Università degli Studi di Roma «La Sapienza» Facoltà di Filosofia – Cattedra di Pedagogia generale I Antonio Labriola e «La Sapienza» Tra testi, contesti, pretesti 2005–2006 A cura di Nicola Siciliani de Cumis Con la collaborazione di Alessandro Sanzo e Domenico Scalzo Edizioni Nuova Cultura – Roma Con in contributo del Rettorato (Comitato per le celebrazioni dei settecento anni della «Sapienza», 1303–2003), della Facoltà di Filosofia e del Dipartimento di Ricerche storico–filosofiche e pedagogiche dell’Università «La Sapienza» di Roma. Copyright © 2007 Edizioni Nuova Cultura Roma Cura editoriale: di Alessandro Sanzo Copertina, progetto grafico e realizzazione: di Alessandra Dessi I giudizi in quarta di copertina si riferiscono all’inaugurazione della mostra e alla presentazione del catalogo su Antonio Labriola e la sua Università (Roma, 8 marzo 2005). A Marco Maria Olivetti, “ricordando il futuro” Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un tipo critico–informativo: si suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato, ma che sia utile per lui conoscere il contenuto e le conclusioni. Un tipo storico–critico: si suppone che il lettore debba leggere il libro dato e quindi esso non viene semplicemente riassunto, ma si svolgono criticamente le obiezioni che si possono muovere, si pone l’accento sulle parti più interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata ecc. Questa seconda forma è la più importante e scientificamente degna e deve essere concepita come una collaborazione del recensente al tema trattato dal libro recensito. Quindi necessita di recensori specializzati e lotta contro l’estemporaneità e la genericità dei giudizi critici. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, XXVII e XXVIII Indice Premessa Nicola Siciliani de Cumis .................................................................................. XI Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia. A mo’ di prefazione Marco Maria Olivetti ......................................................................................... 1 Antonio Labriola e l’Università «La Sapienza» Pietro Borzomati.................................................................................................. 9 Gli innamorati di Sofia Giovanni Cacioppo ............................................................................................ 13 Antonio Labriola, la sua università e i settecento anni della Sapienza Mario Casalinuovo ............................................................................................19 La galassia Labriola Sergio Cicatelli ................................................................................................. 23 La Montessori alla «Sapienza» Giacomo Cives ................................................................................................... 29 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro. «Rivista pedagogica e dintorni»: Alfredo Poggi Marco Antonio D’Arcangeli ............................................................................. 33 Un Catalogo per Antonio Labriola Girolamo de Liguori .......................................................................................... 59 Antonio Labriola e il materialismo storico Graziella Falconi ............................................................................................... 63 Antonio Labriola e le scienze sociali Franco Ferrarotti ............................................................................................... 65 Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola. Centenari significativi Remo Fornaca .................................................................................................... 81 Antonio Labriola nel centenario della morte Vincenzo Gabriele.............................................................................................. 91 VIII Indice In occasione del centenario labrioliano Norberto Galli ....................................................................................................93 Socialista fuori concorso Tullio Gregory ...................................................................................................95 Antonio Labriola e la sua Università Emiliano Macinai...............................................................................................99 Nel centenario della morte di Antonio Labriola Mario Alighiero Manacorda.............................................................................103 Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza» Stefano Miccolis ...............................................................................................117 La filosofia nella scuola e nell’università Maria Pia Musso..............................................................................................127 Labriola, la filosofia, l’Università, il socialismo Vincenzo Orsomarso ........................................................................................133 La laurea in filosofia, quale «completamento, […] facoltativo di qualunque cultura speciale». Note a margine Vincenzo Orsomarso ........................................................................................163 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko Claudia Pinci ...................................................................................................173 Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia. Anniversari e importanti libri celebrativi Francesca Rizzo................................................................................................201 Apprendimento spontaneo e interesse razionale: Maria Montessori tra Antonio Labriola e Lev S. Vygotskij Federico Ruggiero.............................................................................................205 Antonio Labriola, a cuore aperto Roberto Sandrucci ............................................................................................217 Le attente analisi dell’Ispettore Labriola Antonio Santoni Rugiu....................................................................................221 Antonio Labriola, in prospettiva Alessandro Sanzo .............................................................................................227 Indice IX La stele e lo stile di Antonio Labriola Daniela Secondo .............................................................................................. 241 Antonio Labriola e la multimedialità Roberto Toro ................................................................................................... 281 Appendice...................................................................................................... 303 Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko Nicola Siciliani de Cumis ................................................................................ 305 Antonio Labriola, tra quadri e lettere Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato ................................................. 321 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione Nicola Siciliani de Cumis ................................................................................ 329 Autori presenti nel volume e nel DVD ...................................................... 357 Indice dei nomi ............................................................................................ 361 Indice analitico .............................................................................................. 371 Premessa Nicola Siciliani de Cumis Questa raccolta di Carte Labriola, dal titolo volutamente allusivo, reiterativo, Antonio Labriola e la «Sapienza». Tra testi, contesti, pretesti 2005– 2006, raccoglie quasi tutto quello che è stato scritto e detto pubblicamente, a margine della mostra documentaria del marzo–maggio 2005, su Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia; e sul relativo catalogo1. Nella forma, in qualche modo, della recensione. Considerato il loro carattere prevalentemente privato, restano invece fuori dal libro alcune lettere personali, che pur avrebbero un taglio critico–recensivo. Così come rimangono escluse dalla raccolta — tranne che in alcuni casi e per i motivi che si diranno —, le centinaia di pagine, redatte da diverse decine di studenti tra il 2005 e il 2006 a mo’ di recensione; e aventi, sempre e comunque, per oggetto la mostra, il catalogo, Labriola e «La Sapienza». Ciò che ne risulta, è pertanto un volume a più voci, monotematico e a suo modo “enciclopedico”. Un volume, che corrisponde al primo dei titoli della collana di documenti universitari su carta e/o su supporti informatici, pur sempre riferibili a Labriola e alla sua Università, che, per conto del Rettorato dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», viene ora pubblicata nei tipi di Nuova Cultura Editrice con la formula del print on demand. La mostra era stata allestita nelle tre sedi dell’Archivio Centrale dello Stato (Roma–EUR), dell’Archivio di Stato di Roma (Sant’Ivo alla Sapienza) e della Facoltà di Filosofia dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» (Villa Mirafiori, Fondazione «Giovanni Gentile»). Titolo del catalogo: Antonio Labriola e la sua Università. 1 Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005 (nuova ristampa con correzioni e integrazioni, 2006). Si ebbero quindi, parallelamente e successivamente alla mostra e sulla base del catalogo, corsi di lezioni, seminari di studio, proiezioni di film. XII Premessa Una collana che, proprio in quanto aggregazione di dossier concernenti Labriola e l’Università di Roma «La Sapienza», ha l’obiettivo di configurare precise sinergie archivistiche con le parallele possibilità documentative labrioliane nell’Archivio Centrale dello Stato, nell’Archivio di Stato di Roma, e altrove, a Roma e fuori Roma. Prime fra tutte, quelle derivanti dalle importanti Carte Labriola conservate a Napoli, presso la Società Napoletana di Storia Patria. Carte d’un archivio in formazione — quelle contenute intanto in questo volume —, che hanno reso possibile la realizzazione della presente raccolta, pressoché in contemporanea con la loro stessa acquisizione archivistica… E che, tenuto conto dell’argomento, fanno in qualche modo da cerniera tra i testi inediti o pressoché sconosciuti, già compresi nel catalogo della mostra su Antonio Labriola e la sua Università, e le nuove aggregazioni di documenti labrioliani via via scaturenti dagli archivi della «Sapienza». Nuove aggregazioni documentarie, che il catalogo del resto già preannunciava; e che il presente volume, pur nella sua specificità e limitatezza, comincia ora concretamente col prefigurare nel quadro di più ampie e sistematiche documentazioni. Del tipo di quella, per esempio, in volume e in DVD, relativa alle Carte Labriola del Rettorato dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza» (a cura di Giordana Szpunar); oppure di quell’altra, pure in volume e in DVD, delle Carte Labriola nell’Archivio Centrale dello Stato (a cura di Maria Pia Musso); o dell’altra ancora su Antonio Labriola e il Museo d’Istruzione e di Educazione (a cura di Alessandro Sanzo); ovvero di quelle, in cartaceo e in CD–ROM o in DVD, sul «Laboratorio Labriola» e le sue tesi di laurea, sull’Immagine di Labriola e «La Sapienza» (entrambe a cura di Daniela Tarabusi); e in un CD, su Antonio Labriola e «La Sapienza» in Google (a cura di Luigi Gregori), ecc. Una raccolta di scritti, quella che qui si presenta, che consiste quindi, per un verso, in una sorta di estemporaneo prolungamento delle attività per il centenario della morte di Labriola; e, per un altro verso, come libro tutto e soltanto di recensioni al catalogo, in un nuovo fatto bibliografico– archivistico labrioliano. Carte d’archivio su Labriola, quindi, pur sempre utili da conoscere, ordinare e mettere a disposizione degli studiosi, assieme alle altre documentazioni otto–novecentesche dei piani nobili e degli scantinati della «Sapienza». Premessa XIII E si tratta, da questo o da quell’altro punto di vista, su questo o su quell’altro argomento, di testi di recensione e talvolta di autorecensioni, a cura degli stessi autori del catalogo. Di pratiche scientifiche e di attività didattiche in corso e, quasi quasi, di esperimenti da laboratorio. Insomma, un libro su un libro: o, meglio, un sorta di catalogo sul catalogo; ovvero un documentario storico, a parte obiecti, relativamente al medesimo tema di Labriola alla «Sapienza». Una sorta di antologia di letture in medias res, variamente utili a spiegare, a integrare, a correggere quel che si è fatto fin qui e si continua a fare; e ad aprire possibili, ulteriori piste d’indagine, muovendo per l’appunto dal presente, provvisorio punto d’arrivo. Un recensire Antonio Labriola e la «Sapienza». Tra testi, contesti, pretesti 2005–2006, a metà strada tra didattica e ricerca e quasi all’incrocio di riscontri critici di competenti e formazione di competenze critiche. E ciò, nei due sensi del recensire: come un’attività definita, che si è venuta esplicando nel farsi delle numerose e varie recensioni che “fanno” il volume; e come un’attività recensiva in corso, che si vorrebbe continuare e far continuare nell’intreccio di didattica e di ricerca: tanto più in quanto, già in questa sede, vengono ammessi a mo’ di esempio i risultati di alcune prove scritte d’esame, con l’intento di sottolineare proprio una maggiore varietà di livelli di approssimazione al problema, la commistione di diversi piani critici e la mescolanza di didattica e ricerca nelle attività laboratoriali con al centro Labriola. Recensioni, dunque, fiorite spontaneamente o sollecitate da chi scrive: ma sempre e comunque riconducibili alle tematiche della mostra e al catalogo della «Sapienza», ai corsi universitari che vi si sono affiancati o ne sono scaturiti. Ovvero derivate dalla stessa parallela esperienza del reperimento, riordinamento, digitalizzazione e pubblicazione delle Carte Labriola nella sua Università. Più precisamente, come si diceva, un primo, eppur significativo gruppo di recensioni archiviabili, che viene affiancandosi ad altri esiti recensivi da archiviare. Giacché sono ancora frequenti e significativi gli interventi labrioliani dello stesso genere, ospitati o sul punto di essere ospitati negli studi, nelle biblioteche della «Sapienza»: vuoi nella forma del saggio scientifico o come prodotto didattico; oppure nella dimensione del film, del documentario in CD–ROM, DVD o via e–mail; ovvero nei XIV Premessa modi di un’oralità conferenziera, della lezione accademica o del ciclo di lezioni in audio o video, dell’elaborato scritto e delle tesi di laurea e di dottorato di ricerca; e, dunque, nella veste di un libro. Interventi di differente natura filologica e scritti di diversa consistenza critica: e realizzati, ora da studiosi di Labriola ovvero da specialisti di varie discipline e da competenti di chiara fama; ora — lo si vuol sottolineare — da studenti della «Sapienza», nel corso della normale preparazione dell’esame o della redazione dell’elaborato scritto o della tesi di laurea. Essendo per l’appunto la recensione, in presenza della specifica materia labrioliana oggetto di studio, il primo strumento di espressione della crescita intellettuale e, dunque, uno dei mezzi migliori di “accreditamento” universitario nelle discipline storico—filosofiche e pedagogiche. La recensione, come attrezzo mentale di mediazione tra indagini scientifiche e senso comune. La recensione, come dimostrazione dell’esistenza, e tramite operativo, del nesso tra ciò che già si conosce e ciò che ancora non si conosce. La recensione come evento didattico e scientifico caratterizzante, costitutivo di una tradizione accademica e di un modo di insegnare e di apprendere. La recensione, quindi, da fare, da far fare e da veder fare; e dunque, come modalità dell’operare universitario nel suo procedere: attento, disattento, esplicativo, correttivo, integrativo, generoso, ingeneroso, utile, inutile, formativo sì e no, chiuso, aperto. La recensione seria e il suo contrario. La recensione creativa, innovativa, e quella solo informativa o piuttosto ripetitiva; quella “a tema” e quella “fuori tema”; quella edificante e quell’altra stroncatoria, con o senza strascico polemico. Recensioni pertanto — quelle di questo volume — che, per la loro immediata configurazione, variano dal contributo di un certo impegno alla scheda di lettura; dall’apporto scientifico originale, alla testimonianza o allo “sfogo” prevalentemente personale; dall’intervento di natura divulgativa, alla grafica d’arte; dall’esercizio di ricerca per un esame, al capitolo di un elaborato scritto di laurea… Di qui la ragione per la quale si è ritenuto opportuno ristampare tra l’altro, in appendice al libro, un testo dello stesso curatore, sulla recensione e le sue dimensioni educati- Premessa XV ve; un testo di natura metodologica e deontologica, che vorrebbe tornare utile a spiegare le ragioni e il senso della presente raccolta. Un libro di recensioni, del resto, variamente “annunciato”: e non solo perché già se ne accennava nel catalogo della mostra su Antonio Labriola e la sua Università; ma anche perché se ne è riparlato, strada facendo, durante lo svolgimento dei corsi di lezioni su Labriola, successivamente all’allestimento e all’apertura della mostra e alla redazione del catalogo. Lo stesso Labriola, del resto, con la sua singolare esperienza di recensore nella «Sapienza» e della «Sapienza», risulta essere, a più livelli, un momento effettivamente qualificante di tale operazione critica e autocritica: un momento “storico” particolarmente autorevole, che invita ad allargare e ad approfondire il quadro delle indagini in corso, per continuare a giovarsene, sia scientificamente sia didatticamente (e bibliograficamente e archivisticamente). In tale ottica, come un ampliamento dello stesso quadro recensivo, viene a far parte integrante del volume un DVD, a cura di Domenico Scalzo, contenente tre filmati. Il primo, con gli “atti” dell’inaugurazione della mostra Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia e della presentazione del relativo catalogo; il secondo, con una fiction di Corrado Veneziano, dal titolo Antonio Labriola, il Gusto della Filosofia, che mostra il progressivo coinvolgimento nella materia labrioliana specifica di una studentessa di oggi, laureanda in filosofia, nel corso della preparazione di una tesi sul Labriola filosofo, educatore, etico–politico; il terzo, con un filmato dello stesso Scalzo, su Antonio Labriola e la sua Università. Testi e contesti, in chiave prevalentemente documentaria, ma con soluzioni visive e approssimazioni narrative, tali da sensibilizzare alla complessità dell’intero mondo di Labriola, nel suo tempo ed in rapporto al nostro. Di qui la ragione per cui, tra l’altro, di tutti gli interventi relativi all’inaugurazione della mostra e alla presentazione del catalogo, che sono ora compresi nel suddetto DVD, si è ritenuto opportuno recepire a mo’ di prefazione al libro, proprio il testo di Marco Maria Olivetti. E questo, non soltanto per la convinta adesione, da lui espressa a più riprese, alle iniziative romane per il centenario della morte di Labriola, e per l’elevata prospettiva universitaria del suo contributo, tra passato, presente e futuro; ma anche e soprattutto per il carattere chiarificatore delle parole XVI Premessa di Olivetti, circa la sostanza scientifica, didattica e politico–culturale della mostra e del catalogo su Antonio Labriola e la «sua» Università, nel più ampio contesto delle celebrazioni dei settecento anni della fondazione della «Sapienza» e della vicenda della Facoltà di Filosofia, dalle origini ai nostri giorni. Università di Roma «La Sapienza», novembre 2006 Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia. A mo’ di prefazione∗ Marco Maria Olivetti Sono lieto di parlare immediatamente dopo il Prorettore Dazzi e lo ringrazio, anche a titolo personale, di essere qui a rappresentare il Rettore. Il fatto che sia il Prorettore Dazzi a salutare il convegno, da parte del Rettorato, mi sembra ancora una delle varie circostanze o delle varie coincidenze in qualche modo “astrali”. Se uno credesse agli oroscopi, vedrebbe in queste coincidenze di cui parlerò… ma sono coincidenze non troppo astrali, ma attentamente calibrate e costruite. Ecco, il fatto che sia Dazzi, il quale si richiamava nelle parole che ci ha detto alla sua formazione filosofica, mi sembra ricco di significato. Per parte mia, sono molto lieto, come rappresentante pro tempore della Facoltà di Filosofia, di salutare gli intervenuti. Lo faccio con vivo compiacimento, con vera, profonda soddisfazione: con soddisfazione, se volete anche personale, ma proprio come soddisfazione della Facoltà. Ringrazio gli intervenuti di qualificare con la loro presenza, appunto qualificata, insigne, questa iniziativa; e nel volerla onorare in questo modo, contribuendo con la loro presenza e con la loro partecipazione, anche attiva, al significato di questo convegno. ∗ Si tratta della trascrizione, il più possibile fedele al parlato originario, ma con gli opportuni aggiustamenti di forma, dell’intervento di Marco Maria Olivetti, Preside dalla Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», all’inaugurazione della mostra (8 marzo 2005, Sant’Ivo alla Sapienza), su Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della filosofia e alla presentazione del catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. Il DVD, a cura di Domenico Scalzo, con l’intervento integrale di Olivetti e con gli altri contributi di Nino Dazzi, Luigi Londei, Aldo G. Ricci, Fulvio Tessitore, Tullio De Mauro, Franco Ferrarotti, Giacomo Marramao, Luigi Punzo, Gennaro Sasso, Giuseppe Vacca, Mario Alighiero Manacorda, unitamente ai filmati di Domenico Scalzo e di Corrado Veneziano, è ora in allegato al presente volume. 2 Marco Maria Olivettti L’iniziativa — credo di poterlo dire per il fatto di essere nel mio piccolo parte in causa, quanto meno istituzionalmente, parte in causa —, è un’iniziativa importante e rappresenta il contributo che la Facoltà di Filosofia dà alla celebrazione dei settecento anni della «Sapienza». Naturalmente, ciò che si richiede perché queste parole non siano meramente parole di circostanza, è un’illustrazione del perché questo sia un contributo specifico. Beh, intanto, la Facoltà di Filosofia, che esiste da lungo tempo in quanto struttura istituzionale, esiste da cinque anni. Il Presidente Ciampi — con la sensibilità culturale e con l’interesse e l’impegno, che ha più volte mostrato per la res universitaria, per l’avvenire della ricerca, per le questioni culturali — ecco, il Presidente Ciampi ha voluto ricevere una delegazione della Facoltà di Filosofia, dopo la sua istituzione. E il Presidente Ciampi ha concesso il suo Alto Patronato a questa iniziativa, che noi, con la nostra stessa presenza, stiamo celebrando e alla quale stiamo dando corpo. Ebbene, i settecento anni della «Sapienza» e un centenario, quello della morte di Labriola, che in qualche modo sono venuti in congiunzione astrale. È soltanto la sorte? Ma io credo che ci sia qualcosa di più intrinseco, di più specifico, che va messo in luce e su cui non vorrei intrattenermi non senza avere prima ringraziato il Comitato per le celebrazioni dei settecento anni della «Sapienza», per avere voluto sostenere finanziariamente questa iniziativa, avendone riconosciuto il rilievo, l’importanza, nel quadro delle celebrazioni dei settecento anni della «Sapienza»; e, dunque, avendo riconosciuto il carattere tutt’altro che estrinseco di questa grossa iniziativa… Grossa iniziativa, non effimera, che si prolunga nel tempo; e che, in qualche modo, è incominciata ai primi del 2004 con il convegno tenuto a Villa Mirafiori su Antonio Labriola e la sua Università, i cui “atti” sono raccolti in questo più ampio catalogo di cui avremo modo di parlare ampiamente, intitolato appunto Antonio Labriola e la sua Università. Un convegno che, a sua volta, era in prosecuzione e in qualche modo faceva parte del convegno, che nel Parlamento della Repubblica era stato tenuto per le onoranze di Labriola; e questa continuità, che è una continuità temporale, ma anche tematica, si palesa in questo incontro di oggi, nel convegno–incontro, diciamo, degli studiosi che sono qui presenti; si Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia 3 prolungherà nei mesi di marzo e di aprile con una serie di seminari di studio, di seminari scientifici, che presso la Facoltà di Filosofia, sotto la regia del collega Siciliani, si terranno su temi labrioliani e su problemi pedagogico–filosofici, filosofico–pedagogici, in connessione con l’indagine storiografica sull’attività e l’insegnamento di Antonio Labriola. Dunque, una cosa estremamente complessa, duratura, ma soprattutto duratura, perché si concreta grazie all’attività di Siciliani su cui in conclusione dovrò dire ancora qualche cosa. Perché, come è già stato ricordato dal Direttore dell’Archivio di Stato di Roma, è in realtà il propulsore e l’anima di questa iniziativa, di questa iniziativa articolatissima e prolungata nel tempo. Dunque, questa iniziativa, ha forse il suo cuore in ciò che rimane, in scripta che manent, e che sono stati recuperati, e che vengono illustrati nella mostra, qui, e poi a Villa Mirafiori, e poi all’Archivio Centrale dello Stato. Scritti, che sono pubblicati nel catalogo. Questo è l’aspetto duraturo e il fondamento di ulteriore ricerca storico–filosofica. Una grossa iniziativa, quindi, in cui il prolungamento nel tempo è — diciamo — documento della grandezza delle forze coinvolte e dell’attività esplicata. Ma quello che a me preme di sottolineare in queste poche parole di introduzione, che ho l’onore di dire, è appunto il carattere non estrinseco di questo contributo specifico, che la Facoltà di Filosofia arreca alle celebrazioni per i settecento anni della «Sapienza» [alcune parole non del tutto chiare]. Congiunzione astrale — si potrebbe dire — la vicinanza tra gli astri del centenario della «Sapienza» e poi il centenario della morte di Labriola. Certo, un elemento di casualità, questo, ma di una casualità sapientemente utilizzata, in funzione del legame [alcune parole non del tutto chiare]. Il legame non è estrinseco, né rispetto all’Università «La Sapienza», né rispetto alla Facoltà di Filosofia. Rispetto all’Università «La Sapienza», il titolo del catalogo, e già del convegno di cui il catalogo arreca gli “atti” Antonio Labriola e la sua Università, è alquanto felice ed eloquente in proposito: Antonio Labriola e la sua Università. Ora, questo «sua», questo aggettivo possessivo, ha in qualche modo una duplice valenza: l’università di Labriola, cioè «La Sapienza». «La 4 Marco Maria Olivettti Sapienza», nella cui sede storica noi siamo oggi riuniti… Una serie di circostanze, che ora si richiamano in una sapiente regia, intenta a combinare gli ingredienti storici e culturali; e quindi in qualche modo di grande valenza simbolica. Quindi siamo qui alla «Sapienza», nella sede storica della «Sapienza», dove appunto Labriola, primo professore di filosofia nella «Sapienza» del nuovo stato unitario ha operato. La sua Università è dunque l’Università «La Sapienza». Si pensi che tra i documenti di cui l’attività di Siciliani, del collega Siciliani e di tutte le persone che con lui hanno collaborato, sono stati riesumati, tirati fuori, ci sono persino degli appunti che non sono nel catalogo, perché sono stati trovati recentissimamente (ma credo siano esposti nella mostra), in cui Labriola mostra la sua attenzione al Museo dei gessi della [alcune parole non del tutto chiare] e dà disposizioni, indicazioni, su come debba essere concepito il Museo dei gessi, che attualmente è [alcune parole non del tutto chiare] nel piano seminterrato, di quella che una volta era la Facoltà di Lettere e filosofia. Ecco, quindi, la sua Università, in questo senso, è effettivamente un’espressione che condensa l’azione e l’entusiasmo con cui Labriola ha messo la sua Università e la sua mente al servizio della causa della «Sapienza». Ma questa sua Università, l’espressione la sua Università, ha anche un’altra più ampia valenza, che ancora una volta instaura un circolo virtuoso: la sua università è anche l’università ideale che Labriola cercava di rendere massimamente reale. La sua Università è naturalmente l’idea di Università di Labriola. Un’idea di Università, che i documenti pubblicati, le relazioni e gli scritti pubblicati in questo grosso «catalogo di cataloghi», come lo chiama Siciliani, documenta. Un’idea di Università [alcune parole non del tutto chiare]. Noi siamo sempre pronti ad importare giustamente… a riconoscere l’importanza della cultura non soltanto italiana; molto ci si richiama all’Università humboldtiana; ma sicuramente, qui da noi, abbiamo un’idea di università, che è l’Università da Labriola difesa appassionatamente in interventi a convegni, in discorsi [parola non chiara], in dibattiti molto accaniti. Dal discorso celebrato e celeberrimo L’Università e la libertà della scienza, a tutta una serie di scritti, che sono raccolti nel volume di Nicola Sici- Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia 5 liani, Filosofia e università, che molto opportunamente torna ad essere pubblicato in questa circostanza nell’edizione Utet–Libreria (dopo aver segnato un momento, alcuni anni fa, tre decenni fa circa, un momento assolutamente importante dell’attività della ricerca labrioliana)… Torna ad essere pubblicato e si congiunge con il catalogo in sinergia culturale. C’è tutta una concezione dell’università nella sua autonomia della libertà scientifica, da un lato, ma nei suoi strettissimi nessi con la società, con le esigenze della società: sicché non c’è un rapporto inversamente proporzionale, ma un rapporto di proporzionalità diretta… Appare in questi scritti labrioliani, in questa concezione dell’università labrioliana, un rapporto di proporzionalità diretta fra autonomia e libertà della ricerca scientifica e sensibilità, ricezione delle istanze della società e [parola non chiara] per esigenza della società. E qui viene, appunto, in questione l’altro aspetto che mi proponevo non di lumeggiare, ma quanto meno di ricordare brevissimamente: e, cioè, il rapporto non estrinseco che c’è tra questo contributo che la Facoltà di Filosofia offre alla celebrazione dei settecento anni della «Sapienza», l’Università di Labriola, Labriola e la sua Università… Un rapporto che c’è… non solo l’Università, intesa come Universitas Studiorum e magari come Università degli Studi di Roma «La Sapienza»; ma anche un rapporto non estrinseco con la Facoltà di Filosofia, che ho l’onore di rappresentare. Una parte cospicua dei documenti pubblicati nel catalogo e gli scritti che vengono pubblicati o ripubblicati in Filosofia e università riguardano precisamente la laurea di filosofia. E riguardano la laurea in filosofia, la laurea universitaria in filosofia; e riguardano il rapporto che intercorre e che deve intercorrere tra la laurea in filosofia e l’enciclopedia delle scienze dell’Univarsitas Studiorum, l’enciclopedia, il sistema, forse oggi diremmo la rete dei saperi di una Universitas Studiorum. E ciò [alcune parole non chiare]. Il rapporto tra la filosofia e le scienze che vengono coltivate. Questo viene fatto presente nell’introduzione che Garin ha anteposto al volume di Nicola Siciliani su Filosofia e università, che esamina appunto il rapporto su filosofia e università negli scritti labrioliani e tutto il dibattito che si è sviluppato dal 1882 ai primi anni del secolo, in questo ventennio, fino al 1902. Ecco, Garin insiste in modo particolare sulla ri- 6 Marco Maria Olivettti levanza dell’idea, che Labriola ha per la laurea in filosofia; ma anche, per converso, [sulla rilevanza dell’idea] che la laurea in filosofia, così come la concepiva Labriola, ha per l’università. C’è una lettera che viene documentata nei pannelli della mostra, la lettera del 12 luglio 1887 al direttore della rivista «Rassegna critica» (vi risparmio la lettera, perché qualcuno potrà leggerla o la ha già letta nei pannelli, qui all’ingresso della mostra), in cui appunto Labriola parla del significato che ha la laurea in filosofia... E, allora, perché ho voluto soffermarmi su questo? Perché appunto in quanto Preside della prima (questo posso dirlo senza iattanza, in senso cronologico) della prima Facoltà di Filosofia in Italia: beh, è chiaro che questa grande iniziativa culturale (la mostra, i convegni e tutta l’attività che ancora proseguirà nei prossimi mesi) in qualche modo documenta ancora come l’esistenza, l’istituzione di questa Facoltà di Filosofia alla «Sapienza» — e questo ci tengo a dirlo — non sia il frutto di un provvedimento, di un’iniziativa meramente amministrativa che, per ciò che con orribile termine ma ormai invalso nel jargon universitario, si suole chiamare il «decongestionamento» (decongestionamento: da una università se ne fanno tante, da una facoltà si fanno più facoltà)… Di nuovo, questa può essere la coincidenza astrale — e quasi quasi alla fine di questo discorso comincio a credere alle coincidenze astrali —. Ma tutto questo è frutto soprattutto di un progetto, di un progetto culturale. Di un progetto culturale che, appunto, è in qualche modo rappresentato dalle espressioni che Labriola utilizza per la laurea in filosofia, intesa nell’idea che debba esservi una laurea in filosofia… Non tutti sono necessariamente interessati a questi aspetti… Però direi che il progetto culturale è stato, con una certa dose di profezia, iniziato da Labriola medesimo, per quel che riguarda l’afferenza della Facoltà di Filosofia a uno degli Atenei federati, in cui si articola «La Sapienza». Labriola parla di positivismo — non è questo il caso —: ma lo è il modo in cui, in quel momento, Labriola utilizzava questo termine… Un rapporto, dunque, non estrinseco: e la Facoltà di Filosofia e il contributo che essa arreca al centenario della «Sapienza». Labriola, la «sua» Università, la prima Facoltà di Filosofia in Italia 7 Per dimostrare quanto poco sia estrinseco questo contributo, quanto esso sia un progetto culturale, che in qualche modo infutura la memoria, infutura il passato, sarei quasi tentato di riprendere pensieri e stilemi heideggeriani, per questo progetto che infutura il passato, ecco vorrei semplicemente ricordare due aspetti: il primo è la stretta connessione tra studi filosofici e studi pedagogici. Una filosofia che non può non avere il suo prolungamento nella dimensione pedagogica e, per altro verso, una pedagogia che non può esimersi, quali che siano gli aspetti sperimentali — e nella nostra Facoltà questi sono massimamente valorizzati — tuttavia non può esimersi da un quadro di riferimento teorico–filosofico. La Facoltà di Filosofia offre all’Ateneo «La Sapienza» l’intero servizio pedagogico; cioè la dimensione pedagogica è fornita dalla Facoltà di Filosofia. E questo è, sicuramente, nella linea non soltanto delle idee, ma anche della pratica di Labriola; il quale, per esempio, fu il fondatore di quella che è l’attuale Biblioteca di filosofia: e questo è l’aspetto che vorrei sottolineare. Questa Biblioteca di filosofia, che è nata inizialmente per opera di Labriola, come biblioteca pedagogica, essenzialmente… Parecchi materiali, recentissimamente ritrovati