriola e le scienze sociali
75
liane… No, non era questo. Il fatto è che Gramsci si stava allontanando
molto da Lenin. E dentro il Partito comunista italiano ci fu un forte dissenso da lui. Addirittura, pareva che Gramsci potesse essere messo in
libertà, ma che Togliatti, da Mosca, non facesse nulla in tal senso. Anche
Umberto Terracini fu su una posizione un po’ anarchica… Gramsci, per
altro, si collegava anche alla tradizione libertaria italiana, giacché l’Italia
è stato il paese in cui, per esempio, Bakunin ha avuto grande successo. I
nostri primi socialisti erano anarco–sindacalisti. Il Mussolini della prima
maniera era socialista, era anarco–sindacalista. Era molto vicino a Pietro
Nenni, che poi, caduto il fascismo, fu riconosciuto capo dei socialisti. Il
“caso” Gramsci è molto strano; e, per un chiarimento sul punto che qui
interessa, non dimentichiamo la sua radice sarda. Ancora oggi, gli “anarco–insurrezionalisti” (come oggi li chiama il ministro degli interno),
vengono dalla Sardegna. In fondo Gramsci era sardo. Ma l’argomento
chiama in causa il concetto del potere, duramente legato alla questione
della “dittatura del proletariato” e ai relativi snaturamenti politici. Lenin
temeva tale esito: tant’è che, in punto di morte, ha cercato di mettere in
guardia i suoi compagni verso Stalin. Invece per Gramsci c’è un altro
concetto, il concetto di egemonia. Egemonia, che definirei come una sorta di effetto di padronanza, che la società riconosce a se stessa quando ha
raggiunto nel suo insieme un certo grado di consapevolezza critica; guidare senza dominare. Quindi: nessun salto, nessuna marcia forzata, nessuna dogmatica indicazione su cosa bisogna fare; altrimenti, non resta
che la ghigliottina o la Siberia. Invece no, occorre lasciare che le cose crescano dalla base.
[…] Togliatti, io ho avuto il piacere di conoscerlo a Torino. Allora ero
un giovanotto e lavoravo nei giornali. Togliatti è sempre stato un ottimo
burocrate, un funzionario attento, intelligente; lo chiamerei persino una
specie di “canonico” della chiesa cattolica. Un cardinale. Ho avuto modo
di sentire nella Camera dei deputati i suoi eccellenti discorsi. Era un
grande organizzatore e non certo un rivoluzionario. Era un uomo che
aveva saputo sopravvivere in circostanze difficili. Ci vuole molta capacità per fare ciò. Ho conosciuto il suo segretario personale, quando faceva
la sua rivista, qui a Roma, che si chiamava «Rinascita». Togliatti scriveva
con un inchiostro verde… Era un umanista, aveva una buona conoscen-
76
Franco Ferrarotti
za dei classici latini, non di quelli greci. Era uomo di cultura. Come del
resto Terracini, che era con lui alla nascita del partito comunista, nel
gennaio del 1921, a Livorno. Un uomo, un giurista, di finissimo ingegno.
Terracini era abbonato ad una piccola rivista, che facevo all’epoca, la
«Rivoluzione umana». Terracini aveva una natura anarchica, che lo rendeva molto più aperto di Togliatti. Da libertario, fece scalpore perché, ad
un certo punto (mi pare verso 1946–1947, comunque prima del 1950),
mise gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sullo stesso piano, definendoli
due imperi. Fu molto duramente censurato dal partito. Togliatti fu un
uomo molto abile, capace di portare il partito comunista in Italia al massimo della sua forza. Ad un certo punto i comunisti avevano preso circa
un terzo dei voti, il 30 per cento. Avrebbero potuto conquistare il potere.
Quando Togliatti subì un attentato (uscendo dal Parlamento, uno studente gli aveva sparato due colpi di pistola alla nuca, ma lui sopravvisse), la prima cosa che disse nell’ospedale fu: «non fate sciocchezze, non
fate la rivoluzione, state buoni, state tranquilli». Un capo, direi proprio,
molto italiano: in Italia si parla sempre di rivoluzione perché nessuno ci
crede. Si parla, si parla di rivoluzione, però poi è meglio se la rivoluzione non avviene… «Non fate sciocchezze»: e, difatti, gli operai andarono
a cercare i capitalisti, li picchiarono… Però poi, su richiesta di Togliatti,
tutto fu messo a posto. Togliatti era anche uomo di una grande forza fisica. Una volta, mentre era in vacanza in Val d’Aosta, ebbe un grave incidente automobilistico. Miracolosamente sopravvisse. Morì anni dopo,
in Crimea. Fu un grande ragionatore, molto raffinato. Ma non un rivoluzionario.
[…] Il comunismo, per un uomo come Togliatti, non dipendeva dalle
decisioni nazionali, ma dipendeva dal quadro generale globale. E ad certo punto, la causa del comunismo, della rivoluzione comunista, se aveva
un senso per lui, lo aveva solo in quanto si legava all’avvenire, al destino
dell’Unione Sovietica. Quando infine l’Unione Sovietica è crollata, i comunisti italiani si sono trovati orfani. I comunisti italiani che oggi si
chiamano DS, Democratici di sinistra, non hanno ancora fatto i conti con
loro passato. Di ciò li rimprovero, ma senza esagerare. Con gli orfani bisogna essere buoni. Quello che io trovo straordinario in Togliatti è il suo
forte senso della continuità; egli era veramente un conservatore. Arriva-
Antonio Labriola e le scienze sociali
77
to in Italia a Salerno, la prima cosa che fa, è dire: «Basta, non si fa né la
rivoluzione né il comunismo, bisogna mettersi d’accordo con la monarchia». Perché? Perché il primo scopo dell’Italia era liberarsi dal fascismo
e dai nazisti, dai tedeschi con tutte le forze. Era la famosa svolta di Salerno. Grande tattico, ebbe tuttavia scarso interesse per la strategia. Però,
con questa politica che chiamerei minimalistica, egli ha guidato alla
grande il partito comunista. Non c’era un intellettuale che non fosse almeno simpatizzante del partito comunista. I giornali seri, le buone riviste, le case editrici come la Einaudi, erano tutti legati o simpatizzanti con
il partito comunista. Alcuni adesso rimproverano cose del genere. Troppo facile. Perché non lo hanno fatto allora? Io lo ho sempre rimproverato. Per esempio, Togliatti votò in Parlamento (è questa l’ultima cosa che
voglio dire) l’inclusione nella Costituzione italiana dei patti lateranensi,
stipulati dal fascismo con la Chiesa cattolica, l’11 febbraio del 1929. Togliatti firmò, accettò nel Parlamento l’inclusione di quei patti nella Costituzione italiana, il famoso articolo 7 della Costituzione italiana, che indirettamente riconosceva la religione cattolica come la religione dello Stato
italiano. Non ci fu una sollevazione contro di lui; ma solo una levata di
scudi, da parte della gente come me, ragazzacci o libertari: che dicemmo
a chiare lettere «Togliatti ha sbagliato». In realtà, la sua scelta di voto faceva parte di un suo calcolo. Un calcolo, che consisteva nell’addormentare un po’ l’avversario. Non ho mai capito, francamente, se tutta la sua
politica fosse o meno una mossa tattica. Una politica, forse, per addormentare un po’ l’avversario. Non a caso, ad un certo punto, proclamò
grande statista Giovanni Giolitti: il vecchio Giolitti che, in fondo, era un
liberale conservatore, molto ammirato da Croce, nemico della sociologia.
Non ho mai capito se tutto questo era per addormentare l’avversario,
per poi dargli un colpo mortale. Ma io questo non lo credo. Perché,
quando uno ha un simile atteggiamento accomodante con le persone,
poi non è più capace di dare una pugnalata. Come fa? Diventa se mai
vittima del suo stesso gioco. Anche il partito diventò poi molto grande:
perché il Partito comunista italiano, fino ai suoi ultimi tempi, imbarcava
persone che non erano comunisti, magari solo vagamente antifascisti.
Per riassumere, mentre Gramsci era un grande leader veramente rivoluzionario, Togliatti non lo fu. L’occupazione delle fabbriche a Torino negli anni 1920–1921 era stato un grande fatto; l’«Ordine nuovo» fu un im-
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Franco Ferrarotti
portante giornale di battaglia, perché prendeva le mosse dalla base della
società per costruire veramente una società nuova. In Gramsci c’era questa esigenza “di base”, che in Lenin invece non c’era. Anche Togliatti sosteneva, che la nuova società post capitalistica doveva nascere e crescere
dalla base della società; non doveva essere imposta come una riforma.
Erano le persone che dovevano essere convinte che quella avrebbe potuto essere la società migliore. E questa era una concezione molto diversa
del potere. In Lenin vive l’idea di un potere dittatoriale brutale; l’idea
dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Per Lenin c’era molta ammirazione in
Italia. Indubbiamente, egli fu un uomo incredibile, un rivoluzionario di
professione. Per Togliatti, invece, la politica era accomodamento, analisi
delle forze in campo, volontà di non correre pericoli, di non scommettere sulla rivoluzione, scommessa troppo pesante.
[…] Prima di tutto ho avuto la grande fortuna di avere la prima cattedra di Sociologia in Italia, come conseguenza, quasi, della mia lunga
polemica contro Croce, il neoidealismo, il marxismo staliniano, il diamat,
eccetera. E tutti pensavano che avendo la cattedra, mi sarei messo tranquillo, invece no. Perché lo stesso spirito che mi muoveva come critico,
un po’ anarchicheggiante, contro l’idealismo, contro il marxismo, contro
il cattolicesimo bigotto, diciamo contro la mancanza di libertà, mi muoveva anche contro la sociologia. Io non volevo, cioè, una sociologia di establishment; non volevo essere un sociologo all’americana, che è un tecnico sociale, a cui si domanda di risolvere un problema circoscritto. Io
volevo una sociologia in senso ampio, grande, cioè capace di fare le ricerche empiriche molto bene (e questo in America lo fanno); ma anche
capace di collegarsi con il pensiero sociale europeo, con la grande tradizione occidentale. Allora, io mi sono trovato ad essere anche contro i sociologi, e perché? Forse perché spiegavo che la sociologia non era sociografia; non bastava, cioè, a descrivere una situazione pratico–inerte; doveva invece condurre ad un’analisi sociologica, che fosse nello stesso
tempo accertamento del dato e consapevolezza critica: quindi, accertamento scientifico e trascendimento della situazione. Non bisognava fare
la sociologia descrittivistica, che io chiamavo sociografismo demografico
e statistico, bisognava fare la sociologia critica. Quella sociologia critica,
che non aveva avuto molta fortuna. Gran parte dei sociologi in Italia e
Antonio Labriola e le scienze sociali
79
fuori, del resto, sono ancora oggi legati alle istituzioni. Non è un mistero.
Come non è un mistero, che io non faccio parte di alcuna istituzione. Io
vivo qui, vivo a casa poco lontano da qui, vivo in questa specie di ufficio
e faccio la mia rivista. Però, secondo me, la sociologia, quando rinuncia
alla sua vocazione critica, rinuncia anche a studiare bene le cose che dovrebbe studiare. Come un raggio di luce entra nello spettrometro e viene
suddiviso nei vari colori dell’arcobaleno, così un fatto sociale studiato
dalla sociologia dovrebbe non soltanto rivelare le sue caratteristiche di
fatto, ma dovrebbe pure rivelare le motivazioni profonde che stanno alla
base di esso. In altre parole, per me la sociologia è il tentativo di risalire
dal comportamento osservabile alle motivazioni interne, dall’esterno
all’interno. E, quindi, scoprire la verità interna sia delle strutture istituzionali sia delle persone. Ecco perché la sociologia deve avere una impostazione multidisciplinare: perché non c’è sociologia senza scienze sociali (antropologia, etnologia, psicologia dal profondo, psicologia sperimentale), senza storia, senza filosofia, ecc. Per me la filosofia è molto
importante. Io trovo che oggi i sociologi che s’incontrano ai convegni
non hanno letto i classici, sono ignoranti, non ragionano in maniera filosofica, non vanno fino in fondo, non pensano fino in fondo i loro pensieri. E, poi, non leggono, non conoscono la letteratura. La letteratura non è
un fatto esornativo; non è neppure un’attività di “rispecchiamento”; la
letteratura è la manifestazione dello spirito interiore che muove la gente.
Un sociologo che non conosca la letteratura del paese in cui opera, o anche di altri paesi, è finito; non ha basi comparative. Tuttavia, l’obiezione
che si fa alla mia posizione qual è? È che, in effetti, questa sorta di impostazione sinottica, globale può comportare un pericolo, cioè il pericolo
del dilettantismo, della superficialità, di una specie di parafilosofia che è
anche poi una parasociologia. Questo è vero. Lo ammetto. Però, sulla
base di questa impostazione sinottica, si può affermare che un tema sociologico preciso da indagare, vada poi indagato in profondità. Esempio:
io ho scritto il libro Giovani e droga; è chiaro che ho dovuto interrogare
dei giovani drogati. Ma, poi, sono risalito alle famiglie, sono risalito alla
cultura da cui provenivano, alla classe sociale. Questo mi ha portato non
solo alla sociologia critica, ma alla adozione dei metodi qualitativi: e qui
c’è una sorta di congiunzione con il nostro amico Siciliani de Cumis. C’è
stata una svolta nella svolta: dunque, prima, sociologia, cattedra di so-
80
Franco Ferrarotti
ciologia, sociologia dell’ordine, sociologia ufficiale, sociologia alla sovietica o alla americana, poi, sociologia critica, ma non basta. C’è stata una
nuova sociologia qualitativa. Non per negare la quantità; ma per affermare che la quantità viene dopo. In altre parole: prima, se voglio capire,
poniamo, l’industrializzazione, devo parlare con coloro che la vivono —
con gli operai. Non devo immaginare io per loro ideologicamente.
Quando loro mi hanno parlato, ho raccolto questo materiale, queste storie di vita. Io le ho analizzate bene. E dall’analisi qualitativa dei problemi, così come sono state vissuti dalle persone–soggetti della ricerca, scaturisce che il soggetto della ricerca non è il ricercatore, ma le persone.
Sono loro che fanno la ricerca. Il ricercatore, anzi, è anche lui un ricercato. Allora finalmente, dal complesso delle testimonianze tra osservazioni
sistematiche e dati empirici, io posso ricavare, se va bene (ma non sempre va bene), delle ipotesi di lavoro.
Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola.
Centenari significativi∗
Remo Fornaca
È tutto da leggere e da consultare il grosso volume–catalogo dedicato
a Antonio Labriola e la sua Università, curato con la dedizione e la competenza proprie di Nicola Siciliani de Cumis. La presenza della qualità e
della quantità di interventi, documentazioni, riflessioni, apparati iconografici sono uno stimolo a riconfrontarsi con un grande esponente della
cultura e della vita civile e politica italiana ed internazionale e, nello
stesso tempo, con un periodo storico quanto mai significativo sotto tutti
i punti di vista. La compresenza celebrativa dei settecento anni della
«Sapienza» (1303–2003) e del centenario della morte di Labriola (1843–
1904), oltre che un atto dovuto, è anche la viva testimonianza della sua
fervida attività accademica come docente di filosofia morale, pedagogia,
filosofia della storia e come attivo studioso dei problemi dell’Università,
della scuola, dell’istruzione popolare, delle scienze dell’educazione, secondo prospettive non contingenti, ma con una serie meditata di approfondimenti1.
C’è da aggiungere, e non è credo una nota a margine, che non tutti i
conti con Labriola siano stati fatti, anche in rapporto a quanto è stato
detto e scritto su di lui e sui dibattiti e orientamenti contemporanei. Per
questo ci preme dare spazio, sia ad alcune sintesi contenute nel volume,
sia ad alcuni dei riscontri a cui i diversi e sempre molto documentati interlocutori fanno riferimento. Siciliani de Cumis è molto esplicito: «Il
Labriola, dunque, che filosoficamente parlando nasce e muore hegeliano, pur aprendosi variamente nel corso della vita, ma sempre dall’interno
del “principio dell’hegelismo”, allo herbartismo, al “positivo” dei positi∗
In «I problemi della pedagogia», settembre–dicembre 2005, nn. 5–6, pp. 535–543.
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura
di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005.
1
82
Remo Fornaca
visti, all’empirismo di linguisti, psicologi, economisti, sociologi, statistici, naturalisti, e quindi all’esperienza pedagogica nella sua organicità,
complessità e scientificità. Il Labriola delle “preformazioni” e delle “neoformazioni” storiche e sociali, che incidono dialetticamente sull’individuale
e sul collettivo, o come egli preferisce, geneticamente, dunque, morfologicamente, sullo psicologico, sull’economico, sull’etica, sull’educativo e sul
politico–sociale»2. Una sintesi condivisibile e molto efficace che fa giustizia di posizioni datate e tiene giustamente conto delle presenze e dei
confronti sociali, politici, culturali, filosofici, pedagogici, educativi prima
e dopo l’avvento della sinistra storica in Italia, dei vecchi e nuovi movimenti culturali in Italia, in Europa e nell’ambito internazionale. Recensendo la Storia della pedagogia italiana – P. II – Dal secolo XVI a dì nostri di
Emanuele Celesia su la «Nuova Antologia» (1874), Labriola aveva scritto: «Perché purtroppo in Italia la scarsa letteratura nazionale di opere
pedagogiche e la poca diffusione delle opere straniere hanno resa larga,
perché imprecisa, la nozione di pedagogia»3. Una convinzione che coincide con le posizioni assunte da Labriola nei confronti della Legge Casati
(1859), ma anche dei tentativi innovativi della Legge Coppino (1877) e
delle variegate posizioni politiche, filosofiche, pedagogiche, storiche e
storiografiche, scientifiche espresse e maturate nella seconda metà
dell’Ottocento e diventate dirimenti proprio tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento e tali da aver caratterizzato molta parte di questo
secolo.
Le esplicitazioni autobiografiche di Labriola sono da mettere in correlazione alla necessità di precisare nei confronti di diffuse ed emergenti
critiche momenti ed aspetti della propria formazione e delle proprie e
motivate scelte: «Per fortunate contingenze della mia vita, io avevo fatto
N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola
e la sua Università, cit., pp. 27–39, 28; ID., Antonio Labriola critico della cultura del suo
tempo. I concetti, le parole, i segni, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 103–
109; A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET,
1981.
3 A. LABRIOLA, Storia della pedagogia italiana. P. II – Dal secolo XVI a dì nostri, in
«Nuova Antologia», 1874, pp. 527–528, ora in: ID., Ricerche sul problema della libertà e
altri scritti di filosofia e di pedagogia (1870–1883), a cura di L. Dal Pane, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 305–306.
2
Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola
83
la mia educazione sotto l’influsso diretto e genuino dei due grandi sistemi, nei quali era venuta al termine suo la filosofia, che oramai possiamo chiamare classica; e ossia dei sistemi di Herbart e di Hegel, nei quali
era arrivata all’estremo delle conseguenze l’antitesi tra realismo e idealismo, tra pluralismo e monismo, tra psicologia scientifica e fenomenologia dello spirito, tra specificazione dei metodi e anticipazione di ogni
metodo nella onnisciente dialettica. Già la filosofia di Hegel aveva messo
a capo nel materialismo storico di Carlo Marx e quella di Herbart nella
psicologia empirica, comparata, storica e sociale»4.
Labriola, come risulta da molti interventi presenti nel volume, fu sempre molto attento ai problemi relativi ai processi cognitivi, ai termini, ai
linguaggi, all’epistemologia, ai metodi di ricerca, di documentazione e interpretazione, al significato di scienza, ai rapporti interdisciplinari e relative differenze. Torneremo sulla proposta e sull’uso del termine e della
terminologia “critica” da parte di Labriola; efficace la sua contrapposizione al verbalismo, al fraseologismo, al formalismo, all’ideologismo, alle sofisticherie, alle imprecisioni terminologiche, di contro alla chiarezza dei
linguaggi, alla definizione dei concetti, al dialogo, alla necessità di non
“chiudersi in un sistema come in una sorte di prigione”5.
I rapporti di Labriola con la cultura ed in particolare con quella storica, sociale, economica, filosofica, pedagogica, scientifica sono articolati e
coerenti; da Socrate a Spinosa, da Galilei a Newton, dall’empirismo
all’illuminismo, da Kant a Hegel a Herbart a Marx, dal naturalismo ingenuo al positivismo fino alle soglie del neopositivismo, al neoidealismo, alla “filosofia di privato uso ed invenzione” di Nietzsche e di Hartmann le riflessioni ed i confronti riguardano le modalità di concettualizzazione, il ruolo dell’esperienza, i limiti del pensiero puro e delle categorizzazioni artificiali, le differenze tra evoluzione e progresso ed in
particolare il modo di concepire la scienza. Un problema quest’ultimo
che sarà dirimente, specie in Italia, alla fine dell’Ottocento ed all’inizio
del Novecento all’interno del positivismo e nelle impostazioni di Croce e
A. LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, a cura e con introduzione di
E. Garin, Bari, Laterza, 1965, pp. 241–242; ID., Saggi sul materialismo storico, a cura di
V. Gerratana e A. Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1977; ID., Scritti politici 1886–1904, a
cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970.
5 SICILIANI DE CUMIS, Il criterio “morfologico” secondo Labriola, cit., p. 28.
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84
Remo Fornaca
di Gentile. Lo preoccupava la naturalizzazione della storia ma non meno
la costruzione di apparati filosofici e pedagogici avendo come riferimento singole discipline. Riprendeva ancora nel 1902: «Qui non siamo nel
campo della fisica, della chimica o della biologia; ma cerchiamo soltanto
le condizioni esplicite del vivere umano, in quanto non è semplicemente
animale»6. Criticava «l’illusione dell’ordine naturale» ed insisteva sulla
necessità di «mettere il pensiero scientifico in servizio del proletariato»7.
Aggiungeva: «La nostra dottrina non pretende di essere la visione intellettuale di un gran piano o disegno, ma è soltanto un metodo di ricerca e di
concezione»8. Molto citata è la sua affermazione: «Le idee non cascano
dal cielo e anzi, come ogni altro prodotto dell’attività umana, si formano
in date circostanze, in tale precisa maturità di tempi, per l’azione di determinati bisogni, e pei reiterati tentativi di dare a questi soddisfazione,
e col ritrovamento di tali o tali altri mezzi di prova, che sono come
gl’istrumenti della produzione materialistica della storia»9. Le idee, insisteva, germogliano dal terreno delle necessità sociali, come i caratteri, le
tendenze, i sentimenti, le volontà, le forze morali10. In queste e tante altre
affermazioni è da cogliere il significato che Labriola attribuiva al “materialismo storico” aggiungendo (20 giugno 1897) che «il materialismo storico, come è la filosofia della vita e non delle parvenze ideologiche di questa, sorpassa l’antitesi dell’ottimismo e del pessimismo; perché ne supera i termini comprendendoli»11.
Metodo genetico e approfondimento critico s’intersecano; compito
del filosofo è di essere critico della conoscenza, del pensiero, della società, dell’economia, della politica, delle concezioni pedagogiche, dei diffusi pregiudizi ed in termini più immediati del volontarismo, dell’utopismo, delle mitologie filosofiche. Criteri che applicava anche nei confronti del socialismo utopistico; il comunismo «cessa d’essere speranza,
aspirazione, ricordo, congettura, o ripiego»12 e diventa «coscienza della
LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit. p. 63.
Ivi, p. 49.
8 Ivi, p. 85.
9 Ivi, p. 97.
10 Ivi, p. 110.
11 Ivi, p. 251.
12 Ivi, p. 9.
6
7
Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola
85
propria necessità; cioè nella coscienza di esser l’esito e la soluzione delle
attuali lotte di classe»13. L’attenzione è rivolta all’approfondimento delle
strutture economiche, alle nuove rivoluzioni sociali, alla consapevolezza
storica, agli intenti razionali, alle innovazioni scientifiche14. Borghesia e
proletariato, «l’uno e l’altra sono il risultato di un processo di formazione, che tutto poggia sul nuovo modo di produrre i mezzi necessari alla
vita; cioè tutto poggia sul modo della produzione economica»15. Fattori,
situazioni economiche, sociali, storiche che portano Labriola a far coincidere la prospettiva economica con quella etica quando sottolinea «il
postulato della solidarietà contrapposto all’assioma della concorrenza»16.
Si tenga sempre presente che Labriola è convinto che i conti debbono essere fatti con una pluralità di società, di classi, di gruppi sociali “organizzati” e istituzionalmente costituiti, e che «la relatività delle leggi economiche era scoverta; ma al tempo stesso era riconfermata la loro relativa necessità» (7 aprile 1895)17. Così dicasi della cultura (“nella quale, appunto gli idealisti ripongono la somma del progresso”): «La maggior
parte degli uomini, per la qualità delle cure e delle occupazioni in cui attende si trova ad essere come di individui disgregati, fatti in pezzi, resi
incapaci di uno sviluppo completo e normale. Alla economica delle classi,
ed alle gerarchie delle situazioni sociali, risponde la psicologia delle classi… Le macchine, che segnano il trionfo della scienza, divengono, per le
condizioni antitetiche della compagine sociale, gli istrumenti da proletarizzare milioni e milioni di già liberi artigiani e contadini»18. Ben distanti
e se ne capisce anche il motivo restano le posizioni di Croce e di Gentile
sia quando si confrontano con il materialismo storico, sia quando propongono i distinti (Croce) o la dialettica di arte, religione, filosofia (Gentile); una differenza, diciamolo subito, che ha riguardato l’impostazione
e la realizzazione della politica scolastica (specie Gentile) ed il rapporto
tra filosofia e pedagogia con il misconoscimento di quest’ultima da parte
Ivi, p. 9. Cfr. G. GIARRIZZO, Labriola: La critica della società e della politica, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 97–103.
14 LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 18 e sgg.
15 Ivi, p. 19.
16 Ivi, p. 328.
17 Ivi, p. 52.
18 Ivi, p. 86.
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Remo Fornaca
di Croce e con la coincidenza, quasi l’inchiodatura, tra filosofia e pedagogia di Givanni Gentile, con l’annesso sistematico attacco, a partire non
solo dal 1900, alla pedagogia ed alla psicologia herbartiana e la proposta
di un concetto della pedagogia scientifica che tutto era tranne che scientifica19.
Non sono queste considerazioni a margine perché Labriola non sta al
gioco delle parole, pretende l’esplicitazione delle impostazioni e delle
interpretazioni (anche in questo la sua attualità è fuori dubbio), specie
quando, tra l’altro, sono in discussione le questioni relative alle concezioni dello Stato, ai rapporti tra Stato e Chiesa, alle implicazioni del diritto alla cittadinanza, alla rappresentatività, al ruolo del Parlamento.
Quanto mai precisa è la sua attenzione alla storia del diritto, all’ideologia del diritto naturale, al diritto romano, al diritto canonico, alle costituzioni (da chi, in che modo sono scritte, con quali finalità). Le questioni
relative all’insegnamento della religione nelle scuole (la sua è una panoramica internazionale), al divorzio, sono importanti, però vanno rapportate all’identità ed al ruolo delle forze sociali e delle istituzioni: «Ogni diritto fu ed è la difesa, o consuetudinaria, o autoritaria, o giudiziaria, di
un determinato interesse; e di qui alla riduzione all’economia non c’è
che un passo»20.
In un periodo storico e culturale che si avviava all’avvento del movimento modernista Labriola (2 luglio 1897) a proposito del cristianesimo
scriveva: «Il problema più grave e più scabroso in tutta la storia del cristianesimo è appunto questo: d’intendere, cioè come dalla setta degli assolutamente eguali sia nata, nel termine di men che due secoli, una associazione di differenziati per gerarchia, in guisa, che da una parte sta il
popolo dei credenti e dall’altra stanno gl’investiti di potestà sacra. Questa differenziazione gerarchica si completa col dogma, il che vuol dire
con un dettame, che sopprime la immediatezza del credere nei singoli
fedeli quale fatto di personale vocazione… Ciò che io vedo chiaro è solo
questo; che il cristianesimo, che nel suo complesso è la religione dei po-
B. CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica (1900), Bari, Laterza, 1961;
G. GENTILE, La filosofia di Marx, Pisa, 1899; ID., Il concetto scientifico della pedagogia
(1900). Cfr. R. FORNACA, La pedagogia filosofica del ‘900, Milano, Principato, 1993.
20 LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 123.
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Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola
87
poli fino ad ora più civili, non lascerà luogo dopo di sé ad alcun’altra religione nuova. Chi d’ora innanzi non sarà cristiano, sarà irreligioso»21.
Altre due importanti costanti: la laicità ed il panorama internazionale.
Una laicità che non gli impedisce, anzi lo sollecita a studiare il ruolo delle religioni sotto l’aspetto sociale ed istituzionale in Europa e specie nel
mondo anglosassone. Un panorama internazionale presentato alla luce
della diffusione della tecnica e del mercato: «Se la tecnica moderna può
portarsi da ogni dove, se tutto l’uman genere apparisce come un solo
campo di concorrenza, e tutta la terra come un solo mercato, che meraviglia c’è se la ideologia, che codeste condizioni di fatto intellettualmente riflette, è venuta nell’affermazione, che la presente unità storica sia
stata preparata da tutto ciò che la precede?»22.
La sua impostazione educativa, pedagogica, scolastica è strettamente
legata alla molteplicità dei problemi individuati, fatti emergere, approfonditi alla luce di una situazione umana molto complessa. Alcune citazioni esemplari: «Perché il genere umano, nel rigido corso del suo divenire, non ebbe mai tempo e modo di andare a scuola da Platone o da
Owen, da Pestalozzi o da Herbart. Anzi ha fatto come gli è stato forza di
fare. Gli uomini, che presi in astratto sono tutti educabili e perfettibili, si
son perfezionati ed educati sempre quel tanto, e nella misura che essi
potevano, date le condizioni di vita in cui è stato loro necessità di svolgersi. Se mai, questo è appunto il caso in cui la parola ambiente non è
metafora, e l’uso del termine accomodazione non è di traslato»23. Si confrontava con le posizioni di quando «la psicologia non era ancora una
scienza», quando «gli spiritualisti di ogni maniera potevano sbizzarrirsi
a fare dell’io l’attributo extratemporale di uno spirito sovrastante ad ogni
genesi, quando gli idealisti che ripetevano Fichte potevano far dell’io
una trascendente autoposizione, o il noi non si affacciava, o si presentava nella immaginazione di un preteso spirito collettivo ed extraindividuale… Ma questi individui, venendo al mondo, non si svolgono come
isolati subbietti di fronte alla natura e nella natura soltanto. Si svolgono
LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 274. Problemi già affrontati in Morale e religione (Napoli, Tip. Ferrante, 1873) e in Della libertà morale,
(Napoli, Tip. Ferrante, 1873).
22 LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 147.
23 Ivi, p. 128.
21
88
Remo Fornaca
nella cerchia sociale che determina in ciascuno di essi caratteri omogenei, che sono appunto il prodotto di tale correlatività sociale. Un certo
modo di parlare, un certo ritmo di sentimento, certe comuni fantasie, e
soprattutto la imitazione delle funzioni operative»24 (1902–1903). Del resto era stato molto esplicito quando aveva affermato: «C’è una pedagogica, direi individualistica e soggettiva, la quale, supposte le condizioni
generiche della perfettibilità umana, costruisce delle regole astratte, per
mezzo delle quali gli uomini che sono in via di formazione sarebbero
condotti ad essere forti, coraggiosi, veritieri, giusti e benevoli, e così via
per tutta la distesa delle virtù cardinali e secondarie»25. Emerge ancora
una volta la critica alla pedagogia ingenua, alla pedagogia superficialmente utopistica, allo scientismo utopistico ed il richiamo ad Herbart,
alla sua attenzione all’ambiente, alla società, ai ruoli sociali, alla divisione del lavoro ed alla sua tesi che «è raro che uno si formi in conflitto con
la sua condizione, e comunque mai indipendentemente da essa»26, con la
conseguente messa in discussione sia delle impostazioni metafisiche, sia
dei criteri di condotta dettati da impostazioni razionali astratti a fronte
della pluralità degli interessi, delle situazioni reali e dei correlati valori
di libertà, diritto, equità, dignità umana27.
Nel corso del volume curato da Siciliani de Cumis sono ampiamente
documentate le tesi e le posizioni assunte nei confronti dei sistemi e modelli scolastici europei, americani in termini non solo descrittivi ma
comparativi, statistici con il confronto, altrettanto sistematico con il siIvi, p. 312.
Ivi, p. 128.
26 J.F. HERBART, Manuale di psicologia, a cura di I. Volpicelli, Roma, Armando,
1982, p. 99. I. VOLPICELLI, Antonio Labriola: cento anni dopo (1904–2004), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 42–46; ID., Antonio Labriola e lo herbartismo, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 204–207; ID., Herbart e i suoi epigoni. Genesi e
sviluppo di una filosofia dell’educazione, Torino, UTET Libreria, 2003 (in particolare:
L’herbartismo di Antonio Labriola, pp. 93–113); G. CIVES, Ignazio Volpicelli, lo herbartismo
e Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 124–135.
27 HERBART, Manuale di psicologia, cit., p. 9 e sgg.; ID., Introduzione alla filosofia, Bari, Laterza, 1927, p. 256 e sgg.; ID., Lezioni di pedagogia, Roma, Armando, 1971; B. BELLERATE, La pedagogia di J.F. Herbart. Studio storico introduttivo, Roma–Zürig, PAS–
Verlag, 1970; di Bellerate vedere anche l’intervento in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 120–122.
24
25
Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola
89
stema scolastico italiano, con le nostre scolette popolari, con il diffuso
analfabetismo, con la presenza di condizioni economiche drammatiche,
con una borghesia apparentemente liberale, con la presenza di un ceto
contadino al limite della sussistenza, con la questione meridionale, con
la scarsa sensibilità nei confronti dei bisogni dell’infanzia e dei diritti
delle donne. Nelle sue relazioni sulle visite alle scuole (specie le scuole
normali) si soffermava sulle carenze ambientali, fisiche, culturali, metodologiche; da rileggere sono le sue annotazioni sulle Conferenze pedagogiche e sulla discrepanza tra il volare alto e la scarsa attenzione alle
difficoltà di fondo, anche se non manca di mettere in evidenza la tensione civile di molti insegnanti. La diffusa ed auspicata richiesta dell’intervento dello Stato e degli Enti locali è giudicata in base alla effettiva realizzazione di una partecipazione democratica e popolare di contro ad un
centralismo egemone, burocratico, fiscale. Così dicasi delle relazioni sui
concorsi universitari, sulle condizione dell’Università, sull’auspicato accesso delle donne all’Università, su un’Università aperta alla cultura e a
tutte le persone ad essa interessate, sul considerare i giovani universitari persone, uomini e non degli educandi, sulla libertà di pensiero, di
insegnamento, sulla ricerca, sul dubbio, sull’eliminazione dello scolasticismo, dell’astrattismo28.
Forse mi sono dilungato, ma il volume curato da Siciliani de Cumis
merita molto di più sul piano, dicevo, della qualità e della quantità di interventi, documentazioni, riscontri, riferimenti ed apparati bibliografici
riferiti a Labriola, all’Università di Roma, secondo prospettive ed orizzonti molto ampi e tali da presentarsi come uno strumento di consultazione, di informazione, di stimolo per chi si è interessato, si interessa e
studia il corrispondente periodo storico e vuole ulteriormente dipanare e
capire la complessità dei problemi, dei confronti la cui incidenza arriva
N. SICILIANI DE CUMIS, Rileggendo “L’università e la libertà della scienza” di Antonio
Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 399–408; ID., Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 174–184. Di
Labriola vedere, oltre ai già citati Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis:
Pedagogia e società. Antologia degli scritti educativi, introduzione di D. Marchi, Firenze,
La Nuova Italia, 1970; Scritti di pedagogia e politica scolastica, a cura di D. Bertoni Jovine, Roma, Editori Riuniti, 1974.
28
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Remo Fornaca
ai nostri giorni, come hanno testimoniato le Mostre Documentarie (Roma, 8 marzo–25 aprile 2005).
Antonio Labriola nel centenario della morte
Vincenzo Gabriele
In questa sede non posso omettere di segnalare gli eventi, gli inediti e
le nuove metodologie di ricerca che negli ultimi dieci anni hanno acceso
i riflettori su una personalità come quella di Antonio Labriola, che tanto
ha condizionato e condiziona non solo la vita della Facoltà di Filosofia
dell’Università di Roma «La Sapienza»; ma anche la nostra cultura nazionale, in una prospettiva internazionale.
In tale ottica, vorrei concentrare l’attenzione su uno degli eventi più
significativi del centenario della morte di Labriola. Intendo dire il catalogo a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A
cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), Roma, Aracne, 2005: un’opera realizzata con l’ausilio di Istituzioni, Biblioteche, Archivi, Corsi di
Laurea e mediante gli autorevoli apporti scientifici di studiosi di Labriola, nonché sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana.
Le mostre, cui il catalogo si riferisce, si sono tenute dall’8 Marzo al 25
Aprile 2005 presso l’Archivio Centrale dello Stato, l’Archivio di Stato di
Roma e la Biblioteca della Facoltà di Filosofia; ed hanno segnato un punto importante sullo stato delle ricerche e sulla fortuna di Labriola: ma,
soprattutto, hanno messo in luce nuovi documenti, che testimoniano
quanto ancora c’è da studiare e conoscere su una figura tanto polivalente
quale Labriola.
Il “Catalogo Labriola” si presenta pertanto come una sintesi di un po’
tutto lo “scibile” sull’autore, costituendo non solo uno strumento, forse
unico ad oggi; ed essenziale, per chi volesse conoscere, approfondire e
per così dire ripercorrere i sentieri labrioliani attraverso autori, testi, eventi, simposi e immagini assai preziose. Di più ― cosa forse più originale ―, il catalogo rappresenta il tentativo di far conoscere Labriola, attraverso la collaborazione anche di giovani studiosi e di studenti, per
l’appunto agli stessi studenti di un’università di massa. E prova lo sfor-
92
Vincenzo Gabriele
zo di penetrare la psicologia di una personalità complessa qual è quella
di Labriola; di attingere alla sua ideologia e, nel contempo, di scorgerne
le evoluzioni formative, dall’interno di un contesto culturale più ampio.
È proprio nella logica di una siffatta metodologia di ricerca e temperie universitaria, che si spiega il contributo di importanti studiosi labrioliani, anche al mio libro in preparazione1. Un libro che, benché da me rivisto ed integrato in più punti, non è che il testo di una tesi di laurea
“vecchio ordinamento”; la quale si propone di essere niente altro, che
uno strumento di lavoro per percorsi possibili di studio ulteriore, da affiancare agli altri dello stesso e di diverso genere.
Alla luce dei nuovi “fatti scientifici e didattici” per il centenario della
morte di Labriola (oltre alle mostre della «Sapienza» e al catalogo, ricordiamo il convegno di Cassino del 2004, l’edizione dell’epistolario a cura
di Stefano Miccolis, le nuove tesi di laurea, ma anche l’inizio di catalogazione dell’intero Fondo Gentile e l’acquisizione di nuovi fondi da parte
della Biblioteca di Filosofia, il ritrovamento di nuovi documenti quali
lettere e registri del vecchio Museo di Istruzione, ecc.), appare ancora
più chiaramente come la tesi–libro non sia che l’inizio di un discorso appena avviato. E che si spera di poter proseguire.
Argomento del libro: la rivista «Giornale critico della filosofia italiana», dalla
fondazione agli anni Duemila, dal punto di vista del suo contributo ai temi e ai problemi della pedagogia, dell’educazione, della scuola e della didattica.
1
In occasione del centenario labrioliano∗
Norberto Galli
L’opera, in grande formato, onora anzitutto la Facoltà di Filosofia
dell’Università «La Sapienza». Essa pone a disposizione degli studiosi
una vasta documentazione per festeggiare il centenario di Labriola, che
in tale università insegnò per molti anni, dal 1874 al 1904. Tale ricorrenza è stata ricordata in occasione delle celebrazioni per i settecento anni
della «Sapienza», con la specifica partecipazione della Facoltà che lo ebbe cattedratico. L’impegnativo lavoro si compone di quattro sezioni.
Nella prima, dopo un lungo ingresso, in cui si parla di Labriola, cento
anni dopo la scomparsa, delle vicende edilizie del palazzo della «Sapienza» e delle «Grandi scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia», si riportano le relazioni e gli interventi del Convegno, svoltosi nella Facoltà
di Filosofia, nei giorni 2 e 3 febbraio del 2004. Essi sono preceduti dalla
«Relazione ufficiale in Parlamento» (Montecitorio) del prof. F. Tessitore,
sul tema: «Antonio Labriola e la libertà della scienza», una sorta di analisi della prolusione di costui per l’anno accademico 1896, pronunciata il
14 novembre. I contributi presentati sono di grande interesse per il fatto
di riferirsi alla molteplicità degli aspetti della personalità, della cultura e
dell’attività di Labriola.
Nella seconda parte si affrontano aspetti particolari concernenti la sua
filosofia, autori di riferimento come Herbart, l’incontro con giovani in
formazione come M. Montessori; aspetti pedagogici circa la formazione
nell’ottica dell’«accomodazione» o l’educazione come fattore di trasformazione. Queste prime due parti sono essenziali per la conoscenza di
Labriola nel suo tempo e per l’eredità di pensiero che ci ha lasciato.
Nella terza parte, dedicata a «Percorsi: la mostra, le mostre su Antonio
Labriola e la sua Università», si presenta una raccolta documentaria di
scritti, commenti, fotografie sia sull’Università in cui Labriola ha insegnato, sia sul suo pensiero, la sua attività docente e didattica, sia
∗
Pubblicato in «Pedagogia e Vita», n. 1, gennaio–febbraio 2006, p. 150.
94
Norberto Galli
su giudizi e personalità che lo hanno conosciuto come G. Calogero,
E. Garin. Per A.G. Ricci la mostra ha un suo alto interesse per vari
motivi: essa impiega tra l’altro una «cospicua documentazione in
gran parte inedita».
Nella quarta, avente per oggetto «Momenti e moventi», si pongono in luce aspetti personali di Labriola, concernenti ad esempio la
famiglia di provenienza, la formazione ricevuta al «Principe Umberto» di Napoli, le difficoltà incontrate in varie commissioni per l’insegnamento universitario, i giudizi da lui espressi in qualità di ispettore didattico nelle scuole normali, la sua presenza nei documenti della Fondazione Istituto «A. Gramsci». Tra l’altro, si ricorda
la lingua di Labriola nel grande dizionario di T. De Mauro; si auspica inoltre un archivio per la documentazione on line in suo onore.
Sfogliando il volume, l’autore che maggiormente ricorre è N. Siciliani de Cumis. Egli è sempre presente con scritti, precisazioni, nuove interpretazioni. Labriola, del resto, ha osservato G. Sasso, «è il
suo autore» (p. 109) e M. Olivetti lo ha riconosciuto «tra i massimi
studiosi contemporanei» di lui (p. 17). Nel lungo e paziente lavoro
di preparazione del centenario e dell’allestimento della Mostra, egli
ha svolto una funzione «ideativa, propulsiva, attuativa» di primo
piano. Per questo, tutti gli esprimono riconoscenza, innanzitutto la
Facoltà di Filosofa gli manifesta «profonda gratitudine».
Socialista fuori concorso∗
Tullio Gregory
La principale — forse unica — utilità delle celebrazioni per i centenari
di personalità di primo e secondo piano della nostra storia nazionale, è
quella di offrire occasione per nuove ricerche storiche, soprattutto per
riedizioni di opere rare, per la pubblicazione di scritti inediti e di documenti d’archivio.
È il caso felice delle celebrazioni per il centenario della morte di Antonio Labriola (1904–2004), solennemente inaugurate in Parlamento alla
presenza del Capo dello Stato: è stata l’occasione per un’originale raccolta di studi e una ricca Mostra documentaria con un massiccio catalogo,
tutto a cura di Nicola Siciliani de Cumis che del Labriola è assiduo e acuto studioso. Con lui hanno collaborato illustri autori — da Ferrarotti a
Tessitore, da Sasso a Giarrizzo, da Olivetti a Manacorda, per dir solo di
alcuni — e istituzioni come la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», l’Archivio Gentile, l’Archivio di Stato di Roma e
l’Archivio Centrale dello Stato.
Tessitore ha aperto le celebrazioni in Parlamento prendendo le mosse
dal famoso discorso di Antonio Labriola su «L’Università e la libertà della scienza» pronunciato in apertura dell’anno accademico 1896–97: discorso del quale Tessitore analizza i tratti salienti, collocandolo nell’evoluzione del pensiero labrioliano, nella situazione storica di quegli anni e
sottolineandone l’attualità per l’analisi critica dell’università e per la delineazione dei compiti del professore nella formazione culturale e civile
del paese. Chiara in Labriola la consapevolezza che «la libertà del conoscere garantisce la vita, perché questa non è fondata da qualcosa o da
qualcuno ma si autofonda grazia all’agire responsabile dell’uomo individuo, degli uomini associati, che, vichianamente, fanno la storia e la conoscono. Credo — conclude Tessitore — sia questa l’ultima parola di
Labriola che, in tal modo, mostrava di avvertire, pur embrionalmente, i
∗
Pubblicato in «Il Sole 24 Ore/Domenica», n. 194, 17 luglio 2005, p. 35.
96
Tullio Gregory
termini costitutivi della società contemporanea comprensibile solo se si
sappia seguire la drammatica dialettica i cui poli sono Carlo Marx e Max
Weber, l’uno così presente in Labriola, l’altro del tutto ignorato e pure
presentito dalla sua intelligenza critica libera e spregiudicata».
Questo discorso di Labriola, sulla cui importanza insiste ancora Nicola Siciliani de Cumis, costituisce il filo rosso di tutto il volume della Mostra, a conferma di quanto per Labriola la scuola, l’Università, il mestiere
del professore, fossero importanti per la crescita della società civile e la
formazione della nuova Italia. Di qui le assidue dure frecciate contro
tanti colleghi, tutti emblematicamente riassunti nella figura di «quel certo filosofo, vilissimo […] inconcludente ciarlatano […] neo commendatore e […] lustrascarpe di ministri». Si ricordi peraltro il giudizio su
Spencer e i sociologi suoi seguaci: è indispensabile «non dare ragione a
quel cretino del signor Spencer, che facendo della cattiva metafisica senza saperlo (i primi principi!), lui hegeliano, anzi pseudo hegeliano senza
genialità, lui inventore di metafisica che vorrebbe parere concetti, gracida contro la metafisica». Toni polemici, frequenti in Labriola, manifestazione di una forte personalità, consapevole del proprio dovere di uomo
di cultura e di cittadino.
Ma forse ancor più interessante in questo volume — al di là dei molti
puntuali contributi — la pubblicazione di numerosi nuovi documenti,
rinvenuti in vari archivi, inerenti tanto all’attività politica di Labriola,
quanto a quella di professore universitario. Su quest’ultima insiste il volume seguendo Labriola nella quotidianità dell’insegnamento, nei suoi
rapporti con gli studenti, negli interventi ai Consigli di Facoltà, attenti
sempre alle esigenze di una migliore strutturazione dei curriculi universitari (in una università certo assai più rigorosa dell’attuale, miseramente ridotta, salvo rarissime eccezioni, a regno della mediocrità, delle carriere automatiche, dei “crediti” per fare spazio a una pletora di docenti e
per impedire lo studio di opere troppo voluminose).
Notevole la sua attenzione ai concorsi universitari. Qui un suo giudizio su Giovanni Gentile (allora ventottenne), che partecipava al concorso
di filosofia teoretica a Palermo, nel 1903: «il Gentile — scrive Labriola
nel profilo del concorrente — si professa rappresentante della rinascita
dell’idealismo, e con ciò intende di dire che si torni ad Hegel sic et simpliciter. Così si manifesta nella sua produzione, nei proemii alle ristampe
Socialista fuori concorso
97
degli scritti dello Spaventa, e in qualche opuscolo di polemica segnatamente con il Varisco. Del resto le sue pubblicazioni più importanti sono
di storia della filosofia; e in queste la preoccupazione speculativa cede il
posto alla ricerca erudita, all’analisi delle fonti, all’esposizione obiettiva.
Fra i titoli esibiti dal Gentile non ve ne è alcuno di strettamente dottrinale nel senso di ciò che occorre a documentare la preparazione diretta ad
insegnare la filosofia teoretica». Il concorso fu vinto da Cosmo Guastella.
In tema di concorsi, interessante la documentazione per uno di estetica
del 1902: commissario e relatore era Benedetto Croce (non professore). A lui
Antonio Labriola (non commissario) scriveva: «ho piacere che verrai in
Roma per la commissione di così detta Estetica, perché avrò l’occasione di
averti sottomano per qualche giorno. Penso però che tu devi a priori negare
la legittimità a qualunque concorrente, se vuoi essere fedele al tuo libro [poco prima Benedetto Croce aveva pubblicato la sua Estetica]. Mi dicono che
nella Commissione entri Villari e Barzellotti. Bisogna proprio dire che è una
commissione non–bella: ma la tua Estetica non è legata al bello».
Il concorso andrà deserto e nessuno fu dichiarato vincitore, con questa motivazione, scritta da Benedetto Croce: «un insegnante di estetica
dovrebbe riunire queste due parti: 1) una solida conoscenza della teoria
estetica, rafforzata dalla conoscenza precisa del modo in cui essa teoria
si è svolta nella prassi generale del pensiero e della filosofia; 2) la padronanza di un tal materiale di storia delle arti e della letteratura che, non
potendo essere mai per ogni parte eguale e completa, non fosse però, in
nessun caso, esclusivamente letterario. A questo modello nessuno dei
concorrenti dichiarati eleggibili risponde pienamente; ma alcuni di essi
potrebbero rispondervi in seguito. È evidente che il concorso, bandito
per una cattedra che da circa un ventennio era stata vacante, li ha colti
non del tutto preparati; e nella medesima condizione si sono trovati forse altri, che non han concorso, ma che potrebbero farlo, ove la cattedra
non venisse coperta e il concorso fosse rinnovato di qui a qualche anno,
con speranza di un vantaggio per gli studi che ora non si raggiungerebbe di certo».
Tempi felici e onesti quelli in cui un concorso poteva andare deserto e
nessuna facoltà poteva, come avviene oggi, designando un proprio commissario, imporre di fatto il proprio candidato, favorendo spesso il «cre-
98
Tullio Gregory
tino locale», la cui «irresistibile ascesa» è stata argutamente delineata da
Pietro Rossi in un’autorevole rivista bolognese.
Antonio Labriola e la sua Università∗
Emiliano Macinai
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, nella mattinata
del 2 febbraio 2004 si sono svolte in Montecitorio le Celebrazioni per i cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1843–1904). Sono intervenuti
docenti dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» e sono state
presentate diverse iniziative e i risultati più significativi dei lavori condotti da alcune scuole superiori di Roma, a partire dal liceo «Labriola». Contestualmente all’incontro in Parlamento, sono quindi iniziati i lavori di un
interessante seminario di approfondimento, che si è svolto nell’arco di
due giornate presso il Dipartimento di Ricerche storico–filosofiche e pedagogiche di quella che per trent’anni è stata l’università dove ha insegnato
lo stesso Labriola. Antonio Labriola e la sua Università: questo non a caso era
il titolo del convegno che ha riscosso un discreto successo tra gli addetti ai
lavori e anche tra gli stessi studenti universitari.
Nell’arco dei due giorni, 2 e 3 febbraio, attraverso gli interventi di docenti e studiosi che operano presso la Facoltà di Filosofia dell’Università
romana, si è andata ricostruendo la figura di una delle personalità intellettuali più significative di tutto il Novecento italiano. Di Antonio Labriola si
è voluta ricordare l’attività accademica, oltre alla statura scientifica ed etica, e si è riconosciuta l’attualità di una concezione personale dell’insegnamento universitario, rivolto non tanto all’erudizione fine a sé stessa,
bensì alla formazione morale, prima ancora che teorica e tecnica, di un’intera generazione di studiosi.
Il seminario di febbraio non costituisce che il primo momento di un
lavoro ben più articolato intorno alla figura di Labriola, che, nelle intenzioni degli studiosi coinvolti in prima persona, dovrà culminare nel
prossimo Convegno di Cassino (in calendario dall’8 al 10 ottobre 2004)
su Antonio Labriola a cento amai dalla sua morte. Il seminario ha dunque fissato, tra l’altro, le prospettive programmatiche e gli itinerari di
∗
Pubblicato in «didatticamente. La voce della SISS», nn. 1–2, 2004, pp. 237–239.
100
Emiliano Macinai
studio in vista di quell’appuntamento, particolarmente sentito non solo
dal corpo accademico de «La Sapienza», ma anche, e questa è la nota più
significativa, dagli studenti di filosofia e pedagogia, direttamente coinvolti anch’essi nel lavori e nei progetti.
I lavori del seminario sono iniziati nel pomeriggio del 2 febbraio, alla
presenza del Preside della Facoltà di Filosofia, Marco Maria Olivetti. Sotto il coordinamento di Gennaro Sasso, le relazioni dei partecipanti (Girolamo Cotroneo, Giuseppe Giarrizzo, Nicola Siciliani de Cumis) hanno
avuto come focus condiviso la lettura di un Labriola lucidamente critico
della cultura del suo tempo e hanno pertanto riproposto con forza la figura di un intellettuale attivo e impegnato con autentica passione nel
suo «lavoro»; un accademico che non dimenticava ma, anzi, rivendicava
a sé l’elevata «missione» morale dell’insegnamento universitario e che
seppe testimoniare con sguardo critico ai propri allievi la temperie culturale, italiana ed europea, di fine Ottocento.
I lavori sono proseguiti il giorno successivo con la presentazione di
due volumi assai eterogenei tra loro. È stata questa l’occasione per allargare il discorso intorno a Labriola e per vedere, da un lato, i suoi possibili «maestri» e, dall’altro, le sue eredità intellettuali e politiche. La presentazione del libro di Ignazio Volpicelli su Herbart e i suoi epigoni è stato,
infatti, lo spunto per dirigere gli interventi dei partecipanti (il già citato
Siciliani de Cumis, Bruno Bellerate, Giuseppe Spadafora, Giacomo Cives
e lo stesso Volpicelli) su quelle che devono essere considerate le esperienze di formazione di Labriola e per orientare il successivo dibattito
intorno alle figure rappresentative per la costruzione della sua visione
del mondo e della sua filosofia.
Il seminario della mattina si è dunque dedicato alla ricostruzione degli elementi di attualità che la lezione di Labriola ha lasciato in eredità ai
suoi successori sulla cattedra romana e, più in generale, a chiunque oggi
abbia raccolto la missione di educatore per le nuove generazioni. La responsabilità, la correttezza ed il rigore morale, lo sguardo critico sulla
realtà, la libertà di pensiero e la coerenza dal proprio atteggiamento docente con i valori fondanti la professionalità e il ruolo intellettuale e sociale che Labriola sentiva costantemente come l’imperativo categorico al
quale conformare la propria attività accademica, costituiscono ancora
Antonio Labriola e la sua Università
101
oggi un patrimonio di cui far tesoro, un’esperienza da conservare ed un
esempio su cui continuare a contare come valido punto di riferimento.
La presentazione di un volume più «particolare» ha inaugurato i lavori del pomeriggio. Si è trattato dell’illustrazione del primo titolo di
una collana interessante che costituisce un esperimento editoriale forse
rischioso ma certamente pregevole. Una nota casa editrice romana intende avviare la pubblicazione nella collana Diritto di stampa delle tesi di
laurea più meritevoli, su segnalazione dell’Ateneo. Un’iniziativa da
guardare con attenzione e c’è da auspicare che altri atenei vogliano provare a percorrere la stessa strada.
Tra le presentazioni dei due volumi, si è segnalato un altro esperimento degno di apprezzamento. Dire che si è trattato di un intermezzo
con lettura di testi può far pensare a quanto di meno originale ed avvincente sia possibile aspettarsi da un seminario. Quando però a leggere i
testi sono due attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico» e quando su uno schermo scorrono immagini d’epoca,
con sottofondo musicale appropriato per rendere ancora più vivi i brani
labrioliani, ecco che l’esperimento riesce e l’uditorio è rapito. Un altro
esempio da seguire e riproporre.
Oltre che per il valore culturale e scientifico apportato dai partecipanti, tra i quali, oltre ai già citati, ricordiamo anche Pietro Lucisano, Mario
Alighiero Manacorda e Aldo Visalberghi, il Seminario si segnala perciò
per almeno tre motivi. Primo, per la collaborazione felicemente riuscita
con le scuole secondarie, che ancora una volta torna a suggerire l’importanza della relazione sinergica tra università e scuola. Secondo, per avere
proposto all’attenzione un esperimento editoriale che riporta d’attualità
una pratica oramai desueta, quella della dignità e del diritto di stampa
delle tesi meritevoli, iniziativa che, oltre a premiare la qualità dei lavori
presentati dagli studenti, potrebbe, se ben alimentata, portare rapidamente alla costituzione di un nuovo mercato editoriale, come avviene ad
esempio in paesi come la Gran Bretagna. Terzo, per avere con molto successo contaminato l’aura di accademicità del convegno con forme espressive diverse, eterogenee ma ben armonizzate tra loro: il teatro, la
musica, le immagini.
L’appuntamento è pertanto fissato dall’8 al 10 ottobre prossimi a Cassino, quando chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza di An-
102
Emiliano Macinai
tonio Labriola e di ciò che questi ha rappresentato per l’università e la
cultura italiana, avrà l’occasione di partecipare ad un convegno che, a
giudicare dalle premesse gettate nei giorni de «La Sapienza», si preannuncia ricco di suggestioni e rilevante dal punto di vista scientifico e didattico.
Nel centenario della morte di Antonio Labriola∗
Mario Alighiero Manacorda
Talvolta i dati autobiografici, soprattutto «a lungo scadere di anni»,
come diceva Labriola, possono assumere valore di dati della storia o,
quanto meno, della microstoria. Mi sia perciò consentito di introdurre
questo mio discorso con un ricordo personale.
Il mio primo incontro col Labriola avvenne nel 1938 per merito di Benedetto Croce, che, con quella che Valentino Gerratana definirà «una
sorprendente iniziativa», ripubblicò i suoi scritti sul materialismo storico, aggiungendovi una sua Appendice intitolata Come nacque e come morì
il marxismo teorico in Italia (1895–1900). E dichiarò poi di averlo voluto
così disseppellire per riseppellirlo. Insomma, dopo che la dittatura fascista aveva ucciso il comunismo reale, a Croce parve bene di uccidere anche il marxismo ideale, o “teorico” appunto, in attesa di proporre un’alternativa positiva al fascismo in vista della sua fine. Cosa che fece cinque
anni dopo, col suo Perché non possiamo non dirci cristiani, proponendo nella Chiesa cattolica un’altra e più sicura forza della conservazione anticomunista. Ma il 1938 fu anche l’anno in cui Croce pubblicò La storia come pensiero e come azione, in cui parve a me di leggere un suo ritorno di
interesse per gli aspetti economico–sociali; e, se è così, come non domandarsi se non vi abbia contribuito l’esser ricorso, nel ripensare la storia, a
quegli scritti del suo vecchio maestro, che poi gli è venuto in mente di
ripubblicare con quella postilla?
Ma, tornando da Croce a Labriola, di lui avevo allora una immagine
come di un pensatore sistematico, organico: non è così, o almeno così
non mi sembra oggi. La sua stessa biografia che, testimoniataci in tante
sue lettere, ci parla del suo gusto per «una grande biblioteca», e la sua
∗
Testo dattiloscritto, autografo, per una lezione tenuta il giorno 16 marzo 2005
presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», nel quadro dei
“seminari di approfondimento” organizzati dalla Prima cattedra di Pedagogia generale (Prof. N. Siciliani de Cumis) sui temi labrioliani presenti nella Mostra e nel Catalogo su Antonio Labriola e la sua Università.
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Mario Alighiero Manacorda
collaborazione alla «Cultura» del Bonghi come recensore di libri di vario
argomento ci suggeriscono una sua diversa figura, di persona di grande
curiosità culturale, disposto a confrontarsi coi più diversi orientamenti
del pensiero, dai tradizionali campi della filosofia e della storiografia a
quelli innovativi delle scienze psicosociologiche e naturali. Lo sentiremo
polemizzare contro il verbalismo e, più ancora, il verbalismo fraseologico, lo schematismo, l’astrattismo, il darwinismo politico e sociale, la teoria dei “fattori” della storia, gli storici narratori e illustratori, che «fanno
astrazioni e generalizzazioni su aspetti immediati del movimento apparente, usando concetti empirici», i pessimisti romantici alla De Maistre e
alla Carlyle, i positivisti col loro schematico concetto dello stato e del diritto, gli «asineschi oppositori che confondono la storia economica col
materialismo storico», gli ideologi del progresso alla Kulturgeschichte, i
decadenti dello hegelismo, i neokantiani, e, naturalmente, i socialisti alla
Bernstein o alla Sorel, col quale aveva tuttavia collaborato, o alla Merlino, senza poi contare la sua attenzione agli sviluppi delle scienze e delle
tecniche1.
Tutto ciò corrisponde allo stesso suo concepire la cultura come «non
solo il proprio modo di intendere l’arte, la scienza, le lettere, ma anche i
moti intellettuali di una nazione, di un tempo e di tutta la loro molteplicità»; al punto che, scrivendo nel 1876 Dell’insegnamento della storia, potrà
suggerire: «Non doversi mai separare la considerazione delle cose umane da quella delle cose naturali»2. Una molteplicità, dunque, con cui fare
i conti. E in questo continuo confronto con tutto il mondo politico e culturale, come abito di ricerca, consiste propriamente il carattere della sua
rielaborazione di quella che chiamava la «nostra dottrina» del materialismo storico, a cominciare dal saggio che ha questo titolo, che è forse il
più organico, dove, più ancora che la presentazione del marxismo come
teoria, si ha una continua differenziazione polemica dalle teorie allora
correnti, e un continuo tuffarsi nella storia. Un marxismo che direi enci-
Cfr. A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, passim (Da
ora in poi, per le citazioni dai quattro saggi sul marxismo, mi riferisco al volume A.
LABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, a cura di V. Gerratana e A. Guerra, Roma,
Editori Riuniti, 1964).
2 ID., Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, p. 78.
1
Nel centenario della morte di Antonio Labriola
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clopedico, se la parola non avesse una connotazione negativa: dirò, per
intenderci, panoramico.
Non solo, ma confermano questa caratteristica la sua stessa vita vissuta, e, insieme, la sua coscienza autobiografica della vita come di un "itinerario", ricco di una molteplicità di pensieri. Lo stesso suo passaggio
dal liberalismo e dall’idealismo al socialismo e al materialismo storico
avvenne per un primo soggettivo impulso pratico: «Il senso schietto della moltitudine è ormai preferibile a tutto questo mondo fittizio di scienza
burocratica» (Lettera a B. Spaventa, 10 febbraio 1876); un motivo su cui
ripetutamente insiste, dichiarando come motivi della sua scelta «il disgusto per la corruzione politica e il contatto con gli operai» (Lettera a
Engels, 3 aprile 1890), e confessando: «Avrò fatto un duecento discorsi, e
ho preso parte ad altrettante riunioni, ho ideato circoli, federazioni e cooperative» (Lettera a Turati, 24 luglio 1892). E si vanta che con lui «per la
prima volta la dottrina del socialismo sale su una cattedra della regia università», e che ciò lo pone «all’estrema sinistra fra tutti gli insegnanti».
Prima socialista che marxista, dunque: il suo marxismo è stato, prima
pratico, e solo poi teorico. Ebbe tuttavia chiara la coscienza di una continuità tra il suo liberalismo e il suo marxismo: «Il pensare diversamente a
lungo scadere di anni non è contraddirsi, ma svolgersi» (Lettera a Socci,
maggio 1890)3.
Cresciuto alla scuola liberale dei due fratelli Spaventa, Silvio e Bertrando, e del Bonghi, manifesta un suo primo orientamento radical–
socialista già dal 1883 parlando di Marx e Lassalle; poi, dal 1890 è in
rapporti con Engels, che incontrerà nel 1893; nel 1892 partecipa a Genova alla fondazione del partito dei lavoratori (socialista); e il 4 dicembre
1894 scrive al Sozialistische Akademiker: «Già da alcuni anni faccio il tentativo di far valere nei miei corsi universitari la dottrina socialistica e la
concezione materialistica della storia»4. Tuttavia i suoi saggi sul materialismo storico verranno solo negli anni tra il 1895 e il 1897.
In concreto, questo suo marxismo teorico, o ideale, «negazione recisa
e definitiva di ogni ideologia», è «soltanto un metodo di ricerca e di concezione», spiega, con le parole di Marx, «in ultima istanza ogni fatto stoCfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione,
Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, pp. 25 e 15.
4 LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 573.
3
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Mario Alighiero Manacorda
rico per via della sottostante struttura», suggerendo che i vari aspetti
della vita culturale «suppongono questa o quella forma di produzione e
distribuzione dei mezzi immediati della vita», per concludere in concreto che «questa società, come ha prodotto nel socialismo la sua negazione
positiva, così ha generato nella nuova dottrina storica la sua negazione
ideale». Certo, si potrà dire che non manca qualche eccesso di semplificazione in questa sua enunciazione e assunzione del canone fondamentale del materialismo storico; ma in realtà, nella sua polemica contro i
semplificatori del marxismo, richiama sempre all’attenzione a tutti gli
aspetti culturali o ideologici del viver civile: anzi, è questo l’altro cardine
di tutta la sua riflessione. Mentre enuncia sinteticamente: «Non c’è fatto
della storia che non ripeta la sua origine dalle condizioni della sottostante struttura economica…», fa seguire una forte valorizzazione di tutti
quei fatti o aspetti: «…non c’è fatto della storia che non sia preceduto,
accompagnato e seguito da determinate forme di coscienza». Una asserzione che lascia aperta al suo marxismo la considerazione di tutto il
mondo della fantasia e delle ideologie, che, diceva, «non sono da considerare come gratuite invenzioni… non sono pura parvenza».
Può sembrare poco: tuttavia sono criteri correttamente assunti dagli
scritti di Marx, il quale anche, occorre dirlo, più che ad approfondirli in
sede filosofica si adoperò a metterli in pratica nei suoi scritti di storia e
nella sua stessa grande opera di “critica” di quella scienza nuova della
borghesia che fu “l’economia politica” di Smith e Ricardo. I suoi maggiori approfondimenti teorici, sono infatti soprattutto nei primi capitoli
della Ideologia tedesca, scritta in collaborazione con Engels nel 1847 e poi
«abbandonata alla critica roditrice dei topi» (pubblicata postuma solo
nel 1932), e poi nella famosa Introduzione del 1857 alla Critica dell’economia politica, cioè al primo abbozzo del Capitale: dove comunque se ne
ha un’elaborazione più approfondita, anche se non priva di qualche incongruente sfumatura. Del resto, come dicevano con Engels, «la prova
del pudding si ha mangiandolo», cioè una teoria si verifica nella concreta
ricerca storica.
A questo suo marxismo, insieme rigoroso ed aperto, c’è semmai da
rimproverare un, direi inevitabile, margine di utopismo, come quando
afferma che «questa società… produce di contraccolpo la concezione
materialistica», e che, «sparite le classi verrà meno la possibilità dello
Nel centenario della morte di Antonio Labriola
107
stato, come dominio dell’uomo sull’uomo», e che si tratta di «una dottrina definitiva che finirà col penetrare le menti». Ma è l’utopia di una speranza fondata sullo sviluppo oggettivo delle cose, che c’è anche in Marx
ma che anche in lui non si avventura mai nella progettazione di un
mondo ideale, cosa propria del socialismo, appunto, utopistico.
Tutta la sua ricerca sarà uno svolgersi senza contraddirsi dal liberalismo a un marxismo francamente liberale. Non è infatti un caso che scritti
tipicamente liberali e scritti intenzionalmente marxisti si intreccino negli
stessi anni, anzi spesso agli stessi mesi, e appaiano scritti con la stessa
penna, intinta nell’inchiostro dello stesso calamaio. Si guardino le date:
1894/95 In memoria del manifesto dei comunisti; 17 gennaio 1896 Sulle ragioni e i limiti della libertà di insegnamento; 10 febbraio 1896 Del materialismo
storico. Dilucidazione preliminare; 14 novembre 1896 L’università e la libertà
della scienza (di cui il discorso sulla libertà d’insegnamento era una “anticipazione”); 1897 Discorrendo di socialismo e filosofia5: dove i titoli dei tre
saggi marxisti, con le espressioni: “in memoria”, “preliminare”, “discorrendo”, ci confermano il loro carattere occasionale. Di più: com’egli stesso dichiarò, sollecitato dagli studenti a intervenire sul caso del deputato
socialista Enrico Ferri, impedito di esercitare la libera docenza6, si decise
a inserire i discorsi sulla libertà della scienza proprio nelle sue lezioni sul
marxismo: i due temi potevano svolgersi insieme. Dunque, gli anni della
manifestazione del Labriola teorico marxista, sono anche gli anni del
Labriola più impegnato sulle libertà “liberali” della scienza e dell’insegnamento. (Che, detto tra parentesi, sono le stesse della Costituzione italiana: “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento” – art.
33,1: la virgola è mia, e ci vuole; e che sono ripetute, con minore perspicuità, nell’art. II,10 della Costituzione europea).
Così, possiamo leggere i suoi discorsi liberali come introduttivi a
quelli marxisti e consonanti con essi. In lui, che come altri esperti inviati
dai responsabili dell’istruzione a informarsi sulle scuole dei paesi più
progrediti (ricordo il Giarré nel 1861, il Carina nel 1872, poi il Pick) ha
studiato nel 1881 i sistemi d’istruzione nei vari paesi d’Europa e negli
I due saggi Le ragioni e i limiti della libertà d’insegnamento e L’Università e la libertà
della scienza sono ora in LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., pp. 576–615.
6 Cfr. LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 577.
5
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Stati Uniti7, i temi “liberali” della laicità e della libertà della scienza e
dell’insegnamento sono presenti fin dagli scritti giovanili: «Noi siamo
aperti fautori dell’istruzione laica, non perché avversi al principio religioso»8. E sono affrontati in sostegno e insieme in polemica con lo Stato
risorgimentale, che, secondo lui, era più liberale che altri moderni Stati
europei, ma i cui ministri tuttavia non sempre si sottrassero alla tentazione di intervenire, come contro Angiulli nel 1871, contro Ardigò nel
1879, contro Ferri nel 1894 e contro lui stesso, ammonito dal ministro
Gianturco nel 1896 per alcuni accenni politici nel discorso su L’Università
e la libertà della scienza9. (E posso aggiungere nel 1899 il Carducci, deferito
al Consiglio superiore per un suo telegramma di adesione al cinquantenario della Repubblica romana. E io ricordo il caso di mio padre, Giuseppe Manacorda, deferito al Consiglio superiore per aver pubblicato
sul «Giornale d’Italia» del 25 agosto 1909 un ironico telegramma di congratulazioni al ministro Rava per un suo intervento sulle questioni dei
concorsi. E sorvolo sulla mancanza di libertà nella scuola elementare,
dove le maestre subirono spesso gravi persecuzioni clerical–ministeriali). In questa sua battaglia liberale, che dicevo in sostegno e in polemica
con lo Stato, e nella quale soleva citare il Montesquieu e il Cavour, si
mostrava tuttavia ottimista: «Siamo nel terreno mondo e non nell’empireo. Può darsi anche ora il caso che la scienza abbia da lottare con temporanei abusi di una politica reazionaria; ma questo caso mi par difficile
si avveri in Italia»: un ottimismo che direi liberal–borghese, che lo fa
parlare di «tempi che corrono così ordinari e tiepidi, che non c’è luogo a
temere si sia alla vigilia né del terrore rosso né del terrore bianco»10.
Della libertà della scienza e dell’insegnamento aveva un’idea ben precisa. A proposito dell’abolizione, nel 1873, delle facoltà di teologia, che
pure in Germania avevano dato laicamente luogo alla critica biblica e alla storia della chiesa, commenta che in Italia non ce n’era bisogno, perché l’università «fa esplicita professione di non riconoscere se non quelle
materie sole, le quali siano oggetto di osservazione, di esperienza e di
esperimento, e che si prestino ad essere apprese e trattate in certi e preciCfr. ivi, pp. 312–463, 604.
Ivi, p. 161.
9 Cfr. ivi, p. 585 n.
10 Ivi, pp. 606, 609.
7
8
Nel centenario della morte di Antonio Labriola
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si confini della sicura intuizione, della logica combinazione e della razionale deduzione». E spiegando che teorie, sistemi e tendenze scientifiche ammettono solo giudizi (o predicati) «come completo e incompleto,
o acquisito e dubitabile, e si rifutano di accoglierne alcuno, che in nome
di qualsiasi presunzione di potere politico o ecclesiastico, designi i prodotti del pensiero come proibiti o leciti, come riconosciuti o tollerati,
come facoltativi o vidimati». E sono principi sicuramente liberali nel
profondo (e, come vedremo, altrettanto nel profondo, marxisti). E, dopo
aver spiegato che le attribuzioni del governo, cui compete una funzione
puramente amministrativa, non s’identificano con le funzioni dello Stato, commenta: «Per qualunque metodo e con qualunque procedimento
codesta giurisdizione si esplichi, essa non può né dee mai trascendere
alla definizione del lecito o dell’illecito in fatto di dottrine». Un’idea che
non a caso egli convalida richiamandosi a una necessità obiettiva, evidentemente suggerita dal materialismo storico: «Così dicendo… espongo un dato di fatto, che è nella necessità delle cose stesse»; e, mentre afferma che «Lo stato che definisce una scienza è già una chiesa»11, cosa
che, dice, porterebbe a rifare l’indice dei libri proibiti, e, pur considerandolo «garante delle antitesi sociali» e perciò «arena di una incessante
guerra civile», gli riconosce, al di fuori da ogni schematismo, anche
compiti di interesse comune, cioè di libertà: «Per quanto lo stato sia
l’organo diretto di determinati interessi di classe, non può esistere se
non a condizione di creare certi servizi, che per diretto o per indiretto
riescano a vantaggio di tutti»12.
Su questi temi ci si richiamava allora, non senza le ovvie confusioni
su cui sorvolo, a due principi opposti: da parte dei clericali alla «libertà
della scuola» come libertà di esistere per una scuola anche dogmatica, e
da parte dei liberali alla «libertà d’insegnamento» come modo d’essere
della scuola statale, che Leone XIII, nella enciclica Libertas del 1888, condannava come «del tutto contraria alla natura e fatta per pervertire totalmente le intelligenze». (Una questione sulla quale si è troppo equivocato in seguito: ricorderò che è stata stolidamente falsata nell’infausto
Concordato italiano del 1984, che, all’art. 9,1, senza che nessun nostro ilIvi, pp. 606–609.
LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 112 e LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit.,
p. 605.
11
12
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luminato politico se ne sia accorto, non a caso confonde i due principi
opposti in un unico principio, per trarne sciagurate conseguenze). Ovvio
che Labriola avesse bene in mente i termini di questa polemica.
Ma la sua idea di libertà d’insegnamento è rafforzata dalle sue nuove
convinzioni marxiste: in questa coincidenza di temi liberali e marxisti,
non sono soltanto i temi liberali a entrare nel suo marxismo, è anche il
suo marxismo a penetrare i temi liberali in un intreccio indissolubile delle due ispirazioni, diverse eppure convergenti. Sarà proprio la sua concezione materialistica a dare alla libertà fondamenti di necessità storica:
come quando entra apertamente sul terreno della concezione materialistica della storia: «Non vorrei accampar mai delle astratte definizioni, per poi venir giù deducendo. Qui si tratta di dichiarare un fatto,
che è il naturale portato di queste nostre precise e patenti condizioni storiche e sociali… La libertà incondizionata della ricerca e della esposizione scientifica si sviluppa, si mantiene e prospera in tale pubblico istituto, per vie naturali e con modi affatto spontanei…». E la cosa appare
evidente quando affronta il tema dello sviluppo storico dell’università
dal sistema corporativo, alla tirannide regia o papale, alla prepotenza
comunale, fino al secolo decimottavo: «Questa scienza che fa o rinnova
di continuo se stessa, è essa stessa effetto ed esponente del gran moto
della società moderna. Non è chi non veda, ora, come gli strepitosi progressi delle scienze fisiche sian consentanei alle rivoluzioni dell’industria e della tecnica… L’università, insomma, com’è ora, è essa stessa un
risultato e un riflesso della vita sociale». E se questo vale per l’università
come istituzione, vale anche per lo specifico lavoro universitario di ricerca e di insegnamento: «Anche questo lavoro è, come tutti gli altri, fondato sulla secolare accumulazione delle energie, e su l’esercizio della cooperazione sociale… Noi siam vissuti dalla storia»13. Insomma, il motivo liberale della distinzione tra stato e governo si intreccia coi motivi
marxisti della libertà come necessità storica, dell’università come riflesso
della vita sociale, del lavoro accademico come risultato di accumulazione e cooperazione, e ne acquista nuove conferme.
13
Ivi, pp. 601–604.
Nel centenario della morte di Antonio Labriola
111
Da ultimo, tra il giugno e l’agosto del 1901, Labriola abbozza il suo
quarto saggio marxista, Da un secolo all’altro, di difficile interpretazione
anche per le sue dotte e fantasiose digressioni. Ivi, posta la domanda:
«Qual è il mezzo per misurare la nostra cultura storica», e risposto che è
«la nostra capacità di intendere il presente», che è una ripresa di quanto
aveva scritto già nel 1876, suggerendo che «le notizie storiche debbono
essere connesse alla rappresentazione delle cose presenti». E nel far questo indaga l’età liberale con attenzione alle sue contraddizioni forse
maggiore che nei saggi precedenti, usando il metro del materialismo storico con maggiore cautela sul rischio dello schematismo e dell’utopismo,
che dice presente «anche in pensatori di così eccelsa cautela e autocritica
come Karl Marx». In questa indagine, richiamandosi alla «invidia degli
dèi» dell’antico Ecateo, parla della «invidia tra gli uomini», cioè dello
«intrigo» ovvero della concorrenza, come dell’assioma della società capitalistica, caratterizzata da «lotte per la nazionalità, diffusione del principio liberale, concorrenza economica, espansione coloniale, differenza tra
paesi industriali e paesi agricoli, crescere dello spirito critico e rinascenza cattolica». Ma questa società subisce inevitabili arresti per il suo derivare dalle precedenti società «corporative, feudali, endemiche o locali,
etniche e teocratiche»; e proprio di qui nasce «la ragion d’essere del socialismo, fin d’ora realtà attiva, segnacolo di lotta attuale». Ma eccolo
ammonire che, nell’usare i criteri della ricerca sociologica (marxista), occorre liberarsi dagli schemi di chi pensa che «verrà l’associazione, verrà
il cooperativismo, poi il collettivismo e, messi gli ismi in fila, il resto fila
da sé», e occorre invece richiamarsi «alle impreteribili ragioni empiriche
delle rappresentazioni del fatto»14. Infine il saggio apre un capitolo su
l’Italia, considerata «nel quadro universalistico», con alcune indicazioni
sulle aspettazioni deluse del Risorgimento, sulla rivoluzione borghese
già attuata al tempo dei comuni, e sulle garanzie del suo porsi come Stato moderno nella gara internazionale15. Ma purtroppo lì si arresta.
Così Labriola riprendeva Marx per verificare nell’analisi della storia
passata e del presente la validità del metodo del materialismo storico. Si
tratta, tuttavia, di un Marx che egli ha in parte ignorato, per la buona raLABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, cit., pp. 343, 82, 366, 346, 351, 367, 368,
369–371.
15 Cfr. ivi, pp. 369–371.
14
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gione che ai suoi tempi molto era ancora inedito. Per la parte inedita mi
riferisco alle Istruzioni ai delegati per il I Congresso dell’Internazionale dei lavoratori, del 1866. Lì Marx dichiarava che «l’istruzione può essere statale
senza stare sotto il controllo del governo» (dove è da rilevare che questa
distinzione “liberale” tra Stato e governo non è ancora digerita dall’opinione diffusa e dalla politica praticata). Di più: sosteneva che «né nelle
scuole elementari né in quelle superiori si devono introdurre materie che
ammettano una interpretazione di partito o di classe»; e addirittura, che
«materie che ammettano conclusioni differenti non debbono essere insegnate a scuola»: esigenza sacrosanta forse, ma certamente difficile da
soddisfare. L’altro suo testo, certamente noto al Labriola, è la Critica del
programma di Gotha del Partito socialdemocratico tedesco, del 1875, dove
Marx scriveva: «È assolutamente da respingere l’idea di una educazione
del popolo a opera dello Stato», il quale dovrebbe limitarsi «a fissare con
una legge generale i mezzi delle scuole popolari, la qualifica del personale insegnante, i rami d’insegnamento, ecc. e, come accade negli Stati
Uniti, sorvegliare per mezzo di ispettori dello Stato l’adempimento di
queste prescrizioni legali». Che è, di nuovo, quanto prescrive la nostra
Costituzione liberal–democratica. E concludeva perentoriamente che
non si deve «nominare lo Stato educatore del popolo. Piuttosto si debbono egualmente escludere governo e chiesa da ogni influenza sulla scuola»16.
Sono, questi della libertà della scienza e dell’insegnamento e del rapporto Stato–Chiesa, temi di grande rilevanza politica e culturale, che
contrapponevano duramente allora clericali e liberali: temi che trovavano concordi sulle posizioni liberali anche Marx e Labriola, che, semmai,
vi aggiungevano le loro ragioni. Anche su questa libertà il pensiero di
Labriola coincide con le tesi di Marx, liberali e quasi “anarchiche”, che in
generale vengono ignorate, forse perché il socialismo reale le ha poi negate. (E come non rivendicare qui la tradizione umanistica e libertaria
del marxismo teorico italiano del terzo quarto del secolo scorso, con le
sue varie voci, dalla rivendicazione di una «libertà maggiore» di Della
Rimando per queste citazioni e osservazioni al mio Marx e la pedagogia moderna,
Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 14–27.
16
Nel centenario della morte di Antonio Labriola
113
Volpe alla rigorosa riflessione libertaria di studiosi come Banfi, Luporini,
Badaloni e tutti quanti?).