grazie all’attività di Siciliani e della sua équipe è estremamente eloquente, fino proprio agli ordini e ai libri di questa biblioteca, che era cara a Labriola come le pupille dei propri occhi. La Biblioteca di filosofia è in sostanza l’istituzione, lo “spirito oggettivo”, in cui si concreta la sede di ricerca scientifica della Facoltà. Una biblioteca è il momento didattico. Dai tempi di Labriola, è cresciuta e si è articolata. Oggi conta più di 150.000 volumi, abbonamenti a riviste; e credo sia la biblioteca specializzata in filosofia più grande d’Europa. E, appunto, all’origine di tutto questo, c’è Labriola. Dunque non c’è nulla di estrinseco e di vacuamente celebrativo: certamente “celebrativo”, ma non vacuamente celebrativo, in questa iniziativa; e la Facoltà di Filosofia ambisce a incrementare questa posizione, per altro coordinandosi con l’attività di ricerca filosofica… anche se, crescendo, si sono moltiplicate le sedi universitarie. Per fortuna, i rapporti anche di collaborazione scientifica e culturale con le altre università romane e con la filosofia praticata dalle altre università romane è essenziale… Il che fa sì che le iscrizioni alla Facoltà di Filosofia della «Sapienza» 8 Marco Maria Olivettti e, in genere, agli studi filosofici a Roma siano in controtendenza nel panorama nazionale. C’è un incremento di iscrizioni. Per quanto riguarda la filosofia, queste iscrizioni sono in aumento. Per la Pedagogia, addirittura, è stato necessario mettere il numero programmato, per evitare di essere travolti dalla domanda pressante delle iscrizioni. Per quanto riguarda la Facoltà di Filosofia, in cinque anni di esistenza, c’è stato un trend costante di aumento delle immatricolazioni [alcune parole non comprensibili]; un aumento del 10% annuo, che dimostra — effettivamente — che la Facoltà è vista come un punto di riferimento; e che, se l’espressione non fosse un po’ incriminata, vorrei dire come un Centro di eccellenza… Per tutto questo — dicevo —, dovrei concludere con alcune parole di ringraziamento all’amico, non dirò più al collega, Nicola Siciliani de Cumis. Beh, Nicola Siciliani de Cumis, nel catalogo, nel grosso catalogo (con tutte le felicitazioni che gli sono dovute), che appare tempestivamente e che abbiamo trovato qui sul tavolo, in questo catalogo, Nicola Siciliani si prolunga in una serie di ringraziamenti a persone e istituzioni, di quasi una pagina di questo non piccolo catalogo… Ma questo dà la misura dell’impegno enorme, che egli ha profuso nell’iniziativa; dà la misura della quantità di ricerche e di sollecitazioni che ha dovuto fare alle varie persone; e, sicuramente, se ha trovato rispondenza, questo va certamente a merito delle persone che egli ha sollecitato, ma anche alla sua iniziativa, alla amabilità con cui ha saputo intraprenderla e all’energia con cui ha saputo portarla avanti. Nicola Siciliani è l’incarnazione della figura di studioso, che è al contempo, non per una sovrapposizione, ma per una radicale coincidenza, filosofo e pedagogista; e quindi, in questo senso, questo mi piace considerarlo in qualche modo… Insomma c’è una qualche continuazione della figura di Labriola nella figura di Nicola Siciliani; e quindi desidero concludere queste mie parole, ringraziando il collega Siciliani per questo contributo enorme destinato a [alcune parole non del tutto comprensibili] alla Facoltà di Filosofia, alla figura di Labriola, ai settecento anni della «Sapienza». Antonio Labriola e l’Università «La Sapienza»∗ Pietro Borzomati La crisi di oggi, nei suoi vari aspetti e momenti, non trova una adeguata soluzione perché affonda le sue radici in una pseudo cultura resa grave dallo scarso interesse per un’analisi storica attenta a cogliere anche il passato remoto e prossimo persino di una umanità che non è stata ritenuta «degna» di essere considerata per lo stato di grande indigenza. Il catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis (Roma, Aracne, 2005, pp. 690, euro 15,00) conferma questo rilievo attraverso l’adozione di una metodologia che ha una sua originalità per la lettura «pedagogica» di quella che è stata una grande storia. Siciliani ha avuto sempre il merito di essere stato un anticonformista nel senso più metodologico del termine non considerando, ad esempio, quei limiti inopportunamente invocati quando era necessario portare avanti un progetto interdisciplinare al fine di ottenere risultati di notevole rilievo. Si vedano a tal proposito tanti suoi studi, parzialmente raccolti nel citato volume su temi diversi ma in vario modo attinenti al tema trattato: la storia dell’Ateneo romano, il ruolo di Labriola da anni oggetto di studi da Siciliani de Cumis, i «percorsi» della mostra, gli interventi su vari aspetti e momenti della vita e del pensiero del grande studioso e persino uno stimolante saggio «sulla prima pedagogia universitaria romana e don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi» dello stesso Autore. È utile a questo punto soffermarsi sui contenuti del volume; ha un significato la proposta labriolana a proposito dell’insegnamento del tedesco nei licei dato a semplici maestri «in quanto lingua perché la classe degli studenti di università non rimanga sequestrata da tre quarti della cultura moderna» (A.G. Ricci). Arricchente è poi lo studio di M.G. Bran∗ Pubblicato in «L’Osservatore Romano», 15 settembre 2005. 10 Pietro Borzomati chetti sul palazzo della «Sapienza»: le vicende edilizie dal XVI al XX secolo con riferimenti anche al ruolo di Francesco Borromini nominato «architetto» e, sostenuto, in questa occasione, anche dal suo eterno rivale Gian Lorenzo Bernini. Ovviamente non manca un saggio di M. Dormino su Labriola nelle «Grandi Scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia». Sono resi noti alcuni documenti come, ad esempio, stralci di importanti verbali dei Consigli di Facoltà persino sulle motivazioni dei trasferimenti dei docenti. Questa attenzione a fonti rarissimamente consultate ha una grande importanza per una storia della Università e della cultura, si fa luce sulle motivazioni delle scelte delle commissioni concorsuali oppure ― come scrive Labriola ― a proposito del «compare Ferri» che è «stato già rinominato ordinario all’Università di Pisa, lui martire del Ministro tiranno. Così è l’uso in Italia, che i professori siano nominati alla vigilia delle elezioni generali perché possano entrare nel sorteggio sé ne riescono più di dieci… È una vera commedia». La suggestiva attenzione di Siciliani a Labriola e la cultura del suo tempo arricchisce la storia, la filosofia e la pedagogia, allorquando raccomanda, ad esempio, di «fare i conti con le urgenze della realtà e con il portato della storia, con il dominio delle cose e le loro oggettive pesantezze e interne necessità. E con la vita e le sue estemporaneità ed imprevedibilità, le sue passioni e contraddizioni». Fu discepola del Labriola la Montessori per «i suoi interessi per una pedagogia non dogmatica aperta alla storia, alla società, alla scienza tendenzialmente diretta allo sviluppo civile e all’innovazione culturale». Molti erano convinti ― come rileva Laura Bellagamba ― che non sono i singoli uomini a determinare l’intero processo storico, bisogna innanzitutto partire dal factum. Labriola in questo senso elabora un suo particolare concetto della storia che non è la storia delle classi dirigenti, dei grandi personaggi delle guerre, delle paci e delle dinastie che hanno impresso il loro segno ai tempi, com’era stato insegnato fino a quel momento, ma la storia della fatica di tutti, del lavoro, delle cause e degli effetti considerati nel concreto svolgimento delle civiltà, alla quale tutti gli uomini portano, sia pure anonimamente il loro contributo. Storia di costumi, storia che si Antonio Labriola e l’Università “La Sapienza” 11 evolve, dove i grandi personaggi riacquistano le loro proporzioni umane i loro limiti». Queste considerazioni da un cinquantennio vengono riproposte da insigni storici, soprattutto francesi, come se fossero una novità «metodologica» e quel che è di più grave senza fare riferimento alle teorie labriolane; spetta quindi al volume che presentiamo il merito di indurre a riflettere sul concetto di storia e di verificare sugli esiti che si ebbero nel dibattito storiografico dopo così stimolanti suggestioni. L’iconografia pubblicata nel volume è molto ricca e proposta spesso a conclusione dei vari capitoli come appendice documentaria; sono state pubblicate, ad esempio, le copertine di molte monografie di studiosi diversi, esemplari di atti ufficiali delle Università e esemplari di manifesti e volantini che erano stati esposti alla mostra. È ovvio che un’attenzione a questi documenti può offrire se non altro interessanti ipotesi di ricerca e di studio. La novità di questo volume è, a mio giudizio, costituita da un ponderoso lavoro di Siciliani «Sulla prima pedagogia universitaria romana e don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi». Due scritti, uno di Labriola e l’altro di don Guanella per molti aspetti identici nei contenuti e nelle prospettive sociali, opportunamente sono stati pubblicati come introduzione al saggio, con il fine ovviamente di presentare il programma dei due protagonisti e sottolineare la felice coincidenza del loro «servizio» nel mondo. L’Autore premette di considerare l’opera guanelliana una «pedagogia di sicuro impatto innovativo, soggettivamente inseparabile dalla fede e nondimeno oggettivamente valida per sé. Una pedagogia della subitaneità». Efficace tentativo dell’Autore per un «confronto a distanza» con Guanella «uomo di fede» vissuto nello stesso periodo, Labriola «filosofo dell’immanenza e insegnante laico» e «tormentato dal premoderno». Don Guanella nel 1866 con «pietoso affetto» assisteva gli operai poveri, non mancando di dedicarsi persino ai lavori più umili e Labriola pensava di occuparsi del cristianesimo primitivo, non mancando di valutare «la profonda differenza che passa tra un filosofo ed un incredulo». Vi sono ovviamente delle «analogie» nella differenza tra i due; Siciliani a tal proposito mette innanzitutto a confronto lo scritto guanelliano per i maestri «Nella scuola» (1883) e quello di Labriola sulle idee espres- 12 Pietro Borzomati se nelle conferenze magistrali (1878 e sgg.) pubblicato in «Scritti pedagogici». Nicola Siciliani de Cumis, ideatore e regista di questo progetto, ha infine il merito, quello cioè di aver saputo stabilire un confronto tra Guanella e Labriola che ha una grande importanza in questo nostro tempo volto alla ricerca di «radici» ed ideali comuni per l’avvento della pace indispensabile perché regni la giustizia. Gli innamorati di Sofia Giovanni Cacioppo La lettera di Labriola al Direttore di «La Tribuna» presenta due motivi di interesse. Il primo è la scelta della sede giornalistica per la presentazione della sua proposta: seppur si rivolga esplicitamente solo ai colleghi, il parlarne su una testata politica comporta immediatamente uno scenario di opinione pubblica del tipo di quello che per prima l’Encyclopédie aveva ipotizzato e realizzato. Il secondo è naturalmente nei contenuti, nella concezione di filosofia che la ispira e che rifiuta l’obbligo di legame con storia e filologia a favore di legami facoltativi con qualunque cultura speciale: «Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori». Questo opportuno sguardo retrospettivo comporta però affrontare grossi nodi terminologici, con tutto quello che alle terminologie sta dietro. In sintesi, se oggi cerchiamo con difficoltà e non sempre con successo di distinguere filosofia, scienza–scienze, religione, pubblicità e quant’altro, l’antica Sofia tutto ricomprendeva, i suoi innamorati avevano solo i limiti che volevano porsi. I pochi innamorati, dobbiamo subito dire. Ma non perché essa attraesse poco; furono i primi accreditati come sapienti a dirne difficile l’accesso, a farla esoterica, a porre se stessi come indispensabili mediatori per itinerari iniziatici densi di misteri e riti. Si può probabilmente dare interpretazione estensiva a quanto ipotizzato da Mencken per i sacerdoti: «Se il primo sacerdote fu prudente […] comprese immediatamente che il suo monopolio non poteva durare […] ve ne fu tutta una corporazione, e cominciaron ad agire in cooperazione accordandosi sui loro segreti e sul loro equipaggiamento professionale»1. Il caso più evidente — che corrisponde comunque ad un effettivo importante ruolo nella storia di Sofia — è probabilmente quello dei Pitagorici. Ma il Vangelo di Marco 1 H.L. MENCKEN, Trattato sugli dei, Milano, Il Saggiatore, 1967, p. 34. 14 Giovanni Cacioppo (IV, 11–12) ci attesta esplicitamente una forte componente esoterica e l’uso di un doppio codice anche nella predicazione del Cristo: «A voi è dato il segreto del regno di Dio, a quelli invece che sono fuori tutto si fa in parabole, affinché, guardando guardino e non vedano e ascoltando ascoltino e non sentano, perché non si convertano e non sia loro perdonato»; in forma attenuata poi Luca (VIII, 10): «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri si parla in parabole affinché vedendo non vedano e udendo non comprendano». È solo con gli illuministi ed in particolare con l’Encyclopédie che ci si comincia a proporre sistematicamente di rendere pubblico il sapere, di far riferimento all’opinione pubblica, di moltiplicare gli innamorati di Sofia. A questo riguardo Labriola può esser posto in posizione intermedia: propone per la filosofia un ampliamento d’orizzonte ma sempre all’interno della dimensione accademica, informa però della proposta l’opinione pubblica. Ma è l’Università l’ambiente di vita di Sofia? Parlando del periodo che precede la prima guerra mondiale, scrive Garin: «Erano solo “professori” quasi tutti i molti produttori di filosofia del momento […] è grave errore sempre confondere il moto del pensiero con i corsi universitari»2. Il trauma della guerra solleva problemi di impegno, di responsabilità. Molti fanno finta di niente. Risponde esemplarmente Bertrand Russell: «Bertrand Russell, che se ne era stato per tanto tempo sepolto e muto sotto il peso della logica, della matematica e dell’epistemologia, avvampò improvvisamente, come una fiamma liberata, e il mondo rimase attonito nel trovare che l’esile professore dall’aspetto anemico era un individuo di grande coraggio e un amico appassionato dell’umanità»3. L’umanità intera deve essere l’ambiente di Sofia. E il filosofo cerca di parlare a tutti, con tutti i mezzi possibili, col massimo di chiarezza possibile. Per miriadi di individui in tutto il mondo, Russell ha posto la prima connessione tra riflessione filosofica e problemi della vita reale. 2 3 E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, 2 voll., Bari, Laterza, 1966, p. 293. W. DURANT, Gli eroi del pensiero, Milano, Sugar, 1961, p. 584. Gli innamorati di Sofia 15 Quando le condizioni lo consentono, anche in Italia alcuni cercano di muoversi nello stesso orizzonte. Così Guido Calogero tiene la sua rubrica su «Panorama», Nicola Abbagnano su «Gente» (raccogliendo poi in volume), qualche altro… Ma ormai nella società della comunicazione di massa il peso dei “professori” (in quanto categoria; le eccezioni ci sono sempre) nella formazione dell’opinione pubblica tende a svanire. Lo avverte tra i primi Tullio De Mauro: «Per la crescita dell’educazione scientifica collettiva è stato ed è maggiore il contributo che viene dalle rubriche […] di parecchi settimanali meno apprezzati dal pubblico intellettuale»4. La questione riguarda naturalmente tutti i livelli formativi. Riguardo alla discussione aperta proprio in questo periodo sull’opportunità di un insegnamento filosofico a livello elementare, osserva Fabrizio Desideri: «Talvolta quello che passa nelle nostre Scuole superiori per filosofia non è niente più di un’indigesta carrellata di sistemi e di distinzioni (di nomi e formule da mandare a memoria). Il primo lavoro da fare allora è proprio questo: promuovere, laddove la filosofia la si insegna espressamente come disciplina, un “senso comune” della sua attualità, del suo intimo legame con le domande che sorgono dalla vita di ognuno»5. Da parte suo ricorda un ex liceale: «la mia prima professoressa di filosofia […] veniva a scuola con variopinti tailleur pitonati, gonne cortissime, altissimi tacchi a spillo e trucco estremo e, così conciata, parlava di Socrate e Platone. Il problema era che poi pretendeva che la si stesse a sentire»6. Professori di filosofia sono protagonisti di recenti opere letterarie. Nella strage di una commissione di maturità raccontata da Scurati, l’unico risparmiato è il docente di filosofia, le cui riflessioni costituiscono poi tutto il romanzo. Nell’opera di un Filosofo accademico ― Preside di Facoltà ― appassionato di enigmistica (un neopitagorico?) è l’uomo che scompare lasciando un’esile e ardua traccia che verrà seguita non dai colleghi filosofi ― com’egli pensava e sperava ― ma solo da uno studente di statistica (sarebbe certo piaciuto a Labriola). T. DE MAURO, La cultura, in AA.VV., Dal ‘68 a oggi. Come siamo e come eravamo. Bari, Laterza, 1979, p. 219. 5 F. DESIDERI, La filosofia nella scuola primaria, in «La Vita Scolastica», marzo 2006. 6 M. LOPEZ, Alunno a vita, Milano, Sperling & Kupfer, 2001, p. 43. 4 16 Giovanni Cacioppo In verità non si può dire che in questi anni non vi sia un interesse pubblico per opere di carattere filosofico. Enorme è stato il successo internazionale per l’originale formula giallo–avventurosa applicata da Gaarder alla storia del pensiero (minor successo ha avuto la stessa formula usata da Guedj per la storia delle matematica che naturalmente s’incrocia spesso con la filosofia ma probabilmente incontra maggiori avversioni e diffidenze). Enorme il successo (18 milioni di libri venduti, solo in Italia) della serie di storie filosofiche dell’ingegnere (aveva ragione o no Labriola?) Luciano De Crescenzo che a «Sorrisi e Canzoni» ― che ne ha proposto una serie di 8 libri in abbonamento settimanale ― dichiarava: «in genere, chi scrive di filosofia non si fa capire. Se uno è capace di farsi capire è normale che venda. Vede, io non è che scrivo. Ricopio, o meglio traduco in parole semplici». Credo possa valere per i filosofi di professione ― e per molti altri specialisti affini ― quanto recentemente confessava Ehrman per gli storici: «La capacità di registi e scrittori di condizionare i sentimenti e modificare le opinioni del pubblico non è di per sé né buona né cattiva; è semplicemente una realtà dei nostri tempi […] ma a quelli di noi che dedicano la vita allo studio della storia, la cosa dà un po’ sui nervi»7. Il nervosismo si può esprimere in un arco molto ampio di posizioni, avendo ad un estremo il disprezzo dell’opinione pubblica e l’esaltazione di ambiti necessariamente ristretti per la vera Sofia, all’altro estremo compromessi e banalizzazioni per inseguire la pubblica attenzione. In mezzo, si ripropongono con accresciuta ― per l’espansione della comunicazione di massa ― attualità ed incidenza le osservazioni di De Mauro, nella consapevolezza per altro che negli stessi canali possono venire proposti messaggi illuminanti e messaggi oscuranti. Ben più complesso di quello posto da Labriola ― che naturalmente resta un benemerito sollecitatore nella prospettiva storica ― è questo problema della presenza di Sofia nel mondo attuale e futuro, un problema che richiede approfondita riflessione e discussione. 7 B.D. EHRMAN, La verità sul Codice da Vinci, Milano, Mondadori, 2005, p. 7. Gli innamorati di Sofia 17 Riferimenti bibliografici ABBAGNANO NICOLA, La saggezza della vita, Milano, Rusconi, 1985. CERAMI VINCENZO, L’incontro, Milano, Mondadori, 2005. DE MAURO TULLIO, La cultura, in AA.VV., Dal ‘68 a oggi. Come siamo e come eravamo. Bari, Laterza, 1979. DESIDERI FABRIZIO, La filosofia nella scuola primaria, in «La Vita Scolastica», marzo 2006. DURANT WILL, Gli eroi del pensiero, Milano, Sugar, 1961. EHRMAN BART D., La verità sul Codice da Vinci, Milano, Mondadori, 2005. GAARDER JOSTEIN, Il mondo di Sofia, Milano, Longanesi, 1994. GARIN EUGENIO, Cronache di filosofia italiana, 2 voll., Bari, Laterza, 1966. GUEDJ DENIS, Il teorema del pappagallo, Milano, Longanesi, 2000. LOPEZ MASSIMO, Alunno a vita, Milano, Sperling & Kupfer, 2001. MENCKEN HENRY L., Trattato sugli dei, Milano, il Saggiatore, 1967. SCURATI ANTONIO, Il sopravvissuto, Milano, Rizzoli, 2005. Antonio Labriola, la sua università e i settecento anni della Sapienza∗ Mario Casalinuovo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904– 2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis (Roma, Aracne, 2005), è opera che ha richiesto un lavoro attento, appassionato e paziente sulla straordinaria figura del filosofo, dello storico, del Maestro, del politico, fortemente rappresentativa della cultura italiana fra Ottocento e Novecento, così delineata in tutta la sua importanza. In apertura della prima delle “presentazioni” (p. 17), il prof. Marco Maria Olivetti, preside della Facoltà di Filosofia ha scritto: «La Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” è particolarmente lieta di presentare questo volume–catalogo che riassume e mette a disposizione in modo durevole le attività congressuali ed espositive, di ricerca e di documentazione, svolte per ricordare il centenario labrioliano. Le attività sono state sviluppate nel quadro delle iniziative che l’Ateneo ha intrapreso in occasione delle celebrazioni per il settimo secolo di vita della “Sapienza”, e rappresentano lo specifico contributo della Facoltà di Filosofia a tali celebrazioni. Di questo contributo siamo grati al collega ed amico professor Nicola Siciliani de Cumis, che ha ideato e realizzato con passione e grande impegno personale tutto il ventaglio di attività che questo volume–catalogo rende durevoli. Egli ha curato il volume medesimo, quale iniziativa conclusiva di tutte le altre iniziative che esso riassume e perpetua in forma bibliografica». La figura di Antonio Labriola è così ricordata a cento anni dalla sua morte in occasione della mostra documentaria per i settecento anni della «Università che fu sua. Un’Università, quella di Labriola, a trecentoses∗ Pubblicato in «il Quotidiano della Calabria» (edizione di Catanzaro e Crotone), 22 settembre 2005. 20 Mario Casalinuovo santa gradi: e nel senso più ampio, soggettivo ed oggettivo del genitivo, comprendente intanto l’Università come sede fisica–architettonica e tecnico–istituzionale delle funzioni scientifiche e didattiche proprie della vecchia “Sapienza” nel trentennio 1874–1904; ma inclusiva anche dell’Università come luogo mentale–ideale e pratico–educativo perpetuo, in cui si rispecchia la complessiva esperienza culturale e pedagogica labriolana nella società civile», come ha ritenuto e specificato nella Premessa il curatore dell’opera. L’Indice analitico consente di avere presenti tutti gli approfondimenti che, nel tempo, sono stati fatti sulla figura e sull’opera di Antonio Labriola ed anche della sua esperienza di ispettore delle “scuole normali”, le scuole destinate alla preparazione dei maestri elementari, per conto del Ministero della pubblica istruzione, con il suo appassionato contributo per lo studio ed allo studio della “storia” nelle scuole elementari. Tra gli altri approfondimenti sull’opera del Labriola, tutti di grande importanza, ci sono quelli dell’Autore–curatore del volume–catalogo che ritengo di particolare interesse, anche per i riferimenti politici. In Antonio Labriola, a centosessanta anni dalla nascita (p. 165), il prof. Nicola Siciliani de Cumis analizza, tra l’altro, le lezioni conclusive del Labriola all’Università di Roma, con oggetto anche tanti ricordi autobiografici. E, tra questi, ci sono brani di due lettere: una lettera aperta a Ettore Socci ed un’altra a Filippo Turati. Nella prima, il Labriola affermò: «Da alcuni anni in qua, ch’io mi professo pubblicamente socialista, dopo d’aver maturata già innanzi, nella mente e nell’animo, cotesta dottrina e cotesta persuasione, ho chiuso sempre gli occhi alla critica poco seria, poco garbata, poco ragionevole di quelli i quali credono di cogliere in fallo un uomo se affermano che le idee alle quali è giunto non sian quelle dalle qual è partito… senza aver letto e udito quello che ho scritto, insegnato e detto da vent’anni in qua, da che punto, davvero io sia partito, e a che punto io sia davvero arrivato». Nella seconda, a Filippo Turati, evidentemente rispondendo ad altre critiche, disse ancora: «Ma v’ingannate quando credete che io non viva il contatto con gli operai. Ho menato a Roma vita rumorosa dal 1888 al 1° maggio 91, avrò fatto duecento discorsi ed ho preso parte ad altrettante riunioni, ho ideato circoli, federazioni e cooperative… Antonio Labriola, la sua università e i settecento anni della Sapienza 21 La mia casa è un va e vieni di operai di ogni parte d’Italia…». E prima, in una sua opera, aveva già avuto occasione di precisare: «Com’è risaputo, io entrai semplicemente e pubblicamente nelle vie del socialismo solo dieci anni fa» (cioè nel 1889) e «fin dal 1873 scrissi contro i principi direttivi del sistema liberale e dal 1879 cominciai a muovermi su questa via di nuova fede intellettuale. nella quale mi son fermato e confermato can gli studi e con l’osservazione negli ultimi tre anni» (così anche a p. 23 della sua conferenza, Del socialismo, Roma, 1890). Pochi spunti tratti dal volume–catalogo, di tanto interesse in ogni sua pagina, che mi porta ad esprimere all’Autore–curatore, il prof. Nicola Siciliani de Cumis, nostro carissimo ed insigne conterraneo, il più convinto e profondo apprezzamento. La galassia Labriola∗ Sergio Cicatelli I cataloghi delle mostre costituiscono un genere letterario del tutto particolare. Hanno una funzione principalmente documentaria nei confronti della mostra (rispetto alla quale spesso fungono da guida), ma talvolta vivono di vita autonoma (una volta conclusa la mostra) al punto da far sembrare che la mostra sia stata solo un pretesto per la pubblicazione del catalogo. La mostra che ha dato origine al catalogo di cui intendiamo occuparci — Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, pp. 690 — è rimasta aperta, distribuita su varie sedi romane, dall’8 marzo al 25 aprile 2005 ed il catalogo è arrivato poco dopo per documentare e proseguire in qualche modo le attività che facevano capo a quella mostra. Se dunque di solito lo sguardo di un catalogo è rivolto al passato, a raccogliere nella maniera più completa e ordinata possibile il materiale relativo all’oggetto (o al soggetto)1 della mostra, in questo caso si può dire che il passato sia semplicemente un punto di partenza per volgere lo sguardo al futuro, passando attraverso una accurata ricognizione del presente. Il ponderoso volume (quasi settecento pagine) raccoglie una documentazione estremamente varia, che spazia dagli atti dei convegni celebrati in occasione del centenario della morte di Labriola ai materiali che costituivano la mostra vera e propria, a lettere e verbali d’epoca: una documentazione ricchissima che si presta a suggerire inevitabilmente selettivi percorsi di ricerca, di approfondimento e di studio. Bisogna dare atto a Nicola Siciliani de Cumis — più che curatore del Catalogo, animatore degli eventi legati al centenario labrioliano — che il volume costitui- ∗ Pubblicato su «Rassegna di Pedagogia», luglio–dicembre 2005, pp. 301–305. Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit. nel testo, pp. 27–39. 1 24 Sergio Cicatelli sce una miniera di contributi capaci di far scoprire o riscoprire aspetti talvolta meno noti o ancora non indagati della personalità di Labriola. Ma soprattutto, bisogna dire che il Catalogo è labrioliano non tanto per il riferimento all’oggetto specifico della mostra, quanto per lo spirito che Siciliani de Cumis fa rivivere in queste pagine, percorse dall’attenzione alla pedagogicità intrinseca al vivere e al produrre cultura dentro e fuori dalle aule universitarie. Quello che qui si propone è solo uno dei possibili percorsi, ma, dato il suo procedere in maniera asistematica e casuale, sarebbe meglio parlare di semplice vagabondaggio guidato da estemporanee curiosità. Nel titolo della mostra vale la pena richiamare l’attenzione sul possessivo che descrive un rapporto di appartenenza — potremmo dire reciproca — fra Labriola e la “sua” università di Roma (che oggi ha recuperato il vecchio nome de «La Sapienza» per distinguerla dalle altre università sorte recentemente nella capitale, ma che all’epoca di Labriola era semplicemente l’università di Roma, collocata nel palazzo della «Sapienza»). Perché «La Sapienza» è l’università di Labriola? La risposta più immediata e banale è che Labriola vi ha insegnato per oltre trent’anni e dunque ha stabilito con essa un rapporto istituzionale tutt’altro che irrilevante. Ma si tratta di una relazione ancora estrinseca. Se entriamo nel merito di un rapporto che non fu solo professionale, dobbiamo riconoscere in Labriola un ruolo di fondatore (o di rifondatore) degli studi filosofici romani. Dopo il 1870, con la fine del potere temporale dei papi sul territorio romano, l’università di Roma passava dalla giurisdizione pontificia a quella statale ed assumeva inevitabilmente un volto nuovo anche e soprattutto in quegli studi che potevano testimoniare in misura più evidente il passaggio epocale. Labriola occupò dal 1874 al 1902 la cattedra di filosofia morale e di pedagogia, passando poi alla cattedra di filosofia teoretica che tenne fino alla morte. In quegli anni, insegnando per oltre tre lustri anche filosofia della storia, divenne il principale artefice della via italiana al marxismo (del 1895 è il primo dei Saggi sulla concezione materialistica della storia), ponendo al tempo stesso le basi di una scuola pedagogica di cui il Catalogo vuole ricostruire la continuità fino ai giorni nostri attraverso i nomi — almeno — di Credaro, Calogero, La galassia Labriola 25 Lombardi, Visalberghi e Siciliani de Cumis2. È questa continuità prospettica che richiama l’attenzione sul futuro e rende il Catalogo stesso un’opera aperta, in quanto documentazione non solo della mostra e delle iniziative promosse per il centenario labrioliano ma anche della vita e della vitalità dello studio filosofico–pedagogico che fu di Labriola, con un’attenzione che si potrebbe definire wirkungsgeschichtlich verso le conseguenze tuttora rilevabili delle basi poste dallo studioso. L’apertura sul presente e sul futuro riserva indubbiamente qualche sorpresa a chi si accosti alla produzione pedagogica di Labriola con la precomprensione della sua collocazione teorica nella linea di pensiero dell’hegelo–marxismo italiano. L’odierno dibattito sulla natura della didattica si muove ad esempio nella costante incertezza sulla collocazione di questa disciplina tra le scienze o tra le arti, e Labriola costituisce un originale punto di sintesi con il suo riferirsi alla figura di Socrate, da sempre riconosciuto modello etico–teoretico ma talvolta involontario modello didattico per chiunque si occupi di filosofia e di pedagogia (e Labriola insegnava entrambe le discipline)3. Proprio l’abbinamento delle due discipline accademiche può in qualche modo rendere ragione della natura della pedagogia labrioliana, considerata istituzionalmente come una sorta di filosofia applicata ma poi emancipatasi con un’autonoma consistenza anche sperimentale. Tuttavia, nella sintesi labrioliana non si può trascurare l’originale mediazione personale e soggettiva (condita di ingredienti herbartiani), che rendeva impossibile proporre metodi o ricette universalmente validi, sollecitando invece un’attenzione alla critica formazione delle intelligenze e alla libera ricerca di scelte di vita. D’altra parte, la filosofia della prassi, per quanto formula abusata e restrittiva, continua ad essere una sintesi possibile delle posizioni teoriche di Labriola, pensatore asistematico non perché anarchico ma perché contrario alle ortodossie filo- Cfr. M. DORMINO, Antonio Labriola nelle "Grandi scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia", in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 56–60. 3 Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 174–184. 2 26 Sergio Cicatelli sofiche o ai sistemi tradizionali, come ebbe a dire, fra l’altro, nella celebre prolusione del 1896 su L’università e la libertà della scienza4. Alcune intuizioni o acquisizioni metodologiche labrioliane non sfigurerebbero accanto ai teorici delle più recenti riforme scolastiche italiane, anche di segno diverso, non perché Labriola sia un autore buono per tutte le stagioni ma perché la sua possibile trasversalità testimonia la bontà e la sensatezza delle sue affermazioni, precedenti alla stagione dei tecnicismi didattici e della politicizzazione delle riforme scolastiche. A puro titolo di esempio, è questo il caso del richiamo alla centralità dell’alunno e alla molteplicità degli universi formativi in cui si sviluppa la sua vita, che oggi ci viene proposto in termini di personalizzazione degli apprendimenti dalla riforma Moratti con la ben nota metafora dell’ologramma lanciata da Morin5, ma che nelle parole di Labriola acquista la valenza di una raccomandazione dettata più dal buon senso pedagogico che da scelte ideologiche: «In ogni questione pedagogica non bisogna mai dimenticare che il punto d’incidenza dell’azione didattica è nell’individualità dell’educando; e che questa per essere in istato di continuo sviluppo entra in sempre nuovi e sempre variati contatti col mondo circostante, per via del conoscere e del sentire, il che porta una continua variazione negli addentellati che il moto interiore dell’animo offre all’opera dell’istruire e dell’educare»6. Con il che si apre la strada alla feconda collaborazione tra psicologia e pedagogia che Labriola all’epoca poteva solo intuire ma che oggi è alla base della pedagogia sperimentale e di qualsiasi ricerca educativa7, al punto di ritrovare tra gli allievi di Labriola la stessa Maria Montessori8. Cfr. I. VOLPICELLI, Antonio Labriola: cento anni dopo (1904–2004), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 42–46. 5 Cfr. E. MORIN, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, trad. it. di S. Lazzari, Milano, Raffaello Cortina, 2000, p. 97. 6 A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981. p. 266. 7 Cfr. G. BONCORI, Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti pedagogici di Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 208–216. 8 Cfr. G. RECCHIA, Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 217–223 e A. MATELLICANI, Dati e documenti sul rapporto tra Maria Montessori e Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 224. 4 La galassia Labriola 27 Forse avrebbe meritato uno spazio maggiore nel Catalogo l’esperienza di Labriola direttore del Museo d’Istruzione e di Educazione, un’istituzione che con la sua sola esistenza testimonia la scientificità della riflessione pedagogica dell’epoca e, al di là delle intenzioni ideologiche più o meno esplicite, la volontà di documentare una prassi didattica troppo spesso condannata all’oblio dalla vita scolastica quotidiana. La modernità di quel Museo che possiamo associare al nome di Labriola è provata dall’attuale Museo storico della didattica che, grazie all’opera del compianto Mauro Laeng, si è da meno di un ventennio costituito presso l’Università Roma Tre in evidente continuità con le precedenti esperienze di Labriola e di Credaro9. La terza parte del volume è propriamente dedicata a documentare la mostra su Labriola e la sua università, riproducendone in un’ottantina di pagine i pannelli. È qui che comincia a rivelarsi la natura aperta del catalogo, rispecchiante le movenze della stessa riflessione labrioliana. La mostra si nutre ampiamente di interdisciplinarità, di documenti dotti e testimonianze di vita quotidiana, di testi e contesti filosofico–pedagogici e di spunti per eterodossi itinerari di ricerca, mescolando insieme documenti storici e tesi di laurea, verbali e sceneggiature cinematografiche. Ne esce qualcosa di più di quella che si potrebbe definire un’immagine a tutto tondo di Labriola, perché il quadro si allarga a scene di vita dell’epoca ed elaborazioni contemporanee che possono essere lette come il risultato più recente e la prova dell’attualità dello stimolo offerto dalla proposta — pedagogica più che filosofica — di Antonio Labriola. La documentazione non teme di superare i confini della parola scritta e si avventura sui sentieri della grafica, in cui Labriola è talvolta solo un lontano tema unificante ma non per questo un pretesto occasionale. In una logica del genere si collocano anche i contributi di vario genere raccolti nelle pagine successive del Catalogo, che arricchiscono da varie angolature questo ritratto del mondo labrioliano. Tra quelli su cui vale la pena soffermarsi in questo erratico e sommario itinerario, uno spazio deve essere dedicato ai tentativi di ricostruire il profilo di Labriola pro- Cfr. C. COVATO, Il Museo storico della didattica dell’Università degli Studi Roma Tre. Dalle origini all’attualità, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 290–297. 9 28 Sergio Cicatelli fessore: non il cattedratico o lo studioso ma l’uomo che cercava di relazionarsi con gli studenti, facendosi carico dei loro problemi anche attraverso l’adeguamento dell’organizzazione accademica10. Ne esce il ritratto di un docente che ha davvero a cuore le sorti della “sua” università e dunque non disturba, anzi arricchisce il quadro, l’analisi minuziosa dei diversi contributi che documentano il ruolo di Labriola commissario nei concorsi universitari11: verbali che sono peraltro una testimonianza interessantissima del clima accademico dell’epoca, della natura dell’istituzione universitaria e dello scrupolo con cui si procedeva alla valutazione dei docenti (senza ridursi a semplice fonte per pettegolezzi accademici d’annata). Dopo aver appena sfogliato le pagine di questo Catalogo, con intenti di lettura più che di studio, si vorrebbe tornare a ispezionare il volume con un atteggiamento più sistematico, utilizzandone le sollecitazioni per avviare un esame più completo del Labriola pedagogista e professore, del politico e dell’uomo, caratterizzato da una varietà di interessi ed attività non solo successivi nel tempo ma anche coesistenti in una stessa fase biografica. Ci si accorge allora che il Catalogo è tutt’altro che disordinato, episodico o destinato a un pubblico di specialisti. Può essere utilmente adoperato per una originale ma autentica e corposa introduzione al mondo labrioliano, soprattutto perché un approccio del genere suscita inevitabilmente motivazioni più genuine e vivaci, dettate dall’attiva ricostruzione di un percorso organico in luogo della passiva lettura di una monografia precostituita. E questo è ancora una volta un modo labrioliano per accostarsi a Labriola. Cfr. G. DI DIECO, «Lui professore dell’Università, proprio nell’Università», in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 454–457. 11 Cfr. A. BROCCOLI, Antonio Labriola nei concorsi universitari, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 458–462, ed i numerosi verbali successivi. 10 La Montessori alla «Sapienza»∗ Giacomo Cives La prima impressione che suscita questa ricerca di Anna Matellicani sul periodo 1890–1919 di Maria Montessori, cioè sulla sua giovinezza ma anche sulla sua maturità e affermazione, in Italia e soprattutto nel mondo, è di straordinaria ammirazione per la pazienza e la minuziosissima applicazione con cui ha raccolto i documenti sulla sua vita, sulle sue battaglie (non lievi) nell’università, nel mondo accademico, in quello culturale e sociale per giungere alla sua affermazione, sempre del resto così contrastata nel nostro paese. Incideva qui, come dirà poi don Sturzo nel dopoguerra, il peso del paternalismo, dell’autoritarismo della tradizione italiana. E lui aveva potuto confrontarla dal vivo col filone di libertà e democrazia dominante nel mondo anglosassone, ove aveva vissuto da esule durante il fascismo. Matellicani ricostruisce dunque il periodo degli studi universitari, dal noviziato accademico all’insegnamento come libero docente di antropologia e nella Scuola Ortofrenica, nella cosiddetta “scuola pedagogica” per il perfezionamento dei maestri fondata da Credaro (dal 1906 al 1910), nell’Istituto Superiore Femminile di Magistero della Montessori. Qui fu docente di igiene e antropologia, dal 1900 al 1919, anche se negli ultimi anni fu molto spesso assente per la crescente attività di messa a punto, verifica e diffusione nel mondo del suo “Metodo” educativo rivoluzionario. L’autrice lo fa in virtù di un’analisi estremamente accurata ― condotta sulla base del metodo filologico e di reperimento di carte inedite o dimenticate della sua guida, vero maestro in questo campo, Nicola Siciliani de Cumis, che però non è maestro solo in tale settore ― di certificati, registri, lettere relative a Maria Montessori, reperite soprattutto ∗ Si tratta della Postfazione al volume di A. MATELLICANI, La “Sapienza” di Maria Montessori. Dagli studi universitari alla docenza (1890–1919). Presentazioni di N. Siciliani de Cumis e F. Pesci. Postfazione di G. Cives, Roma, Aracne, in corso di stampa. 30 Giacomo Cives nell’Archivio Studenti dell’Università romana «La Sapienza» e nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Materiale che è qui abbondantemente riprodotto e inserito nella ricostruzione della vita della “Dottoressa”. Le notizie mettiamo sugli esami universitari sostenuti, sugli insegnamenti del corso di laurea in filosofia per i quali la Montessori si è iscritta, sono accompagnati da tanti altri di inquadramento, come in questo caso le schede biografiche e bibliografiche dei vari docenti. Ma si consideri poi che la partecipazione alle iniziative e all’insegnamento della Montessori alla «Sapienza» si accompagna alla sua attività qui ben ricordata di femminista, di partecipante con comunicazioni e relazioni ai congressi di pedagogia, di oratrice su temi sociali e educativi, di costruttrice dal 1907 del Metodo della “Casa dei bambini”, poi sviluppato e esteso per le scuole elementari, di autrice di opere importanti come Il Metodo della Pedagogia Scientifica nel 1909, Antropologia pedagogica nel 1910, L’autoeducazione nelle scuole elementari nel 1916, di promotrice di corsi nazionali dal 1909 e internazionali dal 1913 per la formazione di insegnanti montessoriani. Ebbene, se si tien conto di tutto questo, si comprende come il periodo esaminato 1890–1919 in rapporto particolare all’Università di Roma, naturalmente poi si allarga alla ricostruzione complessiva di uno dei periodi più importanti (in realtà il più decisivo) per le vicende della Montessori. Così questo lavoro costituisce in gran parte una biografia complessiva particolarmente documentata di un periodo della vita e dell’opera della pedagogista, anche se veduta specie attraverso l’angolazione della presenza universitaria. Il lavoro non si limita a una più o meno arida raccolta di lettere e atti amministrativi, ma integra il discorso con un felice riferimento ai testi della Montessori, e pertanto riporta, con interessante iniziativa, il testo integrale della sua tesi di laurea in medicina e chirurgia, dal titolo Contributo critico allo studio delle allucinazioni a contenuto antagonistico. Raccoglie poi una significativa antologia per estratti di suoi articoli e saggi, spesso rari, per il periodo 1896–1907, di contenuto sociale, medico, antropologico e educativo. In un distinto capitolo l’autrice si occupa, più o meno per lo stesso periodo, delle conferenze e relazioni della Montessori sulla questione femminile. Il volume è arricchito poi da una ricca e esauriente bibliografia. La Montessori alla Sapienza 31 Nel complesso si può dire che in questa storia dello sviluppo montessoriano fondata sull’analisi particolareggiata di tanti documenti (molti dei quali riportati anche nella vasta appendice) emerge l’evoluzione dei suoi interessi, dalla medicina alla psichiatria, dall’antropologia all’antropologia pedagogica, dalla pedagogia e didattica speciale dei bambini handicappati a quelle della teoria e metodologia educative di tutti, con una speciale attenzione per l’osservazione e la comprensione dell’infanzia, questo arcipelago così misterioso e insieme fondamentale per il destino dell’umanità, cui reca un apporto davvero condizionante e decisivo (si ricordi il tema del “bambino padre dell’uomo”). Di fronte al così grande sforzo di ricerca, di ammirevole impegno e particolare attenzione di Anna Matellicani risultano una lettura nuova, qualche nuova radicale scoperta per la storia della Montessori? Forse no, si potrebbe rispondere, non emergono fatti fin qui sconosciuti eclatanti, che rivoluzionino la ricostruzione della vita della “Dottoressa”. Com’è noto vi sono stati ormai contributi importanti sull’argomento, che hanno offerto una visione piuttosto ricca e nutrita delle sue complesse vicende, ora in una lettura complessiva, ora in un’analisi particolare, in chiave tematica o cronologica. I loro autori sono stati tra gli altri (e li vogliamo mettere in ordine alfabetico) V.P. Babini, G. Honneger Fresco, R. Kramer, L. Lama, A.M. Maccheroni, F. Pesci, M. Schwegman, E.M. Standing, P. Trabalzini. Ma tutto questo non toglie nulla all’importanza della ricerca di Anna Matellicani, che con la ricchezza dei suoi documenti ha ora permesso di capire meglio e in modo più circostanziato tante notazioni che sono state avvertite prima in modo sommario e intuitivo o con approssimazione. Un apporto specifico è poi distintivo del suo lavoro: ed è il tema di fondo de La “Sapienza” di Maria Montessori. Pur in un quadro ampio e generale, l’autrice mostra come sia stato decisivo l’incontro della pedagogista, nella sua formazione, nella sua maturazione, nella sua appartenenza alla rilevante e troppo dimenticata “scuola antropologica romana” dei Sergi e dei Bonfigli, dei De Sanctis e dei Montesano, nei vari anni di docenza universitaria con l’Università di Roma «La Sapienza». La stessa Università in cui in questi ultimi anni, con l’impegno di F. Pesci, P. Trabalzini e anche di chi scrive, legati all’Opera Nazionale Montessori e in particolare membri del suo Istituto Superiore, è venuto maturando un 32 Giacomo Cives indirizzo di studi di approfondimento del pensiero della Montessori. Mentre dall’insegnamento di N. Siciliani de Cumis, inesauribile studioso del filosofo e pedagogista della «Sapienza» Antonio Labriola, le cui ultime lezioni la Montessori fece appena in tempo a seguire prima della sua morte, sono derivate varie tesi montessoriane che si sono degnamente guadagnate il Premio Jervolino, assegnate dall’ONM alle migliori tesi di laurea sul montessorismo. E tra queste va segnalata la tesi della stessa Matellicani, dalla cui elaborazione è maturato questo volume. Ebbene, di fronte al suo lungo e articolato impegno nella «Sapienza» di Roma, la Montessori si sentì chiamata a esprimere una scelta difficile e decisiva: continuare la via accademica così bene avviata per divenire un qualificato docente universitario ordinario, o dedicarsi a pieno tempo a diffondere nella teoria e nella pratica il suo pensiero educativo nel mondo, formando educatori di vari paesi che fossero in grado di realizzare una elevata formazione nella libertà e valorizzassero al massimo le straordinarie potenzialità costruttive del bambino, del ragazzo, dell’adolescente, senza distinzione di ceto, di tradizione culturale o religiosa? La Montessori scelse la seconda via. Così a tutt’oggi la sua pedagogia, che è molto di più del semplice “Metodo”, continua a costituire il supporto per una educazione davvero antiautoritaria, emancipatrice e “dilatatrice”, e il suo nome giustamente rimane come quello più noto e affermato della pedagogia italiana del Novecento in campo internazionale. Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro. «Rivista Pedagogica» e dintorni: Alfredo Poggi Marco Antonio D’Arcangeli 1. Premessa Nelle pagine che seguono, dopo aver tracciato un brevissimo profilo di Alfredo Poggi (1881–1974), se ne approfondirà, illustrandone la consistenza e tentando di coglierne il significato complessivo, la collaborazione con la «Rivista Pedagogica», il periodico fondato nel 1907 e diretto, per gran parte del corso delle sue pubblicazioni (1908–1939), da Luigi Credaro, lo studioso e uomo politico di origine valtellinese che dal 1902– 1903, per trasferimento dall’Università di Pavia, ove insegnava dal 1889 Storia della filosofia, succedette ad Antonio Labriola sulla cattedra di Pedagogia della «Sapienza» romana1. La «Rivista», per il suo trentennale percorso, il prestigio dei collaboratori, la ricchezza e costante elevata qualità dei contenuti, s’impose senz’altro come il foglio pedagogico e scolastico più significativo del primo Novecento italiano: ideando e realizzando una complessa operazione politico–culturale, Credaro riuscì a far confluire nel periodico, e così a dar forma e voce, a un vasto schieramento intellettuale, unito da un orientamento realista “critico”, antimetafisico e antidogmatico, di a- Nella sezione intitolata Alfredo Poggi nella «Rivista Pedagogica» vengono riprodotti, assemblandoli, e senza modificarli nella sostanza, tutti o quasi i brani che si riferiscono, direttamente o indirettamente, al pedagogista ligure, già apparsi in M.A. D’ARCANGELI, Luigi Credaro e la Rivista Pedagogica (1908–1939), Roma, Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Dipartimento di Ricerche Storico–Filosofiche e Pedagogiche – Tipolitografia Pioda, 2000 (cfr., ivi, l’Indice dei nomi: si è ritenuto opportuno, infatti, per non appesantire la lettura, di non richiamare per ogni brano qui ripreso le pagine corrispondenti nel testo). A questo volume — del quale è in allestimento la seconda edizione — si rimanda altresì per quanto si afferma nell’immediato prosieguo sulla storia e i caratteri della «Rivista» di Credaro. 1 34 Marco Antonio D’Arcangeli pertura alle scienze empiriche nello studio del mondo dell’uomo, destinato a costituire, nei decenni a cavallo fra le due guerre, il fronte di “resistenza” antidealista della pedagogia italiana2. Nell’ambito di un’esperienza sicuramente non trascurabile per la cultura — non soltanto pedagogica — italiana dei primi decenni del secolo scorso, Alfredo Poggi si segnalò come “portavoce” di un peculiare socialismo, “kantiano” ed “etico–morale”, che fu poi, in realtà, l’unico socialismo che circolerà con una certa continuità sulle colonne della «Rivista» e che vi avrà, per dir così, diritto di cittadinanza. Introducendo e illustrando la recensione dello stesso Credaro al volume di Poggi Socialismo e cultura, pubblicata sulla «Rivista» nel 1925, si avrà modo di approfondire non solo il pensiero filosofico–politico e pedagogico di Poggi, la sua ricezione da parte del Valtellinese, e in generale le relazioni fra i due studiosi: ma, anche e soprattutto, di verificare quello che fu l’atteggiamento complessivo dell’intellettualità raccolta nel foglio di Credaro nei confronti del socialismo (modus ponendi che il punto di vista del Valtellinese, non a caso Direttore della «Rivista», ben si presta ad esemplificare). Si delinea, sullo sfondo (ché, certo, la questione non può essere che accennata in questa sede), il quadro di una cultura altrettanto “borghese” di quella gentiliana, pure esplicitamente (ma — forse — solo “accademicamente”) combattuta, della quale i “nostri” paiono condividere non pochi presupposti, primo fra tutti quello della conservazione dell’assetto sociale e politico preesistente (con la relativa ricerca di un dispositivo teorico in grado di legittimare i rapporti di forza dati, e determinati esiti): e in definitiva, non può dirsi che Poggi riesca a porsi al di là o al di sopra di questo quadro. Del resto, a ben vedere, siamo di fronte al medesimo “corto circuito” fra ragione (o teoresi) e ideologia che aveva determinato, nell’immediato primo dopoguerra, la sostanziale incomprensione della natura eversiva del fascismo e la conseguente illusione della 2 Con questa espressione si richiama (e lo si farà anche in seguito) il volume di F. CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia. Il fronte antidealistico della pedagogia italiana 1900–1940, Milano, Mursia, 1990, fondamentale per la comprensione di questa stagione della riflessione educativa nostrana. Altrettanto centrale e significativa, al riguardo, è l’opera di G. CHIOSSO, L’educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra, Brescia, La Scuola, 1983. Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 35 possibile sua futura “normalizzazione” da parte di tanta parte dell’intellettualità italiana, pure schierata su posizioni liberali (emblematico, in questo senso, fu il caso di Benedetto Croce). D’altro canto pur se, con ogni evidenza, il socialismo di Poggi fu ben diverso, e “altro”, da quello di Antonio Labriola, resta che era impossibile o quasi occuparsi di questa tematica, in Italia, fra ultimo ‘800 e primissimo ‘900, senza confrontarsi con le posizioni del Cassinate. E in effetti lo studioso ligure tentò ancor giovanissimo di avvicinare l’autore dei Saggi sulla concezione materialistica della storia, ed alcuni interpreti attribuiscono alla lettura di questi ultimi, e ai “contatti” con lo stesso Labriola, una funzione decisiva nello stimolare Poggi ad «affrontare il problema etico nell’ambito del socialismo»3. Ma altrettanto rilevanti, in quell’itinerario intellettuale, furono Kant, ed anche Herbart, il “primato” della Ragion pratica e l’urgenza del problema morale, la centralità del soggetto e della sua formazione e autoformazione, con l’assunzione di sempre maggiore rilievo dell’esperienza religiosa e della categoria e della dimensione della “persona”: tutti motivi che legano a doppio filo Poggi al gruppo della «Rivista», anche da un punto di vista “evolutivo” (o meglio, per certi versi almeno, “involutivo”) cioè considerando quelli che furono, concretamente, gli sviluppi della “filosofia” e della “pedagogia” del periodico, in specie dai primi anni ‘30 in poi (con Credaro rimasto praticamente solo a difendere la “scienza dell’educazione”, “assediato” da «slittamenti, Cfr. F. CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., pp. 46 e 55, nota 72. I rapporti fra Labriola e Poggi reclamano nuovi approfondimenti: a quanto sostiene Cambi circa i «contatti» fra i due, basandosi su M. TORRINI, Alfredo Poggi, in T. DETTI – F. ANDREUCCI (a cura di), Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, IV volume, Roma, Editori Riuniti, 1978, va affiancato, per contrasto, l’episodio ricordato da S. MICCOLIS in Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, in «Belfagor», a. LXI, n. 361, 31 gennaio 2006, pp. 84–90. Fra «errori e imprecisioni» di vario genere, Miccolis rileva, alle pp. 267–268, l’affermazione che Poggi fu «allievo di Labriola», richiamando, a volerla motivare, la circostanza che «il filosofo, nel rispondere (31 dicembre 1902) a una sua» [di Poggi] «lettera, lo confondeva con un semiomonimo marchigiano, un decennio prima studente all’Università di Roma», mentre Alfredo Poggi, precisa di seguito il recensore, studiò e si laureò in altre Università (cfr. S. MICCOLIS, Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, cit., pp. 87–88). Sulla base di questo episodio si dovrebbe parlare, più che altro, di un contatto mancato. 3 36 Marco Antonio D’Arcangeli cedimenti, conversioni» all’ideologia fascista e/o a metafisiche e ontologie se non con quella congruenti, certo consolanti e “sterilizzanti”)4. Alfredo Poggi, dunque, con la sua figura e con le sue idee, nel suo porsi e confrontarsi con il coevo milieu culturale, con i principali orientamenti teoretici e ideologici a lui contemporanei, pare costituire un “testimone esemplare” e “privilegiato” (rappresentando, anche, una sorta di trait d’union) per iniziare ad approfondire, da una fra le molte possibili angolazioni, insieme particolare e “totale”, comunque centralissima — fra filosofia, politica, etica e educazione; fra Kant, Marx, Herbart ecc. — il “rapporto” fra Antonio Labriola e Luigi Credaro (intendendo, con questi nomi, oltre i “singoli”, il complesso del movimento, anzi dei movimenti, di pensiero, e di persone, dei quali ciascuno dei due fu interprete e protagonista). Con la nota che segue, in altre parole, s’intende offrire un esempio di possibile ripresa, integrazione e sviluppo di quel “discorso” sul Cassinate e il Valtellinese che lo scrivente ebbe modo di iniziare a svolgere in Antonio Labriola e la sua Università, il catalogo della Mostra documentaria allestita a Roma fra l’inverno e la primavera 2005 (A cento anni dalla morte di Antonio Labriola), curato — al pari della stessa Mostra — da Nicola Siciliani de Cumis5. Lo scopo è, anche, quello di mostrare che il “passaggio” del 1902, su cui nella rammentata circostanza si è insistito, rappresentò un “avvenimento”, un “movimento” di superficie da ricondurre e 4 Credaro fu anche fra i pochi che nella «Rivista» evitò, sino all’ultimo o quasi, di fare esplicita professione di “fede” fascista e/o di celebrare i fasti del regime. A testimonianza della sua indipendenza di giudizio — ed anche, lo si può quantomeno supporre, dell’esistenza di uno stretto rapporto personale fra i due — va rammentato che il Valtellinese continuò a offrire a Poggi la possibilità di collaborare con il periodico da lui diretto anche dopo che il pedagogista ligure fu estromesso dall’insegnamento universitario per il suo antifascismo. 5 M.A. D’ARCANGELI, Discorrendo di Antonio Labriola e Luigi Credaro, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, pp. 61–70 (per il contributo di chi scrive al volume si v. anche gli interventi in Antonio Labriola e la sua Università, a cura di A. SANZO e G. SZPUNAR, ivi, pp. 143–144, 161–162; e la nota su Luigi Guanella e Luigi Credaro inserita in N. SICILIANI DE CUMIS, Sulla prima pedagogia universitaria romana e don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi, ivi, pp. 452–453). Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 37 interpretare nell’ottica delle “lunghe durate” sottostanti, determinanti anche gli sviluppi futuri — e dunque che la ricerca del suo «reale significato, soggettivo» e soprattutto «“oggettivo”» (fra la quasi unanimemente condivisa, dalla critica, attribuzione della “regìa” dell’operazione a Labriola, e l’assoluta mancanza di riscontri, se non meramente indiziari, di tale asserzione — anche e soprattutto riguardo ai moventi), non è che un aspetto o una tranche di una “questione critica” ben più estesa e complessa. Del pari, l’approfondimento «dei rapporti (accademici e professionali, e/o scientifici e culturali, e/o politico–ideologici e/o umani, personali) fra Labriola e Credaro», cui rimanda, di necessità, l’indagine sull’episodio di cui sopra (anche se per raggiungere conclusioni probanti quest’ultima ricerca richiede comunque l’acquisizione di elementi esterni ed estranei alle relazioni fra i due studiosi, le quali, a loro volta, costituiscono un problema storiografico autonomo, a se stante), può avere senso e rivestire un qualche valore, oltrepassando realmente ogni forma di aneddotica e di gossip pseudostoriografico, se e solo se assume prospettive e si colloca lungo coordinate di ampio respiro euristico6. Il che 6 Con ciò non s’intende certo sminuire l’importanza delle ricerche sui rapporti personali fra i due studiosi che fissano, in ogni caso, dei punti di partenza ineludibili per ogni ulteriore riflessione: e su questo versante, peraltro, va segnalato il recente rinvenimento di una serie di interessanti elementi di fatto. Se appare oramai assodato che Labriola e Credaro, prima del loro avvicendamento sulla cattedra romana di Pedagogia, o non avevano avuto contatti di sorta o si conoscevano appena, così sembra lecito affermare che al Consiglio della Facoltà di Filosofia e Lettere della «Sapienza» del 27 maggio 1902, che sancì il “passaggio”, seguì un intensificarsi dei rapporti personali fra i due studiosi che interessò anche le famiglie. L’uso del condizionale, in casi come questi, nei quali si dispone di scarsa e spesso contraddittoria documentazione, è chiaramente d’obbligo. Per quanto concerne i rapporti Labriola– Credaro prima dell’incontro romano, suscitano ad esempio più di un interrogativo i volumi di Antonio Labriola conservati nel “Fondo Credaro” presso la Biblioteca Civica “Pio Rajna” di Sondrio (si tratta della biblioteca personale del Valtellinese, che per sua volontà, dopo la sua scomparsa, fu donata alla Biblioteca della sua città natale). Questi volumi dovrebbero corrispondere a quelli che lo stesso Labriola annuncia di far recapitare a Credaro nella lettera a quest’ultimo del 24 novembre 1902, inedita, pubblicata per la prima volta dallo scrivente nel cit. saggio incluso in Antonio Labriola e la sua Università. Rispetto alla lista labrioliana, in effetti, v’è una sola discordanza: un volume doppio — che quindi, vien da pensare, Credaro possedeva già, ma del quale potrebbe anche essersi procurato una seconda copia, per una qual- 38 Marco Antonio D’Arcangeli che ragione, dopo aver ricevuto il primo esemplare dallo stesso Cassinate. Il testo è L’Università e la libertà della scienza (Roma, 1897): e la circostanza non è senza rilievo, considerando la forte affinità che lega questo scritto all’ultima prolusione pavese di Credaro, La libertà accademica, del novembre 1900, che echeggia in più punti le argomentazioni labrioliane del 1896 e che indubbiamente poté segnalare il giovane professore lombardo al maturo docente della «Sapienza», discorso considerato da molti interpreti, anche se senza il conforto di un qualche riscontro oggettivo, una delle “cause” dell’appoggio di Labriola alla “candidatura” di Credaro alla sua sostituzione sulla cattedra di Pedagogia. Particolare ancor più curioso e “intrigante” è che entrambi i frontespizi recano una dedica di Labriola: in una copia, v’è un secco «dall’autore», senz’altra indicazione; nell’altra, si usa la formula ben più “confidenziale” «All’amico Credaro l’autore», che ritorna in altri casi di testi sicuramente donati dal Cassinate a Credaro nell’occasione sopra ricordata (gli Essais sur la conception matérialiste de l’histoire, deuxième édition, Paris, V. Giard & E. Brière, 1902, recano: «All’amico L. Credaro A. Labriola»; su Discorrendo di socialismo e di filosofia, seconda edizione ritoccata ed ampliata, Roma, Ermanno Loescher & C., 1902, si legge invece «All’amico Credaro A. Labriola»). Ma quella dedica è anche l’unica seguita da una data, e questa, «Roma 22/11 ‘900», anticiperebbe addirittura di due anni il primo serio contatto fra i due: solo che quel «22» è molto, forse “troppo” vicino al 24 novembre — ma 1902 — giorno nel quale Labriola scrive a Credaro la lettera sopra ricordata, con indicazione dei volumi che sta inviandogli in dono — e questo particolare potrebbe far concludere che il Cassinate abbia commesso un errore nel datare la sua dedica, scrivendo «1900» in luogo di 1902; d’altro canto, quel «22» è pure a ridosso di quel 15 novembre (stavolta, effettivamente, 1900) nel quale Credaro lesse la sua prolusione pavese sulla libertà accademica echeggiante quella romana del Cassinate… e resta sempre da spiegare la presenza di una dedica su entrambe le copie (se anche Labriola avesse voluto, nel novembre 1902, spedire 2 copie di L’Università e la libertà della scienza a Credaro, anche a prescindere dal fatto che di tale decisione non v’è traccia nella sua lettera, perché autografarle entrambe? E perché in maniera così diversa, con secchezza e quasi freddezza, in un caso, e con colleganza e vicinanza nell’altro?). Nella necessità di effettuare nuovi sondaggi e accertamenti e nella speranza di rinvenire ulteriori elementi di fatto sarà bene tornare sul più consolidato terreno dei rapporti Labriola–Credaro posteriori alla primavera del 1902. Al proposito, si v. ad esempio la lettera inviata da Giacomo Tauro a Credaro il 29 luglio 1902, nella quale, verso la conclusione, si legge: «La famiglia Labriola, che andai a visitare [l’altro] giorno, mi incarica di salutarla. Il Professore sta meglio» (ACS, Fondo Credaro, busta n. 5, fasc. n. 5. Giacomo Tauro – Castellana Grotte, Bari, 1873–1951 — presiedeva al tempo l’Associazione pedagogica nazionale fra gl’insegnanti delle scuole normali, intrattenendo, per tale ragione, intensi rapporti con Credaro: il Valtellinese, infatti, dopo la nascita della FNISM, mirava a trasformare il vecchio sodalizio professionale Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 39 significa, in definitiva — è bene ribadirlo — cercare di stabilire se questo «incontro», nelle sue premesse, nel suo realizzarsi e nel suo svolgersi — chiaramente in Credaro, vista la prematura scomparsa di Labriola, «rimase un semplice “avvicendamento”, oppure venne ad incidere sulla qualità […] della costruzione di una continuità e/o identità teorico–pratica dell’insegnamento universitario della pedagogia alla “Sapienza”»; ma per far questo — si può aggiungere — occorre andare a rintracciare, a ricostruire, a confrontare tutta la pedagogia dei “nostri” protagonisti, ben oltre facendogli assumere finalità scientifiche — progetto che realizzò nel 1907. Libero docente di Pedagogia alla «Sapienza» dal 1903 alla metà degli anni ‘20, in seguito Tauro insegnò nelle Università di Cagliari e di Bologna). Dopo la scomparsa di Labriola, diversi elementi comprovano che Credaro si mantenne fedele alla sua memoria e vicino ai familiari. Come Preside della Facoltà di Filosofia e Lettere, si adoperò a sostegno della domanda di una pensione privilegiata avanzata della vedova, Rosalia Von Sprenger (v. MPI, DGIS, Divisione Prima, Fascicoli personale insegnante, II versamento, I serie, 1900–1940, busta 77, fasc. Labriola, Antonio; per la domanda della von Sprenger si v. anche il fasc. Labriola, Antonio, presso l’Archivio Storico della «Sapienza» di Roma). Significativa fu altresì la sua presenza, fra il 1905 e il 1906, nel «Comitato Promotore» di un monumento al Cassinate, un «ricordo marmoreo» che avrebbe dovuto essere allocato «in quell’aula della Sapienza che un tempo si affollava di studiosi attratti dalla Sua parola agitatrice di pensieri»: fra gli altri membri del Comitato vanno rammentati Ettore Ciccotti, Andrea Costa, Benedetto Croce, Angelo Fortunato Formíggini e la consorte Emilia Santamaria, allieva prima di Labriola, poi di Credaro, Andrea Torre e Adolfo Venturi (si v., in ACS, il Fondo dello scultore Ettore Ferrari, busta n. 21. Debbo la conoscenza di queste carte alla cortesia del prof. Nicola Siciliani de Cumis, che ringrazio). E si v. anche in ACS, Fondo Credaro, busta n. 8, fasc. n. 5, la lettera di Luigi Bacci a Credaro del 13 novembre 1904, nella quale questi rammenta al Valtellinese che «Alberto Francesco Labriola», «innanzi il partire per il Sud Affrica», lo aveva a lui raccomandato «per l’incarico dell’insegnamento pratico dello spagnuolo». Non va, in ultimo, dimenticato che nelle diverse stesure del suo Philosophie in Italien, sintetico profilo della storia della filosofia italiana contemporanea racchiuso nel Friedrich Ueberwegs Grundriss der Geschichte der Philosophie, a partire dal 1902 (nona edizione), e sino al 1928 (dodicesima edizione), Credaro fece costantemente anche se sinteticamente menzione, a seguito della trattazione dedicata al padre, Antonio, degli scritti di Teresa Labriola (e di quelli dell’allievo di Labriola Paolo Orano, con il quale, pure, come testimoniano le sue carte, il Valtellinese fu in cordiali rapporti). 