Ma, se quello di Labriola è un marxismo liberale, uno svolgersi e non
un contraddirsi, che si fonda sulla migliore eredità dalla destra storica, e
se questa identità dei temi liberali e marxisti è presente nel marxismo teorico da Marx a Labriola e su su fino a quello del secolo XX, non sarà il
caso di ripensare seriamente liberalismo e comunismo come movimenti
culturali svoltisi sulla stessa linea della tradizione storica? E di pensare il
comunismo sin dalle sue origini come opposizione, sì, ma insieme come
eredità critica della grande tradizione liberale? Marx non si è davvero
dissociato sui principi di libertà dai grandi teorici del liberalismo illuministico; e, come Marx e Labriola hanno tessuto l’elogio dello sviluppo
storico promosso dalla borghesia, così ognuno dei grandi padri del liberalismo, da Montesquieu a Tocqueville, avrebbe accettato gli auspici
marxisti di un’umanità fatta di uomini totalmente sviluppati, dove la libertà di ciascuno fosse la condizione per la libertà di tutti. E basta saper
distinguere tra liberalismo e comunismo “ideali” o “teorici”, da una parte, e liberalismo e comunismo “reali”, dall’altra, per capire che le cose
stanno così. Come per tutti gli eventi della storia, occorre aver presente
la distinzione tra il momento ideale e il movimento reale, non rifiutandosi di vedere che come c’è un socialismo reale, così c’è, nel colonialismo, nell’imperialismo, nel liberismo, anche un liberalismo reale (come
c’è un cristianesimo ideale e un cattolicesimo o un clericalismo reali, e
così via). Non si tratta, ovviamente, di occultare il peso della “critica”
marxista al liberismo economico di Smith, Ricardo e tutti quanti (che solo un incolto nostro ministro della “guerra” — sì, della guerra e non della “difesa” — come Martino, ha ignorato dichiarando che Marx non aveva fatto che ripetere Smith o Ricardo), ma di capire che si tratta di una
stessa grande tradizione ideale, di liberazione dell’uomo dai ceppi
dell’autoritarismo monarchico, del dogmatismo religioso, e dello sfruttamento economico. Essersi ispirati nelle scelte politiche al liberalismo
reale, cioè al liberismo, anziché al liberalismo ideale (col quale si era già
d’accordo da un pezzo) è stato un equivoco della recente politica post–
comunista.
Si deve tuttavia riconoscere che al Labriola liberale e comunista è
mancato molto del Marx comunista e liberale. In particolare, a parte i te-
114
Mario Alighiero Manacorda
sti già citati, egli non ha conosciuto né i giovanili Manoscritti economico–
filosofici del 1844, né la Ideologia tedesca del 1847, pubblicati solo nel 1932,
né quel grande abbozzo del Capitale che sono i Grundrisse der politischen
Oekonomie, pubblicati solo nel 1939. E sono tutti testi che non solo consentono di capire la genesi del pensiero di Marx, ma anche contengono
espressioni pregnanti di stampo umanistico–umanitario contro l’alienazione, per una vita da esseri umani, per una totalità di uomini «onnilaterali», capaci di godere dei «godimenti superiori» della cultura: espressioni rimaste poi un po’ soffocate nel mare magno della sua ricerca economica. Altro che la semplice “economia”, contro la quale quelli che vivono solo di essa, storcono il naso! La sua economia è sempre una “critica” dell’economia degli economisti: in quegli e in altri suoi scritti, fino al
Capitale, l’economia, la deplorata, la materialistica economia si configura
come l’attività degli uomini associati tra loro per produrre la loro vita
materiale e spirituale nella lotta per dominare la natura e umanizzarla.
(E sembra anticipata dal Leopardi, quando nella Ginestra parla della natura dicendo: «costei chiama inimica, e contro a lei confederati estima gli
uomini tutti»). Ed è tale che, dai primi scritti giovanili fino alle ultime
pagine dell’ultimo volume, postumo, del Capitale, lo porta a denunciare
lo sfruttamento non solo dell’uomo ma anche della natura, prima a opera soltanto dell’industria capitalistica, e poi anche a opera dell’agricoltura industrializzata. Pagine poco osservate, ma importanti, che coinvolgono nel profondo tutto il rapporto uomo–natura, in una riflessione che
comincia fin dai suoi scritti “filosofici” giovanili, anticipando la coscienza ecologica odierna. Marx era un umanista umanitario, diventato economista per forza, perché, avendo scorto nei modi di produzione della
vita umana, materiale e spirituale, i presupposti della sua alienazione, in
cui il lavoro da «manifestazione di sé» diventa «l’uomo perduto a se
stesso», ha voluto vederci chiaro. Ma il suo fine era l’umanizzazione della natura e dell’uomo, cioè di tutti gli uomini: un tema che sarà fortemente ripreso da Gramsci, che parlerà in questo senso di «unificazione
culturale del genere umano»17.
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 1048, 1416.
17
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Insomma, il liberale comunista Labriola invita a una rilettura del comunista liberale Marx, anzi, di tutto il marxismo teorico o ideale. Di
fronte alla crisi di fine secolo Labriola fece comunque in tempo a deludersi nelle sue speranze sul socialismo; tuttavia, quando, l’8 gennaio
1900, scriveva a Croce: «Il socialismo subisce ora un arresto…», poteva
subito aggiungere: «… ciò non fa che confermare il materialismo storico». Certo, un materialismo liberale ed aperto: e, all’inizio del nuovo secolo, anzi del nuovo millennio, mi sia consentito chiudere con queste sue
parole, anche se non sappiamo che nome avranno le speranze umane del
futuro.
Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»∗
Stefano Miccolis
Le mostre, si sa, durano lo spazio di alcune settimane, dopo di che il
loro ricordo diviene sempre più evanescente nella mente dei pochi o
numerosi visitatori. I cataloghi, invece, sono fatti per conservare a lungo
la memoria, per rendere durature quelle acquisizioni scientifiche che rischierebbero altrimenti di rimanere infeconde e inoperose. Si comprende
quindi perché la cattedra dì pedagogia generale dell’università «La Sapienza» di Roma, dopo essersi adoperata per «mettere in mostra Antonio Labriola» (come recita il titolo di un contributo al quale faremo immediato riferimento), abbia voluto raccogliere in volume ― insieme a
molto altro e disparato materiale ― quanto per la mostra, oppure prendendo spunto da essa, una nutrita schiera di studiosi ha prodotto con
encomiabile impegno.
E nonostante che uno di essi ― in una riflessione della quale abbiamo
appena richiamato il titolo ― avvertisse (71) che «andando in stampa, si
corrono dei rischi altrimenti evitati»: perché (aggiunge) «il catalogo te lo
possono puntare come una pistola», specie quando esso vuol significare
«una lieta uscita dall’ovvio, un progresso di conoscenza rispetto al campo di studi in oggetto». Preoccupazione che deve alla fine aver condiviso
il promotore della mostra (Nicola Siciliani De Cumis), nonché curatore
di questo ponderoso catalogo (Antonio Labriola e la sua Università, Roma,
Aracne, 2005, pp. 690 quasi in quarto). Il quale ― nel ringraziare i circa
centocinquanta «archivisti e bibliotecari, professori, pittori, disegnatori,
architetti, fotografi, registi, attori, “comunicatori” ed altri esperti» che
hanno collaborato all’allestimento della mostra e alla realizzazione del
catalogo ― ha perciò ritenuto opportuno premettere (13–14) come «perfino l’incompletezza, l’imprecisione, la difformità e l’errore giocano un
ruolo di veridicità ed una precisa funzione euristica e pedagogica».
∗
Pubblicato in «Belfagor», a. LXI, n. 361, 31 gennaio 2006, pp. 84–90.
118
Stefano Miccolis
È esplicito e insistito, fino a percorrere l’intero catalogo, l’intento di
non limitarsi al già conosciuto e definito, e di cogliere l’occasione del
centenario come «momento, piuttosto che di “definizioni”, di innovazioni» (14). Intento che assume ad un certo punto la suggestiva formula
dell’«utilizzazione di Labriola oltre Labriola» (154). Resta forse un margine di incertezza interpretativa, ma crediamo di non andar lontani dal
vero nel tradurre che invece di restare fossilizzati all’accertamento
dell’effettivo pensiero del filosofo, così come si è svolto nell’arco della
sua vita, si vorrebbe andare avanti e appunto «oltre», verso nuovi orizzonti: imboccando «percorsi di ricerca» innovativi, e favorendo un indirizzo dei “mille fiori” sboccianti, grazie proprio agli «aspetti cantieristici e di laboratorio dell’indagine» (14). Propositi, come ognuno può
vedere, lodevoli e impegnativi, che sarebbe opportuno fossero ancorati
ad una imprescindibile condizione: la solidità dell’impianto biografico–
concettuale, cioè la massima attendibilità possibile del tronco su cui innestare i novelli virgulti. Perché «superare» (andare oltre) ― direbbero
all’unisono Labriola e il suo «scolaro riconoscente» Croce ― importa anzitutto «aver compreso».
Luoghi comuni e apocrifi labrioliani
Ora, noi leggiamo (e non abbiamo motivo per dubitarne) essere il curatore «fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell’opera»
di Labriola (62, nota 3); sicché ci si aspetterebbe una conoscenza aggiornata e non superficiale degli studî prodotti sul filosofo. Studî che, a partire dagli anni ‘80, hanno consentito di correggere erronei luoghi comuni
invalsi negli anni ‘50, e protrattisi a lungo per forza inerziale (complice
anche la pigrizia dei ricercatori, spesso indotti a dar per buono il già detto, per più o meno inconscia deferenza verso qualche «principio d’autorità»).
In uno dei pannelli della mostra, riprodotti al centro del catalogo in
un centinaio di pagine non numerate, si legge di Labriola che nel 1876
«comincia a dar lezioni di diritti e doveri agli operai romani, distaccandosi dalla Destra storica»: che è la riproposizione di quanto asseriva la
cronaca biografica del filosofo (Le principali date della vita) apparsa in
«Rinascita» (1954, 2, p. 118) in occasione del cinquantenario della morte.
Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»
119
Cronaca quasi certamente redatta da Giuseppe Berti, fresco editore sulla
stessa rivista delle lettere di Labriola a Bertrando Spaventa, che aveva
interpretato in senso letterale alcune espressioni («Avrete letto nei giornali che io sto per diventare socialista. Faccio lezioni agli operai di diritti
e doveri») presenti in una lettera a Bertrando Spaventa del 10 febbraio
1876. La tesi dell’avvenuto distacco dalla destra storica è rinvenibile in
pubblicazioni successive: come in appendice ad Antonio Labriola, Saggi
sul materialismo storico, a cura di Valentino Gerratana e Augusto Guerra,
Roma, Editori Riuniti, 1977, 19641 a pagina 385 (la frase del pannello è
presa di peso da qui), o alla biografia di Renzo Martinelli, Antonio Labriola. 1843–1904, ivi, 1988, a pagina 151, che collegava la «svolta» del
filosofo a quella politica più ampia del 1876, cioè l’avvento al governo
della sinistra (43). Lo stesso Gerratana, per la verità ― trattando del fatto
(perché le «lezioni agli operai» Labriola le aveva tenute) nella introduzione (40–41) ad Antonio Labriola, Scritti politici. 1886–1904, Bari, Laterza, 1970 ―, pur non contestando il senso assertivo del brano (che continuava così: «Spero di riuscire meglio che all’università, perché il senso
schietto della moltitudine è oramai preferibile a tutto questo nostro
mondo fittizio di scienza burocratica»), aveva invitato a una maggiore
cautela («il passo è senza dubbio significativo, ma se ne sono tratte illazioni alquanto esagerate»); avvertendo del «carattere chiaramente moderato e paternalistico dell’iniziativa», e di non aver trovato su nessun
giornale romano dell’epoca la notizia (come sostenuto dal Berti) di un
Labriola «diventato socialista». Ma l’analisi di un più largo numero di
cronache apparse sui quotidiani romani, e soprattutto gli appunti autografi conservatisi (nel Fondo Dal Pane) della prima delle «lezioni» tenute
da Labriola, hanno eliminato ogni dubbio in proposito. Ne riferì (1993)
uno dei relatori (Miccolis 1997) al convegno per il 150° anniversario della nascita del filosofo, segnalando le idee di schietto stampo conservatore contenute in quegli appunti, e concludendo per il senso ironico–
paradossale della frase scritta a Bertrando Spaventa. Interpretazione confermata dal contenuto di una successiva cartolina postale allo stesso
Spaventa del 15 febbraio 1876 (ma fino ad allora collocata nel 1875); nella
quale Labriola si lamentava di non aver ancora ricevuto risposta, sia pure ad una lettera (scilicet, quella del 10 febbraio) che «trattava di cose frivole». Non era dunque serio il tono con cui aveva in apparenza comuni-
120
Stefano Miccolis
cato una conversione ideologica così radicale e impegnativa. Il sentire
politico di Labriola non mutò fino alla metà degli anni ‘80, risalendo alla
primavera del 1886 la sua prima ed esplicita dichiarazione di abbandono
della destra storica; sicché è frutto di pura fantasia (o, di nuovo, stanca
ripetizione della cronaca biografica apparsa su «Rinascita» del 1954) l’affermazione contenuta nello stesso pannello relativa agli anni 1879–1880
(«Si avvicina sempre più ai gruppi radicali e socialisti»). In quegli anni
Labriola continuava a interloquire con Silvio e Bertrando Spaventa, con
Francesco Fiorentino e Angelo Camillo De Meis, irriducibile esponente
politico il primo e intellettuali «organici» della destra storica gli altri.
Non si sfugge all’impressione, percorrendo queste pagine interminabili, di aggirarsi dentro un mondo chiuso e autoreferenziale, privo di aperture che facilitino il confronto di idee. Gli allievi, non è dato capire
quanto entusiasti, di questo «Laboratorio Labriola», si sono abbeverati
alle fonti del maestro — del quale richiamano a più riprese i «molti e
importanti studi» (186, nota 7), o i contributi «di particolare interesse»
(273, nota 4) —, formandosi e informandosi su di una bibliografia bloccata, che sembra non contemplare altra letteratura labrioliana. Non si
spiegherebbe altrimenti perché il maestro pervicacemente continui (182–
83), seguito dagli allievi forse inconsapevoli (274, 275 e 425–27), ad attribuire a Labriola articoli apparsi su quotidiani napoletani tra il 1868 e il
gennaio 1872 che non possono essere suoi. Da tempo abbiamo cercato di
mostrare con argomentazioni abbastanza stringenti e adducendo documentazione difficilmente contestabile (Miccolis 1984 e 1986), che:
1) dell’ingresso di Labriola nel giornalismo napoletano si ha notizia
certa soltanto a partire dall’autunno 1871 (sicché è esercizio di pura
sprovvedutezza ascrivergli articoli usciti nei mesi o negli anni precedenti);
2) Labriola entrò a far parte dell’«Unità nazionale» (sorta il 20 novembre 1871) non prima del febbraio 1872, e nel periodo precedente non
poteva scrivervi, perché collaborava al «Piccolo» e alla «Gazzetta di Napoli», quotidiani dei moderati frondisti, separatisi dall’Associazione Unitaria Meridionale (dei moderati “maggiori”) e perciò avversati dal prefetto Rodolfo D’Afflitto (che proprio per contrastarli aveva voluto la na-
Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»
121
scita di un nuovo quotidiano, l’«Unità nazionale», affidato alla direzione
di Ruggiero Bonghi);
3) il Labriola di allora non era affatto un «marxista in fieri» (De Cumis
1981), né si può inferire da questo presunto suo fatale andare verso il
marxismo che si occupasse per ciò stesso di «educazione degli operai» e
di «Internazionale» dei lavoratori (titoli di due articoli del 1871, di segno
peraltro conservatore, imprudentemente inseriti dal De Cumis in altrettante raccolte di scritti labrioliani, e che non hanno niente a che fare col
filosofo).
Esiti grotteschi, corrispondenti di fantasia
L’utilizzazione di testi apocrifi, non solo, come è ovvio, inficia le analisi che vi fanno acritico assegnamento, ma può talvolta cadere nel ridicolo. Labriola collaborò all’appena nata (ottobre 1881) «Cultura» del
Bonghi, ma non oltre il fascicolo del 1° febbraio 1882. Quando al filosofo
furono incautamente attribuite (De Cumis 1987) ben 99 recensioni apparse nella «Cultura» degli anni 1883–1890, crediamo d’aver dimostrato
con sufficiente fondatezza (Miccolis 1988) che nessuna di quelle disparatissime schede (spesso scritte in modo sciatto e frettoloso) era opera sua.
Una studiosa chiamata a giudicare una tesi di laurea (come avviene per
altre tesi promosse dalla cattedra di pedagogia della «Sapienza»)
dell’anno accademico 1989–1990 su «La storiografia della Rivoluzione
francese nella formazione di Antonio Labriola», dà per acquisita la paternità di quegli scritti; e sottolinea come il laureato definisca una molto
breve (e del tutto insignificante) recensione — al libro di Licurgo Cappelletti, Storia popolare e critica della Rivoluzione francese (Foligno, 1886) —
il «primo testo labrioliano in cui compare il termine “Rivoluzione francese”» (231). E davvero si fatica a comprendere quale emozione possa
aver suscitato nel laureando (sia pur erroneamente indotto a ritenere di
trovarsi di fronte a un testo di Labriola) la lettura di questo incipit, che è
il luogo nel quale compare l’espressione, in un banale contesto denotativo: «Il sig. Cappelletti adduce a motivo della sua pubblicazione il desiderio di fornire la gioventù italiana di un libro di lettura, dal quale potesse ritrarre una conoscenza esatta della Rivoluzione francese, non adombrata da considerazioni partigiane».
122
Stefano Miccolis
Si colgono qua e là altri errori e imprecisioni. Di Alfredo Poggi — sostenitore nel ‘900 di un socialismo incardinato sull’etica kantiana — si
dice (267–68) che era «allievo» di Labriola, evidentemente perché il filosofo, nel rispondere (31 dicembre 1902) a una sua lettera, lo confondeva
con un semiomonimo marchigiano, un decennio prima studente all’Università di Roma (il Poggi, ligure di nascita, studiò e si laureò, in filosofia
(1904) e legge (1907), rispettivamente a Palermo e a Genova). Lo scritto
pubblicato postumo (1906) da Croce contro il «ritorno a Kant» propugnato da Eduard Zeller, non è del «1862» (424, nota 5, e 442) come pure
dice la data autografa del manoscritto, ma del 3 maggio 1863. Lo fece notare molti anni fa Alberto Meschiari, che, traducendo la prolusione di
Zeller, Significato e compito della teoria della conoscenza, avvertì che essa era
stata tenuta il 22 ottobre 1862; sicché la «risposta» di Labriola non poteva
che essere della primavera dell’anno successivo (Zeller 1982). Ritornò
sulla questione Aldo Zanardo (1998), in un articolo che indicava fin nel
titolo (Labriola contro Zeller: 1863) la data che gli sembrava più «persuasiva». Zanardo, che non conosceva la postilla del Meschiari, aggiunse un
altro elemento cronologico: nel suo scritto, Labriola citava la replica alla
prolusione di Zeller dell’hegeliano Karl Ludwig Michelet, pubblicata in
«Der Gedanke» del dicembre 1862, anzi probabilmente uscito nel gennaio 1863 (sul fascicolo non compare il mese, ma vi si dava notizia di
una riunione della Società filosofica di Berlino tenutasi il 27 dicembre
1862). Della rettifica — resa necessaria anche dal fatto che più volte il filosofo, in lettere private dell’età matura, collocava lo scritto nel 1862 —
si riferisce, con gli opportuni rinvii bibliografici, in Antonio Labriola,
Carteggio. III. 1890–1895, Napoli, Bibliopolis, 2003, 379–80, nota 2. Il destinatario della lettera di Labriola del 5 maggio 1893, non è un improbabile, e in effetti inesistente, «Martinez», ma Ferdinando Martini, allora
ministro della pubblica istruzione; che è ovviamente anche l’autore della
missiva del 10 aprile 1893 indirizzata al filosofo, sempre attribuita al fantomatico «Martinez» (573–74). La lettera di Labriola al rettore della «Sapienza» (Ernesto Monaci) presentata (619) come «inedita» e datata
«12/6/1886», è già stata pubblicata in Epistolario, I, Roma, Editori Riuniti,
1983, 215 (ed è del 12 gennaio 1886). Si omette di dire che non è una lettera autografa: ne esiste copia (firma compresa) di altra mano nella cartella
Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»
123
universitaria del filosofo (è riprodotta anche nel 2° volume dei Carteggio,
Napoli, Bibliopolis, 2002, 310–11).
Le ispezioni, le glosse autografe e le fattezze di Labriola
Ci sarebbero molte altre cose da dire su questo impressionante contenitore di materiali disparati, affastellati un po’ alla rinfusa, dentro i quali
non è agevole muoversi, anche per l’assenza di un indice dei nomi. Ci
limitiamo ad analizzare una questione poco chiara. Ad un certo punto
del mamozio si incontra (515) una sezione così intitolata: «La storia alle
Elementari. Il punto di vista di Antonio Labriola Ispettore didattico nelle
scuole normali (1870–1904)». Lasciamo stare l’incongruenza del titolo,
frutto forse di un frettoloso assemblaggio. Una nota in calce avverte: «Elaborato scritto di Simona D’Onofrio, per una laurea triennale in Scienze
dell’Educazione e della Formazione» del 2003/04 all’Università di Roma.
Ma dopo uno svelto «cappello» giustificativo («il tema della storia è forse il più caratteristico dell’opera di Labriola»), ci si avvede che nelle 25
pagine successive sono riprodotte con note di commento le relazioni fatte da Labriola nelle vesti di ispettore ministeriale a nove scuole normali
(gli istituti magistrali della riforma Gentile) nella primavera del 1885. E
si tratta precisamente di due articoli apparsi a firma del De Cumis nella
rivista «Scuola e città» del giugno 1995 e luglio 1996. Testi riproposti con
così assoluta fedeltà, che viene conservata una postilla al secondo articolo, siglata «N.S.d.C.» e indicante gli errori presenti nel primo: errori che,
se si eccettua il nome di un docente (corretto per non si sa quale motivo),
sono tutti rimasti a scorno del lettore (che non può individuarli, perché
le pagine indicate nella postilla sono quelle del periodico). Da una scheda della tesi di laurea, posta in altro luogo del catalogo (604–05), si apprende che essa contiene in appendice «inediti di Labriola come ispettore didattico nelle scuole normali»: ed è un mistero come possano esserlo
(inediti) testi pubblicati otto anni prima (tre delle relazioni, per giunta,
erano già apparse in una pubblicazione dell’Archivio Centrale dello Stato, L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana, a cura di Carmela Covato e Anna Maria Sorge, Roma, 1994, 157–67). Ma non abbiamo la
possibilità di indagare oltre, e ci restringiamo al fattibile.
124
Stefano Miccolis
Alle relazioni, redatte da altra mano (quella dello scrivano Oreste De
Dominicis), Labriola appose note marginali e postille autografe, che avrebbero meritato maggiore attenzione e una più scrupolosa trascrizione. Della postilla alla relazione sulla scuola normale femminile di Ancona, si legge sorprendentemente in nota (519), a proposito del cognome
errato di un docente: «Il copista ha male interpretato la calligrafia del
Labriola». Sicché sorge il dubbio che l’autore del testo non abbia visto
con i suoi occhi il manoscritto, dovendosi escludere che «uno dei più
precisi, assidui ed esperti studiosi di Labriola» (652) non riconosca la
grafia di una persona così lungamente indagata. La postilla si chiude
(520) con una considerazione riguardante un altro docente (al quale Labriola addebitava sarcasticamente d’essersi esibito «in presenza di alunne» in un «bel saggio di moralità»): «Il De Bernardo […] fa conto che il
Ministero si limiterà a traslocarlo» (non, come si legge, trascurarla). Lo
diciamo anche per facilitare quelle «indagini», che si assicura (520, nota
29) essere «in corso», «per saperne di più» sul «caso De Bernardo».
Dell’ispezione alla scuola normale femminile di Roma (la «Vittoria Colonna»), esiste il verbale dei consiglio dei docenti, avendo Labriola «stimato opportuno» (avvertiva in una nota autografa) «di esporre
agl’insegnanti stessi le sue osservazioni». Qui sono più numerose le note
a margine del filosofo, e molte sono rimaste vittime di errori di decifrazione che rendono oscura la comprensione di alcuni passi. Ci limiteremo
a segnalare quelli presenti in una di esse (537–38), che ne stravolgono
non poco il senso: «L’abitudine di far compilare dalle alunne dei manuali
[non «normali»] manoscritti di tutte le materie, compresa l’aritmetica, ha
raggiunto nella scuola di Roma le proporzioni di una frenesia» [non
«porcheria»]. Quest’ultimo errore si sarebbe potuto evitare, se solo si
fosse posta attenzione alla ricorrenza di certuni rilievi nelle relazioni. In
quella riguardante la scuola normale di Chieti, Labriola lamentava (531)
che una docente avesse «l’abitudine poco lodevole di far compilare dalle
alunne dei veri trattati manoscritti»: e aggiungeva che «nella normale di
Roma cotesta bella usanza» aveva «assunto la forma di una frenesia».
Il curatore coltiva da tempo l’intento di realizzare un film sulla vita e
sulla figura di Antonio Labriola. Ne scrisse anni fa (1995) su di una rivista cinematografica, sotto forma di una lettera a Eugenio Garin; articolo
Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»
125
riprodotto nel catalogo, proprio al termine delle pagine non numerate. E
giustamente ha dato spazio alla dimensione visiva, utilizzando foto del
filosofo e dei noti disegni della nuora Frieda Menshausen, ma anche elaborazioni di giovani artisti e fotomontaggi suggestivi: come quello che lo
ritrae (316) alla destra di Labriola, attorniato da uno stuolo di allievi e
collaboratori (tra i quali un allusivo Pulcinella); o l’altro, nell’ultima pagina del catalogo, dove figura insieme ad alcuni colleghi con sullo sfondo i ritratti di Labriola, Gramsci e Makarenko. Vorremmo solo far presente che il filosofo è rappresentato sia nelle sue effettive sembianze, sia
in quelle del figlio Alberto Franz (che ha una qualche, sia pure vaga, genetica somiglianza col padre), sia addirittura col faccione di Andrea Costa; sicché risulta essere, per così dire, uno e trino, con intuibili effetti di
straniamento e confusione. Meglio fermarsi (questo il nostro sommesso
avviso), prima di andare «oltre», e intanto appurare almeno le fattezze
autentiche di Antonio Labriola.
Nota. S. MICCOLIS, Antonio Labriola e le elezioni comunali di Napoli del 1872, in
«Critica storica», 1984, 409–453 (in particolare 412–18); ID., Antonio Labriola moderato, in «Nuovi studi politici», 1986, 1, 85–110 (in particolare 86–89); N. SICILIANI
DE CUMIS, «Introduzione» ad A. LABRIOLA, Scritti liberali, Bari, De Donato, 1981,
31; ID., Antonio Labriola e «La Cultura» di Ruggero Bonghi, in «Giornale critico della
filosofia italiana», 1987, 313–344 (in particolare 340–41); S. MICCOLIS, Su Antonio
Labriola, Ruggero Bonghi e «La Cultura», in «Nuovi studi politici», 1988, 4, 43–70; E.
ZELLER, Ueber Bedeutung und Aufgabe der Erkenntniss–Theorie, traduzione e postilla
a cura di Alberto Meschiari, estratto da «Studi di filosofia, politica e diritto»,
1982, 15–17 e nota 4; A. ZANARDO, Labriola contro Zeller: 1863, in «Critica marxista», 1998, 2–3, 65–78 (in particolare 76–78); A. LABRIOLA, Carteggio, voll. I–IV
(1861–1898), a cura di Stefano MICCOLIS, Napoli, Bibliopolis, 2000–2004.
La filosofia nella scuola e nell’università
Maria Pia Musso
Il bambino impara, perché crede agli adulti.
Il dubbio vien dopo la credenza.
Ludwig Wittgenstein
Il libro a cura di Irene Kajon e Nicola Siciliani de Cumis, La filosofia
nella scuola e nell’università esce nel 2005 per la casa editrice Lithos di
Roma, e si articola in 325 pagine dense e stimolanti. Il volume nasce dalla collaborazione di numerosi studiosi e insegnanti di filosofia, di pedagogia e di altre discipline, alcuni impegnati, a vario titolo, presso l’Università di Roma «La Sapienza», altri “professori di scuola” a Roma che,
con i propri scritti, riflettono su come il pensiero critico e la ricerca filosofica siano importanti per la formazione integrale della persona, nel passato come nel presente.
Il volume sembra avere come scopo quello di restituire un ruolo degno alla filosofia intesa come ricerca, come metodo che insegna a porre
domande, come destrutturazione continua delle conoscenze acquisite,
come esercizio dell’intelligenza critica in ogni campo del sapere, al fine
di contrastare l’attuale rischiosa tendenza a dare una risposta certa per
ogni quesito, a fornire una ricetta manualistica per ogni problematica.
L’uomo si è da sempre posto delle domande in ambito etico, filosofico,
fisico costruendosi un metodo epistemologico rispetto al mondo fenomenico e a quello interiore.
Non chiudersi nel proprio ambito specialistico, utilizzare la propria
competenza tecnica per un fine collettivo, per costruire un sapere condiviso, frutto della convergenza interdisciplinare e multidisciplinare è
l’obiettivo da raggiungere, lo sforzo che viene richiesto.
Ha un significato dirompente allora la proposta di rinsaldare il legame tra scuola e università, tra un livello di alfabetizzazione “forzata” (lasciatemi passare il termine) e uno basato sulla scelta libera e personale
dello studioso; i diversi livelli di cultura si qualificano e si arricchiscono
128
Maria Pia Musso
interagendo tra loro e confrontandosi su di un terreno comune: la ricerca.
Il libro prevede quindici saggi preceduti da una Premessa: la filosofia
nel passato e nel presente, firmata dai due curatori e seguiti da un prezioso
apparato che raccoglie i nomi e i temi ricorrenti. Chiude il testo una breve presentazione dei singoli autori, con lo specifico profilo professionale
o accademico di ciascuno. Il volume affronta una molteplicità dei temi
che non ne consentono una lettura veloce e superficiale. Per “entrare nel
libro” occorre farsi guidare dalla Premessa dei due curatori, leggerla
prima e dopo aver finito l’intero volume, per trovare il filo rosso, il senso
direi quasi maieutico del volume stesso.
L’ordine dei saggi compresi segue il seguente indice:
– Gabriella Ricciarelli, La nascita della filosofia: unità e molteplicità;
– Emidio Spinelli, Capire e parlar chiaro. Ricerca filosofica e pragmatica
della comunicazione nel pirronismo antico;
– Maurizio Trebbi, La funzione pedagogica della tragedia senecana;
– Maria Grazia Iodice, Didattica del latino e filosofia;
– Raffaele Vitiello, Le «Provinciali» di Pascal, fra Sorbona e Port. Royal.
Un pamphlet filosofico, quasi un “romanzo di formazione”;
– Stefania Biagetti, Il mito della “Riforma italiana” tra cultura dell’età
barocca e storiografia illuministica;
– Roberto Sandrucci, Per quale via puoi sostenere che Cartesio era scettico in merito di Dio;
– Pierluigi Valenza, La nascita dell’università di Berlino e il dibattito sul
ruolo della filosofia;
– Nicola Siciliani de Cumis, Rileggendo L’Università e la libertà della
scienza di Antonio Labriola;
– Irene Kajon, Il ritorno dell’umanesimo platonico nelle università tedesche tra il 1915 e il 1939;
– Paolo Piccolella, Filosofia e scienze: dialogo e interdisciplinarità in
Hans Jonas;
– Furio Pesci, L’insegnamento della filosofia in Italia dall’Unità alla scuola media unica;
– Sergio Cicatelli, La via ermeneutica all’insegnamento della filosofia;
– Giuseppe Boncori, Educazione e intelligenza;
La filosofia nella scuola e nell’università
129
–
Armando Gnisci, Piccolo prolegomeni ad un’ermeneutica interculturale.
Ad una prima lettura cursoria dell’indice emerge la varietà delle tematiche affrontate nel volume, ma il collante è costituito dal comune intento, espresso bene nel retrocopertina, di «mantenere vivo il sentimento
del ruolo insostituibile che la filosofia ha nella formazione della persona
e nella storia della cultura. […] contrastare ogni dichiarazione di morte
della filosofia, che oggi spesso risuona richiamandosi da un lato alla critica antimetafisica di ispirazione neopositivista o esistenzialista,
dall’altro all’idea di riduzione dei problemi umani al naturalismo e biologismo, o alla difesa acritica del mito e della religione».
In questo contesto si possono leggere le numerose metafore, riferite
nel tempo alla filosofia, ricordate nella Premessa. Tra tutte trovo particolarmente significativa la metafora di Kant, che paragona la filosofia ad
Ecuba, una regina «detronizzata dagli avversari, che penetrarono nel
suo dominio in modo avventuroso e con mezzi nuovi» o quella di Wittgenstein: la filosofia è come una scala, uno strumento che consente
all’uomo di esaminare i “fatti” ad una certa distanza, ma deve essere
buttata via una volta utilizzata (Tractatus logico–philosophicus).
Nel saggio di Nicola Siciliani de Cumis, Rileggendo L’Università e la
libertà della scienza di Antonio Labriola, a proposito del ruolo della filosofia in rapporto alle altre scienze, si legge la tesi di Labriola:
[…] che la filosofia debba cessare di essere nell’ordine degli studii un che di extra–scientifico, e un quasi rimasuglio di tradizione scolastica: — che la filosofia
debba essere liberata dalla forzata ed inverosimile congiunzione con la filologia;
— che la filosofia debba essere messa alla portata di tutti quelli che studiano
ogni altra disciplina, perché vi trovi un facoltativo complemento di coltura qualunque studioso si senta in grado di superare nella trattazione delle varie scienze la specialità della ricerca1.
La didattica per non diventare sterile, dovrebbe avvalersi della ricerca, intrecciandosi e sperimentandosi in essa, costruendo un rapporto
N. SICILIANI DE CUMIS, Rileggendo L’Università e la libertà della scienza di Antonio Labriola, in La filosofia nella scuola e nell’università, a cura di I. Kajon e N. Siciliani
de Cumis, Roma, Lithos, 2005, p. 158.
1
130
Maria Pia Musso
dialogico e critico; nell’azione educativa è necessario esercitarsi dunque,
in una coerente e continua azione di bilanciamento, di correzione e di
transazione, per “educare educandoci”.
L’operazione di utilizzare l’attività scientifica di ricerca come legame
proficuo di continuità nell’educazione di ogni grado (scuola media inferiore, superiore e università) è vista nell’ottica di una formazione critica
permanente, adeguata alle varie fasi della crescita. Un esempio concreto
è il contributo che professori universitari, studiosi, dottori, laureati e
laureandi hanno dato con i loro saggi, nel corposo e multiforme catalogo
a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e la sua Università2.
Siciliani de Cumis nel suo scritto3 ricorda alcuni passi della prolusione del 1896–1897 di Labriola agli studenti, a proposito della funzione
educativa dell’università e della responsabilità intrinseche all’atto del
docere e dell’apprendere:
Voi avete, senza dubbio, il diritto di discutere nei nostri insegnamenti la
scienza che vi si rivela. Il discutere è condizione dell’apprendere; e la critica è la
condizione di ogni progresso. Ma per discutere, occorre d’aver già imparato. La
scienza è lavoro, e il lavoro non è improvvisazione. […] Io mi auguro che voi, discutendo e criticando, supererete noi, ossia questo periodo nostro. L’Italia ha
bisogno di progredire materialmente, moralmente, intellettualmente […]. Noi
professori siamo, senza dubbio, orgogliosi della superiorità di condizione morale, in cui ci troviamo rispetto a quelli che ci precedettero nei secoli scorsi, pei
quali le libertà furono privilegi; […]. Ma saremo, per fermo, più orgogliosi, se,
Il catalogo, edito da Aracne, Roma, 2005, esce in occasione dei settecento anni
de «La Sapienza» (1303–2003) e per ricordare i cento anni dalla morte di Antonio
Labriola (1904–2004), sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana.
Nel volume sono proposti con dovizia tecnica, numerosi documenti esposti anche
nella mostra organizzata dalla I cattedra di Pedagogia generale di Roma de «La Sapienza», che si è svolta in tre diverse sedi, tre luoghi labrioliani: l’Archivio Centrale
dello Stato, l’Archivio di Stato di Roma, gli Archivi del Rettorato e della Biblioteca
degli Studi di Roma «La Sapienza», nel febbraio 2005. Il catalogo dà notizia dello
status quo degli studi sui temi labrioliani, ma ne indica anche di nuovi, riguardanti il
Labriola filosofo, il politico, lo storico, il pedagogista e il professore; documenta aspetti inediti di Labriola e la sua Università (fotografie e dipinti, documenti di archivio, ricostruzioni della Roma di fine ‘800, ecc.).
3 Rileggendo L’Università e la libertà della scienza di Antonio Labriola, in La filosofia
nella scuola e nell’università, cit., pp. 166–167.
2
La filosofia nella scuola e nell’università
131
associando voi all’opera nostra la vostra intelligente docilità, ci permetterete di
chiamarvi cooperatori nostri in questo lavoro, che è il più gradito e nobile che
capiti ad un uomo di esercitare ordinatamente, anzi commilitoni sotto l’insegna
di quella libera e spregiudicata ricerca che per noi e voi tutti è diritto e dovere
ad un tempo.
L’obiettivo ultimo dell’educazione ha in sé dunque una forte componente creativa e propulsiva che mira a riconoscere autonomia nel soggetto che apprende e insieme a responsabilizzarlo, riconoscendolo come potenziale “ricercatore” e quindi competente di una materia specifica. Nel
faticoso e complesso percorso è essenziale fare affidamento sulla motivazione personale, sull’interesse, sulla curiosità del singolo rispetto ad
un tema specifico. Questo atteggiamento propulsivo dovrebbe essere tenuto dai professori tutti, dei vari gradi di scuola perché è il solo antidoto
al dommatismo e allo scolasticismo polveroso riscontrabile purtroppo in
parecchie aule. La tendenza ad assolutizzare strumenti di trasmissione
passiva del sapere quali i manuali scolastici, considerati spesso come
punto di arrivo e non di inizio, a ridurre al massimo i contenuti in sintesi
improbe e mappe concettuali costruite da adulti che hanno già sistematizzato e acquisito il sapere, tarpa le ali a quel processo creativo di scoperta e di conquista personale che è parte della conoscenza critica.
L’esercizio della mente garantito dalla ricerca filosofica disinteressata,
dall’analisi delle fonti documentaristiche, dal “contatto” con il pensiero
critico nel suo divenire, potrebbe essere un’alternativa percorribile per
limitare il rischio di una cultura banale e banalizzante, fondata su breviari filosofici con soluzioni permeate di suadenti elisir.
In questo senso ci vengono in aiuto le pagine scritte da Roberto Sandrucci, che costruisce una lezione–tipo su Cartesio destinata ad una classe liceale, e quelle di Sergio Cicatelli che propone l’ermeneutica come
metodo di insegnamento per avvicinare i giovani alla lettura dei testi filosofici. La chiave storica nell’insegnamento della filosofia deve essere
affiancata dall’approccio epigenetico: ripercorrere le strade della filosofia attraverso il suo farsi e dunque attraverso le sue domande. Questo
implica da un lato il ri–conoscimento del significato dell’educazione, intesa come trasformazione e fondata su una didattica dialogica, e dall’altro
il pieno e sostanziale riconoscimento della centralità dello studente nel
processo di apprendimento.
132
Maria Pia Musso
Giuseppe Boncori documenta nel suo stimolante saggio i numerosi studi
sulle abilità di pensiero e sulle capacità di apprendere la filosofia fin dall’infanzia, a partire dalle ricerche di Alfred Binet, di Lewis Madison Terman, di
Arthur S. Otis, di J.P. Guilford. Risulta particolarmente interessante, inoltre,
il progetto sperimentale per la scuola elementare (riportato nelle pp. 310 e
sgg.), promosso da M. Lipman e A.M. Sharp, Philosophy for children: where
we are now, pubblicata in «Thinking» nel 1986, e poi sviluppato dagli studi
di G.H. Mead, L.S. Vygotskij e J. Bruner. La ricerca utilizza alcune categorie
e la metodologia della ricerca filosofica per migliorare alcuni aspetti intellettuali e conoscitivi come le capacità di comprensione, l’analisi e la soluzione
di problemi, nella convinzione che la riflessività e la razionalità del cittadino si fondano sulla capacità di cogliere il significato di ciò che si sente e si
legge, dando significato a ciò che si dice e si scrive. Per questo sono necessarie alcune competenze di ragionamento, come l’inferenza e la scoperta di
presupposti soggiacenti, insieme alle capacità di ricerca che consentono di
formulare e spiegare le ipotesi.
Il volume a cura di Irene Kajon e Nicola Siciliani de Cumis costituisce
una significativa alternativa al modo tradizionale di vedere e vivere la filosofia, come “scienza dei dotti”; mostra come i molteplici significati di
cui la filosofia si sostanzia e si arricchisce rappresentino altrettanti strumenti sul piano metodologico per una ricerca critica, vitale per ogni insegnamento; ma soprattutto, l’insieme degli scritti contenuti nel volume riescono bene a rappresentare l’auspicio dei due curatori, espresso nella
Premessa a p. XI, e cioè che «[…] la ricerca filosofica e l’insegnamento della
filosofia non perd[ano] quei caratteri di astrazione, disinteresse, gioco (un
dispendio di energie senza alcuna utilità), pur nel rigore, che sono loro
connaturati fin da loro apparire nell’orizzonte della cultura».
Descartes in una sua lettera a Picot, definisce la filosofia come un albero, le cui radici sono la metafisica, il tronco la fisica, e i rami che escono da tronco tutte le altre scienze. Torna il concetto di enciclopedia e della
circolarità dei saperi saldati tra loro grazie alla riflessione critica e alla
ricerca filosofica.
Labriola, la filosofia, l’Università, il socialismo∗
Vincenzo Orsomarso
La seconda edizione del libro di Nicola Siciliani de Cumis, Filosofia e
università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Torino, UTET, 2005, esce opportunamente nel momento in cui Antonio Labriola e la sua Università è lo
specifico tema che l’Università di Roma «La Sapienza» ha scelto per etichettare le proprie iniziative in memoria del Labriola professore e scienziato nel centenario della morte (1904–2004): da un lato, con un Convegno svoltosi il 2 e il 3 febbraio 2004 nella Facoltà di Filosofia; da un altro
lato con una Mostra documentaria realizzata tra il 2004 e il 2005, mediante una collaborazione tra la Prima Università di Roma, l’Archivio
Centrale dello Stato (EUR) e l’Archivio di Stato di Roma (antica sede della «Sapienza»).
Iniziative accompagnate dalla pubblicazione per le edizioni Aracne di
un ricco e voluminoso Catalogo, Antonio Labriola e la sua Università1, curato sempre da Nicola Siciliani de Cumis, e da una serie di seminari di
approfondimento svoltisi durante i mesi di marzo e maggio del 2005 nel
quadro delle lezioni della prima cattedra di Pedagogia generale della facoltà di Filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, e relativi ai temi presenti tanto nella Mostra quanto nel Catalogo.
Un testo dicevamo, quello su Antonio Labriola e la sua Università, ricco
e denso di contributi, che dalla «filosofia del catalogo», dopo aver esposto il vivace dibattito del 3–4 febbraio 2004, a cui hanno partecipato tra
l’altro Fulvio Tessitore, Gennaro Sasso, Luigi Punzo, Giuseppe Spadafora, Ignazio Volpicelli, Alessandro Sanzo e altri studiosi, raccoglie contri∗
Il presente saggio è il risultato dell’integrazione e dell’ampliamento di due articoli, Labriola, la filosofia, l’università e altro e La storia tra libertà e necessità, pubblicati
rispettivamente su «Ora locale» (aprile–giugno 2005, p. 15) e sul «Giornale di storia
contemporanea» (n. 2, dicembre 2005, pp. 188–206).
1 Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura
di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005.
134
Vincenzo Orsomarso
buti che affrontano i diversi e complessi terreni labrioliani. Dalle questioni socratiche, trattate da Emidio Spinelli, alle intuizioni, presenti negli Scritti pedagogici, a proposito di metodologia sperimentale e ricerca
educativa su cui si sofferma Giuseppe Boncori. Ancora, Antonio Labriola
fra Croce e Gentile di Giovanni Mastroianni, Diritto e stato nei Saggi sul
materialismo storico di Luigi Punzo, e altri interventi di cui non possiamo dare conto in questa sede e ce ne scusiamo con gli autori.
Seguono le pagine dedicate alla mostra e alle mostre su Antonio Labriola e la sua Università; infine una serie di contributi specificatamente
interessati al Cassinate professore universitario, alle tesi di laurea dei
suoi studenti. Vale la pena ricordare, per tutta una serie di implicazioni
didattiche e filosofiche, quella di Luigi Basso, Sul metodo delle scienze sociali, introdotta nel catalogo da una stimolante nota di Franco Ferrarotti,
e su cui torneremo nelle pagine successive.
Quello che viene fuori nell’ultima parte del volume è l’impegno didattico e istituzionale del Labriola, il tutto sostenuto da una documentazione inedita, curata da Siciliani de Cumis e da un nutrito gruppo di
giovani ricercatori.
Ma l’opera non ha solo il merito di fare il punto sullo stato dell’arte
ma rappresenta il felice esito dell’applicazione di una filologia che proponendosi gramscianamente di accertare i fatti «nella loro inconfondibile “individualità”»2, affronta l’autore e il contesto in cui opera nella sua
articolata complessità, pur dai diversi Punti di vista da cui si collocano gli
interventi. Un esito pertanto necessariamente aperto ad ulteriori sviluppi, a cui gli stessi studenti della cattedra di pedagogia generale sono
chiamati a contribuire nel quadro di una didattica della ricerca, sostenuti
in questo da un insegnamento interessato a favorire l’acquisizione tanto
della strumentazione storico–filologica necessaria quanto delle forme essenziali della comunicazione scientifica.
L’obiettivo è espresso dallo stesso Siciliani con le parole pronunciate
dal Giorgio Pasquali nel 1923:
Per nulla al mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di avere
scoperto, essi per primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1429.
2
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
135
dall’esercizio, qualche cosa […] e fosse pure una minima cosa. È desiderabile,
mi pare, che il giovane entri nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un giorno, anche un giorno solo, un ricercatore, uno scienziato.
Ovviamente il programma pasqualiano era pensato per una università di élite mentre per Siciliani la questione di fondo è quello di posizionarlo e farlo fruttare nell’ambito della scuola e dell’università di massa3.
Una proposta didattica che trova una formidabile fonte di ispirazione
nel Labriola che si propone socraticamente di sollecitare più che insegnare, di suscitare l’interesse per il dibattito, per la ricerca. Un autore
per il quale le operazioni educative non hanno «in mira di ottenere […]
il nudo effetto dell’imitazione, ma di promuovere i principi interiori della retta scelta e della retta operazione. Attività ordinata, rivolta a produrre attività, ecco il preciso assunto del campo educativo»4.
Ed è anche questo in fondo uno dei motivi che sostengono la tesi del
Labriola sulle lauree in filosofia, una posizione che suscita un vivace dibattito e che Siciliani rimette in circolazione con il già citato volume Filosofia e università. Un testo la cui prima edizione risale al 1975 (Urbino,
Argalia, collana «Studi filosofici» diretta da Leo Lugarini, Pasquale Salvucci, Livio Sichirillo); la seconda, rispetto alla prima, presenta solo
qualche aggiunta, modifica e un aggiornamento bibliografico e poche
variazioni di forma. Una scelta che si spiega per la validità che ancora
hanno i motivi posti alla base dell’edizione del 1975 e a cui oggi se ne
aggiungono altri, di tutti è bene darne conto in questa sede.
In primo luogo, con questo libro, si è trattato di presentare un’esauriente esposizione delle proposte del Cassinate sulle «lauree in filosofia»
e quindi «delle ragioni, senz’altro, della filosofia, nell’ambito dell’intrapreso vivacissimo dibattito sull’Università nell’Italia del “positivismo
trionfante”»; proposte che suscitano un vasto dibattito prima, durante e
dopo il primo Congresso dei professori universitari, tenutosi a Milano
nel 1887.
N. SICILIANI DE CUMIS, Di professione, professore, Caltanissetta–Roma, Salvatore
Sciascia editore, 1998, p. 19, un testo a cui è utile affiancare dello stesso autore,
L’educazione di uno storico, Firenze, Manzuoli, 1989.
4 A. LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, in ID., Scritti pedagogici, a cura di N.
Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, p. 259.
3
136
Vincenzo Orsomarso
Segue l’esigenza di circoscrivere, attorno al Labriola ed agli altri testimoni delle sue ipotesi filosofiche ed universitarie, un dinamico campo
di interferenze ideologiche, «un moto di molteplici influssi, di fruttuose
coincidenze d’opinioni, e di intrecci, tra le varie tendenze dominanti nel
clima della cultura post–risorgimentale. Di qui, ancora, la necessità di
riprendere, in tutta la sua ampiezza e complessità quell’unico, lavoratissimo tessuto d’idee, nel quale sembrano finalmente ritrovarsi, in un senso inscindibile, tanto i fili della formazione del Labriola, quanto il disegno, e le tinte, della sua prima fortuna tra i più noti e autorevoli intellettuali del tempo»5 .
Altra giustificazione addotta dall’autore nella prima edizione riguarda l’intento di «offrire in qualche modo, ma sempre insistendo sull’importanza della predominante figura del Labriola, una pressoché inedita
cronaca di filosofia italiana, nell’arco del ventennio, dal 1882 al 1902»6.
Ai motivi sopra citati, addotti trenta anni fa a giustificazione della
prima edizione e che, come dicevamo, mantengono tuttora una particolare rilevanza, ne vanno aggiunti altri, motivi di occasione, precisa l’autore, ma non solo a parere di chi scrive visto che anche oggi, ovviamente
in un contesto profondamente mutato, tocca confrontarsi ancora, a proposito di scuola e di università, con «due pregiudizi egualmente perniciosi alla cultura: il volgare tradizionalismo e lo specialismo esagerato»7,
nel nostro caso tutto dipendente da una visione dell’istruzione e della
formazione immediatamente funzionale alle esigenze dell’accumulazione, qualcuno addirittura nelle sedi istituzionali si è spinto a teorizzare
una sorta di just in time dell’istruzione, una presa diretta con un mercato
sottoposto alle continue sollecitazioni prodotte da incessanti processi di
innovazione che al contrario richiedono elevate capacità di autoapprendimento, quindi quella solida cultura generale e filosofica che il Labriola
considerava valida per tutti gli studenti, indipendentemente dall’indirizzo di studio.
Una tesi esposta per grandi linee nella lettera del 12 luglio 1887 al Direttore della «Tribuna»; nel testo Labriola critica il concetto espresso dalN. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Torino, UTET, 2005, p. VII.
6 Ivi, p. XVI.
7 Ivi, p. 107.
5
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
137
la legge allora vigente, secondo cui «non c’è che una sola via per diventare filosofi; quella cioè degli studi filologici», quando invece la filosofia
non deve essere «un completamento obbligatorio della storia e della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale:
storica, giuridica, matematica, fisica o che altro siasi. Alla filosofia ci si
deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori»8.
Sulla proposta, «un po’ ostica alla prima», il Labriola ritorna nella relazione al convegno di Milano del settembre 1887, questa volta articolandola in termini interlocutori ma precisi, propri di chi ha conoscenza
ed esperienza di ordinamenti scolastici e universitari. Rafforzato nelle
sue convinzioni dai lunghi articoli di giornale in cui le questioni, dallo
stesso Labriola toccate nella lettera alla «Tribuna», erano state «ampiamente svolte con efficace sussidio di ottimi argomenti e prove», così come dalle «molte lettere private» di studiosi prodighi di «suggerimenti e
consigli». Da tali «suggerimenti e consigli risultano […] le proposte formulate più innanzi» dal Cassinate, che oramai considera proprie «di tutti gli egregi colleghi, coi quali» ha «tenuto una viva corrispondenza per
ben due mesi»9.
Quanto Labriola va proponendo poggia su una riflessione decisamente complessa maturata nel tempo e che si approfondirà negli anni successivi. L’insegnamento viene visto con nettezza come strumento essenziale per la formazione dell’uomo e la trasformazione della società; mentre nell’università, come scrive Garin nella prefazione, Labriola «individuò anche il punto in cui il sapere, la scienza, si innesta nel processo storico dell’umanità».
Tutto ciò lo indusse a riflettere «sul rapporto fra le varie discipline, e
fra le varie Facoltà, e a proporsi a un tempo i problemi generali della filosofia e i temi specifici dell’organizzazione dell’insegnamento superiore». Da qui la questione del significato e del compito della filosofia nella
problematica moderna, e il nesso fra le discipline filosofiche da un lato,
e, dall’altro, tra la filosofia, «le scienze della natura, le scienze matematiche, e le scienze ― se tali siano ― morali, storiche e “umane” in genere.
8
9
Ivi, pp. 20–21.
Ivi, p. 104.
138
Vincenzo Orsomarso
Il che, poi, significa mettere in discussione, attraverso l’ordinamento universitario, tutta una secolare tradizione di cultura, che in Italia è venuta saldando filosofia e filologia, assegnando a questa una posizione privilegiata per l’accesso alla filosofia, e predeterminando come unica valida una concezione “retorica” del filosofare»10.
Il senso del ragionamento del Cassinate non prescinde da una idea di
filosofia
aperta alla virtuale filosoficità del non–filosofico e commutabile nella storicità
dell’azione riformatrice universitaria. […] Un hegelismo ― scrive Siciliani ―,
che se com’è noto risente della curvatura dello hebartismo e dell’influenza positiva dei circostanti positivismi, viene tuttavia a confermarsi refrattario così ad
ogni scolastica hegeliana come a qualsiasi sistema–prigione di stampo hebartiano11.
La sua è una filosofia che rifiuta di chiudersi in un sistema e che cerca
di misurarsi con il nuovo che va emergendo nella realtà, il tutto da tradurre, con le dovute accortezze, pedagogicamente e politicamente. Operando quindi, nello specifico caso, nella direzione della trasformazione
delle fondamenta dell’istituzione universitaria e di conseguenza «dei
modi di intendere la società e i suoi valori, l’educazione e i suoi strumenti, i
contenuti e i metodi d’insegnamento, la definizione e l’organizzazione della
cultura»12.
1. Struttura economica e «prodotti di primo e secondo grado»13
Il 1887 è anche l’anno in cui il Cassinate, qualche mese prima della
lettera alla «Tribuna», nella famosa prolusione su I problemi della filosofia
della storia, mette in chiaro che «il nome di filosofia, in questa particolare
applicazione [quello di filosofia della storia], non designa già un corpo
di dottrine, dichiarato in ogni parte e consacrato dalla tradizione», un
«sistema o [ … ] scuola», ma una
Ivi, pp. IX–X.
Ivi, p. XVII.
12 Ivi, p. XVIII.
13 A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, in ID., La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1965, p. 124.
10
11
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
139
tendenza, più o meno esplicita, ma generale sempre nello spirito dei nostri
tempi e latente nei presupposti e nelle conclusioni di quelle discipline storiche,
che abbiano raggiunto un più alto grado di esattezza scientifica. E dicendo tendenza, si vuol dire di cosa che non ci disobbliga del primo prossimo lavoro di
analisi e di combinazione, e non ci permette di adagiarci tranquilli sopra una
tradizione bella e stabilita14.
È alla realtà dei processi storici che bisogna guardare, alle modalità
con cui viene a documentarsi il complesso articolarsi dell’attività umana
nei suoi molteplici livelli.
È in questo quadro di riflessioni che il Labriola delinea una concezione epigenetica della storia, a partire dalla confutazione della riduzione del
processo storico a «semplice trapasso d’uno in altro punto della medesima serie», a una «accumulazione secolare ed inconscia di prodotti che
si alterino da sé, per impulso inerente alla lor propria natura».
Come lo sviluppo embrionale non consiste in uno svolgersi di organi
preformati, ma in una catena di neoformazioni, così nella storia umana
vi è «tramutamento nell’azione propria dello spirito, una vera e propria
epigenesi della civiltà»15.
La storia in luogo di essere una lenta continua, progressiva evoluzione dei primi rudimentali organismi è una catena ininterrotta di formazioni nuove, determinate dalle circostanze e dall’ambiente, ma senza
rapporto alcuno di dipendenza diretta o causazione rettilinea tra loro16.
La critica labrioliana si appunta così sul concetto di causalità, trasferito dalle scienze naturali alle discipline storiche, e sull’evoluzionismo sul
cui paradigma teorico «l’oggetto da spiegare diventa criterio della spiegazione»17.
A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis,
Napoli, Morano, 1976, p. 25.
15 «Ciascuna parte si forma dopo l’altra e tutti compaiono in una forma semplice
che è del tutto diversa da quella ulteriormente evoluta» (L. DAL PANE, La teoria
dell’epigenesi nel pensiero di Antonio Labriola, in «Critica sociale», a. XXXV, n. 7, 1–15
aprile 1925, p. 110).
16 Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Nota bibliografica. La prelezione secondo la critica, in
LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit. p. 69.
17 DAL PANE, La teoria dell’epigenesi nel pensiero di Antonio Labriola, cit., p. 112.
14
140
Vincenzo Orsomarso
La concezione epigenetica non esclude anzi è inclusa nel metodo genetico «come necessità di scienza che voglia rendersi esatto conto del valore dell’esperienza»18.
L’uso della categoria di metodo genetico, che in Italia sostituisce quella di metodo dialettico «degradata nell’uso comune all’arte retorica ed
avvocatesca», non è solo una questione astrattamente terminologica:
allo stato presente della cultura filosofica in Germania ― scrive ad Engels il 13
giugno 1894 ― vi pare che sia chiara evidente, calzante ed esauriente la designazione di metodo dialettico per dire quello che volete dire: cioè la forma del
pensiero, che concepisce le cose non in quanto sono (factum ― specie fissa ―
categoria etc.) ma in quanto divengono; e che perciò esso stesso, come pensiero,
deve essere in atto di movimento?
Crederei che la designazione di concezione genetica riesca più chiara; ― e di
certo riesce più comprensiva, perché abbraccia così il contenuto reale delle cose
che divengono, come virtuosità logico ― formale di intenderle per divenienti19.
Se per Silvio Spaventa il metodo genetico, «“vero metodo speculativo
(intuitivo) […] inerente nelle cose stesse”», non è altro che la esplicazione organica e libera dell’idea «e la riflessione filosofica non deve far altro
che intuire e riprodurre questa esplicazione», tale «mutatis mutandis, il
processo genetico, che è all’origine del criterio del morfologico e della concezione epigenetica della storia secondo Labriola»20.
Ebbene, il morfologico, una «chiave per comprendere meglio, complessivamente, un po’ tutto il Labriola filosofo, politico, storico, pedagogista,
pubblicista, insegnante»21.
Sulla base di una visione che rifugge dalla linearità causale, l’unica
previsione possibile non può avere carattere cronologico, «di preannun-
LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 34–35.
A. LABRIOLA, Carteggio, vol. III (1890–1895), a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 411–412.
20 N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 28.
21 Ivi, p. 27.
18
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Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
141
zio o di promessa, ma […], per dirla in una parola che […] esprime tutto
in breve, morfologic[o]»22. Previsione che
come la storia (la “Storia”), “è sempre determinata, configurata, infinitamente
accidentata e variopinta”. È organica in se stessa e per se stessa. Ha “combinatoria e prospettiva”: ed è fatta di cose, che paiono disparate, indipendenti e per sé
stanti”, ma delle quali occorre “cogliere l’insieme come insieme, e scorgervi i
rapporti continuativi di serrati accadimenti” […]
Ed è questa la ragione anche tecnica per la quale, […], il criterio del morfologico non è anticipazione di cose ma solo adesione alle cose. E quindi: è anzitutto
riproduzione intelligente ma storicamente dipendente di forme, comunque aderenti alle
condizioni date, in quanto risultano organiche all’insieme. È poi immersione critica totale e totalizzante in un processo di realtà storiche complesse, qui ed ora conoscibili,
analizzabili, sintetizzabili in una forma. È ancora proposito etico–politico–pedagogico,
decisamente aperto al nuovo, ma limitato ed autolimitantesi a priori nelle cause e negli
effetti, perché storicamente connesso alle circostanze e da queste determinato23.
Certo il morfologico è criterio da seguire razionalmente e non di meno
da far valere idealmente, da vivere intellettualmente e passionalmente,
ed è ciò che consente dal punto di vista pedagogico, di muovere verso
«la formazione integrale dell’uomo», anche se poi la prassi non può non
fare i conti con i pesanti condizionamenti imposti dalla Storia24, che si realizza in un quadro di «stadii morfologici (e genetico–epigenetici) che ha
in Labriola radici tanto profonde e chiare (il suo sostanziale hegelismo)
quanto formativamente compositi»25.
Pertanto la previsione propria del comunismo critico risiede nella rilevazione dell’avvento di una forma di società, che svolgendosi dalla
presente, dalle sue contraddizioni, per leggi immanenti del divenire storico, metterà capo al «selfgovernment del lavoro»26; benché poi il comunismo sia anche per il Cassinate la capacità collettiva e individuale di autogestione del tempo liberato dal lavoro salariato e riempito di forma-
22 A. LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 27.
23 SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, cit., pp. 29–30.
24 Cfr. ivi, p. 34.
25 Ivi, p. 35.
26 LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, cit., p. 37.
142
Vincenzo Orsomarso
zione e autoformazione se, come scrive a Sorel il 20 aprile del ‘97, «le
droit à la paresse […] farà spuntare da ogni angolo di strada dei perditempo di genio che, come il nostro maestro Socrate, saranno operosissimi di operosità non messa a mercede»27.
Ma nella prelezione del 1887 la concezione epigenetica della storia
rimane ancora imbevuta di psicologismo e sulla determinazione
dell’evento gioca la dottrina dei fattori. Un anno prima Labriola aveva
discusso la tesi di laurea di Luigi Basso, Sul metodo delle scienze sociali;
una tesi che da un lato rispecchia la cultura generale e giuridica personale del Basso28, prevalentemente positivista, da un altro lato risente di una
certa consuetudine con il Labriola che va riflettendo sui temi che saranno propri della prolusione del 1887. L’attenzione al metodo delle scienze
sociali non può meravigliare se la «filosofia della storia non può ne deve
essere una storia universale narrata filosoficamente ma anzi una semplice ricerca su i metodi, su i principii e sul sistema delle conoscenze storiche»29.
Diventa quindi necessario misurarsi criticamente con la metodologia
prodotta dalle scienze sociali e positive, anche se Labriola conferma il
fallimento del positivismo quando quest’ultimo si propone in termini di
sistema. D’altra parte ogni scolasticismo non può che essere bandito dalla complessità del fatto storico e sociale, che si specifica nei «diversi elementi» nelle «varie funzioni» che «concorrano alla [sua] formazione»30.
A quest’ultimo proposito anche per Basso i fenomeni sono «l’effetto
di molte e varie» cause e che altre «in certi casi possono controbilanciare
quelle che […] hanno prodotto i fenomeni» considerati31. La stessa convinzione che basti analizzare la «natura psicologica dell’uomo»32 e i suoi
27 A. LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 179.
28 Basso già laureato in giurisprudenza nel 1883, si laurea in filosofia nel 1886, realizzando proprio quel tipo di preparazione universitaria di cui Labriola si farà aperto sostenitore nel 1887.
29 LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., p. 51n.
30 Ivi, p. 30.
31 Cfr. L. BASSO, Sul metodo delle scienze sociali, Tesi di laurea discussa con Antonio
Labriola, nella Regia Università di Roma «La Sapienza» il 27 giugno 1886, in Antonio
Labriola e la sua Università, cit., pp. 545–556 (in particolare le pp. 548–549).
32 Spinto ad operare «da impulsi che sono nella sua natura» (ivi, p. 550).
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
143
«moventi» per «dedurre i fatti umani», risulta gravida di errori, poiché
«questa natura psicologica non è cosa completa fin da principio». I «motivi più complessi delle azioni umane sono frutto di lenta evoluzione» e
«possono svolgersi diversamente nei diversi individui e similmente nei
diversi popoli, donde viene appunto quel diverso complesso di azioni,
di sentimenti, di pensieri che fanno il carattere così dei popoli come degli individui».
I moti psicologici «possono certo divenire principi che spiegano molte
istituzioni sociali», ma su queste ultime «hanno grande e diretta influenza le condizioni materiali, e specialmente le circostanze geografiche poiché queste sole molte volte possono determinare certi organismi o certe
varietà di organismi sociali»33, Basso cita Montesquieu e Spencer.
Ma Labriola già anni prima parlava di «plastica del suolo, come di
campo a cui l’uomo viene faticosamente sovraimponendo i prodotti
dell’operosità sua». Quindi la storia e l’insegnamento della storia devono rendere chiari «le varie maniere di tecnica, che furono escogitati per
vincere le esteriori difficoltà della natura», nonché «tenere congiunte le
immagini della umana operosità a quella dell’ambiente esteriore»34.
Considerazione del rapporto tra uomo e natura che viene portata a
completa definizione nella categoria di «ambiente artificiale».
La storia ― scrive Labriola nel secondo dei Saggi ― è il fatto dell’uomo, in
quanto che l’uomo può creare e perfezionare i suoi strumenti di lavoro, e con
tali istrumenti può crearsi un ambiente artificiale, il quale poi reagisce nei suoi
complicati effetti sopra di lui, e cos’ì com’è, e come via via si modifica, è
l’occasione e la condizione del suo sviluppo35.
Nel testo di Basso sembrano combinarsi la formazione giuridica e positivista del giovane studioso e le sollecitazioni e le suggestioni dell’insegnamento del Labriola. Tant’è che subito dopo le asserzioni sul peso
determinante dei fattori geografici Basso ritorna sulla pluralità delle
33
Ibidem.
LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 290.
35 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 76.
34
144
Vincenzo Orsomarso
cause operanti sui «fenomeni sociali», sulle «istituzioni», sulle «forze
psichiche sociali», sui «fatti storici in generale»36.
Ed è proprio «la considerazione di tante serie proprie ed indipendenti, di tanti elementi specifici, di tanti fattori irriducibili, di tante incidenze non preordinate, quante ne presenta la storia studiata al lume di una
critica spassionata e penetrativa» che secondo Labriola
ci consiglia, e anzi c’impone, di tenere per inverosimile e per illusorio il supposto di una reale unità, che sia come il punto di riferimento, il subietto costante, o
la significazione massima d’ogni sorta d’impulsi e d’opere, dai primissimi tempi fino ai nostri; la quale unità il filosofo riuscirebbe poi a ritrarre per virtù di
pensiero, e a tratteggiare per arte ed esposizione37.
Un punto di vista a cui succederà nove anni dopo, ma solo «in ultima
istanza», la spiegazione del «fatto storico per via della sottostante struttura
economica».
Affermazioni che sono alla base delle obiezioni di Vilfredo Pareto al
secondo saggio del Labriola, di cui pure ammira «la profondità del pensiero» e rileva la densità di «vera scienza» presente nelle pagine dello
«scritto […] sul materialismo storico». Ma non può non dissentire dal Cassinate quando il filosofo marxista ricostruisce, secondo Pareto, la storia
cedendo «alla credenza», a cui non è estraneo Marx38, «che tanto a scrivere la storia basti mettere in evidenza il solo momento economico»39.
Gli autori marxisti, tra questi Labriola, «richiamando l’attenzione sull’influsso che possono avere le condizioni economiche sulla morale, la
religione, ecc., hanno reso un gran servigio alla scienza. Però si sbagliano
sulla natura di cotesta dipendenza. Non si tratta di un rapporto di causa
ad effetto». Per Pareto è necessario chiedersi «se questa “struttura economica” non sia essa stessa, in certi casi, effetto anziché causa»40.
In realtà, nelle stesse pagine recensite da Pareto, Labriola muove alla
critica di quella che definisce la «semidottrina» dei «fattori storici», «più
volte addotta, quale argomento decisivo contro la teoria unitaria della
Cfr. BASSO, Sul metodo delle scienze sociali, cit., p. 550.
LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., p. 44.
38 Cfr. V. PARETO, Scritti sociologici, a cura di G. Busino, Torino, UTET, 1966, p. 217.
39 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 70.
40 PARETO, Scritti sociologici, cit., p. 214.
36
37
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
145
concezione materialistica» e che si esprime nella convinzione «che la storia non si possa intendere, se non come incontro e incidenza di diversi
fattori»41, il che ha a che fare con la teoria della mutua dipendenza dei
fattori propria di Pareto.
Una posizione che per Labriola si spiega nel quadro di una «società
già arrivata ad un certo grado di sviluppo, […] già tanto complicata da
nascondere il sottostrato economico che il resto sorregge», e che pertanto
non si è rivelata ai puri narratori, se non in quegli apici visibili, in quei risultati
più appariscenti, in quei sintomi più significativi, che son le forme politiche, le
disposizioni di legge e le passioni di parte. Il narratore oltre che per la mancanza di una dottrina teorica su le fonti vere del movimento storico, per l’atteggiamento stesso che egli assume di fronte alle cose che coglie nelle apparenze del
loro divenire, non può ridurre questo ad unità, se non nell’aspetto della sola intuizione immediata42.
In realtà i fattori storici vanno considerati il prodotto necessario di
una conoscenza
che è in via di sviluppo e di formazione. Nascono dal bisogno di orientarsi sopra lo spettacolo confuso, che le cose umane presentano a chi voglia narrarle; e
servono poi, dirò così, di titolo, di categoria, di indice a quella inevitabile divisione del lavoro, per entro alla quale fu finora teoreticamente elaborata la materia storico–sociale43.
Ma, considerando che anche ai comunisti critici spetta «l’obbligo della minuta e diretta ricerca»,
La provvisoria orientazione44, secondo l’ovvio schema di ciò che dicono i fattori, può, in date circostanze, occorrere anche a noi, che professiamo un princi-
LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 88.
Ivi, p. 89.
43 Ivi, p. 94.
44 I fattori per Labriola «si originano nella mente, per via della astrazione e della
generalizzazione degli aspetti immediati del movimento apparente, e stanno alla
pari con tutti gli altri concetti empirici, i quali sorti che siano in ogni altro campo del
sapere, vi si mantengono, finché, o non vengano ridotti ed eliminati per via di nuo41
42
146
Vincenzo Orsomarso
pio affatto unitario della interpretazione storica. Intendo dire, se vogliamo, con
propria nostra ricerca, illustrare un determinato periodo di storia45.
È così che il materialismo storico risulta «il principio unitario di massima evidenza e trasparenza» ma non il «mezzo infallibile per risolvere
in elementi semplici l’immane apparato e il complicato ingranaggio della società»46.
Se noi […] ci proponiamo di penetrare nelle vicende storiche svoltesi fino ad
ora, assumendo, come assumiamo, a filo conduttore il variare delle forme della
sottostante struttura economica, fino al dato più semplice del variare degl’istrumenti, noi dobbiamo aver piena coscienza della difficoltà del problema che ci
proponiamo; perché qui non si tratta già di aprir gli occhi e di vedere, ma di
uno sforzo massimo del pensiero, che è diretto a vincere il multiforme spettacolo della esperienza immediata, per ridurne gli elementi in una serie genetica. E
per ciò, dicevo, che nella ricerca particolare tocca anche a noi di pigliar le mosse
da quei gruppi di fatti apparentemente isolati, e da quel variopinto intreccio,
dallo studio empirico, insomma, dal quale è nata la credenza nei fattori, che poi
si è svolta in una semidottrina47.
La concezione materialistica della storia è il filo conduttore che attraverso i necessari accertamenti deve consentire di «intendere integralmente la storia» in tutte le sue intuitive manifestazioni48.
va esperienza, o non si trovino riassorbiti da una concezione più generale, che sia
genetica, evolutiva, dialettica» (ivi, p. 91).
45 Ivi, p. 94.
46 Ibidem.
47 Ivi, p. 96.
48 Proprio il tema del diritto e dello Stato in quanto prodotto di primo grado della
struttura economica, rende evidente, secondo Luigi Punzo, la lettura non dogmatica
ma aperta e problematica del rapporto che Labriola stabilisce tra struttura e sovrastrutture (cfr. L. PUNZO, Diritto e stato nei Saggi sul materialismo storico, in Antonio
Labriola e la sua Università, cit., p. 261). Attraverso una ricostruzione storico–genetica
del «fattore» Stato Labriola pone in luce come le funzioni dello Stato variano al variare delle condizioni sociali e «in secondo luogo, esso si determina alla stregua di
una forza fisica che deve controbilanciare forze di segno contrario, in funzione della
difesa degli interessi di una parte della società contro quella di tutto il resto». Lo
Stato, risolvendosi nelle condizioni sociali da cui esso trae origine, «cessa di “rap-
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
147
Non si tratta di separare l’accidenti dalla sostanza, la parvenza dalla realtà, il
fenomeno dal nocciolo intrinseco, […]; ma, anzi, di spiegare l’intreccio ed il
complesso, per l’appunto in quanto è intreccio e complesso. Non si tratta di
scovrire e di determinare il terreno sociale solamente, per poi farci apparire su
gli uomini, come tante marionette, i cui fili siano tenuti e mossi […] dalle categorie economiche. Queste categorie sono esse stesse divenute e divengono come
tutto il resto; ― perché gli uomini mutano quanto alla capacità e all’arte di […]
trasformare ed usare le condizioni naturali; ― perché gli uomini cambiano animo ed attitudini per la reazione degli strumenti loro sopra di loro stessi; —
perché gli uomini mutano nei loro rispettivi rapporti di conviventi, e perciò di
dipendenti in vario modo gli uni dagli altri49.
Il fattore economico pertanto non va astrattamente isolato da tutto il
resto, va innanzi tutto concepito storicamente.
Diversamente da gran parte dei teorici della Seconda Internazionale
tanto revisionisti quanto ortodossi, la sfera economica per Labriola non
può essere considerata separata dagli altri fattori, non può svuotarsi di
ogni effettivo contenuto storico–sociale, non può essere presentata come
una sfera antecedente e preliminare alla mediazione interumana. L’esprimere un concetto naturalistico di economia, parlarne come di un «istinto» o di una forza naturale economica analoga alla forza fisico–
naturale, se rende per i sostenitori dell’ortodossia questo mondo retto da
una concatenazione causale oggettiva, per i revisionisti pone, accanto e
al di sopra della struttura economica naturalisticamente concepita, la necessaria esistenza, accanto e al di sopra di esso, dell’«ideale morale», del
«dover essere» di Kant, al quale è rimessa la realizzazione del socialismo. La società dell’avvenire non è il risultato inevitabile dell’evoluzione oggettiva, bensì è una meta ideale che il volere umano si pone liberamente. Così la ferrea necessità evoca il suo opposto astratto: la libertà,
il determinismo, l’indeterminismo assoluto.
presentare la causa diretta” del movimento storico, in quanto presunto autore della
società. Ciò non significa negare in maniera acritica lo Stato, la sua funzione», infatti
per Labriola «resta pur sempre “qualcosa di assai reale, come sistema di forze che
mantengono l’equilibrio, o lo impongono con la violenza o la repressione”» (L.
PUNZO, Diritto e Stato nei Saggi di Labriola, in «Critica marxista», n. 1, 2005, pp. 63–
64).
49 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 140.
148
Vincenzo Orsomarso
Per il Labriola la questione si presenta in termini ben più complessi,
perché la storia «è storia del lavoro», che «è il nerbo del vivere umano,
l’uomo stesso che si svolge»50. Ma «da premessa di ogni umana esistenza», «di ogni progresso», il lavoro diventa condizione di «soggezione del
più gran numero degli uomini» alla «comodità di pochi»51.
L’articolazione fondamentale della società poggia sui rapporti che
«intercedono tra coloro, i quali direttamente producono col lavoro e coi
suoi strumenti i beni materiali»52.
Nel «concetto di storia del lavoro è implicita la forma sempre sociale
del lavoro stesso, e il variare di tale forma: ― l’uomo storico è sempre
l’uomo sociale, e il presunto uomo presociale, o supersociale, è un parto
della fantasia».
In Labriola la «produzione materiale» nel senso stretto della parola
non è dissociata da quell’altra e simultanea produzione che gli uomini
compiono dei loro stessi rapporti. Nella produzione gli uomini non agiscono solo sulla natura per creare un «ambiente artificiale», ma agiscono
anche gli uni sugli altri. Per produrre stabiliscono legami e rapporti e la
loro azione sulla natura, la produzione, ha luogo soltanto nel quadro dei
rapporti sociali stabiliti.
Siamo ben lontani da un concetto naturalistico di economia propria del
marginalismo, la storia come storia del lavoro è un conoscere operando, è
la prassi; il che implica «lo sviluppo rispettivamente proporzionato e proporzionale delle attitudini mentali e delle attitudini operative»53.
D’altronde una formazione storico–sociale nuova va ipotizzata, studiata, preparata, organizzata, voluta da quanti nel tempo, concorrono alla
sua genesi; ma per esistere e durare in qualche modo storicamente e politicamente, deve arrivare ad essere forma reale necessaria dei suoi contenuti
di oggettiva razionalità. Deve cioè vivere socialmente nei fatti allo stesso
modo in cui riesce a vivere filosoficamente nella teoria, per farsi quindi
movimento reale e coscienza di classe: capacità di produrre la trasformazione morfologica richiesta dalle dinamiche conflittuali di classe.
LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 232.
Ivi, p. 251.
52 Ivi, p. 214.
53 Ivi, p. 204.
50
51
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
149
2. L’«arbitrio soggettivo»
La storia così integralmente intesa «è il fatto dell’uomo»54 ma non cede «all’arbitrio soggettivo, che annunci una correzione, proclami una riforma, o formuli un progetto». La «relatività» delle formazioni economico–sociali sta nel fatto che si costituiscono in determinate situazioni, ma
non può essere ridotta a «fugacità», a «mera apparenza». Da qui la ragione della lunga citazione della Prefazione del ‘59 a Per la critica dell’economia politica e il frequente riecheggiare nelle argomentazioni labrioliane
delle affermazioni marxiane intorno alla «formazione sociale» che «non
perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le
quali essa ha spazio sufficiente»55.
Più forze di produzione «il mago va evocando, e più forze di ribellione contro di sé stesso suscita e prepara». Più «larghi si fanno i confini del
mondo borghese, più popoli vi entrano, abbandonando e sorpassando le
forme inferiori di produzione, ed ecco che più precise e sicure divengono le aspettative del comunismo»56.
Su questa base il «socialismo scientifico […] non è più la critica soggettiva applicata alle cose»57, non è quel «socialismo» che «per lungo
tempo» è stato «utopistico, progettistico, estemporaneo e visionario»58,
«ma è il ritrovamento dell’autocritica che è nelle cose stesse». La critica
vera della società esercitata dalla «società stessa, che per condizioni antitetiche dei contrasti su i quali poggia genera da sé in se stessa le contraddizioni»59.
Ma se nel primo saggio la previsione del socialismo corre sicura nel
suo carattere morfologico, nel terzo saggio Labriola va precisando come
l’esperienza di questi ultimi cinquant’anni deve indurre a pensare ad un
processo di trasformazione sociale in termini di lunga durata, il che rende la previsione «morfologica» incerta, dato il complicarsi e l’ampliarsi
LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 76.
LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, cit., p. 30.
56 Ivi, p. 55.
57 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 105.
58 LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 285.
59 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 105.
54
55
150
Vincenzo Orsomarso
del modo di produzione capitalistico60. Dopo poco però Labriola precisa
che lo studio delle trasformazioni capitalistiche, dei processi di ricomposizione sociale e politica del proletariato può consentire di riformulare,
con «sufficiente chiarezza di calcoli», la «nostra previsione», il passaggio
ad una nuova fase della storia umana61.
Su cotesti dati più prossimi la nostra previsione può correre con sufficiente
chiarezza di calcoli, e può raggiungere il punto nel quale il proletariato divenga
prevalente, poscia predominante politicamente nello stato. E da quel punto, che
deve coincidere con la impotenza del capitalismo a reggersi, da quel punto, dico, che nessuno può immaginarsi come un rumoroso patatrac, sarebbe il cominciamento di ciò che molti, non si sa perché, come se tutta la storia non fosse la
serie delle rivoluzioni della società, chiamano enfaticamente la rivoluzione sociale par excellence. Spingersi oltre di quel punto, coi ragionamenti, gli è come
voler confonder questi con gli artifizii della immaginazione62.
La politica, che è anche grande opera pedagogica, non può affidarsi a
quel «latente […] neoutopismo», al dogma della «necessaria evoluzione»
presente tuttora nel «socialismo contemporaneo. Il futuro devono produrlo gli uomini stessi, e per la sollecitazione dello stato in cui sono e
per lo sviluppo delle attitudini loro»63.
La «forma capitalistico borghese» si svolge quindi non «secondo regole e piani» ma «per via di attriti e di lotte» che nell’insieme formano
un «costante intrigo di antitesi»64; risulta quindi enorme il peso delle circostanze in cui gli uomini operano, tant’è che il socialismo è soprattutto
«la coscienza delle sue difficoltà»65 e le premesse vanno ricercate nel pieno dispiegarsi del modo di produzione capitalistico. Se il capitalismo
più si estende e più evoca le forze che lo seppelliranno, la premessa necessaria va individuata nella completa sussunzione del globo all’organizzazione economica e sociale borghese. Nel pieno svolgersi di una «ci-
Cfr. LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 287.
Ibidem.
62 Ibidem.
63 Ivi, p. 286.
64 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 148.
65 LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, cit., p. 32.
60
61
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
151
viltà, non più atavisticamente locale, non più nazionale e mediterranea,
ma internazionale, anzi interoceanica o panoceanica»66.
Per quanto poi riguarda l’Italia nella «concatenazione economico–
politica del mondo civile attuale», il paese, «in condizione relativamente passiva […] in tutti gli anni anteriori al 1870, nei quali le altre nazioni direttive posero le premesse e dettero la prima potente avviata alla
presente espansione e gara […] mondiale»67, «non può volontariamente
sequestrarsi dalla storia, dopo che per secoli ne era stat[o] mess[o] fuori
dai fati»68.