40 Marco Antonio D’Arcangeli quella “tecnicamente” e “disciplinarmente” professata nelle aule universitarie, nonché in volumi, saggi, articoli ecc.7. Lo scrivente si scusa con i curatori del volume e con i lettori se, in ultimo, si concede una breve precisazione “a margine”, approfittando ancora della loro disponibilità e del loro tempo. Il riferimento è al cit. saggio di S. MICCOLIS Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, che a p. 85 chiama in causa — anche se non lo nomina esplicitamente — il sottoscritto, estrapolando dal suo pure cit. Discorrendo di Antonio Labriola e Luigi Credaro, l’affermazione che Nicola Siciliani de Cumis va posto «fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell’opera» di Labriola (si v., per l’esattezza, Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 62, nota 3). Verrebbe quasi voglia di ringraziare, per essere stato il primo dei coautori del volume ad essere citato, curatore a parte; forse, però, non è il caso. Perché la ripresa di quel giudizio è in chiave polemica, e ironica, e segna l’avvio — dopo poco più di una pagina di “tregua”, nell’ouverture del commento — della assolutamente preponderante pars destruens della recensione di Miccolis: la quale, in definitiva, altro non è, tutta, che un tentativo di dimostrarne la falsità, facendo vedere, ad esempio, che non vi sarebbe in Siciliani de Cumis quella «conoscenza aggiornata e non superficiale degli studî prodotti sul filosofo» di Cassino che la veridicità di tale asserzione implicherebbe (ibidem), o ancora rilevando tutti gli errori e le sviste presenti nel volume, opera dei collaboratori di Siciliani, ma dei quali quest’ultimo sarebbe, in quanto curatore, comunque responsabile, se non altro per non averli notati; ecc. ecc. Ci assale un dubbio, e si manifesta un senso di colpa, perché sembrerebbe quasi che siano state quelle nostre parole a scatenare lo tsunami che si è abbattuto, con questa recensione, sul catalogo della mostra labrioliana del 2005: ma è sufficiente riflettere un poco per comprendere che, se mai, con quella frase si è fornito un buon pretesto, e un comodo spunto per far “partire” una serie di argomentazioni già in precedenza e del tutto indipendentemente elaborate e “confezionate” (involontariamente, insomma, avremmo fatto da “spalla”). Solo che, son convinto, non è possibile per il sottoscritto esimersi dal tornare su quella affermazione, pena il “lasciar passare” una serie di ambigui messaggi subliminali che la citazione della medesima, per dove è collocata e per come è stata effettuata, non può non indurre nella mente dei (pochi o molti che siano, non ha importanza) lettori del commento di Miccolis. Purtroppo, per quanto abbia tentato, non sono riuscito a togliermi dalla mente l’idea che l’ulteriore, sotteso — ma neanche tanto — malizioso intento della menzione fosse quello di far “passare alla storia” lo scrivente come il “Fantozzi” del mamozio — o “il più Fantozzio” dei “mamozi” — sorprendendolo in un eccesso di laudatio del professore curatore (tutto questo, certamente — almeno credo — non per un “fatto personale”, quanto come testimonianza emblematica di un “costume”). Confesso di aver esitato a lungo di fronte al dilemma se predisporre o meno una qualche replica, anche perché il solo tentativo di motivare ulteriormente quella mia asserzione mi sembrava poco rispet7 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 41 2. Alfredo Poggi Alfredo Poggi nacque a Sarzana (La Spezia) nel 1881. Si laureò nel 1904 in Filosofia a Palermo, e nel 1907 in Legge a Genova. Formatosi con Giovanni Vidari e con Giuseppe Tarozzi, studiò il pensiero marxista e, al pari di Rodolfo Mondolfo, si pose alla ricerca di una sua integrazione col kantismo, ridefinendolo in chiave etico–morale, su un’interpretazione che in Germania era stata sostenuta da Karl Vorländer (1860–1928) e da Max Adler (1873–1937), e dallo stesso neokantiano marburghese Hermann Cohen (1842–1918). Dalla seconda metà degli anni ‘20, gli studi sulle filosofie della crisi e sulla categoria religiosa orientarono in diretoso nei confronti di Siciliani de Cumis, il quale, compiendo con il prossimo anno accademico 2006–07 — se non erro — un quarto di secolo di ordinariato di Pedagogia alla “Sapienza” (a proposito: auguri!), non necessitava e non necessita, sicuramente, di “conferme” di sorta. E poi, se si dovesse badare a tutte le “voci” non benevole che ci riguardano e che circolano nei nostri ambienti di lavoro… Ma non si trattava, in definitiva, di “giustificare” — né, tanto meno, di ridimensionare — il giudizio in questione, bensì di precisarne il significato e il senso, che, ad ogni modo (tralasciando le intenzioni), erano stati travisati: ché certamente non si aveva, come anche al presente non si ha, da parte del sottoscritto, la pretesa e la presunzione di essere in grado di individuare con sicurezza e di indicare in maniera incontrovertibile chi possa essere annoverato o meno, a tutt’oggi, fra i più efficaci esegeti dell’opera di Labriola. Si noti, per iniziare, come la valutazione proposta dallo scrivente nel suo Discorrendo…, non sia poi tanto “a priori” e “apodittica” quanto appare sulla recensione pubblicata su «Belfagor»: se non altro per il suo fare riferimento a degli elementi di fatto, “quantitativi”, almeno tendenzialmente “oggettivi”, vale a dire a «tutto il lavoro compiuto da Siciliani de Cumis» sul Cassinate. Ma tale “premessa” è ignorata da Miccolis, così come la successiva argomentazione che puntualizza estensione e intensione, per dir così, di quella affermazione: insistendo sui diversi piani e livelli della “interpretazione” labrioliana di Siciliani, dal «virtuoso “circolo” fra» didattica e ricerca «che ne rappresenta un dichiarato, ed effettivamente praticato, presupposto» (a sua volta, insieme, effetto e “traduzione” della lezione del Cassinate ed esegesi “in atto”, vivente e vissuta, del suo pensiero), al «serrato approfondimento del patrimonio teorico–pratico, della “tradizione” e dello “stile”, delle cattedre di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” […]», nel quale la rilettura di cui sopra, in definitiva, va inquadrata, che «certo» prende le mosse, e insiste, «sul magistero del filosofo marxista, ma come chiave di lettura, fra somiglianze e differenze, del complesso di quell’itinerario più che secolare». 42 Marco Antonio D’Arcangeli zione “personalistica” il pensiero di Poggi, senza che, tuttavia, venisse meno in lui il riferimento al socialismo. Insegnante liceale, ottenne la libera docenza in Pedagogia all’Università di Genova nel 1926, ma all’atto di iniziare il suo primo corso universitario, nel ‘30, venne esonerato dall’insegnamento per essersi rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al regime. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu incaricato di Storia della Filosofia sempre presso l’Ateneo del capoluogo ligure. Militante dalla prima gioventù nel Partito Socialista, Poggi si schierò costantemente su posizioni riformiste. Nel 1933, accusato di attività clandestina, fu arrestato e poi rilasciato. Ripresa l’attività politica subito dopo l’8 settembre 1943, fu il coordinatore delle forze socialiste in Liguria, e per tale motivo fu nuovamente arrestato e deportato, con il figlio, a Bolzano. Scomparve a Genova nel 1974. Fra le sue opere si ricordano: La questione morale nel socialismo. Kant e il socialismo (1904); Scuola facile e vita difficile (1909); I gesuiti contro lo stato liberale (1925); Socialismo e cultura (1925); Filosofia e diritto (1930); La filosofia di G. Herbart e la filosofia dell’azione (1932); Il concetto del diritto e dello Stato (1933); Ragionare e credere (1943); La preghiera dell’uomo. Discussioni di religione e filosofia (1944); Capitalismo e socialismo (1945); L’uomo come persona (1949); Cultura e socialismo (1958). 3. Alfredo Poggi nella «Rivista Pedagogica» 3.1. Fra socialismo e kantismo. Il socialismo di Alfredo Poggi visto da Luigi Credaro Alfredo Poggi esordì sulla «Rivista Pedagogica» con alcuni contributi di carattere storiografico. Il fascicolo del luglio 1909 ospitò Il mutuo insegnamento nel Ducato di Maria Luigia (1819–31)8; a questo saggio fecero se- Cfr. «Rivista Pedagogica», a. II, n. 10, luglio 1909, pp. 980–985; Poggi risulta, al tempo, insegnante liceale a Livorno. 8 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 43 guito, fra l’altro, altri contributi sulle istituzioni scolastiche del Ducato parmense9. Nell’analisi critica della riforma Gentile sviluppata dalla «Rivista», Poggi si concentrò sull’introduzione dell’obbligo dell’insegnamento della religione nelle scuole elementari, quale «fondamento e coronamento […] punto di concentrazione di tutti gli elementi di cultura sparsi nei vari insegnamenti»: emblematico, in questo senso, fu Neutralità scolastica ed insegnamento religioso del 192310. I suoi interventi polemici contro le concessioni dello Stato italiano al clero ed agli istituti confessionali si basarono, anche, su accurate analisi degli ordinamenti scolastici di altre nazioni occidentali: La libertà d’insegnamento e la scuola pubblica in Germania11; Scuola libera e scuola pubblica in Russia, Inghilterra, Stati Uniti, Belgio, Olanda12. Più avanti, quando il gruppo della «Rivista» cercò di riorganizzarsi e riproporsi sotto il profilo teoretico, Poggi si segnalò con l’ambizioso Lineamenti di una fondazione pura della teoria educativa del 192613, che racchiude le conclusioni del suo itinerario di riflessione e di ricerca. Interessante risulta la circostanza che negli anni più duri dello scontro teorico e ideologico–politico fra la «Rivista» e il neoidealismo, vale a dire nel biennio 1924–1925, il Direttore Luigi Credaro recensisca a più riprese, sul suo periodico, volumi di Poggi: Stato, Chiesa, Scuola. Studi e polemiche14; I Gesuiti contro lo Stato Liberale15 (volume di cui aveva peraltro A. POGGI, Ordinamento della scuola popolare nel Ducato Parmense sotto Maria Luigia (1814–1831), in «Rivista Pedagogica», a. III, n. 3, dicembre 1909, pp. 237–262. 10 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XVI, n. 5–6, maggio–giugno 1923, pp. 345–374. 11 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XVII, n. 5, 25 maggio 1924, pp. 369–383. 12 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XVII, n. 9, 6 novembre 1924, pp. 754–771. Da riferirsi al dibattito sulla riforma Gentile, e in specie ai nuovi programmi di Lombardo Radice per l’istruzione primaria, è altresì Dell’insegnamento del disegno nelle scuole elementari, in «Rivista Pedagogica», a. XIX, n. 3, 27 marzo 1926, pp. 233–244. 13 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XIX, n. 9, novembre 1926, pp. 677–697. 14 L. CREDARO, recensione a A. POGGI, Stato, Chiesa, Scuola. Studi e polemiche, Firenze, R. Bemporad e figlio, s.d., in «Rivista Pedagogica», a. XVII, n. 5, 25 maggio 1924, pp. 421–422. 15 ID., recensione a A. POGGI, I Gesuiti contro lo Stato Liberale, Milano, Unitas, 1925, in «Rivista Pedagogica», a. XVIII, n. 1, gennaio 1925, pp. 79–80. 9 44 Marco Antonio D’Arcangeli curato la prefazione)16; Socialismo e cultura17. Nel “gruppo” della «Rivista Pedagogica» la pregiudiziale ideologica borghese precluse decisamente una seria considerazione delle tematiche marxiane: l’unica — parziale — eccezione fu rappresentata proprio da Poggi. Si è detto della consonanza di posizioni con Rodolfo Mondolfo, che però collaborò col periodico di Credaro solo sporadicamente; i contributi di Poggi furono invece numerosi e la sua impostazione dà conto di uno degli sbocchi possibili del sotteso kantismo che animava la riflessione dei pedagogisti della «Rivista». Negli anni della direzione di Guido Della Valle (1910–16), e anche successivamente, fra la conclusione della Grande Guerra e l’immediato dopoguerra, nella «Rivista» si nota l’avvio di una riflessione e di un dibattito, di natura sia filosofico–pedagogica sia, anche, ideologico– politica, sul socialismo e sul pensiero cattolico. La circostanza di questa considerazione parallela non sorprende, rivelando la volontà di una intellettualità in sostanza legata alla tradizione liberale (benché contraddistinta da un accento radicale) di situarsi e definirsi, elaborando posizioni proprie, rispetto a quelle che si andavano imponendo come le due “culture” maggioritarie nel nostro Paese. Il periodo in questione, peraltro, si segnala come quello nel quale la «Rivista», assai più che in altre fasi della sua storia, “prende posizione” o meglio tenta di farlo, e le ambiguità della sua impostazione vengono più chiaramente alla luce, così come gl’intrinseci suoi limiti, e altresì meglio si intravedono le possibilità e potenzialità, pure presenti, ma non perseguite e fatte emergere (emergono, in altre parole, con la massima nettezza, tutti i suoi a priori ideologici). È proprio il caso del socialismo di Poggi, che esamineremo in un luogo in cui ci è apparso chiaramente formulato, anche se non direttamente da lui, bensì per il tramite di Credaro nella sua citata recensione dell’ottobre 1925 al volume del pedagogista ligure Socialismo e cultura. È indispensabile ricordare e mettere in rilievo come personaggi di spicco della «Rivista», quali Vidari e Resta, avessero nutrito giovanili simpatie per il socialismo, per terminare, entrambi, sia pure per vie e con Cfr. ID., Prefazione, in A. POGGI, I Gesuiti contro lo Stato Liberale, Milano, Unitas, 1925, pp. V–VII. 17 ID., recensione ad A. POGGI, Socialismo e cultura, Torino, Editore Piero Gobetti, 1925, in «Rivista Pedagogica», a. XVIII, n. 8, 15 ottobre 1925, pp. 685–688. 16 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 45 modalità diverse, fra le braccia del Regime e dell’ideologia fascista. Possiamo soltanto postulare una ricezione affatto adeguata, al più emotiva e sentimentale, del pensiero marxista, per poterci chiarire come ciò si sia potuto verificare. Ma quali possano esser stati i limiti della ipotetica “via kantiana al socialismo” forse può illustrarcelo proprio il pensiero di Poggi, affrontando il quale, contestualmente, getteremo uno sguardo anche al Marx di Mondolfo, cui abbiamo più volte fatto riferimento. Credaro, nell’iniziare il suo resoconto del saggio di Poggi, lo inseriva decisamente nel «vasto movimento» che s’era «sviluppato specialmente nel campo filosofico tedesco» e che tendeva «a rinnovare le teorie fondamentali del socialismo per mostrare il loro intimo spirito etico anzi che economico», attraverso un collegamento tra il «movimento socialista e l’etica Kantiana»; citava a questo proposito Vorländer, e precisava come dal versante marxista il tentativo fosse perseguito attraverso «una critica del formalismo kantiano» che veniva «a sfigurare la dottrina del Kant», mentre nel «campo filosofico» sempre allo stesso fine si finiva per ridurre la «dottrina socialista […] ad una pura questione morale». Poggi, che nel 1904 (Kant e il Socialismo) sosteneva l’impossibilità di un accordo, appunto, fra «formalismo kantiano» e «realismo marxista», pur affermando che «la seconda forma dell’imperativo categorico esprimeva il fine umano, cui il movimento socialista» doveva «ispirarsi», si «manifesta[va] ora», a detta di Credaro, in «Socialismo e cultura, il più deciso Kantiano fra tutti i marxisti, che» s’erano «occupati di questo problema». Egli lo concepiva in termini teorici, non storici: non occorreva per lui andare alla ricerca, in Marx ed Engels, di supposte proposizioni del «problema morale» o cercare di stabilire se la loro dottrina fosse addirittura da far derivare dal kantismo, bensì unicamente se potesse ritenersi insita nel socialismo «una profonda aspirazione morale e se questa aspirazione» fosse «sublimemente espressa dalla morale kantiana». Da ciò si sarebbe potuto comprendere l’atteggiamento finora mantenuto dal movimento socialista nei confronti del «problema culturale, a seconda che» avesse percepito «o no il problema morale, cui obbedi[va]», per Poggi, «lo stesso bisogno economico»18. Il corsivo è nostro, e intende sottolineare la direzione prescelta da Poggi nel suo tentativo d’integrazione fra marxismo e criticismo. 18 46 Marco Antonio D’Arcangeli La prima parte del libro, precisava Credaro, «esamina il modo di comportarsi dei partiti socialisti di fronte al problema culturale», mentre la seconda si occupa del «rapporto filosofico tra Marxismo e Kantismo». Puntualizzato come «l’ottimismo» sulle possibilità dell’educazione, tipico del socialismo utopistico, non potesse essere nutrito, per il suo «determinismo economico», da quello marxista, veniva sottolineato da Poggi come il «problema scolastico» fosse stato per lungo tempo sottovalutato dai partiti socialisti, specialmente il francese e l’italiano, nonostante l’esplicita direttiva del Manifesto in favore di una «educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli». Ripreso dal congresso di Erfurt, e risolto nella richiesta della «Scuola statale gratuita ed obbligatoria», il tema continuò, proseguiva Poggi, ad essere trattato superficialmente dai socialisti italiani, tranne qualche vago accenno ad una «educazione integrale» e nonostante che Turati, e lo stesso Credaro, in qualità di presidente dell’U.M.N., lo invitassero ad una chiara formulazione delle proprie tesi in proposito19. Situazione che, invero, si modificò radicalmente nell’immediato dopoguerra, quando in seno al Partito si aprì un vivace confronto sul tema della «Scuola libera», dal quale peraltro scaturirono delle precise proposte in opposizione a quelle dei Popolari e dei vari Ministri della Pubblica Istruzione dal 1919 al ‘22. A proposito di questo confronto interno, vanno rilevate le posizioni assunte da Poggi, in Socialismo e cultura, verso altri protagonisti del dibattito. Egli negava, ad esempio, la distinzione fra educazione morale ed educazione intellettuale operata da Mondolfo (considerato peraltro «il vero avvivatore della polemica socialista») e lo faceva da «kantiano puro», in nome cioè «del concetto unitario dello spirito»; e respingeva «certi concetti rigidamente materialistici» che Zanzi, già collaboratore della «Rivista», «espone[va] parlando dell’opera educativa». Si trattava di una critica, osservava Credaro, ispirata «ai principii di un sano spiritualismo», sui quali del resto si basava, aggiungeva sempre il recensore, la difesa del Metodo Montessori intrapresa dallo stesso Poggi contro la diffidenza che Zanzi, ancora una volta da posizioni a suo avviso dogmatiche nel senso sopra indicato, aveva mostrato nei confronti del contenuto spiritualistico a cui la pedagogista si sarebbe «innalzata» nelle sue Case 19 CREDARO , recensione a POGGI, Socialismo e cultura, cit., p. 685. Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 47 dei Bambini (e qui si alludeva evidentemente proprio al contributo di Zanzi pubblicato sulla «Rivista» nel 1918). Tornando alla «scuola libera», ricordava Credaro con un accento velatamente polemico come all’interno del Partito Socialista le posizioni non fossero univoche, contrapponendo le tesi sostenute in quel frangente dall’allora militante Raffaele Resta, sostenitore, in linea con la «tradizione» del movimento, della Scuola di Stato, a quella di Baratono, che nell’occasione s’era fatto sostenitore «del principio gentiliano della scuola libera». E, riprendendo e concludendo il resoconto della prima parte del saggio di Poggi, Credaro rammentava la «via di mezzo» tra scuola statale e scuola libera sostenuta da una apposita Commissione nominata dal Partito Socialista, e le critiche rivolte dall’autore del volume, «rigido difensore della Scuola, come funzione di Stato», a tale risoluzione20. Va precisato che le critiche rivolte dalla «Rivista» al P.S.I., più che specifiche prese di posizione, spesso si appuntavano proprio sulla sua irresolutezza, sull’incapacità reiteratamente evidenziata di assumere un punto di vista ben definito sulle problematiche educative e scolastiche. Rivolgiamoci ora alle formulazioni propriamente teoretiche di Poggi, espresse nella seconda parte del suo libro. Egli rispondeva affermativamente alla questione «se una finalità etica» si potesse «naturalmente inquadrare nella concezione materialistica della storia (tirando le ultime conseguenze», a detta di Credaro, dell’interpretazione del marxismo offerta da Mondolfo); ma riteneva si dovesse sostituire, alla dizione sopra enunciata, quella di «concezione prammatica della storia», perché era «il bisogno morale», cioè «l’uomo stesso, spinto dal suo fondamentale bisogno di essere uomo, che muove[va]», a suo parere, «la storia». L’uomo, «mentre» desiderava questo, perché si sentiva «degno di una vita migliore», poteva «voler questo oggi che le condizioni sociali gli apprestano i mezzi per ottenere il fine»: in tal modo, per lui, si sarebbero potuti conciliare «volontarismo e determinismo». Poggi sottoponeva a decisa e recisa critica il determinismo di Engels, iniziando col rigetto della «tendenza anti–statale del socialismo così detto scientifico»: lo Stato costituiva nella sua visuale «la più concreta ed alta manifestazione etica del volere umano» ed il socialismo poteva e doveva opporsi solo «al principio 20 Ivi, p. 686. 48 Marco Antonio D’Arcangeli di uno Stato di forza, che non» traesse «la sua vita dal consenso dei cittadini»21. Frequenti erano i richiami all’interpretazione marxiana di Mondolfo, «volontarismo critico–pratico», al «concetto della prassi rovesciata»: in generale di Marx si rifiutava (o «correggeva») il materialismo ed il «fatalismo storico». Non s’intendeva, affermava Poggi, individuare ed introdurre quello che obiettivamente non era presente nel materialismo storico: quest’ultima costituiva senz’altro una «concezione puramente realistica, che in sé conteneva […] una complessa visione sociale, delle esigenze morali, ma» tutto questo «subordinava ad un rigido realismo economico». Non si andava alla ricerca, pertanto, di un’«etica marxista» (né si condivideva l’idea di Baratono, che «la linea spirituale dell’Engels e del Marx» fosse «una linea idealistica o addirittura kantiana»), ma solo si trattava «di mettere in luce le preoccupazioni morali da cui» erano stati «inconsapevolmente mossi» sia Engels che Marx, si voleva «allacciare questa dottrina marxista ad una dottrina morale per rendere consapevole il socialismo del suo malcelato contenuto morale». A questo proposito Poggi criticava Croce affermando che la vera forma universale pratica fosse quella «etica», non «l’utile»; riteneva inoltre che postulare ciò non implicasse un regresso sulle posizioni del socialismo utopistico del XVIII secolo, in quanto la centralità dell’etica non si poneva affatto in contrasto con il rispetto del «senso storico di cui aveva dato prova il socialismo marxista» — che andava mantenuto — anche se poi veniva respinta come altrettanto «utopistica» l’idea che «l’uomo» subisca «la storia»22. In sostanza Poggi, dopo aver sottoposto a «esame critico» le dottrine dei «neokantiani tedeschi e italiani […] (Woltmann, Stammler, Natorp, Struvve, Baratono)», per verificare «entro quali limiti» si potesse effettuare «l’allacciamento» fra kantismo e marxismo, si affidava alla «geniale reinterpretazione» di Mondolfo (allievo, vorremmo ricordarlo, di De Sarlo, Tarozzi e Tocco a Firenze) che vedeva Marx profondamente influenzato dall’umanesimo di Feuerbach, e mostrava la presenza nella dottrina del filosofo tedesco di un «indirizzo teleologico» (definito «momento soggettivo della dialettica storica») che fra l’altro non escludeva 21 22 Ivi, pp. 686–687. Ivi, p. 687. Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 49 «la necessità (momento oggettivo)»; sebbene poi tutto ciò «nulla più lasciasse di materialismo a tale concezione», questo modo d’interpretare la storia «non» andava «tuttavia» considerato «come meno marxistico»23. E qui Poggi stabiliva un parallelo con Kant nella cui visuale «la necessità nel mondo fenomenico non esclude, ma presuppone la libertà del volere. La dignità umana, l’Umanità, fine vero della condotta umana», costituiva dunque per lui anche «il vero scopo del movimento socialista». Era dunque la «Ragione» che doveva ispirare la condotta umana: Poggi respingeva ogni «empirismo» nell’azione, ed ogni movente di quest’ultima di carattere utilitaristico od edonistico — necessaria conseguenza di ogni riduzione della morale a pura sensibilità (materialismo). E citava Frierich Engels, per il quale «il socialismo» non costituiva «una questione di ventre, ma di umanità» — l’uomo, aggiungeva Poggi, «non» andava considerato «solo “homo oeconomicus”, ma “homo”, cioè spirito». Il socialismo diveniva così in Poggi «educazione umana — pertanto, nella sua propaganda e nella sua prassi», doveva «sentirsi subordinato all’imperativo categorico Kantiano». Tutto ciò per sottolineare come lo stesso Engels (che al pari di Kant concepiva la «storia» come «opera di ragione») fosse radicalmente contrario «agli inconsulti colpi di mano», cioè alla conquista del potere con mezzi violenti24; il che faceva il paio con ciò che Poggi aveva affermato più sopra, a proposito del socialismo «per la sua essenza morale, democrazia» — che pertanto doveva negare e combattere soltanto uno «Stato di forza»25. L’innesto Kant– Marx conduceva dunque, una volta in più, al riformismo ed alla socialdemocrazia. Notevole senz’altro, a nostro avviso, era l’accento sul socialismo come opera educativa, progetto etico–pedagogico — anche se ciò che conta, in definitiva, sono i contenuti che s’intendevano comunicare alle classi popolari, che non possono non apparirci “sospetti” se tendevano, innegabilmente, a svuotarle della loro carica rivoluzionaria. Il punctum pruriens dell’interpretazione di Poggi risiedeva, con ogni probabilità, nel suo tentativo d’introdurre, nel marxismo, “l’Uomo” e “la Ragione” astorici, atemporali — il che significava snaturarlo completamente. Ed in effetti Ivi, pp. 687–688. Ivi, p. 688. 25 Ivi, p. 687. 23 24 50 Marco Antonio D’Arcangeli Poggi, anche nei suoi interventi polemici nei confronti del clericalismo, insisteva decisamente su di una «morale» che prendesse le mosse da «fondamentali principi comuni, verità […] derivate da un fondamento a–priori e quindi universale: la ragione»26. Su questa base egli contestava — nel già menzionato Neutralità scolastica ed insegnamento religioso le argomentazioni di parte cattolica che tendevano a svuotare di ogni consistenza il concetto di «scuola neutrale», fondamento dei sistemi educativi del moderno Stato liberale. Se era pur necessario, per Poggi, che una fede, ed anche — in sostanza — un afflato di religiosità27 animassero l’insegnamento, affinché quest’ultimo potesse arricchirsi di idealità, ciò non implicava che «il professore» dovesse trasformarsi in un «fanatico sacerdote» d’una qualsiasi setta; era sufficiente ch’egli nutrisse la fede nel progressivo perfezionamento dell’umana natura, nell’efficacia morale del sapere, […] nel suo compito […] di foggiare spiriti capaci di scegliersi per sé stessi la fede, la via da seguire, e consci del dovere morale di professare questa loro fede, qualunque essa sia, lealmente, umanamente, senza intolleranze e senza violenze28. Poggi, in altre parole, distingueva recisamente religiosità e settarismo, respingendo il concetto di una scuola e di un insegnamento necessariamente improntati alla trasmissione di un’esclusiva ed esclusivistica visione del mondo29, e mentre si domandava se, in definitiva, «lo spirito, per realizzarsi, dovesse necessariamente esprimersi in quella fede che è sua, che è lui stesso, ma che egli può dominare, perché può dominarsi»30, sosteneva con vigore che la «migliore preparazione alla religione vera» — cioè non estrinseca, precettistica, catechistica — risiedesse nella «educazione morale: solo nella morale e per la morale l’uomo si sente uomo e sente il divino che porta in sé», affermava31. La morale della “Ragione”, a cui si affidava Poggi, era, ancora una volta, quella kantiana; il valore, sui cui principalmente si soffermava, era POGGI, Neutralità scolastica ed insegnamento religioso, cit., p. 357. Ivi, pp. 358–359 e 372–373. 28 Ivi, p. 356. 29 Ivi, pp. 368–371 (sulla concezione della “Scuola di Stato” di Condorcet). 30 Ivi, p. 361. 31 Ivi, p. 373. 26 27 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 51 l’illuministica, laica «tolleranza»32; pure, egli conservava all’elemento religioso, nel novero delle espressioni della spiritualità, un’inalienabile autonomia, un’insostituibile funzione (e di conseguenza gli assegnava un ruolo centrale in ambito educativo). Si allontanava così, sensibilmente, dal concetto d’una “fede” laica, pur senza rinnegare, ed anzi riproponendo con vigore, idealità caratteristiche della tradizione del pensiero moderno. Un’impostazione, la sua, contrassegnata da un pieno rispetto e da un’attenta considerazione dei più divergenti punti di vista — come del resto da un’acuta sensibilità nei confronti delle diverse modalità di manifestazione dell’attività spirituale: le sue conclusioni, tuttavia, apparivano sostanzialmente deboli e senz’altro esposte ad una efficace controreplica da parte cattolica. Vorremmo ancora segnalare, in Poggi, la conquista della dimensione dell’analisi formale (che fu sua come del nostro neocriticismo pedagogico in generale, e che se pure risultò limitata all’analisi di specifici settori dell’esperienza, segnò indubbiamente un cospicuo progresso nei confronti del “sostanzialismo” della generazione precedente — che non venne però oltrepassato, come già precisato, in sede metafisica). Alludiamo a Lineamenti di una fondazione pura della teoria educativa, apparso sulla «Rivista» sul finire del ‘26, in cui (evidenziando un parziale influsso herbartiano) «la pedagogia» veniva definita una «scienza etica» fondata «sulla persona e sul suo rapporto con gli altri», incentrata sulla «dualità dei soggetti» e sullo «sforzo del dovere», risolvendosi così in «etica applicata». L’educazione si configurava in questo quadro «fatto umano che implicava l’azione dell’altro sull’io, orientata però secondo “fini” che» dovevano «essere razionali, cioè universali» in direzione della costruzione di una «società di esseri ragionevoli, fondata sul principio della libertà». A ciò Poggi saldava «una concezione laica della scuola, anche se non irreligiosa» (come abbiamo già intravisto), contraria però ad ogni «catechismo» nocivo allo «spirito autonomo dell’insegnamento morale» ed in contrasto con «tutto quanto d’educazione si» poteva «trarre dall’insegnamento scientifico»33. 32 33 Ivi, p. 356. CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., p. 47. 52 Marco Antonio D’Arcangeli Certo è che da chi, come Poggi, aveva preso contatto con la visuale marxiana era forse lecito attendersi qualcosa di più; una più viva coscienza della dinamicità storico–sociale poteva senz’altro arricchire e complessificare anche una “fondazione pura”. Resta che in Poggi l’emancipazione delle classi popolari, sebbene si ponesse chiaramente come progetto politico (restando però sul terreno della democrazia borghese) tendeva però a concretarsi in primo luogo ed essenzialmente in un’elevazione morale da conseguirsi per il tramite della cultura. Una sola voce di carattere radicale si levò dai fascicoli della «Rivista»: fu quella di Antonino Pane, in un anno drammatico, quel 1925 che segnò la definitiva svolta autoritaria del Regime. In Socialismo ed educazione operaia34. Pane definì il marxismo «dottrina di vita e d’azione, di lotta e di progresso per la realizzazione dei valori superiori dello spirito», della «essenza razionale ed etica dell’uomo», richiamandosi esplicitamente al modello sovietico quale tentativo di armonizzazione delle esigenze individuali e collettive35. Ma questa “rondine” non poteva “far primavera” — ed era troppo tardi, del resto. Una decisa ideologia borghese — che a volte (come nel caso, che però non è possibile approfondire in questa sede, degli interventi del Direttore Della Valle), non era del resto nemmeno tanto “inconscia” — dovette causare una tendenza alla “rimozione” e provocare “resistenze” tali non solo da impedire un serio approfondimento del tema, ma anche una sua adeguata circolazione nei fascicoli del periodico, perfino a quel livello di trattazione astrattamente “professorale” o asetticamente “dottrinale” che molto spesso lo caratterizzava. È singolare, e va rimarcato, come anche nelle occasioni nelle quali si parla di materialismo storico, il nome di Antonio Labriola resti sistematicamente nell’ombra — e Credaro, ad esempio, aveva indubbiamente un “debito”, quantomeno di riconoscenza, nei confronti del filosofo cassinate. Il problema dell’educazione popolare, pur così centrale nella «Rivista», va così spesso a finire in anguste questioni di orientamento didattico proprio perché è estraniato da una complessiva visione storico–sociale; quando questa ultima, in un certo senso, è presente, è costituita dal modello giolittiano, A. PANE, Socialismo ed educazione operaia, in «Rivista Pedagogica», a. XVIII, n. 8, 15 ottobre 1925, pp. 663–675. 35 CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia, cit., pp. 71 e 79 (note 79–81). 34 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 53 d’integrazione–neutralizzazione delle masse, ed ai pedagogisti del periodico sfuggono, per così dire, preoccupati accenti, che tradiscono un netto conservatorismo, al di là delle loro nobili (e sincere) idealità umanitarie. Inevitabilmente, pertanto — in conseguenza di un retroterra ideologico che pur non avvertito e formulato, per lo più, consapevolmente, in ogni caso influì decisamente sugli orientamenti di questo nucleo intellettuale — i collaboratori della «Rivista» finirono per concentrare i loro sforzi nel contrastare l’avanzata del socialismo, che nella contingenze politico–sociali in cui si trovarono ad operare (almeno sino al ‘23) dovette apparire loro come il “pericolo” più imminente e gravoso: di conseguenza, la vena laicista (ed in alcuni casi propriamente anticlericale) che almeno in origine costituiva la nota precipuamente “radicale” del periodico venne progressivamente ad affievolirsi, a perdere di mordente. È evidente che una completa rottura con la Chiesa cattolica avrebbe indebolito il blocco che si opponeva al dilagare del marxismo, nel quale volente o nolente venivano a collocarsi questi intellettuali; e Giolitti, in effetti, il loro “modello” (anche ben al di là del periodo in cui lo statista di Dronero fu a capo dell’esecutivo), ben conscio di ciò perseguì la via del riavvicinamento fra borghesia e clero; se ricordiamo, ancora una volta, le prese di posizione sfumate ed incolori assunte più volte da Credaro in tutti i casi in cui era in gioco la sensibilità delle masse cattoliche nei confronti dello Stato liberale, abbiamo una immagine abbastanza esatta del tenore che venne ad assumere l’anticlericalismo della «Rivista». Certo la coscienza “radicale” di questi intellettuali non poteva non insorgere allorquando si manifestava palesemente l’intenzionalità della Curia di ingerirsi nell’istruzione pubblica (o si ravvisava la debolezza del Governo, la sua accondiscendenza sul tema delle scuole private confessionali): ma all’iniziale, accesa “ribellione” seguiva quasi sempre un fermarsi a mezza strada. Il gruppo della «Rivista» non oltrepassò mai un atteggiamento sostanzialmente passivo e “difensivo” nei confronti della cultura cattolica; occorreva in altre parole che la parte avversa sferrasse un “attacco” in forze per poter registrare delle consistenti, definite, marcate prese di posizione da parte di questi intellettuali — e quando ciò si verificava, per la verità, la reazione appariva di un’intensità tale da far pensare ad una 54 Marco Antonio D’Arcangeli precedente “repressione” in tal senso: questo, in particolare, quando il tema del confronto era prettamente “professorale”. 3.2. Gli studi e le letture delle filosofie della Krisis Non v’è dubbio peraltro che, al di là dei limiti che si riscontrano nelle sue posizioni teoriche e di quelli caratteristici dello “schieramento” al quale, sostanzialmente, fece riferimento, la figura di Alfredo Poggi, uno dei pochi intellettuali italiani a salvare l’onore della categoria rifiutandosi di barattare la propria libertà di coscienza e di giudizio con un cattedra universitaria, meriterebbe se non altro per tale ragione più circostanziata attenzione. Sarebbe interessante verificare, in specie, quanto il prolungato “viaggio” in particolari temi e figure della Krisis, da lui intrapreso a partire dai tardi anni ‘20 — come documentato dai fascicoli della «Rivista Pedagogica» che ospitarono i suoi saggi su queste tematiche — implicasse una revisione dei canoni del suo “kantismo” filosofico e pedagogico. Alla diversa curvatura, che veniva assumendo la riflessione di Alfredo Poggi alludeva già Il fondamento irrazionale della pedagogia giansenista, uscito nel 192736. Lo studio — pubblicato sulla «Rivista» nell’annata successiva — della Pedagogia del Contingentismo (Ravaisson, Boutroux, Bergson, Le Roy)37 svolse evidentemente la funzione d’introdurre il pedagogista ligure in una ben determinata temperie storico–culturale; esaminata, nel 1929, La pedagogia di Hans Cornelius38, lo ritroveremo nel ‘36 ad analizzare Il problema del male nella teoria educativa di Maurizio Blondel39, e nel ‘37 a trattare L’importanza dell’educazione per Africano Spir (1837– 1890)40, prima di condurre a termine, l’anno seguente, il suo decennale Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XX, n. 3, marzo 1927, pp. 204–240. L’anno precedente, pochi fascicoli prima dei Lineamenti…, Poggi aveva pubblicato il saggio storico–pedagogico L’attualità nell’indirizzo pedagogico del Comenius, in «Rivista Pedagogica», a. XIX, n. 4, 30 aprile 1926, pp. 282–293. 37 Cfr. «Rivista Pedagogica», a. XXI, n. 6–7, giugno–luglio 1928, pp. 405–422. 38 «Rivista Pedagogica», a. XXII, n. 6–7, giugno–luglio 1929, pp. 421–452. 39 «Rivista Pedagogica», a. XXIX, n. 5, novembre–dicembre 1936, pp. 545–581. 40 «Rivista Pedagogica», a. XXX, n. 5, novembre–dicembre 1937, pp. 543–579. 36 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 55 itinerario di ricerca con il significativo La “Crisi” moderna ed il problema educativo41. Prima di esaminare questo saggio, l’ultimo pubblicato da Poggi sulla «Rivista» e uno dei più significativi usciti sul periodico nelle ultime, “sofferte” annate, sarà bene ricordare, rammentando alcuni altri suoi brevi scritti, apparsi sul periodico di Credaro nel periodo in questione, come la volontà di sostanziare la sua “fondazione pura” della pedagogia di diversi apporti disciplinari e l’interesse per nuovi approcci teorici si possa cogliere, anche, ad esempio, nella recensione alla Psicologia dei popoli di Wundt del 192942; e sarà anche opportuno ribadire come il socialista Poggi non mostri, in alcuna occasione, il venir meno delle sue convinzioni: così, nel 1937, recensendo La scuola corporativa di Rosario Bonaccorso non lesinerà giudizi alquanto critici43. In La “Crisi” moderna ed il problema educativo Poggi mostrò di non ignorare i legami sussistenti fra l’aspetto interiore ed individuale, etico– morale ed “esistenziale” del problema e le concrete condizioni di vita dell’uomo odierno, inserito in una determinata trama di rapporti produttivi, in una precipua forma d’organizzazione sociale, in peculiari regimi politici. Benché poi non si assistesse, nel suo contributo, ad un articolato sviluppo di questo rapporto, ed anzi (coerentemente all’evolversi «Rivista Pedagogica», a. XXXI, n. 4, luglio–ottobre 1938, pp. 406–436. A. POGGI, recensione a G. WUNDT, La psicologia dei popoli, Torino, B. S. M. F.lli Bocca, 1929, in «Rivista Pedagogica», a. XXII, n. 9, novembre 1929, p. 698. Interessanti risultano altresì le recensioni di Poggi nel fascicolo precedente, in gran parte dedicate a testi teologici o religiosi, di pensatori cattolici, o concernenti intellettuali di matrice cattolica, comunque non strettamente “ortodossi” (S. BONAVENTURA, Itinerarium mentis in Deum, Torino, Soc. Editr. Internazionale, 1929; BONAVENTURA DA BAGNOREA, Itinerario della mente in Dio, introduzione e traduzione e commento di G. Dal Monte, Bologna, Cappelli, 1929; G. DORÈ, Savonarola. Pagine cristiane antiche e moderne, Torino, Soc. Editr. Internazionale, 1928; L. DE REGIBUS, Lattanzio. Pagine cristiane antiche e moderne, Torino, Soc. Editr. Internazionale, 1928), ma anche, sintomaticamente, all’opera di un teologo protestante “inquieto” come Paul Tillich (di cui Poggi presenta Lo spirito borghese ed il Kairos, Roma, Doxa, 1929: cfr. «Rivista Pedagogica», a. XXII, n. 8, ottobre 1929, pp. 619–622). 43 A. POGGI, recensione a R. BONACCORSO, La scuola corporativa, Roma, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1936, in «Rivista Pedagogica», a. XXX, n. 3, maggio–giugno 1937, p. 367. 41 42 56 Marco Antonio D’Arcangeli della sua stessa interpretazione del marxismo ed alla definizione della sua pedagogia sui fondamenti “puri” della «dualità dell’Io» e della «Ragione» kantiana) la soluzione della «Crisi» si profilasse in un recupero della concezione dell’«Uomo» elaborata dai classici della filosofia occidentale (Kant, appunto, soprattutto — quel «senso del dovere», attraverso il quale l’uomo può trascendersi — l’«amore superindividuale», la liberazione dall’«egoismo», in un quadro che vedeva una netta riaffermazione del valore della fede religiosa), non mancavano nell’analisi di Poggi passaggi notevoli (sintomi d’una lucida comprensione del momento storico ed espressione d’una sostanziale opposizione al regime). Così, ad esempio, per il pedagogista ligure, pur avendo «il capitalismo» inizialmente preferito «la forma democratica» — anche perché necessitava, per espandersi, della rottura delle «sbarre dei privilegi» — allorché (e trascuriamo le interessanti osservazioni sull’età imperialistica) «si temette che il principio d’uguaglianza dovesse estendersi anche alle condizioni economiche, allora la democrazia fu di fatto sospesa, come non più rispondente alla nuova situazione»44. Penetranti apparivano pure le osservazioni sulle «responsabilità» della «mentalità hegeliana» nel promuovere l’adorazione del «feticcio» dello Stato, e l’accettazione del fatto compiuto, con l’identificazione di conoscenza e volontà, essere e dover–essere45, come le critiche al sostanziale irrazionalismo del «fenomenologo» Scheler46 ed all’insufficienza di soluzioni «mistiche» quali quella proposta dallo spiritualista Loisy47. Ma il suo discorso slittava però, progressivamente, in direzione, per dir così, intimistica: l’analisi delle motivazioni e la ricerca delle possibili soluzioni della «Crisi» finivano per muoversi e svolgersi su di un piano esclusivamente spirituale, cosicché giungeva inevitabile la riproposizione del valore della (astratta) «persona», individuale ed universale ad un tempo48; e nel definire infine il malessere contemporaneo un fenomeno essenzialmente d’élite, scono- POGGI , La “Crisi” moderna ed il problema educativo, cit., p. 408. Ivi, pp. 408–409. 46 Ivi, pp. 409–412. 47 Ivi, pp. 412–415. 48 Ivi, pp. 420–422. 44 45 Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 57 sciuto alle masse49, Poggi mostrava fra l’altro di non averne compreso appieno l’estensione e la profondità. Siamo — una volta ancora — di fronte alle congenite contraddizioni, o incertezze, del fronte della «Rivista» — anche se, in questo contesto, occorre tener presente l’autocensura che i nostri intellettuali dovettero, per forza di cose, imporsi. Le oscillazioni di Poggi riproducevano, su scala per così dire individuale, quelle della pubblicazione nel suo complesso, incapace di risolversi fra le diverse anime che la costituivano, anche perché da sempre impostata (per riprendere le parole usate dal fondatore e direttore Credaro nel “programma” tracciato in apertura del primo fascicolo della «Rivista», nel gennaio 1908) quale «congresso pedagogico permanente». Tale restò — in definitiva — sino alla fine, ed in ciò risiede, tutto sommato, il valore di quest’esperienza: una proposta di cultura aperta, il rifiuto di ogni settarismo — pur se quest’atteggiamento fu anche in parte il riflesso di un’intrinseca debolezza teorica (ed ideologica), e ciò si evidenziò nei momenti cruciali della vita politica e culturale italiana ch’essa si trovò ad affrontare. Da tali irrisolte ambiguità derivò, senz’altro, la sua finale dissoluzione: ma era e resta corretto menzionare interventi come quelli di Poggi, che mostrano come la «Rivista» seppe, o comunque volle, almeno in alcuni dei suoi collaboratori, conservare sino all’ultimo la propria identità, riaffermare e sottolineare l’impostazione che da sempre l’aveva contraddistinta, salvaguardare in ogni caso la dignità di una trentennale esperienza intellettuale50. Ivi, pp. 417–418. Da ricordare, al proposito, il fascicolo della «Rivista Pedagogica» del novembre–dicembre 1934 (a. XXVII, n. 5), interamente dedicato a Giovanni Vidari, a seguito della sua scomparsa, nel quale si rinviene, di A. POGGI, Le traduzioni kantiane di Giovanni Vidari e la “Esigenza Morale” di ritornare al Kant, pp. 731–740. 49 50 Un Catalogo per Antonio Labriola∗ Girolamo de Liguori Lo scorso anno si è compiuto il primo centenario dalla morte di colui che dovrebbe essere ritenuto, per unanime riconoscimento, il maggior filosofo italiano della seconda metà dell’800, se l’approssimazione, le mode, la ciarlataneria dei filosofanti e degli esperti di tuttologia, con le connesse ritualità accademiche, non avessero divelto la salubre pianta del buon senso dall’«onesto e retto conversar cittadino» di alta leopardiana memoria. Labriola fu un filosofo praticante che fece della filosofia arte educativa, nella scuola come nella vita civile, e della politica lo strumento di lotta per l’emancipazione dell’uomo. Tra gli studiosi assidui del suo pensiero, dopo l’indimenticabile Garin, il Mastroianni e pochi altri, Nicola Siciliani de Cumis è certamente colui che, con maggiore dedizione, passione e puntigliosa competenza, si è dedicato a tale autore, seguendone il complesso itinerario, dagli anni napoletani del moderatismo liberale fino al socialismo e all’insegnamento romano alla «Sapienza». Quasi combinandosi, nel 2004, il centenario della morte (1904) con i settecento anni dalla fondazione dell’Università «La Sapienza» (1303–2003), Siciliani ha raccolto, in un nobile zibaldone di immagini, cronache, schemi, saggi, commemorazioni e testimonianze, buona parte del ponderoso lavoro da lui portato avanti, promosso, stimolato in questi ultimi anni, anche con la collaborazione di colleghi e allievi. Il volume–catalogo ― che catalogo vuole essere ― si articola in quattro parti, delle quali soltanto la terza è interamente dedicata alla mostra (La mostra e le mostre su Antonio Labriola e la sua Università), tenutasi a Roma, dall’8 marzo al 25 aprile 2005, di cui riporta integralmente pannelli e didascalie, ma nel suo insieme è solo la punta luccicante di un imponente iceberg di sforzi, sacrifici, conoscenze e amore, spesi da questo ∗ Pubblicato su «La Critica Sociologica», n. 154–155, aprile–settembre 2005, pp. 203–205. 60 Girolamo de Liguori fedele studioso, che Ferrarotti definisce argutamente «speleologo più che filologo della formazione del pensiero di Antonio Labriola» (p. 541). Catalogo, si diceva, nel vero e profondo senso del termine: non soltanto nel significato letterale di enumerazione o sequenza sistematica di nomi, oggetti o manufatti, ma anche in quello, più sottilmente filosofico, intriso della ironia socratica, di elenco (élegkhos), confutazione ovverosia esame dialettico cui Socrate sottoponeva asserzioni, ipotesi e tesi contrapposte al fine di confutare gli errori tra i quali la classica ignoratio elenchi. Lo richiama anche lo stesso autore in apertura del catalogo, presentando il suo lavoro come “un Labriola–catalogo”, catalogo di cataloghi su Labriola e l’Università che fu sua (p. 11). Viene ribadito qui subito, in apertura del lavoro, il suo esplicito non voler essere libro. Soltanto catalogo, presupposto, cioè, di altre tappe della ricerca: indicazioni di lavoro, bilancio e messa a punto ― come in un consuntivo ― di quanto è stato fatto per sgombrare la strada a quanto si dovrà fare ― come in un preventivo. È tutta qui la originalità del lavoro che non si circoscrive alle 690 pagine di zibaldone che si offrono alla lettura ma si collegano al già fatto e al da farsi, alla scuola, alle indicazioni di metodo, al lavoro parallelo di altri studiosi: storici, politici, sociologi, filosofi, pedagogisti che proseguono la complessa e minuta opera di ricerca nei loro singoli campi. È, in fondo, la lezione ancora operante di Labriola filosofo, politico, educatore, da lui portata avanti al Caffè Aragno, come all’università, nei circoli, tra gli operai: la lezione di un Socrate dei nostri giorni che Nicola Siciliani era andato già individuando criticamente, non solo in Labriola ma nel suo stesso lavoro di docente, ed emulando in quello dei suoi maestri, tra i quali, in modo particolare, Garin. Antefatto di questo lavoro resta certamente Laboratorio Labriola, del 1994 ma, ancor più, il volumetto dell’anno prima, A scuola con Socrate, una peregrinazione amorosa con Eugenio Garin nei luoghi socratici da questi percorsi nel suo lungo itinerario di ricerca di storico della filosofia medioevale, rinascimentale e moderna e talora rimasti in ombra o addirittura negletti. In punta di piedi, com’è suo costume, Siciliani raccatta i fili dei percorsi ideali e avvia l’ordito della ricostruzione storiografica su cui sola si fonda una conoscenza criticamente sostenuta. Ed è per questa sua capacità che può, a dispetto degli anni e dei fati, sedersi a un stesso tavolo, con il suo Labriola, il suo professore di liceo a Catanzaro, Giovanni Mastroianni e i suoi gio- Un Catalogo per Antonio Labriola 61 vani scolari di Roma, laureandi e laureati, cui qualche giorno prima ha letto e spiegato il Discorrendo, o le Lettere ad Engels o Della libertà morale o il Socrate o lo Spinoza e farsi ritrarre, tra presente e passato, in un delizioso falso fotografico, così vero in questo nostro mondo così falso e mistificatore delle immagini. Nella prima parte sono riportate le relazioni del convegno del 2–3 febbraio 2004, apertosi in Parlamento e alla presenza del Presidente della Repubblica, a cominciare da quella di apertura di Fulvio Tessitore; nella seconda, intitolata Punti di vista, alcune relazioni del convegno di Cassino, in cui vengono trattati temi fondamentali della formazione e degli approdi di Labriola filosofo: il principio dialogico, le questioni socratiche, l’herbartismo, il rapporto polemico col positivismo, la storiografia, Croce, Gentile, ecc. La terza, come s’è accennato, è dedicata alla mostra e la quarta, Momenti e moventi, riporta una serie di studi e interventi su argomenti labrioliani, dalla prolusione sull’università e la libertà della scienza del 14 novembre del 1896 alla ricostruzione minuta di dati biografici fino alla discussione critica di aspetti fondamentali del magistero, della didattica e del pensiero di Labriola. Dati biografici, minute tracce dei suoi interventi in campo scolastico, politico e di impegno civile diventano, nel catalogo di Siciliani, un laboratorio aperto, una scuola di metodo per la ricerca in cui Labriola torna a dire la sua come intellettuale attivo con il suo linguaggio (vedi i lemmi riportati dal Grande dizionario italiano dell’uso, diretto da Tullio De Mauro, pp. 638–649), il suo stile di pensiero, la sua intransigenza e il suo nitore concettuale, nei suoi rapporti con i grandi interlocutori dei suoi anni, da Croce ad Engels a Sorel, fino a quelli degli odierni esegeti, tutti invitati da Siciliani al suo simposio senza luogo e senza tempo, eppure tanto onestamente e correttamente storicizzato. Antonio Labriola e il materialismo storico∗ Graziella Falconi Il professor Nicola Siciliani de Cumis, pedagogista e filosofo ― (uno dei massimi studiosi di Labriola) ―, ha ideato e realizzato l’intero ciclo di attività connesse alla mostra sul filosofo marxista nato a Cassino nel 1843, e scomparso il 2 febbraio 1904. Mostra allestita quindi non solo in occasione dei settecento anni della «Sapienza» ma anche del centenario della morte del suo insigne Professore, formatosi a sua volta dal benedettino Pappalettere, ammiratore di Giordano Bruno. Sul “maestro perpetuo" sia dentro che fuori l’Università, al caffè Aragno ― secondo un gustoso ritratto di Andrea Torre ― il catalogo acquisisce nuova documentazione, in tutte e quattro le sezioni in cui la mostra è suddivisa. Siciliani de Cumis ci restituisce così un ritratto a tutto tondo di Labriola, grande sostenitore della libertà della ricerca, privilegiando soprattutto le intenzioni pedagogiche e gli ideali universitari nonché le concrete proposte educative del cassinate. Circa l’adesione di Labriola al materialismo storico, Luigi Punzo, ricorda come essa possa essere intesa come l’evento catastrofico (nell’accezione data dal Labriola alle rivoluzioni in quanto catastrofi e quindi evento storico) determinato nell’evoluzione, molto articolata, del pensiero di Labriola, che del marxismo contribuì a chiarire la natura piuttosto di indagine storica che non di filosofia della storia. ∗ Pubblicato in «Le nuove ragioni del socialismo», a. III, n. 27, ottobre 2005, p. 47. Antonio Labriola e le scienze sociali Franco Ferrarotti 1. Incontri e osservazioni∗ Antonio Labriola è stato l’unico professore e maestro riconosciuto dall’autodidatta non laureato Benedetto Croce. È curioso che il “marxista” Antonio Labriola, autore della celebre Concezione materialistica della storia (destinata ad alleviare i rigori della prigione a Leon Trotski, con la sua frase, ripetuta come un ritornello, «le idee non cascano dal cielo», come si legge in Une vie, l’autobiografia del grande rivoluzionario anti– stalinista), sia stato il maestro del conservatore Croce, teorizzatore della «religione della libertà», ma anche, e qui si scorge una connessione significativa, critico acerrimo delle scienze sociali, nel trattare delle quali usa il pettine di ferro, in particolare della sociologia, da lui considerata «mezzo inferiore della vita intellettuale», «inferma scienza», al più capace di produrre non concetti con valore propriamente cognitivo, ma solo pseudo–concetti, classificazioni tassonomiche, generalizzazioni indebite e spesso gratuite. Labriola assegna per tempo a Croce una ricerca sulle origini storiche dei cosiddetti diritti naturali. Croce si mette al lavoro e ovviamente non trova nulla. Di qui, l’idea che non si danno valori naturali meta–storici, che tutta l’esperienza umana non può che essere storica, ossia realizzata nella storia passata, che va penetrata, interpretata, dal pensiero, quindi nella storia storica, marmorizzata, rinunciando alla previsione storica, ossia alla storia nel suo farsi, imprevedibile perché ancora- ∗ Testo dattiloscritto, autografo, per una lezione tenuta il giorno 8 aprile 2005 presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», nel quadro dei “seminari di approfondimento” organizzati dalla Prima cattedra di Pedagogia generale (Prof. N. Siciliani de Cumis) sui temi labrioliani presenti nella Mostra e nel Catalogo su Antonio Labriola e la sua Università. 66 Franco Ferrarotti ta e mossa al libero spirito umano, tanto da ridurre qualsiasi filosofia della storia a pura congettura farneticante1. Il secondo incontro, per quanto mi riguarda, con Antonio Labriola avviene con la lettura delle sue Lettere a Federico Engels, l’amico fraterno di Marx ed estensore della parte finale del Capitale, terzo volume, lasciato incompiuto da Marx. È una lettura importante, ancora oggi, soprattutto per i sociologi, che peraltro si guardano bene dal fare. Labriola mette in luce le confusioni concettuali dei sociologi italiani di fine Ottocento, una fase storica in cui, a detta di Palgrave Inglis e altri, in Italia la sociologia era più lussureggiante e florida che altrove, prendendo di mira soprattutto Enrico Ferri e Cesare Lombroso. In particolare, Labriola impietosamente denuncia il mescolamento acritico di mondi di pensiero non solo differenti ma teoricamente incompatibili, quali l’evoluzionismo biologico di Charles Darwin, l’evoluzionismo socio–economico universale, dall’inorganico al superorganico senza soluzione di continuità, di Herbert Spencer, e il materialismo storico dialettico di Karl Marx e Friedrich Engels (anche se su Engels — si veda l’Antidühring — una riserva, rispetto alla dialettica, è necessaria). Sprezzantemente, Labriola indicava la triade Darwin, Spencer, Marx come la “trinità” dei sociologi e filosofi ad orecchio, ciarlatani impenitenti, incapaci di elaborare ricerche sostenute da un impianto o apparato teorico–concettuale rigoroso, quindi frammentarie, slegate, dovute a motivi occasionali o a invenzioni estemporanee, secondo un modulo critico ripreso, più tardi, in toto, da Benedetto Croce, specialmente in Storia d’Italia dal 1871 al 1915. Non si tratta solo di positivisti “meno accorti”, come dirà, in Cronache di filosofia italiana, vol. I, Eugenio Garin, ma, secondo la formula coniata da Antonio Gramsci, di vero e proprio “lorianesimo”, vale a dire di esempi di disonestà e irresponsabilità intellettuale, il cui prototipo sarebbe da vedersi in Achille Loria e nella sua inconsapevolmente umoristica teoria della questione sociale risolta con l’aviazione2. Aiutati dal generale orientamento spiritualistico e soggettivistico europeo agli inizi del Novecento (tipici Georges Sorel e Henri Bergson in Francia), ma anche, all’immediato primo Si veda, contra, sul diritto naturale, L. STRAUSS, Diritto naturale e storia, a cura di N. Pierri, Venezia, Neri Pozza, 1955; e gli studi di Alessandro Passerin d’Entrèves. 2 Cfr. U. RICCI, Tre economisti, Bari, Laterza, 1934. 1 Antonio Labriola e le scienze sociali 67 dopoguerra, dall’avvento del fascismo in Italia e dalla sua autarchia, che fu non solo economica ma anche culturale e che doveva paradossalmente contribuire alla “dittatura dell’idealismo” crociano, pur blandamente antifascista, e dalla presa del potere in Germania del nazismo, dieci anni dopo, che avrebbe ridotto le scienze sociali a scienze di puro servizio e accertamento demografico a favore della dittatura, come in Italia, i critici delle scienze sociali, capitalizzando ampiamente sulle riserve radicali espresse da Antonio Labriola, riducevano la sociologia a pseudoscienza. Nel giro di una generazione, questa disciplina, che del resto era insegnata come incarico a medicina e a giurisprudenza, per lo più sotto le vesti di criminologia, sarebbe scomparsa (la «Rivista italiana di sociologia» cessa le pubblicazioni nel 1925), per rinascere solo nel secondo dopoguerra, con la istituzione della prima cattedra a livello pieno nel 1960, per merito di una facoltà a torto ritenuta minore, il Magistero di Roma, dove pure avevano a suo tempo insegnato Antonio Labriola, Guido De Ruggiero e Luigi Pirandello. Per comprendere a fondo i meriti e i limiti di Antonio Labriola rispetto alle scienze sociali, a parte le Lettere a Engels e altri interventi, come Discorrendo di socialismo e di filosofia, e l’opera fondamentale su La concezione materialistica della storia, può essere utile riprendere contributi in apparenza marginali, ma forse proprio per questo rivelatori. Uno di questi è certamente il saggio La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, premesso all’edizione italiana dei Memorabili di Senofonte (ed. Rizzoli, 1989). In questo saggio, come sempre negli scritti di Labriola, si notano ottima documentazione di prima mano, una sequenza logico–razionale impeccabile; eppure, il saggio è, almeno in parte, fuorviante. Intanto, per cominciare, può essere dubbio che esista una vera e propria “dottrina” di Socrate. Del resto, ciò suona contraddittorio con la tesi principale del saggio, che consiste nel concepire l’apporto di Socrate come una lezione, di “vita pratica, di onestà morale”, una lezione non certamente impartita ex cathedra, ma secondo suggerimenti permeati di moderazione ed equilibrio. Rispetto alla concezione platonica di Socrate, che sarebbe stato tutto proteso e dedicato alla pura speculazione filosofica, da considerarsi come il compito e insieme la pienezza degli esseri umani, non mi sembra dubbio che Labriola colga in Senofonte al- 68 Franco Ferrarotti cuni elementi importanti, in primo luogo il carattere fondamentale del ragionare socratico, che è essenzialmente non sistematico, e quindi non dottrinario. «L’oggetto e la natura della ricerca socratica sono affatto nuovi», scrive Labriola. In che cosa consiste questa novità? Secondo Labriola, «deriva intimamente dai suoi bisogni etici e religiosi, ed è il risultato di un esame che egli ha esercitato su sé medesimo» (p. 19). Labriola ha ragione e torto nello stesso tempo. La ricerca socratica parte, come egli vede correttamente, da un’istanza introspettiva, da un’esigenza interiore, ma non si esaurisce in una precettistica per la retta vita, in un’opzione di natura morale–pratica. Ha un profilo teoretico a livello pieno. Indica un modo nuovo, una strada nuova per la formulazione e la costruzione dei concetti ― una strada che, al limite, mette in crisi la concezione elitaria della cultura come concetto normativo e capitale privato, come dote esclusiva del kalòs kaì agathòs, negata ai più, ai pollòi, che sono uomini solo da un punto di vista zoologico, non propriamente umano. Labriola scorge correttamente che «tolta di mezzo la posizione pratica del Socrate senofonteo, tutta la storia della filosofia greca non può più intendersi» (p. 22). E tuttavia, Labriola non esita ad affermare il limite, probabilmente a suo giudizio invalicabile, della riforma socratica: «[…] la poca perfezione della sua attitudine logica non gli permetteva di determinare intrinsecamente il valore obbiettivo delle forme etiche» (p. 27). C’è da restare sbalorditi! Labriola si contenta di chiarire: «[…] non sconosciamo l’influenza socratica nella tendenza riformatrice del platonismo […] in fondo non è che la naturale esplicazione di quella esigenza socratica, che facea necessariamente dipendere l’attività dal sapere» (p. 27). Temo che si tratti di un fraintendimento macroscopico. Non solo il Socrate senofonteo non prepara la strada alla riforma platonica, ma la démarche di Socrate, il suo modo di procedere alla costruzione del concetto, passeggiando e interrogando per strada chi capitasse, dall’agorà al Pireo, al modo, se non di un flâneur, di un “perditempo geniale”, come è stato mirabilmente definito da Siciliani de Cumis interrogando Eugenio Garin (in A scuola con Socrate), è un’impostazione originale, ammonta a una inedita costruzione del concetto non attraverso la deduzione da principi primi, ma in base all’esame empirico di situazioni umane specifiche. Labriola questo non poteva capirlo perché gli mancava la ricerca sul campo, come mancava a Croce e a tutti gli ipercritici delle scienze sociali, Antonio Labriola e le scienze sociali 69 come, almeno in parte, mancava a Marx e a Engels (anche se si ha notizia di un questionario elaborato da Marx per gli operai inglesi e se è noto che i capitoli più “sociologici” del Libro primo del Capitale, quelli sulla giornata di lavoro e sulla meccanizzazione della grande industria, che forse devono molto a Engels, dirigente industriale a Manchester nella succursale dell’azienda di famiglia, che aveva sede in Germania, a Brema, traboccano di osservazioni empiriche). La ricerca sul campo implica l’uscita dal concetto tradizionale di cultura né può effettuarsi ritenendo a priori che il ricercatore abbia, oltre la consapevolezza del problema, le domande fondamentali già prima di iniziare la ricerca. Un ricercatore è sempre anche un ricercato. Nessun fenomeno sociale può essere a priori ipotizzato se non sulla base delle esperienze dirette di coloro che l’hanno vissuto (siamo lontani anni–luce dalla cultura ancora prevalente, se si considera che ancora recentemente, il 29 o 30 marzo 2005, in un editoriale del «Corriere della Sera» si può tranquillamente parlare del “popolo bue”). Ma la cultura prevalente, intrinsecamente elitaria, viene da lontano e, con riguardo alla cultura italiana, chiama in causa testi come il Sommario di pedagogia come scienza filosofica di Giovanni Gentile, in cui il delirio iper–soggettivistico conduce, necessariamente e logicamente, all’auto–fondazione del soggetto indipendentemente dalle circostanze oggettive, ossia all’auto–ctisi. La ricerca delle scienze sociali non può usare concetti essenzialistici, quidditativi. Ha bisogno di concetti, che, nel Trattato di sociologia, ho definito operativi. Nel senso preciso che si tratta di concetti da operazionalizzare, ossia da scomporre nei loro componenti o variabili, in modo da poterli connettere con i parametri empirici messi in luce dalla ricerca sul campo, simultaneamente guidata, o orientata, dai concetti operativi e nello stesso tempo in grado di verificare le ipotesi generali e le ipotesi di lavoro specifiche attraverso la raccolta sistematica dei dati empirici pertinenti. 70 Franco Ferrarotti 2. Spiegazioni∗ […] Ho molto rispetto per Antonio Labriola. Ho molto rispetto, in generale, per il marxismo italiano così come stato pensato e rivissuto da Antonio Gramsci in termini di egemonia sociale; ma io vedo Gramsci come un marxista che si discosta da Lenin, in tema di classe rivoluzionaria. Per Lenin il partito è l’avanguardia organizzata e cosciente della classe operaia e, quindi, è su una posizione elitaria. La classe operaia, per quanto sia indubbiamente una “massa”, risulta guidata. Per Gramsci, al contrario, abbiamo soprattutto l’idea del partito come uno strumento di acculturazione delle masse popolari, le quali, a poco a poco, stabiliscono un rapporto di effettiva padronanza sulla società. Egemonia non è dittatura. Egemonia è una guida accettata liberamente, non imposta. Queste idee fanno parte della tradizione del marxismo italiano. E non dimentichiamo che una siffatta tradizione ha certamente in Antonio Labriola uno dei suoi grandi autori. Non si deve infatti dimenticare il suo libro fondamentale, La concezione materialistica della storia: che è un libro di grande interesse. Né si può tralasciare il fatto che Labriola fu forse l’unico maestro riconosciuto da Benedetto Croce (che non era laureato). I grandi meriti del marxismo italiano hanno anche avuto, però, un prezzo alto. Il marxismo italiano, cioè, è rimasto un marxismo, come ha detto Lucio Lombardo Radice, imbevuto di idealismo e di soggettivismo. Un marxismo, che spiega ciò che io rimprovero in qualche modo anche al partito comunista di Togliatti, che non ha mai avuto un grande interesse per le ricerche sul campo, supponendo intellettuali marxisti seguaci di Marx e Engels, i quali riflettano sulla storia e facciano da guida ∗ Ciò che segue corrisponde ad alcuni stralci di un’intervista concessa da Franco Ferrarotti a Olena Konovalenko, nel maggio 2005 e uscita su «Slavia» di gennaio– marzo 2006, pp. 3–23. Titolo dell’intervista: Conversando con Franco Ferrarotti di “sociologia critica” e dintorni. Argomento della conversazione: La polemica Efirov–Ferrarotti su «Rassegna Sovietica» del novembre–dicembre 1976. L’intervista, soprattutto nelle pagine qui riproposte, è, da diversi punti di vista, un ulteriore intervento su Antonio Labriola e la sua Università: e ne riprende, direttamente o indirettamente, i temi e problemi, in particolare a proposito di Labriola e le scienze sociali, dei rapporti Labriola–Croce, della “linea” Labriola–Gramsci–Togliatti e, dunque, di Labriola e la “sociologia critica” di Ferrarotti. Antonio Labriola e le scienze sociali 71 al proletariato, ma senza interrogarlo, senza avvertirne direttamente le esigenze “di base”. Qui, a mio parere, Labriola ha avuto una grandissima funzione, nel criticare i socialisti riformisti e sociologi italiani della fine dell’’800. Stranamente, però, le sue critiche ricordano un po’ quelle che Efirov ha rivolto a me molti anni dopo. Di che si tratta? Si tratta, sembra, di critiche superficiali, ad orecchio, intellettualmente arbitrarie, politicamente disorientanti. E poi su queste critiche si innestano quelle di Benedetto Croce, all’inizio del ‘900, quando comincia a pubblicare la rivista «La Critica». E, in tal caso, si tratterà di critiche che Croce per così dire capitalizza contro le scienze sociali, e specialmente contro la sociologia, da lui definita addirittura “inferma scienza”, mezzo inferiore di vita intellettuale. Perché inferiore? Perché non dà vere conoscenze, ma soltanto pseudo–concetti. E questo, che cosa significa in definitiva? Significa che in fondo il marxismo italiano resta un marxismo da professori, un marxismo che presume di sapere cosa la gente pensa senza che la gente, interrogata, dica la sua. È ancora la vecchia cultura dominante dell’Italia liberale. Io trovo che Antonio Labriola per il suo tempo ha fatto cose eccellenti. Ho molto rispetto per Labriola, ma Labriola non ha mai fatto ricerche di prima mano, sul campo. Faceva le lezioni nell’agro romano, parlava agli operai, ma non ha mai interrogato, ascoltato gli operai. Questo vale per tutta la cultura italiana, che è quindi rimasta profondamente asociologica, antisociologica e paternalistica, non aperta assolutamente alle istanze del “sociale”. Chi ha mai visto un professore fare le ricerche nelle borgate di Roma? […] Mi sento molto vicino a Nicola Siciliani de Cumis, devo dire non tanto per gli studi pedagogico–educativi, che non ho… Come sociologo, ho conosciuto in America (dove sono rimasto tre anni) le opere di John Dewey, a Chicago. Dove c’era anche la scuola progressiva montessoriana. Ora, ammiro molto il professor Siciliani per ciò che ha fatto per il recupero critico di Antonio Labriola. Ha fatto moltissimo: e Labriola, nonostante le critiche che io gli rivolgo, resta indubbiamente un punto fondamentale nella storia del marxismo e nella cultura italiana… Quanto a Siciliani, io lo ammiro soprattutto per quello che egli ha fatto con la figura di Socrate. A mio parere, il suo volume A scuola con Socrate non è solo una lunga intervista con Eugenio Garin. Più che un’intervista, è un 72 Franco Ferrarotti costringere il genio a rivivere la sua esperienza. Per questo è molto bello e interessante. Anche se, sul Socrate di Labriola, posso essere in parte in disaccordo; o forse no. Ma si tratta solo di una piccola dissonanza: perché, per me, il Socrate che conta è quello di Senofonte, non quell’altro di Platone (assai presente in Labriola, nonostante la scelta labrioliana della fonte senofontea). Per me è soprattutto importante il Socrate «perditempo di genio». Sta qui, infatti, una vera e propria discriminante: che è questa. Nella formazione dei concetti sociologici e non solo sociologici, nella formazione dei concetti filosofici e dei concetti in generale, si può procedere o per via deduttiva, da certi principi; oppure si può procedere sulla base dell’esperienza, raccogliendo, direi quasi racimolando, per la strada, dove capita, poniamo al porto di Atene, al Pireo, piccoli pezzi, scampoli grezzi, schegge di concetti, magari preconcetti, pregiudizi. Ma la formazione deve procedere dal basso. In Senofonte c’è il Socrate che procede dal basso, che a mio giudizio è il vero Socrate, che dice una cosa sola: di sapere di non sapere. Questo Socrate, evidentemente, si apre molto all’esperienza e fa del lavoro sul campo. Il che è per me fondamentale. E arriviamo a quello che è il concetto di verità come frutto di introspezione interiore oppure la verità intersoggettiva. È la verità partecipata; è la verità, noi diciamo, acquisita da una persona o da un gruppo, per così dire in esclusiva. Insomma, si è come degli esploratori in terra ignota; e ci si muove a poco a poco, cominciando sempre da ciò che non si sa. In tal senso, il Socrate senofonteo è la rappresentazione vivente di questa specie di costante incertezza: è più creativo del Socrate platonico, che parte da una verità a lui già nota, come educatore è soprattutto un autopedagogo. Perché in fondo ― egli sembra dire ― nessuno può nascondersi dietro la coscienza di un altro. Ecco perché il suo è un processo autopoietico, che va stimolato, ma che non può essere comandato. Di qui tutti i problemi relativi al tema della verità intersoggettiva, che è cosa che mi interessa molto. E da questo punto di vista penso che oggi Siciliani de Cumis è uno dei pochi studiosi non sociologi, forse l’unico a Roma, che si avvicina molto alla pratica sociologica. Mentre i sociologi, paradossalmente, si stanno allontanando da questa posizione, perché attratti dal bisogno, dai soldi, dalla politica. Diventano sempre più tecnici al servizio di un padrone, tecnici sul mercato, sono a disposizione del miglior offerente. Secondo me, non sono manco più studiosi, Antonio Labriola e le scienze sociali 73 scienziati. Ecco, in questo senso, per me Siciliani de Cumis resta una figura straordinaria. La pedagogia in Italia, che è stata, soprattutto, istituita dal fascismo, aveva la sua natura, diciamo così, di educazione dall’alto e di formazione a seconda dei bisogni del regime. Un po’ come poteva essere nell’unione Sovietica staliniana oppure nella Germania nazista. Mentre la pedagogia gentiliana (di Gentile, vedi Genesi e struttura della società) era la mente del fascismo. Siciliani, che rinvia al Socrate di Senofonte, si muove all’opposto nel solco di questa grande tradizione, per cui la verità nessuno può dire di averla in esclusiva; è una conquista. Non si conosce. Il sapere, invece, è una impresa collettiva; un’impresa interindividuale; ed è, quindi, un patrimonio comune, una conquista proprio intersoggettiva. Si potrebbe anche chiamarla una lucidità condivisa. E questo, naturalmente, porta me