La famosa e discussa intervista del 13 aprile 1902 del «Giornale d’Italia» rende espliciti i limiti di un pensiero che non riesce ad elaborare un
concreto e autonomo percorso politico, arrivando ad affidare la soluzione del problema dell’emigrazione alla conquista della Tripolitania.
Una posizione eurocentrica che spiega l’altrettanto famosa risposta
alla domanda sull’«educazione del papuano», che a sua volta rende evidente l’enorme peso attribuito dal Labriola al condizionamento oggettivo. Nonostante che l’uomo «produc[a] e svilupp[i] se stesso, come causa
ed effetto, come autore e conseguenza ad un tempo di determinate condizioni sociali»69, l’equilibrio tra libertà e necessità si incrina gravemente
a favore di quest’ultima. D’altronde gli
uomini, che presi in astratto sono tutti educabili e perfettibili, si son perfezionati
ed educati sempre quel tanto, e nella misura che essi potevano, date le condizioni di vita in cui è stata loro necessità di svolgersi. […], questo è appunto il
caso in cui la parola ambiente non è una metafora, e l’uso del termine accomodazione non è un traslato70.
La lotta di classe, nel presente, si muove pur sempre dall’interno della forma imprescindibile della produzione borghese; e alla rivoluzione,
rimandata ad un futuro lontano, si rende necessario fare propria la gara
LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 323.
A. LABRIOLA, Da un secolo all’altro, in ID., La concezione materialistica della storia,
cit. p. 348.
68 A. LABRIOLA, Scritti filosofici e politici, a cura di F. Sbarberi, Torino, Einaudi,
1973, p. 959.
69 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 130.
70 Ivi, p. 128.
66
67
152
Vincenzo Orsomarso
e la concorrenza economica fra le nazioni, e dunque la conquista e la colonizzazione diventa uno strumento indispensabile dello sviluppo storico.
Ma il tema del colonialismo non è questione nuova per il Labriola, già
nel 1890 con una lettera al deputato radicale Alfredo Baccarini, sollecitava tutti coloro che si erano opposti all’impresa del Mar Rosso, a discutere, a cose fatte, «del modo di ordinare la colonia», se non fosse l’occasione, visto quanto previsto dalla recente legislazione in materia di terre coloniali, di «un esperimento di socialismo pratico»71.
Una provocazione poiché si rivolgeva allo stesso Francesco Crispi invitandolo, in virtù del suo passato mazziniano orgogliosamente vantato,
a rendere «omaggio, almeno in Africa, al semisocialismo cooperativo di
Giuseppe Mazzini»72.
Ma davanti alle decise obiezioni del Turati, per il quale il socialismo
non era sperimentabile, «esso si fa, non si prova»73, Labriola precisa di non
credere «alla capacità dello Stato borghese di risolvere uno solo dei problemi sociali secondo gli intendimenti nostri»74; la proposta aveva una
finalità pedagogica, era necessario porre dei casi concreti come quello
dell’Eritrea,
in cui si vede come nasce la proprietà borghese e come il capitale si impossessa
della terra, ed è flagrante la contraddizione fra lo stato presuntivamente democratico e l’abuso della pubblica finanza a vantaggio di pochi. I nostri operai sono stati troppo abituati a considerare il problema sociale coi criteri delle vecchie
«Teniamo la terra a titolo di proprietà di stato — scrive Labriola —, ed aspettiamo, studiando. Si faccia di creare un sistema di coltivazione, o diretta o sussidiata. Proviamo le forme della partecipazione e della cooperativa» (LABRIOLA, Scritti
filosofici e politici, cit., p. 107).
72 Ivi, p. 109.
73 «L’economia patriarcale», scrive Turati. «quella a schiavi od a servi, il feudalesimo, il cristianesimo, la rivoluzione francese e il regno della borghesia avvennero
non si sperimentarono. Avvennero alla loro ora, quando essi non potevano non essere, e quel che prima era non poteva essere più. Forzare l’evoluzione, cancellare un
periodo economico, saltare a piè pari dalla tribù africana al collettivismo sembrami
un sogno» (ivi, p. 111).
74 Ivi, p. 113.
71
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
153
scuole rivoluzionarie, e perciò errano nel vuoto, o si fanno tirare per il naso dai
demagoghi e dai catalinari75.
Sebbene a margine nella discussione, sollecitato da Pasquale Martignetti, interviene anche Engels che in una lettera all’interlocutore italiano dichiara che la «piccola economia contadina è la soluzione naturale e
la migliore nelle colonie che vengono oggi fondate dai governi borghesi
(su cui è da confrontare Marx, Capitale, I vol., ultimo capitolo: Colonizzazione moderna)». Quindi i socialisti possono «appoggiare senza scrupoli
di coscienza l’introduzione della piccola proprietà contadina nelle colonie già fondate. Se poi venga introdotta è un’altra questione»76.
L’intervento di Engels rende evidente come i limiti del Labriola, in
tema di colonialismo, il suo eurocentrismo, siano anche quelli del socialismo della Seconda Internazionale che equipara l’imperialismo moderno alla tradizionale politica coloniale, riducendolo all’annessione di un
territorio d’oltremare ad uno Stato. Il fenomeno veniva così letto in termini puramente politici e solo successivamente al 191077 il dibattito va
acquistando ben altri contenuti, sulla base del nesso tra sviluppo del capitalismo monopolistico e finanziario e colonialismo. Ma spetterà a Lenin trarne tutte le conseguenze politiche più che teoriche, contribuendo
a sollecitare in modo decisivo la ricerca gramsciana intorno alla riformulazione della filosofia della prassi.
In ogni caso l’intervista del 1902 richiama, in tema di pedagogia, l’educazione del «papuano», da fare «provvisoriamente […] schiavo» e solo poi «vedere se per i suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra»78.
«L’insegnamento possibile non può essere […] altro da quello che, a
certe condizioni, riesce a svolgersi». Ove mancano queste condizioni
Ivi, p. 114.
Ivi, p. 115. Cfr. La corrispondenza di Marx e Engels con italiani. 1848–1895, a cura
di G. Del Bo, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 356.
77 È l’anno di pubblicazione de Il capitalismo finanziario di Hilferding, sebbene le
prime sollecitazioni ad abbandonare una lettura dell’imperialismo in termini puramente politici venga dalla pubblicazione, nel 1902, de L’imperialismo dell’inglese
Hobson.
78 B. CROCE, Conversazioni critiche, serie seconda, seconda edizione riveduta, Bari,
Laterza, 1924, pp. 60–61.
75
76
154
Vincenzo Orsomarso
«non si dà insegnamento alcuno, né si rendono possibili apprendimenti»79. È la prova dell’inefficacia, in determinati contesti, della pedagogia e
nei Saggi di una considerazione dell’educazione come «accomodazione
sociale», che «può modificare sì, entro certi limiti»80, dati, come afferma
nello stesso 1896, anno di pubblicazione del secondo saggio, da una «storia […] signora di noi tutti».
Labriola allo stesso tempo, proprio in virtù della sua concezione epigenetica della storia, rifiuta ogni astratta visione del procedere storico per
stadi ben definiti, la storia non può essere ridotta al «sacramentale schema: economia a schiavi, economia a servaggio, economia a salariato».
Chi si rechi quella formula in mano non capirà un solo fatto, proviamo, della
vita inglese del secolo decimoquarto — e dove vorrà collocare quella buona
Norvegia che non ebbe mai né schiavitù e né servi? E che conto si renderà della
servitù della gleba, che si fissa e si sviluppa nella Germania d’oltre l’Elba proprio dopo la Riforma? E che spiegazione darà al fatto singolare che la borghesia
europea inauguri una nuova schiavitù in America di schiavi a bella posta importati proprio nel medesimo tempo in cui essa percorse i primi stadi dell’età
liberale?81
Per il Cassinate la ricerca storica «rimane sempre legata alle impreteribili ragioni empiriche della rappresentazione del fatto, e deve rifiutarsi
a qualunque pretesa d’imperativi aprioristici»82.
Ma alla «storia […] signora di noi tutti», con tutte le conseguenze, si
va affidando nelle stesse pagine di Da un secolo all’altro, dove la fine
dell’«era liberale si precisa nel sorgere di un nuovo dissidio tra Oriente e
Occidente», le cui ragioni non vanno più ricercate nell’«invidia degli dei»
ma nelle «invidie fra gli uomini»; nella concorrenza che è «l’assioma della
società liberale la quale si eserciterà attorno più furiosamente nel nuovo
secolo»83.
79 N. SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 184.
80 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 136.
81 LABRIOLA, Da un secolo all’altro, cit., p. 345.
82 Ivi, p. 346.
83 Ivi, p. 324.
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
155
Annunciatasi «con impeto di poesia» l’era liberale, intenta nell’esaltare
democrazia e principio nazionale, ha trovato quale ostacolo il «grande intrigo della storia», di cui le «tracce del passato» sono motivi rilevanti degli
«arresti» della «civiltà».
A questo proposito
chi vorrà negare esser tuttora vivo e forte il divario fra popoli attivi e passivi.
Dov’è che gli europei, e i loro derivati d’America nel rapido ciclo della conquista tecnico–capitalistica del mondo, abbiano trovato emuli ed alleati, fuori che
nel Giappone […]. Chi crederà mai […] che dall’accampamento ottomano si
trarrà ancora una moderna nazione turca? E in che altro ha messo capo la kedhivale rinnovazione dell’Egitto, se non che, tout court, nell’ingerenza del capitale europeo, tradotta poi senza tanti complimenti, […] nel dominio prevedibilmente perpetuo dell’Inghilterra da Alessandria fin verso le fonti del sacro Nilo? Non una sola delle genti, non un solo dei varii conglomerati di genti, non un
solo dei quasi popoli, sui quali l’Islam esercitò per più di un millennio la sua
forte influenza, s’è visto ad assorgere di recente a nuova vita per ispontanea e
rigeneratrice appropriazione degli elementi che il mondo europeo è andato offrendo.
E poi non è forse l’Europa stessa suddivisa alla sua volta in un suo proprio
Oriente e Occidente? […] la Russia, al confronto [degli] stati dell’Europa mediana ed occidentale, sorti e svoltisi da costanti rivoluzioni, che han rimescolato
così spesso tutti gli elementi sociali dall’imo alla superficie, e dalla periferia al
centro, e viceversa, rimane per noi come qualcosa di straniero, che sa sempre di
bizantino e di mongolico tuttora. La posizione attiva è sempre tenuta, alla fin
delle fini e nel tutt’insieme, dai neo–germani e dai neo–latini: e ci troviamo perciò rimandati alla lunga tradizione della civiltà mediterranea antica, continuatasi nella unità cattolica del Medioevo.
Qual maraviglia, dunque, se la politica della conquista, della supremazia,
della sopraffazione, dell’intervento di paese e paese, e della guerra, o fatta o soltanto minacciata, sia stata e rimanga l’inevitabile conseguenza, il potente ausilio
e l’istrumento decisivo della espansione capitalistico–borghese?84
Le uscite del Labriola in tema di colonialismo «sono tutt’altro che un
incidente, un caso di “spregiudicatezza critica” in atto di “degenerare”,
meritevole di un discorso “a parte”»85, si tratta delle difficoltà del pen84
85
Ivi, pp. 324–325.
G. MASTROIANNI, Antonio Labriola e la filosofia in Italia, Urbino, Argalìa, 1976, p. 64.
156
Vincenzo Orsomarso
siero socialista di pensare e operare nella coscienza della longue durèe e
di stabilire in questo quadro l’equilibrio tra libertà e necessità.
Labriola dichiara a Pasquale Villari nella lettera del 13 novembre
1900, che non si è
mai sognato che il socialismo italiano fosse leva per rovesciare il mondo capitalistico. A ciò non crede nessuno nel mondo civile, e soprattutto non ci credono i
socialisti di altri paesi. Io ho inteso sempre il socialismo italiano come un mezzo: 1) per sviluppare il senso politico delle moltitudini; 2) per educare quella
parte di operai che sono educabili alla organizzazione di classe; 3) per opporre
alle varie camorre che si chiamano partiti una forte compagine popolare; 4) per
costringere i rappresentanti del governo alle riforme economiche utili per tutti.
Il resto della propaganda socialista, nel senso specifico della parola, non può
avere effetto pratico quanto all’Italia che per le generazioni di là da venire86.
L’insufficienza del socialismo italiano è prodotto della debolezza del
capitalismo nostrano, mentre solo il pieno sviluppo delle premesse capitalistiche può dare ragione della trasformazione dei rapporti sociali di
produzione.
Da qui, per quanto riguarda sempre il presente, il mettere l’accento
sui problemi dell’educazione e della formazione ideologica e politica
delle masse, che deve chiarire, agli stessi lavoratori, la situazione e favorirne quindi la partecipazione al moto storico, «al fare delle cose»87.
È nel quadro del mai risolto hegelismo che si iscrive la pedagogia del
Labriola socialista, una pedagogia che continua ad assumere a fonte di
ispirazione il Socrate che fa della rilevazione dell’aporia la leva per sollecitare l’indagine; un Socrate che educa a «ricercare, criticare, analizzare, correggere»88, di cui il Labriola aveva sottolineato «la dichiarata tendenza pedagogica», l’essenza del metodo che è nella «vita che diviene
ricerca»89.
A. LABRIOLA, Scritti politici, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, pp. 463–464.
A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e filosofia, in ID., La concezione materialistica
della storia, cit., p. 233.
88 LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 116.
89 Ivi, pp. 119–120.
86
87
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
157
Ecco quindi che
Le operazioni riflesse, ordinate e successive, che si riassumono nel generale
concetto dell’educare, sono per la maggior parte rivolte ad influire direttamente
su l’animo e, cioè a dire, a promuovere tempo medesimo l’attività; perché in essa si formino così gli stati abituali del conoscere e dell’apprezzare esatto, come i
movimenti del retto volere90.
Per mezzo dell’istruzione si deve «suscitare l’interesse immediato,
multiforme e concentrato per le cose del mondo interiore ed esteriore»91
e per quanto riguarda lo specifico dell’insegnamento storico
ha da essere come il completamento dell’esperienza attuale con la narrazione
dei fatti che la precedettero e la prepararono, deve arricchire l’immagine del variato spettacolo delle cose umane presenti con la esposizione delle assenti e delle passate, deve presentare all’animo il vivo dei rapporti sociali fuori delle fluttuazioni dell’empirismo giornaliero; in una parola vuol essere il vario del vivere
umano destinato a suscitare il vario degli spirituali interessi92.
L’ispirazione socratica, del conoscere indagando continua a specificare la sua pedagogia politica; all’intellettuale socialista Labriola affida socraticamente la funzione di «sollecitatore e critico sul piano teorico, rigoroso censore morale sul piano pratico»93.
Ed è così che, nei limiti della sua concezione materialistica della storia, per il Labriola il
partito operaio si deve venir costituendo per l’azione spontanea del lavoratori
messi in opposizione col capitalismo dalle stesse condizioni di fatto, e dalla
propaganda condotta con oculatezza. Noi socialisti, dirò così, teorici possiamo
offrire le armi più generali e comuni, ma non possiamo e non dobbiamo turbare
il movimento proletario con proposte anticipate, premature, astratte.
Non si deve mai rinunziare alla discussione di nessun atto o provvedimento
politico, che implichi un interesse sociale, perché giova che i borghesi si perIvi, p. 261.
Ivi, p. 262.
92 Ivi, p. 266.
93 Cfr. E. GARIN, A scuola con Socrate. Una ricerca di Nicola Siciliani de Cumis, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1993, pp. 75–78.
90
91
158
Vincenzo Orsomarso
suadano che noi siamo l’embrione del futuro partito socialista, e perché i proletari si abituino a questo sentimento, che se la democrazia sociale esclude i capi, nel
senso giacobino della parola, non esclude maestri. Anzi!94
Maestri «come il nostro […] Socrate» che ritorna nella già citata lettere al Sorel del 1897 e che diventa, nelle condizioni date dalla liberazione
dal giogo del lavoro salariato, la prefigurazione di un’umanità profondamente diversa, che riqualifica se stessa in un insieme di attività e relazioni non mercificate. Un’umanità alla cui formazione è chiamata a partecipare una «didattica» che non «produce un nudo effetto di cosa fissa
(come nudo prodotto)»; ma attività «che generi altra attività»95.
Ma alla dimensione utopica del comunismo Labriola contrappone il
presente rispetto al quale al «movimento socialistico […] non è dato per
ora dalle circostanze altro ufficio da quello in fuori di preparare la educazione democratica del popolo minuto»96.
La pedagogia quindi deve sollecitare la ricerca ma «non deve sollecitare le cose; non intervenirvi, non tentare […] di mutarne il corso. Questo non è compito del magister» a cui spetta «quello, invece, di dimostrarle, spiegarle, interpretarle, cioè di assicurarne l’andamento. Magari polemicamente, ma niente di più di questo»97.
Una pedagogia vincolata ad una concezione della storia che non esclude per il «papuano» la schiavitù, anzi ne fa «la pedagogia del caso»;
ed è così che a questo proposito il punto di vista del Labriola per il
Gramsci è «da avvicinare anche al modo di pensare del Gentile per ciò
che riguarda l’insegnamento religioso nelle scuole primarie. Pare che si
tratti di uno pseudo–storicismo, di un meccanicismo abbastanza empirico e molto vicino al più volgare evoluzionismo»98. Il modo di pensare
del Cassinate si dimostra «meccanico e retrivo», al pari del pensiero
94 A. LABRIOLA, Carteggio. III. 1890–1895, a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis,
2003, p. 33.
95 LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, cit., p. 280.
96 Ivi, p. 285.
97 SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, cit., p. 184.
98 GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. 1366.
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
159
«pedagogico–religioso» del Gentile che di fatto è una «rinunzia (tendenziosa) a educare il popolo»99.
Quello del Labriola è un caso di «conformismo meccanico», una «rinunzia» ad educare ad un autonomo sviluppo, a cui è necessario che la
scuola unitaria100 contrapponga quel «conformismo dinamico» che richiede un adattamento plastico al presente nella prospettiva di un suo
superamento.
Per il Gramsci che si addentra nel proposito di un sistema di educazione e di istruzione che contemperi «lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e la capacità del lavoro intellettuale», «il problema didattico da risolvere diventa quello di
temperare e fecondare l’indirizzo dogmatico che non può essere proprio» dei «primi anni».
Tutta la scuola unitaria «è scuola attiva sebbene […] occorra […] rivendicare con una certa energia il dovere delle generazioni adulte, cioè
dello Stato, di “conformare” le nuove generazioni. […]: nella prima fase
si tende a disciplinare quindi a livellare, a ottenere una certa specie di
“conformismo” che si può chiamare “dinamico”». Nella fase successiva,
quella che Gramsci definisce «creativa»,
sul fondamento raggiunto di “collettivizzazione” del tipo sociale, si tende a espandere la personalità, divenuta autonoma e responsabile, […]. Così la scuola
creativa […] indica una fase e un metodo di ricerca e di conoscenza, e non un
“programma” predeterminato con l’obbligo dell’originalità e dell’innovazione a
tutti i costi. Indica che l’apprendimento avviene specialmente per uno sforzo
spontaneo autonomo del discente, e in cui il maestro esercita solo una funzione
di guida amichevole […]. Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e aiuti esterni, una verità è creazione, anche se la verità è vecchia, e dimostra il possesso del
metodo; indica che in ogni modo si è entrati nella fase di maturità intellettuale
in cui si possono scoprire verità nuove101.
Ivi, p. 1368.
«Scuola unitaria o di formazione umanistica (inteso questo termine di umanesimo in senso largo e non solo nel senso tradizionale) o di cultura generale» che
«dovrebbe corrispondere al periodo rappresentato oggi dalle elementari e dalle medie» ( ivi, pp. 1534–1535).
101 Ivi, p. 1537.
99
100
160
Vincenzo Orsomarso
Ma l’avvento della scuola unitaria significa l’inizio di nuovi rapporti
tra lavoro intellettuale e lavoro industriale «non solo nella scuola, ma in
tutta la vita sociale». Pertanto altra funzione sono chiamate ad assumere
le Università e le Accademie, vanno vivificate dagli interessi scientifici e
culturali dei produttori, devono «fare avanzare le capacità individuali
della massa popolare»102.
È su questa base che si esplica «la tendenza democratica», cioè il porre seppure «”astrattamente”» le condizioni perché ogni «“cittadino”»
possa diventare «“governante”» o in ogni caso sia posto in grado «di dirigere o di controllare chi dirige»103.
Sono le premesse materiali e ideali di un nuovo intellettualismo, che
deve essere il risultato del rapporto da stabilire tra tecnica–lavoro, tecnica–scienza e concezione umanistica storica che assume a concreto riferimento l’esperienza dell’«Ordine Nuovo» settimanale; che nel cuore del
ciclo delle lotte operaie e proletarie del 1919–20 fa della ricerca dei percorsi di ricomposizione del lavoro manuale–industriale e intellettuale
uno degli assi centrali della sua iniziativa politico–culturale, per rendere
il produttore elemento fattivo del processo lavorativo e sociale.
È l’istanza che fonda l’ipotesi di un ordinamento scolastico che «educhi a tutti la mente, formi tutti gli idonei alle funzioni sociali»104, che preveda che la specializzazione succeda ad «un tirocinio prolungato di istruzione generale e politecnica»105.
È l’evidente aspirazione all’«autogoverno dei produttori» che, sebbene considerato in relazione alle resistenze della storia, non viene meno
nei Quaderni. Di questa aspirazione l’educazione è una delle premesse
fondanti, uno dei fattori su cui è chiamata ad operare una prassi consapevole della tendenzialità della storia, in quanto complesso impasto di
fattori materiali ed ideali, così come delle sue rigidità e asprezze che in
ogni caso non possono risolversi da sé ma che richiedono pur sempre
Ivi, p. 1539.
Ivi, p. 1542.
104 C. PETRI, Il sistema Taylor e i Consigli dei produttori, in «L’Ordine Nuovo», 15
novembre 1919, p. 205.
105 A. LUNAČARSKY, L’istruzione professionale tecnica nella Russia dei Soviet, «L’Ordine
Nuovo», 20 novembre 1920, p. 151.
102
103
Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo
161
l’intervento di una volontà collettiva quale espressione politica e culturale delle forze sociali antagoniste.
Da questo punto di vista il socialismo del Labriola è altra cosa e proprio la citata lettera al Villari lo testimonia, manca l’indicazione di una
prospettiva politica e culturale che non si risolva nell’attesa, tutt’altro
che imminente, del maturare dell’evento, del «trapasso» che è ridotto
all’«autocritica che è nelle cose stesse»106.
106
LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 105.
La laurea in filosofia, quale «completamento, […] facoltativo di qualunque cultura speciale». Note a margine∗
Vincenzo Orsomarso
1. Premessa
Nel testo che segue sono esposti gli esiti di un breve e parziale itinerario filologico interessato a rintracciare nel volume, curato dal prof. Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e la sua Università, edito da Aracne, nel
2005, la tesi del Cassinate sulla laurea in filosofia. Sono inoltre evidenziati e sottoposti all’attenzione dei lettori eventuali nessi tra la posizione
di Labriola sulla laurea in filosofia e alcuni momenti della sua riflessione
filosofica e politico–pedagogica.
Si fa presente che per non appesantire la lettura si è ritenuto opportuno collocare nelle note alcuni concetti di metodologia didattica e termini essenziali del lessico labrioliano.
Fatte queste precisazioni e prima di procedere nell’esposizione è utile
svolgere alcune brevi considerazioni sul valore scientifico e didattico
dell’opera curata dal prof. Siciliani de Cumis.
In primo luogo il testo ha il merito di fare il punto sullo stato della ricerca in materia, un approdo ma anche un imprescindibile punto di partenza per ulteriori indagini a cui gli studenti di Pedagogia generale, nel
quadro di una didattica della ricerca1, sono chiamati a contribuire, so∗
L’intervento è il resoconto di una lezione tenuta il 2 maggio del 2006 nell’ambito del corso di Pedagogia generale della Facoltà di filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, Corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione.
1 A questo proposito si rinvia al testo di Siciliani de Cumis del 1998, Di professione, professore, Caltanissetta–Roma, Salvatore Sciascia editore, a cui è utile affiancare
L’educazione di uno storico, Firenze, Luciano Manzuoli editore, 19891.
L’obiettivo della didattica della ricerca, presentata nel primo dei due volumi citati, si sintetizza nelle parole di Giorgio Pasquali pronunciate nel 1923: «Per nulla al
mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di avere scoperto, essi per
primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta dall’esercizio, qualche
164
Vincenzo Orsomarso
stenuti in questo da un insegnamento interessato a favorire l’acquisizione tanto della strumentazione storico–filologica necessaria quanto
delle forme essenziali della comunicazione scientifica.
In più il testo rappresenta il felice esito dell’applicazione di una filologia che proponendosi gramscianamente di accertare i fatti «nella loro
inconfondibile “individualità”»2, affronta l’autore e il contesto in cui opera nella sua articolata complessità; quindi Labriola e Socrate, il Labriola–Socrate, Labriola e gli studenti, Labriola e i professori, Labriola e la
ricerca educativa e sperimentale, Labriola e i concorsi universitari, Labriola e i suoi interlocutori, da Croce a Sorel a don Luigi Guanella; ancora Labriola e i circoli operai, i sindacati, il partito, il Socrate socialista,
ecc.
Nuovi materiali e sollecitazioni per ulteriori indagini sul Labriola, su
un’opera filosofica e pedagogica complessa e dai tratti contraddittori ma
su cui è necessario continuare a scavare anche per ragioni, come vedremo, attinenti la contemporaneità.
2. Filosofia e università
Ritornando alla tesi di Labriola sulla laurea in filosofia è necessario
soffermarsi sul testo che ha avuto il merito di rimettere in circolazione il
punto di vista del filosofo sull’argomento, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, di Siciliani de Cumis. Un libro che ricostruisce e
documenta le proposte in tema di laurea in filosofia che precedono e se-
cosa […] e fosse pure una minima cosa. È desiderabile, mi pare, che il giovane entri
nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un giorno, anche un giorno
solo, un ricercatore, uno scienziato».
Ovviamente il programma pasqualiano era pensato per una università di élite
mentre Siciliani si propone di posizionarlo nell’ambito di una scuola e di una università di massa; il che implica, Prima della didattica, l’acquisizione della situazione
di partenza in cui si è chiamati ad operare ma anche una reale motivazione, una sollecitazione a partire dal presente, «dalla cronaca» magari, ponendo delle analogie
tra eventi in corso ed eventi passati ma per accertarne le specificità, perché sono le
differenze tra presente e passato che interessano la ricerca storica.
2 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1429.
La laurea in filosofia
165
guono la lettera alla «Tribuna» e la relazione del Cassinate del 1887 per il
primo Congresso dei professori universitari.
La prima edizione del testo risale al 1975 e la seconda rispetto alla
precedente presenta solo qualche aggiunta, modifica e un aggiornamento bibliografico. Una scelta che si spiega per la validità che ancora hanno
i motivi posti alla base dell’edizione del 1975.
Il testo infatti ricostruisce il complesso intreccio di culture post–risorgimentali che si confrontano sul tema oggetto di discussione; rappresenta, pur insistendo sull’importanza del Labriola, una inedita cronaca di
filosofia italiana nell’arco del ventennio che va dal 1882 al 1902; testimonia la ricerca dei termini di una ricomposizione, per il momento a livello
di gruppi dirigenti, tra cultura umanistica e scientifica.
Inoltre la tesi di Antonio Labriola, sebbene si collochi nell’ambito di
un’università di élite, sembra acquistare oggi, a livello di massa, un particolare rilievo anche in considerazione dei mutamenti che attraversano
l’organizzazione del lavoro, in presenza di un modo di produzione che
richiede in misura crescente, sebbene in un quadro di obiettivi prestabiliti nell’ambito di una struttura gerarchica, sapere e creatività, in sostanza una solida cultura generale, la messa a lavoro di un insieme di capacità e competenze non specificatamente specialistiche.
Si va delineando la richiesta di quella che Marx, in pagine che Labriola studierà solo successivamente al 1890, chiamava “versatilità”.
L’industria moderna — scrive Marx — non considera e non tratta mai come
definitiva la forma di un processo produttivo. Perciò il suo fondamento tecnico
è rivoluzionario, al contrario di quello di tutti gli altri processi produttivi del
passato, che era essenzialmente conservatore. Per mezzo delle macchine, dei
processi chimici e di altri metodi essa rivoluziona costantemente, insieme al
fondamento tecnico della produzione, le funzioni degli operai e le combinazioni
sociali del processo lavorativo. E con uguale costanza essa rivoluziona la divisione del lavoro in seno alla società e ributta in continuazione da un ramo
all’altro della produzione masse di capitale e masse di operai. La natura della
grande industria comporta di conseguenza mutamenti del lavoro, fluidità delle
funzioni, generale mobilità dell’operaio. […], la grande industria con le sue
stesse catastrofi impone come una questione di vita o di morte la necessità di
riconoscere il cambiamento dei lavori e quindi la più grande versatilità
dell’operaio quale legge sociale universale della produzione, […]. Essa fa sì che
sia una questione di vita o di morte rimpiazzare l’obbrobriosa, universale popo-
166
Vincenzo Orsomarso
lazione operaia disponibile, tenuta in riserva per le varie necessità di sfruttamento del capitale, con l’assoluta disponibilità dell’uomo per le varie esigenze
di lavoro; rimpiazzare l’individuo parziale, semplice esecutore di una funzione
sociale di dettaglio, con l’individuo integralmente sviluppato, per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si scambiano liberamente3.
Assumendo lo specifico della proposta, in ordine alla laurea in filosofia, il Labriola scrive che secondo la legge vigente «non c’è che una sola
via per diventare filosofi; quella cioè degli studi filologici», quando invece la filosofia non deve essere
un completamento obbligatorio della storia e della filologia, ma un completamento,
invece facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica,
fisica o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve poter arrivare didatticamente per
qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori4.
Successivamente, nella relazione elaborata per il Congresso di Milano, dopo aver riprodotto la lettera del 12 luglio, Labriola articola la sua
tesi in una serie di proposte operative, che prendono spunto anche dal
dibattito aperto dalla lettera di luglio. L’obiettivo di Labriola è quello di
combattere tanto «il tradizionalismo [la filosofia deve cessare di essere
una «mera scolastica»] quanto lo specialismo esagerato»5. Allo stesso
tempo, rendendo la filosofia facoltativa per «qualunque cultura speciale», si propone tanto la formazione di un punto di vista critico sugli esiti
della produzione tecnica e scientifica quanto di sostenere un’idea di filosofia aperta e da sottoporre alla verifica degli eventi storici, chiamata a
misurarsi con il nuovo che va emergendo anche nel campo delle scienze
sociali e naturali.
K. MARX, Il Capitale, libro I, a cura di E. Sbardella, Milano, Newton&Compton,
1976, pp. 636–638.
4 N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università, Torino, Utet , 2005, 20–21.
5 Ivi, p. 107.
3
La laurea in filosofia
167
3. Il punto di vista di Labriola sulla laurea in Filosofia in alcuni passaggi del Catalogo
La proposta del Cassinate ritorna più volte nei materiali raccolti, secondo precisi criteri e finalità metodologiche, in Antonio Labriola e la sua
Università; in primo luogo nel saggio di Siciliani, Rileggendo “L’Università
e la libertà della scienza” di Antonio Labriola (1896), dove l’autore offre una
sintesi accurata delle tematiche ricorrenti nel testo.
La filosofia deve «esser messa alla portata di tutti quelli che studiano
ogni altra disciplina, perché vi trovi un facoltativo complemento di coltura qualunque studioso si senta in grado di superare nella trattazione
delle varie scienze la specialità della ricerca»6. Quindi contro ogni scolasticismo, favorire l’«elaborazione e produzione di un sapere disciplinare
e interdisciplinare specializzato, rigoroso decisamente finalizzato alla
promozione della più larga e libera convergenza di competenze “umanistiche” e “scientifiche”»7.
Nelle stesse pagine ritroviamo la netta distinzione tra positivo e Positivismo, tra «il positivamente acquisito nella interminabile nuova esperienza sociale e naturale» e la pretesa di costruire un sistema in verità incapace di «spiegare un solo fatto storico concreto». La critica è rivolta alla sociologia dello Spencer e allo schematismo che la caratterizza.
A Labriola d’altronde non poteva sfuggire la rilevanza dello sviluppo
tecnico e scientifico ai fini della modernizzazione del paese. Infatti, sempre in L’Università e la libertà della scienza, il Cassinate, rivolgendosi agli
studenti, dichiara che
L’Italia ha bisogno di progredire materialmente, moralmente, intellettualmente. Io spero che voi vedrete, un’Italia, nella quale l’atavistico assetto della
coltura dei campi sarà soppiantato dall’introduzione delle macchine e delle larghe applicazioni della chimica; e che vediate strappata ai corsi superiori dei
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura
di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 403.
7 Ivi, p. 402.
6
168
Vincenzo Orsomarso
fiumi, e forse alle onde del mare ed ai venti, la forza generatrice della elettricità8.
Ritornando alla critica del Labriola allo scolasticismo, è questo punto
di vista a spiegare la contrarietà espressa dal Cassinate alle pretese di chi
come Giovanni Batta Milesi richiede di insegnare un determinato sistema filosofico, la «Filosofia di Augusto Compte»9.
La stessa convinzione sembra motivare il giudizio espresso dalla
commissione per il concorso di Filosofia morale nell’Università di PadoA. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET,
1981, pp. 615–616. Labriola nello stesso scritto continua sull’analfabetismo che si
augura che sparisca, ma anche sulla speranza che l’Italia acquisti un rilevante peso
di potenza economica e politica nel quadro internazionale, segnato dalla corsa alle
conquiste coloniali. Affermazioni che precedono di poco il discorso del 21 febbraio
1897, Per Candia, in cui il Cassinate invita i socialisti a non brontolare e a mettere
«sicuro piede sulla terra ferma della politica. Noi abbiamo bisogno di terreno coloniale, e la Tripolitania è a ciò indicatissima» (in A. LABRIOLA, Scritti filosofici e politici,
a cura di F. Sbarberi, vol. II, Torino, Einaudi, 1973, p. 913). Seguirà l’intervista rilasciata al «Giornale d’Italia» del 13 aprile 1902, Sulla questione di Tripoli, in cui ritorna
a sostenere la conquista coloniale anche per offrire un’occasione ai nostri emigranti.
Ma c’erano stati anche altri precedenti, si pensi alla lettera, del 24 febbraio 1890, al
deputato radicale Alfredo Baccarini in cui propone per la colonia eritrea un esperimento di socialismo pratico. Ricordiamo infine la famosa educazione del papuano, di
cui ci informa Croce (B. CROCE, Conversazioni critiche, serie seconda, seconda edizione riveduta, Bari, Laterza, 1924, pp. 60–61).
Il problema di fondo è che il Labriola, come gran parte del socialismo della Seconda Internazionale, non comprende la natura del moderno colonialismo; il nesso
tra capitalismo monopolistico e finanziario e colonialismo; il carattere imperialistico
che il capitalismo andava assumendo. La nuova fase di espansione coloniale viene
interpretata come semplice espansione territoriale e non come evento determinato
dai bisogni dell’accumulazione capitalistica (materie prime, nuovi mercati, occasioni
di investimento per il capitale soverchio) e che pertanto in ogni caso non poteva
rappresentare una soluzione ai problemi dell’emigrazione.
Va ricordato che mentre Labriola rilascia l’intervista al «Giornale d’Italia» del 13
aprile 1902, J.A. Hobson pubblica L’imperialismo, un testo fondamentale per le opere
marxiste successive, per quella di Hilferding, Il capitalismo finanziario (1910), di R.
Luxemgurg, L’accumulazione del capitale (1913), di N. Bucharin, L’economia mondiale e
l’imperialismo (1915), di Lenin, L’imperialismo fase suprema del capitalismo (1917).
9 N. SICILIANI DE CUMIS, Sulla prima pedagogia universitaria romana e don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 457.
8
La laurea in filosofia
169
va su Alfonso Asturaro. A giudizio della commissione infatti, di cui ovviamente faceva parte il Labriola, lo studioso, «restringendosi a ripetere
l’opinione d’una Scuola senza sufficiente svolgimento e senza metterla
in relazione con altre dottrine», non dimostra «bastevole maturità»10.
Nella pagine del Catalogo le idee del Labriola sulla laurea in filosofia
le ritroviamo ancora in alcune tesi di laurea della cattedra di Pedagogia
generale; a proposito di Ruggero Bonghi che appoggia la proposta labrioliana11 e nell’Antonio Labriola 1895–1904. Materialismo storico e libertà
della scienza12.
Ma è nelle pagine dedicate alla tesi di laurea di Luigi Basso, Sul metodo delle scienze sociali, discussa il 27 giugno del 1886, che la posizione del
Labriola riemerge con particolare vigore.
Basso, già laureato in Giurisprudenza nel 1883, si laurea in Filosofia
realizzando, dal punto di vista del Labriola il percorso esemplare dello
studioso che completa la sua preparazione giuridica con un approfondimento filosofico13.
Leggendo la tesi è del tutto evidente tanto la cultura positivista del
Basso quanto la frequentazione del Labriola, ma ovviamente c’è da chiedersi la ragione dell’interesse del filosofo per i temi affrontati nella tesi
del Basso che riguardavano questioni che erano campi di ricerca propri
del positivismo.
Ebbene a tale proposito va detto che l’anno successivo per la biografia
intellettuale del Labriola è un momento di particolare rilevanza, non solo perché espone la sua tesi sulla laurea in filosofia ma anche perché il 28
febbraio legge nell’Università di Roma la prelezione, I problemi della filosofia della storia. È il testo in cui l’autore espone la sua concezione epigenetica della storia, un termine ripreso dall’embriologia per rappresentare
una visione della storia come una catena di neoformazioni, che trovano
certo nelle formazioni precedenti i presupposti della loro nascita ma che
vanno acquistando nel corso degli eventi specificità tali da renderle profondamente diverse dalle precedenti. In estrema sintesi tra le formazioni
Concorso di Filosofia morale nell’Università di Padova (1882–1993), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 499.
11 Cfr. Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 598.
12 Cfr. ivi, p. 602.
13 Cfr. ivi, p. 546.
10
170
Vincenzo Orsomarso
storiche ci sono relazioni ma non c’è alcun rapporto di dipendenza diretta, nessun nesso di causa–effetto14.
Ma l’attenzione del Labriola al metodo delle scienze sociali si spiega
alla luce della sua specifica considerazione della filosofia della storia che
«non può né deve essere una storia universale narrata filosoficamente,
ma anzi una semplice ricerca su i metodi, su i principi e sul sistema delle
conoscenze storiche»15. Pertanto il Cassinate non poteva non misurarsi
criticamente con la metodologia prodotta dalle scienze sociali e positive.
In conclusione possiamo affermare che il continuo riproporsi nei testi
e nell’impegno didattico del Labriola del suo punto di vista sulla laurea
in filosofia dimostra come il Cassinate sia profondamente convinto della
necessità, almeno a livello di istruzione superiore, di andare ad una ricomposizione tra cultura umanistica e scientifica, nonché conferma la
sua concezione antiscolasticistica della filosofia e la necessità di validare
le asserzioni filosofiche alla luce dei processi storici in corso.
4. Il «trapasso»
A quanto finora detto vogliamo aggiungere che nella prelezione del
1887 un ruolo fondamentale nella sua considerazione dei fenomeni storici lo gioca la dottrina dei fattori; l’essere i fenomeni, come scrive Basso,
«l’effetto di molte e varie» cause.
Una concezione a cui succederà nei Saggi, in particolare in Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, sebbene solo «in ultima istanza»,
la spiegazione del «fatto storico per via della sottostante struttura economica»; affermazione che susciterà le obiezioni di Vilfredo Pareto.
Oltre la concezione epigenetica della storia, categoria fondamentale è quella di
metodo genetico che ad avviso del Labriola sostituisce in Italia quello di dialettico,
termine ridotto nel nostro paese all’arte retorica, ed indica il pensiero che considera
i fenomeni nel loro divenire, nel loro essere «divenienti». Altro concetto fondamentale è quella di previsione morfologica, non previsione cronologica ma delle forme sociali successive alla presente società capitalistica, da cogliere nello svolgersi delle
contraddizioni presenti.
15 A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis,
Napoli, Morano, 1976, p. 51n.
14
La laurea in filosofia
171
A questo proposito va detto che, a differenza dei marginalisti ma anche di tanta parte del marxismo della Seconda Internazionale, Labriola
non esprime alcuna concezione naturalistica dell’economia. La storia è
storia del lavoro, l’uomo nel corso della sua esistenza costruisce un ambiente artificiale, uno strato che tende a modificare la stessa natura, ma
allo stesso tempo nel corso di questa attività l’uomo stabilisce una serie
di relazioni e rapporti con i propri simili ai fini della produzione. È questa la base su cui si articola la «sottostante struttura economica», costituita da rapporti sociali di produzione, dai rapporti che si stabiliscono tra
gli uomini nella sfera della produzione16.
Al Labriola non va rimproverata una concezione economicistica della
storia, altri sono i limiti della riflessione del Cassinate e in primo luogo
una previsione morfologica segnata in profondità da necessità17, infatti,
nella dottrina del comunismo critico, è la società tutta intera, che in un momento del suo processo generale scopre la causa del suo fatale andare, e, in un punto saliente della sua curva, la luce a se stessa per dichiarare la legge del suo movimento. La previsione, che il Manifesto per la prima volta accenna, era, non
cronologica, di preannunzio o di promessa; ma era, per dirla in una parola, che
a mio avviso esprime tutto in breve, morfologica18.
Ancora,
Questo [il socialismo scientifico] non è più la critica soggettiva applicata alle
cose, ma è il ritrovamento dell’autocritica che è nelle cose stesse. La critica vera
Il sovvertimento del presente, il comunismo deve assumere le forme del «self–
government del lavoro», dell’autogoverno dei produttori, dell’autogestione del tempo
liberato dal lavoro salariato e riempito di momenti di formazione e auto–formazione:
«le droit à la paresse — la felicissima trovata del nostro Lafargue — farà spuntare ad
ogni angolo di strada dei perditempo di genio, che, come il nostro maestro Socrate,
saranno operosissimi di operosità non messa a mercede» (A. LABRIOLA, Discorrendo di
socialismo e di filosofia, in ID., La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin,
Bari, Laterza, 1969, p. 179). Labriola fa riferimento al testo, del genero di Marx, Paul
Lafargue, Il diritto all’ozio, pubblicato sotto forma di articoli su «L’egalité» nel 1880.
17 Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio “morfologico” secondo Labriola, in Antonio
Labriola e la sua Università, cit., pp. 27–39.
18 A. LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei Comunisti, in ID., La concezione materialistica della storia, cit. p. 27.
16
172
Vincenzo Orsomarso
della società è la società stessa, che per le condizioni antitetiche dei contrasti sui
quali poggia, genera da sé stessa la contraddizione, e questa poi vince per trapasso in una nuova forma19.
Un «trapasso» che necessita del pieno sviluppo delle forze produttive
della società capitalistica, una concezione rafforzata da una specifica interpretazione della Prefazione marxiana del ‘59 alla Critica dell’economia
politica.
Una formazione sociale — scrive Marx — non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa ha spazio sufficiente; e nuovi
rapporti di produzione non subentrano, se prima le condizioni materiali di loro
esistenza non siano state covate nel seno della società che è in essere20.
Ma in Marx tale processo non sembra dotato di automatismi, tant’è
che in pagine che Labriola non poteva conoscere, quelle dei Grundrisse,
ma in verità anche nel Capitale, il filosofo di Treviri fonda i passaggi fondamentali dello sviluppo capitalistico sull’antagonismo di classe. Pertanto lo sviluppo delle forze produttive trova un limite nei rapporti sociali
di produzione e tale sviluppo, quello «delle forze produttive materiali»,
a un certo punto «sopprime il capitale stesso», ma lo sviluppo di cui parla
Marx «è uno sviluppo delle forze della classe operaia»21.
Per Labriola invece al socialismo non spetta che «la educazione democratica del popolo minuto»22, mentre il capitalismo deve fare il suo
corso e il colonialismo non può non rappresentare una tappa di un processo storico hegelianamente considerato.
A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, in ID., La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1965, p. 105.
20 È un passo della Prefazione del ‘59, ampiamente utilizzata dal Labriola In memoria
del Manifesto dei comunisti, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 30.
21 K. MARX, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, vol. II, a cura di
G. Backhaus, Torino, Einaudi, 1976, p. 532.
22 LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, cit., p. 285.
19
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko∗
Claudia Pinci
1. Gramsci, Labriola e l’aneddoto del “papuano”. Indice dei nomi e
delle tematiche ricorrenti
1.1. Premessa
“Come fareste ad educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi
scolari tanti anni fa […] al prof. Labriola, in una delle sue lezioni di Pedagogia,
obiettando contro l’efficacia della Pedagogia. “Provvisoriamente (rispose con
vichiana e hegeliana asprezza l’herbartiano professore), provvisoriamente lo
farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi
nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia
nostra”1.
∗
Si tratta di parte dell’elaborato scritto per l’esame di Pedagogia generale I (Laurea specialistica, anno accademico 2005–2006). L’esercizio svolto consiste:
a) nella redazione di un indice dei nomi e di un elenco delle tematiche ricorrenti
dello scritto di V. MARRUZZO, Gramsci, Labriola e l’aneddoto del “papuano”, in Antonio
Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”
(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, pp. 606–612;
b) in un “parrallelo terminologico” tra Antonio Labriola, Anton S. Makarenko e
Muhammad Yunus;
c) nella recensione al volume Antonio Labriola e la sua Università, cit.;
d) in un confronto, per differenze e analogie, tra Labriola e Makarenko;
e) nell’indicazione della bibliografia utilizzata.
1 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1061.
174
Claudia Pinci
1.2. Indice dei nomi
BALLIO2, 617
BALUFFI G., 618
BARBUSSE H., 610
BERGAMI G., 609, 610
BERGSON H., 610
BERTI D., 617, 618
BERTI G., 611, 617, 620
BIANCO V., 609
CIAMPI I., 618
CROCE B., 606, 609–611, 615, 616, 620
DALLA VEDOVA G., 619
DANEO3, 617
DEL NOCE A., 609
FILOMUSI F., 619
FELTRINELLI G., 609
GARIN E., 610
GENTILE G., 606, 609–611
GOBETTI P., 610
GRAF A., 618
GRAMSCI A., 606–613, 617
HEGEL G.W.F., 610
KERBACKER M., 618
KIPLING R., 606, 608
LABRIOLA A., 606, 608–620
LATERZA G., 610, 611
LOESCHER E., 609
LORIA A., 609
MARRUZZO V., 606, 607, 617
MARX C., 608, 610
MONDOLFO R., 609, 610
NICOTERA G., 620
PAGANO F. M., 618
PEGUY C., 610
PESCI F., 606, 607
RAGIONIERI E., 609, 612
ROLLAND R., 610
SAMANI G., 612
SCARAMELLA G., 620
SCHUPFER F., 619
SICILIANI DE CUMIS N., 606, 607, 611,
612
SOLARI G., 610
SOREL G., 610
SPAVENTA S., 620
SUARDO A., 620
TOGLIATTI P., 609, 612, 617, 620
TOCCO F., 618
TORRE A., 614, 615, 616
VIGLONGO A., 609
VISALBERGHI A., 612
ZAMBALDI F., 618B
Cognome di una studentessa. Compare in una lettera di Antonio Labriola, conservata nell’Archivio della Fondazione Istituto «A. Gramsci» di Roma.
3 Cognome di due studentesse. Compare in una lettera di Antonio Labriola, conservata nell’Archivio della Fondazione Istituto «A. Gramsci» di Roma.
2
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
175
1.3. Elenco delle tematiche ricorrenti
Amare/Amore
Ambiente
Amici/Amicizia
Analogie
Anticonformismo
Apprendimento
Attività
Attuale/Attualismo/Attualità
Autoeducazione
Autonomia
Autore/i
Azione
Bene
Bolscevichi
Capitalismo
Classi
Classico
Coscienza
Concetto
Concezione
Conformismo
Conoscenza/Conoscere
Contestare
Contesto
Continuità
Contraddizione
Corsi
Crescita
Critica
Cultura
Curiosità intellettuale
Dialettica
Differenze
Difficoltà
Dipendenza
Disciplina
Discriminazioni
Distinzione
Diversità
Documenti
Dottrina
Dubbi
Educazione
Efficacia
Élite
Episodio
Esclusi
Esclusivi
Esperienza
Facoltà
Fiducia
Filosofia/Filosofo
Finalità
Formazione
Frattura
Futuro
Giovani
Grandezza
Gruppo sociale
Guida
Hegeliano
Herbartiano
Humour
Idea/e
Idealismo
Identità
Ideologia
Incontro/scontro
176
Indagare
Indipendenza
Influenza
Ingiustizia
Intellettuale
Interesse
Interpretazioni
Invenzione
Ipotesi
Ispiratore
Istruzione
Lavoro
Lettere
Leggere
Lezioni
Libertà
Libri
Limiti
Logica
Lotta
Maestro
Marxismo
Metodo
Mondo
Morale/Moralità/moralmente
Nemici
Nodi problematici
Normalità
Onestà
Operaio
Opinione
Originalità
Papuano
Parlare
Partecipazione
Claudia Pinci
Partito
Peculiarità
Pedagogia
Pensiero/Pensare/Pensatore
Persuasione
Polemica
Politica
Popolo/i
Posizione
Potenza politica
Prassi
Privilegi
Problematiche
Processo
Professore
Prospettiva
Questione
Ragione
Realtà storica
Ricerca
Rispetto
Rivoluzionario
Ruoli
Saggi
Schiavo/i
Scienza/Scientifica/Scientificità
Sconfitta
Scoperta
Scritti
Scrivere
Scuola
Separazione
Sociale
Società
Socialismo
Sognare
Storia
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
Studi/Studio
Successo
Superamento
Sviluppo
Tempo
Tesi
Testi
Trasformazione
177
Umanità
Università
Uomini
Valore/i
Verità
Vero
Vita
Volontà
178
Claudia Pinci
2. Parallelo terminologico Labriola–Makarenko–Yunus
ANTONIO LABRIOLA4
Amare/Amore
Ambiente
Amici/Amicizia
Analfabetismo
Analogie
Anticonformismo
Antipedagogia
Apprendimento
Arte
Attività
Attuale/Attualismo/
Attualità
Autoeducazione
Autonomia
Autore/i
Azione
ANTON S. MAKARENKO5
Abbandono
Amare/Amore
Ambiente
Amici/Amicizia
Analfabetismo
Analogie
Anticonformismo
Antipedagogia
Apprendimento
Arte
Attività
Autoeducazione
Autonomia
Autore/eroe
Azione
Bambini
Bambini (di strada)
Bene
Bolscevichi
4 Testo di riferimento
per Labriola: Antonio Labriola e la sua Università,
cit.
Bene
Besprizornye
Bisogno/i
Bolscevichi
5 Testi di riferimento
per Makarenko: A.S. MAKARENKO, Poema pedagogico, [Pedagogičeskaja Poema, 1950], trad. it. a cura
di S. Reggio, Ed. Raduga,
1985 e N. SICILIANI DE CUMIS, I bambini di Makarenko, Il Poema pedagogico
come “romanzo d’infanzia”,
Pisa, edizioni ETS, 2002.
MUHAMMAD YUNUS6
Amare/Amore
Ambiente
Amici/Amicizia
Analfabetismo
Analogie
Anticonformismo
Antipedagogia
Apprendimento
Arte
Attività
Attuale/Attualismo/
Attualità
Autoeducazione
Autonomia
Autore/eroe
Azione
Bambini
Banca rurale
Bene
Bisogno/i
6 Testo di riferimento
per Yunus: M. YUNUS, Il
banchiere dei poveri, [Vers
un monde sans pauvreté,
1997], trad. it. di E. Dornetti, Milano, Feltrinelli,
2001.
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
ANTONIO LABRIOLA
Cambiamento
Capitalismo
Classi
Classico
Coscienza
Concetto
Concezione
Conformismo
Conoscenza/Conoscere
Contestare
Contesto
Continuità
Contraddizione
Corsi
Crescita
Critica
Cultura
Curiosità intellettuale
179
ANTON S. MAKARENKO
MUHAMMAD YUNUS
Burocrati
Burocrazia
Burocrazia
Capitalismo
Catarsi
Classi
Classico
Collettivo
Coscienza
Concetto
Concezione
Conformismo
Conoscenza/Conoscere
Contestare
Contesto
Continuità
Contraddizione
Corsi
Creatività
Crescita
Critica
Cultura
Cambiamento
Capitalismo
Classi/caste
Coscienza
Concetto
Concezione
Conoscenza/Conoscere
Contestare
Contesto
Contraddizione
Corsi
Creatività
Crescita
Critica
Cultura
Curiosità intellettuale
Debito
Dialettica
Differenze
Difficoltà
Dipendenza
Disciplina
Discriminazioni
Distinzione
Diversità
Documenti
Delinquenza
Dialettica
Differenze
Difficoltà
Dignità
Dipendenza
Diritti
Disciplina
Discriminazioni
Distinzione
Diversità
Documenti
Dialettica
Differenze
Difficoltà
Dignità
Dipendenza
Diritti
Disciplina
Discriminazioni
Distinzione
Diversità
Documenti
180
Claudia Pinci
ANTONIO LABRIOLA
ANTON S. MAKARENKO
MUHAMMAD YUNUS
Dottrina
Dubbi
Dottrina
Dubbi
Dottrina
Dubbi
Economia
Educabilità
Educativo (sistema)
Educazione
Efficacia
Economia
Educabilità
Educabilità
Educazione
Efficacia
Élite
Episodio
Esclusi
Esclusivi
Esperienza
Episodio
Eroe
Esclusi
Esclusivi
Esperienza
Educazione
Efficacia
Elite
Episodio
Eroe
Esclusi
Esclusivi
Esperienza
Fame
Famiglia
Fanciullo/i
Fiducia
Filosofia/Filosofo
Finalità
Formazione
Frattura
Futuro
Facoltà
Fame
Famiglia
Fanciullo/i
Fiducia
Filosofia/Filosofo
Finalità
Formazione
Frattura
Futuro
Facoltà
Fiducia
Filosofia/Filosofo
Finalità
Formazione
Frattura
Futuro
Gioco (mettersi in)
Giovani
Governo
Grandezza
Gruppo sociale
Guida
Hegeliano
Garanzia
Gioco
Gioco (mettersi in)
Gioia (del domani)
Giovani
Governo
Garanzia
Gioco
Gioco (mettersi in)
Gioia (del domani)
Gruppo
Guida
Gruppo
Guida
Handicap
Handicap
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
ANTONIO LABRIOLA
ANTON S. MAKARENKO
Herbartiano
Humour
Humour
Idea/e
Idealismo
Identità
Ideologia
Incontro/scontro
Indagare
Indipendenza
Influenza
Ingiustizia
Insegnanti
Insegnamento
Intellettuale
Interpretazioni
Invenzione
Ipotesi
Ispiratore
Istituzione
Istruzione
Idea/e
Idealismo
Identità
Ideologia
Incontro/scontro
Indagare
Indipendenza
Influenza
Ingiustizia
Insegnanti
Insegnamento
Intellettuale
Interpretazioni
Invenzione
Ipotesi
Ispiratore
Istituto
Istituzione
Istruzione
Lavoro
Lettere
Leggere
Lezioni
Libertà
Libri
Limiti
Logica
Lotta
Lavoro
Lettere
Leggere
Lezioni
Libertà
Libri
Limiti
Logica
Lotta
Maestro
Maestro
Malnutrizione
Marxismo
Metodo
Marxismo
Metodo
181
MUHAMMAD YUNUS
Idea/e
Idealismo
Identità
Indagare
Indipendenza
Ingiustizia
Insegnanti
Insegnamento
Intellettuale
Interpretazioni
Invenzione
Ipotesi
Ispiratore
Istituto
Istituzione
Istruzione
Lavoro
Lezioni
Libertà
Limiti
Logica
Lotta
Malnutrizione
Metodo
Microcredito
182
ANTONIO LABRIOLA
Claudia Pinci
ANTON S. MAKARENKO
MUHAMMAD YUNUS
Miglioramento
Miseria
Mondo
Morale/Moralità
Morale/Moralità
Miglioramento
Miseria
Mondo
Morale/Moralità
Nemici
Nodi problematici
Normalità
Nemici
Nodi problematici
Normalità
Nemici
Nodi problematici
Normalità
Onestà
Operaio
Opinione
Opportunità
Originalità
Onestà
Operaio
Opinione
Opportunità
Originalità
Ottimismo
Onestà
Papuano
Parlare
Partecipazione
Partito
Peculiarità
Pedagogia
Pensiero/Pensare/
Pensatore
Persuasione
Pessimismo
Polemica
Politica
Popolo/i
Posizione
Potenza politica
Potenzialità
Prassi
Privilegi/privilegiati
Problematiche
Processo
Opportunità
Originalità
Ottimismo
Parlare
Partecipazione
Partito
Peculiarità
Pedagogia
Pensiero/Pensare/
Pensatore
Personalità
Persuasione
Parlare
Partecipazione
Peculiarità
Pedagogia
Pensiero/Pensare/
Pensatore
Personalità
Persuasione
Polemica
Politica
Popolo/i
Politica
Popolo/i
Potenza politica
Potenzialità
Povertà
Potenzialità
Povertà
Problematiche
Processo
Privilegi/privilegiati
Problematiche
Processo
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
183
ANTONIO LABRIOLA
ANTON S. MAKARENKO
MUHAMMAD YUNUS
Processo
Professore
Processo
Prospettiva
Progetto
Prospettiva
Processo
Professore
Progetto
Prospettiva
Questione
Questione
Questione
Ragione
Ragione
Randagi
Recupero
Regime
Reparti
Responsabilità
Realtà storica
Rieducazione
Ricerca
Rischio
Risorse
Rispetto
Rivoluzione/
Rivoluzionario
Ruoli
Ragione
Realtà storica
Ricerca
Rispetto
Rivoluzionario/
Rivoluzionario
Ruoli
Saggi
Schiavo/i
Scienza/Scientifcità
Sconfitta
Scoperta
Scritti
Scrivere
Scuola
Separazione
Sociale
Società
Socialismo
Socratismo
Sognare
Sconfitta
Scoperta
Scritti
Scrivere
Scuola
Separazione
Sistema
Sociale
Società
Socialismo
Socratismo
Sognare
Recupero
Responsabilità
Realtà storica
Rieducazione
Ricerca
Rischio
Risorse
Rispetto
Rivoluzione/
Rivoluzionario
Ruoli
Schiave
Scienza/Scientifcità
Sconfitta
Scoperta
Sistema
Sociale
Società
Sognare
184
ANTONIO LABRIOLA
Speranza
Stile
Storia
Studi/Studio
Successo
Sud del mondo
Superamento
Sviluppo
Tempo
Tesi
Testi
Claudia Pinci
ANTON S. MAKARENKO
MUHAMMAD YUNUS
Solidarietà
Speranza
Stasi
Stile
Storia
Studi/Studio
Successo
Solidarietà
Speranza
Superamento
Sviluppo
Superamento
Sviluppo
Tempo
Teorie
Tesi
Testi
Teorie
Tesi
Successo
Terzo mondo
Trasformazione
Umanità
Università
Uomini
Uomini nuovi
Valore/i
Verità
Vero
Vita
Volontà
Tradizione
Transizione
Trasformazione
Tutela
Umanità
Uomini
Uomini nuovi
Utopia
Valore/i
Verità
Vero
Vita
Volontà
Trasformazione
Tutela
Umanità
Università
Uomini
Utopia
Valore/i
Verità
Vero
Vita
Volontà
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
185
3. Antonio Labriola e la sua Università (recensione)
Una mostra documentaria su Antonio Labriola e la sua Università,
per i settecento anni della «Sapienza» (1303–2003), a cento anni dalla sua
morte (1904–2004), ed un catalogo, ideato e realizzato in quella che fu la
sua Facoltà, per ricordare il centenario labrioliano. La mostra allestita,
dall’8 marzo al 25 aprile 2005, presso l’Archivio Centrale dello Stato,
l’Archivio di Stato di Roma e la Biblioteca della Facoltà di Filosofia è ciò
che è già stato, quel che resta, a noi oggi, e resterà per i lettori che verranno, è il catalogo che riepiloga e lascia a disposizione permanentemente le attività di ricerca e di documentazione, nonché quelle congressuali
ed espositive.
Il catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i
settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), creato e curato dal professor Nicola Siciliani de Cumis
(Roma, Aracne, 2005) ha una triplice valenza; innanzitutto, quella di ricordare Labriola nel centenario della sua scomparsa, poi, quella di documentare, qui ed ora, non definitivamente il Labriola, ma per condurci
oltre il suo pensiero, e arrivare quindi, ad un ambizioso proposito: quello di dar vita a spunti di riflessione, che producano ulteriori ricerche e
studi sull’autore.
Il formato scelto è il catalogo, schematico, immediato e diretto, ma allo stesso tempo articolato, ricco e complesso, la forma selezionata ha la
finalità di guidare limitatamente il lettore, e di lasciarlo il più libero possibile, vengono forniti spunti, chiavi di lettura, riflessioni, approfondimenti, l’intento è quello di stimolare la curiosità e l’immaginazione per
fondare un interesse sull’autore.
L’esperienza pedagogica e culturale di Labriola è complessa e articolata, e ci viene presentata a tutto tondo. Le aspettative del volume vanno
al di là della documentazione, sono concentrate sull’autore ed oltre l’autore.
Labriola è una personalità della nostra storia culturale e politica, sul
quale negli ultimi decenni è calato un ingiusto silenzio. Il suo pensiero
storicamente e ideologicamente si è prestato a valutazioni discordanti,
spesso prodotte dall’originalità e dalla complessità proprie dello studioso. Considerata l’alta figura del pensatore, l’interpretazione non è certo
186
Claudia Pinci
agevole; nella sua riflessione infatti, non si trovano categorie concettuali
astrattamente precostituite, egli ha un atteggiamento di rifiuto verso
qualsiasi visione rigidamente sistematica. È un autore dei salti, delle rotture, degli scoppi, degli sconvolgimenti, solo apparentemente incoerenti;
filosofo critico della società e dei pregiudizi, “educatore perpetuo” che
tramite la formazione prospetta la trasformazione.
Dal catalogo emerge Labriola a “trecentosessanta gradi”; l’insegnante, il pedagogista, il filosofo, lo storico, il politico, il pubblicista, nonché
l’uomo.
Cinquant’anni mirabilmente portati; baffi e mosca color pepe e sale; gli occhi
curiosi e interrogatori: le mani conserte dietro la schiena, armate di un enorme
bastone. Ebbe in altri tempi un palamidone senza limiti; poi l’ha abbandonato
per gelosia verso Giolitti. Adesso veste con giovanile eleganza di grigio tendente all’azzurro, e per mostrare che non ha più nulla del vecchio uomo, porta il
goletto pulito — almeno per oggi. Occupa costantemente un posto al caffè Aragno; dice seimilaseicentosessantasei parole all’ora, intramezzate da questo ritornello: io non parlo mai. La sua anima è una vergine che sperava di sposare…
un mandato legislativo, e non ci è riuscita; sicché ha serbato l’amarezza accumulata di una vecchia zitella.
Questi, quasi di scorcio, i tratti significativi di una istantanea di Antonio Labriola dell’autunno del 1892, a cura di un icastico giornalista romano.
In pratica professore all’università, con molti scolari e stipendio gradevole.
In fondo un buon diavolo, specialmente quando trova un uditorio; il che nella
tristizia dei tempi diviene ogni giorno più raro. Ha però l’aria annoiata di un
uomo che ha perduto le illusioni elettorali; è fuoco sotto la cenere, non ci fidiamo9.
Questo ritratto delinea un piacevole profilo dell’originale “personaggio Labriola”. Spirito critico ed autocritico, divulgatore di idee e scuotitore di coscienze; uomo singolare, ironico, pungente, polemico, brillante,
in una parola autentico.
Da SCHEMBOCHE FF., Labriola (dalla rubrica un ritratto al giorno), in «Patria», 9–10
ottobre 1892. Citato in Il Mondo di Antonio Labriola e il Laboratorio Labriola, in Antonio
Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”
(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), cit. p. 136.
9
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
187
Egli fu innanzitutto professore, un insegnate sui generis, perché non
convenzionale, anzi, fuori dagli schemi, non accademico, ma assolutamente particolare. Labriola era un grande comunicatore, che affascinava
con il suo sapere, che aveva bisogno di manifestare i suoi giudizi, di esprimere il suo pensiero o il suo dissenso, le sue polemiche non erano
mai fini a se stesse. Sono rimaste celebri le sue lezioni vive ed appassionate, durante le quali, da grande oratore, incantava i suoi studenti. Personalità affascinante, un Labriola sorprendente e avvincente è quello che
emerge dalla coinvolgente lettura del catalogo. Si illustra l’immagine di
un intellettuale vero, completo, sincero; nel cui pensiero coesistono riflessione filosofica, pedagogica, politica e sociale.
Nel volume affiorano frequenti tracce bibliografiche che ci permettono di ricostruire la vita dell’autore, nonché di provare a comprendere
l’origine del peculiare temperamento che lo caratterizza.
Il decadimento delle fortune familiari, le insoddisfatte ambizioni di
un ottimo padre, Francesco Saverio, insegnante nelle Scuole Medie, riversate sull’unico figlio. Le qualità morali, ma anche intellettuali, di sua
madre. Sono questi i primi aspetti che definiscono l’educazione del piccolo Antonio, iniziata sotto la guida paterna e poi proseguita nell’Abbazia di Montecassino, dove in età giovanile Labriola comincia ad acquisire le basi della sua cultura, nonché della sua personalità. Nel rigoroso
clima del monastero nasce il suo modo di essere, quel non adattarsi alle
chiusure, alle rigidità, agli standard, per cercare strade ulteriori, vie proprie alternative. Terminati gli studi inferiori si trasferisce a Napoli, per
frequentare l’Università e, a causa delle ristrettezze economiche, per lavorare; con l’aiuto degli Spaventa, viene assunto come applicato di polizia, solo successivamente si dedicherà a quello che sarà il lavoro della
sua vita: l’insegnamento. A Napoli comincia la vita intellettuale di Labriola; scrive, collabora, come cronista o editorialista, con vari giornali,
frequenta circoli culturali e personaggi influenti. È il 1874 quando Labriola diventa professore straordinario di filosofia morale e pedagogia
all’Università di Roma.
Ed eccolo, nella sua università, «La Sapienza» non solo come sede architettonica o fisica, ma luogo mentale–ideale e pratico–educativo dove nella quotidianità si esercita la formazione del sé e la critica del circostante.
188
Claudia Pinci
Così è l’Università per Labriola, e questa è l’Università che il catalogo ci
mostra.
Noi non siamo qui per farvi da padroni, e non ci assumiamo, certo le parti di
direttori spirituali, o di vostri individuali consiglieri. Noi non abbiamo facoltà, né
di scegliervi né di respingervi. Voi ci venite di vostro impulso, e per le condizioni favorevoli delle famiglie vostre. Di fronte alla gran massa di lavoratori,
che rimangon privi dei benefizi della cultura, voi – permettetemi ve lo dica – voi
siete dei privilegiati. Uscendo dalla università, la più gran parte di voi – il che fa
in fondo la regola – non ci tornerà più ad occuparvi ufficio alcuno. Volgerete le
discipline apprese qui dentro ad altri usi ed intenti, che non sian quelli del diretto e proprio esercizio di scienza stessa. Entrando nella gara della vita, vi toccherà di tentare le contingenze della fortuna, e di subire le alee della concorrenza. Questa è la vita, per ora almeno: né noi abbiamo modo di farvi veleggiare
con agile e sicura navicella verso i regni di Madonna utopia10.
L’attualità di Labriola, nonostante il secolo di distanza, balza viva ai
nostri occhi. Le parole pronunciate dal professore il 14 novembre 1896,
per l’inaugurazione dell’anno accademico, sul tema L’università e la libertà della scienza, sono di una modernità impressionante. Al di là della
fluidità del discorso egli evidenzia tematiche complesse; mette in luce i
vizi dell’università, sottolineando la promiscuità dell’insegnare e dell’esaminare, che ritiene un danno poiché con l’ossessione degli esami e dei
giudizi, si spacca il nesso didattica–ricerca, e dà risalto inoltre, all’interdisciplinarità e alla funzione sociale della ricerca. La libertà di insegnamento è per Labriola scientifica, filosofica, politica e pratica. Dopo secoli
di decadenza egli avverte il bisogno di rinnovamento, per un’istituzione
che potenzialmente potrebbe generare un effettivo progresso, non solo
materiale, ma anche morale e intellettuale, che sarebbe necessario per
tutto il Paese. A suo avviso il futuro sarà garantito solo se filosofia e storia, conoscenza e prassi, pensiero ed azione potranno fondarsi sulla effettiva conoscenza della realtà e sulla libertà della scienza. Perché la libertà del conoscere garantisce la vita.
Da A. LABRIOLA, L’università e la libertà della scienza, Roma, Loescher, 1897. Citato in N. SICILIANI DE CUMIS, Rileggendo “L’università e la libertà della scienza” di Antonio
Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 399.
10
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
189
Estrapolato dal contesto storico dell’autore, il discorso ci appartiene,
possiamo farlo nostro per poi riportarlo nel suo quadro e comprenderne
la genesi. Così, con lo sguardo al passato guardiamo un Labriola insoddisfatto del suo tempo, ma pienamente radicato nella propria epoca, che
vive infatti, con smisurata passione emotiva e razionale.
È impossibile negare l’enorme funzione socio–culturale che Labriola
ebbe nel suo periodo, ma che non fu degnamente apprezzata. Egli visse
un momento di transizione della storia italiana, il grande fermento del
pensiero risorgimentale si era fortemente indebolito, e alle battaglie ideali si sostituirono vere e proprie lotte per il potere. Ed in tale contesto,
Labriola disgustato dalla corruzione e dal conformismo, si avvicinò
sempre più ai problemi della società, e certo delle sue opinioni polemizzò contro la sua epoca.
È fortemente presente nel suo pensiero l’esigenza di realizzare una riforma intellettuale e morale. Labriola si è costantemente battuto
nell’affrontare le questioni più importanti e i problemi più significativi
della situazione sociale, economica e politica del paese. Riformatore convinto e consapevole, mosso della voglia di voler rimediare concretamente alle molte e gravi manchevolezze della società italiana. Uomo di cultura, maestro di critica della cultura del suo tempo, Labriola contraddice il
proprio tempo, e tenta di risolvere i fatti di attualità, intendendoli criticamente.
Chi sta sulla cattedra universitaria, non deve occuparsi di cronaca quotidiana, non deve arringare né agitare, ma insegnare, cioè dimostrare, spiegare, interpretare le cose. Egli deve chiarire i concetti, le parole, i segni, sceverare le regole fondamentali, formulare le dottrine, presentare le modalità dello sviluppo,
condurre ad unità i singoli processi, per quanto più questo gli può riuscire possibile11.
L’insegnamento del professore non prevede solo lezione cattedratiche, ma è essenzialmente pratica di vita. Il pensiero di Labriola oltrepassa il mondo accademico e agisce nella quotidianità, non disdegna le
Cit. da N. SICILIANI DE CUMIS, Antonio Labriola critico della cultura del suo tempo. I
concetti, le parole i segni, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 104.
11
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Claudia Pinci
piazze, le vie, i caffè, entra in fabbrica per raggiungere gli operai, poi si
serve dei quotidiani e dei periodici per aumentare il suo eco.
Labriola critica l’intellettualismo astratto, egli prova una sorta di antipatia per gli intellettuali libreschi, che non tengono d’occhio il senso
del reale. Ritiene indispensabile l’educazione indiretta, piuttosto che
quella formale e diretta.
Il punto fermo, nel sistema labrioliano, è la costante attività culturale,
non fine a se stessa, ma come funzione pedagogicamente valida, che interviene nelle diverse realtà di vita, per realizzare l’incontro di cultura,
morale, educazione, scuola, etica, politica e società.
Nonostante le evoluzioni della formulazione teorica di Labriola,
dall’hegelismo, allo herbartismo, al marxismo; dal liberalismo, alla democrazia, al socialismo; è possibile rilevare una certa continuità rintracciabile nell’impegno sociale e politico, ed etico pedagogico dell’autore,
per costruire una cultura della critica individuale e sociale, non solo
nell’università, ma nella scuola, nella famiglia, nella società.
A cento anni dalla sua morte, la sua proposta è sempre valida, è tuttora viva, efficace; la sua esortazione non è finita con lui, ma dovrebbe
diventare un impegno, per noi e per le generazioni future.
Labriola critico della società e della politica della sua età, è totalmente
immerso nella sua epoca, ma allo stesso tempo vuole districare il “grande intrigo della storia”, guarda al passato, ma particolarmente al futuro.
È un pensatore a più dimensioni, che ragiona anche in termini di generazioni che verranno, come nel noto episodio del Papuano, raccontato da
Croce, che provocò la disapprovazione di Gramsci. La risposta di Labriola, al suo studente universitario che obiettava contro l’efficacia della
pedagogia, fu considerata meccanica e retriva. Ennesima dimostrazione
che il pensiero labrioliano, così complesso e variegato, può dar luogo a
impressioni diverse. Pertanto, è opportuno cercare di capire le circostanze entro le quali Labriola si muoveva, perciò nell’aneddoto del Papuano
può leggersi la convinzione labrioliana della lentezza del processo educativo, e quindi l’idea che la pedagogia ha bisogno di molte generazioni
per dare i suoi risultati.
“Come fareste ad educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi
scolari tanti anni fa […] al prof. Labriola, in una delle sue lezioni di Pedagogia,
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
191
obiettando contro l’efficacia della Pedagogia. “Provvisoriamente (rispose con
vichiana e hegeliana asprezza l’herbartiano professore), provvisoriamente lo
farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi
nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia
nostra”12.
Con tale episodio Labriola sembra esprime in forma singolare il concetto che l’educazione presuppone uno sforzo prolungato ed un impegno rigoroso. Inoltre, il farlo schiavo può rientrare nel gusto del paradosso labrioliano, che lo portava spesso a chiarire i problemi con le battute,
ma al di là dell’apparenza egli è comunque sensibile alla situazione. In
questo aneddoto è possibile rintracciare la distinzione che Labriola opera tra l’attività del pensare e quella dell’educare. La risposta segue una
“logica della separazione”, egli distingue una “cultura alta” che ha fini
pedagogici, da ciò che è pedagogia, che è, a suo avviso, qualcosa di diverso dalla cultura; quindi da un lato c’è l’idea di un concetto di cultura
per pochi e dall’altro la pratica pedagogica, come istruzione destinabile
ai molti.
Più volte ritorna nel catalogo il noto aneddoto del papuano, ci fa intendere l’inclinazione labrioliana al paradosso, ci introduce inconsciamente ma pienamente in quel momento, e ci chiama in causa. Ci induce
a sviluppare la nostra capacità critica, il nostro punto di vista, e noi generazioni future, cogliamo lo stimolo che ci offre l’autore. Esaminiamo, analizziamo, scandagliamo, vagliamo, ogni ipotesi, diamo diverse interpretazioni, come lui avrebbe voluto che fosse. In prospettiva, ci sentiamo
suoi allievi, e lui sembra stimolarci, ci porta al confronto, alla discussione, che è condizione indispensabile per l’apprendere, grazie a lui cresciamo, progrediamo, mentalmente, intellettualmente, moralmente. La
sua teoria giunge a noi nipoti o pronipoti. E avvaloriamo in tal modo la
sua ipotesi per cui prima o poi, ma lentamente, senza bruciare le tappe,
dando tempo al tempo, tutte le culture dovranno passare attraverso una
cultura più alta, che conduce innanzi alla storia, unica reale signora.
N. SICILIANI DE CUMIS, Antonio Labriola a centosessant’anni dalla nascita, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 170.
12
192
Claudia Pinci
Siamo quindi nella storia, ne assecondiamo l’andamento ciclico, ma
cerchiamo di farlo polemicamente, o meglio criticamente. Come Labriola
ci ha insegnato.
Il filo della vita di lui fu tagliato troppo presto e troppo rapidamente, perché
Egli potesse compiere la grande opera definitiva che raccogliesse ed esprimesse
il pensiero Suo, giunto alla piena maturità. Per un processo di sviluppo interiore, continuo, e alle volte affannoso, Egli dall’animo mobilissimo, cambiò più
volte di atteggiamento e di stile, cosicché sembrò che vivesse in una perpetua
giovinezza. Fu caro ai giovani per questo perenne rinnovarsi, per questa instabilità, nella quale trovava meravigliosa espressione la vita, nel suo corso incessante. Egli era un atleta della polemica: così fu detto. E tale fu per davvero. Addestrò gli spiriti giovanili a questa ginnastica da atleti, togliendo gli appoggi, le
impalcature e i sostegni, le formule e le definizioni, in quelle geniali corse attraverso la storia delle cose e delle idee, che Egli faceva con tanto diletto e con tanto
profitto. Sì Egli fu, in questo senso, un atleta e insieme suscitatore abilissimo, di
una folla di pensieri, arguto e mordente, passionale sì, ma pur sempre organico
ed ordinato nella esposizione, nell’apparente disprezzo di ogni ordine e disciplina13.
Nella dimenticanza collettiva, qualcuno ha continuato a lavorare su
Labriola, sulle questioni di cultura, di politica, di formazione, di società
proprie della sua riflessione, dapprima lo ha mantenuto vivo, certo che
potesse ancora appassionare, e poi gli ha concesso la possibilità di crescita attraverso l’aspettativa di riflessioni ulteriori.
Labriola non c’è più, per lui il catalogo, che oltre a dire, può far dire,
molto ancora. Non è un utopia, se oggi siamo qui a scrivere, questa lettura ha suscitato qualcosa. Il lungo lavoro di studiosi, studenti e neolaureati, fatto di ricerche, analisi, confronti, discussioni, prove, ripetizioni, è
riuscito nell’intento di lasciare un segno, se non addirittura di trasmettere compiutamente il pensiero di Labriola, poiché il suo fare dilatato e
ammaliante appassiona.
Il catalogo ha come obiettivo quello di tracciare un impronta, non necessariamente indelebile. Tuttavia, attraverso l’uso di ragione e sentiDa T. LABRIOLA, Mio padre, in «Scintilla di Calendimaggio», 1913. pp. 21–32. Citato in Il Mondo di Antonio Labriola e il Laboratorio Labriola, in Antonio Labriola e la sua
Università, cit., p. 137.
13
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
193
mento, di scientificità da un lato e di passioni dall’altro, la prospettiva reale appare il tentativo di umanizzazione delle nuove generazioni.
L’autore affrontato, globalmente e in maniera originale, ci colpisce, se
non rapisce. I diversi materiali usati, i saggi, le lettere, i documenti, gli
articoli, le recensioni, le tesi, e i vari linguaggi intrecciati, informano, insegnano, documentano, istruiscono, consigliano, fanno da esempio, da
modello. Labriola e la sua Università raggiungono il lettore.
È il movimento spirituale raccomandato dall’autore stesso, una oscillazione dello scendere e del risalire, propria del catalogo, come della vita.
Pertanto nella lettura, io lettore, esamino, considero con attenzione e
ripercorro incessantemente la “mia strada”, ora in un verso, ora nell’altro; e comprendo, in base alle mie competenze, alla mia curiosità, ma anche alla mia incompetenza e la mia unitarietà; con la mia storia e le mie
aspettative, quindi, con dei miei limiti. Leggo, inoltre, nel mio contesto,
ma valuto “il dove” dell’opera stessa e dell’autore; inevitabilmente si
genera una mescolanza, il mio presente, il mio passato, il tempo dell’autore, l’origine della sua opera e quella del catalogo; il futuro, il mio, la
prospettiva dell’autore, i propositi del volume, si armonizzano. Ma io
interpreto con la mia storia, con il mio punto di vista, sono i miei interessi a decidere, anche se in gioco c’è un complesso autore, e un ricchissimo
testo. Ed è per questo motivo che il movimento è costante, continuo, incessante.
Tra quantità e qualità, la forza dell’opera, sta nella sua effettiva interdisciplinarità. L’attività di lettura è trascinante, l’uso delle parole chiave
determinante, molte termini hanno una doppia valenza, strumentale e
finale, alcuni vocaboli possiedono un enorme peso, un grande valore,
determinano assoluti vantaggi, fissano le idee, lasciano un segno, ed è
una traccia voluta.
L’esercizio di lettura è in qualche modo guidato, ma appare libero,
poiché, con tutti gli elementi che ho a disposizione, posso dare la mia interpretazione, usare i miei occhiali di lettura.
La struttura del testo è data da un complesso di idee, di questioni di
principio, di valori, opinioni, concetti, dottrine, ma l’azione etico–
pedagogica è innescata dalla lettura, durante la quale più elementi si
sommano, si fondono, si legano, e creano il mio punto di vista. Il gioco
194
Claudia Pinci
tra vecchio e nuovo, spinge in ulteriori dimensioni, questo sistema dà vita a risorse educative apparentemente taciute.
Io leggo “con il mio mondo”, di un “altro mondo”, che diventa “il
mio mondo”, creando a sua volta un “nuovo mondo”. La mia lettura
parte da me, e dalle mie ipotesi, ma nel corso del suo svolgimento le mie
idee si sono moltiplicate, il percorso è diventato più variegato, più complicato, ma sta a me lettore dipanare quei nodi problematici che il testo
mi offre, la conclusione è aperta, o meglio provvisoria, perché una rilettura può portare ulteriori domande, e questo sul piano pedagogico è assolutamente ottimale. Ritornare sullo stesso argomento in termini diversi, significa in qualche modo cambiamento, e quindi crescita.
4. Labriola e Makarenko, differenze e analogie
“Chi era però Labriola? Chi era stato, nel corso della vita […]? […] quali furono le idee principali, proprie e nuove […] nel corso della propria formazione?
Quali le sue categorie mentali caratterizzanti? Quali, in ultima analisi, i punti forti
d’arrivo […]?”. La risposta, o le risposte, a queste domande appaiono si diceva,
non agevoli né semplici. Anche e soprattutto per le molteplici difficoltà che si
frappongono alla piena comprensione di un “modo di pensare” che si è prestato
storicamente e ideologicamente ad interpretazioni e valutazioni tutt’altro che univoche14.
La complessità del pensiero labrioliano affascina, così come l’elaborazione teorica e la pratica educativa di Anton Semënovič Makarenko, il
quale tuttavia, come Labriola, fu mal interpretato e non venne risparmiato da critiche. Il pedagogista sovietico ha un ruolo di primo piano tra
i grandi educatori. Il suo nome può giustamente figurare tra i classici
della pedagogia mondiale. Tuttavia, e non è raro, Makarenko è erroneamente presentato in modo parziale. L’opinione abbastanza diffusa, che
lo indica semplicemente come il creatore della pedagogia sovietica, ha
origine con la sua indiretta complicità. Il suo metodo educativo non può
esser valutato come una costruzione autonoma e indipendente dalle tensioni innovative; il suo pensiero è ricco e articolato, però è indubbiamenI. VOLPICELLI, Antonio Labriola cento anni dopo (1904–2004), in Antonio Labriola e
la sua Università, cit., p. 42.
14
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
195
te forte il rapporto con il suo tempo. Egli si oppone polemicamente alla
pedagogia accademica, che non dà indicazioni sufficienti alla pratica
educativa, e deduce la sua teoria pedagogica dall’esperienza reale, inevitabilmente connessa all’attualità storica. Pertanto, le idee del pedagogo
non possono essere totalmente comprese e assimilate senza tener conto
della realtà in cui si sono sviluppate, bisogna considerare il contesto storico e il vissuto dell’autore. Le sue dottrine non emersero dal nulla, ma si
definirono in presenza di una vasta costellazione di eventi, idee ed esigenze socio–politiche. Analogo discorso può esser fatto per Labriola.
[…] per comprendere meglio un po’ tutto Labriola filosofo, politico, storico, pedagogista, pubblicista, insegnate. Il Labriola parte viva e attiva, esso stesso geneticamente, del “processo genetico” che vuol intendere obiettivamente e modificare morfologicamente. Il Labriola “resultato storico”, sia soggetto che oggetto di
storia, che è insomma da comprendere metodologicamente nella sua particolare
fisionomia biografica ed autobiografica, filosofica, pedagogica, etico–politica,
economica didattica […] Il Labriola che racconta come storico e che si racconta
come individuo; e che, così procedendo, rifà la storia della storia, il processo formativo, il “cosmo” di quella intera unità che filosoficamente e pedagogicamente lo
riguarda come morfologia di una totalità culturale in formazione.
Il Labriola, d’altra parte, che mentre contrasta teoricamente l’idea di qualsiasi “finalità ultima esterna”, proveniente da “metafisica o teologica escogitazione”, che spieghi “in anticipo” il senso della realtà storica umana, si muove tuttavia praticamente dall’interno di un “dover essere”, di un valore politico “altro” da affermare con determinazione etica, convinto della plausibilità delle
forme dell’“educabilità umana” e delle possibilità che ha l’uomo di “farsi altrimenti” nella prospettiva di un cambiamento rivoluzionario al limite dell’utopia15.
Quella di Labriola è una personalità viva, attiva, polemica, critica. Egli ha un atteggiamento di rifiuto e di intolleranza nei confronti di ogni
conformismo, di ogni visione predisposta rigorosamente, nel suo pensiero non si incontrano categorie concettuali rigidamente precostituite.
È possibile parlare di un Labriola dei “salti”, degli “scoppi”, delle “rotture” ma allo stesso tempo nelle sue concezioni è possibile ritrovare continuità.
N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 27.
15
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Claudia Pinci
Ebbene, studioso inquieto ed inquietante, lontano dagli schemi tradizionali, coraggiosamente anticonformista, impegnato nel rinnovamento
della cultura, della pedagogia, della filosofia, dell’istruzione, e della società. Insegnare per Labriola vuol dire rispondere ai bisogni reali; vivissima è la sua attenzione alle esigenze sociali di giustizia e libertà, per tale
motivo ritiene fondamentale il rapporto scuola–società.
E come la maieutica di Socrate, l’insegnare è per Labriola non definire, classificare astrattamente, bensì attività che genera altre attività, che risponde al bisogno reale. Il discorso di Labriola […], ha un forte senso “tanto antideologistico quanto antipedagogistico”. Richiama, in altre parole, la stretta connessione in
Labriola tra riflessione filosofica e riflessione pedagogica.
Labriola, dunque, oltre che filosofo e giornalista, fu anche e soprattutto educatore. […]
Dunque, il Labriola educatore non può essere separato dal Labriola filosofo.
La pedagogia, nella sua ottica, è una scienza filosofica e pratica. […]
Labriola si batte per una scuola popolare, che è un “problema di politica sociale democratica”, e denuncia la piaga dell’analfabetismo, il che testimonia il
“legame sempre fortemente provato da Labriola tra scuola e società”16.
Il Labriola maestro perpetuo, pedagogista, grande educatore, insegnante all’università «La Sapienza» dal 1874 al 1903. Le sue lezioni vive ed
appassionate superano i muri dell’accademia per agire nel mondo. Egli
attribuisce all’educazione una funzione sociale, ritiene indispensabile la
libertà della scienza e dell’insegnamento e il rinnovamento dell’università, così come l’incremento della istruzione popolare. L’educazione può
generare un cambiamento, anche se i privilegi culturali sono destinati a
pochi, la domanda di crescita intellettuale è di molti.
L’ignoranza — la quale alla sua volta può anche essere spiegata — è cagione
non piccola del modo come la storia è proceduta; e all’ignoranza bisogna aggiungere la bestialità non mai interamente vinta, e tutte le passioni e le nequizie, e le svariate forme di corruzione, che furono e sono il portato necessario di
M. DORMINO, Antonio Labriola nelle “Grandi Scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia”, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 57.
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Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
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una società così organata, che il dominio dell’uomo sull’uomo vi è inevitabile, e
da tale dominio la bugia, l’ipocrisia, la prepotenza e la vita sono inseparabili17.
L’azione dell’ambiente storico–sociale sugli uomini, e la loro reazione
ad esso, costituiscono il tema dell’educazione. Labriola mette in guardia
contro ogni ottimismo pedagogico, e ritiene determinante il fattore sociale. Così Labriola, un po’ come Makarenko per definire i fini dell’educazione parte dal reale, dalla storia e dalla vita della società, ed anch’egli
prospetta un’evoluzione. «Gli uomini, che presi in astratto son tutti educabili e perfettibili, si son perfezionati ed educati sempre quel tanto, e
nella misura che essi potevano, date le condizioni di vita in cui è stato
loro necessità di svolgersi»18, il contesto quindi è vincolante ma le possibilità di crescita, di miglioramento, di sviluppo innegabili. Ed è importante pertanto, andare oltre, oltre le critiche, oltre gli ostacoli, come Makarenko, oltre le ostilità. Il pedagogista sovietico, malgrado tutte le delusioni subite a causa dell’impopolarità delle sue dottrine esce vittorioso, il
suo, ovviamente, non è un successo individuale ma collettivo, è il successo dell’intera società. L’arduo compito di guidare ed educare i giovani abbandonati viene portato a termine da Makarenko dopo anni di duro lavoro. Nel collettivo compatto trova il sistema per riscattare i ragazzi
e per dar loro una prospettiva. Il principio pedagogico ispiratore è il riconoscimento del vero valore della vita umana, per la gioia del domani.
Il Poema pedagogico è la testimonianza della sua grandiosa opera di
educatore, lui l’autore–eroe con le sue passioni, i suoi sentimenti, le sue
emozioni, l’“autore” è il pedagogista posto di fronte alle reali difficoltà
del suo lavoro, con i suoi dubbi, le sue paure, le sue incertezze, che fa
emergere tutto il “suo socratismo” ammettendo di non sapere da dove
cominciare. È il Makarenko uomo che deve affrontare problemi apparentemente irrisolvibili. Poi c’è il “protagonista” del romanzo, lui stesso,
il pedagogo che si “mette in gioco”, che rischia contro tutti e contro tutto.
Nel Poema c’è, quindi, la storia di una crescita umana complessa:
mentale, fisica, culturale, morale, civile, spirituale, nel racconto si avverA. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis,
Napoli, Morano, 1976, p. 109.
18 Ivi, p. 140.
17
198
Claudia Pinci
te, tra cadute e salti di qualità, la forza educativa di quella eccezionale
esperienza. Ciò che nasce nel collettivo, al di là delle apparenze, è un uomo nuovo e soprattutto libero. È qui che va colta l’originalità di Makarenko: creare personalità libere in un sistema rigidamente ordinato. Nella colonia non viene tolta la libertà, anzi viene incoraggiata sempre e
comunque, nel gioco, nell’immaginazione, nella fantasia, nell’espressività, nel desiderio di un domani migliore e possibile grazie alla nascita di
personalità libere, “altre”, diverse, nuove.
Anche il metodo didattico di Labriola è lontano da qualsiasi forma di
conformismo e dogmatismo, parte dai fatti storici, dalla realtà, dall’analisi oggettiva, ma a differenza di Makarenko egli critica la società, la situazione socio–economica e politica del suo tempo, inoltre tiene conto
della tradizione culturale e dei precedenti storici. Il suo pensiero si alimenta di istanze sociali estreme.
Per Labriola non vanno confuse le attività del pensare e dell’educare,
tanto che egli si attiene alla separazione tra finalità universitarie elitarie
e finalità pratiche utilitarie. Nel suo pensiero è possibile individuare
quella distinzione di ruoli che appare in linea con l’ipotesi didattica proposta nel famoso episodio del Papuano.
“Come fareste ad educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi
scolari tanti anni fa […] al prof. Labriola, in una delle sue lezioni di Pedagogia,
obiettando contro l’efficacia della Pedagogia. “Provvisoriamente (rispose con
vichiana e hegeliana asprezza l’herbartiano professore), provvisoriamente lo
farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi
nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia
nostra”19.
L’eventualità dichiarata, il farlo schiavo provvisoriamente, è una “pedagogia del caso” che è un necessario prodotto della storia. Con tale aneddoto Labriola esprime in forma particolare il concetto che l’educazione comporta uno sforzo prolungato ed un solido impegno.
A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1061.
19
Le parole di Labriola e quelle di Makarenko
199
Il Papuano sembra essere il mediatore indispensabile del processo storico, che conduce inevitabilmente alle generazioni future, a quei nipoti e
pronipoti moralmente educabili.
Egli si augura il progresso sociale, auspica un miglioramento, anche
se nulla lascia ben sperare, ed osserva ciò, argutamente, schiettamente,
con la franchezza che gli è propria. Si può quindi ipotizzare che Labriola, tende ad una prospettiva ottimistica, che supera il cliché che lo vuole
pessimista ostinato, perché in fondo egli è ottimista anche quando apparentemente si mostra convintamene pessimista; egli è semplicemente critico, autentico ed anche assolutamente ironico, il che non guasta a completare il profilo di un professore non certo tradizionale e convenzionale.
Così ci appare, anzi si mostra, questo pedagogista sui generis, un pensatore controverso, un autore straordinariamente comunicativo, sempre
predisposto al dialogo e al confronto, che con il suo spirito critico ci
proietta nel sogno di un domani migliore.
5. Riferimenti bibliografici
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–
2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005.
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Psicologia, Psicoanalisi, Pedagogia, Antropologia Culturale, Teologia, Religioni, Sociologia, Milano, Garzanti, 1991.
GRAMSCI A., Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, 1975.
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nell’università, Roma, Lithos, 2005.
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Mosca, 1947], trad. it. di L. Laghezza, Roma, ed. Rinascita, 1953.
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Ed. Raduga, 1985.
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SICILIANI DE CUMIS N., Studi su Labriola, Urbino, Argalia, 1976.
ID., I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come “romanzo d’infanzia”, Pisa,
edizioni ETS, 2002.
YUNUS M., Il banchiere dei poveri [Vers un monde sans pauvreté, 1997], trad. it. di E.
Dornetti, Milano, Feltrinelli, 2001.
Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia.
Anniversari e importanti libri celebrativi∗
Francesca Rizzo
«I centenari sono un barbaro costume» ― dichiarò Croce nel corso di
una conversazione con Paul Valery, avvenuta nel 1932 a Parigi, l’anno
delle celebrazioni goethiane alle quali entrambi erano stati invitati a tenere discorsi commemorativi del grande poeta tedesco.
Il ricordo di questo lontano episodio, tramandato da Leone Ginzburg,
mi è venuto in mente per contrasto con quanto sto per dire. Per uno di
quei strani giochi della storia, l’inizio del secondo millennio ha registrato
per la cultura italiana la ricorrenza di un centenario, di un cinquantenario e di un sessantenario: cinquant’anni dalla morte di Croce nel 2002;
cento anni dalla morte di Labriola nel 2004; sessant’anni dalla morte di
Gentile nello stesso 2004. Tutte e tre queste ricorrenze hanno avuto una
grande messe di iniziative, per nessuna delle quali si adatta, tuttavia, la
battuta ironica ma severa di Croce, che si potrebbe tradurre così: la cultura esige libertà di interesse e spontaneità di ispirazione, di conseguenza non può essere comandata da scadenze di calendario. Questo verissimo motivo non impedisce, tuttavia, di dire che la celebrazione di un
anniversario, quando assolve la condizione di una forte volontà di ripensamento e di una piena sincerità di sentimento; quando assume quei
connotati di libertà e di autentico interesse, la cui mancanza giustamente
era temuta e lamentata da Croce, diventa una felice occasione di vita degli studi e il suo rituale si trasforma in senso della continuità della cultura e della storia.
Si sarà già compreso che queste condizioni sono state tutte presenti
nella celebrazione degli anniversari indicati. Sicché, se qualcosa di generico e di comune si può dire intanto di esse, è che tutte e tre hanno segnato per la filosofia italiana all’inizio del nuovo millennio un momento
di rilievo, perché ripensare Labriola, Croce e Gentile, le cui rispettive vi∗
Pubblicato in «Gazzetta del Sud», 10 luglio 2005.
202
Francesca Rizzo
cende di pensiero hanno indiscutibilmente “fatto”, anche per gli effetti
che hanno prodotto, la recente storia della filosofia italiana, era ormai il
momento.
Quanto detto voleva soprattutto richiamare l’attenzione su un volume, la cui pubblicazione (Aracne Editrice, Roma 2005) ricade nell’ambito
delle attività di celebrazione del centenario di Antonio Labriola. Queste
sono state tante e in sedi diverse, né possono dirsi del tutto concluse, visto che altre ancora se ne annunciano a partire dall’Edizione nazionale
della sua Opera omnia. Comunque sia, fra i volumi dell’“anno labrioliano”, come giustamente è stato definito il 2004, quello di cui sto per dire è
il primo a vedere la luce. Dal titolo Antonio Labriola e la sua Università; curato da Nicola Siciliani de Cumis, uno fra i più autorevoli interpreti del
pensiero di Labriola; edito sotto l’Alto Patronato del Presidente della
Repubblica, con l’intervento dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», della sua Facoltà di Filosofia, dell’Archivio Centrale dello Stato
e dell’Archivio di Stato di Roma, si presenta in modo singolare, imponente e ― lo dico senza timore di esagerazione ― magnifico. Magnifica,
infatti, è la veste tipografica; imponente la sua estensione (690 pagine);
singolare, infine, la sua impostazione, in quanto il volume — il cui sottotitolo recita: Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”
(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004) ― si
presenta come un catalogo delle attività culturali, che hanno accomunato, nel quadro delle iniziative intraprese per la celebrazione del settimo
secolo di vita della «Sapienza», questa celebrazione con quella labrioliana.
Ora, proprio la fusione delle due celebrazioni è l’aspetto originale del
volume e pure al tempo stesso il modo più appropriato per entrare nel
“pianeta” Labriola. Perché Labriola, che certo in tanti modi si potrebbe
definire, essendo stata variegata e instancabile la sua operosità, se lo si
volesse definire per l’attività che di più lo coinvolse e che esercitò con
infinita passione, lo si dovrebbe dire anzitutto un professore, un professore della sua Università e nella sua Università, sempre che a questo titolo
si dia il senso originario e autentico di chi professando l’insegnamento
di una disciplina, anzi tutto educa, nella totale consapevolezza della responsabilità civile che il proprio magistero comporta e significa, nella
piena coscienza della lezione di libertà, oltre che di sapere, che da quel
Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia
203
magistero deve provenire. Si leggano i suoi Scritti pedagogici, o anche soltanto il discorso L’Università e la libertà della scienza tenuto all’Università
di Roma il 14 novembre 1896 per l’inaugurazione dell’anno accademico:
si avvertirà in esso il respiro di un’azione, il valore di un’opera, nella
quale l’Università era sentita e vissuta come «una grande educazione»,
una maieutica continuativa e perpetua «che deve sopravvivere a molte
generazioni». Dire che così sempre, e dunque anche oggi, dovrebbe essere sentito e vissuto l’insegnamento universitario sarebbe, forse, anacronistico o retorico? Non credo. Sarebbe invece il modo di tentare di realizzare un ideale, attraverso la lezione di un filosofo (e di un uomo), che
non può e non deve essere ricordato soltanto come il teorico del materialismo storico in Italia. Sicché anche per questo il volume merita attenzione: per non avere, in definitiva, ricordato e celebrato soltanto il politico, ma il Maestro, il Maestro di quella studiorum universitas, che tale non
può essere se non è anzi tutto responsabilità di vita e di vite e, insieme,
inesauribile passione per la ricerca.
Apprendimento spontaneo e interesse razionale: Maria
Montessori tra Antonio Labriola e Lev S. Vygotskij∗
Federico Ruggiero
Prendendo le mosse da una possibile valutazione del rapporto tra
apprendimento e livello di sviluppo “spontaneo” in Vygotskij, sembra
possibile operare un legame con quanto viene espresso da Labriola circa
il rapporto tra momento “intuitivo” della conoscenza e momento “razionale” dell’interesse; in Labriola non sembra esserci separazione netta
tra i due momenti, ma anzi essi contribuiscono in modo unitario a stabilire le basi per un nuovo approccio pedagogico all’insegnamento:
E primieramente l’interesse empirico, col metter sott’occhi la forma varia e
variabile del vivere umano, spinge l’intelletto alla ricerca del primo principio e
dell’ultimo termine di tutte quelle cose che si vengono a parte a parte esaminando1. L’interesse poi che io dico razionale, provandosi ad interpretare le successioni e le connessioni degli avvenimenti, suscita assai di frequente il dubbio
su l’umana sorte, per non essere il più delle volte intellegibili le cause genuine
dei fatti e le maniere dei loro intrecci. Le forme estetiche e simpatetiche dell’interesse, dando dal canto loro il carattere del pregevole e dello spregevole
degli atti umani, rendono avvertito l’animo delle disarmonie della vita, e muo-
∗
Questo scritto recensisce la mostra e il catalogo su Antonio Labriola e la sua Università, almeno per le seguenti ragioni. Intanto perché l’autore figura già tra i collaboratori del catalogo; e perché non sarebbe difficile vedere nell’attuale contributo
un prolungamento della prima esperienza di studio nella seconda: sia dal punto di
vista di alcuni dei contenuti della trattazione, sia dal punto di vista delle questioni
di metodo affrontate via via. Inoltre, il nuovo contributo riprende temi e problemi
variamente trattati o accennati nel catalogo: gli ipotetici nessi tra la pedagogie di
Antonio Labriola e quella di Maria Montessori; Lev S. Vygotskij e la psicologia universitaria romana tra Otto e Novecento; insegnamento e apprendimento; la tematica
dell’interesse e quella l’insegnamento della storia, ecc.
1 Corsivo nostro, come altre volte in seguito. Lo “spingere” acquisisce qui un significato molto particolare e specifico, tutto da esaminare.
206
Federico Ruggiero
vono a dolorose riflessioni su i casi non infrequenti di disaccordo fra il merito
ed il successo2.
Metodologicamente e contenutisticamente viene evidenziato un innesto della dimensione emotiva nella prospettiva della presa di coscienza
e, contemporaneamente, un germinare dell’aspetto “razionale” a partire
dal terreno emotivo della curiosità orientata dall’interesse nascente.
La forza della pedagogia consiste, per Labriola, proprio nel sapere
mettere in conveniente rapporto lo sviluppo evolutivo naturale e spontaA. LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, in ID., Scritti di pedagogia e politica scolastica, a cura di D. Bertoni Jovine, Roma, Editori Riuniti, 1961, p. 60. Vygotskij spiega in termini di ricerca più avanzata, quasi a rendere specifiche e psicologiche le affermazioni pedagogiche di Labriola: «Un concetto isolato, questa cellula che abbiamo staccato dal tessuto vivente, unitario, come è intrecciato ed intessuto nel sistema
dei concetti infantili, all’interno del quale soltanto può vivere e svilupparsi? In effetti i concetti non compaiono nella mente del bambino come dei piselli che si versano
in un sacco, non stanno accanto l’uno all’altro o uno sopra l’altro senza alcun legame o senza alcun rapporto. Altrimenti non sarebbe possibile nessuna operazione di
pensiero, che richiede una correlazione tra concetti, non sarebbe possibile nessuna
visione del mondo nel bambino: in breve, tutta la vita complessa del suo pensiero.
Inoltre, senza rapporti determinati con gli altri concetti non sarebbe neppure possibile l’esistenza di un singolo concetto, poiché l’essenza stessa del concetto e della
generalizzazione presuppone, nonostante la teoria della logica formale, non un impoverimento, ma un arricchimento della realtà rappresentata nel concetto rispetto
alla percezione e all’intuizione semplici e immediate di questa realtà. Ma se la generalizzazione arricchisce la percezione immediata della realtà, è chiaro che ciò non
può trovare altro mezzo psicologico se non quello di stabilire dei legami complessi,
delle dipendenze e delle relazioni tra gli oggetti, rappresentati nel concetto, e il resto
della realtà. Così, la natura stessa di ciascun concetto isolato implica di per sé
l’esistenza di un sistema determinato di concetti […]» (L.S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, a cura di L. Mecacci, Roma–Bari, Laterza, 20037, p. 295). Similmente il Labriola del 1896, già materialista storico, indaga gli aspetti della complessità
nell’acquisizione ideologica dei contenuti appresi: «Comprendere l’intreccio ed il
complesso nella sua intima connessione e nelle sue manifestazioni esteriori; discendere dalla superficie al fondo, e poi rifare la superficie dal fondo; risolvere le passioni e i disegni nei moventi loro, dai più prossimi ai più remoti, e poi ricondurre i
dati delle passioni, dei disegni e dei moventi loro ai più remoti elementi […] ecco
l’arte difficile, che deve esemplificare la concezione materialistica» (A. LABRIOLA,
Saggi sul materialismo storico, a cura di V. Gerratana e A. Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 153).
2
Apprendimento spontaneo e interesse razionale
207
neo con i momenti di “sforzo” da parte dell’attività psichica di apprendimento; in tale prospettiva non c’è una separazione netta e unilaterale
tra dinamiche di sviluppo delle funzioni psichiche e processi di apprendimento, poiché entrambe le prospettive non sono significative prese solo di per sé, in quanto contribuiscono alla formazione di una dimensione
unitaria di maturazione della personalità; questa doppia angolazione richiede una “conversione” pedagogica anche sul piano della stessa attività educativa. Non sembra possibile iniziare da contenuti inaccessibili sul
piano cognitivo, in quanto la preclusione agirebbe anche sul piano emotivo e viceversa.
Vale a dire che la pedagogia deve necessariamente riferirsi a queste
condizioni di possibilità dell’apprendimento ed in esse porsi come elemento in grado di “servire” quale strumento di curiosità e “presa di coscienza”3. Labriola si pone il problema di come possa svilupparsi un
processo di apprendimento che diventi formazione della personalità: in
questo senso entrano nelle sue considerazioni le dimensioni di “interesse” emotivo presenti in ogni discente.
Or come la cultura consiste in una certa forma peculiare delle interiori attività, l’educatore non può a meno di rivolger seriamente l’attenzione sua al procedimento che coteste attività seguono nel normale sviluppo loro, se ei vuol trovare il naturale addentellato della tecnica didattica. Anzi nel sapere mettere in
conveniente rapporto l’azione educativa con le forme proprie e naturali dello
svolgimento interiore, bisogna che ei faccia consistere l’insieme dei pratici risguardi da cui piglia origine il concetto del metodo pedagogico. Inteso così, esInteressante la considerazione di A. Gramsci: «Passaggio dal sapere al comprendere, al sentire, e viceversa, dal sentire, al comprendere, al sapere. L’elemento
popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma
non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filiteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non
che il pedante non possa esser appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore
dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale […] cioè senza sentire le passioni elementari […]» (A.
GRAMSCI, Antologia degli scritti, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 341). Non è un caso
che Gramsci nella pagina successiva spieghi la posizione teoretica di Antonio Labriola.
3
208
Federico Ruggiero
so non ha niente di comune coi procedimenti che piglian il nome identico nella
logica e nella teorica della conoscenza, perché nel caso della didattica non indica i momenti della induzione e della deduzione per rispetto alla ricerca ed alla
dimostrazione della verità, ma sì bene le forme e i gradi dell’azione educativa,
in quanto coordinati alle forme ed ai gradi dello sviluppo interiore, in ragion
del quale la materia del conoscere si converte in vivo elemento di attività spirituale4.
Questa conversione nasce dall’interno di uno “sviluppo interiore”
dove nulla si ha di idealistico, ma anzi dove si pone necessariamente
l’accento sul fatto che lo sviluppo degli interessi cognitivi non può anticipare o prescindere le condizioni storiche di maturità e di sviluppo psichico5.
Labriola si pone di fronte alla pedagogia da una prospettiva diversa
rispetto all’angolazione puramente filosofica, e ciò trova la sua giustificazione necessaria nel fatto che istruire non basta per riuscire a fare intendere, necessita appunto quell’azione che permette di trasmettere la
curiosità in chi ancora non ha raggiunto la padronanza specifica degli strumenti ragionativi e dei metodi conoscitivi atti a contenuti nuovi; in tal modo
l’elemento di contenuto della materia (la storia) non più astrattamente
ed estrinsecamente «identico nella logica e nella teorica della conoscenza» si trasforma in elemento reale nella coscienza del fanciullo e in essa
fa germinare curiosità, stupore e spinta alla scoperta, «si converte in vivo
elemento di attività spirituale» e prende corpo nei diversi significati a cui
da origine e da cui si origina nuovamente. Una educazione “al negativo”
rispetto alla sua forma aprioristica proprio perché si produce nell’esporre “filosoficamente” un’identità stabilita solo dall’interesse di chi apprende;
una pedagogia che rifiuta didatticamente e dialetticamente di stabilire
LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 73. Si consideri quanto detto nella nota n. 1.
5 Storiche perché la psiche ha una storia che coincide variabilmente alle circostanze con cui ha intrattenuto possibilità formative; la psiche si trasforma e cambia
secondo parametri che non rispondono univocamente alle condizioni date dall’età e
dagli stimoli; buona parte dello sviluppo psichico dipende dalla nostra capacità di
innestare possibilità ed opportunità pedagogiche. Tali opportunità dipendono dalla
presa in considerazione delle condizioni di sviluppo, dalle circostanze, dalla storia e
dalle esperienze precedenti, ecc.
4
Apprendimento spontaneo e interesse razionale
209
un metodo prestabilito per ciò che concerne i significati e i fatti delle cose da esporre.
L’importante è sottolineare l’importanza presente nell’innesto dell’elemento autonomo di ricerca:
Escluso il significato estrinseco, che si suol dare al metodo didattico da quelli
che ne discorrono con poca competenza scientifica, conviene ora determinare il
valore intrinseco che s’intende qui d’attribuirgli. E ricordo qui primieramente
che i diversi aspetti dell’attività didattica, per esser tutti destinati a dar forma di
cultura a quelli cui si vuole istruire, devon trovare la norma del loro svolgimento
nello studio degli stati della coscienza che si producono nell’animo dell’educando, per
l’influenza successiva delle materie che a grado a grado gli s’insegnano. In altri termini
[…] col promuovere nella coscienza una certa determinata forma di attività, la tecnica
esteriore dell’insegnamento piglia aspetto di metodo quando sia perfettamente
ordinata a suscitare le forze in cui quella forma di attività ha principio certo e duraturo6.
Il porsi, da parte di Labriola, in una prospettiva non formalistica ed
aprioristica della didattica (e con essa della pedagogia) significa proteggere lo spazio necessario affinché ci sia un innesto spontaneo dell’intelligenza attraverso l’interesse, cioè la promozione «nella coscienza una certa determinata forma di attività» orientata sui contenuti. A questo punto si
pone uno scambio interno tra orientamento degli interessi spontanei e
potenzialità delle materie di studio:
[…] Di tal che il piano didattico, che si deve seguire nell’insegnamento, ha
una doppia stregua; quella cioè della gradazione intrinseca alla natura speciale dei vari
interessi, e quella che è propria della materia, la quale non può essere insegnata in
ordine continuativo, perché si deve avere riguardo al movimento ed al progresso naturale delle inclinazioni conoscitive e simpatetiche […] Dalla descrizione, insomma,
fino al filosofare, dalla chiara notizia di un fatto, fino alla movenza metodica
dello spirito per entro ad un sistema di accadimenti, son due maniere di sviluppo
dell’animo, che pur si compiono per l’azione di una medesima materia conoscitiva, e
in fondo fanno uno nella formazione completa della coscienza. Premesso ciò,
passerò ora ad indicare l’ordine che nell’insegnamento della storia si deve tenere. In questo insegnamento speciale, allo stesso modo che accade in quello di
ogni altra materia di studio che si adoperi come mezzo educativo, non è un co6
LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 73. Corsivi nostri.
210
Federico Ruggiero
minciamento preciso ed assoluto, che possa essere puntualmente assegnato. In
fatti quella che dicesi puntualità del cominciare è qualità esclusivamente logica
delle scienze già bell’e fatte; delle scienze, cioè, in quanto vengon considerate in
sé medesime, come esposizione rigorosa e come trattazione metodica dei concetti, che furono acquistati per mezzo della elaborazione intellettiva delle materie del conoscere. Ma nel campo della didattica non ha luogo cotesta maniera assoluta
di cominciamento; perché alla cultura si dà principalmente secondo i casi, cioè secondoché le speciali condizioni della esperienza e della simpatia dei giovinetti da
educarsi, offrano un diverso addentellato alle dichiarazioni metodiche della istruzione che si faccia con ordine7.
Il Labriola evidenziato da Germana Recchia ci introduce negli “spazi”
pedagogici della Montessori, la quale operava un uso specifico del termine “libertà” equiparandolo quasi a quello di “spontaneità”:
Un cardine fondamentale della Pedagogia scientifica deve essere perciò la
“libertà degli scolari”, tale che permetta lo svolgimento delle manifestazioni
spontanee individuali del bambino. Se una pedagogia dovrà sorgere dallo “studio individuale dello scolaro”, sarà dallo studio inteso in questo modo cioè tratto dalla osservazione di bambini liberi8.
Vygoskijanamente e, soprattutto, non aprioristicamente, il problema
educativo si pone nei termini di una precisa responsabilità:
occorre porsi il problema di come i discenti possano riuscire ad apprendere ancorando i
contenuti nuovi alle loro precedenti esperienze emotive e cognitive. Sia che noi vogliamo fermare la nostra considerazione sul fatto che il bambino, nell’età pre–
scolare, pensa per rappresentazioni generalizzate, sia che poniamo mente al fatto che i suoi interessi emotivi si associano con il senso e con il significato che egli
ripone in una situazione data9, sia che vogliamo fermarci sul fatto che la sfera
Ivi, pp. 83–84. Corsivi nostri.
G. RECCHIA, Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile, in Antonio
Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”
(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 222.
9 L’interesse si colloca tra il cognitivo e l’emotivo e sarebbe coinvolgente riuscire
a riportare tale tema allo sviluppo dei concetti con la complessità di problemi che vi
sono connessi; a questo proposito segnaliamo l’”interesse” come motivo di sviluppo, di apprendimento, di relazione. La storia delle funzioni psichiche è anche per
7
8
Apprendimento spontaneo e interesse razionale
211
della comunicazione del bambino si allarga, in ogni caso, mi sembra, ne scaturirà una sola conclusione: il bambino, durante l’età pre–scolare, è, per le sue stesse caratteristiche psichiche, in grado di iniziare un nuovo ciclo di apprendimento
che prima di tale età gli sarebbe stato inaccessibile. Egli è bensì capace di uniformare questo apprendimento ad un programma stabilito; al tempo stesso però, in conformità con la sua natura, con i suoi interessi, con il livello del suo
pensiero, è in grado di assimilare il programma stesso soltanto nella misura in cui
questo diviene anche il suo proprio programma10.
L’esigenza pedagogica di un “programma” definito si riscontra specularmente con l’esigenza sempre pedagogica di fare sì che il “programma” sia per il bambino anche “il suo proprio programma”; esigenza che
viene espressa chiaramente ed esplicitamente anche nello scritto sull’apprendimento nell’età scolare. Quanto Labriola dichiarava che la giusta
angolazione per la messa a fuoco pedagogica era la prospettiva di meto-
certi aspetti storia degli interessi psichici e della nostra responsabilità nel riuscire a
farli scaturire orientandoli. Ma il discorso merita un approfondimento a parte.
10 L.S. VYGOTSKIJ, Sul problema dell’insegnamento e dello sviluppo mentale nell’età scolare; in ID., Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Firenze, Giunti–
Barbera, 1975, pp. 288–289. Vygotskij lo sa bene che il punto è problematico e nonostante dichiari che spesso l’insegnamento delle materie innesti veri e propri processi
fino a quel momento non presenti e anticipi l’uso consapevole e volontario di determinate funzioni (grammatica, scrittura, aritmetica, esprimono bene questa dinamica), affronta con rispetto la dimensione del presente attraverso la presa in carico da
parte dello sviluppo prossimo del momento caratterizzato dai periodi sensitivi; «Ci
resta soltanto da chiarire definitivamente la natura di questo periodo sensitivo. Si
comprende chiaramente sin dall’inizio che nel periodo sensitivo condizioni determinate, in particolare un certo tipo di apprendimento, possono soltanto allora mostrare la loro influenza sullo sviluppo, quando i cicli corrispondenti di sviluppo non
sono ancora maturi. Appena questi sono compiuti, allora queste condizioni possono
dimostrarsi neutre. se lo sviluppo ha già detto la sua ultima parola in un dato campo, allora è già terminato il periodo sensibile in relazione a date condizioni. L’incompiutezza di determinati processi di sviluppo è la condizione necessaria affinché
un dato periodo possa mostrarsi sensibile in relazione a precise richieste». Per nulla
debole è il richiamo alle “condizioni” e la interazione necessaria dell’apprendimento
da proporre con il fatto che può terminare «il periodo sensibile in relazione a date
condizioni»; se ciò potrebbe sembrare un legame troppo forte di dipendenza allo
sviluppo da parte dell’apprendimento, in realtà è sinonimo di una presa di coscienza non superficiale del problema dell’interazione stessa.
212
Federico Ruggiero
do per cui «le speciali condizioni della esperienza e della simpatia dei giovinetti da educarsi, offrano un diverso addentellato alle dichiarazioni metodiche della istruzione», poneva l’accento proprio sulla necessità di fare
incontrare l’esigenza di scoprire dei ragazzi con la progettualità didattica
dei docenti o degli educatori11.
Vygotskij sembra sapere bene che il rapporto educativo si colloca
sempre in una zona di confine, e attraversa tale soglia in modo funzionale
e necessario al processo evolutivo del bambino nella sua interazione con
la possibilità di apprendere; l’educazione è uno stare dentro agli interessi impellenti e uno stare fuori ad essi allo stesso modo di quanto l’istruzione, nel rispetto e nel riconoscimento della “zona di sviluppo prossimo” deve sapere essere dentro alle potenzialità che si presentano “di
già” ma “non ancora” si sono rese esplicite, senza giocare troppo in anticipo né troppo in posticipo rispetto ad esse12. «Ciò significa che il fatto
Diremo esigenza pedagogica di “permettere” l’incontro tra livello emotivo di
partecipazione e livello cognitivo di riflessione intellettuale; similmente oggi si parla
di elaborazione dinamico–comportamentale.
12 Il concetto di “istruzione” è essenziale alla comprensione dialettica della zona
di sviluppo prossimale; infatti essa si colloca dove l’attività istruttiva riesce ad essere legata alla fase evolutiva in cui lo sviluppo e la maturazione psichica procedono
alla richiesta di un elemento culturale che ne esprima le esigenze interne di espletazione; “istruire” in questo senso significa permettere la crescita di potenzialità che
aspettano di essere stimolate attraverso la cultura, quindi alimentare ed irrobustire
le possibilità già presenti perché acquisite attraverso precedenti rapporti tra natura e
cultura del processo di crescita. «Così l’elemento centrale per tutta la psicologia
dell’apprendimento è la possibilità di elevarsi attraverso la collaborazione ad un livello intellettivo superiore, la possibilità di passare da ciò che il bambino sa fare a
ciò che non sa fare, mediante l’imitazione. Su ciò si fonda tutto il significato dell’apprendimento per lo sviluppo e questo è il contenuto vero e proprio del concetto di
area di sviluppo prossimo. L’imitazione, se la si intende in senso lato, è la forma
principale sotto cui si esercita l’influenza dell’apprendimento sullo sviluppo […] In
effetti a scuola il bambino apprende non ciò che sa fare indipendentemente, ma ciò
che non sa ancora fare, ciò che gli risulta accessibile in collaborazione con l’insegnante e sotto la sua guida. Ciò che è fondamentale nell’apprendimento è proprio il
fatto che il bambino apprende cose nuove. Perciò l’area di sviluppo prossimo, che
definisce questo campo di passaggio accessibile al bambino, è proprio l’elemento
più significativo in relazione all’apprendimento e allo sviluppo. Le ricerche mostrano in modo incontestabile che ciò che è presente nell’area di sviluppo prossimo in
un determinato stadio di età si realizza e si trasforma nel livello di sviluppo presen11
Apprendimento spontaneo e interesse razionale
213
che il concetto scientifico del bambino abbia preso questo cammino non
può essere indifferente per la parte rimanente del cammino che i concetti
quotidiani devono ancora compiere»13, poiché in essi ha alimentato nuove prospettive di indagine possibile: «[…] ma il movimento di questo
concetto è come se si spostasse, germinando dentro, facendosi strada verso
l’oggetto, legandosi all’esperienza che il bambino ha sotto questo aspetto, assorbendolo in sé»14. La nuova dimensione prospettica in cui viene focalizzato dal discente il concetto quotidiano risponde ad un angolazione
che conduce ad orizzonti più estesi rispetto a prima, ma ciò avviene solo
sulla base di un innesto indispensabile con il precedente modo di sentire
e di pensare i contenuti15.
te nel secondo stadio. In altri termini ciò che il bambino sa fare oggi in collaborazione, saprà fare domani indipendentemente. Perciò è verosimile l’idea che l’apprendimento e lo sviluppo a scuola siano in rapporto l’uno con l’altro, come lo sono
l’area di sviluppo prossimo e il livello di sviluppo attuale. È efficace soltanto l’apprendimento a scuola che va avanti allo sviluppo e trascina lo sviluppo dietro di sé.
Ma è possibile insegnare al bambino solo ciò che già capace di apprendere. L’apprendimento è possibile là dove vi è la possibilità d’imitazione. L’insegnamento si
deve orientare dunque sui cicli già percorsi di sviluppo, sulla soglia inferiore di apprendimento; tuttavia esso non si basa soltanto sulle funzioni già maturate, quanto
su quelle in maturazione. Esso parte sempre da ciò che il bambino non ha ancora maturato. La possibilità di apprendimento è determinata (in modo immediato) dalla zona
di sviluppo prossimo […] Le ricerche ricordate sopra hanno dimostrato che qualsiasi materia nell’apprendimento scolastico si basa sempre su ciò che non è ancora maturo» (VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, cit., pp. 272–273). In tale direzione credo possano essere interpretate le affermazioni di Maria Serena Veggetti, a commento dello
scritto in questione: «La teoria dell’autore circa i limiti ottimali per l’apprendimento
va intesa nel senso che l’apprendimento effettuato in un periodo determinato ci dà
un risultato migliore ai fini di un adeguato sviluppo intellettuale. Un insegnamento
troppo precoce può riflettersi in modo sfavorevole sullo sviluppo intellettuale del
bambino, allo stesso modo in cui un inizio troppo ritardato, e cioè una prolungata
assenza di esso, ha un’azione inibitrice sullo sviluppo intellettuale del bambino»
(M.S. VEGGETTI, Storia delle funzioni psichiche superiori e altri scritti, Firenze, Giunti–
Barbera, 1974, p. 285, nota 3). Si vedano anche le pp. 262–287 di Pensiero e linguaggio.
13 VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, cit., p. 287.
14 Ivi, p. 286; si vedano per intero le pp. 287–289. Corsivi nostri.
15 Labriola ha assunto questa rigorosa impostazione scientifica attraverso la
“conversione” della dialettica nel metodo genetico: «La parola che a mio avviso, e-
214
Federico Ruggiero
Il “legame” che occorre stabilire con la precedente esperienza del
bambino indica quindi un avvicinamento pedagogico che si forma nel
rapporto tra emozioni e apprendimento instaurato dall’interesse, che «legandosi all’esperienza che il bambino ha sotto questo aspetto» permette al concetto scientifico di innalzare su un piano diverso il concetto spontaneo
volto verso lo stesso argomento16; Labriola ci parla di un arte educativa
che “sostituisca” ciò che si ingenera naturalmente nell’animo, ma anche di
un’istruzione che “prepara” l’animo “a ricevere” successivi concetti
scientifici. Un’istruzione che coincide con lo sviluppo della psiche nella
misura in cui in esso riesce ad intravedere elementi che predispongono
la ricezione di possibili contenuti da apprendere:
Ad agevolare il trapasso occorrono alcune generalità di cultura, che devon
fare come da nuovo intuito delle cose interiori ed esteriori, che l’arte educativa
sostituisca a quello il quale s’ingenera naturalmente nell’animo, per influenza
diretta ed immediata delle cose circostanti. Coteste generalità17 son tali, che
mentre alcune preparan l’animo a ricevere ogni sorta d’insegnamento, le altre non
fanno che agevolare l’intelligenza di alcune materie soltanto. E ciò dipende dalla natura stessa della dichiarazione, la quale non può fare di ogni obbietto emsprime tutto in breve […] quel processo genetico, il quale consiste nell’andare dalle
condizioni ai condizionati, dagli elementi della formazione alla cosa formata».
16 «Ma solo una cosa ci interessa qui: dimostrare che il sistema e la presa di coscienza ad esso connessa entrano nella sfera dei concetti infantili non da fuori, soppiantando il modo proprio del bambino di formare e usare i concetti, ma che essi stessi
comportano già l’esistenza di concetti infantili sufficientemente ricchi e sviluppati, senza i
quali il bambino non possiede ciò che deve essere l’oggetto della sua presa di coscienza e della sua sistematizzazione, e che il sistema iniziale che compare nella sfera dei
concetti scientifici è trasferito strutturalmente nel campo dei concetti quotidiani, trasformandoli, modificando la loro natura interna, come se venisse dall’alto».
17 Il concetto di “generalità” come vedremo è approfondito da Vygotskij; basti segnalare un analogia tra Labriola e Vygotskij sul concetto di “generalità” come estensione dei contenuti concettuali: «Se la presa di coscienza significa la generalizzazione, allora è del tutto chiaro che la generalizzazione a sua volta non significa
nient’altro che la formazione di un concetto superiore (Oberbegriffübergeordneter), nel
cui sistema di generalizzazione è incluso il concetto dato come concetto particolare».
L’intera questione ci spinge a considerare gli elementi herbartiani presenti in Labriola direttamente ed in Vygotskij non esplicitamente; ad essi probabilmente occorre aggiungere uno studio della dialettica nelle sue accezioni più o meno hegeliane/o
marxiane.
Apprendimento spontaneo e interesse razionale
215
pirico una materia capace d’ingenerar nell’animo qualunque maniera di conoscenza riflessa18.
Ovviamente necessita un orientamento dove si stabilisce la messa a
fuoco degli interessi spontanei sulla base degli obiettivi didattico–pedagogici che si vogliono raggiungere19. Il termine “ingenerare” per Antonio Labriola è un termine che ha un significato scientificamente non speculativo e filosoficamente antiidealistico; potremmo dire che “ingenerare” assume l’importanza di una responsabilità pedagogica e psicologica
simili al significato di “produrre geneticamente”20.
Vygotskijanamente Labriola è consapevole di come
tra i processi dell’apprendimento e dello sviluppo non vi è un antagonismo, ma
vi sono dei rapporti di carattere infinitivamente più complesso e più positivo.
Ci dovremmo attendere che l’apprendimento debba rivelarsi, nel corso dell’indagine speciale, come una delle fonti fondamentali dello sviluppo dei concetti
infantili e la forza più potente che dirige questo processo. Per avanzare questa
ipotesi, ci fondiamo sul fatto universalmente noto che in età scolare l’istruzione è
Labriola, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 84. Corsivi nostri.
Didattici nel senso curricolare del termine, pedagogici nel senso per cui “pedagogia” è l’intero studio degli elementi di crescita del discente: cultura, emozioni,
interessi espliciti, attitudini in trasformazione, atteggiamenti, capacita di elaborare
le informazioni scolastiche, comportamenti di fronte allo studio, persistenza negli
impegni, ecc. Anche Labriola cerca una continuità di metodo e di merito tra elementi dello sviluppo ed elementi dell’apprendimento: «D’altra parte, poi, come la possibilità dell’educazione suppone la conoscenza della natura umana nel suo normale
svolgimento, procede da ciò che la psicologia debba indicare quali sieno nella materia
subiecta le forme e i modi d’essere su cui l’azione educativa può spiegarsi con sicurezza. Determinato il fine e dichiarata la possibilità dell’educazione, il concetto di essa assume contorno preciso, e partizione naturale. Il contorno e la partizione ricadono entro
certi limiti di età, che non si può cambiare a capriccio; e ciò riduce nei giusti confini
l’azione educativa, che in conseguenza piglia natura di compito, e non di attività
che si continui indefinitivamente».
20 Il discorso rimanda più o meno direttamente a tematiche filosofiche che investono la trasformazione del pensiero idealistico dopo Hegel. Basti riflettere sul rapporto
tra coscienza della sensibilità e sensazioni che vengono recepite dalla coscienza (dalla
Critica della ragion pura in poi), all’uso che ne fa un certo Hegel, alla critica herbartiana
ad Hegel, alle modalità di utilizzo svolte da Labriola (attraverso fonti herbartiane) e
alle modalità di utilizzo svolte da Vygotskij (su fonti marxiane e marxiste).
18
19
216
Federico Ruggiero
un elemento decisivo, che determina tutto il destino dello sviluppo mentale del
bambino, compreso lo sviluppo dei suoi concetti, e ci basiamo sulla considerazione che i concetti scientifici di tipo superiore non possono nascere nella mente del
bambino dall’inizio, se non da tipi di generalizzazioni più elementari, e non possono essere trasportati nella coscienza del bambino dall’esterno21.
Le rappresentazioni generali del bambino in età prescolare,
che corrispondono a ciò che nei concetti sperimentali abbiamo chiamato complessi, ha mostrato che le rappresentazioni generali come stadio superiore nello
sviluppo e nel significato delle parole risultano non da singole rappresentazioni
generalizzate, ma da percezioni generalizzate, cioè da generalizzazioni dominanti ad uno stadio precedente […] la trasformazione e non l’annullamento dello
stadio precedente, attraverso la generalizzazione degli oggetti già generalizzati
nel sistema precedente e non attraverso una nuova generalizzazione degli oggetti singoli […] il passaggio dai preconcetti […] ai concetti veri […] si effettua
attraverso la generalizzazione di oggetti generalizzati precedentemente. […] Non si
tratta di un movimento successivo nella stessa direzione, ne del suo compimento, ma dell’inizio di una nuova direzione, del passaggio ad un piano nuovo e
superiore del pensiero […] Ma il nuovo concetto, la nuova generalizzazione delle
proprietà […] compare solo sulla base di quella precedente. […] è nella possibilità
contenuta nella generalizzazione di un movimento inverso dallo stadio superiore a quello inferiore: l’operazione inferiore è considerata già come un caso particolare di quella superiore […]22.
Se Labriola ci indicava una “doppia stregua” per cui pedagogicamente occorre predisporsi ad accogliere il rapporto tra elementi emotivi di
partecipazione e potenzialità euristiche della materia insegnata, Vygotskij, sotto la stessa prospettiva, pone l’accento sul fatto che «la nuova generalizzazione delle proprietà […] compare solo sulla base di quella precedente.
[…] è nella possibilità contenuta nella generalizzazione di un movimento
inverso dallo stadio superiore a quello inferiore». La generalizzazione
“precedente” permette l’aspetto partecipativo dell’interesse coinvolgendo l’alunno sul piano emotivo, mentre il “movimento inverso dallo stadio superiore a quello inferiore” è dato dall’elemento riflessivo ed intellettuale che orienta la partecipazione emotiva.
21
22
VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, cit., pp. 215–217. Corsivi nostri.
Ivi, p. 305. Si vedano anche le pp. 265, 269, 289–293. Corsivi nostri.
Antonio Labriola, a cuore aperto∗
Roberto Sandrucci
La pubblicazione di un catalogo è sempre un evento felice. Vincolati,
come sono, agli oggetti della catalogazione, ad un mondo materiale fatto
di “cose” (altrove esposte e altrimenti sperimentabili al di là della pagina
stampata) ― i cataloghi danno maggiori garanzie di opportunità rispetto ad altri libri di scienza che talvolta si vedono pubblicati: paghi di sé in
relazione a se stessi, più maliziosi, gonfi eppure disabitati.
Marginalità dell’editoria filosofica e pedagogica, i cataloghi, poi, che
documentano queste discipline presentano tratti di umanità preziosa:
nello svestirsi, innanzitutto; nel ritornare cioè all’osso o all’anima di questioni e di ragionamenti, di fatti e di autori che la teoria e l’opinione corrente hanno fissato in fogge che si vorrebbero definitive, che sono diventate prigioni.
Nicola Siciliani de Cumis, ideatore e curatore sia della Mostra che del
Catalogo Antonio Labriola e la sua Università, e i suoi numerosi collaboratori (di varia formazione, di varia età, impegnati nel progetto a vario titolo), offrono, per l’appunto, la possibilità di riaprire il dibattito, assopito da tempo, sulla figura e l’opera di Labriola: sull’attualità di alcune sue
disamine sulla mala–scuola e sulla mala–università; sul mestiere o la
missione dell’insegnante; sull’etica quale spazio di azione in cui cadono
le barriere formali erette tra le discipline: Labriola filosofo, pedagogista,
storico, insegnante, politico… Labriola uno, pensatore vero («Io credo fermamente, ― scriveva nel 1887 ― che, nel giro degli studi universitarii,
la filosofia abbia ad essere, non un complemento obbligatorio della storia e
della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica, o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori»).
∗
In corso di stampa su «Il Contributo. Rivista del Centro per la Filosofia Italiana».
218
Roberto Sandrucci
Antonio Labriola e la sua Università è un catalogo voluminoso: ricco di
contributi, di punti di vista, di spunti di riflessione, di indirizzi di ricerca.
Basta scorrere l’indice per riceverne l’impressione di opera generosa e
complessa, capace di tenere insieme l’ortodosso, l’eterodosso e persino
l’audace; capace di far convivere, accanto allo studioso di prim’ordine,
l’apprendista o l’allievo.
Siciliani, d’altronde, è quello stesso infaticabile professore universitario, alla «Sapienza» di Roma dal 1982, che ha fatto della sua professione
l’occasione per tanti studenti di fare ricerca di prima mano; da sempre impegnato nella promozione dei giovani intelletti, come testimoniano anche i volumi Laboratorio Labriola (La Nuova Italia, 1994), L’università, la
didattica, la ricerca. Primi studi in onore di Maria Corda Costa (Salvatore
Sciascia, 2001), o la collana Diritto di stampa per l’editore Aracne.
Poco fumo e molta carne già a partire dalle Presentazioni e dagli Ingressi ― i luoghi dell’avvio ― con la presenza, tra gli altri, del preside
della Facoltà di Filosofia Olivetti, di Volpicelli e dello stesso Siciliani de
Cumis; dove si assaggia, per così dire, e si comincia a masticare: il “morfologico” come concetto attraverso il quale comprendere “intuitivamente” l’assunto teorico–pratico dei Saggi sul materialismo storico, e grazie al
quale confrontarsi con tutto Labriola; Labriola nelle grandi scuole della
facoltà di lettere e filosofia romane (dove è presente, dove assente, e perché); Labriola e Credaro («Carissimo Credaro, di quel lavoro su “L’insegnamento della storia” (1876) non ho che l’unica copia che ti mando in
prestito. A quel 1° studio […] non tenne dietro nessun altro perché non
trovai pubblico. Poi dopo qualche anno quello studio divenne ricercatissimo»; 1902)… Con il seguito della Parte prima dedicata alle giornate
del “Seminario di approfondimento in occasione delle Celebrazioni in
Parlamento per i cento anni dalla morte di Antonio Labriola” (Roma, Facoltà di Filosofia, Villa Mirafiori, 2 e 3 febbraio 2004), dove sono ospitate
le relazioni e gli interventi di Tessitore, Cotroneo, Giarrizzo, Sasso, Bellerate, Boncori, Cives, Fattori, Kajon, Miccolis, Spadafora, Veggetti, solo
per citarne alcuni.
Biografia e opera, uomo reale e filosofo, nei loro intrecci naturali e indissolubili, costituiscono il filo conduttore (e se si vuole: la tesi comune) dei
saggi che formano la Parte seconda del Catalogo. Con le pagine di Spinelli
Labriola a tutto tondo, a cuore aperto
219
sul socratismo (“Tra Labriola, Calogero e Giannantoni”), ad esempio; o
con quelle di Mastroianni (“Antonio Labriola fra Croce e Gentile”), o
dello stesso Siciliani (“Il principio ‘dialogico’ in Antonio Labriola”); con
Orsomarso (“L’educazione come ‘accomodazione sociale’”), de Liguori
(“Antonio Labriola e Arturo Graf. Principio e fine di un sodalizio di vita
e di pensiero”), Pangrazi (“La storiografia della Rivoluzione francese
nella formazione di Antonio Labriola: recensione della tesi di laurea di
Roberto Donini”). Dentro e fuori il solco della tradizione degli studi labrioliani, si affrontano i temi del materialismo storico, dello herbartismo,
della rivisitazione fascista di una parte dell’opera di Labriola (Mussolini
lo cita a più riprese dal 1908 al ‘22), del Positivismo francese, della Montessori, delle intuizioni sperimentali come appaiono in alcuni passaggi degli Scritti pedagogici (così Labriola: «Il maestro deve essere […] preparato
per fare imparare, in guisa che la didattica diventi tecnica. Egli deve far
entrare la nozione in tutti i gradi dello spirito, e perciò studiare questa
tecnica, lasciando da parte le astruserie»)…
Tanta prolificità, che è la caratteristica propria delle indagini storiografica e filologica quando condotte con passione, interrogando cioè gli
autori, non accontentandosi di soltanto chiosare, (e questa intenzione si
rinviene per tutto il Catalogo) non si esaurisce nella Parte terza: “Percorsi: la Mostra, le Mostre su Antonio Labriola e la sua Università”, dove il
Catalogo rende conto della Mostra ospitata (per il periodo 8 marzo – 25
aprile 2005) nelle tre sedi romane dell’Archivio Centrale dello Stato
all’Eur, dell’Archivio di Stato di Roma di corso Rinascimento e della biblioteca di Villa Mirafiori (Facoltà di Filosofia). Si tratta di 80 pagine a
colori di buona resa grafica e di una certa suggestione, ma soprattutto di
grande ricchezza tematica: dagli anarchici alle donne («A Milano ― scriveva ad Engels ― non c’è che un uomo, che viceversa è una donna, la
Kuliscioff»), dal carnevale di Roma al socialismo; i tribunali, le aule
dell’ateneo romano, i caffè, la strada; i colleghi professori, i ministri, i
maestri, gli operai, gli studenti, la figlia Teresa… Le carte (manoscritte e
non; diverse inedite), i testi, le fotografie, le illustrazioni: tutto a riprova
di una università, quella nella testa partoriente di Labriola (e quale nella
testa partoriente di Siciliani), traboccante, vivente ben oltre le mura della
«Sapienza», mai dimentica del mondo, in grado anzi di farsi essa stessa
mondo.
220
Roberto Sandrucci
Non a caso l’ultima sezione del Catalogo, Momenti e moventi, si apre
con lo scritto di Siciliani, Rileggendo “L’università e la libertà della scienza”
di Antonio Labriola, dove dell’università da essere si delinea il profilo e si
affermano i diritti e i doveri. «Signori Studenti,» ― esordiva Labriola nel
discorso di inaugurazione dell’anno accademico 1896–97 — «noi siamo
qui per rendere un servigio a voi […]. Nel rendere un servigio a voi, noi,
per il tramite delle persone vostre, lo prestiamo alla società in generale».
Dove non c’è retorica ma tanta santa politica ― risolta o trasfigurata
come «grande opera pedagogica»: c’è il senso della prospettiva e quel
richiamo alla prassi che sono anche il senso profondo e il richiamo sentito di questo Catalogo.
In questa Parte, per la cura di Sanzo, Broccoli, Ruggiero e altri, compaiono i concorsi universitari (uno per tutti, quello che vede Gentile
candidato alla libera docenza di filosofia teoretica presso l’università di
Napoli nell’anno 1902), e ancora epistole e verbali e relazioni (come
quelle di Labriola ispettore didattico nelle scuole normali), e finanche
una tesi di laurea discussa dallo studente tale Luigi Basso con il professor
Labriola (anno 1886)…
Labriola, dunque, a tutto tondo, a cuore aperto; non idolo, non icona,
mai nella figura del mezzo busto, sempre interloquente, sempre al centro della polemica, capace di accendere gli animi e le menti: come accese
quella di Croce, parlandogli di Marx; e come può continuare ad accendere, anche da un secolo all’altro ― purché letto e studiato.
«All’università oggi grande dimostrazione di studenti: hanno fischiato un professore, Antonio Labriola, che ieri spingeva gli operai ad insorgere. Molti e molti però lo hanno applaudito», così Pirandello in una lettera del 1889.
Le attente analisi dell’Ispettore Labriola
Antonio Santoni Rugiu
Leggendo il volume su Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni
dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), curato da Nicola Siciliani de
Cumis, mi sono venute in mente alcune spicciole considerazioni. Prima
di tutto che proprio Labriola autore pedagogico (sia pure sui generis)
conferma una mia vecchia convinzione per cui i veri pedagogisti italiani
dell’Ottocento non furono ― salvo forse Lambruschini e pochissimi altri― né educatori di professione né teorici o storici dei problemi educativi, bensì cultori di altro, come Francesco De Sanctis, Pasquale Villari e
lo stesso Labriola e non solo, per non parlare già a fine secolo del ben
più noto caso di Giovanni Gentile, come si sa tutt’altro che laudatore del
“pedagogismo” dei pedagogisti di professione. Appunto perché nella
formazione umana ci sta di tutto e ogni elemento di questo pasticciaccio
può essere visto da angolature diverse e talvolta non assemblabili, i problemi pedagogici sono inquadrabili solo a posteriori, come problemi
dell’essere stato e non del dover essere; sono insomma un punto di arrivo, non un traguardo né un percorso tracciato prima di cominciare; se
volete, una deriva finale, che prima di essere tale resta priva di proprie
chiare connotazioni e ragionevoli prevedibilità che diano consistenza al
profilo del pedagogista dotato di un profilo a sé stante. Ma questo è un
discorso troppo grosso per affrontarsi così en passant.
Di Antonio Labriola nel merito di cui sopra, potrei ― per mio difetto
― aggiungere ben poco di fondato e di ponzato. Non posso però non rilevare alcune caratteristiche del volume (anzi permettetemi di dire del
volumone data la sua giustificata mole) una caratteristica comune ad altre opere di Siciliani de Cumis: il suo contenuto non risulta ordinato
progressivamente secondo la consueta progressività tematica, bensì
scrambled, apparentemente scoordinato, come pezzi di un puzzle, che il
lettore è indotto a ricomporre per ricavarne una più organica visione
d’insieme, ricavandone così una lettura più partecipata. Già questa è
222
Antonio Santoni Rugiu
un’ottima procedura “pedagogica”, invogliando una ricostruzione anche
in base alle proprie rappresentazioni, migliorandone così l’acquisizione.
Ricostruzione che non si arresta agli scritti e ad aspetti della figura e
dell’attività di Labriola ma questi sono intrecciati (sia pure sempre in
modo scrambled) con brani di storia dell’antica università «La Sapienza»
dove Labriola prevalentemente insegnò, la quale deve i suoi lontani natali all’alba del XIV sec. nientepopodimeno che a papa Bonifacio VIII dei
principi Caetani.
Mi hanno anche colpito i primi due versetti (si chiamano così? mi pare di no, ma non ne ricordo il vero nome) in apertura al volume, presi
dallo stesso Labriola: «E facendo la propria educazione, Socrate era diventato educatore». E Siciliani de Cumis, spiegando la «filosofia del catalogo» parla in proposito del «curioso fenomeno di Socrate che educa
educandosi» e «mediante l’analisi della propria incertezza produce per
sé e per gli altri il criterio della convinzione» (p. 73). Nello stesso senso
Labriola, chiamando gli studenti «cooperatori» e giovandosi dell’incontro e dello scambio con gli operai ai quali spiegava i diritti e i doveri, da
lui apprezzati perché erano «uomini e non professori soltanto» come invece i colleghi universitari «del nostro mondo fittizio di scienza burocratica».
Si può escludere in questo importante passaggio un riecheggiamento
non tanto di Herbart (che aveva fama di “poco democratico” per essersi
come docente umilmente sottomesso alla censura del principe) quanto
di Marx, precisamente del suo “l’uomo fa l’uomo, fa se stesso e l’altro
uomo”? E c’è da star certi che quando Labriola andava a incontrare gli
operai non lo faceva per mettersi a posto la sua coscienza di neo approdato al materialismo storico, ma proprio per arricchire se stesso in quel
bagno di «schietta umanità». Per lui era insegnare apprendendo e viceversa (non si potrebbe forse azzardare in questo un’anticipazione dei
gentiliani, dello “scambio di anime” di Lombardo Radice?).
Ho poi letto con grande piacere l’accostamento di Labriola con Denis
Diderot. Ho sempre lamentato, e questa lamentela mi si rinfresca ogni
volta che mi capita fra le mani un manuale di filosofia per la scuola che
tace quasi del tutto di figure così significative come Diderot, soprattutto
attraverso le quali (basterebbe a testimoniarlo il gigantesco lavoro pedagogico dell’Enciclopédie) si può intendere la rivoluzione copernicana del
L’attenta analisi dell’Ispettore Antonio Labriola
223
Settecento in materia di modelli formativi, più e meglio di quanto possano far intendere figure come d’Holbach, Helvétius e compagnia, perfino ― con tutto il rispetto dovuto al grande pensatore ― le dispense di
pedagogia attribuite al Kant.
Un altro contributo che mi è parso quanto mai idoneo a tratteggiare la
personalità di Antonio Labriola è la documentazione riportata su di lui
ispettore di scuole normali e convitti annessi. Ne conoscevo già il testo,
prima ancora che apparisse nel volume curato da Carmela Covato e Anna Maria Sorge (L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana,
pubblicato nel 1994 dagli archivi di Stato e dal ministero dei Beni Culturali) perché Siciliani de Cumis mi aveva usato la cortesia di farmi conoscere qualcuna di quella relazioni labrioliane alla Minerva. La disillusione che Labriola visse in quelle visite d’ispezione («Sono tre settimane
che giro per ispezionare queste Scuole Normali. È un vero obbrobrio!»,
p. 515) non raffreddò il suo zelo. In parecchie alcune scuole normali visitate, come quella di Ancona, considerata fra le migliori o fra le meno
peggio, saltavano all’occhio vistosi difetti didattici, tanto più gravi in
una scuola che avrebbe dovuto formare i nuovi insegnanti della scuola
del popolo, come le «carte geografiche poche, vecchie mal collocate.
Scarsi gli strumenti per lo studio della fisica, scarsissime e sconnesse le
collezioni per lo studio della storia naturale. Pochi, pochi per davvero i
mezzi per l’insegnamento intuitivo e per le esercitazioni di scuola modello». Altro che modello. Se questa era una delle situazioni migliori sul
piano nazionale, figuriamoci altrove. Altri uomini insigni sono stati ricordati come autori di relazioni ispettive nelle scuole pubbliche, come
Pasquale Villari, Carlo Tenca, Giovanni Marchesini e altri, ma nessuno
come Labriola, malgrado ciò che vedeva l’avesse potuto spingere a concludere sommariamente “È tutto uno schifo” o quasi, non tradisce mai il
suo mandato. Al contrario, Labriola ispettore è sempre puntuale e scrupolosissimo, a volte quasi minuzioso nel riferire tutti i dettagli meglio e
più di un burocrate malgrado tutto, nel dialettizzare per ritrovare qualcosa di positivo o almeno promettente un miglioramento.
Anche di fronte al più vistoso «obbrobrio» Labriola continuava imperterrito a notare meticolosamente il poco bianco e il molto nero, il raro
buono e il più comune cattivo osservabili in ogni aspetto, anche in aspetti che molti altri al suo posto avrebbero considerato irrilevanti o comun-
224
Antonio Santoni Rugiu
que non degni di un rapporto a S.E. il ministro della Minerva. Nel volume (pp. 527–528) sono indicate quasi ottanta voci che Labriola aveva
tenuto presenti per i suoi attentissimi rilevamenti ispettivi, persino una
valutazione della qualità della magra «nutrizione delle convittrici» in
rapporto alla retta che pagavano e cui doveva sottrarsi la spesa del vettovagliamento gratuito per le cinque persone di servizio, per l’illuminazione dell’edificio convittuale, per il bucato e per la manutenzione corrente e altre minutaglie. Altrettanta cura per l’idoneità edilizia (quasi
sempre cattiva se non pessima), per la non areazione e l’insalubrità delle
aule e dei dormitori, per la luminosità dei corridoi e delle scale, e via dicendo.
Labriola non trascurava neppure il problema degli svenimenti delle
allieve, causati da non meglio specificate «loro private indisposizioni»
(p. 539), mancamenti non si sa quanto autentici o quanto simulati per
sfuggire a un’interrogazione o a una punizione, sotterfugi mal visti da
Labriola che richiamava sempre alla severità e al rigore necessari in ogni
esperienza formativa. Forse tanta precisione, che qualcuno a torto potrebbe definire pignola, chissà non fosse un’applicazione del fermo convincimento labrioliano che «le idee non cascano mai dal cielo» ma le cui
scaturigini vanno sempre in qualche modo cercate nella realtà, la quale è
composta anche da minuzie apparentemente insignificanti ma che poi,
chissà mai, afferrano le redini del carro della storia. Insomma, bisogna
sempre partire dall’analisi attenta del fenomeno osservabile, piccolo o
grande che sia, costi quel che costi. Ho ripensato a questo leggendo le
lettere, riportate sempre nello stesso volume, che la vedova Rosalia von
Sprenger scriveva alle pubbliche istituzioni per sollecitare una pensione
particolare per decesso avvenuto a causa di un logorìo dell’«organo pedagogico» ovvero delle vie vocali messe a dura prova dal tanto parlare
di una straordinaria dedizione didattica e para–didattica: dovendosi dividere ― specificava la vedova ― negli insegnamenti di Filosofia della
storia, di Pedagogia, di Filosofia e di un’altra Filosofia nei corsi di “magistero” per studenti di Lettere e di Scienze che ambivano a divenire
professori secondari, per complessive 11 ore settimanali, senza tenere
conto poi delle esercitazioni e dei numerosissimi colloqui con gli studenti, delle tesine e delle tesi, nonché e di altri numerosi impegni derivanti
dal suo status e ruolo di professor ordinario inteso nel modo più impe-
L’attenta analisi dell’Ispettore Antonio Labriola
225
gnativo, senza parlare di tutti gli altri doveri extraccademici, compresa
la direzione del Museo pedagogico. La signora von Spenger scriveva
sottolineando che suo marito era sempre stato «diligentissimo nel compiere il suo dovere» di professore (p. 588). Dopo aver letto le sue relazioni ispettive, le si può credere alla lettera. Chissà se poi la pensione
privilegiata le sarà giunta, ma questo è in proposito irrilevante.
Una delle caratteristiche, forse dei meriti, di Labriola è di non aver lasciato labriolisti. Il suo insegnamento, in senso lato, era fatto soprattutto
della viva voce, del comunicare anche e forse soprattutto con la gestualità, con lo sguardo, tutte cose prossemiche inseparabili del fascino della
presenza fisica e anche poco o nulla imitabili. Mirava non tanto a formare giovani che proseguissero il suo discorso, ma piuttosto dotati dell’apertura mentale, del desiderio del nuovo e della fiducia nell’educabilità dell’uomo pensante senza pretendere preventivi atti di fede dottrinaria e/o politica. Una formazione che non lascia tracce evidenti ma
che sottotraccia opera parecchio. Al fascino di una persona che non c’è
più, può sostituirsi il fascino degli scritti che questa persona ha eventualmente lasciato. Ma Labriola non è stato un autore fecondo di volumi,
manuali e roba del genere. Di lui non si può dire che ha scritto più di
quella che ha pensato. Per leggerlo, bisogna cercarlo prevalentemente
nelle raccolte di sue conferenze o comunicazioni occasionali e comunque
asistematiche o nella sua verbalistica, diciamo (fra cui le relazioni ispettive), o nella corrispondenza. Per di più Labriola è difficilmente catalogabile: dire che è stato hegeliano e poi herbartiano e quindi marxista è
senza alcun dubbio vero, ma non basta, perché in questi e in altri casi le
sue acquisizioni passavano sempre attraverso un filtro critico e rielaborativo di marca Labriola. Si aggiunga poi la poliedricità dei suoi interessi. D’altronde non era affatto un animale accademico, né uno di quei baroni che si adoperavano a formarsi una corte fissa di seguaci, magari
plaudente e servizievole. Anzi disprezzava, come la «sana filosofia», le
nuove nidiate di animali accademici. A lui interessavano soprattutto gli
uomini veri, come i lavoratori del braccio, e questi erano più facilmente
fuori che dentro l’università.
Infine una curiosità extravagante cui ― forse a causa di una mia lettura non attentissima ― non ho trovato cenno di risposta nel volume:
Labriola era appassionato di teatro? Io direi di sì. Almeno mi è sempre
226
Antonio Santoni Rugiu
piaciuto pensarlo così, credo non del tutto arbitrariamente: uno che porta in scena se stesso e non per esibizionismo, non per cercare l’applauso
ma per persuadere, per interagire con il pubblico, un uomo che anche
fisicamente è sempre in movimento («omnimoventesi») e che non monologa ma dialoga, non sentenzia ma discute, si rappresenta il male mai
scisso del tutto dal bene (neppure nello “obbrobrio” delle scuole normali
ispezionate) non può, secondo me, non sentire come congeniale la rappresentazione drammatica.
Se il cinema fosse stato ai suoi tempi così popolare come diverrà dopo
di lui, sono convinto che Labriola avrebbe trovato «schietta umanità»
anche nelle sale di cinema muto, con il pianista che strimpellava per sottolineare i momenti di maggiore tensione romantica o drammatica. È
suggestiva la proposta di un film su Labriola che Siciliani de Cumis avanza in una lettera a Garin. Proposta quanto mai stuzzicante e intrigante, sebbene l’epoca del reality show odierna temo sia poco disponibile per
un film impegnato del genere. Mani esperte e creative potrebbero certo
ricavarne un trattamento e una sceneggiatura pregevoli. Lo scoglio sarebbe per il protagonista. Ci vorrebbe un attore del calibro e della versatilità inventiva di Robin Williams, per dire, altrimenti si correrebbe il rischio di ricadere nel cliché del chiarissimo professore ottocentesco. Niente di più inappropriato: Labriola non era un chiarissimo professore qualunque.
Antonio Labriola, in prospettiva∗
Alessandro Sanzo
Dal 26 al 30 settembre 1887 si svolge a Milano il primo Congresso dei
Professori universitari italiani. Il primo e l’ultimo, almeno fino ad oggi.
Promosso dal Consiglio direttivo del periodico bolognese «L’Università», il Congresso si presenta, fin dalla sua preparazione, come un momento importante per la vita accademica e culturale italiana. Nelle intenzioni del Comitato organizzatore, l’adunanza ha lo scopo di dar conto all’opinione pubblica dell’operosità didattica dei docenti universitari
e di promuovere la riforma dell’insegnamento superiore; essa, inoltre,
ha l’ambizione di esprimere l’esigenza di un incontro e di un’unificazione tra i vari rami del sapere, in un clima assolutamente nuovo per
l’Italia.
Per la complessità degli argomenti da affrontare, la dimensione scientifica e la risonanza internazionale, il Congresso si configura, insomma,
come un evento di indubbia rilevanza e di notevole difficoltà. Non deve
sorprendere, pertanto, né che esso susciti una massiccia mobilitazione di
intellettuali, né che la sua preparazione, prima ancora del suo svolgimento, sia decisamente laboriosa. Se a ciò si aggiungono gli esiti poco prevedibili e la “bocciatura” del Ministro dell’Istruzione Michele Coppino ―
che una parte non irrilevante dei partecipanti si rifiuta di eleggere per acclamazione alla presidenza onoraria dell’assise congressuale ― si comprende appieno l’attesa vivissima che precede e accompagna i lavori.
Un’attesa ampiamente giustificata, dal momento che in occasione del
Congresso si compie, con Antonio Labriola in un ruolo da protagonista,
anche un provvisorio bilancio delle condizioni della ricerca scientifica
nel nostro paese e della sua organizzazione nell’Università, nonché una
ricognizione e una verifica del rapporto esistente tra la filosofia, le scienze e i possibili campi di attività professionali. Bilancio, ricognizione e verifica che prendono le mosse dalla proposta labrioliana di conferire «la
laurea in filosofia […] agli studenti di qualunque Facoltà, compresa la
∗
In corso di stampa su «I problemi della pedagogia».
228
Alessandro Sanzo
letteraria, i quali, frequentato che abbiano entro il quadriennio di obbligo certi corsi filosofici da determinare, si espongano a sostenere una tesi
scritta di argomento generale quanto all’obiettivo ed al metodo, ma fondata sempre sopra una determinata cultura speciale».
Avanzata dal filosofo e pedagogista cassinate con una lettera a «La
Tribuna» nel luglio 1887, tale proposta viene variamente discussa da un
nutrito gruppo di professori universitari e di uomini di cultura, prima
sulla stampa, quindi durante i lavori del Congresso. Commentata, criticata, modificata, fatta propria, integrata, respinta (in tutto o in parte) e,
infine, approvata, seppure nella formulazione conciliatoria e compromissoria del Bonghi, la proposta è comunque al centro di un vivace e
stimolante confronto di idee e di posizioni (filosofiche, accademiche, culturali e politiche), al quale prendono parte, solo per fare qualche nome,
studiosi e intellettuali come Alberto Alberti, Andrea Angiulli, Giacomo
Barzellotti, Ruggero Bonghi, Saverio De Dominicis, Pasquale D’Ercole,
Luigi Ferri, Nicola Fornelli, Baldassarre Labanca, Angelo Majorana, Pietro Merlo ed Enrico Morselli. Un dibattito che si rivela teoreticamente e
culturalmente fecondo nella misura in cui non viene inteso, né da Labriola né dai suoi interlocutori (ivi compresi gli insegnanti di liceo, i laureati e i laureandi), come un dialogo tra sordi. È solo a queste condizioni,
infatti, che i suggerimenti, i consigli e le critiche ricevuti da Labriola
possono realmente contribuire ad una più matura rielaborazione e rimessa in discussione della “proposta iniziale” sulle lauree in filosofia e,
insieme, alla formazione delle idee universitarie e delle dottrine politiche e sociali del cassinate. In tal senso, quando nella Relazione al Congresso Labriola affermerà essere le sue proposte il risultato anche dei
suggerimenti e dei consigli fin lì ricevuti ― ed esse, dunque, oltre che
sue, «sono un po’ di tutti gli egregi colleghi» che hanno ritenuto opportuno di intervenire sul tema, privatamente o pubblicamente ― non sarà
affatto per captatio benevolentiae. Prova ne siano, tra le altre cose, il consenso che la sua proposta ― accortamente espressa con la “mozione
Bonghi”, nella quale, al fine di farne passare quanto meno le linee fondamentali, si accantonano i modi e i nodi problematici della sua attuazione ― riceverà, prima dalla Sezione filosofica e letteraria e poi, a
grande maggioranza, dall’Assemblea generale del Congresso.
Antonio Labriola, in prospettiva
229
I termini della questione, per quanto concerne sia il tema delle lauree
in filosofia sia il dibattito che esso suscita, nelle loro molteplici connotazioni e implicazioni (filosofiche, culturali, scientifiche, accademiche e politiche), sono stati egregiamente ricostruiti e analizzati, ormai trent’anni
addietro, da Nicola Siciliani de Cumis nel volume Filosofia e università.
Da Labriola a Vailati 1882–1902 (Urbino, Argalia, 1975); lavoro che ora
viene opportunamente e meritoriamente riproposto al lettore dalla casa
editrice UTET nella collana “Teorie dell’educazione”. L’opera, in effetti,
da tempo non più disponibile in libreria, nonostante gli ormai tre decenni di vita, ha mantenuto integre tanto la rilevanza scientifica quanto la
fecondità delle prospettive di ricerca.
Rispetto alla precedente, questa nuova edizione di Filosofia e università
presenta solo qualche integrazione, modifica e aggiornamento bibliografico. Poche, dunque, le variazioni di forma. Significative, invece, la redazione di un ricco e accurato Indice analitico (per il suo valore didattico e,
soprattutto, per le stimolanti direzioni di indagine che da esso scaturiscono) e l’ampliamento dell’Appendice, con l’aggiunta di alcune significative lettere di Labriola, a testimonianza dell’importanza che il cassinate
attribuisce alle sue iniziative per il Congresso.
Si tratta, in ogni caso, di cambiamenti marginali; il che si spiega ― afferma Siciliani de Cumis nella Premessa alla seconda edizione ― alla luce
della persistente validità e attualità dei motivi che giustificavano la prima edizione dell’opera. Ovvero, di «presentare ― nel quadro di uno
studio sistematico della complessiva formazione intellettuale e politica
di Antonio Labriola ― un’esauriente esposizione delle proposte del cassinate sulle “lauree in filosofia”, e quindi delle ragioni, senz’altro, della
filosofia, nell’ambito dell’intrapreso vivacissimo dibattito sull’Università, nell’Italia del “positivismo trionfante”» (p. VII); di «circoscrivere, attorno al Labriola ed agli altri testimoni delle sue ipotesi filosofiche ed
universitarie, un dinamico campo di interferenze ideologiche, un moto
di molteplici influssi, di fruttuose coincidenze d’opinioni, e d’intrecci,
tra le varie tendenze dominanti nel clima della cultura post– risorgimentale» (p. VII); e, infine, di offrire «una pressoché inedita cronaca della filosofia italiana, nell’arco di un ventennio, dal 1882 al 1902» (p. VIII). Ragioni alle quali sono da aggiungersi, oggi, i «motivi d’occasione» delle
celebrazioni per il centenario della morte di Labriola (1904–2004) e il fat-
230
Alessandro Sanzo
to che il volume, ancor più che trent’anni fa, appare «adatto ad interloquire variamente, nel quadro delle discussioni in corso sull’insegnamento della filosofia e sulla riforma dell’università» (p. XVII).
Nello specifico, l’opera si articola in tre parti. La prima comprende la
lettera di Labriola alla «Tribuna» e una scelta degli interventi di alcuni
tra coloro che, prima di Labriola, hanno affrontato il tema “filosofia e università” (Ardigò, Sergi, Ragnisco e Cremona). Nella seconda parte
vengono invece proposti al lettore otto interventi (di Majorana, Alberti,
Angiulli, Tanzi, Barzellotti, Salvadori, Macry–Correale e De Dominicis)
relativi alla lettera di Labriola e all’adunanza dei professori universitari.
Nella terza parte, infine, vengono raggruppati: a) la Relazione di Labriola
per il Congresso; b) quanto, intorno alla proposta labrioliana sulle “lauree in filosofia”, all’epoca fu dato alle stampe dei verbali relativi ai lavori
della Sezione di filosofia e lettere ed a quelli dell’Assemblea generale; c)
alcuni interventi (di Morselli, Ferri, De Meis, Fornelli e Vailati), successivi al Congresso, che si ricollegano alle proposte labrioliane e ai lavori
congressuali.
Le tre parti, al pari dell’Appendice, sono precedute da puntuali Note
introduttive, nelle quali, oltre che nella corposa Introduzione generale al
volume, Siciliani de Cumis ricostruisce e analizza sia lo specifico e la fortuna della proposta labrioliana sia il dibattito che essa suscita, soffermandosi, ampiamente e giustamente, sulla loro rilevanza culturale, filosofica e accademica. In questo lavoro di ricostruzione e analisi l’autore si
avvale, per una condivisibile opzione di carattere metodologico, ancor
prima che per una necessità (considerato il carattere di pubblicità del dibattito), principalmente di materiali attinti da quotidiani e periodici; una
scelta che richiama alla mente, anzitutto, La scuola italiana dal 1870 ai
giorni nostri della Bertoni Jovine e, soprattutto, la straordinaria lezione
del Garin delle Cronache di filosofia italiana.
La raccolta di testimonianze su Labriola e sulla sua proposta per il
congresso milanese ― ristampate dal Siciliani de Cumis secondo l’ordine cronologico della loro pubblicazione ― si propone di restituire, come
si è detto, «almeno, la fisionomia del dibattito fiorito attorno al promotore della laurea in filosofia, ad opera di una schiera compatta di pensatori
e scienziati» (p. LXXIV).