in particolare molto vicino a Siciliani. Perché allora, evidentemente, l’identità è correlativa all’alterità. Così mi sento anche vicino alla filosofia moderna, più che a Sartre e a Heidegger, che non hanno il senso dell’alterità. E da questo punto di vista Siciliani sta facendo un ottimo lavoro. Io gli ho mandato anche un lungo pezzo su Sartre dove metto in luce questa negatività di Sartre… Già i greci, ho trovato in Plutarco, diventano consapevoli della loro grecità. Essi sono in contatto con i barbari non greci, ma questo è un altro discorso… […] Si può dire che Gramsci abbia naturalmente studiato e intensamente vissuto il marxismo, ma con alcuni gravi limiti imputabili non a lui ma a due fattori: il primo è che dopo tutto Gramsci era in carcere e non aveva tutti i libri che voleva avere; in secondo luogo: alcuni libri, alcuni testi di Marx furono pubblicati soltanto molto più tardi. Per esempio, i fondamentali Manoscritti economico filosofici del 1844 hanno visto la luce soltanto pochi anni fa, e i Grundrisse (gli “elementi” dell’economia politica), anche questi sono stati pubblicati solo recentemente. In ogni caso, la visione che Gramsci offre del marxismo è una visione non materialistica inerte, non è una visione positivistica come fu anche quella di Engels. Direi piuttosto che in Gramsci, forse anche perché era un militante politico, un capo partito, c’è una forte componente di dimensione soggettivistica e volontaristica. Vale a dire che il marxismo di Gramsci è un marxismo anche un po’ idealistico, nel senso che l’attività del sogget- 74 Franco Ferrarotti to è fortemente sottolineata; e nel senso che la rivoluzione è un compito umano perseguibile, non è un esito fatale della storia. Questo lo avvicina molto a Lenin: anche se la grande differenza fra Lenin e Gramsci, a mio giudizio, è probabilmente anche una differenza legata al retroterra storico della Russia rispetto all’Europa occidentale. Il fatto è che, per Gramsci, questo elemento soggettivistico e questo elemento volontaristico non si devono tradurre in una forma di dominio dittatoriale sulle masse, viste soltanto come uno strumento passivo per attuare la rivoluzione nella nuova società. Il che credo si possa dire per Lenin. Per Gramsci, invece, il momento volontaristico deve indicare la partenza del movimento rivoluzionario dalla base della società; ed è per questo che Gramsci organizza a Torino i consigli operai. Lei mi dirà che certamente anche Lenin, Plechanov, Lunačarskij, Bucharin e tutti gli altri hanno costituito il soviet… Certamente, questo è vero. Tuttavia la grande differenza sta in ciò: che Gramsci, in carcere, nei suoi Quaderni del carcere, avvia una riflessione nuova, originale. Infatti, c’è in Gramsci un’idea delle masse non come masse di urto, non come masse di manovra, non come strumento della rivoluzione. Da una parte c’è l’avanguardia organizzata e cosciente degli intellettuali, dei militanti, del partito; dall’altra ci sono le masse, che vengono messe in movimento, orientate da questo inizio. E si tratta di un’avanguardia cosciente, che interagisce sugli altri non ancora coscienti, mediante i “Consigli di base”. Mentre Lenin parla di dittatura del proletariato, Gramsci sviluppa questo concetto di egemonia. Ora la dittatura che cos’è? La dittatura è uno strumento di lotta, meglio è una formazione giuridica che prende su di sé tutto il potere e lo fa valere, lo detta. La dittatura vuol dire dettare proprio quel che va fatto. L’egemonia invece è anche una guida, una guida in qualche modo collettiva, collegiale, consiliare; e, quindi è una egemonia che non s’impone alla società, ma la aiuta a diventare consapevole di se stessa e dei propri scopi. Molti mi hanno detto che questa mia concezione dell’egemonia è insostenibile. Gramsci, in realtà, parla di egemonia e di filosofia della prassi e non di marxismo. A rilevarlo è stato soprattutto Louis Althusser, un filosofo marxista francese. Diceva che Gramsci aveva preferito adoperare espressioni “egemonia” e “filosofia della prassi”, al fine di evitare la censura del carcere. Io non lo credo. Gramsci non aveva tutto questo bisogno di nascondersi, perché il sistema carcerario italiano come tutte le cose ita- Antonio Labriola e le scienze sociali 75 liane… No, non era questo. Il fatto è che Gramsci si stava allontanando molto da Lenin. E dentro il Partito comunista italiano ci fu un forte dissenso da lui. Addirittura, pareva che Gramsci potesse essere messo in libertà, ma che Togliatti, da Mosca, non facesse nulla in tal senso. Anche Umberto Terracini fu su una posizione un po’ anarchica… Gramsci, per altro, si collegava anche alla tradizione libertaria italiana, giacché l’Italia è stato il paese in cui, per esempio, Bakunin ha avuto grande successo. I nostri primi socialisti erano anarco–sindacalisti. Il Mussolini della prima maniera era socialista, era anarco–sindacalista. Era molto vicino a Pietro Nenni, che poi, caduto il fascismo, fu riconosciuto capo dei socialisti. Il “caso” Gramsci è molto strano; e, per un chiarimento sul punto che qui interessa, non dimentichiamo la sua radice sarda. Ancora oggi, gli “anarco–insurrezionalisti” (come oggi li chiama il ministro degli interno), vengono dalla Sardegna. In fondo Gramsci era sardo. Ma l’argomento chiama in causa il concetto del potere, duramente legato alla questione della “dittatura del proletariato” e ai relativi snaturamenti politici. Lenin temeva tale esito: tant’è che, in punto di morte, ha cercato di mettere in guardia i suoi compagni verso Stalin. Invece per Gramsci c’è un altro concetto, il concetto di egemonia. Egemonia, che definirei come una sorta di effetto di padronanza, che la società riconosce a se stessa quando ha raggiunto nel suo insieme un certo grado di consapevolezza critica; guidare senza dominare. Quindi: nessun salto, nessuna marcia forzata, nessuna dogmatica indicazione su cosa bisogna fare; altrimenti, non resta che la ghigliottina o la Siberia. Invece no, occorre lasciare che le cose crescano dalla base. […] Togliatti, io ho avuto il piacere di conoscerlo a Torino. Allora ero un giovanotto e lavoravo nei giornali. Togliatti è sempre stato un ottimo burocrate, un funzionario attento, intelligente; lo chiamerei persino una specie di “canonico” della chiesa cattolica. Un cardinale. Ho avuto modo di sentire nella Camera dei deputati i suoi eccellenti discorsi. Era un grande organizzatore e non certo un rivoluzionario. Era un uomo che aveva saputo sopravvivere in circostanze difficili. Ci vuole molta capacità per fare ciò. Ho conosciuto il suo segretario personale, quando faceva la sua rivista, qui a Roma, che si chiamava «Rinascita». Togliatti scriveva con un inchiostro verde… Era un umanista, aveva una buona conoscen- 76 Franco Ferrarotti za dei classici latini, non di quelli greci. Era uomo di cultura. Come del resto Terracini, che era con lui alla nascita del partito comunista, nel gennaio del 1921, a Livorno. Un uomo, un giurista, di finissimo ingegno. Terracini era abbonato ad una piccola rivista, che facevo all’epoca, la «Rivoluzione umana». Terracini aveva una natura anarchica, che lo rendeva molto più aperto di Togliatti. Da libertario, fece scalpore perché, ad un certo punto (mi pare verso 1946–1947, comunque prima del 1950), mise gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sullo stesso piano, definendoli due imperi. Fu molto duramente censurato dal partito. Togliatti fu un uomo molto abile, capace di portare il partito comunista in Italia al massimo della sua forza. Ad un certo punto i comunisti avevano preso circa un terzo dei voti, il 30 per cento. Avrebbero potuto conquistare il potere. Quando Togliatti subì un attentato (uscendo dal Parlamento, uno studente gli aveva sparato due colpi di pistola alla nuca, ma lui sopravvisse), la prima cosa che disse nell’ospedale fu: «non fate sciocchezze, non fate la rivoluzione, state buoni, state tranquilli». Un capo, direi proprio, molto italiano: in Italia si parla sempre di rivoluzione perché nessuno ci crede. Si parla, si parla di rivoluzione, però poi è meglio se la rivoluzione non avviene… «Non fate sciocchezze»: e, difatti, gli operai andarono a cercare i capitalisti, li picchiarono… Però poi, su richiesta di Togliatti, tutto fu messo a posto. Togliatti era anche uomo di una grande forza fisica. Una volta, mentre era in vacanza in Val d’Aosta, ebbe un grave incidente automobilistico. Miracolosamente sopravvisse. Morì anni dopo, in Crimea. Fu un grande ragionatore, molto raffinato. Ma non un rivoluzionario. […] Il comunismo, per un uomo come Togliatti, non dipendeva dalle decisioni nazionali, ma dipendeva dal quadro generale globale. E ad certo punto, la causa del comunismo, della rivoluzione comunista, se aveva un senso per lui, lo aveva solo in quanto si legava all’avvenire, al destino dell’Unione Sovietica. Quando infine l’Unione Sovietica è crollata, i comunisti italiani si sono trovati orfani. I comunisti italiani che oggi si chiamano DS, Democratici di sinistra, non hanno ancora fatto i conti con loro passato. Di ciò li rimprovero, ma senza esagerare. Con gli orfani bisogna essere buoni. Quello che io trovo straordinario in Togliatti è il suo forte senso della continuità; egli era veramente un conservatore. Arriva- Antonio Labriola e le scienze sociali 77 to in Italia a Salerno, la prima cosa che fa, è dire: «Basta, non si fa né la rivoluzione né il comunismo, bisogna mettersi d’accordo con la monarchia». Perché? Perché il primo scopo dell’Italia era liberarsi dal fascismo e dai nazisti, dai tedeschi con tutte le forze. Era la famosa svolta di Salerno. Grande tattico, ebbe tuttavia scarso interesse per la strategia. Però, con questa politica che chiamerei minimalistica, egli ha guidato alla grande il partito comunista. Non c’era un intellettuale che non fosse almeno simpatizzante del partito comunista. I giornali seri, le buone riviste, le case editrici come la Einaudi, erano tutti legati o simpatizzanti con il partito comunista. Alcuni adesso rimproverano cose del genere. Troppo facile. Perché non lo hanno fatto allora? Io lo ho sempre rimproverato. Per esempio, Togliatti votò in Parlamento (è questa l’ultima cosa che voglio dire) l’inclusione nella Costituzione italiana dei patti lateranensi, stipulati dal fascismo con la Chiesa cattolica, l’11 febbraio del 1929. Togliatti firmò, accettò nel Parlamento l’inclusione di quei patti nella Costituzione italiana, il famoso articolo 7 della Costituzione italiana, che indirettamente riconosceva la religione cattolica come la religione dello Stato italiano. Non ci fu una sollevazione contro di lui; ma solo una levata di scudi, da parte della gente come me, ragazzacci o libertari: che dicemmo a chiare lettere «Togliatti ha sbagliato». In realtà, la sua scelta di voto faceva parte di un suo calcolo. Un calcolo, che consisteva nell’addormentare un po’ l’avversario. Non ho mai capito, francamente, se tutta la sua politica fosse o meno una mossa tattica. Una politica, forse, per addormentare un po’ l’avversario. Non a caso, ad un certo punto, proclamò grande statista Giovanni Giolitti: il vecchio Giolitti che, in fondo, era un liberale conservatore, molto ammirato da Croce, nemico della sociologia. Non ho mai capito se tutto questo era per addormentare l’avversario, per poi dargli un colpo mortale. Ma io questo non lo credo. Perché, quando uno ha un simile atteggiamento accomodante con le persone, poi non è più capace di dare una pugnalata. Come fa? Diventa se mai vittima del suo stesso gioco. Anche il partito diventò poi molto grande: perché il Partito comunista italiano, fino ai suoi ultimi tempi, imbarcava persone che non erano comunisti, magari solo vagamente antifascisti. Per riassumere, mentre Gramsci era un grande leader veramente rivoluzionario, Togliatti non lo fu. L’occupazione delle fabbriche a Torino negli anni 1920–1921 era stato un grande fatto; l’«Ordine nuovo» fu un im- 78 Franco Ferrarotti portante giornale di battaglia, perché prendeva le mosse dalla base della società per costruire veramente una società nuova. In Gramsci c’era questa esigenza “di base”, che in Lenin invece non c’era. Anche Togliatti sosteneva, che la nuova società post capitalistica doveva nascere e crescere dalla base della società; non doveva essere imposta come una riforma. Erano le persone che dovevano essere convinte che quella avrebbe potuto essere la società migliore. E questa era una concezione molto diversa del potere. In Lenin vive l’idea di un potere dittatoriale brutale; l’idea dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Per Lenin c’era molta ammirazione in Italia. Indubbiamente, egli fu un uomo incredibile, un rivoluzionario di professione. Per Togliatti, invece, la politica era accomodamento, analisi delle forze in campo, volontà di non correre pericoli, di non scommettere sulla rivoluzione, scommessa troppo pesante. […] Prima di tutto ho avuto la grande fortuna di avere la prima cattedra di Sociologia in Italia, come conseguenza, quasi, della mia lunga polemica contro Croce, il neoidealismo, il marxismo staliniano, il diamat, eccetera. E tutti pensavano che avendo la cattedra, mi sarei messo tranquillo, invece no. Perché lo stesso spirito che mi muoveva come critico, un po’ anarchicheggiante, contro l’idealismo, contro il marxismo, contro il cattolicesimo bigotto, diciamo contro la mancanza di libertà, mi muoveva anche contro la sociologia. Io non volevo, cioè, una sociologia di establishment; non volevo essere un sociologo all’americana, che è un tecnico sociale, a cui si domanda di risolvere un problema circoscritto. Io volevo una sociologia in senso ampio, grande, cioè capace di fare le ricerche empiriche molto bene (e questo in America lo fanno); ma anche capace di collegarsi con il pensiero sociale europeo, con la grande tradizione occidentale. Allora, io mi sono trovato ad essere anche contro i sociologi, e perché? Forse perché spiegavo che la sociologia non era sociografia; non bastava, cioè, a descrivere una situazione pratico–inerte; doveva invece condurre ad un’analisi sociologica, che fosse nello stesso tempo accertamento del dato e consapevolezza critica: quindi, accertamento scientifico e trascendimento della situazione. Non bisognava fare la sociologia descrittivistica, che io chiamavo sociografismo demografico e statistico, bisognava fare la sociologia critica. Quella sociologia critica, che non aveva avuto molta fortuna. Gran parte dei sociologi in Italia e Antonio Labriola e le scienze sociali 79 fuori, del resto, sono ancora oggi legati alle istituzioni. Non è un mistero. Come non è un mistero, che io non faccio parte di alcuna istituzione. Io vivo qui, vivo a casa poco lontano da qui, vivo in questa specie di ufficio e faccio la mia rivista. Però, secondo me, la sociologia, quando rinuncia alla sua vocazione critica, rinuncia anche a studiare bene le cose che dovrebbe studiare. Come un raggio di luce entra nello spettrometro e viene suddiviso nei vari colori dell’arcobaleno, così un fatto sociale studiato dalla sociologia dovrebbe non soltanto rivelare le sue caratteristiche di fatto, ma dovrebbe pure rivelare le motivazioni profonde che stanno alla base di esso. In altre parole, per me la sociologia è il tentativo di risalire dal comportamento osservabile alle motivazioni interne, dall’esterno all’interno. E, quindi, scoprire la verità interna sia delle strutture istituzionali sia delle persone. Ecco perché la sociologia deve avere una impostazione multidisciplinare: perché non c’è sociologia senza scienze sociali (antropologia, etnologia, psicologia dal profondo, psicologia sperimentale), senza storia, senza filosofia, ecc. Per me la filosofia è molto importante. Io trovo che oggi i sociologi che s’incontrano ai convegni non hanno letto i classici, sono ignoranti, non ragionano in maniera filosofica, non vanno fino in fondo, non pensano fino in fondo i loro pensieri. E, poi, non leggono, non conoscono la letteratura. La letteratura non è un fatto esornativo; non è neppure un’attività di “rispecchiamento”; la letteratura è la manifestazione dello spirito interiore che muove la gente. Un sociologo che non conosca la letteratura del paese in cui opera, o anche di altri paesi, è finito; non ha basi comparative. Tuttavia, l’obiezione che si fa alla mia posizione qual è? È che, in effetti, questa sorta di impostazione sinottica, globale può comportare un pericolo, cioè il pericolo del dilettantismo, della superficialità, di una specie di parafilosofia che è anche poi una parasociologia. Questo è vero. Lo ammetto. Però, sulla base di questa impostazione sinottica, si può affermare che un tema sociologico preciso da indagare, vada poi indagato in profondità. Esempio: io ho scritto il libro Giovani e droga; è chiaro che ho dovuto interrogare dei giovani drogati. Ma, poi, sono risalito alle famiglie, sono risalito alla cultura da cui provenivano, alla classe sociale. Questo mi ha portato non solo alla sociologia critica, ma alla adozione dei metodi qualitativi: e qui c’è una sorta di congiunzione con il nostro amico Siciliani de Cumis. C’è stata una svolta nella svolta: dunque, prima, sociologia, cattedra di so- 80 Franco Ferrarotti ciologia, sociologia dell’ordine, sociologia ufficiale, sociologia alla sovietica o alla americana, poi, sociologia critica, ma non basta. C’è stata una nuova sociologia qualitativa. Non per negare la quantità; ma per affermare che la quantità viene dopo. In altre parole: prima, se voglio capire, poniamo, l’industrializzazione, devo parlare con coloro che la vivono — con gli operai. Non devo immaginare io per loro ideologicamente. Quando loro mi hanno parlato, ho raccolto questo materiale, queste storie di vita. Io le ho analizzate bene. E dall’analisi qualitativa dei problemi, così come sono state vissuti dalle persone–soggetti della ricerca, scaturisce che il soggetto della ricerca non è il ricercatore, ma le persone. Sono loro che fanno la ricerca. Il ricercatore, anzi, è anche lui un ricercato. Allora finalmente, dal complesso delle testimonianze tra osservazioni sistematiche e dati empirici, io posso ricavare, se va bene (ma non sempre va bene), delle ipotesi di lavoro. Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola. Centenari significativi∗ Remo Fornaca È tutto da leggere e da consultare il grosso volume–catalogo dedicato a Antonio Labriola e la sua Università, curato con la dedizione e la competenza proprie di Nicola Siciliani de Cumis. La presenza della qualità e della quantità di interventi, documentazioni, riflessioni, apparati iconografici sono uno stimolo a riconfrontarsi con un grande esponente della cultura e della vita civile e politica italiana ed internazionale e, nello stesso tempo, con un periodo storico quanto mai significativo sotto tutti i punti di vista. La compresenza celebrativa dei settecento anni della «Sapienza» (1303–2003) e del centenario della morte di Labriola (1843– 1904), oltre che un atto dovuto, è anche la viva testimonianza della sua fervida attività accademica come docente di filosofia morale, pedagogia, filosofia della storia e come attivo studioso dei problemi dell’Università, della scuola, dell’istruzione popolare, delle scienze dell’educazione, secondo prospettive non contingenti, ma con una serie meditata di approfondimenti1. C’è da aggiungere, e non è credo una nota a margine, che non tutti i conti con Labriola siano stati fatti, anche in rapporto a quanto è stato detto e scritto su di lui e sui dibattiti e orientamenti contemporanei. Per questo ci preme dare spazio, sia ad alcune sintesi contenute nel volume, sia ad alcuni dei riscontri a cui i diversi e sempre molto documentati interlocutori fanno riferimento. Siciliani de Cumis è molto esplicito: «Il Labriola, dunque, che filosoficamente parlando nasce e muore hegeliano, pur aprendosi variamente nel corso della vita, ma sempre dall’interno del “principio dell’hegelismo”, allo herbartismo, al “positivo” dei positi∗ In «I problemi della pedagogia», settembre–dicembre 2005, nn. 5–6, pp. 535–543. Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. 1 82 Remo Fornaca visti, all’empirismo di linguisti, psicologi, economisti, sociologi, statistici, naturalisti, e quindi all’esperienza pedagogica nella sua organicità, complessità e scientificità. Il Labriola delle “preformazioni” e delle “neoformazioni” storiche e sociali, che incidono dialetticamente sull’individuale e sul collettivo, o come egli preferisce, geneticamente, dunque, morfologicamente, sullo psicologico, sull’economico, sull’etica, sull’educativo e sul politico–sociale»2. Una sintesi condivisibile e molto efficace che fa giustizia di posizioni datate e tiene giustamente conto delle presenze e dei confronti sociali, politici, culturali, filosofici, pedagogici, educativi prima e dopo l’avvento della sinistra storica in Italia, dei vecchi e nuovi movimenti culturali in Italia, in Europa e nell’ambito internazionale. Recensendo la Storia della pedagogia italiana – P. II – Dal secolo XVI a dì nostri di Emanuele Celesia su la «Nuova Antologia» (1874), Labriola aveva scritto: «Perché purtroppo in Italia la scarsa letteratura nazionale di opere pedagogiche e la poca diffusione delle opere straniere hanno resa larga, perché imprecisa, la nozione di pedagogia»3. Una convinzione che coincide con le posizioni assunte da Labriola nei confronti della Legge Casati (1859), ma anche dei tentativi innovativi della Legge Coppino (1877) e delle variegate posizioni politiche, filosofiche, pedagogiche, storiche e storiografiche, scientifiche espresse e maturate nella seconda metà dell’Ottocento e diventate dirimenti proprio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e tali da aver caratterizzato molta parte di questo secolo. Le esplicitazioni autobiografiche di Labriola sono da mettere in correlazione alla necessità di precisare nei confronti di diffuse ed emergenti critiche momenti ed aspetti della propria formazione e delle proprie e motivate scelte: «Per fortunate contingenze della mia vita, io avevo fatto N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 27–39, 28; ID., Antonio Labriola critico della cultura del suo tempo. I concetti, le parole, i segni, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 103– 109; A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981. 3 A. LABRIOLA, Storia della pedagogia italiana. P. II – Dal secolo XVI a dì nostri, in «Nuova Antologia», 1874, pp. 527–528, ora in: ID., Ricerche sul problema della libertà e altri scritti di filosofia e di pedagogia (1870–1883), a cura di L. Dal Pane, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 305–306. 2 Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola 83 la mia educazione sotto l’influsso diretto e genuino dei due grandi sistemi, nei quali era venuta al termine suo la filosofia, che oramai possiamo chiamare classica; e ossia dei sistemi di Herbart e di Hegel, nei quali era arrivata all’estremo delle conseguenze l’antitesi tra realismo e idealismo, tra pluralismo e monismo, tra psicologia scientifica e fenomenologia dello spirito, tra specificazione dei metodi e anticipazione di ogni metodo nella onnisciente dialettica. Già la filosofia di Hegel aveva messo a capo nel materialismo storico di Carlo Marx e quella di Herbart nella psicologia empirica, comparata, storica e sociale»4. Labriola, come risulta da molti interventi presenti nel volume, fu sempre molto attento ai problemi relativi ai processi cognitivi, ai termini, ai linguaggi, all’epistemologia, ai metodi di ricerca, di documentazione e interpretazione, al significato di scienza, ai rapporti interdisciplinari e relative differenze. Torneremo sulla proposta e sull’uso del termine e della terminologia “critica” da parte di Labriola; efficace la sua contrapposizione al verbalismo, al fraseologismo, al formalismo, all’ideologismo, alle sofisticherie, alle imprecisioni terminologiche, di contro alla chiarezza dei linguaggi, alla definizione dei concetti, al dialogo, alla necessità di non “chiudersi in un sistema come in una sorte di prigione”5. I rapporti di Labriola con la cultura ed in particolare con quella storica, sociale, economica, filosofica, pedagogica, scientifica sono articolati e coerenti; da Socrate a Spinosa, da Galilei a Newton, dall’empirismo all’illuminismo, da Kant a Hegel a Herbart a Marx, dal naturalismo ingenuo al positivismo fino alle soglie del neopositivismo, al neoidealismo, alla “filosofia di privato uso ed invenzione” di Nietzsche e di Hartmann le riflessioni ed i confronti riguardano le modalità di concettualizzazione, il ruolo dell’esperienza, i limiti del pensiero puro e delle categorizzazioni artificiali, le differenze tra evoluzione e progresso ed in particolare il modo di concepire la scienza. Un problema quest’ultimo che sarà dirimente, specie in Italia, alla fine dell’Ottocento ed all’inizio del Novecento all’interno del positivismo e nelle impostazioni di Croce e A. LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, a cura e con introduzione di E. Garin, Bari, Laterza, 1965, pp. 241–242; ID., Saggi sul materialismo storico, a cura di V. Gerratana e A. Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1977; ID., Scritti politici 1886–1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970. 5 SICILIANI DE CUMIS, Il criterio “morfologico” secondo Labriola, cit., p. 28. 4 84 Remo Fornaca di Gentile. Lo preoccupava la naturalizzazione della storia ma non meno la costruzione di apparati filosofici e pedagogici avendo come riferimento singole discipline. Riprendeva ancora nel 1902: «Qui non siamo nel campo della fisica, della chimica o della biologia; ma cerchiamo soltanto le condizioni esplicite del vivere umano, in quanto non è semplicemente animale»6. Criticava «l’illusione dell’ordine naturale» ed insisteva sulla necessità di «mettere il pensiero scientifico in servizio del proletariato»7. Aggiungeva: «La nostra dottrina non pretende di essere la visione intellettuale di un gran piano o disegno, ma è soltanto un metodo di ricerca e di concezione»8. Molto citata è la sua affermazione: «Le idee non cascano dal cielo e anzi, come ogni altro prodotto dell’attività umana, si formano in date circostanze, in tale precisa maturità di tempi, per l’azione di determinati bisogni, e pei reiterati tentativi di dare a questi soddisfazione, e col ritrovamento di tali o tali altri mezzi di prova, che sono come gl’istrumenti della produzione materialistica della storia»9. Le idee, insisteva, germogliano dal terreno delle necessità sociali, come i caratteri, le tendenze, i sentimenti, le volontà, le forze morali10. In queste e tante altre affermazioni è da cogliere il significato che Labriola attribuiva al “materialismo storico” aggiungendo (20 giugno 1897) che «il materialismo storico, come è la filosofia della vita e non delle parvenze ideologiche di questa, sorpassa l’antitesi dell’ottimismo e del pessimismo; perché ne supera i termini comprendendoli»11. Metodo genetico e approfondimento critico s’intersecano; compito del filosofo è di essere critico della conoscenza, del pensiero, della società, dell’economia, della politica, delle concezioni pedagogiche, dei diffusi pregiudizi ed in termini più immediati del volontarismo, dell’utopismo, delle mitologie filosofiche. Criteri che applicava anche nei confronti del socialismo utopistico; il comunismo «cessa d’essere speranza, aspirazione, ricordo, congettura, o ripiego»12 e diventa «coscienza della LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit. p. 63. Ivi, p. 49. 8 Ivi, p. 85. 9 Ivi, p. 97. 10 Ivi, p. 110. 11 Ivi, p. 251. 12 Ivi, p. 9. 6 7 Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola 85 propria necessità; cioè nella coscienza di esser l’esito e la soluzione delle attuali lotte di classe»13. L’attenzione è rivolta all’approfondimento delle strutture economiche, alle nuove rivoluzioni sociali, alla consapevolezza storica, agli intenti razionali, alle innovazioni scientifiche14. Borghesia e proletariato, «l’uno e l’altra sono il risultato di un processo di formazione, che tutto poggia sul nuovo modo di produrre i mezzi necessari alla vita; cioè tutto poggia sul modo della produzione economica»15. Fattori, situazioni economiche, sociali, storiche che portano Labriola a far coincidere la prospettiva economica con quella etica quando sottolinea «il postulato della solidarietà contrapposto all’assioma della concorrenza»16. Si tenga sempre presente che Labriola è convinto che i conti debbono essere fatti con una pluralità di società, di classi, di gruppi sociali “organizzati” e istituzionalmente costituiti, e che «la relatività delle leggi economiche era scoverta; ma al tempo stesso era riconfermata la loro relativa necessità» (7 aprile 1895)17. Così dicasi della cultura (“nella quale, appunto gli idealisti ripongono la somma del progresso”): «La maggior parte degli uomini, per la qualità delle cure e delle occupazioni in cui attende si trova ad essere come di individui disgregati, fatti in pezzi, resi incapaci di uno sviluppo completo e normale. Alla economica delle classi, ed alle gerarchie delle situazioni sociali, risponde la psicologia delle classi… Le macchine, che segnano il trionfo della scienza, divengono, per le condizioni antitetiche della compagine sociale, gli istrumenti da proletarizzare milioni e milioni di già liberi artigiani e contadini»18. Ben distanti e se ne capisce anche il motivo restano le posizioni di Croce e di Gentile sia quando si confrontano con il materialismo storico, sia quando propongono i distinti (Croce) o la dialettica di arte, religione, filosofia (Gentile); una differenza, diciamolo subito, che ha riguardato l’impostazione e la realizzazione della politica scolastica (specie Gentile) ed il rapporto tra filosofia e pedagogia con il misconoscimento di quest’ultima da parte Ivi, p. 9. Cfr. G. GIARRIZZO, Labriola: La critica della società e della politica, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 97–103. 14 LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 18 e sgg. 15 Ivi, p. 19. 16 Ivi, p. 328. 17 Ivi, p. 52. 18 Ivi, p. 86. 13 86 Remo Fornaca di Croce e con la coincidenza, quasi l’inchiodatura, tra filosofia e pedagogia di Givanni Gentile, con l’annesso sistematico attacco, a partire non solo dal 1900, alla pedagogia ed alla psicologia herbartiana e la proposta di un concetto della pedagogia scientifica che tutto era tranne che scientifica19. Non sono queste considerazioni a margine perché Labriola non sta al gioco delle parole, pretende l’esplicitazione delle impostazioni e delle interpretazioni (anche in questo la sua attualità è fuori dubbio), specie quando, tra l’altro, sono in discussione le questioni relative alle concezioni dello Stato, ai rapporti tra Stato e Chiesa, alle implicazioni del diritto alla cittadinanza, alla rappresentatività, al ruolo del Parlamento. Quanto mai precisa è la sua attenzione alla storia del diritto, all’ideologia del diritto naturale, al diritto romano, al diritto canonico, alle costituzioni (da chi, in che modo sono scritte, con quali finalità). Le questioni relative all’insegnamento della religione nelle scuole (la sua è una panoramica internazionale), al divorzio, sono importanti, però vanno rapportate all’identità ed al ruolo delle forze sociali e delle istituzioni: «Ogni diritto fu ed è la difesa, o consuetudinaria, o autoritaria, o giudiziaria, di un determinato interesse; e di qui alla riduzione all’economia non c’è che un passo»20. In un periodo storico e culturale che si avviava all’avvento del movimento modernista Labriola (2 luglio 1897) a proposito del cristianesimo scriveva: «Il problema più grave e più scabroso in tutta la storia del cristianesimo è appunto questo: d’intendere, cioè come dalla setta degli assolutamente eguali sia nata, nel termine di men che due secoli, una associazione di differenziati per gerarchia, in guisa, che da una parte sta il popolo dei credenti e dall’altra stanno gl’investiti di potestà sacra. Questa differenziazione gerarchica si completa col dogma, il che vuol dire con un dettame, che sopprime la immediatezza del credere nei singoli fedeli quale fatto di personale vocazione… Ciò che io vedo chiaro è solo questo; che il cristianesimo, che nel suo complesso è la religione dei po- B. CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica (1900), Bari, Laterza, 1961; G. GENTILE, La filosofia di Marx, Pisa, 1899; ID., Il concetto scientifico della pedagogia (1900). Cfr. R. FORNACA, La pedagogia filosofica del ‘900, Milano, Principato, 1993. 20 LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 123. 19 Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola 87 poli fino ad ora più civili, non lascerà luogo dopo di sé ad alcun’altra religione nuova. Chi d’ora innanzi non sarà cristiano, sarà irreligioso»21. Altre due importanti costanti: la laicità ed il panorama internazionale. Una laicità che non gli impedisce, anzi lo sollecita a studiare il ruolo delle religioni sotto l’aspetto sociale ed istituzionale in Europa e specie nel mondo anglosassone. Un panorama internazionale presentato alla luce della diffusione della tecnica e del mercato: «Se la tecnica moderna può portarsi da ogni dove, se tutto l’uman genere apparisce come un solo campo di concorrenza, e tutta la terra come un solo mercato, che meraviglia c’è se la ideologia, che codeste condizioni di fatto intellettualmente riflette, è venuta nell’affermazione, che la presente unità storica sia stata preparata da tutto ciò che la precede?»22. La sua impostazione educativa, pedagogica, scolastica è strettamente legata alla molteplicità dei problemi individuati, fatti emergere, approfonditi alla luce di una situazione umana molto complessa. Alcune citazioni esemplari: «Perché il genere umano, nel rigido corso del suo divenire, non ebbe mai tempo e modo di andare a scuola da Platone o da Owen, da Pestalozzi o da Herbart. Anzi ha fatto come gli è stato forza di fare. Gli uomini, che presi in astratto sono tutti educabili e perfettibili, si son perfezionati ed educati sempre quel tanto, e nella misura che essi potevano, date le condizioni di vita in cui è stato loro necessità di svolgersi. Se mai, questo è appunto il caso in cui la parola ambiente non è metafora, e l’uso del termine accomodazione non è di traslato»23. Si confrontava con le posizioni di quando «la psicologia non era ancora una scienza», quando «gli spiritualisti di ogni maniera potevano sbizzarrirsi a fare dell’io l’attributo extratemporale di uno spirito sovrastante ad ogni genesi, quando gli idealisti che ripetevano Fichte potevano far dell’io una trascendente autoposizione, o il noi non si affacciava, o si presentava nella immaginazione di un preteso spirito collettivo ed extraindividuale… Ma questi individui, venendo al mondo, non si svolgono come isolati subbietti di fronte alla natura e nella natura soltanto. Si svolgono LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 274. Problemi già affrontati in Morale e religione (Napoli, Tip. Ferrante, 1873) e in Della libertà morale, (Napoli, Tip. Ferrante, 1873). 22 LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, cit., p. 147. 23 Ivi, p. 128. 21 88 Remo Fornaca nella cerchia sociale che determina in ciascuno di essi caratteri omogenei, che sono appunto il prodotto di tale correlatività sociale. Un certo modo di parlare, un certo ritmo di sentimento, certe comuni fantasie, e soprattutto la imitazione delle funzioni operative»24 (1902–1903). Del resto era stato molto esplicito quando aveva affermato: «C’è una pedagogica, direi individualistica e soggettiva, la quale, supposte le condizioni generiche della perfettibilità umana, costruisce delle regole astratte, per mezzo delle quali gli uomini che sono in via di formazione sarebbero condotti ad essere forti, coraggiosi, veritieri, giusti e benevoli, e così via per tutta la distesa delle virtù cardinali e secondarie»25. Emerge ancora una volta la critica alla pedagogia ingenua, alla pedagogia superficialmente utopistica, allo scientismo utopistico ed il richiamo ad Herbart, alla sua attenzione all’ambiente, alla società, ai ruoli sociali, alla divisione del lavoro ed alla sua tesi che «è raro che uno si formi in conflitto con la sua condizione, e comunque mai indipendentemente da essa»26, con la conseguente messa in discussione sia delle impostazioni metafisiche, sia dei criteri di condotta dettati da impostazioni razionali astratti a fronte della pluralità degli interessi, delle situazioni reali e dei correlati valori di libertà, diritto, equità, dignità umana27. Nel corso del volume curato da Siciliani de Cumis sono ampiamente documentate le tesi e le posizioni assunte nei confronti dei sistemi e modelli scolastici europei, americani in termini non solo descrittivi ma comparativi, statistici con il confronto, altrettanto sistematico con il siIvi, p. 312. Ivi, p. 128. 26 J.F. HERBART, Manuale di psicologia, a cura di I. Volpicelli, Roma, Armando, 1982, p. 99. I. VOLPICELLI, Antonio Labriola: cento anni dopo (1904–2004), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 42–46; ID., Antonio Labriola e lo herbartismo, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 204–207; ID., Herbart e i suoi epigoni. Genesi e sviluppo di una filosofia dell’educazione, Torino, UTET Libreria, 2003 (in particolare: L’herbartismo di Antonio Labriola, pp. 93–113); G. CIVES, Ignazio Volpicelli, lo herbartismo e Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 124–135. 27 HERBART, Manuale di psicologia, cit., p. 9 e sgg.; ID., Introduzione alla filosofia, Bari, Laterza, 1927, p. 256 e sgg.; ID., Lezioni di pedagogia, Roma, Armando, 1971; B. BELLERATE, La pedagogia di J.F. Herbart. Studio storico introduttivo, Roma–Zürig, PAS– Verlag, 1970; di Bellerate vedere anche l’intervento in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 120–122. 24 25 Riflessioni e documentazioni di e su Antonio Labriola 89 stema scolastico italiano, con le nostre scolette popolari, con il diffuso analfabetismo, con la presenza di condizioni economiche drammatiche, con una borghesia apparentemente liberale, con la presenza di un ceto contadino al limite della sussistenza, con la questione meridionale, con la scarsa sensibilità nei confronti dei bisogni dell’infanzia e dei diritti delle donne. Nelle sue relazioni sulle visite alle scuole (specie le scuole normali) si soffermava sulle carenze ambientali, fisiche, culturali, metodologiche; da rileggere sono le sue annotazioni sulle Conferenze pedagogiche e sulla discrepanza tra il volare alto e la scarsa attenzione alle difficoltà di fondo, anche se non manca di mettere in evidenza la tensione civile di molti insegnanti. La diffusa ed auspicata richiesta dell’intervento dello Stato e degli Enti locali è giudicata in base alla effettiva realizzazione di una partecipazione democratica e popolare di contro ad un centralismo egemone, burocratico, fiscale. Così dicasi delle relazioni sui concorsi universitari, sulle condizione dell’Università, sull’auspicato accesso delle donne all’Università, su un’Università aperta alla cultura e a tutte le persone ad essa interessate, sul considerare i giovani universitari persone, uomini e non degli educandi, sulla libertà di pensiero, di insegnamento, sulla ricerca, sul dubbio, sull’eliminazione dello scolasticismo, dell’astrattismo28. Forse mi sono dilungato, ma il volume curato da Siciliani de Cumis merita molto di più sul piano, dicevo, della qualità e della quantità di interventi, documentazioni, riscontri, riferimenti ed apparati bibliografici riferiti a Labriola, all’Università di Roma, secondo prospettive ed orizzonti molto ampi e tali da presentarsi come uno strumento di consultazione, di informazione, di stimolo per chi si è interessato, si interessa e studia il corrispondente periodo storico e vuole ulteriormente dipanare e capire la complessità dei problemi, dei confronti la cui incidenza arriva N. SICILIANI DE CUMIS, Rileggendo “L’università e la libertà della scienza” di Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 399–408; ID., Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 174–184. Di Labriola vedere, oltre ai già citati Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis: Pedagogia e società. Antologia degli scritti educativi, introduzione di D. Marchi, Firenze, La Nuova Italia, 1970; Scritti di pedagogia e politica scolastica, a cura di D. Bertoni Jovine, Roma, Editori Riuniti, 1974. 28 90 Remo Fornaca ai nostri giorni, come hanno testimoniato le Mostre Documentarie (Roma, 8 marzo–25 aprile 2005). Antonio Labriola nel centenario della morte Vincenzo Gabriele In questa sede non posso omettere di segnalare gli eventi, gli inediti e le nuove metodologie di ricerca che negli ultimi dieci anni hanno acceso i riflettori su una personalità come quella di Antonio Labriola, che tanto ha condizionato e condiziona non solo la vita della Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza»; ma anche la nostra cultura nazionale, in una prospettiva internazionale. In tale ottica, vorrei concentrare l’attenzione su uno degli eventi più significativi del centenario della morte di Labriola. Intendo dire il catalogo a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), Roma, Aracne, 2005: un’opera realizzata con l’ausilio di Istituzioni, Biblioteche, Archivi, Corsi di Laurea e mediante gli autorevoli apporti scientifici di studiosi di Labriola, nonché sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. Le mostre, cui il catalogo si riferisce, si sono tenute dall’8 Marzo al 25 Aprile 2005 presso l’Archivio Centrale dello Stato, l’Archivio di Stato di Roma e la Biblioteca della Facoltà di Filosofia; ed hanno segnato un punto importante sullo stato delle ricerche e sulla fortuna di Labriola: ma, soprattutto, hanno messo in luce nuovi documenti, che testimoniano quanto ancora c’è da studiare e conoscere su una figura tanto polivalente quale Labriola. Il “Catalogo Labriola” si presenta pertanto come una sintesi di un po’ tutto lo “scibile” sull’autore, costituendo non solo uno strumento, forse unico ad oggi; ed essenziale, per chi volesse conoscere, approfondire e per così dire ripercorrere i sentieri labrioliani attraverso autori, testi, eventi, simposi e immagini assai preziose. Di più ― cosa forse più originale ―, il catalogo rappresenta il tentativo di far conoscere Labriola, attraverso la collaborazione anche di giovani studiosi e di studenti, per l’appunto agli stessi studenti di un’università di massa. E prova lo sfor- 92 Vincenzo Gabriele zo di penetrare la psicologia di una personalità complessa qual è quella di Labriola; di attingere alla sua ideologia e, nel contempo, di scorgerne le evoluzioni formative, dall’interno di un contesto culturale più ampio. È proprio nella logica di una siffatta metodologia di ricerca e temperie universitaria, che si spiega il contributo di importanti studiosi labrioliani, anche al mio libro in preparazione1. Un libro che, benché da me rivisto ed integrato in più punti, non è che il testo di una tesi di laurea “vecchio ordinamento”; la quale si propone di essere niente altro, che uno strumento di lavoro per percorsi possibili di studio ulteriore, da affiancare agli altri dello stesso e di diverso genere. Alla luce dei nuovi “fatti scientifici e didattici” per il centenario della morte di Labriola (oltre alle mostre della «Sapienza» e al catalogo, ricordiamo il convegno di Cassino del 2004, l’edizione dell’epistolario a cura di Stefano Miccolis, le nuove tesi di laurea, ma anche l’inizio di catalogazione dell’intero Fondo Gentile e l’acquisizione di nuovi fondi da parte della Biblioteca di Filosofia, il ritrovamento di nuovi documenti quali lettere e registri del vecchio Museo di Istruzione, ecc.), appare ancora più chiaramente come la tesi–libro non sia che l’inizio di un discorso appena avviato. E che si spera di poter proseguire. Argomento del libro: la rivista «Giornale critico della filosofia italiana», dalla fondazione agli anni Duemila, dal punto di vista del suo contributo ai temi e ai problemi della pedagogia, dell’educazione, della scuola e della didattica. 1 In occasione del centenario labrioliano∗ Norberto Galli L’opera, in grande formato, onora anzitutto la Facoltà di Filosofia dell’Università «La Sapienza». Essa pone a disposizione degli studiosi una vasta documentazione per festeggiare il centenario di Labriola, che in tale università insegnò per molti anni, dal 1874 al 1904. Tale ricorrenza è stata ricordata in occasione delle celebrazioni per i settecento anni della «Sapienza», con la specifica partecipazione della Facoltà che lo ebbe cattedratico. L’impegnativo lavoro si compone di quattro sezioni. Nella prima, dopo un lungo ingresso, in cui si parla di Labriola, cento anni dopo la scomparsa, delle vicende edilizie del palazzo della «Sapienza» e delle «Grandi scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia», si riportano le relazioni e gli interventi del Convegno, svoltosi nella Facoltà di Filosofia, nei giorni 2 e 3 febbraio del 2004. Essi sono preceduti dalla «Relazione ufficiale in Parlamento» (Montecitorio) del prof. F. Tessitore, sul tema: «Antonio Labriola e la libertà della scienza», una sorta di analisi della prolusione di costui per l’anno accademico 1896, pronunciata il 14 novembre. I contributi presentati sono di grande interesse per il fatto di riferirsi alla molteplicità degli aspetti della personalità, della cultura e dell’attività di Labriola. Nella seconda parte si affrontano aspetti particolari concernenti la sua filosofia, autori di riferimento come Herbart, l’incontro con giovani in formazione come M. Montessori; aspetti pedagogici circa la formazione nell’ottica dell’«accomodazione» o l’educazione come fattore di trasformazione. Queste prime due parti sono essenziali per la conoscenza di Labriola nel suo tempo e per l’eredità di pensiero che ci ha lasciato. Nella terza parte, dedicata a «Percorsi: la mostra, le mostre su Antonio Labriola e la sua Università», si presenta una raccolta documentaria di scritti, commenti, fotografie sia sull’Università in cui Labriola ha insegnato, sia sul suo pensiero, la sua attività docente e didattica, sia ∗ Pubblicato in «Pedagogia e Vita», n. 1, gennaio–febbraio 2006, p. 150. 94 Norberto Galli su giudizi e personalità che lo hanno conosciuto come G. Calogero, E. Garin. Per A.G. Ricci la mostra ha un suo alto interesse per vari motivi: essa impiega tra l’altro una «cospicua documentazione in gran parte inedita». Nella quarta, avente per oggetto «Momenti e moventi», si pongono in luce aspetti personali di Labriola, concernenti ad esempio la famiglia di provenienza, la formazione ricevuta al «Principe Umberto» di Napoli, le difficoltà incontrate in varie commissioni per l’insegnamento universitario, i giudizi da lui espressi in qualità di ispettore didattico nelle scuole normali, la sua presenza nei documenti della Fondazione Istituto «A. Gramsci». Tra l’altro, si ricorda la lingua di Labriola nel grande dizionario di T. De Mauro; si auspica inoltre un archivio per la documentazione on line in suo onore. Sfogliando il volume, l’autore che maggiormente ricorre è N. Siciliani de Cumis. Egli è sempre presente con scritti, precisazioni, nuove interpretazioni. Labriola, del resto, ha osservato G. Sasso, «è il suo autore» (p. 109) e M. Olivetti lo ha riconosciuto «tra i massimi studiosi contemporanei» di lui (p. 17). Nel lungo e paziente lavoro di preparazione del centenario e dell’allestimento della Mostra, egli ha svolto una funzione «ideativa, propulsiva, attuativa» di primo piano. Per questo, tutti gli esprimono riconoscenza, innanzitutto la Facoltà di Filosofa gli manifesta «profonda gratitudine». Socialista fuori concorso∗ Tullio Gregory La principale — forse unica — utilità delle celebrazioni per i centenari di personalità di primo e secondo piano della nostra storia nazionale, è quella di offrire occasione per nuove ricerche storiche, soprattutto per riedizioni di opere rare, per la pubblicazione di scritti inediti e di documenti d’archivio. È il caso felice delle celebrazioni per il centenario della morte di Antonio Labriola (1904–2004), solennemente inaugurate in Parlamento alla presenza del Capo dello Stato: è stata l’occasione per un’originale raccolta di studi e una ricca Mostra documentaria con un massiccio catalogo, tutto a cura di Nicola Siciliani de Cumis che del Labriola è assiduo e acuto studioso. Con lui hanno collaborato illustri autori — da Ferrarotti a Tessitore, da Sasso a Giarrizzo, da Olivetti a Manacorda, per dir solo di alcuni — e istituzioni come la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», l’Archivio Gentile, l’Archivio di Stato di Roma e l’Archivio Centrale dello Stato. Tessitore ha aperto le celebrazioni in Parlamento prendendo le mosse dal famoso discorso di Antonio Labriola su «L’Università e la libertà della scienza» pronunciato in apertura dell’anno accademico 1896–97: discorso del quale Tessitore analizza i tratti salienti, collocandolo nell’evoluzione del pensiero labrioliano, nella situazione storica di quegli anni e sottolineandone l’attualità per l’analisi critica dell’università e per la delineazione dei compiti del professore nella formazione culturale e civile del paese. Chiara in Labriola la consapevolezza che «la libertà del conoscere garantisce la vita, perché questa non è fondata da qualcosa o da qualcuno ma si autofonda grazia all’agire responsabile dell’uomo individuo, degli uomini associati, che, vichianamente, fanno la storia e la conoscono. Credo — conclude Tessitore — sia questa l’ultima parola di Labriola che, in tal modo, mostrava di avvertire, pur embrionalmente, i ∗ Pubblicato in «Il Sole 24 Ore/Domenica», n. 194, 17 luglio 2005, p. 35. 96 Tullio Gregory termini costitutivi della società contemporanea comprensibile solo se si sappia seguire la drammatica dialettica i cui poli sono Carlo Marx e Max Weber, l’uno così presente in Labriola, l’altro del tutto ignorato e pure presentito dalla sua intelligenza critica libera e spregiudicata». Questo discorso di Labriola, sulla cui importanza insiste ancora Nicola Siciliani de Cumis, costituisce il filo rosso di tutto il volume della Mostra, a conferma di quanto per Labriola la scuola, l’Università, il mestiere del professore, fossero importanti per la crescita della società civile e la formazione della nuova Italia. Di qui le assidue dure frecciate contro tanti colleghi, tutti emblematicamente riassunti nella figura di «quel certo filosofo, vilissimo […] inconcludente ciarlatano […] neo commendatore e […] lustrascarpe di ministri». Si ricordi peraltro il giudizio su Spencer e i sociologi suoi seguaci: è indispensabile «non dare ragione a quel cretino del signor Spencer, che facendo della cattiva metafisica senza saperlo (i primi principi!), lui hegeliano, anzi pseudo hegeliano senza genialità, lui inventore di metafisica che vorrebbe parere concetti, gracida contro la metafisica». Toni polemici, frequenti in Labriola, manifestazione di una forte personalità, consapevole del proprio dovere di uomo di cultura e di cittadino. Ma forse ancor più interessante in questo volume — al di là dei molti puntuali contributi — la pubblicazione di numerosi nuovi documenti, rinvenuti in vari archivi, inerenti tanto all’attività politica di Labriola, quanto a quella di professore universitario. Su quest’ultima insiste il volume seguendo Labriola nella quotidianità dell’insegnamento, nei suoi rapporti con gli studenti, negli interventi ai Consigli di Facoltà, attenti sempre alle esigenze di una migliore strutturazione dei curriculi universitari (in una università certo assai più rigorosa dell’attuale, miseramente ridotta, salvo rarissime eccezioni, a regno della mediocrità, delle carriere automatiche, dei “crediti” per fare spazio a una pletora di docenti e per impedire lo studio di opere troppo voluminose). Notevole la sua attenzione ai concorsi universitari. Qui un suo giudizio su Giovanni Gentile (allora ventottenne), che partecipava al concorso di filosofia teoretica a Palermo, nel 1903: «il Gentile — scrive Labriola nel profilo del concorrente — si professa rappresentante della rinascita dell’idealismo, e con ciò intende di dire che si torni ad Hegel sic et simpliciter. Così si manifesta nella sua produzione, nei proemii alle ristampe Socialista fuori concorso 97 degli scritti dello Spaventa, e in qualche opuscolo di polemica segnatamente con il Varisco. Del resto le sue pubblicazioni più importanti sono di storia della filosofia; e in queste la preoccupazione speculativa cede il posto alla ricerca erudita, all’analisi delle fonti, all’esposizione obiettiva. Fra i titoli esibiti dal Gentile non ve ne è alcuno di strettamente dottrinale nel senso di ciò che occorre a documentare la preparazione diretta ad insegnare la filosofia teoretica». Il concorso fu vinto da Cosmo Guastella. In tema di concorsi, interessante la documentazione per uno di estetica del 1902: commissario e relatore era Benedetto Croce (non professore). A lui Antonio Labriola (non commissario) scriveva: «ho piacere che verrai in Roma per la commissione di così detta Estetica, perché avrò l’occasione di averti sottomano per qualche giorno. Penso però che tu devi a priori negare la legittimità a qualunque concorrente, se vuoi essere fedele al tuo libro [poco prima Benedetto Croce aveva pubblicato la sua Estetica]. Mi dicono che nella Commissione entri Villari e Barzellotti. Bisogna proprio dire che è una commissione non–bella: ma la tua Estetica non è legata al bello». Il concorso andrà deserto e nessuno fu dichiarato vincitore, con questa motivazione, scritta da Benedetto Croce: «un insegnante di estetica dovrebbe riunire queste due parti: 1) una solida conoscenza della teoria estetica, rafforzata dalla conoscenza precisa del modo in cui essa teoria si è svolta nella prassi generale del pensiero e della filosofia; 2) la padronanza di un tal materiale di storia delle arti e della letteratura che, non potendo essere mai per ogni parte eguale e completa, non fosse però, in nessun caso, esclusivamente letterario. A questo modello nessuno dei concorrenti dichiarati eleggibili risponde pienamente; ma alcuni di essi potrebbero rispondervi in seguito. È evidente che il concorso, bandito per una cattedra che da circa un ventennio era stata vacante, li ha colti non del tutto preparati; e nella medesima condizione si sono trovati forse altri, che non han concorso, ma che potrebbero farlo, ove la cattedra non venisse coperta e il concorso fosse rinnovato di qui a qualche anno, con speranza di un vantaggio per gli studi che ora non si raggiungerebbe di certo». Tempi felici e onesti quelli in cui un concorso poteva andare deserto e nessuna facoltà poteva, come avviene oggi, designando un proprio commissario, imporre di fatto il proprio candidato, favorendo spesso il «cre- 98 Tullio Gregory tino locale», la cui «irresistibile ascesa» è stata argutamente delineata da Pietro Rossi in un’autorevole rivista bolognese. Antonio Labriola e la sua Università∗ Emiliano Macinai Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, nella mattinata del 2 febbraio 2004 si sono svolte in Montecitorio le Celebrazioni per i cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1843–1904). Sono intervenuti docenti dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» e sono state presentate diverse iniziative e i risultati più significativi dei lavori condotti da alcune scuole superiori di Roma, a partire dal liceo «Labriola». Contestualmente all’incontro in Parlamento, sono quindi iniziati i lavori di un interessante seminario di approfondimento, che si è svolto nell’arco di due giornate presso il Dipartimento di Ricerche storico–filosofiche e pedagogiche di quella che per trent’anni è stata l’università dove ha insegnato lo stesso Labriola. Antonio Labriola e la sua Università: questo non a caso era il titolo del convegno che ha riscosso un discreto successo tra gli addetti ai lavori e anche tra gli stessi studenti universitari. Nell’arco dei due giorni, 2 e 3 febbraio, attraverso gli interventi di docenti e studiosi che operano presso la Facoltà di Filosofia dell’Università romana, si è andata ricostruendo la figura di una delle personalità intellettuali più significative di tutto il Novecento italiano. Di Antonio Labriola si è voluta ricordare l’attività accademica, oltre alla statura scientifica ed etica, e si è riconosciuta l’attualità di una concezione personale dell’insegnamento universitario, rivolto non tanto all’erudizione fine a sé stessa, bensì alla formazione morale, prima ancora che teorica e tecnica, di un’intera generazione di studiosi. Il seminario di febbraio non costituisce che il primo momento di un lavoro ben più articolato intorno alla figura di Labriola, che, nelle intenzioni degli studiosi coinvolti in prima persona, dovrà culminare nel prossimo Convegno di Cassino (in calendario dall’8 al 10 ottobre 2004) su Antonio Labriola a cento amai dalla sua morte. Il seminario ha dunque fissato, tra l’altro, le prospettive programmatiche e gli itinerari di ∗ Pubblicato in «didatticamente. La voce della SISS», nn. 1–2, 2004, pp. 237–239. 100 Emiliano Macinai studio in vista di quell’appuntamento, particolarmente sentito non solo dal corpo accademico de «La Sapienza», ma anche, e questa è la nota più significativa, dagli studenti di filosofia e pedagogia, direttamente coinvolti anch’essi nel lavori e nei progetti. I lavori del seminario sono iniziati nel pomeriggio del 2 febbraio, alla presenza del Preside della Facoltà di Filosofia, Marco Maria Olivetti. Sotto il coordinamento di Gennaro Sasso, le relazioni dei partecipanti (Girolamo Cotroneo, Giuseppe Giarrizzo, Nicola Siciliani de Cumis) hanno avuto come focus condiviso la lettura di un Labriola lucidamente critico della cultura del suo tempo e hanno pertanto riproposto con forza la figura di un intellettuale attivo e impegnato con autentica passione nel suo «lavoro»; un accademico che non dimenticava ma, anzi, rivendicava a sé l’elevata «missione» morale dell’insegnamento universitario e che seppe testimoniare con sguardo critico ai propri allievi la temperie culturale, italiana ed europea, di fine Ottocento. I lavori sono proseguiti il giorno successivo con la presentazione di due volumi assai eterogenei tra loro. È stata questa l’occasione per allargare il discorso intorno a Labriola e per vedere, da un lato, i suoi possibili «maestri» e, dall’altro, le sue eredità intellettuali e politiche. La presentazione del libro di Ignazio Volpicelli su Herbart e i suoi epigoni è stato, infatti, lo spunto per dirigere gli interventi dei partecipanti (il già citato Siciliani de Cumis, Bruno Bellerate, Giuseppe Spadafora, Giacomo Cives e lo stesso Volpicelli) su quelle che devono essere considerate le esperienze di formazione di Labriola e per orientare il successivo dibattito intorno alle figure rappresentative per la costruzione della sua visione del mondo e della sua filosofia. Il seminario della mattina si è dunque dedicato alla ricostruzione degli elementi di attualità che la lezione di Labriola ha lasciato in eredità ai suoi successori sulla cattedra romana e, più in generale, a chiunque oggi abbia raccolto la missione di educatore per le nuove generazioni. La responsabilità, la correttezza ed il rigore morale, lo sguardo critico sulla realtà, la libertà di pensiero e la coerenza dal proprio atteggiamento docente con i valori fondanti la professionalità e il ruolo intellettuale e sociale che Labriola sentiva costantemente come l’imperativo categorico al quale conformare la propria attività accademica, costituiscono ancora Antonio Labriola e la sua Università 101 oggi un patrimonio di cui far tesoro, un’esperienza da conservare ed un esempio su cui continuare a contare come valido punto di riferimento. La presentazione di un volume più «particolare» ha inaugurato i lavori del pomeriggio. Si è trattato dell’illustrazione del primo titolo di una collana interessante che costituisce un esperimento editoriale forse rischioso ma certamente pregevole. Una nota casa editrice romana intende avviare la pubblicazione nella collana Diritto di stampa delle tesi di laurea più meritevoli, su segnalazione dell’Ateneo. Un’iniziativa da guardare con attenzione e c’è da auspicare che altri atenei vogliano provare a percorrere la stessa strada. Tra le presentazioni dei due volumi, si è segnalato un altro esperimento degno di apprezzamento. Dire che si è trattato di un intermezzo con lettura di testi può far pensare a quanto di meno originale ed avvincente sia possibile aspettarsi da un seminario. Quando però a leggere i testi sono due attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico» e quando su uno schermo scorrono immagini d’epoca, con sottofondo musicale appropriato per rendere ancora più vivi i brani labrioliani, ecco che l’esperimento riesce e l’uditorio è rapito. Un altro esempio da seguire e riproporre. Oltre che per il valore culturale e scientifico apportato dai partecipanti, tra i quali, oltre ai già citati, ricordiamo anche Pietro Lucisano, Mario Alighiero Manacorda e Aldo Visalberghi, il Seminario si segnala perciò per almeno tre motivi. Primo, per la collaborazione felicemente riuscita con le scuole secondarie, che ancora una volta torna a suggerire l’importanza della relazione sinergica tra università e scuola. Secondo, per avere proposto all’attenzione un esperimento editoriale che riporta d’attualità una pratica oramai desueta, quella della dignità e del diritto di stampa delle tesi meritevoli, iniziativa che, oltre a premiare la qualità dei lavori presentati dagli studenti, potrebbe, se ben alimentata, portare rapidamente alla costituzione di un nuovo mercato editoriale, come avviene ad esempio in paesi come la Gran Bretagna. Terzo, per avere con molto successo contaminato l’aura di accademicità del convegno con forme espressive diverse, eterogenee ma ben armonizzate tra loro: il teatro, la musica, le immagini. L’appuntamento è pertanto fissato dall’8 al 10 ottobre prossimi a Cassino, quando chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza di An- 102 Emiliano Macinai tonio Labriola e di ciò che questi ha rappresentato per l’università e la cultura italiana, avrà l’occasione di partecipare ad un convegno che, a giudicare dalle premesse gettate nei giorni de «La Sapienza», si preannuncia ricco di suggestioni e rilevante dal punto di vista scientifico e didattico. Nel centenario della morte di Antonio Labriola∗ Mario Alighiero Manacorda Talvolta i dati autobiografici, soprattutto «a lungo scadere di anni», come diceva Labriola, possono assumere valore di dati della storia o, quanto meno, della microstoria. Mi sia perciò consentito di introdurre questo mio discorso con un ricordo personale. Il mio primo incontro col Labriola avvenne nel 1938 per merito di Benedetto Croce, che, con quella che Valentino Gerratana definirà «una sorprendente iniziativa», ripubblicò i suoi scritti sul materialismo storico, aggiungendovi una sua Appendice intitolata Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia (1895–1900). E dichiarò poi di averlo voluto così disseppellire per riseppellirlo. Insomma, dopo che la dittatura fascista aveva ucciso il comunismo reale, a Croce parve bene di uccidere anche il marxismo ideale, o “teorico” appunto, in attesa di proporre un’alternativa positiva al fascismo in vista della sua fine. Cosa che fece cinque anni dopo, col suo Perché non possiamo non dirci cristiani, proponendo nella Chiesa cattolica un’altra e più sicura forza della conservazione anticomunista. Ma il 1938 fu anche l’anno in cui Croce pubblicò La storia come pensiero e come azione, in cui parve a me di leggere un suo ritorno di interesse per gli aspetti economico–sociali; e, se è così, come non domandarsi se non vi abbia contribuito l’esser ricorso, nel ripensare la storia, a quegli scritti del suo vecchio maestro, che poi gli è venuto in mente di ripubblicare con quella postilla? Ma, tornando da Croce a Labriola, di lui avevo allora una immagine come di un pensatore sistematico, organico: non è così, o almeno così non mi sembra oggi. La sua stessa biografia che, testimoniataci in tante sue lettere, ci parla del suo gusto per «una grande biblioteca», e la sua ∗ Testo dattiloscritto, autografo, per una lezione tenuta il giorno 16 marzo 2005 presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», nel quadro dei “seminari di approfondimento” organizzati dalla Prima cattedra di Pedagogia generale (Prof. N. Siciliani de Cumis) sui temi labrioliani presenti nella Mostra e nel Catalogo su Antonio Labriola e la sua Università. 104 Mario Alighiero Manacorda collaborazione alla «Cultura» del Bonghi come recensore di libri di vario argomento ci suggeriscono una sua diversa figura, di persona di grande curiosità culturale, disposto a confrontarsi coi più diversi orientamenti del pensiero, dai tradizionali campi della filosofia e della storiografia a quelli innovativi delle scienze psicosociologiche e naturali. Lo sentiremo polemizzare contro il verbalismo e, più ancora, il verbalismo fraseologico, lo schematismo, l’astrattismo, il darwinismo politico e sociale, la teoria dei “fattori” della storia, gli storici narratori e illustratori, che «fanno astrazioni e generalizzazioni su aspetti immediati del movimento apparente, usando concetti empirici», i pessimisti romantici alla De Maistre e alla Carlyle, i positivisti col loro schematico concetto dello stato e del diritto, gli «asineschi oppositori che confondono la storia economica col materialismo storico», gli ideologi del progresso alla Kulturgeschichte, i decadenti dello hegelismo, i neokantiani, e, naturalmente, i socialisti alla Bernstein o alla Sorel, col quale aveva tuttavia collaborato, o alla Merlino, senza poi contare la sua attenzione agli sviluppi delle scienze e delle tecniche1. Tutto ciò corrisponde allo stesso suo concepire la cultura come «non solo il proprio modo di intendere l’arte, la scienza, le lettere, ma anche i moti intellettuali di una nazione, di un tempo e di tutta la loro molteplicità»; al punto che, scrivendo nel 1876 Dell’insegnamento della storia, potrà suggerire: «Non doversi mai separare la considerazione delle cose umane da quella delle cose naturali»2. Una molteplicità, dunque, con cui fare i conti. E in questo continuo confronto con tutto il mondo politico e culturale, come abito di ricerca, consiste propriamente il carattere della sua rielaborazione di quella che chiamava la «nostra dottrina» del materialismo storico, a cominciare dal saggio che ha questo titolo, che è forse il più organico, dove, più ancora che la presentazione del marxismo come teoria, si ha una continua differenziazione polemica dalle teorie allora correnti, e un continuo tuffarsi nella storia. Un marxismo che direi enci- Cfr. A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, passim (Da ora in poi, per le citazioni dai quattro saggi sul marxismo, mi riferisco al volume A. LABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, a cura di V. Gerratana e A. Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1964). 2 ID., Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, p. 78. 1 Nel centenario della morte di Antonio Labriola 105 clopedico, se la parola non avesse una connotazione negativa: dirò, per intenderci, panoramico. Non solo, ma confermano questa caratteristica la sua stessa vita vissuta, e, insieme, la sua coscienza autobiografica della vita come di un "itinerario", ricco di una molteplicità di pensieri. Lo stesso suo passaggio dal liberalismo e dall’idealismo al socialismo e al materialismo storico avvenne per un primo soggettivo impulso pratico: «Il senso schietto della moltitudine è ormai preferibile a tutto questo mondo fittizio di scienza burocratica» (Lettera a B. Spaventa, 10 febbraio 1876); un motivo su cui ripetutamente insiste, dichiarando come motivi della sua scelta «il disgusto per la corruzione politica e il contatto con gli operai» (Lettera a Engels, 3 aprile 1890), e confessando: «Avrò fatto un duecento discorsi, e ho preso parte ad altrettante riunioni, ho ideato circoli, federazioni e cooperative» (Lettera a Turati, 24 luglio 1892). E si vanta che con lui «per la prima volta la dottrina del socialismo sale su una cattedra della regia università», e che ciò lo pone «all’estrema sinistra fra tutti gli insegnanti». Prima socialista che marxista, dunque: il suo marxismo è stato, prima pratico, e solo poi teorico. Ebbe tuttavia chiara la coscienza di una continuità tra il suo liberalismo e il suo marxismo: «Il pensare diversamente a lungo scadere di anni non è contraddirsi, ma svolgersi» (Lettera a Socci, maggio 1890)3. Cresciuto alla scuola liberale dei due fratelli Spaventa, Silvio e Bertrando, e del Bonghi, manifesta un suo primo orientamento radical– socialista già dal 1883 parlando di Marx e Lassalle; poi, dal 1890 è in rapporti con Engels, che incontrerà nel 1893; nel 1892 partecipa a Genova alla fondazione del partito dei lavoratori (socialista); e il 4 dicembre 1894 scrive al Sozialistische Akademiker: «Già da alcuni anni faccio il tentativo di far valere nei miei corsi universitari la dottrina socialistica e la concezione materialistica della storia»4. Tuttavia i suoi saggi sul materialismo storico verranno solo negli anni tra il 1895 e il 1897. In concreto, questo suo marxismo teorico, o ideale, «negazione recisa e definitiva di ogni ideologia», è «soltanto un metodo di ricerca e di concezione», spiega, con le parole di Marx, «in ultima istanza ogni fatto stoCfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, pp. 25 e 15. 4 LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 573. 