Antonio Labriola, in prospettiva
231
Ma per quale motivo, verrebbe da chiedersi, la proposta di “liberalizzare” le lauree in filosofia suscita all’epoca tanto interesse? Per quale motivo arriva a riscuotere una così grande attenzione ― prima, durante e
dopo l’adunanza congressuale ― oltre che degli addetti ai lavori, anche
degli osservatori, dei giornalisti e dunque, presumibilmente, di non poca
parte della classe dirigente italiana? Fino al punto che il congresso risulta essere stato, soprattutto, il “Congresso delle lauree in filosofia”. E ciò
nonostante che le altre proposte ― scrive Siciliani de Cumis ― non siano «meno importanti», né siano «scarse o poco significative le altre tesi
in discussione» (p. LIX). A cosa è dovuto, dunque, il fatto che la questione delle lauree in filosofia finisce con l’assorbire «più d’uno degli altri
argomenti del Congresso» (p. LXI)? A cosa è dovuto, in altri termini, il
“successo” di Labriola e della sua proposta?
Esso è dovuto ad una serie di ragioni, ugualmente importanti. Anzitutto ― spiega Garin nella Prefazione all’opera qui recensita ― la proposta labrioliana, in quanto risulta essere il punto d’arrivo di una riflessione «sul rapporto fra le varie discipline e fra le varie Facoltà», coinvolge,
«ad un tempo, i problemi generali della filosofia e i temi specifici
dell’organizzazione dell’insegnamento superiore» (p. IX), ovverosia, «il
problema dell’Università italiana e della sua riforma: che cosa fosse, e
quale dovesse essere» (p. XII).
Dal dibattito suscitato e alimentato da Labriola nel 1887 emergono,
inoltre, come afferma ancora Garin, due «questioni capitali». La prima,
riguardante «il significato e il compito della filosofia nella problematica
moderna, e cioè nei suoi rapporti con le singole scienze» (p. IX); la seconda, concernente non solo la struttura e l’ordinamento dell’Università
italiana ma il nesso fra le discipline filosofiche e le scienze naturali, matematiche e “umane”. Il che significa, di fatto, «mettere in discussione,
attraverso l’ordinamento universitario, tutta una secolare tradizione di
cultura, che in Italia è venuta saldando filosofia e filologia, assegnando a
questa una posizione privilegiata per l’accesso alla filosofia, e predeterminando come unica valida una concezione “retorica” del filosofare»
(pp. IX–X). Il che significa e implica, ancora, una risoluta condanna della
filosofia vista come «scienza sacerdotale» ed una fermissima «volontà di
spezzare, sul piano istituzionale, il vincolo antico degli studi filosofici
con le “lettere”» (p. X). In che misura ciò si leghi con il dialogo intrapreso
232
Alessandro Sanzo
da Labriola con la filosofia “scientifica”, “positiva” (non positivista), è di
per sé evidente.
Non deve sfuggire, infine, esorta Garin, il «carattere fondamentale, da
un punto di vista teorico», della questione affrontata da Labriola: quello
che il filosofo cassinate imposta, infatti, è il «problema stesso della filosofia […] e del suo rapporto con le scienze singole» (p. X). Al tempo stesso,
è la questione dell’università che egli affronta, della sua funzione nella
“moderna” società, del suo valore e dei metodi di insegnamento. Non è
certo un caso, da questo punto di vista, che i due problemi, quello teorico e quello pratico–organizzativo, agli occhi di Labriola si colleghino indissolubilmente.
Sul significato e sulla rilevanza della proposta labrioliana, nelle sue
notevoli implicazioni, immediatamente accademiche, certo, ma evidentemente e organicamente filosofiche, culturali e politiche, e dunque educative, si sofferma anche Siciliani de Cumis nell’Introduzione a Filosofia e
università.
La proposta di una laurea in filosofia conseguibile, a determinate
condizioni, da tutti gli studenti universitari ― egli afferma ― comporta,
di necessità, «una filosofia aperta alla virtuale filosoficità del non–
filosofico» (p. XVII) e, dunque, il rifiuto di ogni “filosofia monistica” e
del suo assunto della riduzione ad assoluta unità di ogni materia conoscibile e di ogni metodo di conoscenza. Tale rifiuto comporta, ancora, la
critica dello specialismo arido e miope e la necessaria verifica di ogni indagine sulla base di un’esigenza metodologica superiore. Beninteso,
sempre e comunque, liberi da ogni “metafisica”, non ultimo da quella
positivista, e da qualsivoglia scolastica o sistema–prigione, hegeliani o
herbartiani che siano; per quanto, a ben vedere, hegeliano ed herbartiano, per il tramite dello Spaventa, Labriola non smise mai di esserlo. A
modo suo: criticamente e autocriticamente.
Si spiega anche in quest’ottica la proposta di una laurea in filosofia
che, «mantenendo vivo il senso dell’unità dei processi […] fosse al tempo
stesso buona ad esaltare il senso della differenza» (p. XVIII). Una proposta che, lo si è già detto, si inserisce e si comprende, interamente, nel
quadro di una “moderna” riflessione sul significato e sui compiti della
filosofia nelle relazioni con le singole scienze e di «un’azione volta a intervenire criticamente nella dimensione tradizionale dei rapporti tra le
Antonio Labriola, in prospettiva
233
“due culture”; e dunque, in modo fortemente innovativo, nelle strutture
concettuali e pratico–operative consolidate» (p. XVIII). Con la conseguenza «che il cambiamento, se ci fosse stato, non avrebbe potuto non
riguardare al tempo stesso i fondamenti del pensiero e le fondamenta
dell’istituzione universitaria e, di conseguenza, i modi di intendere la società e i suoi valori, l’educazione e i suoi strumenti, i contenuti e i metodi di
insegnamento, la definizione e l’organizzazione della cultura» (p. XVIII).
La portata di tale proposta, dunque, va ben al di là della dimensione
filosofica e di quella accademica; per quanto, chiaramente, sono la filosofia e l’università ad essere al centro delle lauree in filosofia. Il tentativo di
operare nella prospettiva di un radicale rinnovamento dell’istruzione
superiore, la spinta a riflettere, imparzialmente ma criticamente, nella
concezione dei problemi e nella loro soluzione, le tendenze più generali
del pensiero e della cultura “moderni” e, infine, l’intento di combattere,
in questo sforzo di adesione alla realtà, il volgare tradizionalismo e il
gretto specialismo coinvolgono, infatti, anche nel 1887, sia la dimensione
culturale che quella politica.
L’ipotesi di un superamento, quantunque in nome della filosofia, della distinzione tra l’ordine di studi cosiddetto “umanistico” e quello
“scientifico”, di un intervento volto a liberare la filosofia dall’abbraccio
ormai mortale con la filologia non è, in altri termini, questione meramente “accademica” o cosa da “tecnici”, non ultimo per le sue ricadute
sociali e politiche. Alla pubblica presentazione e discussione della proposta labrioliana concorrono, infatti, come spiega Siciliani de Cumis, elementi di ordine economico, sociale, politico, culturale e ideologico; elementi che conducono, finanche, al problema dell’impostazione “classista” della scuola italiana. Dietro lo scontro tra le “scienze” e le “lettere”
si nascondono, insomma, ragioni diversissime. A tal punto che ― scrive
Dina Bertoni Jovine ― la «difesa del classicismo», anche nella forma della “conservazione” del vincolo gerarchico tra la filologia e la filosofia,
«divenne programma dei conservatori, mentre la difesa delle scienze
quello dei rivoluzionari», e «non fu più possibile sceverare i motivi
schiettamente pedagogici e culturali da quelli politici e sociali» (La scuola
italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 77).
La proposta di “liberalizzare” le lauree in filosofia, per quanto coinvolga il tema della libertà della scienza e del suo insegnamento, non si
234
Alessandro Sanzo
restringe, insomma, al campo specificamente universitario. Il problema,
per Labriola, oltre che filosofico e accademico è di natura culturale, politica e, dunque, pedagogica.
In che misura ciò sia vero, tanto per il filosofo cassinate quanto per i
suoi interlocutori, lo si può ben comprendere prendendo in esame: uno
scritto pubblicato dal “radicale” Salvatore Barzilai su «La Tribuna» (a ridosso e a commento dell’adunanza milanese), uno degli interventi di
Ruggero Bonghi durante i lavori congressuali e, infine, un passo della
Relazione di Labriola al Congresso.
Nell’articolo Professori a congresso ― ampiamente ripreso da Siciliani
de Cumis ― Salvatore Barzilai difende le argomentazioni di Labriola, in
specie per le loro implicazioni culturali e politiche, sottolineando, non a
caso, il valore che questi attribuisce alla filosofia: non più «scienza sacerdotale», ma nutrimento per «tutti i lavoratori dell’umano consorzio»
(p. LXXII); scienza «buona per chi insegna il diritto», «per chi indaga
l’origine delle lingue», «per chi cura le malattie dello stomaco», «per chi
studia le rivoluzioni degli astri o quelle dei popoli» e, significativamente, «per coloro che fanno le scarpe» (p. LXXIII). E diresti, labriolianamente (e, mutatis mutandis, gramscianamente), buona per i tipografi, per i
maestri elementari, per gli operai e le sartine.
Il 27 settembre 1887, nel primo dei suoi contributi ai lavori della Sezione di filosofia e lettere ― come si può leggere negli “Atti e documenti” del Congresso, ristampati in Filosofia e università ―, Ruggero Bonghi,
dopo aver riconosciuto «che il concetto della proposta» labrioliana è
«buono» e «giusto» e dopo aver parlato «brevemente degli intimi indissolubili rapporti della filosofia con le scienze naturali e […] sociali», ritiene «esservi molta difficoltà nel passaggio da questo concetto scientifico alla sua attuazione didattica» (p. 112). A suo avviso, infatti, affinché
tale concetto «possa essere pienamente attuato», sarebbe necessario «anche un migliore ambiente di coltura nella società» (pp. 112–113).
Da ultimo, per quanto concerne lo stesso Labriola, non è un caso se
egli nella Relazione al Congresso ringrazi, «soprattutto», il suo «carissimo
amico prof. G. Barzellotti», al quale è «grato assai dell’aver egli toccato
dei più gravi problemi della cultura nazionale, a proposito di una questione, che ai più può parere di solo interesse didattico, anzi scolastico»
(pp. 105–106).
Antonio Labriola, in prospettiva
235
Proprio il professor Giacomo Barzellotti, che da lì a poco comincerà a
smaniare e a brigare per essere trasferito dall’Università di Napoli a
quella di Roma, ci conduce a parlare di quello che appare come uno dei
maggiori pregi di Filosofia e università: la rilevanza e la fecondità delle
prospettive di ricerca che il volume indica.
Il lavoro di Siciliani de Cumis, infatti, ancora oggi (nel settembre
2005), si rivela uno strumento essenziale per chi volesse studiare la vita
universitaria del professor Labriola e, in particolare, le posizioni e le iniziative accademiche, filosofiche, culturali e politiche che egli assunse negli organismi collegiali della «Sapienza» e nei concorsi universitari in cui
fu “commissario”.
Ad esempio, per restare al Barzellotti, ci si chiede per quale complesso di ragioni, agli inizi degli anni Novanta, Labriola si opponga risolutamente e ripetutamente al suo trasferimento nell’università romana. È
mai possibile che Labriola, che fino all’altro ieri dialogava con la filosofia
“scientifica” e “positiva”, adesso ― per dirla con il Morselli ― si sia arruolato nella schiera dei «filosofi di professione o di cattedra» (p. 120) e
si metta a combattere accademicamente la possente avanzata del “positivista” Barzellotti? Il suo atteggiamento non dipende, piuttosto, come
spesso accade con Labriola, da un giudizio di valore sull’uomo e sulla
sua produzione scientifica, che trascende l’appartenenza a qualsivoglia
scuola o corrente?
E ancora: quanto rimane da dire, anche alla luce delle lauree in filosofia, sul fallito tentativo intrapreso da Labriola nel 1884 di svolgere (per
gli studenti della Facoltà giuridica, oltre che per quelli della Facoltà di
filosofia e lettere) un corso libero di Filosofia del diritto? Sicuramente
non poco.
Le lauree in filosofia, per quanto concerne sia il merito della proposta,
sia i termini del dibattito che essa innesca, hanno dunque un posto
tutt’altro che secondario nella vita accademica di Labriola; capitolo, in
larga parte, ancora da scrivere e, a sua volta, tutt’altro che marginale
nell’opera e nella formazione di Labriola. Si pensi, a tal proposito, oltre
che alla consapevole e ricercata compresenza nell’elaborazione filosofica
e pedagogica del cassinate e nel suo impegno universitario e sociale delle dimensioni filosofica, accademica, culturale e politica, anche a quanto
scrive Garin nella Prefazione al volume di Siciliani de Cumis: nella scuola
236
Alessandro Sanzo
e nell’insegnamento, anche a livello universitario, «Labriola vide con
grande chiarezza uno strumento essenziale per la formazione dell’uomo
e la trasformazione della società» (p. IX).
Ancora a proposito dei pregi di Filosofia e università va sottolineato,
con Garin, il rimarchevole contributo che il lavoro apporta «ad una più
esatta interpretazione della vicenda culturale italiana fra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento» (p. XIII). Inoltre, per quanto concerne Labriola, l’opera ha il notevole merito di richiamare l’attenzione
degli studiosi labrioliani sul periodo 1877–1887. Un decennio, tutt’altro
che irrilevante per quanto riguarda la formazione e l’opera di Labriola,
impegnato, fra teoria e prassi: in lavori relativi al regolamento dell’istruzione secondaria e all’ordinamento della scuola popolare (in Italia
e all’estero); nell’attività di direzione del Museo di Istruzione e di Educazione di Roma; nell’opera di recensione (una per tutte, quella al volume di Friedrich von Bärenbach [Frigyes Medveczky], Die Sozialwissenschaften. Zur Orientierung in den Sozialwissenschaftlichen Schulen und
Systemen der Gegenwart) e nel lavoro di traduzione in italiano (del Philippson, Il secolo di Luigi decimoquarto e dello Stern, Storia della rivoluzione
inglese); nella redazione dei Principali monumenti architettonici di tutte le
civiltà antiche e moderne (insieme al Langl) e dei Problemi della filosofia della
storia; infine, nella ricerca di un impegno etico–politico di tipo nuovo,
con il tentativo di candidarsi alle elezioni politiche del 1886 nel secondo
collegio di Perugia.
Gli anni che vanno dal 1882 al 1887, in particolare, dal punto di vista
di una possibile ricostruzione dei tempi e dei modi della formazione filosofica e politica di Labriola, si configurano ― come afferma giustamente Siciliani de Cumis ― come un intenso e fecondo periodo di studio, come una lunga «pausa di riflessione, che potrebbe apparire perfino
voluta, nella misura in cui riuscirà poi a convogliare verso un nuovo ordine, lungo un’altra direzione rispetto al passato, tutto il piano degli interessi, degli ideali, delle prospettive sociali ed umane che saranno proprie così del “filosofo” di professione, come del recente militante socialista» (p. XXIV). In altri termini, questi anni risultano essenziali anche per
comprendere, geneticamente, la maturazione filosofica e politica del cassinate, e, in primo luogo, il suo approdo al socialismo e al marxismo.
Antonio Labriola, in prospettiva
237
Un capitolo, quello relativo agli anni 1877–1887, quanto mai importante e, lo si è detto, ancora in gran parte da scrivere; per la cui redazione ― come per quella di tutti gli altri capitoli della formazione labrioliana, in primo luogo di quello relativo alla vita accademica ― risultano essenziali il competente contributo del maggior numero possibile di studiosi e la fattiva partecipazione di tutte le istituzioni che, consapevolmente o inconsapevolmente, custodiscono documenti e materiali, direttamente o indirettamente, labrioliani.
Un’operazione che potrà risultare scientificamente feconda nella misura in cui riuscirà a non “tradire” Labriola, scindendolo, ma vedrà in
lui il filosofo, il politico, il pedagogista, il professore universitario, il
giornalista, l’organizzatore culturale, il polemista, l’animatore della prima sala del Caffè Aragno, ecc. Ovverosia, se riuscirà a guardarlo a tutto
tondo, alla luce di diverse categorie interpretative: l’unitarietà, la molteplicità, l’interdisciplinarità e l’organicità. Parallelamente a quanto avviene con la proposta sulla laurea in filosofia, è insomma necessario «considerare la posizione di Labriola nella sua interezza ed organicità, ma senza perdere mai di vista i diversi livelli della formazione dell’uomo e della
trasformazione della società, dell’etico e del teoretico, dell’educativo e dello
storiografico, dello scientifico e del politico» (p. XVII).
Tornando a Filosofia e università è opportuno fare un’ultima annotazione a proposito dell’attualità (o, forse, dell’inattualità) della proposta
labrioliana sulle lauree in filosofia, della riforma del sistema scolastico e
universitario italiano e, da ultimo, di alcune delle considerazioni svolte
da Enrico Morselli nell’ottobre 1887.
Antonio Labriola ― afferma Garin ― mostra, «di fatto», che una riforma universitaria non si può «affrontare con serietà se non con una
chiara concezione della scienza, sia nelle discipline specifiche, sia nei loro rapporti e nelle loro articolazioni, nel loro progresso e nella loro funzione» (p. X). Pertanto, se l’università vuole assolvere al compito «di far
progredire il sapere, di sviluppare la coscienza critica e di preparare dei
“professionisti” capaci» deve «essere sul serio anche l’organo e il luogo
della scienza, nella concretezza delle ricerche particolari e nella capacità
delle sintesi unificanti» (p. XI). A giudizio di Garin, inoltre, le proposte
di Labriola e il dibattito da lui aperto «restano attuali dopo quasi un secolo, proprio perché così in Labriola, come in taluni dei suoi interlocuto-
238
Alessandro Sanzo
ri è presente quello che, spesso, tuttora manca: e cioè la consapevolezza
che ha senso parlare di una riforma Universitaria solo quando si abbia
netta la visione dell’organo del sapere, dei fini della scuola universitaria,
della struttura di quella società per la quale si opera» (p. XI). In altri
termini, spiega Garin, proprio la «lezione» di Labriola «ci insegna» che
«senza una consapevolezza precisa dei fini dell’Università, e della sua
funzione nella società, senza una rigorosa veduta teorica della ricerca
scientifica, e soprattutto senza una chiara scelta politica, parlare delle riforma dell’Università è tempo perso, e vuota retorica» (p. XIII).
Del già citato intervento di Morselli sul Congresso milanese (La laurea
in filosofia), una volta superati gli iniziali, indisponenti e ingenuamente
ottimistici toni di rivalsa nei confronti dei “filosofi di professione o di
cattedra” antipositivisti, risultano interessanti, tra le altre cose, una proposta didattica e una considerazione accademico–scientifica.
Fra le proposte avanzate da Morselli a chiusura del suo scritto va infatti
segnalata al lettore, per la sua rilevanza e lungimiranza, nonché per la sua
vicinanza (se non nel metodo, quanto meno nel merito) alle riflessioni didattico–pedagogiche del Labriola, l’ipotesi di prevedere una serie di «esercizii pratici», «obbligatorii», per gli studenti che intendano conseguire la
laurea in filosofia. Tra gli esercizi pratici (3 ore settimanali nei primi due anni
di studio e 6 ore settimanali nei restanti due anni) Morselli significativamente indica: «Escursioni geologiche», «Visite e dimostrazioni nei musei
archeologici, con speciale riguardo alla preistoria», «Visite ai Musei per illustrazione dei fatti ed avvenimenti della storia antica», «Conferenze per
l’avviamento delle ricerche critico–storiche», «Conferenze pedagogiche»,
«Visite ai Musei per illustrare la storia delle manifestazioni religiose», «Esame comparativo delle opere d’arte» (p. 137).
Dell’intervento pubblicato da Morselli sulla «Rivista di Filosofia
scientifica» è inoltre interessante una stimolante riflessione, evidentemente e strettamente collegata alla precedente proposta didattica, su
“come” e “cosa” avrebbe dovuto essere, nel 1887, la vita accademica, in
particolare per quanto concerne il rapporto tra i docenti e gli studenti.
All’interno di un ampio raffronto tra le università italiane e quelle tedesche, Morselli afferma che in Germania i «professori» e i «discepoli studiano e lavorano veramente insieme», laddove in Italia, invece, «il compito dei maestri e degli scolari sembra quello di dedicare alla loro convi-
Antonio Labriola, in prospettiva
239
venza intellettuale il minor tempo possibile» (p. 139). «La istruzione filosofica ― continua Morselli ― ha dunque bisogno, nelle nostre Università, di farsi moderna, e di rinsanguarsi coll’introduzione di metodi didattici più diretti e immediati». Il che si potrà ottenere «quando tutti, professori e allievi, si daranno […] alla pratica delle discussioni, delle ricerche
storico–critiche, dei commentari fatti a viva voce; quando, non più solo
per caso fortuito o per indirizzo personale di qualche raro insegnante, la
disputa nelle scuole, la indagine paziente nelle biblioteche e negli archivi, la investigazione sperimentale ed obbiettiva nei laboratori e nei musei, la interpretazione analitica delle opere dovute ai pensatori di genio,
diverranno abitudine e regola generale, anima e nerbo del nostro insegnamento Universitario filosofico» (p. 139).
In conclusione, come sembra indicare anche la già menzionata Appendice, se Siciliani de Cumis dovesse riscrivere oggi, dal principio, Filosofia e
università, con molta probabilità farebbe un volume in parte diverso, utilizzando sicuramente e abbondantemente il carteggio labrioliano (cosa
che, del resto, nel 1975 gli era impossibile fare). Tuttavia, ciò nulla toglie al
fatto che questa nuova edizione di Filosofia e università faccia pensare ad
una vecchia bottiglia di buon vino, di ottima annata, finalmente liberata
dalla polvere e dalle ragnatele. E, proprio come le bottiglie di vino pregiato, anche il lavoro di Siciliani de Cumis, col passare degli anni…
La stele e lo stile di Antonio Labriola∗
Daniela Secondo
1. Introduzione
Nihil est quod non expugnet pertinax
opera et intenta ac diligens cura.
Seneca
Il punto di partenza, l’antefatto dell’elaborato, è la lettera che Antonio
Labriola scrive nel luglio del 1887 ai giornali […]
2. La lettera: tra Scienza, Università e Filosofia1
Roma, 12 luglio [1887]
Ill.mo sig. Direttore
nel prossimo settembre si terrà a Milano il primo Congresso Universitario.
Buona l’idea per ravvicinare tanti professori che non si vedon mai; ottima poi
per mettere in chiaro, se gl’insegnanti superiori abbiano idee precise e decise su
le questioni, che due diversi e opposti disegni di legge, votato l’uno dalla Camera e l’altro dal Senato, miravano ultimamente a risolvere.
Il Comitato di Bologna, che per la sua felice iniziativa merita le lodi ed i ringraziamenti di tutti i professori d’Italia, nel dar fuori il programma preliminare
∗
Si tratta di una parte dell’elaborato scritto per l’esame di Pedagogia generale I
(Laurea triennale, anno accademico 2004–2005). Il testo, pur nella sua frammentarietà e semplicità iniziale, restituisce i tratti di un campo d’indagini su Labriola, in via
di ipotesi nuovo. Ai fini dell’accreditamento dell’esame, la prova della studentessa
si è prolungata in colloqui orali e ricerche in archivio, in particolare sul Labriola ispettore didattico (1885), in rapporto al Labriola docente universitario e filosofo della storia.
1 Pubblicata in N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati
1882–1902, prefazione di E. Garin, Torino, UTET Libreria, 2005, pp. 19–21.
242
Daniela Secondo
dell’adunanza, ha già pubblicata una lista di temi, che a me paiono assai pratici
nella sostanza e nella forma.
Fra questi temi ve n’è uno proposto da me, ed accolto dal Comitato promotore. Mi permette di chiarirlo un po’? perché, trattandosi di cosa che concerne
l’economia generale delle facoltà universitarie, mi preme di richiamarvi su per
tempo l’attenzione di tutti i colleghi cui stia a cuore il vero e sicuro progresso
della cultura nazionale.
Nelle nostre Università si dà presentemente la laurea in filosofia a tutti gli
studenti di lettere, che, dispensati dal corso di archeologia frequentino per un
anno i corsi di etica e di pedagogica. Secondo il concetto della nostra legge, in
somma, non c’è che una sola via per diventar filosofi; quella cioè degli studi filologici, salvo il meno dell’archeologia e il più dell’etica.
Ma, facendo così, speriamo noi con fondamento, che la filosofia cessi ormai
dall’essere mera scolastica od una opinione letteraria? e dov’è il positivismo del
quale tanti si dichiarano aderenti? e quando si arriverà all’indirizzo reale e razionale, che molti, con espressione a me poco gradita, ma vera nel fondo, chiamano filosofia scientifica? Io credo fermamente, che nel giro degli studi universitarii, la filosofia abbia ad essere, non un complemento obbligatorio della storia e
della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica, o che altro siasi. Alla filosofia ci si
deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque
via ci arrivaron sempre i veri pensatori.
Io per ciò propongo, che la laurea in filosofia si conferisca agli studenti di
qualunque Facoltà, compresa la letteraria, i quali, frequentato che abbiano entro
il quadriennio di obbligo certi corsi filosofici da determinare, si espongano a sostenere una tesi scritta di argomento generale quanto all’obbiettivo ed al metodo, ma fondata sempre sopra una determinata cultura speciale.
Delle modalità discorrerò e discuterò poi a Milano.
Questa mia proposta per la sua novità tornerà un po’ ostica alla prima. Perciò io prego caldamente i miei colleghi di pensarci un pò su: e la raccomando
poi in modo speciale ai professori Sergi e Cremona. Il primo scrisse qualcosa in
proposito ultimamente, e per altre ragioni venne alle medesime conclusioni. Al
Cremona poi dico: non le pare che questa sia la via per giungere speditamente
ad alcuni dei resultati da lei vagheggiati con la istituzione della grande Facoltà
Filosofica?
Grazie e mi creda
Suo Dev.mo
A. Labriola
La stele e lo stile di Antonio Labriola
243
2.1. Reazioni alla lettera
La lettera, che Antonio Labriola fece pubblicare sul giornale la «Tribuna» nel 1887, risultò da stimolo per un ampio dibattito nell’ambiente
non solo universitario, ma di intellettuali in genere.
Riporterò di seguito alcune testimonianze di coloro che hanno preso a
cuore le argomentazioni del grande pensatore e educatore cassinate, mettendo soprattutto in rilievo le posizioni che sono legate più strettamente
agli intendimenti del prof. Labriola.
Questo che segue è l’estratto del fine giudizio di Angelo Majorana,
giovane professore dell’Università di Cagliari, che apparve sul «Diritto»
e fu ripreso da «L’Università»:
Non esito a dichiarare che, a mio giudizio, la proposta dell’esimio professore
è sotto ogni riguardo accettabile […].
Dicono molti, paghi della loro ignoranza, che oggi la filosofia, quest’odioso
ferravecchio, è morta. Fortunatamente il loro è nulla più che un desiderio: è caduta, forse, la metafisica, ma non la filosofia. Se noi questa intendiamo come
dobbiamo, cioè come quel metodo di indagine che non si acquieta alla cognizione esteriore dei fatti, ma ne ricerca le cause, e possibilmente le leggi, vedremo oggi molti giuristi, economisti, storici, i così detti sociologi, biologi, antropologi e via dicendo, altro non sono che filosofi […].
Intesa debitamente, la filosofia non è tanto scienza determinata, quanto metodo scientifico universale. Coll’aiuto filosofico, cioè colla ricerca approssimativa
dei principi causali; o per lo meno colla diligente indagine delle leggi di sviluppo e dei rapporti reali e necessari delle cose; con un savio abito della mente ad
astrarre dalle note comuni, così da potere convenientemente generalizzare; e,
d’altro canto, con l’abitudine di risolvere i fenomeni, analizzandoli nei loro elementi costitutivi: potrebbesi veramente sollevare lo studio delle scienze […].
Non credo di esagerare affermando che una delle cause, se non dell’abbassamento, certo del traviamento degli studii scientifici in Italia, sia appunto il difetto di una partecipazione filosofica nei giovani. Questo difetto è assoluto nei
cultori di scienze matematiche, naturali e mediche; di cui non tutti hanno quella
stessa irrisoria istruzione filosofica che si dà nel Liceo […].
Questa generale coltura filosofica — ed in ciò sono perfettamente d’accordo
col professor Labriola — dovrebbe essere disposta in modo da permettere, a
244
Daniela Secondo
chiunque coltivi qualsiasi ordine di studii universitari, di accedervi. Dico permettere, non imporre […]2.
Sempre su «L’Università» nel 1887, è riportato il pensiero di Alberto
Alberti; anche il suo è un apprezzamento dell’opera del Labriola […]:
Questa idea del professor Labriola parmi una fra le più felici che da lungo
tempo si sono enunciate per migliorare le condizioni, o meglio i risultati dello
insegnamento superiore, e credo farà bene se si svolgerà intorno a questa proposta una discussione, per togliere gli ostacoli che non mancheranno di opporsi
al compimento di una istituzione i di cui risultati saranno, senza dubbio, efficacissimi nel progresso del pensiero in Italia […].
Come studiano i giovani? Nello studiare le scienze, in questo viaggio a traverso lo scibile, essi fanno, (mi diceva uno dei più sapienti senatori del Regno)
essi fanno come i nostri emigranti contadini che fanno un viaggio fino in America, ma che delle terre, dei popoli, dei costumi in mezzo a cui vivono, conoscono solo l’jugero di terra in cui han seminato ed arato […].
Non vogliamo enciclopedisti — si è gridato a lungo — non vogliamo volumi
di compilazione — Ci occorrono opuscoli, note di una pagina magari, ma che ci
diano qualche cosa di nuovo — Specializziamo i giovani. La scienza è così vasta
che non si abbraccia più. Bisogna limitare il campo.
Assennate parole — che per scegliere e limitare un campo di studio occorre
aver già larghe vedute. Bisogna sapere, e saper bene, già molto — tanto quanto
basta per tutto abbracciare dall’alto e vedere quale è il punto ove, ancora, è più
abbondante la messe. E poi le scienze sono tutte così largamente allacciate che è
impossibile rilevare il meccanismo che governa alcuna questione se non si conosce il meccanismo di tutte le altre — Imperocché noi possiamo considerare le
scienze e, in generale tutti gli studii umani, come angoli in cui, per quanto col
volgere del tempo e delle scoperte si van divergendo i lati, i vertici sono però
tutti convergenti ad un punto.
È a questo punto comune di convergenza che bisogna tutti risaliamo.
Si affaccia a questo punto al pensiero il titolo di un’opera, il nome di un
grande — I primi principii. Erberto Spencer.
È scienza questa? È scienza! Scienza vera, lucida, pura.
È filosofia questa? È filosofia — filosofia fulgente come sole che illumina —
filosofia limpida come acqua cristallina che disseta e ravviva.
Vi sono dunque dei principii che sono scienza e filosofia a un tempo — principii turgidi come semente feconda elevati come culmini di un’immensa mon2
Cit. da SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università, cit., pp. 58–60.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
245
tagna d’onde per ogni dove si spazia su uno sconfinato paese e donde verso
qualunque direzione si discende.
Io non so se mi apponga al vero ma parmi sia questa la filosofia per cui il
Labriola sente il bisogno che in Italia sieno delle lauree. — Filosofia per cui il
chimico dica: Io non so soltanto analizzare un corpo; io comprendo il meccanismo che governa la materia in tutte le sue leggi, in quell’essenza stessa che governa le molecole come i sistemi solari e gli atomi come i pianeti.
Filosofia per cui il giurista dica: Io non so solo dichiarare la legge, ma so quale legge governa il pensiero e il cervello dell’uomo, e ne esalta o ne turba la retta
coscienza. — Filosofia per cui, chi è maestro ad adolescenti, comprenda di quali
forze è risultante l’operare di un fanciullo, o per quali tortuose vie del cervello,
un pensiero si stampa in una giovane mente […]3.
Di seguito vi è l’estratto della lettera di Giacomo Barzellotti. In proposito il Labriola nella Prelezione su I problemi della filosofia della storia,
dice di lui: «Queste, o signori, sono le disposizioni di animo e di mente,
con le quali assumo l’ufficio temporaneo, affidatomi dal Ministro col
consenso dei miei colleghi, di dettar lezioni di filosofia della storia in
luogo del mio collega ed amico prof. Barzellotti, passato ad altra Università»4.
Vediamo ora, uno stralcio della lettera, datata 12 agosto 1887:
Carissimo prof. Labriola,
Non prima di qualche giorno fa, ho potuto leggere nella Tribuna la vostra
proposta di una laurea facoltativa in filosofia da concedersi a chiunque, seguendo qualsiasi altro ordine di studi universitari, compresi quelli di lettere,
frequenti anche certi corsi filosofici e si sottoponga ad un esame. Se cotesta vostra proposta mi fosse subito venuta sott’occhio, già da un pezzo io mi sarei unito a voi per sostenerla pubblicamente.
E non perché io creda che la mia voce possa aggiunger nulla alla forza e
all’opportunità della causa così ben difesa da voi, ma perché son convinto che
chi prenda a cuore l’avvenire dei nostri studi superiori, nel quale è tanta parte
di quello morale d’Italia, non deve lasciare alcuna occasione d’insistere perché
l’alta cultura filosofica acquisti anche tra noi nell’organismo e nella vita delle
Cit. da ivi, pp. 62–65.
A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis,
Napoli, Morano, 1976, p. 49.
3
4
246
Daniela Secondo
università quel luogo e quell’efficacia che essa ha altrove e che le spettano nello
stato presente della scienza […]5.
Significativa anche la lettera di Saverio Fausto De Dominicis, professore ordinario di pedagogia scientifica nell’Università di Pavia, pubblicata in «Rassegna Critica»:
A me è parso invece che la proposta del nostro collega di Roma abbia un alto
significato scientifico, un’importanza didattica non solo per la facoltà di lettere e
filosofia ma per tutta l’Università, e che oltre ciò includa un principio di riforma
di tutto il nostro insegnamento. Riserbandomi di esplicare ampiamente il mio
pensiero dopo le discussioni del Congresso, io fin d’ora rilevo che aspetti scientificamente notevoli nella proposta. L’uno questo: la filosofia non è più considerata neanche da noi come un esercizio letterario o un addestramento polemico a
scopo teologico o di critica negativa e Kantiana, ma quale unità del sapere
scientifico raggiungibile per le vie delle scienze. Talché quella solidarietà delle
scienze che Augusto Comte cercava per costruire una filosofia, e che il positivismo inglese ed italiano ha espresso sotto la forma di Monismo, si racchiude nella proposta del nostro collega, per quanto poi egli e i tanti che caldeggiano la
sua idea dissentano ancora in molte cose da noi. L’altro aspetto della proposta
riguarda il concepimento storico della filosofia. Lungi dal ritenere la tradizione
filosofica come divisa in ortodossia ed eterodossia, secondo le idee più diffuse
in Italia, la proposta del prof. Labriola considera il formarsi dell’organismo filosofico come determinato dall’azione dello svolgimento delle scienze. Ed anche
qui non solo siamo nel vero, come lo provano tutt’i sistemi filosofici antichi e
moderni, ma siamo in una interpretazione storica della filosofia lontana da tutte
le piccolezze di scuole e, ciò che è meglio ancora, lontana dai nostri pregiudizi
religiosi e nazionali […].
Ora, in attesa di riforme più sostanziali, a me pare che la proposta del Labriola venga in buon punto, e se no cura la piaga vi pone un rimedio, sia pur
tenue. Giacché l’aprire ai migliori giovani di tutte le facoltà una nuova via – la
laurea in filosofia — offre un addentellato a tutta la ricerca puramente scientifica de’ nostri massimi istituti scolastici […]6.
5
6
Cit. da SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università, cit., p. 74.
Cit. da ivi, pp. 89–91.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
247
3. Il Congresso
Poco prima l’inizio dei lavori del Congresso, tenutosi a Milano nel
settembre del 1887, il Labriola prepara una Relazione per introdurre il
tema che dovrà essere discusso insieme agli altri professori.
Egli riproporrà la lettera del 12 luglio 1887, come antefatto da cui
prende avvio quella proposta sulle lauree in filosofia che ebbe un così
largo riscontro nell’ambiente universitario. Un riscontro, che è dimostrato dagli estratti che seguono:
E difatti cotesta lettera, così, per sé senza che io v’aggiungessi altra spiegazione e commento, ha dato occasione non solo a diversi e lunghi articoli di
giornale, nei quali le questioni da me toccate con molta brevità furono ampiamente svolte con efficace sussidio di ottimi argomenti e prove, ma anche a molte lettere private, con le quali non pochi colleghi mi hanno onorato dei loro suggerimenti e consigli. Da tali suggerimenti e consigli risultano per l’appunto le
proposte formulate più innanzi: e queste, oramai, non che mie, sono un po’ di
tutti gli egregi colleghi, coi quali ho tenuta una viva corrispondenza per ben
due mesi […]7.
Alla fine della Relazione il Labriola elencherà i quesiti da mettere in
discussione:
I.
Tutti gl’insegnamenti filosofici, a qualunque facoltà si trovino presentemente assegnati formeranno per quel che riguarda gli effetti degli esami e
il conferimento del dottorato, come un gruppo a sé, rimanendo però impregiudicata per tutti gli altri aspetti la posizione dei singoli professori
nelle rispettive facoltà cui ora appartengano, o a norma di legge, o in via
di fatto.
A questo gruppo d’insegnamenti potranno iscriversi con effetto utile, tutti
gli studenti di qualunque facoltà o scuola, universitari, così entro il periodo degli anni rispettivamente obbligatori, come anche nei due anni
successivi al conferimento della laurea.
Lo studente regolarmente iscritto al gruppo filosofico, quando abbia affrontato nel giro di quattro anni otto almeno dei corsi annuali di filosofia
(cioè due corsi per anno), potrà chiedere di essere ammesso a sostenere
gli esami di laurea in tale disciplina. V’è una doppia combinazione:
II.
III.
7
Cit. da ivi, p. 104.
248
Daniela Secondo
a) Nel caso che il richiedente sia già laureato, o in filologia, o in diritto,
o in matematica e così via, oltre alla prova degli otto corsi filosofici di
obbligo, la laurea già conseguita sarà titolo per l’ammissione.
b) Nel caso poi che uno studente iscritto per le lettere, per il diritto, per
la matematica e così via, tralasciando di laurearsi in filosofia, oltre a
provare la frequenza degli otto corsi filosofici di cui sopra, dovrà anche esibire la prova di aver frequentato altri otto corsi della facoltà alla quale era iscritto ma sempre delle materie più generali e scientifiche, e non di quelle strettamente tecniche e professionali. Coteste materie aventi effetto utile saranno determinate per regolamento.
IV.
L’esame di laurea sarà dato da una commissione composta di tutti i professori del gruppo filosofico, e di tre professori scelti nella facoltà alla
quale il candidato si trovi iscritto. La tesi di laurea potrà avere per argomento una qualunque questione speciale, purché trattata filosoficamente.
La commissione però nell’accettarla dovrà emettere un voto motivato.
V.
Chi voglia iscriversi al gruppo filosofico esclusivamente, senza appartenere ad un’altra determinata facoltà, per chiedere la laurea avrà obbligo
di dimostrare, non solo la frequenza di tutti i corsi filosofici esistenti nel
gruppo, ma eziandio la frequenza di altri otto corsi liberamente scelti e
liberamente combinati fra le materie più generali e scientifiche della Università (cfr. art. III).
VI.
Nei diplomi di laurea sarà usata una formula dalla quale apparisca se il
dottorato è di filosofia pura (art. V), o di filosofia a base di cultura filologica, matematica, giuridica e così via.
VII. Quanto agli effetti amministrativi di coteste varie lauree, nella scelta dei
professori di filosofia nei licei, e di etica e diritto negl’istituti tecnici, sarà
determinato per regolamento a quale combinazione degli studi filosofici,
vuoi con la filologia, o vuoi con la matematica, o vuoi col diritto, si accordi la preferenza.
In tutti i casi le lauree in filosofia saranno titoli apprezzabili nei concorsi a
cattedre universitarie e di scuole secondarie, e nel conferimento della libera docenza […]8.
Durante l’adunanza del 27 settembre 1887, presieduta dal «chiarissimo sig. prof. Occioni», viene riferita la dissertazione del Labriola a cui
seguiranno i commenti dei presenti; la maggioranza risulta favorevole
alla proposta del prof. Labriola. Tra i favorevoli: il prof. Bonghi, il prof.
8
Cit. da ivi, pp. 108–109.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
249
Barbera, il prof. D’Ercole, ma soprattutto il prof. Sergi. Dal verbale risulterà:
Il prof. Sergi non solo approva questi concetti generali, ma di essi s’allieta
perché affermano il progresso della filosofia scientifica. A lui pare la tesi del
prof. Labriola debba essere sostenuta anche nel rispetto dell’utilità che la filosofia arrecherà alle scienze naturali col generalizzare i particolari risultati che gli
sperimentatori attengono nei loro laboratori. I grandi naturalisti sono anche
grandi filosofi. E quando mai si offrisse luogo e tempo di proporre riforme, egli
vorrebbe introdurre la fisiologia e l’anatomia nel complesso degli studi filosofici
[…]9.
Prima che venga sciolta l’adunanza viene approvata, a maggioranza
dei votanti, la mozione del prof. Borghi, che seguiva le linee della proposta del prof. Labriola, salvo qualche riserva sui modi di applicazione.
Ecco cosa appare nel verbale:
Il prof. Bonghi tornando ancora brevemente in generale sulla proposta del
prof. Labriola, viene per quanto concerne l’attuazione di essa alla proposta seguente, che presenta per iscritto al presidente. Conservando gli ordinamenti attuali della Facoltà di filosofia e lettere e i fini a cui sono oggi ordinati, e riservando i modi d’applicazione, la sezione accetta la proposta del prof. Labriola
cioè “che la laurea in filosofia si conferisca agli studenti di qualunque Facoltà, i
quali frequentato che abbiano entro il quadriennio di obbligo, o due anni dopo,
i corsi filosofici, si espongano a sostenere una tesi scritta di argomento generale
quanto all’obbiettivo ed al metodo, ma fondata sempre sopra una determinata
coltura speciale” […]10.
Durante l’adunanza del 28 settembre, ove l’assemblea pone come
presidente il prof. Fabretti, vengono lette le conclusioni da parte del
prof. Igino Gentile.
Dopo la lettura del verbale vi sono delle rimostranze da parte del
prof. Merlo; riporto di seguito il suo pensiero:
[…] ricorre egli all’aiuto di due similitudini accennanti al diritto che ha ogni
scienziato di salire a considerazioni generali, così circa il metodo e le ragioni
9
Cit. da ivi, p. 113.
Cit. da ivi, p. 114.
10
250
Daniela Secondo
supreme della particolare disciplina che è da lui coltivata, come circa le attinenze con le altre. Dev’esser lecito ad ognuno di noi di fare cotesto, non già ricorrendo all’immaginaria tutela di una filosofia a priori, e nemmeno a quella troppo imponente e mal fida di una filosofia che professi unicamente di stillare i risultati raccolti col lavoro altrui, ma bensì filosofando ciascuno con le sue proprie forze, senza omettere, che ben s’intende, lo studio storico dei problemi che
s’incontrino sulla nostra via. Non è salutare lusingarci che possano da un solo
studioso, ne’ tempi nostri, essere possedute tutte le infinite cognizioni già conquistate in ogni parte dello scibile universo. Sarebbe ingiustissima una così
sconfortante valutazione degli studi fatti ne’ secoli precedenti e in questo nostro; ma appunto dai meravigliosi progressi dell’umano pensiero, consegue necessariamente che bisogna rassegnarci alla divisione del lavoro, anche coltivando la filosofia. La Facoltà di filosofia si deve convertire in Facoltà universale
scientifica […]11.
Chiuderà il dibattito il prof. Bonghi, mettendo in evidenza una priorità che deve esser tenuta ben presente prima di andare ai voti:
Oggi invece si tratta di affermare un principio pedagogico; si deve ricercare
se esso è giusto, e null’altro; e poiché appunto la filosofia è tale ordine di studi,
che può e con buon frutto, coordinarsi con tutti gli altri: la filosofia ha necessariamente tale generalità, ed è opportuno designare quali corsi di ciascuna Facoltà debbonsi congiungere con insegnamenti filosofici. Invita dunque l’adunanza
ad accettare le conclusione della Sezione di filosofia e lettere.
Il presidente le mette ai voti, e le conclusioni già riferite risultano approvate a
grande maggioranza12.
A lavori ultimati, apparirà sulla «Rivista di Filosofia Scientifica», un
ampio studio sul primo Congresso Universitario Italiano nel quale il
Morselli, psichiatra e filosofo modenese, afferma che già da qualche anno, sulla sua rivista, si era affrontato il problema ora sollevato da Labriola:
Ed ora, dopo tanta animosità da una parte e tanta abnegazione dall’altra, ecco un’Assemblea formata di insegnanti ufficiali di filosofia, ecco un Congresso
Universitario accettare e proclamare solennemente, quasi ufficialmente, non so-
11
12
Cit. da ivi, p. 116.
Cit. da ivi, p. 117.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
251
lo i rapporti intimi fra la filosofia e le scienze, che la scuola accademica non poteva, almeno teoricamente negare, ma anche la necessità che nell’ordinamento
degli studi filosofici si dia adito ad una più profonda e fondamentale coltura
scientifica.
È questa, cel consentano i nostri antichi critici ed avversarii, una vittoria insperata del positivismo; una vittoria che sarà madre di altre conquiste. Né la riforma si arresterà certamente alla laurea filosofica così come fu proposta dal
Bonghi ed accettata dal Congresso, ma si estenderà ed amplierà in un più fecondo ed indissolubile amplesso della filosofia con le scienze positive. Rompere
questo legame, una volta che ne è stata riconosciuta la necessità, sarebbe ridonare alla filosofia la sua indipendenza solitaria, il suo assolutismo dogmatico, le
sue tendenze all’astrazione verbale; ritogliere la concessione, che finalmente si è
fatta alla realtà ed alla logica induttiva, sarebbe ricacciare la nostra coltura nel
limbo delle sottigliezze dialettiche, e obbligare di nuovo la parte più alta e nobile del sapere nazionale a contentarsi dei vieti acrobatismi e dei vacui formalismi. Avete tenuto per tanti anni la filosofia lontana da questo connubio coll’indirizzo positivo e scientifico, sì da renderla eguale ad una zitella invecchiata nel
desiderio e nell’impotenza; ma oggi con un soffio di positivismo la ringiovanite,
e domani la troverete capace di generare finalmente concetti e principii sintetici
più vitabili e più sicuri […]13.
Significativo appare il suo elogio delle scienze varie:
Con qual criterio si possono accingere questi nostri “laureati in filosofia” allo
studio ed alla intelligenza (non dico alla critica, sebbene sappia che questo è il
cavallo di battaglia delle scuole accademiche) delle opere di Hamilton, di Stuart
Mill, di Bain, di Darwin, di Haeckel, di Spencer, di Hartmann, di Fiske, se loro
manca il fondamento indispensabile delle prime nozioni scientifiche? Come intendere oggi la psicologia, dopo gli immortali lavori di Weber, Fechner, Helmholtz, senza nozioni matematiche? Come valutare, dal punto di vista filosofico, i sistemi dell’etica, i progressi dello spirito umano nella storia, i rapporti
dell’uomo con la natura, senza conoscenze antropologiche, etnologiche e sociologiche, e senza i lumi della storia naturale? Come accostarsi al problema della
coscienza, senza il sussidio della legge di unità e trasformazione dell’energia,
quale viene insegnata dalla fisica e dalla chimica? Come pretendere di capire
qualsiasi rappresentazione complessiva del cosmos, senza averne prima cercato
gli elementi nei dati dell’astronomia e della cosmologia fisica? […]14.
13
14
Cit. da ivi, pp. 121–122.
Cit. da ivi, p. 123.
252
Daniela Secondo
Concluderei questo veloce excursus sullo stesso periodico che ha dato
il via al dibattito universitario sui nessi di filosofia e scienza. L’autore è
Salvatore Barzilai che sulla «Tribuna», sempre nel 1887 scrive:
Tutti coloro che hanno una laurea debbano poter ritemprare il bagaglio di
cognizioni che essa per una finzione giuridica rappresenta in un bagno di filosofia.
Ora, se si pensa che la filosofia, oggi — dopo ché Platone, e Bacone, e Descartes, e Cartesio e tutti i fautori delle idee assolute e dei sistemi fantastici, sono passati di moda — non è altra cosa che l’arte di osservatore con esattezza, di
analizzare con precisione, di generalizzare con rigore, in tutte le cose di questo
mondo, è facile intendere, che essa è una scienza buona per chi insegna il diritto, come per chi indaga l’origine delle lingue come per chi cura le malattie dello
stomaco, come per chi studia le rivoluzioni degli astri o quelle dei popoli come,
sto per dire, per coloro che fanno le scarpe.
Lo studio degli esseri, delle cause, la induzione dei principii — è il fondamento della scienza sotto qualunque aspetto si consideri. Ed enunciare questo
significa affermare quell’altro: la filosofia è, e deve essere soprattutto metodo,
strumento, lume per ogni studio […].
La filosofia per tutti — anche fuori dell’aula universitaria — la filosofia per i
pubblici funzionari incaricati di tutelare l’ordine pubblico (Federico II diceva
che per punire una provincia bisognava darla a governare a un filosofo) la filosofia per gli autori drammatici chiamati a rappresentare le passioni della vita e
a subire quelli palesi del pubblico, la filosofia per i sarti interessati a conoscere
le cause per cui gli avventori non pagano loro le note, la filosofia pei giornalisti
— che devono cavarla da tutto, i Congressi universitari compresi.
Perché non ci facciamo illusioni — gli egregi uomini di scienza convenuti alla Scala col nome di Papiniano, di Claudio Bernard, di Euclide, di Orazio, di
Dante, di Ramayana — Mahabarata sul labbro, se prima hanno teoricamente votata la fiducia nella filosofia positiva del professore Labriola, nel seguito del
Congresso hanno tenuto a far sapere che non sono gente da predicare come padre Zappalà15.
15
Cit. da ivi, pp. LXXII–LXXIV.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
253
4. Un anno prima del Congresso: la tesi di laurea di Luigi Basso
Vi presento il mio bravo alunno ed amico sig. Basso,
di cui ho già parlato; perché possiate intendervi con lui.
Labriola a Carlo Fiorilli, 16 gennaio 1886
Prima di tutto non voglio vedere dissertazioni di laurea,
tranne quella di Basso (unica in filosofia).
Desidererei che l’esame di laurea del Basso avesse
luogo pel primo la mattina del 27, per essere poi libero
al più presto.
Labriola a Onorato Occioni, 15 giugno 188616
L’elaborato di Luigi Basso, non sembra affatto una tesi di filosofia:
basta notare i termini che ricorrono con maggiore frequenza e subito si
nota lo spostamento dell’asse d’interesse del giovane allievo di Labriola,
verso discipline giuridiche, economiche e di scienze sociali in particolare.
La ricerca di cui si occupa Basso fa emergere un carattere, che potrebbe assomigliare ad un modo di procedere sociologico–sperimentale, andando ad infarcire la relazione di vocaboli tipo «metodo», «principio»,
«dottrina», «sperimentale», ecc. Sembra, per questo, uno studio che certo
risente del positivismo […].
Il Basso evidenzia come il ritardo della scienza sociale ad assumere il
metodo positivo, e quindi scientifico, sia congenito al carattere dei fenomeni che studia. Infatti, quando si osserva un fatto storico, una rivoluzione, una guerra, un cambiamento nella forma di governo, l’osservatore ha
a che fare con il fatto vero e proprio e non con una legge.
Noi possiamo osservare solo un aspetto del problema, solo una parte
di un intero organismo. Così è per la storia: se la consideriamo in generale, ci mostra un effetto diverso dal trattarla in particolare.
Ecco il metodo enunciato dallo stesso Basso:
Cit. da Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento
anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–
2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 545.
16
254
Daniela Secondo
[…] abbandonare l’illusione che i fatti sociali sieno esposti all’arbitrio degli uomini
e convincersi che, come tutti gli altri, devono avere delle cause che agiscono con
perfetta regolarità, guardarsi sopra tutto dal portare nella scienza le proprie aspirazioni pratiche, facendone altrettanti principii, da cui dedurre le norme sociali, e finalmente sforzarsi di avvicinare tra loro i fatti sociali e osservarli in
complessi considerevoli per poterne meglio cogliere le relazioni […]17.
Basso sostiene che il sapere può essere di due specie. Se i fatti vengono considerati individualmente sotto il profilo di spazio e tempo, avremo la storia; se questi possono essere legati tra loro in relazione di causa
e di effetto avremo la scienza.
Vi è in Basso la convinzione che i fatti sociali e le leggi che ne derivano non sono relazionabili tra loro completamente e in modo costante, ma
ciò non impedisce di considerarla scienza, perché si tratta sempre di cognizioni e spiegazioni che vanno allargandosi e coordinandosi.
Ciascuna scienza ha un proprio metodo dipendente dal carattere dei
fatti che essa studia. Per es. le matematiche seguono il metodo deduttivo, le scienze fisiche il metodo sperimentale. Così Basso può dire:
[…] È dunque necessario esaminare quali sieno a questo proposito i caratteri
dei fenomeni che la scienza sociale si propone di studiare, perché da questi caratteri risulterà evidente il metodo da seguirsi. I fatti sociali sono in ogni modo
fatti umani, e l’uomo non opera se non spinto da impulsi che sono nella sua natura. Sembrerebbe quindi che bastasse analizzare questa natura psicologica
dell’uomo e dai moventi che questa analisi rivelasse dedurre i fatti umani […]18.
Anche se poi ammette che la natura psicologica non è una cosa completa fin dal principio.
Il Basso enumera molteplici forze, che vivono nei popoli e hanno parte nella costituzione e nei mutamenti sociali. Tra esse, troviamo lo spirito
religioso, l’interesse individuale o sociale, l’aspirazione alla libertà, alla
nazionalità, all’uguaglianza, ecc.
Se queste forze sono opposte l’una all’altra, oppure agiscono insieme,
condizionandosi tra loro in vario modo, ciò comporta il fatto che i fenomeni sociali, rispetto ad altri, si mostrano più difficili da spiegare scienti17
18
Cit. da ivi, p. 548.
Cit. da ivi, p. 550.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
255
ficamente. Da questa constatazione deriva che, per la scienza sociale,
non è possibile usare i due metodi, ossia quello deduttivo matematico e
quello sperimentale.
Secondo Basso, per ciò che concerne i fatti sociali occorre accontentarsi dell’osservazione, perché non è possibile maneggiare la società facendo esperimenti artificiali: un po’, per il fatto che non si potrebbe tener
conto di tutte le circostanze, e poi perché, nei tempi lunghi gli effetti potrebbero modificarsi radicalmente.
5. Chi è Luigi Basso?
Nato a Feltre (Belluno) il 20 febbraio 1862, figlio di un medio proprietario
feltrino, dopo la laurea in lettere e filosofia19, che aveva conseguito brillantemente a Padova, soggiornò alcuni anni a Roma dove frequentò i circoli repubblicani e radicali aperti ai nuovi motivi del socialismo e del positivismo: fu segretario del comitato per il monumento a Giordano Bruno e membro del Comitato centrale del «patto di Roma» […]
Nel clima di grandi speranze del dopoguerra B. divenne il primo deputato
socialista del Feltrino: sempre più staccato dalle vicende del reale movimento
socialista di massa, di cui intendeva con profondo senso umano le difficoltà e i
problemi quotidiani, ma di cui non riusciva a intendere e interpretare le esigenze più schiettamente politiche, B. anche al parlamento, e poi come collaboratore
di Critica sociale e, dopo la nascita del Partito socialista unitario, della Giustizia,
continuò ad occuparsi prevalentemente di argomenti economico–tributari. F.
Turati ne stimava la probità e la serietà, anche se nell’ambito del PSU le sue
scarse doti di oratore e la mancanza di diplomazia nello sfumare l’ultrariformismo nelle sue posizioni erano affettuosamente note.
Dopo la morte di G. Matteotti toccò a lui, «semplice spulciatore di bilanci»,
come lo definiva il giornale di B. Mussolini, raccoglierne l’eredità come segretario del partito, cosa che seppe fare con coraggiosa umiltà. La sua relazione al
convegno nazionale del marzo 1925 ebbe una vasta, anche se discorde, risonanza: la stampa liberale ampliò l’eco della sua accorata difesa delle libertà statutarie, il suo appello, di fronte alla barbarie fascista, per una società più serena e
La prima laurea che consegue Luigi Basso è quella in Giurisprudenza (cfr. il
par. 1 del presente lavoro).
19
256
Daniela Secondo
civile. Dal novembre 1926 al dicembre 1927 fu confinato a Lipari: ritornato a Feltre abbandonò qualsiasi attività politica e pubblica (A. Rosada)20.
Per conoscere più a fondo Luigi Basso, come persona e come politico,
inserisco l’estratto da un articolo di giornale del 1925 (Gli unitari dal socialismo allo stato liberale. Le “note eccellenti” dell’on. Basso)21. Il pezzo è importante, perché sembra convalidare l’ipotesi di un’affinità con il Labriola per quanto riguarda il sentire politico–morale, sottolineata soprattutto
nelle ultime righe.
La Giustizia è scesa in campo per la difesa delle “note eccellenti” dell’on.
Luigi Basso. Benone. Per ora la Giustizia ferma la sua attenzione ad una nota
romana del nostro giornale in cui era posto in evidenza l’elogio a Noske e
l’invocazione dello Stato forte. Ma c’è ben altro nelle “note eccellenti” del segretario del Partito unitario. C’è in pieno, senza sottintesi, senza equivoci (e di ciò
va data lode all’on. Basso) l’accettazione non solo del metodo democratico per
la conquista del potere, ma dello Stato liberale. E questo è veramente il colmo.
Finora noi avevamo imparato — sia negli opuscoletti da pochi centesimi in
vendita anche alla Giustizia, sia nei poderosi e ponderosi volumi di Marx e degli altri teorici del socialismo — che lo Stato è lo strumento della dominazione
borghese, così come l’esercito ed i vari corpi di polizia sono gli strumenti della
repressione borghese. Tutto questo cessa di essere vero. Dalle “note eccellenti”
dell’on. Basso salta fuori la figura di uno Stato ideale, imparziale amministratore della giustizia, imparziale custode della libertà, superiore ai Partiti, superiore
alle classi.
Orbene se un tale Stato potesse esistere, tutta la critica socialista sarebbe un
impasto di errori e di menzogne.
Ma un tale Stato non può esistere. Sia liberale, democratico, reazionario lo
Stato è uno strumento della conservazione e della dominazione della classe al
potere. Sempre esso giudica la libertà tramutata in licenza, e quindi legittima la
repressione, ogni qual volta il proletariato forte del numero e del suo diritto di
classe soggetta, intende valersi della libertà per la propria rivendicazione sociale. Ciò rende inevitabile, prima o poi, il cozzo violento fra le due classi, così come fu inevitabile il cozzo violento fra le vecchie caste feudatarie e le aristocrazie
nobiliari e clericali con la moderna borghesia. In questo senso la funzione rivo-
F. ANDREUCCI – T. DETTI, Il Movimento Operaio Italiano. Dizionario biografico
1853–1943, vol. I, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 201–203.
20
21
Da «Avanti!», 27 marzo 1925.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
257
luzionaria che appartenne nel secolo XVIII e nella prima parte del XIX secolo
alla borghesia, è passata ora al proletariato. […]
Di quale Stato si parla? Se si parla dello Stato socialista, noi rispondiamo che
lo vogliamo non forte ma fortissimo. Ma lo Stato socialista non sarà “per la contraddizione che nol consente”, liberale. Vi si oppone lo stesso fine che persegue:
la distruzione cioè dell’attuale ordine sociale, l’espropriazione degli espropriatori, la dispersione della classe borghese (della classe, diciamo noi, dei singoli).
Tutto questo sarà sempre giudicato antiliberale e tirannico. Ogni rivoluzione fu
accusata di tirannia. […]
Ond’è che ritornando alle “eccellenti note” del segretario del Partito unitario, non resta a noi che riconfermare in pieno come alla luce delle sue teorie —
“Stato forte”, ”libertà che non si trasforma in licenza”, “tutto lecito nei limiti
della legge” — siano ampiamente giustificate le reazioni passate, presenti e future.
Ci si poteva aspettare qualche cosa d’altro.
E qui potrebbe arrestarsi la nostra polemica. In fondo ciò che sorprende nella
relazione Basso sono certe affermazioni di tono apertamente conservatore che si
preferirebbe trovare nelle colonne del Corriere. Quanto al fenomeno in sé della
definitiva adesione degli unitari alle tesi democratico–liberali, quanto al loro inserirsi nell’orbita monarchica e costituzionale, era cosa prevista, logica, in certo
senso fatale. Per questo avvenne la scissione di Roma. Questa è la funzione che i
riformisti si sono assunta e che devono assolvere.
6. Prelezione su: I problemi della filosofia della storia
Prelezione letta nell’Università di Roma il 28 febbraio del 1887, per
presentare i corsi che il Labriola terrà dal 1887 in poi, riguardo all’insegnamento di Filosofia della storia.
Questo scritto, da un certo punto di vista è più importante dei saggi
di tutto un lungo periodo di tempo. Ciò che emerge, e che è di notevole
interesse, è il fatto che, per la prima volta in tutta la sua storia, Labriola
mette radicalmente in discussione la propria formazione sicuramente
hegeliana. È lo scritto dell’incertezza, della crisi, della critica della necessità storica, della tensione teoretica, in special modo della contraddizione teoretica tra particolare e generale.
Egli, negli altri suoi scritti tendeva soprattutto a cogliere un’unità del
sapere, una formalizzazione, una compattezza, una necessità; con la prelezione vi è la presenza di un’inquietudine molto forte, una messa in cri-
258
Daniela Secondo
si di tutte le sue certezze. Non a caso, è la lezione preliminare che introduce ai corsi sulla rivoluzione francese: un argomento, che Labriola non
lascerà più, perché questa rivoluzione segna il passaggio dal feudalesimo alla modernità, dallo Stato assoluto a quello rappresentativo. Questo
passaggio Labriola lo vede pieno di contraddizioni, di difetti, importante
rispetto il passato, ma lacunoso verso il tema della giustizia sociale.
Labriola, proprio studiando la rivoluzione francese diventa marxista,
e la prolusione è in particolare lo scritto che testimonia la perdita della
sicurezza teoretica.
Nella prelezione vi è quasi una “lite” tra due concetti, tra preformazione ed epigenesi. Questi due vocaboli che derivano dall’embriologia portano a pensare a due opposte teorie. Il germe che riproduce l’essere umano, contiene già l’essere umano? O c’è un’interazione tra quel germe,
l’esperienza della natura e le novità?
Nella preformazione, il germe contiene già tutto l’uomo; invece, per
quanto riguarda l’epigenesi, l’uomo si costruisce non embriologicamente, ma storicamente. Non si conosce come diventerà l’uomo, perché le
esperienze che farà lo modificheranno.
In questo testo, il Labriola, usa termini che non fanno parte della filosofia; e si serve dell’embriologia per dare un’interpretazione della storia.
La storia, non la costruiamo una volta per tutte, la costruiamo epigeneticamente. Noi non possiamo prevedere i fatti storici, altrimenti sarebbero
preformati.
La previsione storica, invece, è qualche cosa di morfologico, perché
avviene sulla base degli elementi nuovi che concorrono a farla diventare
tale.
Tutto questo serve a noi, per intendere il suo pensiero nel leggere i
saggi sul materialismo storico che seguiranno, proprio nel momento in
cui aveva ancora idee ideal–democratiche.
Le recensioni alla prelazione sono utili per avere un’idea sul sentire
critico degli esperti del tempo di Labriola. Vediamone alcune, cominciando da Felice Tocco:
[…] Una prima parte toccherebbe dei motivi che ci spingono a filosofare sulla storia, e del metodo che tanto in questi filosofemi, quanto nell’esposizione
storica suole essere tenuto. E questa prima parte ei vorrebbe chiamare Historica,
parola foggiata dal Gervinus sull’analogia di altre già in uso come Pedagogica e
La stele e lo stile di Antonio Labriola
259
Grammatica. A questa prima parte terrebbe dietro la seconda che discute i principî, su cui poggia così l’indagine filosofica, come l’esposizione storica […]22.
Andrea Angiulli affermava:
Il nostro amico Prof. Labriola concordandosi coi migliori risultamenti del
pensiero e degli studii contemporanei, sostiene che la filosofia della storia più
che una dottrina bella e costituita, o una storia universale narrata filosoficamente, sia e debba essere una semplice ricerca su i metodi, su i principii e sul sistema delle conoscenze storiche […].
In rispetto della prima quistione discorre dell’interesse che ci muove alla ricerca, del procedimento che assicuri della certezza del risultato, dell’obbiettività
dell’esposizione. L’interesse alla ricerca storica, come risultato di tutte le disposizioni intellettive ed etiche, estetiche e religiose, politiche e sociali del nostro
animo, è esso stesso già una parte integrante della nostra cultura. Nel nostro
tempo è divenuto più scientifico; e però richiede una maggiore esattezza nel
procedimento della ricerca ed una maggiore certezza dei risultati; le quali due
cose nondimeno variano secondo la complessità delle diverse discipline storiche […].
Rispetto alla quistione dei principii l’autore indaga ciò che distingue un fatto
storico propriamente detto, ed è quel nesso assimilativo degli elementi che lo
costituiscono, per cui si porge un accrescimento continuato di nuove formazioni. Onde segue essere difficile segnare un punto di vera separazione tra gli elementi non storici e il prodotto storico. Le connessioni negli eventi umani si allargano coi progressi degli studii […].
Circa la terza questione, tenendo fermo al principio fondamentale della ricerca scientifica, egli pone assai acconciamente in luce, come da una parte non
si debba presupporre l’unità dei diversi ordini di fatti, ma rintracciarla ed esporre geneticamente, e non dedurre la loro differenza, e dall’altra parte non si
debba con uno specialismo ombroso opporsi all’investigazione dei legami generali tra le cose e smarrire il fine della scienza […]23.
F. TOCCO, Recensione ad A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia. Prelezione letta nella R. Università di Roma, Roma, Loescher, 1887, in «Rivista italiana di
Filosofia», 1886–1887, pp. 284–286; ora in LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia,
cit., pp. 60–61 (il brano citato si trova a p. 60).
23 A. ANGIULLI, Recensione ad A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia. Prelezione letta nella R. Università di Roma, Roma, Loescher, 1887, in «Rassegna critica»,
1887, n. 5, pp. 155–157; ora in LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 62–
63.
22
260
Daniela Secondo
7. L’arte al servizio di Labriola
Siamo abituati a considerare l’arte legata al prof. Labriola soprattutto
in riferimento all’opera I principali monumenti architettonici, di cui è coautore insieme a Giuseppe Langl. L’intento, ora, è di rovesciare i termini di
paragone, di considerare cioè quell’arte che si è sviluppata partendo dalla figura del Professore e di ciò che aveva rappresentato nel panorama
della cultura italiana ottocentesca e non solo.
Ettore Ferrari, famoso per aver scolpito il Giordano Bruno di Campo
de’ Fiori, si presterà per portare a termine il progetto di una stele in onore del suo amico, in occasione della commemorazione che si terrà due
anni dopo la sua morte.
La ricerca ha inizio con il ritrovamento di una lettera all’Archivio
Centrale dello Stato, in cui il figlio di Labriola, Alberto Franz, chiede al
Ferrari di riavere indietro la maschera mortuaria.
Roma 22 / 6 / 912
Via del Pellegrino 105
(Telefono 3549)
Chiar.mo Professore
Trovandomi di passaggio a Roma per motivi di servizio vorrei permettermi
di importunarla con una visita. Le sarei grato se volesse farmi conoscere in quali ore posso trovarla. Sarebbe mio desiderio di riavere la maschera di mio padre,
se ella ne l’avesse in studio.
Gradisca signor professore gli atti del mio particolare ossequio.
Suo dev.mo
A. F. Labriola
In questa lettera, datata 1912, sei anni dopo la commemorazione, Alberto Franz Labriola non fa alcun riferimento ad una stele. Questa farà la
sua comparsa in uno scritto di Luigi Dal Pane24, che ha portato ad altri
interessanti scoperte.
L. DAL PANE, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1975, p. 439.
24
La stele e lo stile di Antonio Labriola
261
Vediamo ora il riferimento: «Il 18 marzo 1906 il Labriola fu solennemente commemorato all’Università con un discorso di Andrea Torre e
gli fu eretta una stele, opera dello scultore Ettore Ferrari».
In nota alla citazione vengono portati diversi quotidiani che si sono
occupati di coprire l’avvenimento, ma anche l’indicazione del fatto che
nel trasferimento dell’Università la stele fu smarrita.
Qui di seguito includo le cronache del tempo e documenti che attestano la preparazione dell’opera dedicata a Labriola, comprendente un
bozzetto che sembra delineare una cattedra solenne, più che la stessa
cattedra universitaria.
La ricerca è solo all’inizio, chissà se andando ad esplorare nelle segrete stanze dell’antica università non salti fuori l’omaggio in morte a colui
che ha contribuito a fare grande l’Università di Roma.
7.1. Antonio Labriola commemorato da Andrea Torre25
Oggi ha avuto luogo nell’aula magna della R. Università la solenne commemorazione del prof. Antonio Labriola, che un Comitato di professori universitari, deputati, amici e studenti hanno promosso.
L’aula magna era gremita di pubblico: notate molte signore, il ministro della
pubblica istruzione, on. Boselli, il sottosegretario di Stato on. Credaro, l’on.
Chimienti, l’on. Rava, il senatore Pierantoni, il Senatore Schüpfer, l’on. Cabrini,
l’on. Lollini, l’on. De Amicis, la vedova e la figliola del prof. Labriola, il prof.
Franz Labriola figliuolo del professore, il prof. Ragnisco, l’on. Galluppi, il prof.
Adolfo Venturi, le rappresentanze di tutte le Facoltà universitarie e gran pubblico di giornalisti e studenti.
Il Rettore dell’Università, prof. Tonelli, ha presentato l’oratore. Egli ha detto:
«Dei meriti scientifici del nostro compianto collega non io, profano, oserò far
cenno: ma alla mia manchevolezza supplirà degnamente la incontestata competenza ed il memore affetto del prof. Andrea Torre. E nessuno meglio di lui potrà
farlo, che nella lunga, e costante sua dimestichezza col Maestro incomparabile,
ebbe agio di apprezzarne la profondità del pensiero scientifico e la straordinaria
attitudine didattica».
Quindi il Rettore ha delineato brevemente e splendidamente il carattere e la
mente di Antonio Labriola.
25
Da «Il Giornale d’Italia», 19 marzo 1906.
262
Daniela Secondo
In seguito il signor Rizzini, presidente della Corda Frates, ha lette le adesioni
che sono venute dai più lontani paesi d’Europa: Francia, Inghilterra, Russia,
Belgio, Rumenia, Polonia.
Poi ha presa la parola Andrea Torre, cominciando così:
Il segno caratteristico della personalità dell’uomo che commemoriamo è dato dalla disubbidienza del suo spirito a qualsiasi dogma. Egli fu un critico nel
vero senso della parola: critico dei fatti, critico delle idee altrui ed anche critico
delle idee proprie. Onde non si adagiò mai, egli filosofo e maestro di filosofia, in
alcuna formula filosofica definitiva: perché intese bene che qualsiasi formula è
sempre inadeguata alla realtà, anzi non è che il mero riflesso di un momento e
di un modo della realtà. E per questo egli considerò ogni sistema come una specie di prigione e dichiarò che in una tal prigione non si sarebbe rinchiuso mai.
E poiché egli era avido non tanto di conoscenze più o meno astratte quanto
di scoprire ciò che costituisce il segreto dell’azione e della coscienza umana, — e
l’impresa è la più complicata ed ardua che giammai l’uomo abbia proposta a sé
stesso — Antonio Labriola, spirito sensibilissimo, passionato e di difficile aquiescenza, fu perpetuamente irrequieto nelle sue ricerche, nei suoi dubbi, nelle sue
interrogazioni, e, dirò anche, quasi mai contento dei risultati altrui e dei propri.
Perciò scrisse molto meno di quello che avrebbe potuto se avesse attribuito
maggior valore alla “carta stampata”, come egli diceva, che alla sostanza e
all’efficienza, di ciò che è stampato, e perciò non compone mai l’opera nel senso
classico della parola, cioè una trattazione metodica, complessiva e definitiva intorno ad un tale argomento.
Ma se la sua produzione scritta fu relativamente scarsa di fronte alla sua potenzialità, fu invece ricchissima la sua produzione orale. Da quest’aspetto egli si
può dire veramente un maestro perpetuo: dentro all’Università e fuori, per le vie,
al Caffè Aragno — la sua seconda cattedra, più libera e non meno feconda
dell’altra — in ogni incontro con persona capace di discutere o apprendere, egli
fu inesauribile nel dire, densamente, rapidamente, entrando subito nel nocciolo
delle questioni, soddisfatto quando altri lo intendesse, felice quando altri sapesse comunicare con lui.
Egli fu un maestro perpetuo. Ma anche nell’Università non ebbe alcuno di
quegli atteggiamenti così detti accademici che si attribuiscono all’uomo della cattedra. La sua lezione non era trattenuta entro quei rigidi confini che le regole
convenzionali abitualmente impongono: aveva andature libere e semplici come
si conviene a chi conversa familiarmente intorno ad un argomento, e, senza divagare in cose inutili o superflue, illustra anche gli argomenti e i fatti che si irraggiano da quello centrale. In tal modo le sue lezioni erano una fonte svariatis-
La stele e lo stile di Antonio Labriola
263
sima di conoscenze, un vero granajo per l’intelligenza desiderosa di nutrirsi, un
vero teatro vivente per lo spirito curioso.
Il Labriola non era un oratore nel senso classico della parola e neppure un
artista del discorso; ma era un dicitore così vibrante, nervoso, caustico, svegliatore di attenzione, stimolatore di contraddizioni, che il suo insegnare e più il
suo conversare avevano un’attrattiva, un fascino, difficile a immaginarsi da chi
non li ha subiti.
Queste sue qualità spiegano perché egli non è tutto intero nei suoi libri; e
perché sia perduto di lui un grande tesoro di osservazioni e di analisi spesso
geniali dei più vari avvenimenti e dei più diversi uomini contemporanei: osservazioni ed analisi che se si fossero potute raccogliere nella forma spontanea,
duttile e viva in cui furono dette, non esito ad affermare che costituirebbero la
più interessante storia psicologica del nostro tempo.
*
* *
Dopo questa introduzione, il Torre incomincia a trattare dell’orientazione
dello spirito del Labriola e delle forme della sua mente. Egli dice che tre furono
le principali influenze che il Labriola subì: di Hegel, di Herbart e di Marx.
E si addentra nell’esame delle opere che il Labriola produsse, nei tre diversi
periodi della sua attività, da quando nel 1862 difese la dialettica di Hegel contro
Edoardo Zeller fino a quando avvenne la conversione di lui al socialismo.
Il Torre dimostra che fin nei primi scritti vi erano i germi delle idee che il
Labriola sviluppò in seguito.
Passa poi a dire del modo in cui influì Herbart sulla mente di Labriola; e
quali idee derivò dalla scuola herbartiana e dal neocriticismo francese. E si ferma a discutere dei principii che informarono la sua prelezione sui problemi della
filosofia della storia (1887). Nota come la critica del monismo idealista, la critica
della continuità storica, del concetto di progresso, del valore che le cause multiple e irriducibili hanno nel processo storico prepararono il pensiero di Labriola
ad una comprensione più larga e originale del mondo umano.
Discute quindi della conversione di lui al socialismo. Il Torre dimostra qui
con un esame acutissimo che quando Labriola scrisse sul Socialismo il 1889 non
era socialista nel senso voluto del materialismo storico, ma ancora un ideologo
umanitarista: e che la vera conversione al socialismo non avvenne o almeno non
si rivelò pubblicamente se non nel 1895, e non già tra il 1879 e il 1889 come il
Labriola credeva.
Entra poi a discutere dell’ultimo periodo della mente di Labriola in cui vennero fuori i Saggi sul materialismo storico.
264
Daniela Secondo
L’esame che il Torre fa del materialismo storico come filosofia della storia e
come spiegazione e giustificazione speciale del movimento socialista è tutta una
serie densa e profonda di osservazioni critiche.
Il Torre pone quindi il problema: se possa esistere quella società futura la
quale Engels e Labriola annunziano come la necessaria risultante e soluzione
della crisi della società moderna. E dimostra per quali ragioni Engels e Labriola
si ingannavano su questo punto.
Accenna infine ai germi di una filosofia della praxis che si trovano negli ultimi scritti del Professore dell’Università romana.
Questa filosofia avrebbe dovuto essere il completamento del materialismo
storico.
Quindi conclude:
Un’ultima questione: i legami tra materialismo storico e socialismo sono tali,
che se il materialismo non fosse vero, il socialismo non sarebbe giustificato nella
sua base?
Non tutti i socialisti rispondono in modo affermativo. Jaurès, per esempio,
crede, come Kant, che vi sia una direzione intelligibile, un senso ideale della
storia: egli crede in un ente umanità che cerca ed afferma se stessa nella storia ed
è l’anima del diritto. E per conseguenza ritiene che si può essere socialisti senza
accettare il materialismo storico.
La concezione idealistica della storia espressa da Jaurès è, come può derivarsi da quello che abbiamo detto, una teoria insostenibile al lume dei processi storici delle varie società: ma non per questo si può conchiudere che il socialismo
mancherebbe di classe se il materialismo storico non fosse perfettamente vero in
tutte le sue parti.
Il Labriola ha limitato il problema in questi termini: «Se il materialismo storico non regge, vuol dire che l’aspettativa del socialismo è caduca, e che il nostro pensiero della società futura è creazione da utopisti».
Ma Labriola medesimo insegna che «il futuro non può costituire il criterio
pratico di ciò che noi dobbiamo fare al presente».
Ora la storia e la logica ci dicono che il socialismo è una grande forza: che è
la risultante dello sviluppo economico, politico, giuridico e morale della società
moderna; che questa forza potrà adattarsi ad essere adattata in parte nello svolgimento libero della società borghese; ma che è una forza indistruttibile nei
fondamenti e nella sua ragion d’essere.
E questa constatazione basta all’assunto sociologico che il Labriola s’è proposto.
Bisogna riconoscere inoltre che la storia è il fatto dell’uomo, del suo lavoro,
della sua produzione, dei suoi bisogni, delle sue figurazioni ideali, della sua po-
La stele e lo stile di Antonio Labriola
265
tenza. E questa constatazione spiega e giustifica il realismo nella [nello, nel testo] dottrina filosofica della storia sostenuta dal Labriola.
Egli cammina, dunque, col suo tempo, e all’avanguardia: come guida, come
dirigente, come portatore della lampada della vita.
Perché la sua filosofia non è una esercitazione accademica più o meno dotta,
ma è un fattore di azione: e i suoi insegnamenti, i suoi scritti non sono stati invano: essi sono stimolo e pungolo ad operare, sono arma per combattere, sono l
seme sparso sul terreno, che noi dobbiamo far sì che non rimanga infecondo.
Ricordate le sue parole?
«È del filosofo appunto questa doppia figura: il filosofo, o signori, è di solito,
e per abito e per ufficio suo, critico della conoscenza, critico del pensiero, critico
della società, critico dei pregiudizi. Ma, quando si elevi dentro di sé medesimo,
e per un istante si rappresenti come in compendio, e anzi in forma di poesia, la
somma delle convinzioni che si sia andato facendo per critica di ragione, il filosofo, per poco che spinga lo sguardo di là dalla cerchia della mente dei volgari,
può diventare e parere augure e profeta. Ed io vorrei per un’istante solo vivere,
come per immagine dentro di me, della vita della futura Italia, che, penetrata
tutta della coltura e costituita in forma di verace democrazia, parlerà di noi e
del nostro stato presente, come di infanti ciechi per errore».
Egli vive e vivrà in mezzo a noi sotto l’aspetto da lui stesso descritto.
Egli ha designate le forze e i valori che si agitano nel tempo nostro e fanno la
storia, e ci ha additato il cammino che si può utilmente percorrere.
Io sento ora e sempre la sua voce che mi dice, che dice a noi tutti: Avanti e in
alto!
*
* *
Il discorso ascoltato con attenzione vivissima, in religioso silenzio, è durato
un’ora. Prolungati applausi hanno coronata la sua chiusa. Il ministro Boselli; gli
on. Credaro, Chimienti, Pierantoni, De Amicis, i professori dell’Università e
gran parte del pubblico hanno fatto le più vive congratulazioni all’oratore, che
ha ottenuto un vero grande successo.
7.2. La commemorazione di Antonio Labriola all’università26
Il Consolato romano della Corda Fratres aveva preso l’iniziativa della commemorazione di Antonio Labriola che avrebbe dovuto avere luogo nel II° anni-
26
Da «La Vita», 19 marzo 1906.
266
Daniela Secondo
versario della morte di lui: ma fu rimandata a causa dei disordini studenteschi
per quali L’Ateneo venne chiuso.
Comunque, la cerimonia ebbe luogo ieri e riuscì veramente imponente perché del maestro disse degnamente Andrea Torre e perché il concorso degli intervenuti fu grande e sceltissimo.
Ai lati della vedova e della figlia del Labriola sedevano il ministro Boselli, il
sottosegretario per la pubblica istruzione onorevole Credaro e l’on. Chimienti
sottosegretario per la Grazia e Giustizia.
Tra i molti altri presenti ricordiamo gli onorevoli Lacava, Cabrini e Lollini,
Rava, Galluppi, il senatore Pierantoni e Schüpfer, i professori Impallomeni,
Gregoraci Giuseppe, Vaccaro, Tauro, Boseo, Semeraro, Venturi, Montemartini,
ecc. Moltissime anche le signorine e signore, numerosissimi gli studenti. Dopo
che il rettore Tonelli ebbe presentato con brevi parole l’oratore, Rizzino, console
della Corda Fratres, lesse le adesioni dell’on. Calandra, ministro delle finanze,
del Rettore dell’Università di Oxford, dell’Università di Macerata e di Urbino,
dell’Accademia di Lione, degli studenti Rumeni, dell’Associazione universitaria
romana e degli studenti di Bruxelles.
[…]. Alla destra della cattedra era esposta una stela egregia opera di Ettore
Ferrari, che rappresenta il maestro nell’atto di insegnare nella scuola. La stela
riprodotta in marmo sarà posta nell’aula ove il Labriola insegnava.
7.3. Commemorazione di Antonio Labriola27
Stamane alle 11 nell’Aula Magna dell’Università, ha avuto luogo la commemorazione affettuosa e solenne alla quale ha partecipato, insieme con le autorità, una vera folla di studenti e di pubblico.
[…]. Durante la commemorazione si è scoperto il modello in gesso di una
stele di Ettore Ferrari, che sarà poi tradotta in marmo e collocata nell’aula in cui
il compianto maestro teneva le sue lezioni.
La commemorazione riuscì veramente degna del gran pensatore.
27
Da «La Tribuna», 19 marzo 1906.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
7.4. Immagini dall’Archivio Centrale dello Stato28
Fig. 1 — Un anno prima della commemorazione di Antonio Labriola
si costituisce il Comitato Promotore.
28
Archivio Centrale dello Stato (Roma), Ettore Ferrari, b. 14, fasc. 697.
267
268
Daniela Secondo
Fig. 2 – La scheda di sottoscrizione.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
Fig. 3 – Invito di Emilia Santamaria ad Ettore Ferrari
per partecipare alla riunione del Comitato.
269
270
Daniela Secondo
Fig. 4 – Invito di Andrea Torre a Ettore Ferrari
per intervenire alla riunione del Comitato.
La stele e lo stile di Antonio Labriola
Fig. 7 – Ettore Ferrari, bozzetto della “Cattedra di Antonio Labriola”
271
272
Daniela Secondo
8. Riferimenti bibliografici
ANDREUCCI F. – DETTI T., Il Movimento Operaio Italiano, Dizionario biografico 1853–
1943, vol. I, Roma, Editori Riuniti, 1975.
Antonio Labriola commemorato da Andrea Torre, in «Il Giornale d’Italia», 19 marzo
1906.
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–
2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005.
Commemorazione di Antonio Labriola, in «La Tribuna», 19 marzo 1906.
DAL PANE L., Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi,
1975.
Gli unitari dal socialismo allo stato liberale. Le “note eccellenti” dell’on. Basso, in «Avanti!», 27 marzo 1925.
LABRIOLA A., I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis,
Napoli, Morano, 1976.
La commemorazione di Antonio Labriola all’università, in «La Vita», 19 marzo 1906.
N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, prefazione di E. Garin, Torino, UTET Libreria, 2005.
9. Appendice. Confronto a due colori
Allo scopo di mettere a confronto le tematiche dei due scritti presi in
considerazione29, nel sottoparagrafo 9.1. (Labriola–Basso) adotterò il metodo, impropriamente detto, dei “due colori”, usando il “grassetto” per i
vocaboli di Labriola ed il “normale” per il Basso. A prima vista si vedranno, così, le similitudini di vedute con le relative frequenze.
Nei due scritti, ad una prima lettura, si ha l’impressione di visioni parallele riguardo a metodi, principii e sistemi: quella di Labriola, applicata alla storia e alla sua “filosofia”; quella di Basso, più spostata sull’asse
delle scienze sociali, quasi ci fosse stata una contaminazione veicolata
dal criterio scientifico–sperimentale.
a) L. BASSO, Sul metodo delle scienze sociali. Tesi di laurea discussa con Antonio
Labriola nella Regia Università di Roma «La Sapienza» il 27 giugno 1886, a cura di
N. Siciliani de Cumis, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 545–556; b) LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 23–60.
29
La stele e lo stile di Antonio Labriola
273
9.1. Labriola – Basso
Civile (–i), 29, 33
Civile (–i), 547, 550, 553
Conoscenza, 25, 26, 27, 28, 32
Conoscenza, 548, 555
Coscienza, 36, 37, 38, 39
Coscienza, 546, 549, 551, 554, 556
Costume (–i), 37, 46
Costume (–i), 548, 552
Diritto romano, 46
Diritto romano, 547, 552
Diritto, 36, 42, 48
Diritto, 547, 551, 552
Dottrina, 25, 29, 30, 39
Dottrina, 551, 552
Embriologia, 556
Embrionali (Embriologia), 34, 35
Empirica (–o), (–che), 547, 551, 555,
556
Empirici, 29, 32
Empirismo, 33
Esperienza (–e), 553, 555
Esperienza, 35, 47
Esperimentazione, 553
Esperimento, 26
Esperimento, 550, 554
Evoluzione (Evoluzionismo), 34, 35,
40
Evoluzione, 547, 550
Fatti (Fatti sociali), 546 sgg.
Fatti umani, 26, 30, 31
Fatto (–i) storico (–i), 25, 28, 29, 30,
32, 38
Filosofia della Storia, 25, 41
Filosofia, 25, 30, 38, 44, 48
Filosofia, 546
Forme, 27, 28, 31, 32, 34, 38, 46
Forme, 547, 548
Interesse, 25, 26, 27, 28, 31
Interesse, 549 sgg.
Legge (Leggi), 546 sgg.
Legge, 25, 37, 39, 46
Logica, 26
Logica, 546
Metodo (–i), 25, 26, 28, 31, 33, 35, 42
Metodo (–i), 546 sgg.
Natura, 26, 34, 35, 42, 48
Natura, 547, 549, 550, 552, 554
Osservazione (–i), 547, 548, 551, 553
Osservazione, 26
Pensiero, 34, 38, 43, 47
Pensiero, 547
Popoli, 30, 33, 35, 45, 47, 49
Popolo (–i), 546 sgg.
Principio (–ii), 25 sgg.
Principio (–ii), 547 sgg.
Prodotti, 35, 38
Prodotto, 546, 555
Progresso, 25, 27, 32, 35, 42, 46, 47, 49
Progresso, 546, 554
Proprietà, 28, 30, 31
Proprietà, 550
Psicologia (individuale, sociale), 25,
26, 30, 35, 36, 40
Psicologia, 548
274
Daniela Secondo
Ragione, 39
Ragione, 547
Sistema, 25, 32, 36, 37
Sistema, 547 sgg.
Religione, 27, 36, 48
Religioni, 548, 549
Società, 27, 49
Società, 546 sgg.
Ricerca, 25 sgg.
Ricerca, 553, 556
Spazio, 39
Spazio, 548, 553
Scientifica (–o), 25, 26, 27, 28, 32, 41
Scientifica, 547, 550
Spirito, 25, 26, 27, 35, 36, 46, 49
Spirito, 550
Scienza (–e) storica (–che), 35, 38
Scienza, 30 sgg.
Scienza, 546 sgg.
Storia, 25 sgg.
Storia, 546, 547, 548, 555
Sentimento (–i), 552, 553, 556
Sentimento, 27, 32
Vita, 27, 48
Vita, 546, 547, 548
La stele e lo stile di Antonio Labriola
275
9.2. Indice dei nomi in Luigi Basso
ARISTOTELE, 546
BACONE, F., 546
BAGEHOT, W., 555
BAIN, A., 554
BOSSUET, J.B., 555
BUCHANAM, G., 547
BURKE, E., 547
MACHIAVELLI, N., 546
MARIA STUARDA, 547
MENGER, K., 552, 555
MILL, J.S., 553
MILTON, J., 547
MONTESQUIEU, 550
PLATONE, 546
COMTE, A., 547
ROUSSEAU, J.J., 547
KANT, I., 547
SCHÄFFLE, A.E.F., 554
SPENCER, H., 550, 555
LANGUET, H., 547
LINDNER, G.E., 547
TOMASIO, C.T., 547
VICO, G., 546, 547
276
Daniela Secondo
9.3. Indice delle tematiche ricorrenti in Luigi Basso
Anatomia, 556
Autorità, 550
Chimica, 548, 555
Civile (–i), 547, 550, 553
Conoscenza, 548, 555
Cosa, 547
Coscienza, 546, 549, 551, 554, 556
Costume (–i), 548, 552
Deduttivo, 550 sgg.
Diritto civile, 552
Diritto divino, 552
Diritto naturale, 547
Diritto razionale, 547
Diritto romano, 547, 552
Diritto, 547, 551, 552
Dottrina, 551, 552
Economia politica, 552, 553
Embriologia, 556
Empirica (–o), (–che), 547, 551, 555,
556
Esperienza (–e), 553, 555
Esperimentazione, 553
Esperimento, 550, 554
Evoluzione, 547, 550
Fatti (Fatti sociali), 546 sgg.
Fenomeni sociali, 547
Filosofia, 546
Fisica, 546, 548
Fisiologia, 556
Forme, 547, 548
Giurisprudenza, 552
Giustizia, 551, 552
Guerra, 546, 548, 552
Igiene, 556
Interesse, 549 sgg.
Legge (Leggi), 546 sgg.
Libertà, 547, 549, 550, 551, 553, 556
Logica, 546
Matematica (–che), 550, 553
Medicina, 556
Metodo (–i), 546 sgg.
Morale, 547
Natura, 547, 549, 550, 552, 554
Nazionale (Nazionalità), 550, 551
Nazione, 550 sgg.
Ordinamento politico, (giudiziario),
546, 547, 548
Organi, 554
Organismo (–i), 547, 548, 549, 554
Osservazione (–i), 547, 548, 551, 553
Pace, 548
Pensiero, 547
Politica teoretica, 554
Politica, 546, 556
Popolo (–i), 546 sgg.
Pratica, 547, 552
Principio (–ii), 547 sgg.
Procedimenti penali, 546
Prodotto, 546, 555
Produzione, 549
Progresso, 546, 554
Proprietà, 550
Prosperità, 548, 551, 553, 554
Psicologia, 548
Ragione, 547
Razionale, 548
Religioni, 548, 549
Ricerca, 553, 556
Rivoluzione francese, 547
Rivoluzione, 547, 548
La stele e lo stile di Antonio Labriola
Scientifica, 547, 550
Scienza, 546 sgg.
Scienze sociali, 546 sgg.
Sentimento (–i), 552, 553, 556
Simpatia, 552
Sistema, 547 sgg.
Società, 546 sgg.
Sociologia, 546
Spazio, 548, 553
Sperimentale, 551, 553, 554
277
Spirito, 550
Storia, 546, 547, 548, 555
Sviluppo, 548, 549, 553
Tempo, 548
Teoria, 547
Uguaglianza (Eguaglianza), 547, 550,
551
Vincolo giuridico, 546
Vita, 546, 547, 548
Daniela Secondo
278
9.4. Indice dei nomi in Antonio Labriola
BARZELLOTTI, G., 49
BIEDERMANN, G., 43
BÖCKH, A., 31n
BUCKLE, [?], 48
COMTE, A., 34n., 40n.
DARWIN, C.R., 48
DROYSEN, J.G., 31
FERRARI, [?], 37n.
GERVINUS, G.G., 31
GIOBERTI, V., 46n.
HEGEL, G.F.W., 40n., 41 sgg.
HERDER, J.G., 41
HERMANN, K.F., 43
HUMBOLDT, W., 49n.
HUXLEY, T.H., 35n.
LAZARUS, R.S., 37
LINDNER, G.E., 36n.
LIPPERT, J., 48n.
LOTZE, R.H., 49n.
MARLO, K.G.W., 29n.
MAZZINI, G., 46n.
MOMMSEN, T., 29n.
MORSELLI, E., 34n.
PAUL, H., 37
RENAN, J.E., 46n.
ROLLIN, C., 29n.
SCHÄFFLE, A.E.F., 36
SCHELLING, F.W., 40n.
SCHILLER, J.C.F., 50n., 51n.
SCHOPENHAUER, A., 34
STEINTHAL, H., 37, 49n.
TOCCO, F., 46n.
VERA, A., 43, 49
VICO, G., 31n., 39n., 50
WOLF, F.A., 31n., 49n.
WUNDT, W., 37
La stele e lo stile di Antonio Labriola
279
9.5. Indice delle tematiche ricorrenti in Antonio Labriola
Accadimenti umani (–storici), 31, 42
Ammaestramento, 43
Animo, 26, 27, 46, 49, 50
Antropologia, 34
Arte, 39, 42, 44, 48
Civile (–i), 29, 33
Civiltà, 25 sgg.
Configurazione demografica, 30
Conoscenza, 25, 26, 27, 28, 32
Coscienza, 36, 37, 38, 39
Cose, 26, 29, 34, 40, 47
Costume (–i), 37, 46
Critica, 34, 36, 39, 45
Cultura, 27, 32, 42
Darwinismo, 48
Demografia, 33
Destino, 27
Diritto romano, 46
Diritto, 36, 42, 48
Disciplina (–e), 25, 26–29, 30, 33, 41
Dottrina, 25, 29, 30, 39
Economia, 29
Embrionali (Embriologia), 34, 35
Empirici, 29, 32
Empirismo, 33
Epigenesi, 35, 38, 39
Epoca (–che), 26, 30, 45
Esperienza, 35, 47
Esperimento, 26
Etica, 26, 48
Etnografia, 33
Evoluzione (Evoluzionismo), 34, 35, 40
Extrascientifica, 41
Fatti umani, 26, 30, 31
Fatto (–i) storico (–i), 25, 28–30, 32, 38
Filologia, 28
Filosofia della Storia, 25, 41
Filosofia, 25, 30, 38, 44, 48
Fisica sociale, 29
Forme, 27, 28, 31, 32, 34, 38, 46
Genesi, 34, 45
Genetico, 35
Grammatica, 31
Hegellismo, 49
Historica, 31
Ideologia (Ideologiche), 45, 48
Incivili, 33
Intelligenza, 28, 48
Interesse, 25, 26, 27, 28, 31
Interpretazione, 28
Istituto giuridico, 28
Istituzioni politiche, 31
Istrumenti, 27
Lavoro, 28, 30, 47
Legge, 25, 37, 39, 46
Lingua (–e), 37, 42
Linguistica (–i), 28, 29, 38
Logica, 26
Materia, 28
Metafisica, 39
Metodo (–i), 25, 26, 28, 31, 33, 35, 42
Miti, 37
Modi, 27, 34
Monismo (Monistica), 33, 42
Morfologia, 37
Natura, 26, 34, 35, 42, 48
Neo–formazione, 25, 32, 33, 38, 39, 46
Obiettività (Obiettiva), 25–26, 29–31, 46
Ordinamenti familiari, 31
Ordinamento, 34, 42
Osservazione, 26
Daniela Secondo
280
Paesi, 40
Paleografici, 28
Pedagogica, 31
Pensiero, 34, 38, 43, 47
Periodo, 26
Popoli, 30, 33, 35, 45, 47, 49
Preformazione, 38
Pregiudizio (–i), 29, 42, 43, 45
Prelazione, 26
Preordinazione germinale, 40
Principio (–ii), 25 sgg.
Procedimento (–i), 25, 27, 28
Processo, 25, 32, 42
Prodotti, 35, 38
Progresso, 25, 27, 32, 35, 42, 46, 47, 49
Proprietà, 28, 30, 31
Psicologia, (individuale, sociale), 25,
26, 30, 35, 36, 40
Ragione, 39
Rappresentazione, 26
Regresso, 32, 47
Religione, 27, 36, 48
Ricerca, 25 sgg.
Riproducibilità, 28
Scientifica (–o), 25, 26, 27, 28, 32, 41
Scienza (–e) storica (–che), 35, 38
Scienza, 30 sgg.
Scienze morali, 34
Scienze naturali, 27
Scienze organiche, 37
Scuola herbartiana, 36
Sentimento, 27, 32
Sistema, 25, 32, 36, 37
Società, 27, 49
Spazio, 39
Spirito, 25, 26, 27, 35, 36, 46, 49
Storia, 25 sgg.
Storiografia, 30, 37
Studi antropologici (etnografici), 30
Studi sociali, 33
Subiettività, 30
Tecnica, 48
Teoria epigenetica, 35
Tradizione, 25, 31, 36, 37, 42
Vita, 27, 48
Antonio Labriola e la multimedialità∗
Roberto Toro
1. Introduzione
La figura di Antonio Labriola — così come essa si manifesta, all’inizio
del ventunesimo secolo, alla nostra coscienza e alla nostra sensibilità —
non appare (almeno ad uno sguardo sommario) contraddistinta da una
rilevante contiguità con la dimensione multimediale. Sembra, infatti,
possibile (e anzi necessario) riferirsi a Labriola — sia pure entro i limiti
di una percezione estemporanea — come ad una personalità di studioso
scientificamente rigoroso; a un intellettuale capace, in definitiva, di guardare avanti meglio e più di altri nella rappresentazione del proprio pensiero, giungendo infine a esprimere un punto di vista ben definito e pienamente consapevole sulla realtà1. Tutto ciò non sembra, sulle prime,
potersi conciliare appieno con taluni aspetti del sentire multimediale, che
è — anzitutto — un sentire plurivoco, consistente nella percezione scambievole e per così dire reversibile della realtà nel rapporto tra dimensioni
diverse del comunicare. Da una parte, dunque, la personalità della quale
Labriola dà prova, il rifiuto da parte del filosofo di ogni irragionevole
supponenza; d’altra parte, il manifestarsi (nell’ambito multimediale) di
linguaggi e codici differentemente articolati, perfino eterogenei, ma destinati — nella prospettiva dei potenziali utenti — a interagire nel contesto di un’informazione moltiplicata e “arricchita” rispetto ai dati iniziali.
∗
Pubblicato in «Slavia», n. 2, aprile–giugno 2006, pp. 93–108.
«Labriola fu il primo marxista teorico in Italia, forse il maggiore: il primo autore
che nei Saggi sul materialismo storico […] abbia tradotto l’eredità di Marx ed Engels
su un piano alto e originale. Labriola diventa marxista a cinquanta anni, cioè dopo
aver pensato e scritto per decenni come non–marxista. È un marxismo che risente
del suo precedente liberalismo» (Labriola e la sua Sapienza, intervista di G. Gaetano a
N. Siciliani de Cumis, pubblicata in rete il 24 marzo 2004 su M@g – Quotidiano online
della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica. In rete all’indirizzo: http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia?id_cattnewsT=3887).
1
282
Roberto Toro
In realtà il rapporto intercorrente tra Labriola e la multimedialità (si
potrebbe, forse, aggiungere: tra l’universo labrioliano e l’universo multimediale), pur risultando difficoltoso sotto alcuni aspetti, non può ritenersi eccessivamente problematico. O, meglio, esso può apparire — a chi
consideri con interesse e curiosità intellettuale le rispettive caratteristiche dei due “universi” — fortunatamente problematico: si tratta, infatti, di
un rapporto assai promettente, se inteso in conformità delle necessarie
premesse teoriche e degli esiti maggiormente significativi che da esso
possono scaturire. Fra questi ultimi si annoverano, con particolare evidenza, la Mostra documentaria Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia, realizzata — dall’8 marzo al 25 aprile 2005 — «per i settecento anni dell’Università di Roma “La Sapienza” (1303–2003), ad un
secolo dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004)»; e il libro–catalogo
Antonio Labriola e la sua Università, realizzato — in corrispondenza di tale
iniziativa — a cura di Nicola Siciliani de Cumis, con il contributo di «una nutrita schiera di giovani studiosi e studenti, collaboratori a vario titolo della Prima Cattedra di Pedagogia generale della “Sapienza”»2.
Quest’ultima realizzazione può, in effetti, contribuire non poco —
configurandosi come un proseguimento assai significativo dell’itinerario
originariamente percorribile (in senso reale e metaforico) all’interno della Mostra labrioliana — a delineare il senso e la prospettiva di una visione
“multimediale” di Labriola; essa può anche, naturalmente, contribuire a
determinarne le condizioni e i limiti. Occorre, per l’uno come per l’altro
momento della “ricostruzione” labrioliana, identificare un percorso di
lettura che tenga conto della provvisorietà — identificabile, come si è visto, in riferimento a dati apparentemente contraddittori — delle premesse più sopra riportate; e che giustifichi l’approccio a un terreno (quello
del Labriola “multimediale”, appunto) fertile ma non ancora sufficientemente conosciuto. Occorre, soprattutto, avvertire che siffatta ipotesi di
lettura del “personaggio” Labriola (e dei contributi labrioliani in vario
modo rappresentati nel catalogo) assume una connotazione tendenzialmente sperimentale, in conformità del carattere quasi “magmatico” — o,
se si preferisce, omnimoventesi – dello studioso, «critico di tutti e anche di
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura
di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 13.
2
Antonio Labriola e la multimedialità
283
se stesso» ma soprattutto «felice quando altri sa conversare e comunicare
con lui» (così scrive Gwynplaine, in occasione del venticinquesimo anniversario [1899] dell’insegnamento di Labriola alla «Sapienza»)3.
È proprio la necessità di riconoscere alla “fisionomia” labrioliana una
vocazione sperimentale che definisce appieno la condizione dello studioso, in riferimento al tema della multimedialità. Non si tratta, evidentemente, di un rapporto verificabile sul piano delle circostanze oggettive
(Labriola muore nel 1904, molti anni prima dell’avvento del cinema sonoro e, soprattutto, della macchina di Turing); si tratta, invece, di una relazione assai suggestiva, tendenzialmente sfumata, che potrebbe — agli
occhi di noi moderni — identificarsi mediante l’abbinamento dei termini
fuori e dentro. Labriola si pone fuori del contesto multimediale per ragioni
invero necessitanti (le circostanze di ordine temporale prima ricordate);
egli può, tuttavia, situarsi dentro la multimedialità per il carattere intrinsecamente complesso, volto al divenire, della sua visione filosofica e pedagogica; può situarvisi anche in virtù della proiezione che i suoi estimatori, riferendosi alla manifesta attualità del pensiero labrioliano, hanno
effettuato ed effettuano tuttora. Si pensi all’osservazione riportata da
Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche (paragrafo n° 90), relativa al metodo
e al concetto stesso di filosofia: «È come se dovessimo guardare attraverso
i fenomeni: la nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni, ma, si potrebbe dire, alle “possibilità” dei fenomeni»4; ciò sembra corrispondere
assai bene all’iter compiuto da Labriola, sia in riferimento alla capacità
labrioliana di “guardare attraverso” il proprio tempo in vista degli sviluppi futuri (prossimi o remoti), sia in relazione alla necessità che noi
stessi — osservando il percorso labrioliano da un punto di vista privilegiato — giungiamo a individuarne le molteplici risorse, riconoscendovi
il germe di possibilità esplicitamente o implicitamente costituite.
3 Il testo completo dell’intervento, originariamente pubblicato sulla rivista «Roma» (1899, pp. 475–477), è riportato in: A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N.
Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, pp. 665–669.
4 L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, ediz. it. a cura di M. Trinchero, Torino, Einaudi, 1967, p. 60. Cfr. anche: E. GARRONI, Estetica. Uno sguardo–attraverso, Milano,
Garzanti, 1992, pp. 13–14.
284
Roberto Toro
2. Annotazioni per un Labriola “sperimentalista”
La propensione di Labriola verso un atteggiamento innovativo e, per
così dire, “sperimentalista” emerge con chiarezza nel testo di Giuseppe
Boncori Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti
pedagogici di Antonio Labriola. Lo scritto, compreso nel libro–catalogo della Mostra (pp. 208 e sgg.), pone in particolare evidenza la radice pedagogica del “farsi” teorico labrioliano e rappresenta, per questo motivo, un
contributo non certamente trascurabile (al di là del valore intrinseco dal
quale esso risulta, con evidenza, contraddistinto) al fine di accertare —
ancora in riferimento al tema della multimedialità — le analogie e le differenze esistenti tra la prospettiva filosofica di Labriola e l’attuale prospettiva dell’informazione e della conoscenza, così come quest’ultima si configura nelle parole di Roberto Maragliano: «la direzione fondamentale
verso cui procedere […] non è di imporre un ordine sull’altro, o un ordine prestabilito su un “disordine” considerato come aberrazione, ma di
cercare punti di dialogo, confluenza e alleanza tra le molte modalità di
definizione e organizzazione delle conoscenze, accettando di convivere
con la quota ineliminabile di “rumore di fondo”, quindi con elementi di
disordine»5.
Occorre, anzitutto, evidenziare la dimensione interdisciplinare che risulta — nel citato scritto di Boncori — assegnata al contributo pedagogico labrioliano. L’insegnamento, precisa l’autore, «è visto da Antonio Labriola nel contesto dello svolgimento storico e delle sue “variabili” sociali e individuali, con dimensioni interdisciplinari e psicologico–sociali
importanti […] Ad anticipare futuri discorsi applicativi è già un parlare
di “individualità in continuo sviluppo” e di “sempre variati contatti col
mondo circostante”»6. Una specifica attenzione viene riservata, da Boncori, alla rilevanza didattica della proposta labrioliana, con particolare riferimento alla formazione storica: «L’insegnamento della storia è un costrutto complesso in cui convergono varie dimensioni applicative del
pensiero labrioliano tendente a “un’educazione interiore dell’animo”
R. MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale, Roma–Bari, Laterza,
2004, p. 25.
6 G. BONCORI, Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti pedagogici di Antonio Labriola, in: Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 209.
5
Antonio Labriola e la multimedialità
285
che integri dimensioni spirituali e variabili “tecniche”, in vista di una
“formazione del vivo senso delle cose, in quanto capaci di muovere lo
spirito interessandolo”. La prospettiva con cui il Labriola si pone di fronte alla diacronia è quindi decisamente sincronica, ancora una volta interdisciplinare e critica sull’analisi e sulla progressione delle variabili»7.
È, tuttavia, nel configurare il profilo del maestro che Labriola — così
come emerge dalla visione proposta, in queste pagine, da Boncori — delinea i tratti essenziali di un ideale (destinato a realizzarsi soltanto dopo
molto tempo8) di sperimentazione pedagogica: «[…] il maestro è l’elemento
critico che, maturata egli stesso una motivazione e un interesse per la storia formativa del fanciullo, è in grado di stabilire un profondo legame
formativo, “simpatetico”, “spirituale” che gli consente di porre in atto
un intervento didattico realistico e capace di produrre gli sviluppi ipotizzati; questi verranno perseguiti attraverso metodi, strumenti, tecniche,
interventi razionali e sempre verificati»9. La rilevanza assegnata al contesto metodologico corrisponde, in Boncori, al delinearsi di una pedagogia contrassegnata, fin dall’inizio del Novecento, da un’attitudine scientifica e sperimentale: a cominciare dalle esperienze di Alfred Binet (la
“Scala metrica dell’intelligenza”, ideata dallo psicologo francese, risale al
1909) si assiste, infatti, a una progressiva ascesa delle nuove tendenze e
all’instaurarsi di prospettive strettamente connesse con il progresso tecnico; lo sforzo di rispondere sempre meglio alle esigenze formative della
società conduce — come ricorda Boncori all’inizio del proprio scritto —
a costruire «strumenti progressivamente sempre più perfezionati, con
tecnologie per una più rapida e sicura acquisizione dei dati (per esempio
attraverso scanner ottici), elaborazione (per esempio attraverso test statistici fattoriali e multivariati) e comunicazione (per esempio attraverso
Ivi, p. 211. Il riferimento labrioliano compreso nella citazione è tratto da: A. LADell’insegnamento della storia (1876), nella raccolta degli Scritti pedagogici, cit.,
p. 267.
8 «Pur senza riferirsi ad un concetto formale di sperimentazione, cosa peraltro
fuori del contesto storico e culturale in cui opera il Labriola, ci sembra tuttavia di
riscontrare nella descrizione professionale del maestro da lui elaborata un’aderenza
a qualità che, qualche decennio più tardi, porteranno a distinguere l’esperienza
dall’esperimento» (ivi, pp. 213–214).
9 Ivi, p. 213.
7
BRIOLA,
286
Roberto Toro
sistemi informatici per la costruzione automatizzata e individualizzata
di profili di orientamento)»10.
A tali strumenti pedagogici (ascrivibili, almeno in parte, all’ambito
delle nuove tecnologie) possono forse avvicinarsi i più recenti prodotti
dello sviluppo multimediale, nella veste di sussidi didattici — e, in senso
lato, formativi — ormai indispensabili. Si assiste, in definitiva, alla conferma dell’ipotesi che «la strumentazione tecnologica possa creare nella
scuola nuove sintesi di metodi pedagogici; possa cioè consentire, nella
pratica, la traduzione dei “criteri di cambiamento” in “nuovi modelli di
interazione didattica”»11: tale mutamento, lungi dal poter essere definito
in modo permanente, risulta determinato dall’intersezione di variabili —
l’innovazione del sapere e la medesima possibilità di trasmetterne i contenuti — non riconducibili ad una sintesi definitiva (e, anzi, fondate sul
divenire del contesto esperienziale).
Se il ricorso a procedimenti informatici o audiovisivi nell’ambito della
formazione si inserisce nella dimensione progettuale dell’operare didattico, il significato (tendenzialmente generico12) del termine “multimedialità” appare destinato a precisarsi in relazione agli specifici percorsi progettuali nei quali esso risulta utilizzato; ciò non esclude, peraltro, il possibile configurarsi di un vero e proprio modello di apprendimento multimediale, per così dire “trasversale” rispetto ai singoli itinerari didattici
di volta in volta predisposti e resi operativi13.
Ivi, p. 209.
R. ZAVALLONI – M. PARENTE, Formazione degli insegnanti e innovazione educativa,
Roma, Antonianum, 1980, p. 250.
12 «La multimedialità rischia di affondare nella multisemanticità. Per galleggiare
e per navigare deve liberarsi di alcuni pesi. Tra questi, la genericità» (MARAGLIANO,
Nuovo manuale di didattica multimediale, cit., p. 5).
13 «L’uso strutturale di strumenti multimediali preconizza una scuola di nuovo
tipo. Antonio Calvani la definisce “Iperscuola”, in un saggio dallo stesso titolo. Non
si vuol dire che non sia possibile utilizzare strumenti informatici o multimediali
nell’ambito dell’organizzazione attuale, ma che essi tendono a cambiarne la forma,
verso un modello che può essere realizzato anche parzialmente, ma che costituisce
comunque un punto di riferimento e una tendenza del processo di trasformazione
in atto» (E. RUFFALDI, Insegnare filosofia, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1999,
pp. 151–152).
10
11
Antonio Labriola e la multimedialità
287
È nel delinearsi di una simile prospettiva (considerata nel suo insieme
e non soltanto in riferimento agli sviluppi maggiormente avanzati) che
possono trovare posto alcune tra le più suggestive intuizioni labrioliane:
lo scritto di Boncori ne offre una significativa testimonianza. Pure, la necessità di situare i contributi di Labriola in una collocazione “naturale”
— avvertita e resa esplicita dallo stesso Boncori — vale a ricondurre, in
modo più generale, la figura di Labriola nel contesto che meglio le si addice: «[…] ciò che degli “scritti pedagogici” sembra più ermeneuticamente attuale, oltre agli aspetti brevemente accennati, è una dimensione
trasversale che inserisce quest’autore all’interno dello sviluppo storico
tra filosofia e pedagogia, quasi un ponte tra metodologie educative in un
processo di fortissimi cambiamenti annunciati, tra teoresi e sperimentazione»14. Labriola come “uomo di confine”, dunque, in una visione che
potrebbe — in modo, apparentemente, paradossale — presentarsi accanto a quella di un Labriola «pedagogista (nel senso lato della parola) solo
fino ad un certo punto attuale»15. Non è, qui, in discussione lo spessore
educativo dell’intera opera labrioliana16: «Il problema è […] di conoscere,
alla fine, accanto al come ed al perché dell’attualità di un Labriola rivoluzionario in quanto educatore, il vantaggio che può forse derivare oggi,
ancor più, dalla verifica e dall’accertamento dei fatti che sono alla base
della sua stessa ipotizzata “inattualità” di filosofo e di marxista della Seconda internazionale»17.
3. Dalla Mostra al Catalogo: idee per un percorso di lettura
La presenza, in Antonio Labriola, di un’apprezzabile apertura verso il
nuovo (anche nei termini, fin qui introdotti, di un’attitudine in qualche
misura sperimentalista) rappresenta, con ogni evidenza, un elemento importante nella delineazione di quel percorso di lettura del quale si è accennato, in vista di una possibile ricostruzione del rapporto Labriola–
BONCORI, Metodologia sperimentale…, cit., p. 215.
N. SICILIANI DE CUMIS, Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, p. 37.
16 Per le osservazioni espresse, in proposito, da Siciliani de Cumis, cfr. ivi, pp. 35
e sgg.
17 Ivi, pp. 39–40.
14
15
288
Roberto Toro
multimedialità. Un ulteriore contributo al raggiungimento di tale obiettivo è rappresentato dallo scritto di Roberto Sandrucci, Mettere in mostra
Antonio Labriola, anch’esso riportato — così come il predetto intervento
di Boncori — nel libro–catalogo (pp. 71 e sgg.): si tratta di una riflessione
assai stimolante — si potrebbe, forse, dire: energica — sul significato che
dovrebbe ascriversi (ma che, in realtà, è ben lungi dall’essere ascritto) al
catalogo, alla mostra e, soprattutto, alla figura di Labriola (con particolare riguardo alla funzione docente del medesimo).
Sembra, in effetti, difficile non essere d’accordo sull’incipit dell’intervento di Sandrucci, quando egli — a proposito del catalogo come della
mostra — invoca il manifestarsi «di apprezzamenti di qualsiasi segno»;
appare, perfino, auspicabile che tali apprezzamenti si rivolgano anche
alle sezioni maggiormente spettacolari della mostra («c’è del cinema e c’è
del multimediale: dunque qualche abbaglio di suoni e di luci che tanto
piacciono agli italiani»18) e magari allo stesso catalogo (che riuscirebbe,
in verità, difficoltoso — sia pure assecondando la provocatio verbale
dell’autore — considerare alla stregua di «una pedante esposizione di
carte»).
È, naturalmente, appena il caso di evidenziare (chiedendo venia a
Sandrucci e allo stesso Labriola, il quale avrebbe verosimilmente condiviso il senso e apprezzato l’efficacia delle affermazioni appena tratte
dall’articolo) che ci si trova d’accordo con la sostanza del discorso esaminato. L’accento situato dall’autore sul Labriola pedagogista risulta
quanto mai significativo, connettendosi — nello scritto di Sandrucci —
con il ritratto dell’università labrioliana (la quale «supera i muri
dell’accademia per agire nel mondo in tempi e luoghi supplementari alla
Cattedra: perciò non disdegna la piazza e la strada; si serve di quotidiani
e periodici, siede al caffè, entra in fabbrica e in tribunale; e si adopera nei
carteggi privati»19).
Se la mostra, secondo l’osservazione di Sandrucci, deve considerarsi
«una forma e una strategia dell’insegnamento della storia»20, quest’ultimo può — con ogni evidenza — definirsi, a partire dalla concezione laR. SANDRUCCI, Mettere in mostra Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 71.
19 Ibidem.
20 Ivi, p. 72.
18
Antonio Labriola e la multimedialità
289
brioliana, mediante un progressivo riconoscimento dei punti di vista a suo
tempo espressi dallo studioso. Ad attestare la liceità di tale intendimento
si situa — così come ricorda lo stesso Sandrucci — la consapevolezza che
«qualcuno ha continuato a lavorare convinto della necessità di mantenere vivo (in verità bisognerebbe dire: resuscitare) una possibilità di dibattito. Sicuri che Labriola possa essere ancora scientificamente — e appassionatamente — interrogato; che sia disponibile a dare delucidazioni su
singoli episodi e avvenimenti generali dell’Italia post–risorgimentale e
del primissimo Novecento; a fornire spiegazioni su illustri e meno illustri; a parlare di identità nazionale»21. Tutto ciò sembra collimare con la
possibilità che Labriola, davvero, sia già presente alla nostra coscienza,
purché si abbia la sensibilità necessaria a saperlo interrogare; diversamente, si rischia di ricadere — come avverte Sandrucci — «nella ignoranza collettiva — o dimenticanza o rimozione […] di Antonio Labriola
e delle questioni di cultura, di politica e di formazione, legate alla sua vita e alla sua riflessione»22.
In quest’ottica non appare inutile riflettere — raccogliendo l’indicazione precedentemente offerta da Sandrucci — sulla natura del divenire
storico, che può assumere prospettive e dimensioni non agevolmente
prevedibili23. La condizione di sostanziale incertezza rispetto al divenire
ha trovato, in effetti, conferma nel verificarsi della rivoluzione multimediale, apparsa — soprattutto nel corso degli ultimi decenni — come un
evento capace di riflettersi sulla natura e sui medesimi presupposti di
svariate categorie umane (lavoro, formazione e informazione, comunicazione): Labriola non avrebbe potuto, ovviamente, prevedere il costituirsi
di tale fenomeno, ma il carattere progressivo della sua ricerca non consente a posteriori di situarlo fuori dalla prospettiva labrioliana, sia pure nei
termini alquanto generici di una variatio delle opere dell’uomo. Diversamente rilevante, tuttavia, è la disponibilità della quale Labriola avrebbe
dato prova (e, per quanto riguarda i “fatti umani” a lui contemporanei,
ha effettivamente dato prova) nei confronti di tutto quanto potesse — in
conformità di un atteggiamento dialettico — corrispondere a un punto di
Ivi, pp. 72–73.
Ivi, p. 72.
23 «[…] quello che del divenire una volta sembra svelato e fissato, in un successivo
ricercare può traballare o franare senz’altro» (Ibidem).
21
22
290
Roberto Toro
vista diverso dal proprio24: seppure Labriola avesse manifestato perplessità (o, magari, disapprovazione) riguardo alla “dimensione” multimediale, quest’ultima — si può essere certi — non avrebbe mancato di suscitare il suo interesse.
Una conferma indiretta (ma non per questo meno significativa) del
punto di vista fin qui delineato è nel rapporto — puntualmente definito
nello scritto di Sandrucci — tra ricerca e didattica in Labriola. La presenza, nell’odierna istituzione scolastica, di una componente multimediale
non effimera25, il ruolo non certamente marginale da quest’ultima esercitato nel più generale contesto della formazione, non potrebbero giustificarsi richiamando esclusivamente la sfera del procedere operativo: tali
fenomeni non avrebbero acquisito (e non acquisirebbero) l’anzidetto rilievo, in assenza di una mutua fertilizzazione della prassi didattica con
la ricerca pedagogica, sociologica, psicologica e anche informatica. Labriola sembra avere percepito assai bene — fin dal periodo di stesura
(1869) del Socrate — tutto questo, seppure in una prospettiva necessariamente generica: «In Labriola la ricerca e la didattica molte volte si sono intrecciate; e così dovrebbe essere sempre: buone sorelle che si conoscono a perfezione, che sanno andare in soccorso l’una dell’altra, che si
scambiano con gioia ogni bene in loro possesso (le vesti quotidiane al
pari dei gioielli). Che nascono, infine, dalla medesima pianta che si po-
24 «[…] Labriola era assolutamente asistematico, coerentemente contraddittorio
o, se si preferisce, contraddittoriamente coerente. Un pensatore dialettico, inquieto,
che si forma in presenza dei propri interlocutori: singoli individui o gruppi, studenti, organizzazioni culturali, partiti politici» (Labriola e la sua Sapienza, intervista di G.
Gaetano a N. Siciliani de Cumis, cit.).
25 La diffusione, a livelli notevoli, di una “cultura” multimediale si annovera —
ormai da tempo — tra le finalità di molte istituzioni scolastiche. Essa corrisponde,
seppure indirettamente, al punto di vista espresso (già nel 1974) da Robert F. Mager
nel suo noto lavoro L’analisi degli obiettivi (Teramo, EIT, 1974, p. 13): «[…] l’unica
giustificazione legittima dell’istruzione è la riduzione o eliminazione di una differenza autentica tra ciò che qualcuno “può” fare e ciò che egli o qualche altro “vorrebbe” che facesse». Il linguaggio multimediale rappresenta, per le recenti generazioni, uno strumento capace di garantire il più autentico contatto con la realtà; il
medesimo problema dell’alfabetizzazione iniziale sembra, ormai, destinato a cedere il
posto — per urgenza e importanza — al problema del possibile uso delle nuove tecnologie da parte dei giovani.
Antonio Labriola e la multimedialità
291
trebbe descrivere come una specie di arbusto dalla bizzarra foggia di
punto interrogativo»26.
Nella parte conclusiva del proprio scritto, Sandrucci si sofferma brevemente — riprendendo un’osservazione iniziale — sulle modalità di
allestimento del catalogo, «per la cui attuazione […] è stato decisivo il
contributo, pratico e di idee, di studenti e di neo–laureati; dove hanno
trovato spazio lavori eterogenei — di diversa impostazione, di competenze formate e di altre in graduale evoluzione; dove le proposte interpretative si sono arricchite mutuamente nel rispetto delle reciproche
specificità»27. Siffatto modo di procedere corrisponde a una decisa
(quanto suggestiva) affermazione di democrazia partecipativa; esso può
considerarsi, nel medesimo tempo, una concreta manifestazione del concetto — in qualche misura generico — di multimedialità: colpisce, infatti,
il riferimento di Sandrucci alla “eterogeneità” di proposte destinate ad
“arricchirsi mutuamente”, proprio come le diverse componenti di un
contesto multimediale. Si può, in effetti, considerare la realizzazione del
catalogo come una sorta di variazione sul tema della multimedialità; ed è
possibile, in conformità di siffatto orientamento, “leggere” il catalogo
stesso rilevando l’eventuale presenza (e approfondendo, se opportuno, il
significato) dei riferimenti — ivi contenuti — alla dimensione multimediale, sotto qualsiasi forma essi vengano presentati. È, questo, un elemento non secondario nella delineazione di un adeguato percorso di lettura, che consenta di valorizzare appieno gli aspetti meno evidentemente (ma, forse, più fattivamente) connessi, nel catalogo, con il profilo di un
intellettuale aperto — come, forse, pochi altri — al nuovo.
4. Ipotesi per un Labriola omnimoventesi
La presenza, nella parte terza del libro–catalogo (Percorsi: la Mostra, le
Mostre su Antonio Labriola e la sua Università), di alcune annotazioni relative al pannello La Russia di Labriola si rivela assai interessante, in questa
sede, per almeno due motivi: il primo risiede nella possibilità — espressamente suggerita nelle due pagine dedicate a tale argomento — di av-
26
27
SANDRUCCI, Mettere in mostra Antonio Labriola, cit., p. 73.
Ibidem.
292
Roberto Toro
viare, prendendo spunto dai documenti riprodotti, «il discorso sui rapporti tra Labriola e la Russia (con riferimento anche all’Italia)»28; il secondo consiste nel rendere, allo stesso modo, possibile — e quasi nel richiedere — un’osservazione non estemporanea (nelle due pagine anzidette
così come nella terza parte del libro e, anzi, nel libro intero) di quanto risulti attinente, più o meno esplicitamente, al tema della multimedialità.
A tali circostanze potrebbe, forse, aggiungersi un terzo elemento di interesse, consistente nella considerevole ampiezza — e, per così dire, nella stratificazione — dei non pochi riferimenti al suddetto ambito di indagine: la Russia di Antonio Labriola è, con ogni evidenza, il Paese di Tolstoj e di Plechanov, ma è anche la patria di Vygotskij e di Bachtin, di Ejzenštejn e di Prokof’ev, personaggi che potrebbero — pur nella profonda diversificazione dei rispettivi interessi — non risultare estranei l’uno
all’altro; e che non sarebbe, perfino, ingiustificato avvicinare allo stesso
Labriola. Tale reciproco accostamento è, anzitutto, motivato dallo spessore pedagogico delle esperienze variamente maturate; e rappresenta, anche, la motivazione maggiormente significativa del proposto avvicinamento a Labriola, “maestro perpetuo”.
Se le pagine del catalogo dedicate al predetto tema (La Russia di Labriola) riportano alcune citazioni labrioliane relative a Tolstoj e a Plechanov — alle quali si aggiunge, tra l’altro, l’esplicito (e ben noto) riferimento all’evoluzione “borghese” della Russia: Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, capitolo quinto — e se tali posizioni valgono, di per
sé, a denotare un orizzonte di indagine già abbastanza ampio, occorre
avvertire che il discorso su Labriola e la Russia si configura come
un’ipotesi di ricerca percorribile in molteplici direzioni, anche al di là dei
medesimi presupposti “labrioliani” dai quali esso discende.
Esaminare il tema dei rapporti tra Labriola e la Russia significa, infatti, imbattersi in una sorta di “spartito a più voci”, nella navigazione del
quale sembra opportuno assumere in primis alcune coordinate culturali
di riferimento, utili a delineare un quadro d’insieme assai articolato. Occorre evidenziare, a premessa delle osservazioni di seguito esposte, che
l’anzidetto spartito assume un carattere composito e — per così dire —
politonale, data l’eterogeneità degli elementi (personaggi, punti di vista,
28
Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 375.
Antonio Labriola e la multimedialità
293
richiami biografici e non) in esso presenti: al centro di tale articolazione
si situa, tuttavia, in modo permanente — assumendo il valore di un immediato punto di riferimento — la figura labrioliana.
Si osserva, anzitutto, che il rapporto tra Labriola e Plechanov — opportunamente delineato nelle anzidette pagine del catalogo — rinvia al
nesso identificabile tra lo stesso Labriola e Hegel. Sembra opportuno richiamare, in proposito, le indicazioni di Luigi Dal Pane:
In un interessante studio sull’evoluzione filosofica di Marx, il sociologo russo
Georgij Plechanov distingue, nella vita scientifica di quello, tre atteggiamenti
diversi nei riguardi dello Hegel. Il primo è di adesione incondizionata alla filosofia hegeliana e comprende a un di presso gli anni che vanno dal 1830 al 1840.
A tal periodo si riferisce la dissertazione intorno ad Epicuro. Nella seconda fase
del suo svolgimento filosofico, il Marx si pone in aperto contrasto con lo Hegel e
l’hegelismo tradizionale. In questo tempo egli scrisse La sacra famiglia, dove appunto troviamo la documentazione di una estrema severità verso lo Hegel. Nella terza fase, infine, il Marx, oramai giunto alla formulazione del suo sistema,
guarda con serenità alla dottrina del grande filosofo.
Anche la posizione del Labriola di fronte alla filosofia hegeliana subisce notevoli ondeggiamenti. Nella sua giovinezza intellettuale, l’influenza dello Hegel
su di lui è predominante. Lo abbiamo infatti visto difendere con giovanile entusiasmo la dialettica dello Hegel contro lo Zeller, che iniziava il neokantismo. Ma
la scarsa documentazione non ci ha permesso di determinare fino a qual punto
giungesse la sua adesione al sistema hegeliano prima e dove arrivasse il successivo distacco […] per quanto non possa apparire a prima vista, i risultati delle
nostre ricerche hanno dimostrato che il problema della storia è vivo in Labriola
fin dalla giovinezza29.
L. DAL PANE, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 125–126. Per quanto attiene specificamente alla visione labrioliana del
«problema della storia», si consideri quanto segue: «Anche per Labriola […] la storia ha unità, un fine e un valore. La grande divergenza nei confronti della filosofia
della storia idealistica sta in considerazioni metodologiche. Perché se è vero che
l’idealismo ha fatto della storia qualcosa di più di una ‹esposizione empirica›, è anche vero che non basta la dialettica per spiegarne il movimento. La sue insufficienze
vanno eliminate con l’uso del metodo genetico, già individuato da Humboldt, che
studia il succedersi delle diverse sfere storiche con l’aiuto delle altre scienze (presentando così la grande innovazione della interdisciplinarità) e mira a individuare la
molteplicità di origini (non una sola, che è quanto fa la dialettica) del cambiamento
con analisi particolareggiate dei fatti empirici in cui le idee si concretizzano» (B.
29
294
Roberto Toro
L’influenza della filosofia hegeliana su Labriola è stata, peraltro, esaminata più recentemente da Gian Piero Orsello, il quale — ripercorrendo, sulla traccia della lettura di Eugenio Garin, le principali tappe della
formazione labrioliana — si esprime come segue:
L’approfondimento intorno alla caratterizzazione del pensiero di Antonio
Labriola e al processo di enucleazione di un suo autonomo indirizzo filosofico è
stato considerato spesso in termini eccessivamente semplicistici sia quando si è
voluto sopravvalutare la pregnanza del suo iniziale hegelismo, sia quando ne
sono state separate in modo troppo netto le singole fasi, a scapito della sua intima continuità di sviluppo30.
È, forse, lecito discutere — riprendendo quanto è stato detto più sopra — di un Labriola omnimoventesi, per così dire “sospeso” tra le radici
hegeliane e le prospettive di un dibattito culturale “a più voci” con i succitati esponenti della cultura russa (un dibattito, si intende, virtuale)? A
tale interrogativo è possibile rispondere affermativamente, a condizione
di assegnare alla dimensione pedagogica una funzione assimilatrice delle
diverse “realtà” labrioliane. È, infatti, lo spessore pedagogico del “maestro perpetuo” Labriola, il suo essere — come è stato accennato — un
pensatore dialettico, che rappresenta la condizione e la premessa necessaria per relazionarsi (pur mantenendo sempre la propria specificità)
CENTI, Antonio Labriola. Dalla filosofia di Herbart al materialismo storico, Bari, Dedalo,
1984, pp. 76–77).
30 G. P. ORSELLO, Antonio Labriola. Il pensiero del filosofo e l’impegno del politico, Milano, LED, 2003, p. 12. Particolarmente interessante appare (in vista, tra l’altro, di
un’adeguata comprensione del Labriola “pedagogico”) il successivo riferimento alla
dialettica hegeliana, che viene espresso dall’autore nei termini seguenti: «Un ritorno
a Kant, come proponeva lo Zeller, aveva un semplice valore filologico, ma soprattutto veniva a significare una pericolosa dimenticanza dell’hegelismo nei suoi significati storico–fìlosofici. Perciò la via maestra era quella di sviluppare il pensiero di
Hegel nella sua parte più vera, cioè, in quella parte che considera l’unità del reale
inteso nel suo svolgersi, lasciando da parte le astrazioni che, attraverso gli elaboratori dell’hegelismo, avevano corrotto la dottrina facendole perdere ogni contatto col
mondo storico. Antonio Labriola ebbe coscienza di questo importantissimo fatto,
tant’è vero che la sua difesa di Hegel fu rivolta a mantenere in vita ciò che
dell’hegelismo era vivo — la dialettica — e perciò suscettibile di ulteriore sviluppo
in quanto si inseriva nel moto storico, anzi era la storia stessa» (Ivi, p. 17).
Antonio Labriola e la multimedialità
295
con personaggi tanto diversi: «Si tratta […] di procedere gradualmente
nell’indagine sui molti e diversi profili con cui si presenta via via la stessa cosa, Labriola, e ritrovare su un piano siffatto il senso proprio e nuovo
di una educazione, per indiretta che possa risultare, oltre la cronaca, nella
storia»31.
Tali considerazioni assumono significato (in relazione alle testimonianze acquisite o, come si è detto, sul piano dell’ipotesi di ricerca) per le
numerose figure di intellettuali più sopra citate, ma anche — in una misura non certo inferiore — per alcuni studiosi italiani: è, questo, il caso
dello psicologo Sante De Sanctis32, che può avvicinarsi a Labriola in conformità di quanto osservato nel libro–catalogo (i documenti ivi introdotti
si considerano infatti, secondo l’aspettativa già espressa, «utili ad avviare il discorso sui rapporti tra Labriola e la Russia, con riferimento anche
all’Italia»)33.
L’affinità “intellettuale” tra De Sanctis e Labriola può riconoscersi, ad
esempio, considerando l’episodio qui di seguito descritto (assai significativo anche al fine di illustrare il “clima” culturale del tempo):
Nel 1898 il nostro autore presenta alla Facoltà di Filosofia dell’Università di
Roma la sua domanda per ottenere la libera docenza in Psicologia sperimentale
che successivamente rinnoverà sopprimendo precauzionalmente l’attributo
“sperimentale” considerato di problematica accettazione in sede filosofica. La
commissione della Facoltà di Filosofia (composta dai professori Labriola, Barzellotti, Turbiglio) accoglie la domanda del nostro autore. Questa però viene respinta dal Consiglio superiore della pubblica istruzione che, nel maggio del
1901, facendo proprie le argomentazioni del filosofo e senatore neokantiano
Carlo Cantoni (1840–1906), sostiene che l’insegnamento della Psicologia non
SICILIANI DE CUMIS, Laboratorio Labriola, cit., p. 34.
«Lo spessore scientifico di Sante De Sanctis (1862–1935) e la poliedricità dei
suoi interessi di ricerca, almeno nelle linee generali, sono ben noti. Nella storia della
psicologia italiana De Sanctis è indubbiamente un personaggio di primo piano, uno
dei fondatori della nuova disciplina tra ‘800 e ‘900. Attraverso la sua ininterrotta
produzione scientifica (sono più di 300 i lavori pubblicati) e la sua attività divulgativa ed organizzativa ha lasciato una traccia importante nella storia della psicologia
concorrendo all’affermazione della disciplina» (Sante De Sanctis tra psicologia generale
e psicologia applicata, a cura di G. Cimino e G. P. Lombardo, Milano, Franco Angeli,
2004, p. 7).
33 Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 375 (corsivo mio).
31
32
296
Roberto Toro
possa venire affidato in una Facoltà di Filosofia ad un “non–filosofo”. Nello
stesso anno ad Ancona, per iniziativa di Enrico Morselli (1852–1929) e di Augusto Tamburini (1848–1919), il Congresso della Società freniatrica italiana, dopo
ampio e significativo dibattito, riconosce invece la Psicologia sperimentale come
insegnamento universitario. Nel dicembre del medesimo anno, nonostante il
perdurante parere sfavorevole del Consiglio superiore, il ministro della Pubblica istruzione, Nunzio Nasi (1850–1935), concede a De Sanctis la libera docenza
in Psicologia. È a partire dall’anno accademico 1906–1907 che De Sanctis vincendo una cattedra di Psicologia sperimentale, messa a concorso dal ministro
della Pubblica istruzione Leonardo Bianchi (1848–1927), andrà ad insegnare
questa disciplina presso la Facoltà di Medicina della Regia Università di Roma34.
5. Conclusioni
La presenza, nel libro–catalogo, di un apprezzabile livello di multimedialità rappresenta — così come si è fin qui cercato di evidenziare — un
elemento non certamente secondario nella determinazione di un proficuo percorso di lettura: occorre, peraltro, tenere conto della varietà dei significati ascrivibili al termine “multimediale” — in riferimento alle caratteristiche del testo — ed enucleare, conseguentemente, alcuni livelli di
complessità identificabili nella struttura dell’opera.
Un primo livello è costituito dall’accostamento, corrispondente a una
precisa scelta redazionale e per così dire “compositiva”, di immagini e
testi — particolarmente nella sezione intermedia del catalogo — con la
funzione di veicolare informazioni e concetti: il ricorso a un duplice registro espressivo, sviluppato secondo criteri di autonomia dei linguaggi
34 Sante De Sanctis tra psicologia generale e psicologia applicata, cit., p. 160. Significativo appare il confronto con il punto di vista espresso da Labriola, nella nota lettera
a «La Tribuna» del 12 luglio 1887, per quanto attiene alla questione delle “lauree in
filosofia”: «Io credo fermamente che, nel giro degli studi universitarii, la filosofia
abbia ad essere, non un complemento obbligatorio della storia e della filologia, ma un
complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica, o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori» (A. LABRIOLA, Lettera pubblicata sul periodico «La Tribuna» il 14 luglio 1887, in
N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia ed Università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Urbino,
Argalia, 1975, p. 117).
Antonio Labriola e la multimedialità
297
utilizzati, si traduce in un considerevole (e immediato) potenziamento
del messaggio trasmesso.
Un secondo livello, maggiormente elaborato rispetto al precedente,
consiste nel prevedere — nell’ambito del catalogo — il ricorso a una pluralità di generi testuali, destinati a un frequente avvicendamento: dai dibattiti ai saggi, dalle citazioni (lettere, verbali, relazioni) alle didascalie;
ciò determina, ancora, un rafforzamento dell’espressività insita nell’articolazione linguistica e formale del discorso.
Un ulteriore livello di complessità è offerto dalla ramificazione della
struttura concettuale: è, infatti, possibile ravvisare nel catalogo una sorprendente varietà di approcci al “personaggio” Labriola, anche attraverso la presentazione di ambiti d’indagine piuttosto inconsueti. È, questo,
il caso della pagina dedicata a La musica secondo Labriola e il Carnevale di
Roma, nella quale si ha quasi l’impressione di un attenuarsi (sia pure
momentaneo) del “rigore” labrioliano, in vista della presenza a Roma —
in occasione del Carnevale — della «diva Patti, persona sufficiente a togliere le noie della camera e degli uomini politici»35.
La compresenza dei tre livelli — fin qui esaminati — di articolazione
concettuale (e contestuale) corrisponde al delinearsi di una rete di significati, che non si definiscono necessariamente in un percorso prestabilito
ma rimangono aperti a ogni possibilità di accostamento (e, naturalmente, di indagine): l’approccio sequenziale ai contenuti del catalogo può
trasformarsi, secondo l’orientamento del lettore, in un’interpretazione di
tipo diverso — reticolare, appunto — la quale richiama assai da vicino
alla mente il configurarsi di un ipertesto. Si realizza, in tal modo,
l’avvicinamento di due dimensioni altrimenti destinate a rimanere distanti (l’omogeneità del supporto cartaceo all’informazione e il rilievo da
annettere a un prodotto multimediale), quasi superando la concezione
— delineata da Antonio Calvani — del libro come “sistema noetico”:
«Un medium porta con sé una “filosofia” implicita della conoscenza.
Ogni oggetto–prodotto, specifico dei vari media (libro, film, software…)
ha l’impronta di un’architettura noetica propria della matrice da cui deriva. Esso non è rappresentato solamente da un puro insieme di infor-
Frammento di una Lettera di Antonio Labriola ad Angelo Camillo De Meis
(1877), in: Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 354.
35
298
Roberto Toro
mazioni ma anche da una complessa metodologia di trattamento della
conoscenza. Questa architettura è in qualche modo già fissata al momento in cui l’individuo entra in rapporto con l’oggetto, ne condiziona la
fruizione e l’elaborazione consentita»36.
6. Appendice. Grafico inerente alla composizione del libro–catalogo
Percentuale corrispondente alle diverse sezioni del libro-catalogo
1% (Premessa)
42%
(Parte quarta)
12%
(Parte terza)
1%
(Presentazioni)
8% (Ingressi)
13%
(Parte prima)
23%
(Parte seconda)
Premessa
Presentazioni
Ingressi
Parte prima (Antonio Labriola e la sua Università, Roma, 2-3 febbraio 2004)
Parte seconda (Punti di vista)
Parte terza (Percorsi: la Mostra, le Mostre su Antonio Labriola e la sua Università)
Parte quarta (Momenti e moventi)
A. CALVANI, Dal libro stampato al libro multimediale: computer e formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1990, p. 18.
36
Antonio Labriola e la multimedialità
299
7. Riferimenti bibliografici e risorse individuate in rete
7.1. Testi consultati
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–
2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005.
BELLERATE B., Filosofia e pedagogia, Torino, Società Editrice Internazionale, 1983,
p. 538.
BERTONDINI A., Antonio Labriola: educazione, politica, cultura, Urbino, Argalia,
1974.
ID., Labriola, Assisi, Cittadella, 1977.
BONCORI G., Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti pedagogici di Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 208 e
sgg.
CALVANI A., Dal libro stampato al libro multimediale: computer e formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1990, p. 18.
ID., Multimedialità nella scuola. Perché e come introdurre le nuove tecnologie
nell’educazione, Roma, Garamond, 1996.
ID., I nuovi media nella scuola. Perché, come, quando avvalersene, Roma, Carocci,
1999.
CENTI B., Antonio Labriola. Dalla filosofia di Herbart al materialismo storico, Bari,
Dedalo, 1984, pp. 76–77.
CIMINO G. – LOMBARDO G. P. (a cura di), Sante De Sanctis tra psicologia generale e
psicologia applicata, Milano, Franco Angeli, 2004.
DAL PANE L., Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi,
1975, pp. 125–126.
GAETANO G., Labriola e la sua Sapienza, intervista a N. Siciliani de Cumis, pubblicata in rete il 24 marzo 2004 su M@g – Quotidiano online della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica (in rete all’indirizzo: http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia? id_cattnewsT=3887).
GARRONI E., Estetica. Uno sguardo–attraverso, Milano, Garzanti, 1992, pp. 13–14.
GWYNPLAINE, Antonio Labriola (per il 25° anniversario del suo insegnamento), in A.
LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET,
1981, pp. 665–669.
LABRIOLA A., Dell’insegnamento della storia (1876), in LABRIOLA, Scritti pedagogici,
cit., p. 251 e sgg.
ID., Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare (1896), in: A. LABRIOLA,
Scritti filosofici e politici, a cura di F. Sbarberi, Torino, Einaudi 1973, vol. II.
300
Roberto Toro
ID., Lettera al periodico «La Tribuna» (pubblicata il 14 luglio 1887), in N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia ed Università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Urbino,
Argalia, 1975, p. 117.
ID., Lettera ad Angelo Camillo De Meis (1877), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 354.
ID., I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli,
Morano, 1976.
MAGER ROBERT F., L’analisi degli obiettivi, Teramo, EIT, 1974, p. 13.
MARAGLIANO R., Nuovo manuale di didattica multimediale, Roma–Bari, Laterza,
2004.
MARCON P., Formazione e politica, Roma, La Goliardica, 1979.
MERKER N. (a cura di), Storia della filosofia, vol. III, pp. 248–250.
ORSELLO G.P., Antonio Labriola. Il pensiero del filosofo e l’impegno del politico, Milano, LED, 2003.
RONCAGLIA G., Oltre la cultura del libro?, in «Iter. Scuola, cultura, società», anno
I, n. 2, maggio–agosto 1998, pp. 24–30.
RUFFALDI E., Insegnare filosofia, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1999, pp.
151–152.
SANDRUCCI R., Mettere in mostra Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 71 e sgg.
SICILIANI DE CUMIS N., Studi su Labriola, Urbino, Argalia, 1976.
ID., Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, Scandicci (Firenze), La
Nuova Italia, 1994.
WITTGENSTEIN L., Ricerche filosofiche, ediz. it. a cura di M. Trinchero, Torino, Einaudi, 1967, p. 60.
ZAVALLONI R. – PARENTE M., Formazione degli insegnanti e innovazione educativa,
Roma, Antonianum, 1980.
7.2. Siti web esaminati
Siti web relativi alla biografia e al pensiero di Antonio Labriola:
• http://www.cassino2000.com
• http://www.filosofico.net
• http://www.homolaicus.com
• http://www.marxists.org
Siti web relativi al tema della multimedialità:
• http://it.wikipedia.org
• http://www.dirittoproarte.com
Antonio Labriola e la multimedialità
•
•
301
http://www.emsf.rai.it
http://www.tecnoteca.it
Siti web relativi a vari temi sviluppati nel presente scritto:
• http://www.cultureducazione.it (a cura della Prima Cattedra di Pedagogia generale, prof. Nicola Siciliani de Cumis, Dipartimento di ricerche
storico–filosofiche e pedagogiche/Facoltà di Filosofia dell’Università "La
Sapienza" di Roma);
• http://www.far.unito.it/pedagogia (Formazione Aperta in Rete – Università degli studi di Torino);
• http://www.ilgiardinodeipensieri.com (approfondimenti relativi all’idea
di “dialettica”);
• http://www.merzweb.com (sperimentazione didattica e nuove tecnologie).
Appendice
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko1
Nicola Siciliani de Cumis
La certezza del risultato non si misura soltanto dalla precisione istrumentale dei metodi paleografici, filologici, linguistici, o come altro
si chiamino, ma anche e principalmente dal grado di trasparenza e di
riproducibilità teorica della materia presa in esame. […È] affatto erroneo l’indirizzo didattico di coloro, che applicandosi agli studi storici, si
danno gran pensiero d’impadronirsi soltanto degli ovvii mezzi istrumentali della critica, e sperano che la cognizione reale della materia
debba venir da sé. Ma dove manchi la cultura teoretica, poniamo
dell’economia e del diritto; o dove faccia difetto l’intelligenza della
funzione psicologica p. e. della lingua o della religione, è inutile che altri si travagli nell’esercizio della critica diplomatica o filologica: l’uso
anche corretto degl’istrumenti non affida di nulla.
Antonio Labriola
– Come fa lei a sapere tutto questo? — gli chiesi.
– Io non parlo mai senza le prove. Non sono di quella razza, io,
guardi qui…
Aprì un pacchettino che aveva tirato fuori da una tasca interna. Nel
pacchettino c’era qualcosa di bianco e nero, una strana miscela.
Anton S. Makarenko
1. Lungimirante Poe
Debbo ad Edgar Allan Poe2 una splendida rappresentazione avant la
lettre della circostanza “recensiva” di cui dirò; e di cui vorrei riferire, a
Ciò che segue è il testo di una “spiegazione” richiestami da alcuni laureandi e
studenti che, preparando l’elaborato di laurea, ovvero gli esami di Terminologia
pedagogica e di scienze dell’educazione e di Pedagogia generale, hanno saputo della recensione di cui più sotto si viene a dire: e hanno chiesto quindi di conoscere la
mia opinione a riguardo. Opinione, che viene qui restituita nell’essenziale.
2 E.A. POE, Regole di critica letteraria, in ID., Scritti ritrovati, a cura di F. Mei, con
sette disegni di F. Clerici, Brescia, Shakespeare and Company, 1984, pp. 164–165.
1
306
Nicola Siciliani de Cumis
mia volta recensivamente, nella persuasione di contribuire, così facendo,
al chiarimento almeno del mio punto di vista. E dunque.
Per quanto evidentemente ignaro dello “stato dell’arte” su Antonio
Labriola, e superando felicemente barriere secolari e steccati disciplinari,
Poe si rivela incredibilmente lungimirante e straordinariamente “al corrente”. Un testimone oculare, diresti, delle furbizie miopi, delle chiusure
narcissiche e delle conseguenti meschinerie dei letterati di ogni tempo,
di cui prendere utilmente atto anche a futura memoria.
Questi pertanto i passi salienti delle sue impareggiabili “istruzioni
per l’uso”, su come stroncare ingiustamente un libro. Scrive:
Lasciate che lo spirito del libro in se stesso prenda cura di sé, o che sia oggetto di qualche mano più competente, e per parte vostra procedete ad enumerare
gli errori verbali: ogni libro ne contiene abbastanza per farlo condannare, se dovesse essere giudicato solo in base ad essi […]. Ogni errore scoperto in un libro
aiuta ad ostacolare la sua vendita e risponde al fine precipuo della critica letteraria, che è quello di mettere il critico, e non l’autore recensito, in una posizione
di vantaggio.
Di qui, allora, una precisa indicazione di strategia del recensore velenoso per partito preso, che alla luce di ciò che dirò, da un lato, è impressionante per l’aderenza alla situazione labrioliana descritta; da un altro
lato, introduce nuovi elementi metodologicamente significativi, di cui
tenere ulteriormente conto. Continua infatti Poe:
La miglior linea di condotta è di giudicare il libro non per quello che è effettivamente e che vuol essere, ma per quello che non è e che l’autore non ha mai
inteso che fosse; in base a questo, pronunciare una condanna irrevocabile. Con
questo sistema costringete l’autore stesso a riconoscere la verità della vostra critica; e di fronte a coloro che si affidano a voi per farsi la loro opinione, sarete
considerato un recensore profondo, splendido e brillante. Di tutti i modi di recensire un libro, questo offre il più ampio margine di estro, perché non vi costringe a limitarvi all’opera in esame, ma vi permette di citare liberamente
dall’ultimo libro che avete letto. Se il libro da cui citate, dovesse trattare un argomento diverso da quello che state recensendo, vi servirà a fare apparire l’autore molto ridicolo, mostrando quanto egli sia diverso da qualcun altro.
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
307
E non è tutto: ché la preveggenza di Poe si esercita, per così dire, anche bilateralmente, guardando egli insieme sia al recensito che al recensore. E fornendo ad entrambi la spiegazione dei meccanismi interni alla
disamina (si fa per dire) critica dello stroncatore pro domo sua, che si studi tuttavia, pur nella propria intrinseca pochezza, di apparire avveduto,
erudito, portatore di novella scienza:
Niente è più facile che far apparire ridicola un’altra persona, ma non è sempre facile al tempo stesso riuscire a non apparire tali. Perciò, si deve esser sempre molto cauti, nel fare a pezzi un autore, a non infliggere delle ferite a se stessi. In una recensione, lo scopo principale è di far sì che il recensore, non il recensito, appaia in una posizione di vantaggio. Il critico perciò deve spulciare tutte
le notizie e le idee brillanti che può, dal libro che sta recensendo, e spargerle
qua e là nel suo articolo, senza rivelare la fonte della loro origine. Il più grande
sforzo che deve prefiggersi un recensore è di mettere se stesso tra il pubblico e
l’autore, cosicché l’autore viene perso completamente di vista quando l’articolo
arriva alla fine.
2. C’è Mamozio e mamozio
Eppure, devo essere molto grato a Stefano Miccolis, per la sua stroncatura del catalogo da me curato Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”(1303–2003). A cento
anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), Roma, Aracne, 2005 [seconda edizione 2006]3. Grato nondimeno alla rivista che ospita la recenEdizione, che si giova delle seguenti correzioni e/o integrazioni. Nel titolo: non
«Settecento» ma «settecento». A p. 13, seconda colonna, rigo 12°: al posto di «Campatola» va «Campajola». A p. 39, seconda colonna, rigo 3° dal basso: non «tutti», ma
«tutto». A p. 46: a sinistra del riquadro su «I problemi della pedagogia», che andrebbe spostato leggermente a destra, le seguenti parole di spiegazione: «La rivista
“I problemi della pedagogia” rinvia, tra l’altro, ai contributi su Labriola di Dina Bertoni Jovine: cfr., in particolare, A. LABRIOLA, Scritti di pedagogia e di politica scolastica,
Roma, Editori Riuniti, 1961». A p. 140, seconda colonna, rigo 16° dal basso: non «la
compete», ma «le compete». A p. 224, seconda colonna del testo, rigo 7° dal basso:
non «Credano», ma «Credaro». A p. 376, nel pannello a colori su “Labriola e gli anarchici” (seconda parte): alla fine della didascalia accanto all’immagine di Labriola
che conclude il pannello, aggiungere «Il ritratto qui accanto è di Franco Flaccavento». A p. 409: alla didascalia (dopo le parole “autobiograficamente al cassinate”), oc3
308
Nicola Siciliani de Cumis
sione, «Belfagor», per il contributo di visibilità offerto, nel fare da cassa
di risonanza e da amplificatore della rubizza sonorità della “noterella–
schermaglia”, già nel titolo della recensione e nei titoletti dei paragrafi.
L’intervento di Miccolis, infatti, con le sue chiose correttive e integrative, è un ottimo pretesto per riportare il discorso sul Labriola che conta.
Risulta anzi, per la stessa ragione, perfino collaborativo con il curatore;
ed esemplare, proprio alla luce delle modalità “tecniche” prospettate da
Poe. Direi maieutico, soprattutto in previsione di una terza edizione del
catalogo, emendata se possibile dagli errori ed auspicabilmente arricchita di nuovi apporti: e con indice dei nomi, indice analitico e, forse, con la
numerazione delle ottanta pagine a colori con i pannelli della mostra.
Un’edizione, alla quale stanno ora attendendo i collaboratori della Prima
Cattedra di Pedagogia generale della «Sapienza» di Roma, assieme agli
studenti dei corsi di quest’anno e a quanti partecipano variamente alle
attività del “Laboratorio Labriola”.
Anche il fatto che Miccolis abbia scelto di usare il registro di una cipigliosa stroncatura e l’enfasi di una sproporzionata polemica, per le regioni che cercherò di dire, è per noi un vero regalo. Proprio la gratuità
correrebbe aggiungere ciò che segue: «A tale precedente accademico “romano”, sono quindi da accostare gli importanti, autonomi contributi labrioliani di Augusto
Guerra. Così, per es.: Studi sulla vita e il pensiero di Antonio Labriola (1947–1956), in
«Rassegna di filosofia», 1957, 1, pp. 5–34; Labriola educatore e moralista, in Il mondo
della sicurezza. Ardigò, Labriola, Croce, Pubblicazioni dell’Istituto di filosofia dell’Università di Roma, Firenze, Sansoni, 1963, pp. 87–140; Determinismo e libertà nello storicismo di Antonio Labriola, in «Studi storici», 1965, 3, pp. 501–506». A p. 573, seconda
colonna, tra il quarto e il quinto rigo ci vorrebbe una doppia interlinea (come avviene per tutte le altre lettere, nelle pagine successive).
Ad una nuova rilettura, dopo che la nuova edizione era stata approntata, sono
venuti fuori alcuni errori e affiorate altre disfunzioni tipografiche e/o redazionali,
tuttavia di non grande rilievo. Se ne dirà, in qualche caso nel corso del presente articolo; in qualche altro caso, si provvederà a correggere direttamente nella prossima
edizione: che, da un lato, riproporrà il catalogo con le integrazioni e le correzioni
che risulteranno necessarie; da un altro lato, in un secondo tomo, raccoglierà
un’ampia scelta dei materiali scientifici e didattici che, in presenza del catalogo, ora
nella forma della recensione, ora nella forma dell’articolo autonomo “a partire da”,
ovvero come esercizio di ricerca o elaborato scritto di studenti universitari impegnati in esami e lauree, sono stati prodotti in varie sedi e segnatamente alla «Sapienza»,
dopo l’aprile 2005.
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
309
della sortita “filologistica” è un bene pedagogico prezioso, per differenza. Che tra l’altro, in un gruppo di lavoro con un certo grado di affiatamento, si presta ad essere vissuto umoristicamente e a fare, per così dire,
da colla sociale e da stimolo ulteriori.
E se Miccolis, ha preferito rifarsi all’immagine di un Labriola–
mamozio (che vuol dire fantoccio, bamboccio, ritratto d’uomo mal riuscito), la cosa sembra in realtà riguardare la mostra e il catalogo solo fino
ad un certo punto. Sollecita invece ad appuntare l’attenzione sul Labriola “altro”, che è stato ed è oggetto di documentazione e di studio alla
«Sapienza»; e di riprendere il discorso su temi e problemi labrioliani di
maggiore interesse, spererei, per gli studiosi seriamente impegnati a cogliere l’unitarietà dell’opera di Labriola; e, dunque, sul grado di novità
dei contributi in tal senso, proprio a partire dal «mamozio» evocato
trionfalmente dal recensore, come inconsapevole autocaricatura, finzione del sé, svuotamento della propria funzione critica. Insomma, un mamozio anche lui.
A parte il disappunto che mi produce il fatto che, per risultare più efficace nella stroncatura, Miccolis si sia voluto servire proprio di quel
«Mamozio», che rimanda sinistramente allo strazio degli ultimi giorni di
Labriola, è tuttavia anche vero che — anche alla luce degli inediti esposti
nella mostra e stampati nel catalogo — proprio il Mamozio di labrioliana
memoria, assume una grande importanza per capire Labriola, sia in
quanto tale, sia nel quadro dei suoi rapporti con Benedetto Croce4; e, ancora di più, con Giovanni Gentile:
Caro Benedetto […] Di Gentile non m’importa d’approfondire più nulla.
Faccia il comodo suo… e invochi il perdono di Hegel per gli spropositi che gli
attribuisce… Giudizi analitici! È un modo di servirsi delle formule kantiane per
ispiegarsi. E poi hai capito… perché neghi la comprensione filosofica della natura
e della storia… E ti pare poco? Quello Spirito che non ha niente che fare con la
A. LABRIOLA, Epistolario 1896–1904, introduzione di E. Garin, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 1004 (una lettera del 5 gennaio
1904).
4
310
Nicola Siciliani de Cumis
Natura da cui risulta e con la Storia che è la somma delle sue manifestazioni deve essere… un bel Mamozio. Mandamelo come dono della Befana»5.
Ed è un Mamozio, questo di Labriola, con la lettera maiuscola, che
denominerei qui Mamozio Primo, per non confonderlo con il mamozio secondo, di cui si limita a dire Miccolis. Che è un «mamozio» con la lettera
minuscola che, per l’evidente incapacità di comprensione dell’importanza del problema da lui stesso evocato, allontana inopinatamente l’attenzione dal «Mamozio» caro al Labriola, del quale proprio il catalogo
offre invece un significativo, inedito riscontro, nei due pannelli della
mostra che illustrano «L’ultimo concorso» e «L’“anti–Gentile”, ovvero il
testamento hegeliano di Labriola»6.
Basti pensare, infatti, alle parole (finora ignote) con cui Labriola boccia Gentile al concorso di Filosofia teoretica a Palermo. Parole, che rienA. LABRIOLA, una lettera a Benedetto Croce del 5 gennaio 1904, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., nei pannelli della mostra dal titolo «L’ultimo concorso»
e «L’“anti–Gentile”, ovvero il testamento (hegeliano) di Labriola».
6 Per completezza di informazione sulla mostra e sul catalogo, a proposito dei
rapporti tra Labriola e Gentile, sono da ricordare i supplementi di documentazione
“fuori catalogo”, messi a disposizione dei visitatori della mostra, nella sede della
Fondazione «Giovanni Gentile» (Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La
Sapienza»); e che faranno parte, sia di un volume di documenti labrioliani in preparazione per conto del Rettorato della Prima Università di Roma, sia di un DVD
sull’Anno labrioliano alla stessa «Sapienza», anch’esso in preparazione. Cfr. quindi,
nel medesimo ordine di idee, le pp. 582–586 del catalogo, dal titolo «Per Giovanni
Gentile libero docente di filosofia teoretica nell’Università di Napoli, 1902» (pp. 582–
586 del catalogo). Un testo, quest’ultimo, anch’esso riferibile criticamente al problema del Mamozio Primo, giacché l’autore (Laudisi), ad un certo punto, chiama in causa l’interpretazione della dialettica di Hegel e Marx, secondo Gentile, come conforme
a quella data da Labriola (oltre che, ahimè, da Loria e Chiappelli), e in opposizione a
quella offerta da Sorel e Croce: «Di guisa che il Marx mantiene da Hegel il procedimento dialettico ed il concetto che la storia umana è un divenire per processo di antitesi: e si contrappone al suo maestro per il contenuto e il soggetto di questo procedimento in quanto che reputa che non è l’idea o che altro di astratto che si sviluppa
dialetticamente, ma la società in quello che ha in se stessa di essenziale e di originario, il fatto economico, dal quale fatto tutti i fenomeni dipendono e derivano. Interpretazione codesta del materialismo storico in certa guisa, a me sembra, conforme a
quella dell’Engels ed in Italia del Loria, del Labriola e del Chiappelli ed in opposizione alla interpretazione data dal Sorel e dal Croce» (p. 584 del catalogo).
5
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
311
trano perfettamente nel quadro dell’importante problematica del Mamozio Primo, respingendo al mittente l’invenzione distrattiva del mamozio
secondo (e del suo mentore):
Il Gentile si professa rappresentante della rinascita dell’idealismo, e con ciò
intende di dire che si torni ad Hegel sic et simpliciter. Così si manifesta nella
sua produzione, nei proemii alle ristampe degli scritti dello Spaventa, e in qualche opuscolo di polemica segnatamente col Varisco. Del resto le sue pubblicazioni importanti sono di storia della filosofia; e in queste la preoccupazione speculativa cede il posto alla ricerca erudita, all’analisi delle fonti, alla esposizione
obiettiva. Fra i titoli esibiti dal Gentile non ve n’è alcuno di strettamente dottrinale nel senso di ciò che occorre a documentare la preparazione diretta ad insegnare la filosofia teoretica.
Un giudizio, questo di Labriola su un Gentile sic et sipliciter “hegeliano”, che, come dicevo, risulta perfettamente coerente con la presa di posizione labrioliana sul Mamozio Primo della lettera a Croce. Un giudizio,
cioè, che anche e soprattutto alla luce dei pareri espressi dallo stesso Labriola sugli altri concorrenti nel medesimo concorso palermitano (pareri
anch’essi esposti nei pannelli della mostra e riproposti quindi nel catalogo)7, chiarisce ulteriormente il quadro concettuale per esplicito hegeliano
e anti–gentiliano di Labriola: e, quindi, la complessità della posizione teoretico–pratica labrioliana, tra «Spirito», «Natura», «Storia», che si contrappone alla semplificazione “mentalistica” gentiliana di Hegel, in
quanto, secondo Labriola, non è che «analitica», nel significato restrittivamente kantiano del termine… E per l’appunto il «Mamozio», niente
altro che il Mamozio Primo, nell’ottica di Labriola e del suo “anti–Gentile”.
Un «Mamozio», dunque, che, se correttamente inteso, avrebbe potuto
avvicinare all’intera materia labrioliana del catalogo e al suo effettivo
contributo nella direzione di un Labriola originalmente hegeliano a trecentosessanta gradi: dialetticamente, o meglio, come Labriola precisa, geneticamente hegeliano. Da sempre hegeliano: e, cioè, almeno da quando,
dall’interno del «principio dello Hegellismo», egli arriva a Herbart, agli
7
Ibidem.
312
Nicola Siciliani de Cumis
herbartiani e a quanti altri dei suoi autori, fino agli stessi Engels e Marx,
con continuo, rinnovato «senso esperimentale».
Morfologicamente hegeliano, Labriola, quando, nel farsi della propria,
complessiva esperienza culturale e politica, egli tratta di etica, storia, filosofia della storia, geografia, pedagogia, didattica, religione, arte, linguistica, economia, statistica, scuola, università, ecc. Organicamente hegeliano quando, sul presupposto della distinta unità di Spirito, Natura e
Storia, il marxismo che ne risulta è esso stesso un intero, l’intero.
Tutte cose, che spiegano la molteplicità ed insieme l’unitarietà dei
profili labrioliani ospitati nel catalogo: e la tipologia “enciclopedica” dei
documenti inediti, esposti nella mostra e raccolti nel volume, nelle diverse sezioni. Tanti profili di Labriola, quanti sono gli aspetti dell’unico
Labriola. Tante direzioni di indagine, quante sono le pieghe della sua
complessiva, trentennale esperienza di docente alla «Sapienza».
Di qui la scelta, che Miccolis mi rinfaccia come esagerata «autoreferenzialità», di limitare alla dimensione universitaria romana l’orizzonte
dell’indagine. E di condizionare consapevolmente gli spazi della ricerca,
enfatizzandone il punto di osservazione; di prospettare infine un “campo
di studi” su Labriola e la sua Università, sempre e comunque monograficamente incentrati sul medesimo tema universitario labrioliano romano.
Di qui, pertanto, l’attivazione di coerenti procedure didattiche e di ricerca intorno all’Università di Labriola, tali da restituire tra l’altro, nei limiti del possibile, il permanere di una certa tradizione labrioliana
nell’Università che fu di Labriola. E ciò, a partire proprio dalla consapevolezza metodica, che Miccolis, per le ragioni addotte dallo stesso Labriola, non sembra in grado di capire:
che la certezza del risultato non si misura soltanto dalla precisione istrumentale
dei metodi paleografici, filologici, linguistici, o come altro si chiamino, ma anche e
principalmente dal grado di trasparenza e di riproducibilità teorica della materia
presa in esame: e in secondo luogo, che gli elementi teorici coi quali si interpreta il
fatto storico, quando siano stati per se stessi dichiarati, dan luogo a discipline generali, che fanno come da capisaldi di ogni ulteriore ricerca particolare8.
A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis,
Napoli, Morano, 1976, pp. 28–29.
8
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
313
Di modo che risulta
affatto erroneo l’indirizzo didattico di coloro, che applicandosi agli studi storici,
si danno gran pensiero d’impadronirsi soltanto degli ovvii mezzi istrumentali
della critica, e sperano che la cognizione reale della materia debba venir da sé.
Ma dove manchi la cultura teoretica, poniamo dell’economia e del diritto; o dove faccia difetto l’intelligenza della funzione psicologica p. e. della lingua o della religione, è inutile che altri si travagli nell’esercizio della critica diplomatica o
filologica: l’uso anche corretto degl’istrumenti non affida di nulla9.
Ecco perché Miccolis — per dirla ancora con Labriola — procedendo
«per soli gradi di erudizione», non fa che offrire, con la sua recensione
(ma non solo con questa), un proprio ulteriore mamozio… Un mamozio,
che il prof. Labriola avrebbe probabilmente bocciato o, al più, trattato
con sufficienza: forte della persuasione, che una cosa è leggere con gli
occhi un autore e contribuire a restituirne diligentemente i testi; un’altra
cosa (per usare la stessa terminologia labrioliana) è intenderne con la testa il «pensiero» e il «motivo», la «genesi» e lo «sviluppo», il rapporto, in
ultima analisi, tra gli «elementi della formazione» e «la cosa formata».
3. Del terzo mamozio
Tertium datur: ed è un mamozio, quello che su tale presupposto Miccolis riesce a produrre di suo, che si colloca ben oltre il Mamozio Primo di
cui parla Labriola per Gentile e sicuramente al di là del mamozio secondo
a me attribuito. Un mamozio del mamozio, se così posso dire, che denominerei per l’appunto mamozio terzo, per differenziarlo qualitativamente dai due precedenti. E so bene che, già per il solo fatto di occuparmene, non rendo forse il giusto merito all’insegnamento di un grande maestro di studi labrioliani, che proprio a proposito del mamozietto
acrimonioso di un altro logografo degli anni ‘70, sempre su Labriola, così si esprimeva:
Caro Siciliani […]. Ho l’abitudine di non leggere, per principio, attacchi che
non contengono critiche precise, o di fatto. Solo a queste rispondo, per ricono-
9
Ibidem.
314
Nicola Siciliani de Cumis
scere l’errore, se l’ho commesso, o per rettificare l’avversario, se è il caso. Gli
sfoghi velenosi, avvelenano soltanto. E io preferisco mantenere, fin dove si può,
la serenità.
Comunque, ora ho letto. Ma per rispondere alla Sua domanda, devo dirle
che col […] non ho mai avuto a che fare, né ne ho parlato con terzi. Forse è irritato per qualche omissione, o pettegolezzi maligni che a volte circolano — non
saprei! Forse è solo un omaggio ai tempi. Oggi è di moda — in questo rigurgito
di positivismo cattivo — dire male di Labriola; e gente come me, che non ha potere, ed è in discredito, serve bene come testa di turco per far piacere a qualche
[…] di turno. Devo confessarLe — anche se Le farò cattiva impressione — che
non me ne importa proprio nulla: che desidero solo ripensare in pace alle cose
che ancora mi interessano. Amen!
Ecco perché, chiosando ora nell’indispensabile il mamozio terzo, mi
limiterei alle seguenti, rapide precisazioni:
1) Mi sembra storicamente inesatto e vacuamente presuntuoso affermare, come invece fa Miccolis, forse in un eccesso di edificante autobiografismo10, che solo «a partire dagli anni ‘80», su Labriola, si sia incominciato a «correggere luoghi comuni invalsi negli anni ‘50, e protrattisi a lungo per forza inerziale (complice la pigrizia dei ricercatori, spesso indotti a dar per buono il già detto, per più o meno inconscia deferenza verso qualche “principio d’autorità”)». Non serve qui fare i nomi di
alcuni dei principali studiosi di Labriola nel secolo scorso; ma è un fatto
che siano state proprio le discussioni e le polemiche labrioliane, talvolta
assai aspre, degli anni Cinquanta e Sessanta, sullo sfondo delle grandi
passioni di allora nel clima culturale e politico assai diverso da quello intellettualmente più remissivo e politicamente meno acceso degli anni Ottanta, ad esigere di ricostruire Labriola nella sua interezza e complessità.
Un compito, questo, non feticistico né meschinamente “filologistico”,
da tombaroli sovraeccitati quanto inconsapevoli; non da settimana enigmistica, per tener viva la mente di ex studiosi di Labriola ora a riposo; o da salottino accademico, per soddisfare le ambizioni di carriera di
aspiranti nuovi professori. Un compito molto difficile, invece, che richiederebbe un’effettiva adesione alle problematiche labrioliane effettive, un sicuro autocontrollo del “personcino” e un vero sforzo unanime
Cfr. S. MICCOLIS, Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza», in «Belfagor»,
a. LXI, n. 361, 31 gennaio 2006, p. 85.
10
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
315
al fine di restituire Labriola, tutto Labriola, secondo l’ordine, la molteplicità e l’unitarietà dei suoi pensieri (filosofici, storiografici, pedagogici,
politici, ecc.). Ma a chi la racconto? Al Salieri in diciottesimi, di un qualche Mozart collettivo inesistente?
2) Risulta pertanto pressoché inutile l’esagerata messa a punto di
Miccolis contro la semplice frase, solo genericamente informativa, dedotta da un’affermazione di Labriola e riportata in uno dei pannelli della
mostra, a proposito del fatto che Labriola, nel 1876, «comincia a dar lezioni di diritti e doveri agli operai romani, distaccandosi dalla Destra
storica».
È inutile, perché è addirittura un luogo comune la convinzione, che il
distacco di Labriola dalla Destra storica fu comunque un processo lungo,
laborioso, intimamente contraddittorio: e perciò stesso assai difficile da
circoscrivere ad un “momento”, ad un “anno” preciso, per un “motivo”
soltanto, in presenza di un unico “dato di fatto”. La stessa proclamata e
tuttavia filosoficamente condizionata (in senso hegeliano) adesione di
Labriola allo herbartismo (che per lui non è una «prigione») la dice lunga sulla sua forma mentis anche in politica.
Senza contare che, con il ‘76, è proprio lo hegelismo labrioliano di fondo a suggerire, che la caduta della Destra storica (da una lato) e la Sinistra al potere (dall’altro lato), al di là dei necessari distinguo, non siano
altro che momenti della medesima «lezione delle cose» con cui fare dialetticamente i conti… Ed è nel ‘76, che Labriola prende posizione contro talune decisioni ufficiali della propria parte politica (per es. a proposito
dell’abolizione delle Facoltà teologiche), senza per questo tagliare i ponti
con essa, tra linearità, discontinuità, contraddizioni… Non per niente,
ancora nel 1903, Labriola sarà pur sempre lui, a suo dire, quel «socialista
in partibus infidelium», cui piacerà ricordare non senza nostalgia, quei
«moderati — che i loro illegittimi eredi di ora fan ritenere per dei conservatori, ma che furono invece dei rivoluzionari temperati»11.
È poi inutile, l’acribiosa messa a punto di Miccolis, perché il primo ad
essere convinto delle ovvie verità che egli polemicamente mi sostiene
contro con eccessivo spreco di veleno, sono proprio io. E mi parrebbe
A. LABRIOLA, L’opposizione al divorzio, in «La Tribuna», 31 gennaio 1903, in ID.,
Scritti politici 1886–1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, p. 503.
11
316
Nicola Siciliani de Cumis
stucchevole elencare qui tutti quei luoghi dei miei scritti nei quali, in
quarant’anni di studi su Labriola, rifacendomi alle consolidate posizioni
e discussioni in proposito, ho cercato di sottolineare la coesistenza di tortuosità e linearità nella formazione labrioliana, tra continuità e rotture,
tra pubblico e privato, tra liberalismo e socialismo, tra filosofia, pedagogia e politica, ecc.
È inutile, perché proprio nella mostra e nel catalogo non mancano tutta una serie di indicazioni, atte a produrre effettivi motivi di nuove indagini, assai più di quanto non faccia Miccolis nella sua fuorviante tiritela, sulla genesi del passaggio di Labriola dal liberalismo al socialismo. Per non dire dei saggi compresi nel libro (tutti selezionati al fine di
illustrare le varie facce del “fenomeno” Labriola), ricordo soltanto il
pannello su «Labriola, l’omnimoventesi», quell’altro dal titolo «Non
“pregiudizi speculativi”, ma scienze sociali e politica», quell’altro ancora
su «Labriola alla Fondazione Gramsci» e quello infine «Per il Labriola di
Eugenio Garin», ecc.
3) E vengo all’altrettanto sterile requisitoria del recensore, per l’avere io, nel corso degli anni, attribuito incautamente scritti non di Labriola
a Labriola; e, come insegnante, di stare quindi ad “ingannare” con bugie
storiografiche i miei ignari, fiduciosi studenti… Non credo, a tal proposito, di avere gran che da dire.
E questo, semplicemente perché non mi sembra di avere mai, dico
mai, ascritto «con sicure ragioni» testi di dubbia paternità a Labriola. Mi
pare invece di essermi sempre limitato a svolgere qualche doveroso, aperto ragionamento, nella forma esplicita dell’illazione, della supposizione, del dubbio, dell’indagine da svolgere, circa la possibilità delle attribuzioni, non scartando mai l’eventualità opposta. E, se talvolta ho ritenuto di avanzare una qualche ipotesi in senso positivo, lo ho fatto convinto come ero e sono che sul Labriola pubblicista e recensore di libri
c’era e c’è ancora molto da scoprire; che, accanto al Labriola scrittore,
rimane da conoscere il Labriola lettore («dagli elementi della formazione
alla cosa formata»); e che, tra l’uno e l’altro, vi sia talvolta una linea di
confine assai sottile ed un contesto in movimento da indagare del tutto,
o quasi del tutto.
Di qui la necessità, nelle diverse situazioni, di distinguere sempre tra
testi certamente di Labriola, testi non di Labriola, testi forse di Labriola, testi in
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
317
qualche modo collegabili a Labriola; e nondimeno l’opportunità di additare,
tra gli uni e gli altri, nessi, interferenze, sovrapposizioni, elementi culturali in comune, stili di pensiero, motivi formativi i più diversi. E ciò, ai
vari livelli: così sul piano degli scritti di Labriola e delle loro fonti, prossime e meno prossime; sul terreno dei testi, dei contesti e dei pretesti di
ciascun momento formativo; nell’ambito della soggettività labrioliana e
della collegialità di certe sue esperienze nelle redazioni di giornali e riviste, a scuola e nell’università, nonché nell’ambito di attività culturali di
diverso tipo, in congressi, associazioni, circoli, comitati, ambienti di partito, ecc.
4) Quanto alle altre notazioni del severissimo mamozio terzo, mi limiterei a far presente:
a) che si può tranquillamente sostenere che un hegeliano come Labriola, marxista in atto tra i cinquanta e i sessantun anni, non può non
essere stato, in qualche modo, marxista in fieri anche in precedenza, nei
lunghi decenni della vigilia: e questo, purché ci si intenda sul senso
complessivo del suo itinerario, del suo sottolineato non–contraddirsi ma
svolgersi, del particolare tipo del suo liberalismo (prima) e del suo marxismo (dopo) e, dunque, delle peculiari modalità antiche e nuove del loro
farsi;
b) che già nel 1876, nonostante la particolarità di quel momento “universitario” ed etico–politico, l’atteggiamento di Labriola verso gli operai e la loro educazione, verso la politica e la «rivoluzione», non è che
una risultante, tra le altre, delle continue discontinuità e discontinue
continuità della formazione: non a caso accade che Labriola, nel corso
della vita, chiami con nomi diversi la stessa cosa («rivoluzione», per
l’appunto) e chiami cose diverse con lo stesso nome (ancora «rivoluzione»);
c) che se è certo importante stabilire che lo scritto del giovanissimo
Labriola in polemica con il neokantiano Eduard Zeller debba non essere
dell’inverno 1862 (come lo stesso Labriola attesta), ma della primavera
del 1863, è altrettanto importante il fatto che Labriola possa essere caduto proprio in un errore come questo: perché, evidentemente, la polemica
contro il “ritorno a Kant”, nella memoria di Labriola, si situa in un contesto altrettanto degno di memoria quanto e forse più dello stesso testo;
un contesto, evocativo tanto delle lezioni di Bertrando Spaventa all’Uni-
318
Nicola Siciliani de Cumis
versità di Napoli, nel ‘62, e delle conversazioni con lui, quanto dell’incidenza della cultura tedesca in città e della recezione delle “ultime novità” filosofiche (per esempio alla libreria Detken);
d) che certe “prove a carico” sono davvero… schiaccianti. Schiaccianti: per ciò che nella mostra e nel catalogo si è esposto o non esposto;
e nei modi in cui lo si è fatto o non lo si è fatto. Così, per esempio, a proposito del nominato Licurgo Cappelletti (un’indagine da fare); relativamente ad Alfredo Poggi e al suo «semiomonimo marchigiano» (ma quale sarà stata la ragione per cui Labriola arrivava a confonderli?); di un
Martinez, al posto di Ferdinando Martini (quasi certamente da correggere); del Labriola debitamente e/o indebitamente “inedito” delle Ispezioni
didattiche del 1885 o alla Fondazione Istituto Gramsci (a causa delle sviste di due studentesse); di due o tre parole manoscritte di Labriola non
esattamente lette e trascritte (da ricontrollare ed eventualmente correggere); e, infine, a proposito di un paio di immagini, forse concernenti
non Antonio Labriola, ma il figlio Franz e Andrea Costa (ma è così?).
4. Come Rodimčik
Prove schiaccianti!
Ma vogliamo scherzare? Rodimčik… Miccolis mi fa tornare in mente
proprio Rodimčik: quel personaggio del Poema pedagogico di Anton Semënovič Makarenko, che ad un certo punto della storia, prove alla mano,
si rivolge a Makarenko per accusare Šere… (Šere, l’agronomo, che tramerebbe alle sue spalle, accusando Rodimčik di inefficienza, opportunismo da “tengo–famiglia” e sostanziale estraneità alla vita collettiva della
colonia).
Rodimčik incolpa quindi a sua volta «quel tedesco» di Šere, di trarre
illecitamente dei vantaggi dal proprio ruolo di agronomo; e porta a Makarenko le prove della di lui indegnità, mostrandogli “filologicamente”
il corpo del reato:
– Lo so io chi è stato, lo so bene chi è che cerca d’incastrarmi, è quel tedesco!
Lei farebbe meglio ad accertarsi, Anton Semënevič, che razza di uomo è quello!
Io me ne sono già accorto: nemmeno pagando ho avuto la paglia per la mia
mucca, e ho dovuto venderla. Così i miei bambini non hanno latte e devo andarlo a prendere al villaggio. Ma mi dica, lo sa cosa dà Šere da mangiare al suo
Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko
319
Milord? Lo sa? Eh, no, che non lo sa. Prende il grano destinato ai volatili e ci fa
il pastone per Milord! Il grano, capisce? Lo fa cuocere e lo dà da mangiare al suo
cane senza pagare un soldo. E quel cane mangia di nascosto il grano della colonia e gratis, solo perché il padrone è l’agronomo e lei si fida di lui.
– Come fa lei a sapere tutto questo? — gli chiesi.
– Io non parlo mai senza le prove. Non sono di quella razza, io, guardi qui…
Aprì un pacchettino che aveva tirato fuori da una tasca interna. Nel pacchettino c’era qualcosa di bianco e nero, una strana miscela.
– Cos’è — chiesi stupito.
– Sono le prove di quel che dico. Sono gli escrementi di Milord. Sterco, capisce. Lo ho seguito fino a che non ho avuto quello che cercavo. Vede cosa espelle
Milord? Grano autentico! E mica lo compra, lo prende semplicemente dalla dispensa.
Dissi a Rodimčik:
– Senta, Rodimčik, è meglio che lei se ne vada alla svelta dalla colonia.
Come, «se ne vada»?
– Se ne vada al più presto. Oggi la licenzio. Mi lasci una dichiarazione di denuncia spontanea, sarà meglio per tutti.
– Non finirà così!
– La finisca come vuole, ma lei è licenziato.
Rodimčik se ne andò. La cosa «finì così» e dopo tre giorni partì12.
Grande Makarenko! Grandissimo Poe…
A.S. MAKARENKO, Sočinenija. Tom Pervi, Pedagogičeskaja poema, Izdatel’stvo Akademii pedagogičeskich nauk RSFSR, Moskva, 1950, pp. 210–212 (e cfr. ID., Poema
pedagogico, nella trad. it. più recente, a cura di S. Reggio, Raduga, Mosca, 1985, pp.
180–182).
12
Antonio Labriola, tra quadri e lettere∗
Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato
A Roberto Bagnato, Roma
Caro Roberto,
tenevo a ringraziarti innanzitutto per il contributo, prezioso, che hai
voluto offrire alla Mostra della «Sapienza», per i Cento anni della morte
di Antonio Labriola. I quattro pannelli sul “papuano” da te elaborati
creativamente, forniscono a loro modo una stimolante interpretazione
del celebre episodio raccontato da Benedetto Croce. Ciò che ne deriva, è
una rilettura all’incrocio di realtà e immaginazione, che sta tutta o quasi
nei pensieri in progress dei personaggi evocati (Antonio Gramsci, Antonio Labriola, Benedetto Croce, Andrea Torre, gli avventori del Caffè Aragno, gli studenti al computer). Il finale della storia, a sorpresa, conferma quindi la peculiarità anche “pedagogica” della costruzione figurativa.
Di qui l’idea di proporre alla tua inventività pittorica qualche altra situazione labrioliana, questa volta poco nota, che potrà forse interessarti.
Leggi quindi, per cortesia, i documenti che ti faccio avere in copia; e considera la possibilità, in tutta calma, di lavorarci un po’ su. Chissà che non
ne venga fuori qualcosa di altrettanto interessante.
∗
Cfr. la lettera di Nicola Siciliani de Cumis a Roberto Bagnato, quelle di Antonio
Labriola e di Alberto Franz Labriola a Ettore Ferrari e il testo stenografico del discorso pronunciato da Antonio Labriola alla «Sapienza» il 16 febbraio 1902, in
«l’albatros», a. VI, n. 3, luglio–settembre 2005, pp. 106–110 (nella rubrica “Lettere
dall’università”). In precedenza, le lettere di Antonio Labriola e di Alberto Franz
Labriola a Ettore Ferrari erano state esposte nella Mostra documentaria su Antonio
Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia (Roma, Archivio Centrale dello Stato
– Archivio di Stato di Roma – Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», 8 marzo – 25 aprile 2005). Il disegno di Roberto Bagnato (Frammenti di posta) è stato invece pubblicato in «l’albatros», a. VII, n. 2, aprile–giugno 2006, pp. 106–
107 (con il titolo Dalla vita di Antonio Labriola).
322
Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato
Di che si tratta? Di tre lettere di Antonio Labriola; e di una quarta lettera, di Alberto Franz Labriola, figlio di Antonio. Vedrai tu stesso, dai testi
(che debbo alla cortesia della dott. Carla Nardi), gli elementi delle situazioni biografiche direttamente o indirettamente evocate: Ettore Ferrari e la
statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori; il matrimonio di Casa Labriola in Campidoglio; la sposa, «una pittrice di Berlino»; la «piccola cena
di famiglia»; Alberto Franz, che va a far visita a Ferrari; Ferrari figlio, che
fa l’esame col professor Labriola, ecc. E poi, nella lettera di Alberto Franz
a Ferrari, il tema della maschera mortuaria di Antonio.
Propongo infine alla tua attenzione, un brano di discorso di Antonio
Labriola su Giordano Bruno, del 16 febbraio 1900, in occasione del trecentesimo anniversario della morte di Giordano Bruno. Un fatto che,
come sai, ha ispirato variamente scrittori, pittori, scultori, uomini di teatro, autori di cinema, ecc.
Che te ne pare?
Un caro saluto, dal tuo Nicola Siciliani de Cumis
Quattro Lettere labrioliane nell’Archivio Centrale dello Stato – Roma1
251 [sic.], Corso Vittorio Em.le, 251
Caro Ferrari.
Ti chiedo un piccolo favore… che accetterò però come un favore grandissimo, soprattutto se tu, come spero, vorrai farmelo di buon grado.
Mio figlio — che viene a vederti di persona — prende moglie, e presentandosi giovedì prossimo sera (5 giugno) alle ore che è di consuetudine in Campidoglio per l’atto civile, noi tutti qui in casa desideriamo che tu
funga da ufficiale dello Stato Civile. Come faremmo a meno di te proprio
noi? Ci vuole un po’ di Giordano Bruno.
Eccoti un’altra ragione. La signorina che mio figlio sposa è una brava
pittrice di Berlino: e per ciò il tuo intervento ci pare come un commento
estetico all’atto civile. Faremo che anche i testimoni corrispondano. Conto su la tua cortesia,
rifermandomi [?] aff.mo sempre
A. Labriola
1
Archivio Centrale dello Stato (Roma), Ettore Ferrari, b. 14, fasc. 697.
Antonio Labriola, tra quadri e lettere
323
Roma. 31/5 1902
Corso V. E. 251
Carissimo Ferrari.
Grazie dell’amabile risposta. Noi avremmo fissato per le otto p. m. di
domani sera (ossia giovedì 5). Tu per quell’ora sarai certamente libero.
Fa di esaudire il nostro voto. Mancando te ci parrebbe che manchi qualcosa di desiderato e di bello a tutta la cerimonia.
Compiuta la quale ti preghiamo di rimanere con noi a una piccola cena di famiglia. Se fosse questione di differire un po’ oltre le otto fammelo
sapere, ché disporremo le cose secondo il comodo tuo.
E per dare buona speranza a me stesso voglio dire: a rivederci giovedì sera in Campidoglio.
Tuo sempre aff.mo
Antonio Labriola
Mercoledì 4 giugno 1902
Mio figlio ti ha cercato più volte. Favorisci la risposta al latore.
13/ 11 ‘192
Caro Ferrari.
Sono stato lieto di trovarmi all’esame di tuo figlio, che s’è portato
bene. Temevo di non poter venire quest’oggi all’Università. Sto per
diventare un professore in partibus infidelium. Dovetti subire la tracheotomia, ed ora non [?] posso parlare.
Saluti affettuosi del
tuo
A. Labriola
Roma 22 / 6 / 912
Via del Pellegrino 105
(Telefono 3549)
Chiar.mo Professore
Trovandomi di passaggio a Roma per motivi di servizio vorrei permettermi di importunarla con una visita. Le sarei grato se volesse farmi
324
Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato
conoscere in quali ore posso trovarla. Sarebbe mio desiderio di riavere la
maschera di mio padre, se ella ne l’avesse in studio.
Gradisca signor professore gli atti del mio particolare ossequio.
Suo dev.mo
A. F. Labriola
Labriola per Giordano Bruno2
Domani fa trecento anni, era di giovedì, al mattino per tempo, in ora
non precisata, che Giordano, o meglio Filippo Bruno da Nola, ex frate
domenicano e filosofo panteista, fu abbruciato vivo in Campo di Fiori,
all’angolo di via Balestrieri, secondo una verisimile interpretazione del
Narducci […].
L’arresto di Bruno avviene nel 1592 e il processo romano si inizia nel
1599, finisce il 4 febbraio dello stesso anno; poi il papa ordina la cosiddetta obbedienza, cioè concede al Bruno 40 giorni affinché si ravveda; ma
ecco, tutto è posto in tacere e fino al 21 dicembre del 1599 il processo non
vien ripigliato.
Invitato a ravvedersi, Bruno rispose: «non debbo, ne voglio ravvedermi, non ho materia per ciò, e non so perché debba ravvedermi».
In tutti gli anni della prigionia, per quello che se ne sa da certe carte
consegnate da un patriota italiano, rimasto anonimo, al Berti, la questione cadde su questo: sapere se Giordano Bruno dovesse esser condannato
come eretico, secondo il comune concetto, o se nell’ambito delle eresie
dovesse entrare la teoria dell’infinità dello spazio e della pluralità dei
mondi. Questa dovette essere la tesi del Bellarmino. E già anche allo
Scioppio pareva condannevolissima la sua dottrina dei mondi innumerevoli […].
Ora ci domandiamo: poteva cedere Giordano Bruno ai suoi oppressori? Sì, prima; no, dopo.
È il testo stenografico di un discorso pronunciato da Labriola all’Università di
Roma, nel cortile della «Sapienza», il 16 febbraio 1900, per il terzo centenario del rogo di Campo dei Fiori: ora in A. LABRIOLA, Scritti politici 1886–1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, pp. 452–459.
2
Antonio Labriola, tra quadri e lettere
325
Nel primo processo di Venezia, preso prigioniero dal suo scolare Mocenigo nella casa ospitale, quando già stava Bruno per fuggire in Germania a Francoforte, dove il suo editore lo aspettava, egli cercò di sottrarsi al processo.
Bruno venne a Roma non da eroe, e lo divenne nel carcere, e in cospetto della storia a Campo dei Fiori.
Tornato in Italia, dal 1591 alla morte egli è sottratto per sempre all’attività scientifica; e poiché dalla fuga dal convento di Napoli nel 1576 al
1591 passano solo quindici anni, è in tale breve periodo ch’egli spiega
tutta la sua meravigliosa attività scientifica.
È in quindici anni forse ch’egli scrive quelle opere latine, riunite e ristampate in sette grossi volumi per cura del ministero della Pubblica Istruzione, e quei due volumi di opere italiane, di cui si ha ora una buona
edizione fatta in Germania. In questi quindici anni ha vagato per tutta
Europa, incontrando a Ginevra la scomunica dei calvinisti, a Parigi
l’intolleranza degli aristotelici, in Germania quella dei luterani e di nuovo dei calvinisti.
Espatriato d’ogni patria, egli è più atopico di Socrate!
Ora, fuori e più in là della tragedia esterna del processo, sono i suoi
attriti che dovrò raccontare.
È la crisi della scienza che si pone di fronte alla Chiesa, ma che non si
può affermare, perché le mancano gli strumenti.
Bruciar Bruno per offese alla Vergine è una puerilità, e il Bellarmino
capì la difficoltà di far rientrare quest’uomo nei canoni della praxis ereticale.
Bruno è il precursore filosofico della scienza moderna: non dobbiamo
a lui specificate scoperte, ma abbiamo in lui tutto lo spirito e tutto il bisogno della scienza moderna.
Egli reca in sé tutta una rivoluzione, e conscio delle sue qualità si
chiama il fastidito: egli non è duce di partiti, come tanti altri, né consigliere di sette, come Calvino.
Egli ha guardato al futuro, mentre la civiltà, dopo le grandi scoperte
geografiche, da mediterranea diveniva oceanica, e mentre la nuova concezione copernicana scompaginava la gerarchia dell’universo.
Non esistono più gli astri e i pianeti contenuti nelle immobili sfere. E
allora la gente s’è domandata con spavento: dunque è esistito un altro
326
Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato
Adamo e un altro redentore per ciascun mondo? Onde a ragione il Bellarmino dice: «II sistema copernicano è il più conforme alla ragione, ma
il più alieno agli interessi della Santa Sede». Il mondo diventa, secondo
la frase del Bruno gl’infiniti mondi, dell’azione di Dio rimane I’Unitutto,
all’infinitamente grande fa riscontro l’infinitamente piccolo.
Bruno fu bruciato, perché diceva che tutte le religioni sono nulle, che
tutto si rimuta per interna virtù.
Nelle Università dove Bruno ha insegnato vi è poco traccia di lui: dove nulla, dove tenui ricordi, dove una semplice firma. Ma Bruno ha trovato poi il suo compimento nel Deus Sive Natura di Spinoza; e l’ultimo
suo scolaro è Giorgio Hegel. Ecco perché il nome di Bruno tornò in onore in Germania al principio di questo secolo.
Né io ho aspettato il 1889 per onorare il filosofo nolano, perché vengo, quantunque non ne segua le idee, da quella scuola in cui brillava
Bertrando Spaventa, il quale pensava che lo studio della filosofia tedesca
sarebbe stato da riprovarsi se non avesse continuata la tradizione bruniana.
Giordano Bruno dall’Inghilterra, sotto il governo della vergine Elisabetta, come prevede la fortuna politica dell’Inghilterra così prevede lo
sviluppo dell’intelletto tedesco, e lui, che non fu mai eretico perché non
fu mai credente, rende omaggio a Martin Lutero, che, novello Alcide, ha
legato il Cerbero della triplice tiara e costrettolo a vomitare il suo veleno.
Questo sarà il programma delle mie future conferenze, che non potranno essere solenni certo come quella di oggi, ma nelle quali, perché in
me nulla ha mai potuto Ignazio di Loyola, manterrò un’intonazione alta,
quale il mio dovere lo esige: perché, professore di filosofia, non rispetto
che il mio convincimento.
Antonio Labriola, tra quadri e lettere
327
328
Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione∗
Nicola Siciliani de Cumis
1. Nell’opera di Antonio Gramsci, tra gli altri luoghi sullo stesso argomento1, ve ne sono alcuni dei Quaderni del carcere, che possono forse
∗
Pubblicato in «Storiografia», a. I, n. 1, 1997, pp. 23–39 (numero monografico su La
recensione. Origini, splendori e declino della critica storiografica, a cura di M. Mastrogregori, Pisa–Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997). Questo studio si
colloca nel quadro di una serie di interventi sullo stesso tema, che da un lato hanno
comportato e comportano una pratica continuativa del recensire (è dal 1961 che lo
scrivente recensisce libri), da un altro lato si spiegano, appunto, sul terreno del rapporto (in senso stretto ed in senso ampio) storiografico–educativo a partire dalla
concreta esperienza dell’autore. La quale, per riassumere, tenderebbe metodologicamente a tradurre nel suo specifico e nei suoi limiti l’antico criterio di Giorgio Pasquali: «Per nulla al mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di aver
scoperto, essi per primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta
dall’esercizio, qualche cosa […] e fosse pure una minima cosa. È desiderabile, mi
pare, che il giovane entri nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un
giorno, anche un giorno solo, un ricercatore, uno scienziato» (G. PASQUALI,
L’università di domani, in Scritti sull’università e sulla scuola, con due appendici di P.
Calamandrei, introduzione di M. Raicich, Firenze, Sansoni, 1978, pp. 48–49; cfr.
quindi N. SICILIANI DE CUMIS. Filologia, politica e didattica del buon senso, Torino, Loescher, 1980, pp. 11 sgg., 76 sgg., 109 sgg., 127 sgg.; ID., Laboratorio Labriola. Ricerca,
didattica, formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, pp. 7 sgg., 85 sgg.,
231 sgg.).
1 Cfr. anzitutto A. GRAMSCI, Quaderni del carcere. Edizione critica dell’Istituto
Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 33, 348–349, 975–976,
2263–2267 e passim. Ma sono numerosi e varii gli aspetti esaminati da Gramsci relativamente all’atto tecnico del recensire (da diversi punti di vista storico–critici, nonché politico–educativi), anche in altra sede prima e dopo il ’26 (soprattutto come
giornalista, e nelle lettere non solo dal carcere). E, alla luce dei suoi modi di vedere
stessi, potrebbe forse essere sostenuta l’ipotesi di tutta un’opera tendenzialmente
riconducibile alla sostanza di una recensione (contenuto e forma), come attività imprescindibile, radicalmente «storiografica» ed elementarmente «educativa». Senza
330
Nicola Siciliani de Cumis
essere subito utili ad identificare i termini della questione: il «punto di
vista» del recensore tra storiografia e educazione. Il punto di vista, cioè,
come documento di in–formazione: considerato proprio il fatto che, tra gli
altri significati tradizionali del documentare (da docere) c’è anche quello
dell’informare e dell’insegnare («per lo più pratico, morale, ma talora
anche intellettuale, teorico, speculativo»), del consigliare, dell’istruire,
dell’ammaestrare, dell’ammonire, del fungere da esempio, da modello,
e perfino da «contenuto dell’insegnamento»2.
E ben sapendo che recensione, l’atto del recensire, all’origine vuol
dire anzitutto affrontare «un’opera nuova, con giudizio sul suo valore
e pregio», «esaminare, considerare con attenzione», «a fondo», e nondimeno «raccontare, narrare», passare in rassegna secondo una qualche cronologia3: e quindi in vario modo storicizzare, educare il senso
storico, da un determinato punto di vista; espressione, quest’ultima,
che pur rinvia alla questione del vedere come strettamente connessa
alla storia, già sul piano etimologico; ed insieme alla questione della
cronaca, dell’informazione formativa4.
Scrive pertanto Gramsci (all’inizio degli anni Trenta)5:
Riviste–tipo. Le recensioni. Ho accennato a diversi tipi di recensione, ponendomi dal punto di vista delle esigenze culturali di un pubblico ben determinato e di un movimento culturale, anch’esso ben determinato, che si vorrebbe
suscitare: quindi recensioni «riassuntive» per i libri che si pensa non potranno
essere letti e recensioni–critiche per i libri che si ritiene necessario indicare alla
lettura, ma non così, senz’altro, ma dopo averne fissato i limiti e indicato le deficontare che essenziale è, per l’antipedagogico Gramsci, la stroncatura critica come
momento “alto” del recensire.
2 Cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, vol. VI (DAH–DUU),
Torino, UTET, 1966, pp. 894–896 (con attenzione anche alla parte storico–antologica,
relativa alle definizioni dei termini (Documentare, Documentazione, Documento
ecc.).
3 Cfr. M. CORTELAZZO – P. ZOLLI, Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. 4
(O–R), Bologna, Zanichelli, 1985, p. 1041 (con significativa bibliografia).
4 Cfr. ID., Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. 5 (S–Z), Bologna, Zanichelli, 1988, pp. 1278–1279; e N. SICILIANI DE CUMIS, L’educazione di uno storico, Pian
di San Bartolo (Firenze, Manzuoli), 1989, pp. IX e 1–3, e pp. 165–197; ma già in precedenza, ID., Filologia, politica e didattica del buon senso, cit., pp. 130–134.
5 GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. 976.
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
331
cienze parziali ecc. Questa seconda forma è la più importante e scientificamente
degna e deve essere concepita come una collaborazione del recensente al tema
trattato dal libro recensito. Quindi necessita di recensori specializzati e lotta
contro l’estemporaneità e la genericità dei giudizi critici.
Ed in un altro testo (precedente, ma rimesso in bella copia nel ’34),
Gramsci chiarisce:
Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un tipo critico–informativo: si
suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato, ma che sia utile per
lui conoscere il contenuto e le conclusioni. Un tipo storico–critico: si suppone
che il lettore debba leggere il libro dato e quindi esso non viene semplicemente
riassunto, ma si svolgono criticamente le obiezioni che si possono muovere, si
pone l’accento sulle parti più interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata ecc. Questo secondo tipo di recensione è più adatto per le riviste di grado
superiore6.
In altre parole, ed in relazione al tema che qui interessa, c’è secondo Gramsci una doppia funzione del recensire: quella del comunicare,
e cioè trasmettere socialmente informazioni bibliografiche, divulgare
contenuti di ricerca, mediare una cultura finalizzata tra chi scrive e
chi legge; e quella del criticare, ovverosia dell’esaminare diligentemente e prontamente, del controllare, integrare e correggere i frutti di
un’indagine, e quindi dell’interferire attivamente in essa facendo sì
che altri, quanti più «altri» è possibile, siano messi in grado di intervenirvi a loro volta non passivamente ma intelligentemente, con “cognizione di causa”. Il motivo storiografico lo intravedi quindi nel riferimento esplicito al punto di vista, alla determinatezza della situazione, all'assumere–riassumere in un «qui» ed in un «ora» certi e non
certi altri elementi per un giudizio (storico) ecc. Mentre è evidente
la dimensione formativa, educativa dell’atto in cui consiste (tra un
«prima», un «durante» e un «dopo») la recensione: che è o dovrebbe
essere domanda ed offerta (trasmissione e produzione) di cultura
generale e di sapere specifico; è o dovrebbe essere un farsi dialogico,
magari dialettico, della relazione «a tre» autore–recensore–pubblico
dei lettori: che è o dovrebbe essere incentivo, valorizzazione proce6
Cfr. pp. 2266–2267 (e cfr. p. 33).
332
Nicola Siciliani de Cumis
durale, promozione effettiva di interessi, di immaginazione creativa,
di competenza maggiore. E non è tutto.
Gramsci infatti non si limita al ragionamento sulla recensione in
quanto tale, come attività critico–informativa speciale e per così dire
separata dall’insieme del lavoro intellettuale caratterizzante le «riviste», intese quali sedi tecniche, laboratori del «vedere» e del ri–
vedere, tra formazioni e trasformazioni storico–educative del «punto di vista». Ipotizza prammaticamente invece, allo stesso riguardo,
un preciso intervento didattico, effettivamente specializzato ma aperto ed esteso, nel senso appunto della maggiore ampiezza possibile dell’utenza del recensire e dei suoi feed back, tra «quantità» e
«qualità». Non a caso quindi, ancora nel quadro della sua riflessione
sulle recensioni, aggiunge7:
Il servizio di informazione critica, per un pubblico di mediocre cultura o che si
inizia alla vita culturale, di tutte le pubblicazioni sul gruppo di argomenti che più lo
possono interessare, è un servizio d’obbligo […]. Le recensioni non devono essere
casuali e saltuarie, ma sistematiche, e non possono non essere accompagnate da
«rassegne riassuntive» retrospettive sugli argomenti più essenziali.
E ancora:
Una rivista, come un giornale, come un libro, come qualsiasi altro modo
di espressione didattica che sia predisposto avendo di mira una determinata
media di lettori, ascoltatori ecc., di pubblico, non può accontentare tutti nella
stessa misura, essere ugualmente utile a tutti ecc.: l’importante è che sia uno
stimolo per tutti, poiché nessuna pubblicazione può sostituire il cervello pensante o determinare ex novo interessi intellettuali e scientifici dove esiste solo interesse per le chiacchiere da caffè o si pensa che si vive per divertirsi e
passarsela buona.
Ciononostante, conviene predisporre gli strumenti «didattici» del
caso; e, sulla base di quanto detto sulle recensioni e sul resto (sullo
stesso «rapporto governanti–governati», sulla «democrazia politica»
ecc.), concludere:
7
Ivi, p. 975 (e dunque 976).
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
333
Queste osservazioni e note sulle riviste–tipo e su altri motivi di tecnica
giornalistica potranno essere raccolte e organizzate insieme col titolo: Manualetto di tecnica giornalistica…
Dalla soggettività del recensire, quindi, ad una tendenziale obiettività della funzione recensiva. Dal fatto scientifico, l’altro fatto educativo: da «manuale». Da una professionalità vaga, indeterminata, la
prospettiva di una certa regolamentazione e tecnicizzazione dell’opera del recensore. L’etica del leggere e dello scrivere «per gli altri»
comporta un salto di qualità di tutto il processo comunicativo e storico–critico–formativo, giacché compromette e coinvolge attivamente una quantità qualificabile di destinatari del servizio. Il «punto di
vista» del recensore da individuare, in un certo senso, si fa collettivo. E del procedimento pedagogico in fieri si dà storia, può prodursi
documento, e cioè una «prova» (quale che sia) di insegnamento–
apprendimento. Tra storiografia e educazione, la recensione resta sì
un genere letterario tecnicamente caratterizzato; ma si specifica operativamente come attività congiunta di didattica e ricerca, intesa a
produrre effetti didattici e ricercativi e teorici ulteriori.
D’altronde. secondo Gramsci: non è la pratica del «recensire criticamente» (al limite dello «stroncare») la migliore delle teorie in proposito?
2. Da una siffatta prospettiva, pertanto, il «punto di vista» del recensore ha una storia, ed è un elemento di primaria importanza nel
processo formativo. È esso stesso, nella sua evidenza o possibile oscurità o ambiguità, un’educazione, uno stimolo allo «storiografico»
(in senso più o meno tecnico): per il fatto che comporta in qualche
modo e misura una reazione, di resistenza o adattamento, di opposizione o di accettazione. Di integrazione, sempre. Il lettore di recensioni, cioè, recensisce a sua volta il recensore: quanto e come, e
con quali conseguenze di rilievo critico, rimane però da vedere; se e
fino a che punto, e se con effetti anche educativi, sarà tuttavia da accertare. Sulla base della propria eventuale esperienza tra storiogra-
334
Nicola Siciliani de Cumis
fia ed educazione, anzitutto8; ma non solo9. Ed in ogni caso sarà utile
rinviare (autocriticamente) alla concretezza della pratica che ciascuno può avere in fatto di recensioni: per averne lette e per averne
scritte, o fatto scrivere; e, nondimeno, per averci lavorato didatticamente su, ovvero per aver tentato di usare l’esercizio del recensire
come uno strumento formativo elementare imprescindibile, in ambito
sia scolastico sia universitario 10. E in qualsiasi altro ambito esplicitamente o implicitamente «formativo» (i giornali, le riviste, altro).
Ad esempio, è pur sempre della recensione, del «punto di vista»
del recensore tra storiografia e educazione, che chi scrive adesso in
questa sede ha avuto l'opportunità di discorrere pubblicamente nella forma seminariale universitaria, e a più riprese, nell’ultimo anno
accademico: vuoi nel caso di un incontro con i Colleghi e i dottorandi del Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale, in tema di
Cautele storico–critiche nella ricerca empirica in educazione11; vuoi
nell’ambito di una lezione a più voci per studenti del Corso di laurea in Filosofia della «Sapienza» romana, che aveva come argomento
La recensione didattica 12; vuoi ancora occupandosi individualmente e
Cfr. a titolo di esempio, dello scrivente, Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica,
formazione, cit.; e, per un chiarimento recente sul punto di vista di recensore
storiografico–educativo, dello stesso, Per un «Dizionario» di. filosofi contemporanei.
in Studi in onore di Giovanni Mastroianni, «Bollettino filosofico» del Dipartimento di filosofia dell’Università della Calabria (Filosofîa e politica), Cosenza, Brenner, 1992, pp. 321–337.
9 Cfr. ancora esemplificativamente E. GARIN, A scuola con Socrate. Una ricerca di N.
Siciliani de Cumis, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1993; ed i tentativi di applicazione di un metodo a diversi livelli e su differenti contenuti recensivi, nelle collaborazioni a riviste come «Scuola e Città» o «Cinema Nuovo», ovvero «Rassegna sovietica» ora «Slavia» (per dire solo di alcune delle esperienze in corso).
10 Cfr. quindi, ancora, il già cit. Filologia, politica e didattica del buon senso, per
l’illustrazione di alcuni casi riusciti di uso didattico della recensione in diversi tipi
di scuola media; e L'educazione di uno storico, cit., da considerare accanto al pur menzionato Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, come bilanci provvisori di
una continuità di intenti sul piano anche universitario.
11 In data 17 febbraio 1995, per invito di Aldo Visalberghi coordinatore del Dottorato «consortile», con sede amministrativa nella Prima università di Roma.
12 Un incontro seminariale, questo, che si rinnova ormai da diversi anni per iniziativa congiunta di Giacomo Cives (Storia della pedagogia) e di chi scrive, e con la
8
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
335
collettivamente di svariate recensioni, e delle tecniche relative, nel
quadro dello svolgimento di due corsi monografici per gli studenti
di Pedagogia della stessa Università13. Infine (ma ciò esaurisce solo relativamente l’indagine), non sono mancati precisi riscontri di contesto
anche fuori dell’ambito accademico di cui sopra, che varrà forse la pena
di documentare a parte14.
Può servire, a questo proposito, ripercorrere (si veda la nota che
segue questo articolo) unitariamente l’andamento delle considerazioni svolte via via nel farsi delle successive occasioni di seminario,
sottolineando preliminarmente la circostanza obiettiva dell’ambiente
istituzionale, che per le sue stesse finalità ha favorito la riflessione sia
personale sia collegiale: e cioè il Dipartimento di ricerche storico–filosofiche e
pedagogiche della Prima università di Roma. Il «punto di vista» del recensire, e la recensione del «punto di vista» tra storiografia e educazione,
non potevano non risentirne variamente. Di qui, pertanto, il senso della
scelta del tema e dei modi dello svolgimento di esso. Di qui lo stesso tono autorecensivo, e l’uso della prima persona, con motivazioni tecniche
esplicite, per altro facilmente desumibili dal testo nella nota e dalle sue
propaggini, cronologicamente successive ma logicamente sincrone.
3. Una data, i «dati»: meglio, l’assunto, gli assunti del recensire
secondo un determinato punto di vista, tra storiografia e educazione.
In altri termini: la recensione che in via di ipotesi più serve, scrivendo di storia in un’ottica pedagogica ovvero insegnando/apprendendo in qualche modo il «mestiere dello storico», già a scuola (dalle elementari all’università, ed ovviamente cambiando le cose che sono
da cambiare ai vari livelli d’età e di acculturazione), la recensione
che più importa, è quella che restituisce i contenuti di un testo e
contemporaneamente introduce problemi: quella, cioè, che funge da
partecipazione di studenti e laureati di diverse «annualità» e generazioni. Oltre che,
talvolta, di qualche collega «ospite».
13 Per gli studenti di prima annualità, su Anton S. Makarenko e il Poema pedagogico; per quelli di seconda annualità su Jean Piaget e l’Epistemologia genetica.
14 Cfr. quindi taluni riscontri, ancora nella forma della recensione, soprattutto
nelle riviste «Slavia», «Cinema Nuovo», «Scuola e Città», nel corso di questi anni
Novanta.
336
Nicola Siciliani de Cumis
tratto–di–unione tra le indagini compiute, da un autore in una certa
opera e di cui si dà conto da un qualche punto di osservazione, e le
indagini che si stimolano nei lettori il più possibile funzionalmente
ad una ulteriorità orientata, tendenzialmente finalizzata a produrre
nuove conoscenze di merito ed un ampliamento della pratica recensiva. E ciò, senza altre limitazioni che quelle derivanti dalla competenza del recensore “in atto” o “potenziale”: dove, per «competenza», si deve intendere sia la formazione e l’esplicazione di capacità
tecniche (in forza di cultura, esperienza, sapere specifico), sia la genesi ed il costituirsi originario di abilità di giudizio (sulla base di
propensioni, attitudini, impulsi dell’intelligenza).
In questo ordine di idee occorre recensire i recensori. E auto–
recensirsi: ed intanto, collocandosi criticamente e autocriticamente
nel bel mezzo del lavorìo individuale e sociale che la recensione come genere alla sua maniera storiografico comporta, contribuire forse
alla costruzione del documento ed al suo ipotetico successivo produrre documenti (variamente didattico–storici). Cioè recensioni. Ma
da dove incominciare? Evidentemente, da «punto di vista»: dal punto di vista che eleggiamo a «nostro» e che, in quanto tale, può essere dichiarato, spiegato, posto in discussione. Nei suoi elementi e nell’insieme;
nelle sue posizioni di principio, e nelle sue conseguenze, come frutto di
riflessioni pregresse, e come traccia del «nuovo» da studiare in futuro.
Di qui, per l’appunto, il senso del successivo promemoria tra cronaca e
storia , tra «indagini scientifiche» e «senso comune»:
a) Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione ha, in quanto tale, una storia ed un rilievo educativo che può essere a sua volta storicizzato
e, nondimeno. essere oggetto di una azione pedagogico–didattica eventuale. Un
buon inizio di ricerca, tra gli altri possibili: la “scoperta” e l’”uso” del primo dei
recensori, di chi «inventò l'arte della recensione» ovvero dell’«antenato degli
stroncatori», probabilmente — in senso tecnico — il patriarca di Costantinopoli
Fozio, vissuto nel nono secolo dopo Cristo (820 circa – 899 circa): ed autore, tra
l’altro, della Bibliotheca o Myriobiblion, che consiste in una rassegna di 279 opere
di diverso argomento (in parte perdute) da lui lette, riassunte ed esaminate criticamente (cfr. Fozio, Biblioteca, trad. it. di Claudio Bevegni, a cura di Nigel Wilson, Milano, Adelphi, 1992, pp. 461). Problema: interferisce o non, nell’attività
del Fozio recensore, il suo punto di vista polemico verso la Santa Sede, che lo
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
337
spinse addirittura a convocare un concilio a Costantinopoli e ad accusare di eterodossia la Chiesa occidentale? Nelle lettere d’invito da Fozio spedite ai patriarchi e ai vescovi delle chiese d’Oriente, oltre che nelle sue recensioni e negli altri
suoi scritti, quale diretta e/o indiretta pedagogia si esprime? Di che marca è,
dunque, il tipo della sua storiografia?
Ed ancora a proposito di lettere, di epistolari, di comunicazioni interindividuali private e/o pubbliche, fino a che punto ed in che modo in determinati casi
(trattandosi cioè di interlocutori tecnici in un certo campo), tali testi non sono da
considerare proprio l’espressione di un punto di vista, di una recensione, di
un’interferenza dialogica, tra lo storiografico e l'educativo?
b) Segue un’ulteriore approssimazione ai termini del problema, che qui interessa; ed essa si propone in direzioni d’indagine prospetticamente ipotizzabili
(per somme linee). Di modo che, ai fini della presente ricerca sul «punto di osservazione» di questo recensore, storico da un lato, educatore dall’altro, può forse essere utile la seguente scaletta pro–memoria:
– La recensione e la sua storia come genere storiografico, ed insieme come
strumento educativo. Autori e testi noti, e da individuare tra «indagini scientifiche» e «senso comune». Biblio–emerografie. Riviste specializzate. La terza pagina dei giornali. Dibattiti e polemiche ricorrenti. Zona di confine: la stroncatura.
– L’ideologia del recensore, il suo sistema di valori tra storiografia e educazione. Competenze ed incompetenze. La tecnica del recensire, ed il motivo
deontologico che variamente vi si connette. Valenze documentative e pedagogiche.
– La «pubblicità» come elemento caratteristico della ulteriorità dell’atto
del recensire. Dialogicità espressa o potenziale. Socialità dello stile di pensiero
(individuale–collettivo) del recensore. Il «pubblico» della recensione, il «recensire» da parte del pubblico. Antipedagogismo. La recensione pubblicitaria. La
pubblicità recensiva. I risvolti di copertina, le veline per i giornali, le iniziative
editoriali (ai vari livelli) ecc., come occasioni di studio (storiografico–educativo).
– Limiti e possibilità del recensire «pedagogico». Strumenti intermedi: le
schede di lettura, le rassegne critico–bibliografiche, le note problematiche, i
riassunti, le rilevazioni dei temi ricorrenti, le tassonomie concettuali, le incidenze dei contenuti, la rilevazione di tesi ed ipotesi, l'osservazione di «indizi» (convergenti e/o divergenti), l’identificazione di ulteriori itinerari d’indagine nel
quadro della materia specifica.
– Quantità e qualità del recensire, tra filologia e educazione (autoeducazione). La recensione più lunga, a ragion veduta, del libro recensito. La recensione laconica, per brevità calcolata, come «maieutica» del leggere funzionale
(comunque critico–autocritico).
338
Nicola Siciliani de Cumis
– Prefazioni e postfazioni, come propedeutiche del leggere–recensire l'opera cui si riferiscono. L’educazione del testo, la storicizzazione del contesto.
Informazione e giudizio come pedagogia indiretta. Tra presente, passato e futuro dell’attività di recensione.
– L’intervista e l’auto–intervista come recensione/auto–recensione (al limite, come auto–stroncatura). Gli errata corrige come motivo, tra l’altro, educativo/autoeducativo (al limite, come test di attenzione e di correttezza nel leggere).
Il diario culturale di autori e lettori, come l’intervista/auto–intervista.
– La recensione e la compravendita del prodotto cui si riferisce. Recensioni
e best–seller (libri come patate? film come dentifrici?). Le «ragioni» e i «torti» del
mercato. Un’occasione educativa, il «vederci chiaro». Motivi storico–storiografici ed etico–politici, oltreché pedagogici, di un siffatto, esplicativo «punto di
vista». Recensione del «recensore–imbonitore», recensione delle «recensioni a
pagamento», recensione della «recensione di scambio» ecc.
– Gli attributi del recensore (nel significato sia soggettivo sia oggettivo del
genitivo). Aggettivi di valore e di disvalore. Identificazione del lessico di chi recensisce, in rapporto al lessico presumibile del destinatario della recensione.
Funzione tecnica ed insieme pedagogica di eventuali neologismi.
– Il «metodo» e il «merito» del recensire. La recensione come discorso indiretto sul metodo («i canoni del recensore»), e come intervento critico di merito
(«di che si tratta»). All’origine di un’educazione non diretta («antipedagogica»).
Responsabilità del recensore, responsabilità del lettore di recensioni. Un’ipotetica crescita di competenze, a livello sia formale che di contenuto, e sul terreno
sia soggettivo che oggettivo.
– La recensione come mediazione pedagogica. Le pagine culturali dei quotidiani e dei rotocalchi, e le riviste specializzate, tra «cultura di massa» e «alta cultura». Tra trasmissione culturale, e produzione culturale «di base». La recensione come momento amplificatore, procedurale, dell’indagine, tra stabilizzazione
di competenze e promozione di capacità tecniche, ovvero di cultura generale.
Temi e problemi di una «filosofia» della recensione.
– La traduzione come (in un certo senso) recensione. «Tradurre è un po'
tradire». Recensire le traduzioni in funzione esplicitamente educativa, nell’insegnamento/apprendimento (non solo) della lingua straniera, e (anche e soprattutto) dei meccanismi inter/trans–culturali specifici. Storicità, e dunque storicizzazione di ciascun prodotto di traduzione. Un’educazione.
– Il recensir di nuovo la stessa «cosa», da un diverso «punto di vista». La
ripetizione–strumento educativo, in rapporto con l’irripetibile–obiettivo storiografico (Gramsci). Nessi storico–educativi di testi e contesti, di contesti e pretesti di ricerca nuova, ulteriore. Quot capita, tot… recensiones.
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
339
– Rapidità e lentezza strumentale, funzionale, del recensire. La recensione
come acquisizione di mobilità intellettuale, di flessibilità critica. I «corsi di lettura rapida», in relazione con l’attenzione costitutiva del recensire. Tempi storico–
cronologici e diacronico–metastorici. Educazione e diseducazione della mente.
Crescita della capacità di scelta, potenziamento di motivazioni e costruzione di
interessi (tra utilità e disinteresse).
– Recensire le recensioni, recensire le stroncature, stroncare le recensioni,
stroncare le stroncature. Dibattiti ricorrenti, continuità della polemica: documentazione in corso di chiarezza e confusione di idee, un’ipotesi educativa a
partire dalla querelle nei suoi termini storici, come segno dei tempi (storiograficamente ricostruibili).
– Rubriche di recensioni nei periodici (quotidiani, settimanali, quindicinali, mensili. bimestrali, trimestrali, quadrimestrali, semestrali, annuali ecc.). Stabilizzazione e occasionalità del posto–recensione. La «cattedra» del recensore.
Interventi critici ed educativi a breve, media e lunga scadenza. Identificazione
di un ipotetico (prevedibile) feed back.
– Straordinarietà del recensire. La recensione «anomala». L’umorismo come «recensione». Recensire «senza leggere» l’oggetto di recensione. La recensione «preventiva» e quella «tardiva» (a ragion veduta). La recensione «spettacolo». Recensioni e «avvisi di garanzia». Le «manette» del recensore. La «pena
di morte» come «recensione». La recensione che «arriva dall’aldilà».
– La recensione visiva. La cine–recensione. La video–recensione. La recensione a fumetti. Comics e recensioni. Strips librarie. La recensione in vignetta, la
vignetta come recensione («una recensione tutta da ridere»).
– Sciocchezzaio del recensore. Il «Re Censore», «Catone, il recensore». Un
«catechismo» per recensori. Recensioni «a naso». L’«auto–critica» (nel senso di
una critica–automobile) ecc.
– La recensione didattica. Il «gioco» della critica. Concorsi di scrittura recensiva nella scuola. Studenti recensori. Il recensito in classe, gli studenti «in
giuria». Morte e trasfigurazione della recensione e del suo «punto di vista», tra
storiografia e educazione, didattica e autodidattica, «Non–transitività» del verbo (transitivo) educare.
– Il recensito che recensisce il recensore. Il lettore capace di recensire in
concorrenza con il recensore. Funzione ad hoc delle rubriche delle «lettere al direttore» (in giornali, e riviste specializzate). Il lettore «storico» e «educatore», tra
«indagini scientifiche» e «senso comune». Critica della passività del recepire
(leggere, vedere, ascoltare). Prospettive ulteriori del «punto di vista», tra storiografia e educazione.
340
Nicola Siciliani de Cumis
c) Discorso a parte, benché organicamente connesso alla recensione, meriterebbe, anche in questo quadro, la stroncatura15.
La stroncatura. Ricerca necessaria. E l’indagine non potrà per prudenza, che
incominciare con il considerare l’ipotesi descritta da Edgar Allan Poe, nelle Regole di
critica letteraria (ora in Scritti ritrovati, a cura di F. Mei, con sette disegni di F. Clerici,
Brescia, Shakespeare and Company, 1984, pp. 164–165), allo scopo di accertare subito il senso e i limiti della «cosa». Lo humour nero di Poe si colora, qui, di ben altre
tinte:
«[…] Lasciate che lo spirito del libro in se stesso prenda cura di sé, o che sia oggetto d’attenzione di qualche mano più competente, e per parte vostra procedete ad
enumerare gli errori verbali: ogni libro ne contiene abbastanza per farlo condannare,
se dovesse essere giudicato solo in base ad essi. Sarà veramente un caso raro se non
troverete una dozzina di proposizioni e anche più usate in modo poco corretto, o se
non riuscirete a pizzicare una congiunzione o due piuttosto superflua. Quando avrete finito lo spoglio […] ci saranno errori tipografici in abbondanza su cui appuntare l’attenzione; dopodiché se la vostra recensione è ancora difettosa per lunghezza
o non è ancora abbastanza cattiva, avete […] il titolo, il tipo dei caratteri, il taglio del
volume, la rilegatura e l’editore a cui fare ricorso. Ogni errore scoperto in un libro
aiuta a ostacolare la sua vendita e risponde al fine precipuo della critica letteraria,
che è quello di mettere il critico, e non l’autore recensito, in una posizione di vantaggio […].
La miglior linea di condotta è di giudicare un libro non per quello che è effettivamente e che vuol essere, ma per quello che non è e che l’autore non ha mai inteso
che fosse; in base a questo, pronunciare ma condanna irrevocabile. Con questo sistema costringete l’autore stesso a riconoscere la verità della vostra critica; e di fronte a coloro che si affidano a voi per farsi la loro opinione, sarete considerato un recensore profondo, splendido e brillante. Di tutti i vari modi di recensire un libro,
questo offre il più ampio margine di estro, perché non vi costringe a limitarvi all’opera in esame, ma vi permette di citare liberamente dall’ultimo libro che avete letto.
Se il libro da cui citate, dovesse trattare un argomento diverso da quello che state
recensendo, vi servirà a far apparire l’autore molto ridicolo mostrando quanto egli
sia diverso da qualcun altro […].
Niente è più facile che far apparire ridicola un’altra persona, ma non è sempre
facile al tempo stesso riuscire a non apparire tali. Perciò, si deve esser sempre molto
cauti, nel fare a pezzi un autore, a non infliggere delle ferite a se stessi. In una recensione, lo scopo principale è di far sì che il recensore, non il recensito, appaia in una
posizione di vantaggio. Il critico perciò deve spulciare tutte le notizie e le idee brillanti che può, dal libro che sta recensendo, e sporgerle qua e là nel suo articolo, senza rivelare la fonte della loro origine. Il più grande sforzo che deve prefiggersi un
recensore è di mettere se stesso tra il pubblico e l’autore, cosicché l’autore viene perso completamente di vista quando l’articolo arriva alla fine».
15
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
341
4. Proprio Gramsci del resto, tutto Gramsci, quello dei Quaderni del
carcere e quell’altro che precede (nonostante i necessari distinguo), è un
invito alla riflessione sull’argomento nelle sue articolazioni pedagogico–
antipedagogiche, didattiche–antididattiche, nel senso appunto della ricerca: e quindi della recensione come indagine innovativa, perspicua, segno di vitalità intellettuale e morale, produttiva a sua volta di nuova vita
tecnico–etica, e storico–politica.
Né è un caso che l’antica convinzione marxiana sull’educazione, che
«le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato» (K. Marx, 3a Tesi su Feuerbach, 1845), rispunti nella sostanza in Gramsci: coniugandosi poi variamente all’idea di una quotidianità formativa, pedagogica, didattica, da riconoscere e da far valere nella
complessità delle situazioni di insegnamento–apprendimento. La recensione, a questo livello, è strumento educativo elementare, essenziale: e si
ripropone metodologicamente come leva della crescita della volontà e
dell’intelligenza individuale e sociale (e quindi di massa). Le «armi della
critica», innanzi tutto. Le riviste, i giornali, sedi privilegiate, accanto ai
libri, alla scuola, alle altre intermediazioni istituzionali della trasmissione e della produzione di cultura, di sapere, di competenza, all’incrocio
di quantità e qualità (Gramsci vi insiste).
La recensione, in questo senso, può essere essa stessa ricerca storica
di prima mano, esemplificazione minima di indagine storiografica; veicolo, dunque, di abiti critici ed autocritici in sviluppo. Il recensire altro
non è, in un’ottica siffatta, che una presa d’atto della realtà nel suo prodursi quotidiano, problematico, non prevedibile e nondimeno da padroneggiare razionalmente. L’atteggiamento del recensore dovrà allora essere senza meno attivo, frontale, alternativo a ragion veduta, oppositivo se serve, nell’interesse dell’oggetto medesimo di recensione: e integrativo, correttivo, modificativo ben oltre l’esistente, in funzione di un’ulteriorità recensiva in formazione, tanto se si guarda all’intervento del recensore, quanto al carattere della «cosa» (come già si
diceva più sopra) recensita o recensibile. A cominciare appunto dalla
sua relazione con la quotidianità e dai suoi «documenti» giornalieri: al
limite dal «giornale in classe» come strumento storiografico–educativo
in senso stretto e in senso lato), metodologicamente eletto a rappresentare i termini per così dire «sperimentali» del rapporto, da un certo «punto
342
Nicola Siciliani de Cumis
di vista». E cioè, ancora, dal punto di vista di chi scrive qui queste note,
per come è venuto storicamente e pedagogicamente strutturandosi fin
dal principio nel farsi di una circoscritta esperienza di insegnante–
ricercatore, tra «filologia, politica e didattica del buon senso»16. Così riassumibile, relativamente a ciò che qui interessa, alla recensione, appunto,
come genere storiografico nella sua valenza educativa «di base»17:
L’ipotesi unitaria […] consiste nel tentativo di combinare operativamente assieme, e di far convergere nella dimensione di un’unica didattica (dell’italiano,
della storia, della pedagogia, ecc.), due esigenze distinte: e cioè l’uso del quotidiano come strumento di formazione etico–politica; e, con lo stesso mezzo, ricerca storica di prima mano, in classe.
Al di là delle pur importanti «variazioni sul tema» e delle acquisizioni concrete sul terreno linguistico, documentativo, storico–pedagogico; e al di là delle
ulteriori «possibilità di sviluppo» del metodo «filologico» nelle diverse classi e
nei differenti tipi o livelli di scuola, il giornale, tra cronaca e storia, consente di
conseguire subito, a certe condizioni, risultati considerevoli in fatto di apprendimento–insegnamento, di profitto, di verifica del prodotto ottenuto. L’intelligenza critica dei problemi attuali attraverso un’indagine sulla quotidianità–
trascorsa e ormai fattasi storia, può permettere infatti questo di particolare: che
gli scolari–ricercatori acquistino il senso di una articolata e ampia prospettiva di
giudizio, mantenendo nel loro approccio al passato il vantaggio, il gusto dell’immediatezza e talvolta dell’«urgenza» del problema esaminato e dei suoi
termini. D’altra parte, l’interesse, l’attenzione riservata nel corso del normale
svolgimento dei «programmi» a qualcuno dei più notevoli episodi dell’attualità–presente, mediante gli stimoli alla ricerca che possono provenire da antiche cronache e comunque da documentazioni giornalistiche, è un modo abbastanza perspicuo per accertare proceduralmente la vitalità degli stessi programmi e per utilizzarne o rettificarne l’indirizzo, sotto la spinta di una realtà in
Il volume loescheriano su citato, del resto, sottolineava nella Introduzione l’intrinseco legame tra impegno personale nell’attività di ricerca (con i suoi limiti, le sue
regole. le sue finalità e i suoi strumenti, e soggettivo compito professionale (cfr. SICILIANI DE CUMIS, Filologia, politica e didattica del buon senso, cit., pp. 11–36). Il che è
continuato e continua a valere nelle intenzioni, come si è detto, anche fuori della
scuola media, nell’università.
17 Ivi, pp. 127–129. Cfr. infine, ID., Prime note per una ricerca didattica su Gramsci,
Gentile, l’educazione, negli «Atti» del Convegno di studi su Giovanni Gentile, la pedagoga, la scuola, dicembre del ‘94 a Catania (Università degli Studi, Facoltà di lettere, a
cura di Giuseppe Spadafora), poi nei tipi dell’editore Armando.
16
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
343
sviluppo. Ed è appunto qui che prende corpo e consistenza durevole l’idea di
ricerche originali da parte degli studenti: qui l’idea del «vantaggio» di una formazione individuale e di gruppo progressiva, sperimentalmente rinnovabile
nella duplice ottica del presente e del passato a concorso, in vista della soluzione di un problema dell’oggi.
Tutto ciò significa, nel farsi concreto di un’educazione, confronto sistematico
di linguaggi, di situazioni, di idee; vuol dire approssimazione razionale alle
questioni e abbinamento controllato, per somiglianza e per differenza di circostanze problematiche antiche e recenti sul piano di una selezionata «contemporaneità». Da questo punto di vista, l’uso in classe di sepolte effemeridi
e di giornali dimenticati, in parallelo e a confronto con le gazzette quotidiane
ancora fresche di stampa (la hegeliana «preghiera del mattino») può comportare qualche vantaggio didattico, che val la pena di rilevare.
A parte il non sottovalutabile esercizio collaborativo di studenti e insegnante per verificare quotidianamente o almeno periodicamente il ritmo del
proprio passo con quello del mondo, ciò che più conta è la possibilità e la continuità dell’accertamento, nel contesto sociale soggettivo che è la classe, delle «accelerazioni» e dei «ritardi» dei processi sociali oggettivi in corso, alla luce di una crescita
globale di interessi individuali e di gruppo. Il che comporta di fatto il superamento, anche, di certe barriere linguistiche; l’acquisto di una più elevata
consapevolezza storica e politica; e quindi una maggiore padronanza critica
di sé e della propria cultura, dall’interno di un determinato ma non immodificabile contesto civile ed esistenziale.
In tal senso, a seconda dell’argomento, a seconda del problema, le esperienze ora riferite vanno viste come i momenti trainanti di una azione scolastica complessiva. Esse sembrano pertanto essere servite anzitutto a recuperare e a non dissipare energie, ad aggregare e a chiarire, nelle varie classi, i
compiti e i ruoli di ciascuno. Hanno anche contribuito, in qualche caso, a
saldare positivamente, una volta evitata la contrapposizione, un curricolo
scolastico «normale» con un curricolo scolastico «straordinario», «parallelo».
ecc. E, a proposito, va detto almeno questo: che le ricerche di cui si discorre
hanno avuto quasi sempre la capacità di sollecitare negli studenti — nel caso
che non fossero stati già questi ultimi a prendere l’iniziativa e a stimolare
essi stessi l’insegnante — una maggiore adesione, un’attenzione più critica,
consapevole e «necessaria», ai programmi previsti dagli ordinamenti: e ciò,
paradossalmente, proprio nel momento in cui le stesse ricerche venivano
presentate (in un certo senso lo erano anche) come qualcosa di «alternativo».
Acquistando i ragazzi fiducia nelle loro capacità di ricercatori e ottenendo
da sé la certezza di svolgere un’attività intelligente, impegnativa e «seria»
oltre che autogratificante, essi hanno finito con lo scegliere più che col subire
344
Nicola Siciliani de Cumis
o con l’accettare ciò che, in un primo tempo avevano rifiutato. Il che vale in
particolare per certi argomenti del programma o per alcuni libri di testo.
Quando anche sia capitato di verificare la inadeguatezza degli uni e degli
altri, rispetto agli interessi sia maturati in classe sia sviluppati fuori dalla
scuola, il lavoro integrativo «tra cronaca e storia» per l’intervento attivo di
studenti e insegnante — ma gli uni e l’altro solidali nella realizzazione
dell’unico fine ricercativo — ha consentito in effetti di riempire qualche
«vuoto», di colmare lacune, di superare fratture: a cominciare da quella più
grave ed evidente, tra la «vita» e la «scuola», la cultura e il libro […].
Tale «il punto di vista», esplicitamente tecnico, e storico–biografico,
del recensore; ed il presupposto stesso della interferenza procedurale
ipotetica, tra l’attività storiografica e quella educativa. A scuola e fuori
della scuola. Nell’università, certamente, e fuori dell’università. Recensendo libri, e riflettendo in vario modo attorno alla pratica del recensire.
E leggendo e documentando, per quanto possibile, il ripresentarsi periodico, tra cronaca e storia, dei termini della «quistione» (nell’accezione
gramsciana della parola). Del recensire e dei suoi «momenti» e «moventi», come diceva Antonio Labriola discorrendo del «mezzo pratico per
misurare la nostra cultura storica», ed insieme «la nostra capacità di intendere il presente […] i fatti politici attuali» (nel 1900). Ed ora, prendendo le mosse da questo occasionale scambio di idee (estate 1995) tra recensori della recensione e della sua funzione vuoi storiografica, vuoi educativa, nell’ottica di un ipotetico punto di vista dialogico18:
a) Bruno Pierozzi: Vorrei sollecitare a questo punto una riflessione su l’opportunità di dedicare uno spazio (ad esempio la domenica) ad una rubrica che
recensisca libri e pubblicazioni. La rubrica a mio avviso non dovrebbe però limitarsi alla recensione delle sole novità editoriali, ma svolgere anche un’opera
Su «Liberazione», 28 giugno e 4 luglio 1995: due lettere dal titolo Una rubrica
per i libri e Bella idea recensire libri. Non sembra tuttavia che le due iniziative abbiano
poi avuto alcun significativo riscontro, o conseguenza, nel senso richiesto dai due
lettori del quotidiano. Per una mappa di possibili direzioni di indagini sulle recensioni dei giornali, dal punto di vista storiografico–educativo che qui interessa, sui
temi del «recensire le recensioni», delle «stroncature preventive». del «recensore
frettoloso», dell’«inconscio bibliografico», degli «errori di stampa», di un «errata corrige» ecc., cfr. da ultimo N. SICILIANI DE CUMIS, Stravaganze biblio–emerografiche, in
«Samnium», luglio–dicembre 1995, pp. 232–236.
18
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
345
dì divulgazione di testi oggi «oscurati» dalla cultura nuovistica. […] Si avverte
oggi con prepotenza l’esigenza di mantenere viva la «memoria storica» […].
Non mi illudo che questo compito impervio possa essere esaurito da una rubrica dedicata ai libri e alla pubblicistica politica, ma sono fermamente convinto
che possa essere uno strumento di grande utilità per orientare, per invogliare
alla lettura e ad ulteriori approfondimenti.
b) Vitaliano Stabilini: Non si può non essere d’accordo con Bruno Pierozzi,
per il rilievo dato all’idea di una rubrica di recensioni di libri, con particolare
attenzione alla tradizione dei classici del marxismo. Personalmente, se la proposta prendesse quota, vorrei collaborarvi. E comincerei, proprio. da Antonio
Gramsci e dalla sua teoria (per così dire) della recensione. La sintetizzo con le
sue parole stesse: «Ho accennato a diversi tipi di recensione, ponendomi dal
punto di vista delle esigenze culturali di un pubblico ben determinato, che si
vorrebbe suscitare: quindi recensioni «riassuntive», per i libri che si pensa non
potranno essere letti e recensioni critiche per i libri che si ritiene necessario indicare alla lettura, ma non così, senz’altro, ma dopo averne fissato i limiti e indicato le deficienze parziali, ecc. Questa seconda forma è la più importante e scientificamente degna e deve essere concepita come una collaborazione del recensente al tema trattato dal libro recensito. Quindi la necessità di recensori
specializzati e lotta contro l’estemporaneità e la genericità dei giudizi critici».
Che Gramsci! E noi? […] risulterebbe una scelta pedagogicamente essenziale
tentare di ragionarci su e di mettere socialmente in pratica lo schema del duplice tipo di recensione. Perché non ci proviamo, qui ed ora, fornendo esempi […]?
Ci riusciremo?
Se ci riusciremo è francamente difficile, difficilissimo dire. Il discorrere
criticamente di recensioni può essere, tuttavia, almeno uno spiraglio sulla positività dell’intento. E fa parte del «gioco», cioè del lavoro impegnativo e serio del recensore nella costruzione di un ipotetico «punto di vista» tra storiografia ed educazione, il tentare di prospettare soluzioni
tecniche, metodiche, in un certo qual modo «pedagogiche»: benché si
sappia senza infingimenti che, se i verbi educare, formare, insegnare ecc.
sono grammaticalmente «transitivi», essi però risultano di fatto non–
transitivi; nel senso che non serve alcun «complemento» perché l’azione
verbale espressa si compia: giacché ogni educazione, formazione, insegnamento che si rispetti, non può che essere in ultima analisi che un’auto–educazione, un’auto–formazione, un’auto–didattica. Si può quindi
essere pienamente d’accordo con la lezione dei «Maestri», in tal senso.
346
Nicola Siciliani de Cumis
Al recensore, spetta sì il compito di una relativa esemplarità metodologica, in presenza, mai in assenza, del merito delle questioni da lui trattate; ma un esercizio siffatto è pur sempre imperfetto, incompiuto, aperto
al «nuovo» che esso stesso proceduralmente introduce o almeno prefigura tra lo «storiografico» e l’«educativo», dal suo «punto di vista». Ecco
perché, già solo alla luce di quanto detto fin qui, c’è una quantità di altri
discorsi non svolti che pur vi si ricollegano e che converrà tentare. C’è
l’obbligo dell’autorecensione. E dunque, in via esemplificativa: va bene il
Gramsci della «recensione»: ma fino a che punto il vero Gramsci, sul tema, è questo, come si è detto, che ne parla per esplicito e che qui è stato
recensito, e non piuttosto l’altro Gramsci, quello che non ne fa cenno per
esplicito pur mettendo in pratica i suoi criteri di recensore? In che misura, se abbiamo affrontato un argomento così (il «punto di vista» storiografico–educativo del recensore per l’appunto) siamo riusciti ad essere
autocriticamente trasparenti, ed a restituire le «ragioni» della costruzione
della tesi ed il senso delle sue articolazioni? Se la prospettiva da cui ci si è
posti fin qui fosse da ora in avanti un’altra (e le variabili da considerare
sono in realtà numerose e diverse), come ripenseremmo alla materia delle nostre riflessioni in corso? In che consisterebbero i termini ideologici di
un’autorecensione degli attuali modi di osservazione del «punto di vista», che vuol essere tratto–di–unione, ovvero di–disgiunzione tra le attività storiografiche e quelle educative, intanto, di questo singolo ricercatore, di questo solo insegnante19?
E poi, in prospettiva (dal punto di vista di quest’ultima, nell’esercizio della sua
funzione di recensore): il Labriola che recensì libri, probabilmente e con relativa certezza su «La Cultura» di Ruggero Bonghi (con buonapace dei labriolologi acribiosi
epperò ignoranti), nell’86 sognava davvero «volentieri di Giordano Bruno nelle logge
massoniche». O almeno sognava di sognare di lui colà (nonostante gli errori di
stampa nelle Lettere ad Engels, da correggere, certo). Lo Eugenio Garin totus recensor
di questo straordinario volume in fieri dal titolo Minima paedagogica, con i suoi scritti
educativi «minori» di oltre un sessantennio, è nella recensione come genere storiografico, nelle schede critiche, nelle note e chiose e postille che fornisce una chiave
metodologica per entrare nel merito dell’opera maggiore. Forse. E ancora: questo
continuo andirivieni dalle biblioteche e dagli archivi storici, non solo a vantaggio
della propria personale ricerca, ma anche nel quadro di un’attività educativa in corso, è parte essenziale della qualità della concretezza del recensire e libri e film (e delle recensioni di libri e film). Questa ricorrente diatriba sulla «realtà» della recensione
19
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
347
Nota. Cautele storico–critiche nella ricerca empirica in educazione∗
Il chi
Per cautelarmì (se è possibile) dalle ambivalenze, dalle ambiguità anche, che lo stesso concetto di cautela comporta, spero mi sia consentito di
servirmi di un tono insistitamente problematico–interrogativo, per così
dire da questionario. Ma un simile approccio dovrebbe esserci tecnicamente congeniale, tra questioni di merito, appunto, e questioni di metodo: e, quanto a me, non saprei farne a meno (al di là di ogni espediente
retorico), giacché incomincerei immediatamente col chiedermi una spiegazione tanto dei valori «negativi» della parola cautela, per giunta al plurale, con i significati di prudenza, circospezione, precauzione, riserbo,
difesa ecc., quanto dei valori semantici «positivi» del termine: quali accortezza, avvedutezza, ponderazione, furbizia, riflessione, controllo, ecc.
Sì, controllo: e siamo già, evidentemente, su un terreno peculiare, scientifico, «unificato» alla John Dewey, sperimentale in senso stretto, ed esperienziato, al livello di precise, circoscritte, limitatissime prove d’indagine
tra storiografia e educazione. Diciamo, la recensione…
In ogni caso, non saprei uscire dalla mia concreta pratica di ricercatore. Non posso, cautelativamente, che fare riferimento ad essa e ai suoi
problemi e alle sue tecniche, alla sua ambizione formativa, e dunque alle
sue difficoltà, impossibilità, deficienze, limitazioni oggettive e soggettive
autolimitazioni.
oggi, e sul suo «dover essere», trova un attimo di respiro, una boccata di ossigeno,
se un autore fa sapere di aver riscritto di pianta un’opera nella seconda edizione,
«alla luce» delle critiche dei suoi recensori. Trovata pubblicitaria anche questa?
Chissà. Però avverti che, tra storiografia ed educazione, le prime prove di recensione
dei critici in erba del «Grinzane Cavour» pubblicate non solo sui giornali scolastici
ma sui quotidiani di massima tiratura, qualcosa sono. Ma può bastare? No di certo,
se volendo in qualche modo partecipare del punto di vista di Pasquali sullo studente–ricercatore «per un solo giorno» (e della critica gramsciana della «passività»), non
s’inventa e si generalizza la figura dell’insegnante–recensore, in classe (ad ogni livello di scuola).
∗
Lo stesso titolo della lezione di dottorato di cui sopra, e l’espressione «ricerca empirica», a dispetto del suo significato occasionale polivalente, indicano
comunque recensione, ed un recensire quantitativamente rilevante di libri e realtà, idee e fatti. valori e disvalori (tanto educativi quanto storiografici).
348
Nicola Siciliani de Cumis
Ecco perché in primo luogo, anche in generale, è al punto di vista
di chi compie una determinata ricerca, che io comincerei col rimandare: chi sono io che svolgo questa indagine? Chi siamo noi che
indaghiamo? Chi, al singolare e al plurale, chi individualmente e
collettivamente, chi siamo e chi vogliamo essere nel corso di un siffatto studio a valenza storico–critica ed insieme (in qualche modo e
misura) di tipo empirico–educativo? Chi — infine, o dal principio
— sono i «soggetti» dell’indagine?
La celebre questione etimologica e glottologica della storia come
«istoria», ἱστορία e historia (con quel che precede e segue, sulla radice ἰδ di όραω, dell ’ aspirata h, dello spirito aspro e dello spirito
dolce ecc.), come questione non solo filologica, si propone e ripropone come essenziale: se è vero, per dirla ancora con il Dewey di
Logica, teoria dell'indagine, che sempre che noi narriamo e descriviamo un fatto, in effetti ri–viviamo una storia, ri–scriviamo la storia (e magari la Storia). Di qui la cautela, il maggior sforzo possibile, di trasparenza ideologica. Chi cioè, più di tutti, mi condiziona
nel mio agire storico–critico? Avendo solo una frazione di secondo
per pensarci, non avrei dubbi a rispondere. E risponderei: Antonio
Gramsci, il Gramsci di tre luoghi per me indimenticabili (il primo
scoperto al liceo, il secondo come studente universitario, il terzo a
cinquanta anni). Eccoli, nell’ordine cronologico–bio–bibliografico:
a) Carissimo Delio, […] Mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto.
Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola.
Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età,
perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti
più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro
in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di
ogni altra cosa. Ma è così?
Ti abbraccio.
Antonio20
20
A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Torino,
Einaudi, 1965, p. 895. L’edizione su riferita era tuttavia quella parziale, del ’61 nei
tipi degli Editori Riuniti, con prefazione di Luigi Russo (la lettera in questione era a
p. 159, e chiudeva la raccolta); e fu letta contestualmente al volume Lettere ai condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945), a cura di P.
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
349
b) Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie nelle scuole
elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini
della Sardegna ed io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza
nazionale della regione: «Al mare i continentali!» Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito
ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe
operaia.
Ma quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile
quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era
possibile amare una collettività se non si era amato profondamente delle singole
creature umane. Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante,
non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario?21
c) Giustificazione delle autobiografie. Una delle giustificazioni può essere questa: aiutare altri a svilupparsi secondo certi modi e verso certi sbocchi. Spesso le
autobiografie sono un atto di orgoglio: si crede che la propria vita sia degna di
essere narrata perché «originale», diversa dalle altre, perché la propria personalità è originale, diversa dalle altre, ecc. L’autobiografia può essere concepita
«politicamente».
Malvezzi e G. Pirelli, Prefazione di E. Enriques Agnoletti, Torino. Einaudi, 1952. Di
quest’ultimo libro cfr. quindi la recensione, nella rubrica «Un libro per voi», a cura
di chi scrive in «il Sentiero», periodico del Liceo «P. Galluppi» di Catanzaro, del 24
novembre 1961 (tra gli altri collaboratori e recensori, nello stesso numero, Gianni Amelio,
Maria Donzelli).
21 A. GRAMSCI, 2000 pagine di Gramsci. Volume secondo. Lettere edite e inedite
(1912–1937), a cura di G. Ferrata e N. Gallo, Milano, Il Saggiatore, 1964, pp. 32–33
(una lettera a Julca, da Vienna, 6 marzo 1924). Cfr. quindi, in rapporto “dialettico”
con la medesima esperienza di Gramsci le due recensioni di N. Siciliani de Cumis:
di A. VISALBERGHI, Educazione e condizionamento sociale, Bari, Laterza, 1964, su «Riforma della scuola», maggio 1964, p. 39, e di F. PITIGLIANI, Metodologia della programmazione. Piano pilota per le scuole secondarie inferiori in Calabria, Roma, Istituto di
rilevazioni statistiche e di ricerca economica, 1964, in «Scuola e Città», aprile 1965,
pp. 295–296.
350
Nicola Siciliani de Cumis
Si sa che la propria vita è simile a quella di mille altre vite, ma che per un
«caso» essa ha avuto uno sbocco che le altre molte non potevano avere e non
ebbero di fatto. Raccontando si crea questa possibiltà, si suggerisce il processo,
si indica lo sbocco. L’autobiografia sostituisce quindi il «saggio politico» o «filosofico»: si descrive in atto ciò che altrimenti si deduce logicamente.
È certo che l’autobiografia ha un grande valore storico, in quanto mostra la
vita in atto e non solo come dovrebbe essere secondo le leggi scritte o i principi
morali dominanti […] solo attraverso l’autobiografia si vede il meccanismo in
atto, nella sua funzione effettuale che molto spesso non corrisponde per nulla
alla legge scritta. Eppure la storia, nelle sue linee generali, si fa sulla legge scritta: quando poi nascono fatti nuovi che rovesciano la situazione, si pongono delle domande vane, o per lo meno manca il documento del come si è preparato il
mutamento «molecolarmente», finché è esploso il mutamento […] le autobiografie […]22.
Il dove
D’altro canto, in quale spazio si situa l’indagine storico–critica, relativamente al suo uso empirico–educativo? Se c’è un luogo in cui l’ipotetica storicizzazione avviene, e c’è un luogo dove si colloca, distanziandosene la materia oggetto di analisi storica, in che rapporto stanno le
due «sedi» tra lontananza ed avvicinamento nel qui o lì dell’esperienza
formativa, pedagogica? In che misura è ammissibile, e con quali cautele,
nel corso di una sperimentazione sul campo ed in presenza delle sue
proprie tecniche, prescindere con cognizione di causa dalla effettiva localizzazione di un fatto storico complessivo e complesso?
In altre parole occorre, dovunque, ricollocarsi extralocalizzandosi
(per adoperare la terminologia di un Bachtin, ma già Gramsci diceva
che bisogna pensare mondialmente): e quindi riuscire ad agire, in quanto storici ed in quanto educatori, di conseguenza. È una specie di ginnastica della mente, che comporta costruzione di abiti storicamente
nuovi, interiorizzazioni inedite, tuttavia sempre relative, parziali, ri-
22 GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. 1718 e pp. 1723–1724. È questa la chiave di
lettura di una serie di testi individuali e collettivi, prodotti a vari livelli d’indagine
in oltre venticinque anni di insegnamento sia scolastico sia universitario: ed infine,
recensendo il Poema pedagogico di Makarenko come documento storico–autobiografico a forte valenza educativa; e dunque «antipedagogico», nei modi spiegati
dall’autore stesso.
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
351
schiose. Vale tuttavia la pena di osservare «sul campo», però storicizzandola, un’indicazione metodologicamente innovativa in questo genere
«dialogico»:
Una cultura straniera solo agli occhi di un’altra cultura si rivela più pienamente e profondamente (non però in tutta la pienezza, perché sorgeranno anche
altre culture, che vedranno e capiranno ancora di più). Un senso rivela le sue
profondità, dopo essersi incontrato ed essere entrato in rapporto con un altro
senso, straniero: fra di essi comincia una specie di dialogo, che supera la chiusura e l’unilateralità di questi sensi di queste culture. Noi poniamo alla cultura
straniera nuove domande, quali essa stessa non si poneva, cerchiamo in essa risposta a queste nostre domande, e la cultura straniera ci risponde, scoprendo
davanti a noi nuovi suoi aspetti, nuove profondità di senso. Senza le nostre domande (ma certo, domande serie, autentiche) non si può creativamente capire
niente di altro e di straniero. In un tale incontro dialogico di due culture esse
non si fondono e non si confondono, ognuna conserva la sua unità e aperta interezza, ma esse si arricchiscono reciprocamente23.
Il quando
Non è un caso, d’altra parte, che sia lo stesso menzionato Bachtin a
fornirci lo strumento concettuale di una cautela storico–critica ulteriore,
a proposito del «tempo» (la hora di cui parla Dewey): una cautela perfettamente trasferibile, a mio avviso, sul piano della ricerca empirica in
educazione. È sufficiente, nella citazione dialogica che segue, sostituire
alla parola «opera» la parola «essere umano», al termine «autore» il termine «educatore», ai «testi» le «teste» e (perché no?) il testing — conservando però, in ogni caso, il senso ed il valore dei limiti, del contesto, della
differenza (categoria storico–critica per eccellenza). E allora:
Il primo problema è capire l’opera così come la capiva l’autore stesso, andare
oltre i limiti della sua comprensione […]. Il secondo problema è l’inserimento
nel nostro contesto (estraneo all’autore).
Si tratta di mantenere la differenza fra due testi.
M.M. BACHTIN, Otvet na vapros redakcij «Novago mira» [Risposta a una domanda
della redazione di «Novyj Mir», in «Novyj Mir», n. 11, 1970, p. 240 (trad. it. di G. Mastroianni, Pensatori russi del Novecento, Napoli, L’Officina tipografica, 1993, p. 5). Cfr.
quindi N. SICILIANI DE CUMIS, I filosofi russi e il «Giano bifronte» di Bachtin (Note di culturologia tra Italia e Russia/URSS/Csi, 4), in «Slavia», aprile–giugno 1994, pp. 42–49.
23
352
Nicola Siciliani de Cumis
Non ci sono né la prima, né l'ultima parola e non ci sono confini al contesto
dialogico (esso si perde nello sconfinato passato e nello sconfinato futuro) […].
In ogni momento dello sviluppo del dialogo esistono enormi, illimitate moltitudini di sensi dimenticati, ma, in determinati momenti dell’ulteriore sviluppo del
dialogo, nel suo corso, essi di nuovo saranno ricordati e rinasceranno in forma
rinnovata (in un nuovo contesto)…24.
Il che cosa
È il grande tema dei contenuti dell’insegnamento/apprendimento (ma
va oltre): il tema, enorme, della materia specifica nel quadro della «enciclopedia pedagogica» e delle sue storiche ripartizioni in settori (psicologico, sociologico, metodologico, disciplinare); ed è il tema delle cautele
critiche, che dalla suddetta quadripartizione consegue assieme ad alcune
domande precauzionali, preventive ma basilari, in ordine alla scelta educativa, che qui ed ora soprattutto interessa. E quindi, storicamente e
pedagogicamente parlando:
1. se le competenze professionali che si richiedono agli insegnanti si
possono schematicamente ridurre alla conoscenza dell’allievo, alla conoscenza della società, alla conoscenza dei metodi ed alla conoscenza della
materia dell’insegnare e dell’apprendere, è un fatto che tutti e quattro i
tipi di competenza evolvano storicamente e criticamente: e che, pertanto,
lo sviluppo e il mutamento siano essi stessi parte di un processo (storico–
critico) che appartiene all’esperienza educativa (al limite anche «sperimentale»);
2. se c’è (come sembra vi sia) un’evidente relazione tra le suddette
competenze dell’educatore ed i settori delle scienze dell’educazione precedentemente elencati, non sembra essere dubbio che tra la storia e la
critica interna alle singole discipline (o a gruppi di esse) e la storia e la
critica della didattica non può, non deve esserci soluzione di continuità
(ed è per me un’assunzione metodologica “alta”, quanto irrinunciabile);
3. se la “filosofia dell’educazione” o la “pedagogia generale”, e la
“pedagogia sperimentale” o la “pedagogia comparata” costituiscono
“problema” circa il loro posto nell’«enciclopedia pedagogica», sembra
essere proprio la dimensione storico–critica a consentire una corretta,
M.M. BACHTIN, in T. TODOROV, Michail Bachtin. Il principio dialogico, trad. it. di
Anna Maria Marietti, Torino, Einaudi, 1990, pp. 150–151.
24
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
353
nuova impostazione e possibile risoluzione della questione (sia teorica
sia empirica): nel senso che, anche al di là delle eventuali istituzionalizzazioni accademiche (le cattedre, i gruppi concorsuali, i dottorandi di ricerca ecc.), è la storia e la critica interne ai su indicati ambiti disciplinari
a decidere in ultima analisi delle legittimità o meno del loro posto tra le
scienze dell’educazione;
4. se, per altro, la “pedagogia sperimentale” in specie vuol continuare ad essere non una scienza particolare, ma un modo soprattutto di utilizzare diverse scienze dell’educazione al fine di svilupparne altre (le
metodologie didattiche, le tecnologie educative, la “teoria del curriculum” ecc.), sembra opportuno ipotizzare forse una maggiore ampiezza
dell’ambito dell’influenza di ciò che è «sperimentale» ed al tempo stesso
(cioè storicamente e criticamente) «pedagogico»;
5. se difatti non c’è attività «scientifica» che in qualche maniera non
poggia su ipotesi e controlli di tipo variamente «sperimentali», potrà
servire, probabilmente, anche ai fini educativi cogliere sempre, purché ci
sia, l’elemento esperienziale, empirico, prammatico, e dunque di sperimentazione, di prova, di avanguardia tecnico–scientifica, di rottura tra
presente, passato e futuro, al di qua e al di là della «storia»;
6. se finalmente, poi, ciascuna disciplina o scienza che afferisce alla
«enciclopedia pedagogica» ha una sua storia, ha i suoi contenuti specifici, una sua materialità empirico–educativa (perfino sperimentale, nei
suoi confini tradizionali e nelle sue ibridazioni interdisciplinari ovvero
transdisciplinari ulteriori), allora pare ancora utile agganciare la cosiddetta “storia della materia specifica” (con le critiche che essa competono,
tra didattica e ricerca) ad ognuna delle scienze dell’educazione con o
senza patente… Di maggior interesse, anzi, quelle discipline di statuto
epistemologico–educativo in via di formazione, e dunque più che mai
«sperimentali», più che mai pedagogiche nel loro costituirsi tendenzialmente come «scienza».
354
Nicola Siciliani de Cumis
Il perché
È il gran tema delle ragioni storiche (soggettive ed oggettive) del nostro voler e saper essere critici sempre, nella ricerca empirica in educazione, non meno che in altre attività direttamente o indirettamente pedagogiche. E vale la pena di sottolineare il doppio valore causale e finale
del «perché»: il motivo della mia ricerca consiste in questo, lo scopo che
mi prefiggo è il seguente… ma è bene non teorizzare oltre: anche perché
le cautele storico–critiche, oltre un certo limite, possono essere paralizzanti. E dunque, meglio mettersi in gioco… continuare a metterci in gioco, ciascuno, nella quotidianità del nostro lavoro di ricercatori, nei limiti
delle nostre eventuali competenze, e capacità di traduttori o ipotetici induttori di competenze leggendo e rileggendo storicamente e criticamente — poniamo — il Poema pedagogico di Anton Semёnovič Makarenko —
subito avvertiti del fatto, a suo modo empirico ed educativo, che l’opera,
non solo la parola del titolo, recupera e moltiplica, nella sua chiave, tutti
i significati del verbo greco ποιέω e le sue conseguenze «multilaterali»,
«politecniche», complesse ed ipercomplesse, oltre che ricchissime in prospettiva…
Ma perché recensire questo autore, a quale scopo, con quali obiettivi e
finalità, relativamente a ciò che voglio ottenere con la mia disamina per
gli altri o con ali altri, di storiografico ed insieme di educativo? Perché
recensire monograficamente l’opera, un romanzo di educazione, come se
fosse (lo è) un documento storico? Perché collegare di fatto, nel corso di
un lavoro didattico e di ricerca strettamente congiunto ad altre parallele
esperienze di ricerca e didattiche, lo scrivere di storia ed il leggere di educazione? Che cosa mi propongo di ottenere nell’immediato, storicizzando il Poema pedagogico, che cosa mettendo in evidenza il rilievo educativo del mio ipotizzato ragionamento storico–ricostruttivo? Almeno i
seguenti sperabili risultati elementari, da cui dedurre quindi le «regole»
di una possibile recensione didattica su cui continuare a discorrere con colleghi e studenti e studiosi25:
Cfr. intanto su «Slavia», luglio–dicembre 1995, pp. 3 sgg., a cura di chi scrive e di
Beatrice Paternò, i materiali di una recensione individuale–collettiva del Poema pedagogico, che completano il testo stesso del romanzo makarenkiano, integrandoli di
due capitoli pressoché sconosciuti, e dunque di ulteriori elementi di riflessione e di
interpretazione.
25
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione
355
a) una comprensione della vicenda narrata dall’autore;
b) una certa sensibilizzazione del gusto per il leggere;
c) una approssimazione a tutt’intera la pedagogia di Makarenko;
d) una collocazione del romanzo nel suo spazio e nel suo tempo;
e) una contestualizzazione del libro in relazione agli altri testi adottati
per il corso;
f) una problematizzazione, tra cronaca e storia (per analogia e per differenza), dei principali concetti e delle situazioni educative rappresentate nel romanzo;
g) una qualche attenzione alle fonti esplicite e/o implicite dell’opera;
h) una individuazione degli interessi, in presenza della materia specifica (specie quella relativa alla problematica degli interessi secondo Makarenko);
i) una prefigurazione di ipotesi di indagini sul romanzo, sull’autore,
sui tempi ecc., «a partire da…»;
l) uno studio iniziale della letteratura critica su Makarenko;
m) un inizio di lettura di corrispondenze makarenkiane con colleghi
pedagogisti, e con taluno degli allievi della colonia «Gor’kij»;
n) una sottolineatura del rapporto personaggi del romanzo/allievi effettivi (della colonia, della comune) di Makarenko;
o) un approfondimento delle coordinate pedagogiche generali del
romanzo, in rapporto con le vedute estetiche del tempo (Makarenko, il
realismo socialista, il suo lirismo, la sua idea di arte, di bellezza ecc.; ma
pure, fuori dell’Ucraina e dell’URSS, Dewey…);
p) una caratterizzazione delle idee–forza della concezione del mondo
rnakarenkiana, siccome risulta dal romanzo;
r) una spiegazione del concetto di «pedagogia dello scoppio» (anche
in relazione al tema dell’«esplosione» in altri autori, da Ejzenštejn e
Vygotskij a Lotman);
s) una ipotesi sull’idea di «sperimentazione», secondo Makarenko;
t) una lettura dell’interpretazione di Gyorgy Lukács sul Poema pedagogico come prova di «accumulazione originaria» della pedagogia socialista;
u) un’attenzione particolare al tipo di umorismo pedagogico dello
scrittore Makarenko;
356
Nicola Siciliani de Cumis
v) una discussione sui temi: biografia/autobiografia, collettivo, diritto, filosofia, gioco, morale, politica, prospettiva, quantità/qualità, valutazione, rotazione, scienza, vita, ecc.
z) un’indicazione di ricerca: il 1934 (e dintorni). Come recensione, anche questa.
Autori presenti nel volume e nel DVD
Pietro Borzomati. Ordinario di Storia contemporanea nell’Università statale per
Stranieri di Perugia. Collabora a «L’Osservatore Romano». Studioso di temi e problemi della questione meridionale, del movimento cattolico e della spiritualità popolare in Calabria.
Giovanni Cacioppo. Professore di Didattica nell’Università di Palermo. Dirige per i
tipi dell’editore Sciascia, la collana «Percorsi formativi». È autore, tra l’altro, di studi
su Aldo Capitini e Danilo Dolci.
Mario Casalinuovo. Avvocato, uomo politico, pubblicista. Ha collaborato e collabora a riviste e a giornali, su temi e problemi di carattere sociale, amministrativo, meridionalistico.
Sergio Cicatelli. Docente nelle scuole medie e all’università, dirigente scolastico nei
licei, è studioso di materie filosofiche. Esperto di questioni inerenti alla didattica
della filosofia e, più in generale, al rapporto insegnamento–apprendimento–ricerca.
Giacomo Cives. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza», vi insegna tuttora materie storico–pedagogiche. Presidente del Centro Italiano per la Ricerca Storico–Educativa (CIRSE). È soprattutto studioso di autori e opere dell’Ottocento e del Novecento pedagogico italiano (ispezioni e inchieste, filosofia dell’educazione, Gabelli, Collodi, Giuseppe Lombardo Radice, Montessori, ecc.).
Marco Antonio D’Arcangeli. È professore associato di Pedagogia generale nell’Università di L’Aquila. Ha svolto e svolge incarichi di insegnamento in altre università,
tra cui «La Sapienza» di Roma. È studioso, soprattutto, di Luigi Credaro e della «Rivista Pedagogica».
Nino Dazzi. Prorettore delegato ai Rapporti con l’Amministrazione nell’Università
di Roma «La Sapienza». Ordinario di Psicologia dinamica nella medesima università. È autore di studi di storia della psicologia e di didattica.
Girolamo de Liguori. Ha insegnato a vario titolo nella scuola e all’università. È studioso di Arturo Graf, del materialismo filosofico tra “modernità” e “contemporaneità”, nonché di temi e problemi storico–filosofici, storico–letterari, culturologici ed
educativi.
Tullio De Mauro. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». È stato Ministro della Pubblica istruzione e del’Università. Storico della lingua, linguista,
filosofo del linguaggio, lessicografo. Studioso, tra l’altro, di Saussure, Wittgenstein,
Croce, Gramsci, Don Milani. Pubblicista ed esperto di divulgazione scientifica.
358
Autori presenti nel volume e nel DVD
Graziella Falconi. Politologa. Collabora variamente a «Le nuove ragioni del socialismo» e, sul piano nazionale, con il Dipartimento Formazione dei Democratici di Sinistra.
Franco Ferrarotti. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». Primo
cattedratico di Sociologia in Italia, fondatore e attuale direttore di «La Critica sociologica», parlamentare. Noto in Italia e all’estero per gli studi sui classici della sociologia, per le indagini sul campo, per le polemiche e per i reportage fotografici.
Remo Fornaca. Professore Emerito nell’Università di Torino. Già presidente del CIRSE,
è soprattutto studioso di temi e problemi di storia dell’educazione in Italia, tra Ottocento
e Novecento. Le sue opere spaziano nei campi della filosofia dell’educazione, della pedagogia generale, delle tecnologie educative, delle storia della cultura.
Vincenzo Gabriele. Laureato in Filosofia. Ha studiato la rivista «Giornale critico
della filosofia italiana», dal punto di vista della sua attenzione alla pedagogia,
all’educazione, alla scuola, alla didattica.
Norberto Galli. Ordinario di Pedagogia generale nell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano. Studioso di temi e problemi relativi alla pedagogia familiare, nelle
diverse loro connessioni con le scienze dell’educazione e della formazione. Dirige la
rivista «Pedagogia e Vita».
Tullio Gregory. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». Accademico dei Lincei. Dirige il Lessico Intellettuale Europeo e settori nell’Istituto
dell’Enciclopedia Italiana. Si è occupato del platonismo medievale e rinascimentale
e dei momenti di passaggio e di crisi tra il XII e il XVII secolo. Studioso delle dimensioni giuridico–istituzionali, organizzative, strutturali e materiali, anche quelle più
“elementari”, della cultura.
Luigi Londei. Direttore dell’Archivio di Stato di Roma. Storico, docente, pubblicista.
Ha pubblicato studi di archivistica e di storia delle magistrature dello Stato della
Chiesa nell’età moderna.
Emiliano Macinai. Assistente di redazione della rivista «Didatticamente». Collabora con la Facoltà di Scienze della formazione di Firenze.
Mario Alighiero Manacorda. Ordinario di Storia della pedagogia nell’Università di
Roma «La Sapienza». Studioso, in particolare, dell’educazione nell’antichità greca e romana e della pedagogia di Marx, Engels, Gramsci; nonché dei rapporti tra l’educazione
intellettuale, morale, politica e l’educazione fisica, quella agonistica in specie.
Giacomo Marramao. Ordinario di Filosofia politica nell’Università di Roma Tre. Direttore della Fondazione «Lelio e Lisli Basso–Issoco». Storico della filosofia, politologo, pubblicista. Studioso, tra l’altro, dell’“austromarxismo”, del revisionismo in
Autori presenti nel volume e nel DVD
359
Italia, della secolarizzazione e il potere, delle culture comunitarie. Ha insegnato e
insegna in diverse università italiane e straniere. È membro del Collège International de Philosophie di Parigi.
Stefano Miccolis. Studioso dell’opera di Antonio Labriola e di autori che variamente gli si riconnettono. Di Labriola, ha curato, in particolare, un’edizione dei carteggi
in cinque tomi.
Maria Pia Musso. Insegna nella scuola media e collabora con la Cattedra di Pedagogia generale I dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza». Ha pubblicato
un libro sul tema del “gioco” durante il fascismo e contributi in volumi collettanei e
in riviste (su Labriola, Gramsci, ecc.).
Marco Maria Olivetti. Ordinario di Filosofia della religione e primo Preside della
Facoltà di Filosofia, nell’Università di Roma «La Sapienza». Socio corrispondente
dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Studioso di notorietà nazionale e internazionale, in particolare, di Kant, Jacobi, Heidegger, ecc. Ha diretto l’Istituto di Studi Filosofici «Enrico Castelli» e la rivista «Archivio di Filosofia».
Vincenzo Orsomarso. Docente di Italiano e storia negli istituti tecnici. Collabora con
la Cattedra di Pedagogia generale I, nell’Università di Roma «La Sapienza». È autore di libri e saggi sul materialismo storico, su Labriola, su Gramsci, sulla divisione
sociale del lavoro, sul nesso didattica–ricerca.
Claudia Pinci. Laureata nella “triennale” in Scienze dell’educazione e della formazione, nell’Università di Roma «La Sapienza». Studentessa della laurea “specialistica”. Ha studiato in particolare Makarenko e Yunus a confronto.
Luigi Punzo. Straordinario di Storia della filosofia nell’Università di Cassino. Studioso della cultura inglese del Seicento, del pensiero politico di Francesco Bacone,
del marxismo di Antonio Labriola. Ha svolto e svolge incarichi di governo
dell’università. Attivamente impegnato nei Democratici di Sinistra.
Ricci Aldo Giovanni. Sovrintendente all’Archivio Centrale dello Stato. Storico e
pubblicista. Studioso, in particolare, di Sismondi e il marxismo.
Francesca Rizzo. Docente di Filosofia contemporanea nell’Università di Messina.
Collabora con la Società Italiana di Storia della Filosofia. È studiosa del pensiero e
dell’opera di Gentile, nelle sue relazioni con la filosofia del Risorgimento.
Federico Ruggiero. Dottore in Filosofia, cultore di materie pedagogiche e scientifico–educative. Educatore professionale. Studioso di Labriola e di Vygotskij.
Roberto Sandrucci. Docente di Storia e filosofia nei licei. Collabora con la Cattedra di
Pedagogia generale I. Studioso di temi e problemi di storia della filosofia e di storia
360
Autori presenti nel volume e nel DVD
della cultura (Cartesio, Renato Serra, Günter Anders, Gianni Amelio, l’intercultura, la
didattica, ecc.).
Antonio Santoni Rugiu. Professore Emerito di Storia della pedagogia nell’Università di
Firenze. Storico dell’educazione. Specialista di storia delle istituzioni scolastiche e universitarie e di storia della didattica. “Enciclopedico” studioso di autori classici, non solo
della pedagogia. Sensibile ai temi e ai problemi dell’educazione, anche in rapporto ai
mass media (teatro, cinema, radio).
Gennaro Sasso. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». Storico
della filosofia e filosofo della cultura. Studioso, tra l’altro, di Machiavelli, Croce,
Gentile. Dirige la rivista «La Cultura».
Daniela Secondo. Studentessa del Corso di laurea “triennale” in Scienze dell’educazione e
della formazione.
Fulvio Tessitore. Ordinario di Storia della filosofia nell’Università di Napoli «Federico
II». Senatore della Repubblica. Presidente del Comitato d’onore per le celebrazioni
dell’Anno labrioliano (2004). Studioso, soprattuttto, dello storicismo tedesco contemporaneo. Pubblicista.
Roberto Toro. Docente di Storia e filosofia nei licei. Musicologo ed esperto di tecnologie informatiche e audiovisive. Collabora alla Cattedra di Pedagogia generale I
dell’Università di Roma «La Sapienza».
Giuseppe Vacca. Presidente della Fondazione Istituto «Gramsci». Ordinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Bari. Storico della filosofia politica, politologo, studioso, tra l’altro, di Bertrando Spaventa, Gramsci, Togliatti. Membro
della Direzione Nazionale dei Democratici di Sinistra.
Corrado Veneziano. Autore di teatro e di cinema. Documentarista. Professore di
Linguistica nell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico». Ha insegnato in università italiane e straniere.
Indice dei nomi*
ABBAGNANO N., 15, 17
ADLER M., 41
ALBERTI A., 228, 230, 244
ALTHUSSER L., 74
AMELIO G., 348n., 360
ANDERS G., 360
ANDREUCCI F., 35n., 256n., 272
ANGIULLI A., 108, 228, 230, 259 e n.
ARDIGÒ R., 108, 230, 308n.
ARISTOTELE, 67, 275
ASTURARO A., 169
BABINI V.P., 31
BACON F., 252, 275, 359
BACCARINI A., 152, 168n.
BACCI L., 39n.
BACHTIN M., 292, 351 e n., 352n.
BACKHAUS G., 172n.
BADALONI N., 113
BALUFFI G., 174
BAGEHOT W., 275
BAGNATO R., IX, 321 e n.
BAIN A., 251, 275
BAKUNIN M.A., 75
BALLIO E., 174
BANFI A., 113
BARATONO A., 47, 48
BARBERA L., 249
BARBUSSE H., 174
∗
BÄRENBACH F. VON (pseudonimo di F.
MEDVECZKY), 236
BARZELLOTTI G., 97, 228, 230, 234, 235,
245, 278, 296
BARZILAI S., 234
BASSO L., 134, 142 e n., 143, 144n., 169, 220,
253, 254, 255 e n., 256, 272 e n., 273, 276
BATTA MILESI G., 168
BATTAGLIA S., 330n.
BELLAGAMBA L., 10
BELLARMINO (cardinale), 326
BELLERATE B., 88n., 100, 218, 299
BERGAMI G., 174
BERGSON H., 54, 66, 174
BERNARD C., 252
BERNINI G.L., 10
BERNSTEIN E., 104
BERTI D., 174
BERTI G., 119, 174
BERTONDINI A., 299
BERTONI JOVINE D., 89n., 206n., 230, 233,
307n.
BEVEGNI C., 336
BIAGETTI S., 129
BIANCHI L., 296
BIANCO V., 174
BIEDERMANN G., 278
BINET A., 132, 285
BLONDEL M., 54
Considerata la frequenza con cui torna nel volume, non si registra, ovviamente,
il nome di Antonio Labriola.
362
BÖCKH A., 278
BONACCORSO R., 55 e n.
BONAVENTURA DA BAGNOREA, 55n.
BONCORI G., 128, 132, 134, 218, 284 e n.,
285, 287 e n., 288, 299
BONFIGLI P., 31
BONGHI R., 104, 105, 121, 125, 169, 228,
234, 248, 249, 250, 251, 346n.
BONIFACIO VIII (papa), 222
BORROMINI F., 10
BORZOMATI P., VII, 9, 357
BOSELLI P., 261, 265, 266
BOSEO (professore), 266
BOSSUET J.B., 275
BOUTROUX É., 54
BRANCHETTI M.G., 9–10
BROCCOLI A., 28n., 220
BRUNER J.S., 132
BRUNO G., 63, 260, 322, 324, 325, 326,
346n.
BUCHANAM G., 275
BUCHARIN N.I., 74, 168n.
BUCKLE, H.T., 278
BURKE E., 275
BUSINO G., 144n.
CABRINI A., 261, 266
CACIOPPO G., VII, 13, 357
CALAMANDREI P., 329n.
CALANDRA C., 266
CALOGERO G., 15, 24, 94, 219
CALVANI A., 286n., 297, 298n.
CALVINO (J. CAUVIN), 325
CAMBI F., 34n., 35n., 52n.
CANTONI C., 295
CAPITINI A., 357
CAPPELLETTI L, 121, 318
CAPRIOGLIO S., 348n.
CARDUCCI G., 108
CARINA D., 107
Indice dei nomi
CARLYLE T., 104
CASALINUOVO M., VII, 19, 357
CASATI G., 82, 123, 223
CATONE M.P., 339
CAVOUR C.B. (conte di), 108
CELESIA E., 82
CENTI B., 294n., 299
CERAMI V., 17
CHIAPPELLI A., 310n.
CHIMIENTI P., 261, 265, 266, 267
CHIOSSO G., 34n.
CHOEN E., 41
CIAMPI C.A., 2
CIAMPI I., 174
CICATELLI S., VII, 23, 128, 131, 357
CICCOTTI E., 39n., 267
CIMINO G., 295n., 299
CIVES G., VII, 29 e n., 88n., 100, 218,
334n., 357
CLERICI F., 305n., 340n.
COLLODI C. (pseudonimo di C. LORENZINI), 357
COLONNA V., 124
COMENIUS (J.A. KOMENSKY), 54n.
COMTE A., 168, 246, 275, 278
CONDORCET J.–A.–N., 50n.
COPPINO M., 82, 227
CORNELIUS H., 54
CORDA COSTA M., 218
CORTELLAZZO M., 330n.
COSTA A., 39n., 125, 267, 318
COTRONEO G., 100, 218
COVATO C., 27n., 123, 223
CREDARO L., 24, 27, 29, 33 e n., 34, 35,
36 e n., 37 e n., 38n., 39 e n., 40n.,
42, 43 e n., 44, 45, 46, 47, 52, 53, 55,
57, 218, 261, 265, 266, 267, 270,
307n., 357
CREMONA L., 230, 242
CRISPI F., 152
Indice dei nomi
CROCE B., 35, 39n., 48, 61, 65, 66, 68, 70
e n., 71, 77, 78, 83, 85, 86 e n., 97,
103, 115, 118, 122, 134, 153n., 164,
168n., 174, 190, 201, 219, 220, 267,
308n., 309, 310n., 311, 321, 357, 360
D’AFFLITTO R., 120
DALLA VEDOVA G., 174
DAL MONTE G., 55n.
DAL PANE L., 82n., 119, 139n., 140n.,
260 e n., 272, 293 e n., 299
D’AMICO S., 101, 360
DANEO (studentesse), 174
DANTE ALIGHIERI, V, 252
D’ARCANGELI M.A., VII, 33 e n., 36n.,
357
DARWIN C., 66, 251, 278
DAZZI N., 1 e n., 357
DE AMICIS E., 261, 265
DE BERNARDO (maestro), 124
DE CRESCENZO L., 16
DE DOMINICIS O., 124
DE DOMINICIS S.F., 228, 230, 246
DEL BO G., 153n.
DE LIGUORI G., VII, 59, 219, 357
DELLA VALLE G., 44, 52
DELLA VOLPE G., 112–113
DEL NOCE A., 174
DE MAURO T., 1n., 15 e n., 16, 17, 61, 94,
357
DE MEIS A.C., 120, 230, 297n., 299
D’ERCOLE P., 228, 249
DE REGIBUS L., 55n.
DE RUGGIERO G., 67
DE SANCTIS F., 221
DE SANCTIS S., 31, 295 e n., 296 e n.
DE SARLO F., 48
DESCARTES R., 128, 131, 132, 252, 360
DESIDERI F., 15 e n., 17
DESSI A., IV
363
DETTI T., 35n., 256n., 272
DEWEY J., 71, 351, 355
DIDEROT D., 222
DI DIECO G., 28n.
DOLCI D., 357
DONINI R., 219
D’ONOFRIO S., 123
DONZELLI M., 348n.
DORÉ G., 55n.
DORMINO M., 25 n., 196n.
DORNETTI E., 178n., 199
DROYSEN J.G., 278
DURANT W., 14, 17
EFIROV S.A., 70n.
EHRMAN B.D., 16 e n., 17
EJZENŠTEJN S.M., 292, 355
ELISABETTA (Regina d’Inglitterra), 326
ENGELS F., 45, 47, 48, 49, 61, 66, 67, 69,
70, 73, 105, 106, 153 e n,, 219, 264,
281n., 312, 346n. , 358
ENRIQUES A.E., 348n.
EPICURO, 293
EUCLIDE, 252
FABRETTI G., 249
FALCONI G., VII, 63, 358
FATTORI M., 218
FECHNER G.T., 251
FEDERICO II (re), 252
FERRATA G., 349n.
FERRARI E., 39n., 260, 261, 266, 267 e n.,
270, 271, 321n., 322, 323, 327, 328
FERRARI G., 278
FERRAROTTI F., VII, 1n., 60, 65, 70 e n.,
95, 134, 358
FERRI E., 10, 66, 107, 108
FERRI L., 228, 230
FEUERBACH L., 48, 341
FICHTE J.G., 87
364
FILOMUSI–GUELFI F., 174
FIORILLI C., 253
FISKE J., 251
FLACCAVENTO F., 307n.
FORMIGGÍNI A.F., 39n., 267
FORNACA R., VII, 81, 86n., 358
FORNELLI N., 228, 230
FOZIO (patriarca di Costantinopoli), 336
FUBINI E., 348n.
GABELLI A., 357
GABRIELE V., VII, 91, 358
GAETANO G., 290n., 299
GALILEI G., 8
GALLI N., VIII, 93, 358
GALLO N., 349n.
GALLUPPI P., 261, 266, 348n.
GARDER J., 16, 17
GARIN E., 5, 14 e n., 59, 60, 66, 68, 71,
83n., 94, 124, 137, 138n., 157n.,
171n,. 172n,. 174, 226, 230, 231,
232, 235, 236, 237, 238, 272, 309n.,
316, 334n., 346n.
GARRONI E., 283n., 299
GENTILE G., XIn., 43 e n., 61, 69, 73, 84,
85, 86 e n., 92, 95, 96, 97, 123, 134,
158, 159, 174, 201, 219, 220, 221,
309, 310 e n., 311, 313, 342n., 359,
360
GENTILE I., 249
GERRATANA V., 83n., 103, 104n., 114n.,
117, 134n., 156n., 164n., 173n.,
198n., 199, 206n., 309n., 315n.,
324n., 329n.
GERVINUS G.G., 258, 278
GESÙ CRISTO, 14
GIANNANTONI G., 219
GIANTURCO E., 108
GIARRÉ M., 107
GIARRIZZO G., 85n., 95, 199, 218
Indice dei nomi
GIOBERTI V., 278
GIOLITTI G., 53, 77, 186
GNISCI A., 129
GOBETTI P., 174
GOR’KIJ M. (pseudonimo di A.M. PEŠKOV), 355
GRAF A., 174, 219, 357
GRAMSCI A., V, 66, 70, 73, 74, 75, 77, 78,
94, 114 e n., 125, 134n., 158 e n., 159,
164n., 173 e n., 173n., 174 e n., 190,
198n., 199, 207n., 316, 318, 321, 329
e n., 330 e n., 330n., 331, 333, 338,
341, 345, 346, 348 e n., 349n., 350n.,
351, 357, 358, 359, 360
GRAMSCI D., 348
GREGORACI G., 266
GREGORI L., XII
GREGORY T., VIII, 95, 358
GUANELLA L. (don), 9, 11, 12, 36n.,
164, 168n.
GUASTELLA C., 97
GUEDIJ D., 16, 17
GUERRA A., 83n., 104n., 117, 206n., 308n.
GUILFORD J.P., 132
GWYNPLAINE (pseudonimo di A. TORRE), 283, 299
HAECKEL E.H., 251
HAMILTON W., 251
HARTMANN E., 83, 251
HEGEL G.W.F., 83, 96, 174, 215n,. 263,
278, 293, 294n., 309, 310n., 311, 326
HEIDEGGER M., 73, 359
HELMHOLTZ H., 251
HELVÉTIUS C.–A., 223
HERBART J.F., 35, 36, 42, 83, 87, 88 e n.,
93, 100, 222, 263, 311
HERDER J.G., 278
HERMANN K.F., 278
HILFERDING R., 153n., 168n.
Indice dei nomi
HOBSON J.A., 153n., 168n.
HOLBACH (P.–H. THIRY, barone di), 223
HONNEGER FRESCO G., 31
HUMBOLDT K.W. VON, 278
HUXLEY T.H., 278
IMPALLOMENI G., 266
IODICE M.G., 128
JACOBI F.H., 359
JERVOLINO M., 32
JONAS H., 128
KAJON I., 127, 128, 129n., 132, 199, 218
KANT I., 35, 36, 45, 49, 56, 57n., 83,
122, 129, 223, 264, 275, 294n., 317,
359
KERBACKER M., 174
KIPLING R., 174
KONOVALENKO O., 70n.
KRAMER R., 31
KULISCIOFF A., 219
LABANCA B., 228
LABRIOLA A.F., 125, 260, 261, 318, 321
e n., 322, 324, 327, 328
LABRIOLA F.S., 187
LABRIOLA T., 39n., 192n., 219
LACAVA P., 266
LAENG M., 27
LAFARGUE P., 171n.
LAMA L., 31
LAMBRUSCHINI R., 221
LANGL J., 236, 260
LANGUET H., 275
LASSALLE F., 105
LAUDISI (professore), 310n.
LATTANZIO L.C.F., 55n.
LAZARUS R.S., 278
LAZZARI S., 26n.
365
LENIN (pseudonimo di V.I. UL’JANOV),
70 e n., 74, 75, 78, 153, 168n.
LEONE XIII (papa), 109
LEOPARDI G., 114
LE ROY E., 54
LINDNER G.E., 275, 278
LIPMAN M., 132
LIPPERT J., 278
LOESCHER F.H., 174
LOISY A., 56
LOLLINI V., 261, 266
LOMBARDI F., 25
LOMBARDO G.P., 295n., 299
LOMBARDO RADICE G., 43n., 222, 357
LOMBARDO RADICE L., 70
LOMBROSO C., 66
LONDEI L., 1n. , 358
LOPEZ M., 15n., 17
LORIA A., 66, 310n., 174
LOTZE R.H., 278
LOYOLA, I. DI (santo), 326
LUCA (evangelista), 14
LUCISANO P., 101
LUGARINI L., 135
LUIGI XIV (re), 236
LUKÁCS G., 355
LUNAČARSKIJ A.V., 74, 160
LUPORINI C., 113
LUTERO M., 326
LUXEMBURG R., 168n.
MACCHERONI A.M., 31
MACHIAVELLI, N, 275, 360
MACINAI E., VIII, 99, 358
MACRY–CORREALE F, 230
MADISON TERMAN L., 132
MAGER R.F., 290n., 299
MAISTRE J. DE, 104
MAJORANA A., 228, 230, 243
Indice dei nomi
366
MAKARENKO A.S., 125, 173 e n., 178 e n.,
194, 197, 198, 199, 305, 318, 319 e n.,
335n., 350n., 354, 355, 359
MALVEZZI P., 348n.
MANACORDA G., 108
MANACORDA M.A., VIII, 1n., 95, 101,
103, 358
MARAGLIANO R., 284 e n., 286n., 299
MARCHESINI G., 223
MARCHI D., 89n.
MARCO (evangelista), 13
MARCON P., 299
MARIETTI A.M., 352n.
MARLO K.G.W., 278
MARRAMAO G., 1n., 358–359
MARRUZZO V., 173n., 174
MARTIGNETTI P., 153
MARTINELLI R., 119
MARTINEZ, 122, 318
MARTINI F., 122, 318
MARTINO A., 113
MARX K., 36, 45, 48, 49, 66, 69, 70, 73,
83, 86n., 96, 105, 106, 111, 112, 113,
114, 115, 144, 153 e n., 165, 166n.,
171n,. 172 e n., 174, 220, 222, 263,
281n., 293, 310n., 312, 341, 349, 358
MASTROGREGORI M., 329n.
MASTROIANNI G., 59, 60, 134, 155n.,
219, 334n., 351n.
MATELLICANI A., 26n., 29, 31
MATTEOTTI G., 255
MAZZINI G., 152, 278
MEAD G.H., 132
MECACCI L., 206n.
MEI F., 305n., 340n.
MENCKEN H.L., 13 e n., 17, 44
MENGER K., 275
MENSHAUSEN F., 125, 327
MERKER N., 299
MERLINO S.F., 104
MERLO P., 228, 249
MESCHIARI A., 122, 125
MICCOLIS S., VIII, 35n., 40n., 41n., 92,
117, 119, 121, 125, 140n., 158n.,
218, 307, 308, 309, 310, 312, 313,
314n., 315, 316, 318, 359
MICHELET K.L., 122
MILANI L. (don), 357
MILTON J., 275
MOCENIGO G., 325
MOMMSEN T., 278
MONACI E., 122
MONDOLFO R., 41, 45, 46, 47, 48, 174
MONTEMARTINI G., 266
MONTESANO G.F., 31
MONTESQUIEU (C.–L. DE SECONDAT,
barone di), 108, 113, 275
MONTESSORI M., 10, 26 e n., 29, 30, 31,
32, 46, 93, 205 e n., 210 e n., 357
MORATTI L., 26
MORIN E., 26
MORSELLI E.., 228, 235, 237, 238, 239,
250, 296, 278
MOZART W.A., 315
MUSSO M.P., VIII, XII, 127, 359
MUSSOLINI B., 75, 255
NARDI C., 322
NARDUCCI E., 324
NASI N., 296
NATORP P., 48
NENNI P., 75
NEWTON I., 83
NICOTERA G., 174
NIETZSCHE F.W., 83
OCCIONI O., 248, 253
OLIVETTI M.M., V, VII, XV, XVI, 1 e n.,
19, 94, 95, 100, 218, 359
ORANO P., 39n.
Indice dei nomi
ORAZIO FLACCO Q., 252
ORSELLO G.P., 294 e n., 299
ORSOMARSO V., VIII, 133, 163, 219,
359
OTIS A.S., 132
OWEN R., 87
PAGANO F.M., 174
PALGRAVE R.H.I., 66
PANE A., 52 e n.
PANGRAZI T., 219
PAPINIANO E., 252
PAPPALETTERE S., 63
PARENTE M., 286n., 299
PARETO V., 144 e n., 145, 170
PASCAL B., 128
PASQUALI G., 134, 163n., 329n., 347n.
PASSERIN D’ENTRÈVES A., 66n.
PATERNÒ B., 354n.
PAUL H., 278
PAVESI A., 267
PEGUY C., 174
PESCI F., 29 n., 31, 128, 174
PESTALOZZI J.E., 87
PETRI C., 160
PHILIPPSON M., 236
PIAGET J., 335n.
PICCOLELLA P., 128
PICK A., 107
PICOT C., 132
PIERANTONI A., 261, 265, 266
PIEROZZI B., 344
PIERRI N., 66n.
PINCI C., VIII, 173, 359
PIRANDELLO L., 67, 220
PIRELLI G., 348n.
PITIGLIANI P., 349n.
PLATONE, 15, 67, 72, 87, 252, 275
PLECHANOV G., 74, 292, 293
PLUTARCO DI CHERONEA, 73
367
POE E.A., 305 e n., 306, 307, 308, 319,
340n.
POGGI A., 33 e n., 34, 35 e n., 36 e n.,
41, 42 e n., 43 e n., 44 e n., 45, 46,
47, 48, 49, 50 e n.,51, 52, 54 e n., 55
e n., 56 e n., 57 e n., 122, 318
POGGI S., 199
PROKOF’EV A., 292
PUNZO L., 1n., 63, 133, 134, 146n., 147n.,
359
RAGIONIERI E., 174
RAGNISCO P., 230, 261
RAICICH M., 329n.
RAVA L., 108, 261, 266
RAVAISSON–MOLLIEN J.–G.–F., 54
RECCHIA G., 26n., 210 e n.
REGGIO S., 178n., 199, 319n.
RENAN J.E., 278
RESTA R., 47
RICARDO D., 106, 113
RICCI A.G., 1n., 9, 94, 359
RICCIARELLI G., 128
RIZZINI, 266
RIZZO F., VIII, 201, 359
RODIMČIK (personaggio del Poema pedagogico), 305, 318, 319
ROLLAND R., 174
ROLLIN C., 278
RONCAGLIA G., 299
ROSADA A., 256
ROSSI P., 98
ROUSSEAU J–J, 275
RUFFALDI E., 286n., 299
RUGGIERO F., VIII, 205, 220, 359
RUSSELL B., 14
RUSSO L., 348n.
SALIERI A., 315
SALVADORI O., 230
SALVUCCI P., 135
368
SAMANI G., 174
SANDRUCCI R., VIII, 128, 131, 217, 288 e
n., 289, 290, 291 e n., 299, 359–360
SANTAMARIA E., 39n., 267, 269
SANTONI RUGIU A., VIII, 221, 359–360
SANTUCCI AA., 309n.
SANZO A., III, IV, VIII, XII, 36n., 133,
220, 227
SARTRE J.–P., 73
SASSO G., 1n., 94, 95, 100,133, 218, 360
SAUSSURE F. DE, 357
SAVONAROLA G., 55n.
SBARBERI F., 151n., 168n., 30 0
SBARDELLA E., 166n.
SCALZO D., III, XV, 1n.
SCARAMELLA G., 174
SCHÄFFLE, A.E.F., 275, 278
SCHELER M., 56
SCHELLING F.W.J., 278
SCHEMBOCHE FF., 186n.
SCHILLER J.H.F., 278
SCHOPENHAUER A., 278
SCHUCHT J., 349n.
SCHÜPFER F., 174, 261, 266
SCHWEGMAN M., 31
SCIOPPIO G., 324
SCURATI A., 15, 17
SECONDO D., IX, 241, 360
SEMERARO G., 266
SENECA LUCIO A., 241
SENOFONTE, 67, 72, 73
ŠERE (personaggio del Poema pedagogico), 318
SERGI G., 31, 230, 242, 249
SERRA R., 360
SHARP A.M., 132
SICHIROLLO L., 135
SICILIANI DE CUMIS N., III, VII, IX, XI e
n., 1n., 3, 4, 5, 7, 8, 9, 11, 12, 19, 20,
21, 23 e n., 24, 25 e n., 26n., 29 e n.,
Indice dei nomi
32, 36 e n., 39n., 40n., 41n., 59, 60, 61,
63, 65n., 68, 71, 72, 73, 79, 81 e n.,
82n., 83n., 88, 89 e n., 91, 94, 95, 96,
100, 103n., 104n., 105n., 117, 121,
123, 125, 127, 128, 129 e n., 130, 132,
133 e n., 134, 135 e n., 136n., 138,
139n., 140n., 141n., 154n., 157n.,
158n., 163 e n., 164 e n., 166n., 167 e
n., 168n., 170n., 171n., 173n., 174,
178n., 185, 186n., 188n., 189n., 191n.,
195n., 197n., 199, 202, 210n., 217,
218, 219, 220, 221, 222, 223, 226, 229,
230, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 239,
241n., 244n., 245n., 246n., 253n., 272
e n., 281n., 282 e n., 283n., 287n.,
290n., 295n., 296n., 299, 300, 301,
305, 312n., 313, 321 e n., 322, 329 e
n., 334n., 342n., 344n., 349n., 351n.
SISMONDI (J.–C.–L. SISMONDE DE), 359
SMITH A., 106, 113
SOCCI E., 20, 105
SOCRATE, 15, 25, 59, 60, 61, 67, 68, 71,
72, 73, 83, 142, 156, 157n., 158, 164,
170n,. 196, 222, 325, 334n.
SOLARI G., 174
SOREL G., 61, 66, 104, 142, 158, 164,
174, 310n.
SORGE A.M., 123, 223
SPADAFORA G., 100, 133, 218, 342n.
SPAVENTA B., 97, 105, 119, 120, 174,
187, 232, 317, 326, 360
SPAVENTA S., 105, 120, 140, 187
SPENCER H., 66, 96, 244, 251, 275
SPINELLI E., 128, 134, 219
SPINOZA B., 61, 83
SPIR A.A., 54
SPRENGER R. VON, 39n., 224, 261
STABILINI V., 345
STALIN (pseudonimo di J.V. DŽUGAŠVILI), 75
Indice dei nomi
STAMMLER R., 48
STANDING E.M., 31
STEINTHAL H., 278
STERN A., 236
STRAUSS L., 66n.
STRUVVE [?], 48
STUART (STUARDA) M., 275
STUART MILL J., 251, 275
STURZO L. (don), 29
SUARDO A., 174
SZPUNAR G., XII, 36n.
TAMBURRINI A., 296
TANZI E., 230
TARABUSI D., XII
TAROZZI G., 41, 48
TAURO G., 38n., 39n., 266
TAYLOR F.W., 160
TENCA C., 223
TERRACINI U., 75, 76
TESSITORE F., 1n., 61, 93, 95, 133, 218,
360
TILLICH P., 55n.
TOCCO F., 48, 174, 258, 259n., 278
TOCQUEVILLE (A.–C.–H. CLÉREL DE), 113
TODOROV T., 352n.
TOGLIATTI P., 70n., 75, 76, 77, 78, 174,
360
TOLSTOJ L.N., 292
TOMASIO, C.T., 275
TONELLI A., 261, 266
TORO R., IX, 281, 360
TORRE A., 39n., 63, 261, 263, 264, 266,
267, 270, 272, 321, 174
TORRINI M., 35n.
TRABALZINI P., 31
TREBBI M., 128
TRINCHERO M., 283n.
TROCKIJ (pseudonimo di L. BRONSTEJN), 65
369
TURATI F., 20, 46, 105, 152 e n.
TURBIGLIO S., 295
VACCA G., 1n., 360
VACCARO (professore), 266
VAILATI G., 133, 136n., 164, 229, 230,
241n., 296n., 299
VALENZA P., 128
VALERY P., 201
VARISCO B., 97, 311
VEGGETTI M.S., 213n., 218
VENEZIANO C., XV, 1n. , 360
VENTURI A., 39n., 261, 266, 267
VERA A., 278
VICO G., 275, 278
VIDARI G., 41, 44, 57n.
VIGLONGO A., 174
VILLARI P., 97, 156, 161, 221, 223
VISALBERGHI A., 25, 101, 174, 334n.,
349n.
VITIELLO R., 128
VOLPICELLI I., 26n., 88, 100, 133, 194n.,
218
VORLÄNDER K., 41, 45
VYGOTSKIJ L.S., 132, 205 e n., 206n.,
211n., 212, 213n., 214n., 216n., 292,
359
WEBER M., 96, 251
WILLIAMS R., 226
WILSON N., 306
WITTGENSTEIN L., 127, 129, 283n., 299,
357
WOLF F.A., 278
WOLTMANN L., 48
WUNDT W.M., 55, 278
YUNUS M., 173n., 178 e n., 199, 359
ZAMBALDI F., 174
370
ZANARDO A., 122, 125
ZANZI C., 46, 47
ZAPPALÀ (padre), 252
ZAVALLONI R., 286n., 299
Indice dei nomi
ZELLER E., 122, 125, 263, 293n., 294n.,
317
ZOCCOLI E., 267
ZOLLI P., 330n.
Indice analitico*
Accademia, 195
Accomodazione sociale, 154 sgg.
Accumulazione, 136, 139
Aggiornamento, 135
Agricoltura, 114
Albero, 132
Alfabetizzazione, 127, 294
Alternativa, 132
Ambiente, 87, 143, 148, 151, 197
Analfabetismo, 89, 196
Analogia, 11, 194 sgg.
Anarchismo, 112
Andamento, 158
Antididatica, 341
Antiideologismo, 196
Antipedagogia, 89, 196, 208. 245 sgg.,
251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg.,
270
Antisociologia, 71, 257 sgg.
Antropologia, 255
Apocrifi, 118, 305 sgg.
Apprendimento, 120, 131 sgg., 153, 159,
205 sgg., 211 sgg., 215–216, 245 sgg.,
251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg.,
270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg.,
341
∗
Arbitrio, 149 sgg.
Archeologia, 246
Architettura, 10, 24
Archivio, XII, 133
Arte, 245 sgg., 251 sgg., 256, 264 sgg.,
276 sgg., 321 sgg.
Asistematicità, 25
Assunto, 335
Atenei federati (cfr. Laurea in Filosofia), 6
Attenzione, 25
Attitudini, 148, 150
Attivi–passivi, 155
Attributi, 338
Attualità, 188, 237 sgg., 344
Audiovisivi, XIII sgg., 281 sgg.
Autoapprendimento, 136
Autobiografia, 20, 65 sgg., 70 sgg., 82,
103 sgg., 221 sgg., 305 sgg., 314,
321 sgg., 329 sgg., 350, 356
Autocritica (Autocritica delle cose delle
cose), 149 sgg. 161, 305 sgg., 329 sgg.
Autoctisi, 69
Autoformazione, 33 sgg., 41 sgg., 134
sgg., 142
L’indice vuol restituire le principali tematiche circolanti nel volume; e tenta di
circoscrivere, con una certa elasticità, ma con una qualche attenzione ai dettagli, i
termini e i concetti di maggior rilievo: e questo, tanto con riferimento al pensiero e
all’opera di Antonio Labriola, quanto nell’ottica dei singoli contributi dei recensori
e, com’è ovvio, dal punto di vista dei curatori. Data la frequenza con cui ricorrono,
non sono registrate tematiche quali Catalogo, Celebrazioni, Centenario, Filosofia, Mostra, Pedagogia, Recensione, Università.
372
Autogoverno, 160
Autore, 197, 352
Autoreferenzialità, 120, 305 sgg., 321
sgg., 329 sgg.
Autoritarismo, 11
Attualità, 27, 217 sgg., 227 sgg., 251
sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg.,
270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Avvenire, 147
Azione (educativa), 207
Bambini, 127, 216 sgg., 210 sgg.
Biblioteca, 7
Biografia, 29 sgg., 41 sgg., 61, 104 sgg.,
118, 186 sgg., 192, 221 sgg., 235, 259
sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg.,
321 sgg., 329 sgg., 356
Bisogni, 196
Borghesia, 85
Buon senso, 342
Caffè Aragno, 285 sgg., 292, 321
Cambiamento, 165, 290
Carenze, 89, 117 sgg.
Casa dei bambini, 30
Categorie, 195
Causalità, 139
Chiesa, 112, 324–326
Cinema, 27, 226, 281 sgg.
Cine–recensione, 339
Civiltà, 10, 155
Classe, 148, 172
Classe dirigente (italiana), 231
Classico (Classicismo), 79, 233
Collaborazione (Cooperazione), 7, 13,
26, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 110, 117
sgg., 130–131, 152, 245 sgg., 251 sgg.,
257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg.,
305 sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Indice analitico
Collettivo, 87, 197 sgg., 305 sgg., 321
sgg., 329 sgg., 356
Colonialismo, 151 sgg., 172
Commemorazione, 265 sgg., 270 sgg.
Comparativismo, 88–89, 101, 174 sgg.
Competenze, 132
Complessità, 89–90, 136, 142, 165, 194
sgg.
Completamento, 163, 166
Compravendita, 342
Comprensione (filosofica), 313
Comunicazione, 134, 290, 293
Comunismo, 65 sgg., 70 sgg., 75 sgg.,
84–85, 113, 149 sgg., 158
Concatenazione, 151
Concetti, 193
Concezione materialistica della storia
(vedi Materialismo storico), 145
sgg., 157 sgg., 265 sgg., 270 sgg.
Concorsi (universitari, c. di recensioni,
ecc.), 28, 33 sgg., 41 sgg., 89, 96 sgg.,
314–315, 339
Concretezza, 63, 106
Condizioni, 151 sgg.
Conferenze magistrali (o pedagogiche),
12, 89, 238
Conflittualità, 148
Conformismo, 158, 195, 198
Confronti, 178 sgg., 194 sgg., 276 sgg.
Congiunzioni (astrali o altre), 1 sgg., 79
Congresso (Primo c. dei professori universitari italiani; vedi anche Laurea
in Filosofia), 227 sgg., 241 sgg., 251
sgg.
Contesto, 193, 197, 352
Continuità, 7–8, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg,
Contraddizioni, 152, 189, 261–262, 267,
305 sgg.
Controllo, 347
373
Indice analitico
Cooperazione (vedi Collaborazione)
Corporativismo, 111
Correlatività, 88
Correttezza, 100, 117 sgg.
Corruzione, 197
Corsi di laurea, 7–8, 334–335
Coscienza, 205 sgg., 211 sgg., 255, 266,
285, 330
Cose (lezione delle c.), 315
Creatività (vedi anche Arte), 159, 305
sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Creazione, 159
Crescita, 197 sgg., 305 sgg., 320 sgg.,
329 sgg.
Crisi, 9, 41 sgg., 54 sgg., 261
Cristianesimo, 11, 86–87, 113
Critica (Criticismo), 33 sgg., 41 sgg., 54
sgg., 60, 65 sgg., 70 sgg., 79, 83, 100,
108, 113, 117 sgg., 132, 172, 178 sgg.,
189 sgg., 195, 217 sgg., 227 sgg., 245
sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265
sgg., 270 sgg., 286 sgg., 305 sgg., 321
sgg., 329 sgg.
Crocianesimo, 65 sgg.
Cultura (oppure Coltura), 24, 33 sgg.,
54 sgg., 69 sgg., 83, 85, 136, 163 sgg.,
166, 185 sgg., 201 sgg., 205 sgg., 211
sgg., 233, 245 sgg., 251 sgg., 257
sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305
sgg., 321 sgg., 329 sgg., 355
Cura, 245
Curiosità, 208
Dati, 335
Decongestionamento, 6
Democrazia, 152, 158, 332–333
Determinismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.,
147
Diacronia, 289
Dialettico, metodo (vedi anche Genetico, metodo), 140, 294
Dialogo, 130 sgg.
Diamat, 78
Dibattito, 339
Didattica (vedi Ricerca), XIII sgg., 26, 33
sgg., 41 sgg., 54 sgg., 129–130, 133
sgg., 163 sgg., 170, 173 sgg., 188
sgg., 207, 238, 245 sgg., 251 sgg., 257
sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 285
sgg., 290 sgg., 295, 305 sgg., 313, 321
sgg., 329 sgg., 339, 341
Differenze (Differenza, senso della d.),
11, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 194 sgg.,
198, 232, 305 sgg., 329 sgg., 356
Diritto, 65, 86
Discussione, 130, 245 sgg., 251–252,
305 sgg., 321 sgg., 329
Dittatura del proletariato, 74
Divenire (storico), 287, 293
Divisione del lavoro (vedi Lavoro),
250
Divorzio, 86
Divulgazione, 16
Documentazione (Documenti), 27, 134,
245 sgg., 251 sgg., 305 sgg., 321 sgg.,
329 sgg., 341 sgg.
Dogmatismo (anche Dommatismo),
113, 131, 198, 255, 256
Domande, 194
Domani, 198
Dottrina, 257
Dover essere, 195, 347
Dubbio, 205
Due culture, 217 sgg., 227 sgg., 233, 245,
251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg.,
270 sgg.
Ecologia, 114
374
Economia (anche Economia politica),
45, 49, 85, 89, 106, 111, 113 sgg.,
138, 144 sgg., 152 sgg., 170 sgg.,
233, 246, 305
Editoria, 217
Educabilità, 87, 151, 173 sgg., 195,
198–199, 205 sgg., 245 sgg., 251
sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg.,
270 sgg., 305, 321 sgg., 329
Educazione, 15, 26, 33 sgg., 41 sgg., 54
sgg., 66 sgg., 87, 156 sgg., 172 sgg.,
202–203, 205 sgg., 245 sgg., 251 sgg.,
257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg.,
305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 349 sgg.
«Educazione del papuano», 151 sgg.,
173 sgg., 190 sgg., 198–199, 321 sgg.
Egemonia, 74 sgg.
Elementi, 206, 208, 313
Elitarismo, 68
Emancipazione, 59
Embriologia, 169, 262
Emozione, 216
Empirismo, 157
Enciclica, 109
Enciclopedia (Enciclopedia pedagogica,
Enciclopedicità), XI, 132, 305 sgg.,
321 sgg., 329 sgg., 357
Enigmistica, 15
Epigenesi, 131, 139 sgg., 169, 262
Eresia, 324–326
Eroe, 197
Errore, 117 sgg., 121 sgg. 207, 305 sgg.,
329
Esami, 30, 245 sgg., 251 sgg., 323
Espansione, 155
Esperienza, 66 sgg., 83, 108–109
Esperimento, 108–109, 152, 210, 258–
259, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Espressività, 198
Estetica, 97
Indice analitico
Eterodosso, 218
Etica, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 65 sgg.,
193, 235, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Etnologia, 255
Eurocentrismo, 151 sgg.
Evoluzione, 83, 152, 206 sgg.
Evoluzionismo, 66 sgg., 157 sgg.
Extralocalizzazione, 351
Facoltà di Filosofia, 1 sgg., 10, 33, 41
sgg., 217 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257
sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305
sgg., 329 sgg.
Falso (fotografico), 61
Famiglia, 187 sgg., 321–322
Fantasia, 148, 198
Fatti, 117 sgg., 129, 144, 167, 257–259,
305 sgg., 315, 329
Fattori, 142 sgg., 160 sgg.
Fede, 11
Fenomeni, 287
Film, 124–125, 226
Filologia (Filologismo), 117 sgg., 129,
133 sgg., 137 sgg., 250, 252, 305 sgg.,
313 sgg., 329 sgg.
Filosofemi, 258
Filosofia delle prassi, 74, 153
Filosofia della storia, 142, 257 sgg.
Filosofia della vita, 84
Filosofia per tutti, 256
Filosofia scientifica, 1 sgg., 13 sgg., 129,
133 sgg., 163 sgg., 166 sgg., 217 sgg.,
227 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg.,
261 sgg., 265 sgg., 270 sgg.
Finalità, 152
Fisica, 132, 258
Fonti, 121 sgg.
Formalismo, 83, 209, 257
Formazione, XII, 25, 32, 33 sgg., 41 sgg,
54 sgg., 59 sgg., 63, 82 sgg., 118 sgg.,
Indice analitico
127 sgg., 130, 136 sgg., 142 sgg., 148
sgg., 156, 166, 170, 172, 185 sgg., 192
sgg., 205 sgg., 222 sgg., 225 sgg., 236
sgg., 247 sgg., 253 sgg., 257 sgg., 261
sgg., 270 sgg., 287 sgg., 305 sgg.,
313, 316, 321 sgg., 329 sgg.
Fotografia, 125, 219, 281 sgg.
Futuro, V, XV–XVI, 1 sgg., 23, 115, 190
sgg., 198
Genetico, metodo (vedi Dialettico,
metodo e Epigenesi), 146, 152, 170,
195, 213–215, 236, 313
Generazioni, 190 sgg., 199
Geografia, 143
Gioco, 198, 339, 356
Giornali, 118–119, 228 sgg., 245 sgg.,
251 sgg., 292, 305 sgg., 329 sgg.,
332, 341–342
Giustizia, 12, 260–261
Globalizzazione, 150–151
Governanti–governati, 160, 332
Guerra, 14
Gusto (della lettura), 356
Hegelismo, 156, 173, 190, 191, 198, 215,
232, 261, 310 sgg., 315
Herbartismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.,
61, 100, 138, 173, 190, 191, 198, 214–
215, 232, 315
Ibridazioni disciplinari, 353
Iceberg, 59
Iconografia, 11
Idee, 84, 193 sgg.
Ideali, 12, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 63,
147, 224
Idealismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.,
73–74
375
Ideologia (anche Ideologismo), 33 sgg.,
41 sgg., 54 sgg., 83, 106, 117 sgg.,
206, 233, 337, 348
Ignoranza, 196
Illuminismo, 13 sgg.
Imitazione, 212
Immaginazione, 198, 332
Immagini, 101, 125, 265 sgg., 270, sgg.,
281 sgg., 321 sgg., 327 sgg.
Immatricolazioni, 8
Impopolarità, 197
Inattualità, 237, 291
Incertezza, 293
Indagini scientifiche, 336–337, 339
Indeterminismo, 147
Indici, 174 sgg., 273 sgg.
Individuo, 87 sgg., 134, 164
Inedito, 117 sgg., 134, 321 sgg.
Infanzia, 132, 206 sgg., 210 sgg., 214
Infinito, 324
Informazione (vedi anche Multimedialità), 293
Innovazione, 136 sgg,, 196
Insegnamento, 10, 24, 33 sgg., 41 sgg.,
54 sgg., 120, 131, 133 sgg., 153 sgg.,
157 sgg., 163, 187 sgg., 196, 202–203
e sgg., 217 sgg., 239, 245 sgg., 251
sgg., 253 sgg., 261 sgg., 281 sgg., 305
sgg., 329 sgg., 341
Intellettuali (Intellettualismo), 190, 247
Intelligenza, 109, 305 sgg.
Intenzioni (pedagogiche), 63.
Interazione, 211, 290–291.
Interdisciplinarità, 27, 83, 127 sgg., 133
sgg., 137, 193, 205 sgg., 217 sgg., 227
sgg., 231, 237, 245 sgg., 251 sgg., 257
sgg., 261 sgg., 266 sgg., 284 sgg., 305
sgg. 321 sgg., 329 sgg.
Interesse, 146, 201, 205 sgg., 210 sgg.,
225
376
Interferenze, 136
Internazionalismo, 111, 121
Intero, 312
Intersezione, 286
Intersoggettività, 73
Intervista (Autointervista), 338
Intolleranza, 325
Intrigo, 155
Introduzione, 28
Introspezione, 68
Intuizione (Intuitivo, momento), 205
sgg.
Invidia, 154
Ironia, 60
Ispezioni (didattiche), 223, 318
Istruzione, 20, 26, 33 sgg., 112, 136, 196,
212 sgg., 239, 245 sgg., 251 sgg.
Kantismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.
Laboratorio Labriola, 120, 305 sgg.,
321 sgg., 329 sgg.
Laurea in Filosofia, 5 sgg., 13 sgg., 129,
133 sgg., 163 sgg., 166 sgg., 217 sgg.,
227 sgg., 241 sgg., 247 sgg.
Lavoro (vedi Divisione del lavoro),
10, 110, 141 sgg., 148 sgg., 159 sgg.
Leninismo, 74–75
Lentezza, 339
Lettera, XI, 6, 13, 23, 38, 122–123, 137,
225, 227 sgg., 230, 245 sgg., 253, 321
sgg., 337, 339, 355
Letteratura, 15
Lettore, V, 297–298, 329 sgg.
Lettura, 193
Liberalismo, 190
Libertà, 63, 95 sgg., 100, 107 sgg., 112
sgg., 147, 188 sgg., 198–199, 201 sgg.
Libro, 305 sgg., 329 sgg.
Limiti (e Possibilità), 337, 352
Indice analitico
Lingua, 9, 61, 173 sgg., 193, 285, 294
sgg., 342
Lorianesimo, 66
Lotta di classe, 151
Lungimiranza, 305 sgg.
Luoghi, 187–188
Luoghi comuni, 118
Maestri (elementari), 20, 219, 289
Maestro perpetuo (Labriola), 262, 292
sgg.
Magister, 158
Maieutica, 196, 219, 222, 305 sgg., 321
sgg., 329 sgg.
Mamozio (e mamozietto), 305 sgg.
Marginalismo, 171
Marxismo, 24, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.,
63, 65, 70 sgg., 73, 103 sgg., 113 sgg.,
133 sgg., 163 sgg., 190, 215, 236, 265
sgg., 265 sgg., 317
Massa (Masse), 53, 73–74, 160, 164 sgg.
Matematica, 16, 251, 254
Materialismo storico (vedi Concezione
materialistica della storia), 63, 84
sgg., 103 sgg., 111, 146, 203, 261 sgg.,
292 sgg.
Materialismo liberale, 115
Matrimonio, 321 sgg.
Mazzinianesimo, 152
Meccanicismo, 158
Mediazione, 338
Memoria, V
Merito, 338
Metafisica, 132, 243 sgg.
Metafore, 129
Metodo (Metodologia), 9 sgg., 26, 29
sgg., 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 60, 65
sgg., 70 sgg., 83 sgg., 92, 111 sgg.,
117 sgg., 127 sgg., 132, 138 sgg., 142,
156 sgg., 163 sgg., 167 sgg., 194 sgg.,
Indice analitico
198, 217 sgg., 232, 241 sgg, 247 sgg.,
253 sgg., 281 sgg., 292 sgg., 305 sgg.,
321 sgg., 329 sgg.
Microstoria, 103 sgg.
Miglioramento, 197
Mitologia (filosofica), 84
Modello, 286 sgg., 290 sgg.
Monismo, 261 sgg.
Montessorismo, 29 sgg.
Morfologico, 82, 140 sgg., 148 sgg., 170
sgg., 195 sgg., 305 sgg., 312
Movimento, 193
Multidisciplinarità, 127 sgg., 241 sgg.,
281 sgg.
Multimedialità, 101, 219, 260 sgg., 281
sgg., 321 sgg.
Museo dei gessi, 4
Museo d’Istruzione e di Educazione,
27, 92, 225, 238
Museo storico della didattica, 27
Musica, 101, 297
Mutamenti, 165, 352
Natura, 87, 109, 114, 147, 309–310
Naturalizzazione della storia, 84, 87
Necessità, 84, 109
Negatività, 208
Neoformazioni, 82, 139
Novità, 1 sgg. 9 sgg., 20 sgg., 24 sgg. 59
sgg., 63, 65 sgg., 81 sgg., 91–92, 95
sgg., 118, 133 sgg., 201 sgg., 217
sgg., 227 sgg., 241 sgg., 253 sgg., 281
sgg., 292 sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Obiettivi (didattici), 354 sgg.
Oggettivismo, 66
Onnilateralità, 114
Opera Nazionale Montessori, 31–32
Operai, 152–153
Operazione (Operazionismo), 69, 135
377
Opinione (Opinione pubblica), 14, 16,
193
Oratoria, 263
Ordinamenti (vedi anche Laurea in
Filosofia), 137, 231
Organizzazione, 137 sgg.
Ortodossia, 147, 218
Ottimismo, 108, 197, 199
Pace, 12
Padronanza, 208
Paradigma, 140
Paralleli, 178 sgg.
Parole, 173 sgg.
Partito, 157
Passato, XV, 1 sgg., 61, 65 sgg., 70 sgg.,
111 sgg.
Passioni, 196, 207
Passivi–attivi, 155
Pedanteria, 207
Percezione, 206
Perfettibilità, 88
Personalità, 28, 205 sgg., 281 sgg.
Pessimismo, 199
Piano didattico, 209–210
Pluralità, 85, 88
Poesia, 155
Polemica, 40 sgg., 65 sgg., 70 sgg., 96,
104–105 e sgg., 117 sgg., 192, 205
sgg.
Politica, 33 sgg., 60, 65 sgg., 70 sgg., 163
sgg., 186 sgg., 190, 217 sgg., 227
sgg., 241 sgg., 253 sgg., 329 sgg.
Politica scolastica, 85
Popolo, 159, 172
Positivo, Positivismo, 6–7, 33 sgg., 41
sgg., 54 sgg., 61, 82, 135 sgg., 142,
167, 169, 228 sgg., 241 sgg., 253 sgg.
Possibilità (vedi Limiti)
Postcomunismo, 113
378
Potenzialità, 209, 329 sgg., 340
Prassi, 148, 264, 290
Prefazione (e Postfazione), 1 sgg., 338
Preformazione, 82, 257 sgg.
Pregiudizi, 117 sgg., 264, 305 sgg.
Presente, XV–XVI, 61, 111 sgg.
Previsione, 140, 149 sgg., 170
Principio, 253 sgg.
Processo, 139–140, 189 sgg.
Produzione, 148, 165–166
Professori, 13 sgg., 33 sgg., 41 sgg., 54
sgg., 241 sgg., 253 sgg., 266 sgg.
Progetto culturale, 1 sgg., 6 sgg., 65
sgg., 70 sgg.
Progettualità (didattica), 212, 281 sgg.,
329 sgg.
Programma, 211–212, 342
Progresso, 83, 148, 167–168, 237 sgg.,
241 sgg., 253 sgg., 281 sgg.
Proletariato, 85
Proprietà, 152
Prospettiva, 16, 197, 199, 209 sgg., 227
sgg., 281 sgg., 292 sgg., 307 sgg.,
354 sgg.
Prove (a carico), 322 sgg.
Pseudo–storicismo, 158
Psicologia, 26, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.,
142 sgg., 205 sgg., 251 sgg., 281 sgg.,
296 sgg.
Psicologismo, 142
Pubblicità, 13–14, 16, 329 sgg.
Punto di vista, 134, 170 sgg., 191, 321
sgg., 329 sgg., 344 sgg.
Quadri, 321 sgg.
Qualità, 79–81, 89, 193, 329 sgg., 341
sgg., 347 sgg.
Quantità, 79–80, 81. 89, 193, 329 sgg.,
341 sgg., 347 sgg.
Questione femminile, 89
Indice analitico
Questione meridionale, 89
Questione sociale, 66
Quotidianità, 189 sgg., 329 sgg.
Ragione, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 192–
193
Ragione pratica, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.
Rapidità, 339
Rapporti, 1 sgg., 9 sgg., 13 sgg., 20 sgg.,
29 sgg., 33 sgg., 59 sgg., 63 sgg., 65
sgg., 81 sgg., 91 sgg., 93 sgg., 95
sgg., 99 sgg., 103 sgg., 117 sgg., 127
sgg., 133 sgg., 163 sgg., 173 sgg., 178
sgg., 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221
sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257
sgg., 261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305
sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg.
Razionalità, 148 sgg., 117 sgg., 205 sgg.
Realismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.
Relatività, 149 sgg.
Religione, 11, 13–14, 50, 53, 158
Responsabilità, 100, 210, 215
Retorica, 138 sgg.
Riassunto, 329 sgg.
Ricerca, XIII sgg., 7, 65 sgg., 70 sgg., 80,
117 sgg., 132 sgg., 164, 185 sgg., 188
sgg., 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221
sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257
sgg., 261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305
sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg.
Ricomposizione, 165
Riconoscenza, 94
Riforma (intellettuale e morale), 189,
201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221 sgg.,
227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257 sgg.,
261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305 sgg.,
321 sgg., 329 sgg., 347 sgg.
Rigore (morale), 100
Ripetizione, 117 sgg., 305 sgg., 340 sgg.
Ritorno a Kant, 317
Indice analitico
Ritratto, 186
Riviste, 1 sgg., 9 sgg., 13 sgg., 20 sgg., 29
sgg., 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 59
sgg., 63 sgg., 65 sgg., 81 sgg., 91
sgg., 93 sgg., 95 sgg., 99 sgg., 103
sgg., 117 sgg., 127 sgg., 133 sgg., 163
gg., 173 sgg., 178 sgg., 201 sgg., 205
sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg., 241
sgg., 247 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 266
sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329
sgg., 347 sgg.
Rivoluzione, 85, 121, 150, 153, 233, 256
sgg., 287 sgg., 315 sgg., 345, 349
Rotazione, 356
Rotture, 196
Rubriche, 339
Russia, 292
Sacerdoti, 13
Salti, 196
Schematismo, 111
Schiavitù, 151 sgg., 158, 190 sgg., 198
sgg.
Scienza, 5 sgg., 10, 13, 33 sgg., 41 sgg.,
54 sgg., 65 sgg., 83, 104, 110, 117
sgg., 132, 137 sgg., 142, 166, 196, 214,
227 sgg., 237 sgg., 241 sgg., 251 sgg.,
263, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 351
sgg.
Scienze sociali, 65 sgg., 142, 166 sgg.,
170, 217 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 251
sgg., 263, 305 sgg., 321 sgg., 329
sgg., 351 sgg.
Sciocchezzaio, 339
Scolasticismo, 131, 168
Scoppi (Esplosioni), 196, 355
Scuola, 15, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 60,
101, 108, 136, 160, 217 sgg., 227 sgg.,
253 sgg., 253 sgg., 261 sgg., 281 sgg.,
329 sgg., 341 sgg., 347 sgg.
379
Scuola antropologica romana, 31, 347
sgg.
Scuole normali, 223 sgg., 241
Selfgovernment, 141
Semidottrina, 144 sgg.
Semisocialismo, 152
Senso, 281 sgg.
Senso comune (vedi Indagini scientifiche)
Sentimento, 192–193, 201
Settarismo, 207
Sforzo, 206 sgg.
Sfruttamento, 113
Simpatia, 210
Sincerità, 201
Sincronia, 285, 289
Sistema, 138 sgg.
Socialismo, 19–21, 33 sgg., 41 sgg., 54
sgg., 65 sgg., 70 sgg., 106, 111 sgg.,
115, 133 sgg., 150 sgg., 156 sgg., 161,
190, 236, 253 sgg., 263, 305 sgg., 321
sgg., 329 sgg., 351 sgg.
Società, 106, 111, 137, 149 sgg., 217 sgg.,
227 sgg., 232 sgg., 241 sgg., 247 sgg.,
281 sgg.
Sociologia, 59 sgg., 65 sgg., 70 sgg., 79–
80, 111, 241 sgg., 257 sgg.
Socratismo, 59 sgg., 67 sgg., 71 sgg.,
135, 141–142, 156 sgg., 196 sgg., 222,
290, 329 sgg.
Soggettivismo, 73, 149 sgg.,
Specialismo (esagerato,ombroso, imbecille), 117 sgg., 136, 233, 242 sgg.,
305 sgg., 329 sgg.
Specializzazione, 127 sgg., 160, 163 sgg.,
166, 233
Sperimentazione pedagogica, 26, 132,
152, 164, 253 sgg., 281 sgg., 305 sgg.,
329 sgg., 351 sgg.
Spettacolarità, 292 sgg.
380
Spontaneità, 201
Spregiudicatezza, 155
Statistica, 15
Stato, 109, 112, 152, 256–257
Stele, 241 sgg., 260 sgg., 266 sgg.
Storia, 1 sgg., 9 sgg., 16, 20 sgg., 33 sgg.,
61, 63 sgg., 81 sgg., 91 sgg., 99 sgg.,
103 sgg., 108, 110 sgg., 117 sgg., 133
sgg., 142 sgg., 147 sgg., 154, 163
sgg., 173 sgg., 191, 196, 198, 201 sgg.,
205 sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg.,
241 sgg., 247 sgg., 253 sgg., 305 sgg.,
321 sgg., 329 sgg., 351 sgg.
Stroncatura, 117 sgg., 305 sgg., 329 sgg.,
340 sgg.
Strumenti, 134, 138, 143, 147, 281 sgg.
Struttura, 138, 144
Studenti, 134 sgg., 188
Sviluppo (Svolgimento), 206 sgg., 211
sgg., 215 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 241
sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329
sgg., 347 sgg.
Teatro, 101, 225–226, 297
Tecnica (Tecnicismo, Tecnologie), 26,
72, 87, 104, 130, 143, 165, 207, 281
sgg., 305 sgg., 329 sgg.
Tendenza, 156, 160
Teoria (anche Teorica della conoscenza), 109, 208–209, 257 sgg., 261 sgg.,
309 sgg.
Terminologia, 13, 83, 140, 173 sgg.,
273 sgg.
Tesi di laurea, XIV, 27, 123, 142, 169,
219, 224, 253 sgg.
Test, 285 sgg., 347 sgg.
Tolleranza, 51
Tradizionalismo, 136 sgg., 166, 217 sgg.,
227 sgg., 242 sgg.
Indice analitico
Tradizione, 113, 198, 233
Traduzioni, 236, 329 sgg., 338
Transazione, 189
Trasformazione, 137, 236 sgg.
Trasmissione, 329 sgg.
Trasparenza (ideologica), 305 sgg., 329
sgg.
Umanità, 14, 158
Umanizzazione (della natura), 114–
115
Umorismo, 66, 321 sgg., 355
Unificazione culturale del genere
umano, 114
Unità, 232
Universalismo, 111
Utopismo, 84, 88, 106, 111, 158, 192
Valori, 138, 193
Valutazione, 241 sgg., 305 sgg., 253
sgg., 356
Verbali, 23, 27
Verbalismo, 83
Veridicità, 117
Verità, 159
Veste tipografica, 202
Vichismo, 173, 191, 198
Vino, 239
Visivo (vedi Multimedialià)
Vita, 14–15, 27, 110, 188 sgg., 356
Volontà, 161
Volontarismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg.,
73, 84
Zona di confine (vedi anche Sperimentazione pedagogica), 170 sgg.,
212, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg.
Zona di sviluppo prossimo (o prossimale), 212 sgg.
Finito di stampare nel mese di marzo 2007
dal Centro Stampa Nuova Cultura, Roma