3 106 Mario Alighiero Manacorda rico per via della sottostante struttura», suggerendo che i vari aspetti della vita culturale «suppongono questa o quella forma di produzione e distribuzione dei mezzi immediati della vita», per concludere in concreto che «questa società, come ha prodotto nel socialismo la sua negazione positiva, così ha generato nella nuova dottrina storica la sua negazione ideale». Certo, si potrà dire che non manca qualche eccesso di semplificazione in questa sua enunciazione e assunzione del canone fondamentale del materialismo storico; ma in realtà, nella sua polemica contro i semplificatori del marxismo, richiama sempre all’attenzione a tutti gli aspetti culturali o ideologici del viver civile: anzi, è questo l’altro cardine di tutta la sua riflessione. Mentre enuncia sinteticamente: «Non c’è fatto della storia che non ripeta la sua origine dalle condizioni della sottostante struttura economica…», fa seguire una forte valorizzazione di tutti quei fatti o aspetti: «…non c’è fatto della storia che non sia preceduto, accompagnato e seguito da determinate forme di coscienza». Una asserzione che lascia aperta al suo marxismo la considerazione di tutto il mondo della fantasia e delle ideologie, che, diceva, «non sono da considerare come gratuite invenzioni… non sono pura parvenza». Può sembrare poco: tuttavia sono criteri correttamente assunti dagli scritti di Marx, il quale anche, occorre dirlo, più che ad approfondirli in sede filosofica si adoperò a metterli in pratica nei suoi scritti di storia e nella sua stessa grande opera di “critica” di quella scienza nuova della borghesia che fu “l’economia politica” di Smith e Ricardo. I suoi maggiori approfondimenti teorici, sono infatti soprattutto nei primi capitoli della Ideologia tedesca, scritta in collaborazione con Engels nel 1847 e poi «abbandonata alla critica roditrice dei topi» (pubblicata postuma solo nel 1932), e poi nella famosa Introduzione del 1857 alla Critica dell’economia politica, cioè al primo abbozzo del Capitale: dove comunque se ne ha un’elaborazione più approfondita, anche se non priva di qualche incongruente sfumatura. Del resto, come dicevano con Engels, «la prova del pudding si ha mangiandolo», cioè una teoria si verifica nella concreta ricerca storica. A questo suo marxismo, insieme rigoroso ed aperto, c’è semmai da rimproverare un, direi inevitabile, margine di utopismo, come quando afferma che «questa società… produce di contraccolpo la concezione materialistica», e che, «sparite le classi verrà meno la possibilità dello Nel centenario della morte di Antonio Labriola 107 stato, come dominio dell’uomo sull’uomo», e che si tratta di «una dottrina definitiva che finirà col penetrare le menti». Ma è l’utopia di una speranza fondata sullo sviluppo oggettivo delle cose, che c’è anche in Marx ma che anche in lui non si avventura mai nella progettazione di un mondo ideale, cosa propria del socialismo, appunto, utopistico. Tutta la sua ricerca sarà uno svolgersi senza contraddirsi dal liberalismo a un marxismo francamente liberale. Non è infatti un caso che scritti tipicamente liberali e scritti intenzionalmente marxisti si intreccino negli stessi anni, anzi spesso agli stessi mesi, e appaiano scritti con la stessa penna, intinta nell’inchiostro dello stesso calamaio. Si guardino le date: 1894/95 In memoria del manifesto dei comunisti; 17 gennaio 1896 Sulle ragioni e i limiti della libertà di insegnamento; 10 febbraio 1896 Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare; 14 novembre 1896 L’università e la libertà della scienza (di cui il discorso sulla libertà d’insegnamento era una “anticipazione”); 1897 Discorrendo di socialismo e filosofia5: dove i titoli dei tre saggi marxisti, con le espressioni: “in memoria”, “preliminare”, “discorrendo”, ci confermano il loro carattere occasionale. Di più: com’egli stesso dichiarò, sollecitato dagli studenti a intervenire sul caso del deputato socialista Enrico Ferri, impedito di esercitare la libera docenza6, si decise a inserire i discorsi sulla libertà della scienza proprio nelle sue lezioni sul marxismo: i due temi potevano svolgersi insieme. Dunque, gli anni della manifestazione del Labriola teorico marxista, sono anche gli anni del Labriola più impegnato sulle libertà “liberali” della scienza e dell’insegnamento. (Che, detto tra parentesi, sono le stesse della Costituzione italiana: “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento” – art. 33,1: la virgola è mia, e ci vuole; e che sono ripetute, con minore perspicuità, nell’art. II,10 della Costituzione europea). Così, possiamo leggere i suoi discorsi liberali come introduttivi a quelli marxisti e consonanti con essi. In lui, che come altri esperti inviati dai responsabili dell’istruzione a informarsi sulle scuole dei paesi più progrediti (ricordo il Giarré nel 1861, il Carina nel 1872, poi il Pick) ha studiato nel 1881 i sistemi d’istruzione nei vari paesi d’Europa e negli I due saggi Le ragioni e i limiti della libertà d’insegnamento e L’Università e la libertà della scienza sono ora in LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., pp. 576–615. 6 Cfr. LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 577. 5 108 Mario Alighiero Manacorda Stati Uniti7, i temi “liberali” della laicità e della libertà della scienza e dell’insegnamento sono presenti fin dagli scritti giovanili: «Noi siamo aperti fautori dell’istruzione laica, non perché avversi al principio religioso»8. E sono affrontati in sostegno e insieme in polemica con lo Stato risorgimentale, che, secondo lui, era più liberale che altri moderni Stati europei, ma i cui ministri tuttavia non sempre si sottrassero alla tentazione di intervenire, come contro Angiulli nel 1871, contro Ardigò nel 1879, contro Ferri nel 1894 e contro lui stesso, ammonito dal ministro Gianturco nel 1896 per alcuni accenni politici nel discorso su L’Università e la libertà della scienza9. (E posso aggiungere nel 1899 il Carducci, deferito al Consiglio superiore per un suo telegramma di adesione al cinquantenario della Repubblica romana. E io ricordo il caso di mio padre, Giuseppe Manacorda, deferito al Consiglio superiore per aver pubblicato sul «Giornale d’Italia» del 25 agosto 1909 un ironico telegramma di congratulazioni al ministro Rava per un suo intervento sulle questioni dei concorsi. E sorvolo sulla mancanza di libertà nella scuola elementare, dove le maestre subirono spesso gravi persecuzioni clerical–ministeriali). In questa sua battaglia liberale, che dicevo in sostegno e in polemica con lo Stato, e nella quale soleva citare il Montesquieu e il Cavour, si mostrava tuttavia ottimista: «Siamo nel terreno mondo e non nell’empireo. Può darsi anche ora il caso che la scienza abbia da lottare con temporanei abusi di una politica reazionaria; ma questo caso mi par difficile si avveri in Italia»: un ottimismo che direi liberal–borghese, che lo fa parlare di «tempi che corrono così ordinari e tiepidi, che non c’è luogo a temere si sia alla vigilia né del terrore rosso né del terrore bianco»10. Della libertà della scienza e dell’insegnamento aveva un’idea ben precisa. A proposito dell’abolizione, nel 1873, delle facoltà di teologia, che pure in Germania avevano dato laicamente luogo alla critica biblica e alla storia della chiesa, commenta che in Italia non ce n’era bisogno, perché l’università «fa esplicita professione di non riconoscere se non quelle materie sole, le quali siano oggetto di osservazione, di esperienza e di esperimento, e che si prestino ad essere apprese e trattate in certi e preciCfr. ivi, pp. 312–463, 604. Ivi, p. 161. 9 Cfr. ivi, p. 585 n. 10 Ivi, pp. 606, 609. 7 8 Nel centenario della morte di Antonio Labriola 109 si confini della sicura intuizione, della logica combinazione e della razionale deduzione». E spiegando che teorie, sistemi e tendenze scientifiche ammettono solo giudizi (o predicati) «come completo e incompleto, o acquisito e dubitabile, e si rifutano di accoglierne alcuno, che in nome di qualsiasi presunzione di potere politico o ecclesiastico, designi i prodotti del pensiero come proibiti o leciti, come riconosciuti o tollerati, come facoltativi o vidimati». E sono principi sicuramente liberali nel profondo (e, come vedremo, altrettanto nel profondo, marxisti). E, dopo aver spiegato che le attribuzioni del governo, cui compete una funzione puramente amministrativa, non s’identificano con le funzioni dello Stato, commenta: «Per qualunque metodo e con qualunque procedimento codesta giurisdizione si esplichi, essa non può né dee mai trascendere alla definizione del lecito o dell’illecito in fatto di dottrine». Un’idea che non a caso egli convalida richiamandosi a una necessità obiettiva, evidentemente suggerita dal materialismo storico: «Così dicendo… espongo un dato di fatto, che è nella necessità delle cose stesse»; e, mentre afferma che «Lo stato che definisce una scienza è già una chiesa»11, cosa che, dice, porterebbe a rifare l’indice dei libri proibiti, e, pur considerandolo «garante delle antitesi sociali» e perciò «arena di una incessante guerra civile», gli riconosce, al di fuori da ogni schematismo, anche compiti di interesse comune, cioè di libertà: «Per quanto lo stato sia l’organo diretto di determinati interessi di classe, non può esistere se non a condizione di creare certi servizi, che per diretto o per indiretto riescano a vantaggio di tutti»12. Su questi temi ci si richiamava allora, non senza le ovvie confusioni su cui sorvolo, a due principi opposti: da parte dei clericali alla «libertà della scuola» come libertà di esistere per una scuola anche dogmatica, e da parte dei liberali alla «libertà d’insegnamento» come modo d’essere della scuola statale, che Leone XIII, nella enciclica Libertas del 1888, condannava come «del tutto contraria alla natura e fatta per pervertire totalmente le intelligenze». (Una questione sulla quale si è troppo equivocato in seguito: ricorderò che è stata stolidamente falsata nell’infausto Concordato italiano del 1984, che, all’art. 9,1, senza che nessun nostro ilIvi, pp. 606–609. LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 112 e LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 605. 11 12 110 Mario Alighiero Manacorda luminato politico se ne sia accorto, non a caso confonde i due principi opposti in un unico principio, per trarne sciagurate conseguenze). Ovvio che Labriola avesse bene in mente i termini di questa polemica. Ma la sua idea di libertà d’insegnamento è rafforzata dalle sue nuove convinzioni marxiste: in questa coincidenza di temi liberali e marxisti, non sono soltanto i temi liberali a entrare nel suo marxismo, è anche il suo marxismo a penetrare i temi liberali in un intreccio indissolubile delle due ispirazioni, diverse eppure convergenti. Sarà proprio la sua concezione materialistica a dare alla libertà fondamenti di necessità storica: come quando entra apertamente sul terreno della concezione materialistica della storia: «Non vorrei accampar mai delle astratte definizioni, per poi venir giù deducendo. Qui si tratta di dichiarare un fatto, che è il naturale portato di queste nostre precise e patenti condizioni storiche e sociali… La libertà incondizionata della ricerca e della esposizione scientifica si sviluppa, si mantiene e prospera in tale pubblico istituto, per vie naturali e con modi affatto spontanei…». E la cosa appare evidente quando affronta il tema dello sviluppo storico dell’università dal sistema corporativo, alla tirannide regia o papale, alla prepotenza comunale, fino al secolo decimottavo: «Questa scienza che fa o rinnova di continuo se stessa, è essa stessa effetto ed esponente del gran moto della società moderna. Non è chi non veda, ora, come gli strepitosi progressi delle scienze fisiche sian consentanei alle rivoluzioni dell’industria e della tecnica… L’università, insomma, com’è ora, è essa stessa un risultato e un riflesso della vita sociale». E se questo vale per l’università come istituzione, vale anche per lo specifico lavoro universitario di ricerca e di insegnamento: «Anche questo lavoro è, come tutti gli altri, fondato sulla secolare accumulazione delle energie, e su l’esercizio della cooperazione sociale… Noi siam vissuti dalla storia»13. Insomma, il motivo liberale della distinzione tra stato e governo si intreccia coi motivi marxisti della libertà come necessità storica, dell’università come riflesso della vita sociale, del lavoro accademico come risultato di accumulazione e cooperazione, e ne acquista nuove conferme. 13 Ivi, pp. 601–604. Nel centenario della morte di Antonio Labriola 111 Da ultimo, tra il giugno e l’agosto del 1901, Labriola abbozza il suo quarto saggio marxista, Da un secolo all’altro, di difficile interpretazione anche per le sue dotte e fantasiose digressioni. Ivi, posta la domanda: «Qual è il mezzo per misurare la nostra cultura storica», e risposto che è «la nostra capacità di intendere il presente», che è una ripresa di quanto aveva scritto già nel 1876, suggerendo che «le notizie storiche debbono essere connesse alla rappresentazione delle cose presenti». E nel far questo indaga l’età liberale con attenzione alle sue contraddizioni forse maggiore che nei saggi precedenti, usando il metro del materialismo storico con maggiore cautela sul rischio dello schematismo e dell’utopismo, che dice presente «anche in pensatori di così eccelsa cautela e autocritica come Karl Marx». In questa indagine, richiamandosi alla «invidia degli dèi» dell’antico Ecateo, parla della «invidia tra gli uomini», cioè dello «intrigo» ovvero della concorrenza, come dell’assioma della società capitalistica, caratterizzata da «lotte per la nazionalità, diffusione del principio liberale, concorrenza economica, espansione coloniale, differenza tra paesi industriali e paesi agricoli, crescere dello spirito critico e rinascenza cattolica». Ma questa società subisce inevitabili arresti per il suo derivare dalle precedenti società «corporative, feudali, endemiche o locali, etniche e teocratiche»; e proprio di qui nasce «la ragion d’essere del socialismo, fin d’ora realtà attiva, segnacolo di lotta attuale». Ma eccolo ammonire che, nell’usare i criteri della ricerca sociologica (marxista), occorre liberarsi dagli schemi di chi pensa che «verrà l’associazione, verrà il cooperativismo, poi il collettivismo e, messi gli ismi in fila, il resto fila da sé», e occorre invece richiamarsi «alle impreteribili ragioni empiriche delle rappresentazioni del fatto»14. Infine il saggio apre un capitolo su l’Italia, considerata «nel quadro universalistico», con alcune indicazioni sulle aspettazioni deluse del Risorgimento, sulla rivoluzione borghese già attuata al tempo dei comuni, e sulle garanzie del suo porsi come Stato moderno nella gara internazionale15. Ma purtroppo lì si arresta. Così Labriola riprendeva Marx per verificare nell’analisi della storia passata e del presente la validità del metodo del materialismo storico. Si tratta, tuttavia, di un Marx che egli ha in parte ignorato, per la buona raLABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, cit., pp. 343, 82, 366, 346, 351, 367, 368, 369–371. 15 Cfr. ivi, pp. 369–371. 14 112 Mario Alighiero Manacorda gione che ai suoi tempi molto era ancora inedito. Per la parte inedita mi riferisco alle Istruzioni ai delegati per il I Congresso dell’Internazionale dei lavoratori, del 1866. Lì Marx dichiarava che «l’istruzione può essere statale senza stare sotto il controllo del governo» (dove è da rilevare che questa distinzione “liberale” tra Stato e governo non è ancora digerita dall’opinione diffusa e dalla politica praticata). Di più: sosteneva che «né nelle scuole elementari né in quelle superiori si devono introdurre materie che ammettano una interpretazione di partito o di classe»; e addirittura, che «materie che ammettano conclusioni differenti non debbono essere insegnate a scuola»: esigenza sacrosanta forse, ma certamente difficile da soddisfare. L’altro suo testo, certamente noto al Labriola, è la Critica del programma di Gotha del Partito socialdemocratico tedesco, del 1875, dove Marx scriveva: «È assolutamente da respingere l’idea di una educazione del popolo a opera dello Stato», il quale dovrebbe limitarsi «a fissare con una legge generale i mezzi delle scuole popolari, la qualifica del personale insegnante, i rami d’insegnamento, ecc. e, come accade negli Stati Uniti, sorvegliare per mezzo di ispettori dello Stato l’adempimento di queste prescrizioni legali». Che è, di nuovo, quanto prescrive la nostra Costituzione liberal–democratica. E concludeva perentoriamente che non si deve «nominare lo Stato educatore del popolo. Piuttosto si debbono egualmente escludere governo e chiesa da ogni influenza sulla scuola»16. Sono, questi della libertà della scienza e dell’insegnamento e del rapporto Stato–Chiesa, temi di grande rilevanza politica e culturale, che contrapponevano duramente allora clericali e liberali: temi che trovavano concordi sulle posizioni liberali anche Marx e Labriola, che, semmai, vi aggiungevano le loro ragioni. Anche su questa libertà il pensiero di Labriola coincide con le tesi di Marx, liberali e quasi “anarchiche”, che in generale vengono ignorate, forse perché il socialismo reale le ha poi negate. (E come non rivendicare qui la tradizione umanistica e libertaria del marxismo teorico italiano del terzo quarto del secolo scorso, con le sue varie voci, dalla rivendicazione di una «libertà maggiore» di Della Rimando per queste citazioni e osservazioni al mio Marx e la pedagogia moderna, Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 14–27. 16 Nel centenario della morte di Antonio Labriola 113 Volpe alla rigorosa riflessione libertaria di studiosi come Banfi, Luporini, Badaloni e tutti quanti?). Ma, se quello di Labriola è un marxismo liberale, uno svolgersi e non un contraddirsi, che si fonda sulla migliore eredità dalla destra storica, e se questa identità dei temi liberali e marxisti è presente nel marxismo teorico da Marx a Labriola e su su fino a quello del secolo XX, non sarà il caso di ripensare seriamente liberalismo e comunismo come movimenti culturali svoltisi sulla stessa linea della tradizione storica? E di pensare il comunismo sin dalle sue origini come opposizione, sì, ma insieme come eredità critica della grande tradizione liberale? Marx non si è davvero dissociato sui principi di libertà dai grandi teorici del liberalismo illuministico; e, come Marx e Labriola hanno tessuto l’elogio dello sviluppo storico promosso dalla borghesia, così ognuno dei grandi padri del liberalismo, da Montesquieu a Tocqueville, avrebbe accettato gli auspici marxisti di un’umanità fatta di uomini totalmente sviluppati, dove la libertà di ciascuno fosse la condizione per la libertà di tutti. E basta saper distinguere tra liberalismo e comunismo “ideali” o “teorici”, da una parte, e liberalismo e comunismo “reali”, dall’altra, per capire che le cose stanno così. Come per tutti gli eventi della storia, occorre aver presente la distinzione tra il momento ideale e il movimento reale, non rifiutandosi di vedere che come c’è un socialismo reale, così c’è, nel colonialismo, nell’imperialismo, nel liberismo, anche un liberalismo reale (come c’è un cristianesimo ideale e un cattolicesimo o un clericalismo reali, e così via). Non si tratta, ovviamente, di occultare il peso della “critica” marxista al liberismo economico di Smith, Ricardo e tutti quanti (che solo un incolto nostro ministro della “guerra” — sì, della guerra e non della “difesa” — come Martino, ha ignorato dichiarando che Marx non aveva fatto che ripetere Smith o Ricardo), ma di capire che si tratta di una stessa grande tradizione ideale, di liberazione dell’uomo dai ceppi dell’autoritarismo monarchico, del dogmatismo religioso, e dello sfruttamento economico. Essersi ispirati nelle scelte politiche al liberalismo reale, cioè al liberismo, anziché al liberalismo ideale (col quale si era già d’accordo da un pezzo) è stato un equivoco della recente politica post– comunista. Si deve tuttavia riconoscere che al Labriola liberale e comunista è mancato molto del Marx comunista e liberale. In particolare, a parte i te- 114 Mario Alighiero Manacorda sti già citati, egli non ha conosciuto né i giovanili Manoscritti economico– filosofici del 1844, né la Ideologia tedesca del 1847, pubblicati solo nel 1932, né quel grande abbozzo del Capitale che sono i Grundrisse der politischen Oekonomie, pubblicati solo nel 1939. E sono tutti testi che non solo consentono di capire la genesi del pensiero di Marx, ma anche contengono espressioni pregnanti di stampo umanistico–umanitario contro l’alienazione, per una vita da esseri umani, per una totalità di uomini «onnilaterali», capaci di godere dei «godimenti superiori» della cultura: espressioni rimaste poi un po’ soffocate nel mare magno della sua ricerca economica. Altro che la semplice “economia”, contro la quale quelli che vivono solo di essa, storcono il naso! La sua economia è sempre una “critica” dell’economia degli economisti: in quegli e in altri suoi scritti, fino al Capitale, l’economia, la deplorata, la materialistica economia si configura come l’attività degli uomini associati tra loro per produrre la loro vita materiale e spirituale nella lotta per dominare la natura e umanizzarla. (E sembra anticipata dal Leopardi, quando nella Ginestra parla della natura dicendo: «costei chiama inimica, e contro a lei confederati estima gli uomini tutti»). Ed è tale che, dai primi scritti giovanili fino alle ultime pagine dell’ultimo volume, postumo, del Capitale, lo porta a denunciare lo sfruttamento non solo dell’uomo ma anche della natura, prima a opera soltanto dell’industria capitalistica, e poi anche a opera dell’agricoltura industrializzata. Pagine poco osservate, ma importanti, che coinvolgono nel profondo tutto il rapporto uomo–natura, in una riflessione che comincia fin dai suoi scritti “filosofici” giovanili, anticipando la coscienza ecologica odierna. Marx era un umanista umanitario, diventato economista per forza, perché, avendo scorto nei modi di produzione della vita umana, materiale e spirituale, i presupposti della sua alienazione, in cui il lavoro da «manifestazione di sé» diventa «l’uomo perduto a se stesso», ha voluto vederci chiaro. Ma il suo fine era l’umanizzazione della natura e dell’uomo, cioè di tutti gli uomini: un tema che sarà fortemente ripreso da Gramsci, che parlerà in questo senso di «unificazione culturale del genere umano»17. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 1048, 1416. 17 Nel centenario della morte di Antonio Labriola 115 Insomma, il liberale comunista Labriola invita a una rilettura del comunista liberale Marx, anzi, di tutto il marxismo teorico o ideale. Di fronte alla crisi di fine secolo Labriola fece comunque in tempo a deludersi nelle sue speranze sul socialismo; tuttavia, quando, l’8 gennaio 1900, scriveva a Croce: «Il socialismo subisce ora un arresto…», poteva subito aggiungere: «… ciò non fa che confermare il materialismo storico». Certo, un materialismo liberale ed aperto: e, all’inizio del nuovo secolo, anzi del nuovo millennio, mi sia consentito chiudere con queste sue parole, anche se non sappiamo che nome avranno le speranze umane del futuro. Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza»∗ Stefano Miccolis Le mostre, si sa, durano lo spazio di alcune settimane, dopo di che il loro ricordo diviene sempre più evanescente nella mente dei pochi o numerosi visitatori. I cataloghi, invece, sono fatti per conservare a lungo la memoria, per rendere durature quelle acquisizioni scientifiche che rischierebbero altrimenti di rimanere infeconde e inoperose. Si comprende quindi perché la cattedra dì pedagogia generale dell’università «La Sapienza» di Roma, dopo essersi adoperata per «mettere in mostra Antonio Labriola» (come recita il titolo di un contributo al quale faremo immediato riferimento), abbia voluto raccogliere in volume ― insieme a molto altro e disparato materiale ― quanto per la mostra, oppure prendendo spunto da essa, una nutrita schiera di studiosi ha prodotto con encomiabile impegno. E nonostante che uno di essi ― in una riflessione della quale abbiamo appena richiamato il titolo ― avvertisse (71) che «andando in stampa, si corrono dei rischi altrimenti evitati»: perché (aggiunge) «il catalogo te lo possono puntare come una pistola», specie quando esso vuol significare «una lieta uscita dall’ovvio, un progresso di conoscenza rispetto al campo di studi in oggetto». Preoccupazione che deve alla fine aver condiviso il promotore della mostra (Nicola Siciliani De Cumis), nonché curatore di questo ponderoso catalogo (Antonio Labriola e la sua Università, Roma, Aracne, 2005, pp. 690 quasi in quarto). Il quale ― nel ringraziare i circa centocinquanta «archivisti e bibliotecari, professori, pittori, disegnatori, architetti, fotografi, registi, attori, “comunicatori” ed altri esperti» che hanno collaborato all’allestimento della mostra e alla realizzazione del catalogo ― ha perciò ritenuto opportuno premettere (13–14) come «perfino l’incompletezza, l’imprecisione, la difformità e l’errore giocano un ruolo di veridicità ed una precisa funzione euristica e pedagogica». ∗ Pubblicato in «Belfagor», a. LXI, n. 361, 31 gennaio 2006, pp. 84–90. 118 Stefano Miccolis È esplicito e insistito, fino a percorrere l’intero catalogo, l’intento di non limitarsi al già conosciuto e definito, e di cogliere l’occasione del centenario come «momento, piuttosto che di “definizioni”, di innovazioni» (14). Intento che assume ad un certo punto la suggestiva formula dell’«utilizzazione di Labriola oltre Labriola» (154). Resta forse un margine di incertezza interpretativa, ma crediamo di non andar lontani dal vero nel tradurre che invece di restare fossilizzati all’accertamento dell’effettivo pensiero del filosofo, così come si è svolto nell’arco della sua vita, si vorrebbe andare avanti e appunto «oltre», verso nuovi orizzonti: imboccando «percorsi di ricerca» innovativi, e favorendo un indirizzo dei “mille fiori” sboccianti, grazie proprio agli «aspetti cantieristici e di laboratorio dell’indagine» (14). Propositi, come ognuno può vedere, lodevoli e impegnativi, che sarebbe opportuno fossero ancorati ad una imprescindibile condizione: la solidità dell’impianto biografico– concettuale, cioè la massima attendibilità possibile del tronco su cui innestare i novelli virgulti. Perché «superare» (andare oltre) ― direbbero all’unisono Labriola e il suo «scolaro riconoscente» Croce ― importa anzitutto «aver compreso». Luoghi comuni e apocrifi labrioliani Ora, noi leggiamo (e non abbiamo motivo per dubitarne) essere il curatore «fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell’opera» di Labriola (62, nota 3); sicché ci si aspetterebbe una conoscenza aggiornata e non superficiale degli studî prodotti sul filosofo. Studî che, a partire dagli anni ‘80, hanno consentito di correggere erronei luoghi comuni invalsi negli anni ‘50, e protrattisi a lungo per forza inerziale (complice anche la pigrizia dei ricercatori, spesso indotti a dar per buono il già detto, per più o meno inconscia deferenza verso qualche «principio d’autorità»). In uno dei pannelli della mostra, riprodotti al centro del catalogo in un centinaio di pagine non numerate, si legge di Labriola che nel 1876 «comincia a dar lezioni di diritti e doveri agli operai romani, distaccandosi dalla Destra storica»: che è la riproposizione di quanto asseriva la cronaca biografica del filosofo (Le principali date della vita) apparsa in «Rinascita» (1954, 2, p. 118) in occasione del cinquantenario della morte. Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza» 119 Cronaca quasi certamente redatta da Giuseppe Berti, fresco editore sulla stessa rivista delle lettere di Labriola a Bertrando Spaventa, che aveva interpretato in senso letterale alcune espressioni («Avrete letto nei giornali che io sto per diventare socialista. Faccio lezioni agli operai di diritti e doveri») presenti in una lettera a Bertrando Spaventa del 10 febbraio 1876. La tesi dell’avvenuto distacco dalla destra storica è rinvenibile in pubblicazioni successive: come in appendice ad Antonio Labriola, Saggi sul materialismo storico, a cura di Valentino Gerratana e Augusto Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1977, 19641 a pagina 385 (la frase del pannello è presa di peso da qui), o alla biografia di Renzo Martinelli, Antonio Labriola. 1843–1904, ivi, 1988, a pagina 151, che collegava la «svolta» del filosofo a quella politica più ampia del 1876, cioè l’avvento al governo della sinistra (43). Lo stesso Gerratana, per la verità ― trattando del fatto (perché le «lezioni agli operai» Labriola le aveva tenute) nella introduzione (40–41) ad Antonio Labriola, Scritti politici. 1886–1904, Bari, Laterza, 1970 ―, pur non contestando il senso assertivo del brano (che continuava così: «Spero di riuscire meglio che all’università, perché il senso schietto della moltitudine è oramai preferibile a tutto questo nostro mondo fittizio di scienza burocratica»), aveva invitato a una maggiore cautela («il passo è senza dubbio significativo, ma se ne sono tratte illazioni alquanto esagerate»); avvertendo del «carattere chiaramente moderato e paternalistico dell’iniziativa», e di non aver trovato su nessun giornale romano dell’epoca la notizia (come sostenuto dal Berti) di un Labriola «diventato socialista». Ma l’analisi di un più largo numero di cronache apparse sui quotidiani romani, e soprattutto gli appunti autografi conservatisi (nel Fondo Dal Pane) della prima delle «lezioni» tenute da Labriola, hanno eliminato ogni dubbio in proposito. Ne riferì (1993) uno dei relatori (Miccolis 1997) al convegno per il 150° anniversario della nascita del filosofo, segnalando le idee di schietto stampo conservatore contenute in quegli appunti, e concludendo per il senso ironico– paradossale della frase scritta a Bertrando Spaventa. Interpretazione confermata dal contenuto di una successiva cartolina postale allo stesso Spaventa del 15 febbraio 1876 (ma fino ad allora collocata nel 1875); nella quale Labriola si lamentava di non aver ancora ricevuto risposta, sia pure ad una lettera (scilicet, quella del 10 febbraio) che «trattava di cose frivole». Non era dunque serio il tono con cui aveva in apparenza comuni- 120 Stefano Miccolis cato una conversione ideologica così radicale e impegnativa. Il sentire politico di Labriola non mutò fino alla metà degli anni ‘80, risalendo alla primavera del 1886 la sua prima ed esplicita dichiarazione di abbandono della destra storica; sicché è frutto di pura fantasia (o, di nuovo, stanca ripetizione della cronaca biografica apparsa su «Rinascita» del 1954) l’affermazione contenuta nello stesso pannello relativa agli anni 1879–1880 («Si avvicina sempre più ai gruppi radicali e socialisti»). In quegli anni Labriola continuava a interloquire con Silvio e Bertrando Spaventa, con Francesco Fiorentino e Angelo Camillo De Meis, irriducibile esponente politico il primo e intellettuali «organici» della destra storica gli altri. Non si sfugge all’impressione, percorrendo queste pagine interminabili, di aggirarsi dentro un mondo chiuso e autoreferenziale, privo di aperture che facilitino il confronto di idee. Gli allievi, non è dato capire quanto entusiasti, di questo «Laboratorio Labriola», si sono abbeverati alle fonti del maestro — del quale richiamano a più riprese i «molti e importanti studi» (186, nota 7), o i contributi «di particolare interesse» (273, nota 4) —, formandosi e informandosi su di una bibliografia bloccata, che sembra non contemplare altra letteratura labrioliana. Non si spiegherebbe altrimenti perché il maestro pervicacemente continui (182– 83), seguito dagli allievi forse inconsapevoli (274, 275 e 425–27), ad attribuire a Labriola articoli apparsi su quotidiani napoletani tra il 1868 e il gennaio 1872 che non possono essere suoi. Da tempo abbiamo cercato di mostrare con argomentazioni abbastanza stringenti e adducendo documentazione difficilmente contestabile (Miccolis 1984 e 1986), che: 1) dell’ingresso di Labriola nel giornalismo napoletano si ha notizia certa soltanto a partire dall’autunno 1871 (sicché è esercizio di pura sprovvedutezza ascrivergli articoli usciti nei mesi o negli anni precedenti); 2) Labriola entrò a far parte dell’«Unità nazionale» (sorta il 20 novembre 1871) non prima del febbraio 1872, e nel periodo precedente non poteva scrivervi, perché collaborava al «Piccolo» e alla «Gazzetta di Napoli», quotidiani dei moderati frondisti, separatisi dall’Associazione Unitaria Meridionale (dei moderati “maggiori”) e perciò avversati dal prefetto Rodolfo D’Afflitto (che proprio per contrastarli aveva voluto la na- Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza» 121 scita di un nuovo quotidiano, l’«Unità nazionale», affidato alla direzione di Ruggiero Bonghi); 3) il Labriola di allora non era affatto un «marxista in fieri» (De Cumis 1981), né si può inferire da questo presunto suo fatale andare verso il marxismo che si occupasse per ciò stesso di «educazione degli operai» e di «Internazionale» dei lavoratori (titoli di due articoli del 1871, di segno peraltro conservatore, imprudentemente inseriti dal De Cumis in altrettante raccolte di scritti labrioliani, e che non hanno niente a che fare col filosofo). Esiti grotteschi, corrispondenti di fantasia L’utilizzazione di testi apocrifi, non solo, come è ovvio, inficia le analisi che vi fanno acritico assegnamento, ma può talvolta cadere nel ridicolo. Labriola collaborò all’appena nata (ottobre 1881) «Cultura» del Bonghi, ma non oltre il fascicolo del 1° febbraio 1882. Quando al filosofo furono incautamente attribuite (De Cumis 1987) ben 99 recensioni apparse nella «Cultura» degli anni 1883–1890, crediamo d’aver dimostrato con sufficiente fondatezza (Miccolis 1988) che nessuna di quelle disparatissime schede (spesso scritte in modo sciatto e frettoloso) era opera sua. Una studiosa chiamata a giudicare una tesi di laurea (come avviene per altre tesi promosse dalla cattedra di pedagogia della «Sapienza») dell’anno accademico 1989–1990 su «La storiografia della Rivoluzione francese nella formazione di Antonio Labriola», dà per acquisita la paternità di quegli scritti; e sottolinea come il laureato definisca una molto breve (e del tutto insignificante) recensione — al libro di Licurgo Cappelletti, Storia popolare e critica della Rivoluzione francese (Foligno, 1886) — il «primo testo labrioliano in cui compare il termine “Rivoluzione francese”» (231). E davvero si fatica a comprendere quale emozione possa aver suscitato nel laureando (sia pur erroneamente indotto a ritenere di trovarsi di fronte a un testo di Labriola) la lettura di questo incipit, che è il luogo nel quale compare l’espressione, in un banale contesto denotativo: «Il sig. Cappelletti adduce a motivo della sua pubblicazione il desiderio di fornire la gioventù italiana di un libro di lettura, dal quale potesse ritrarre una conoscenza esatta della Rivoluzione francese, non adombrata da considerazioni partigiane». 122 Stefano Miccolis Si colgono qua e là altri errori e imprecisioni. Di Alfredo Poggi — sostenitore nel ‘900 di un socialismo incardinato sull’etica kantiana — si dice (267–68) che era «allievo» di Labriola, evidentemente perché il filosofo, nel rispondere (31 dicembre 1902) a una sua lettera, lo confondeva con un semiomonimo marchigiano, un decennio prima studente all’Università di Roma (il Poggi, ligure di nascita, studiò e si laureò, in filosofia (1904) e legge (1907), rispettivamente a Palermo e a Genova). Lo scritto pubblicato postumo (1906) da Croce contro il «ritorno a Kant» propugnato da Eduard Zeller, non è del «1862» (424, nota 5, e 442) come pure dice la data autografa del manoscritto, ma del 3 maggio 1863. Lo fece notare molti anni fa Alberto Meschiari, che, traducendo la prolusione di Zeller, Significato e compito della teoria della conoscenza, avvertì che essa era stata tenuta il 22 ottobre 1862; sicché la «risposta» di Labriola non poteva che essere della primavera dell’anno successivo (Zeller 1982). Ritornò sulla questione Aldo Zanardo (1998), in un articolo che indicava fin nel titolo (Labriola contro Zeller: 1863) la data che gli sembrava più «persuasiva». Zanardo, che non conosceva la postilla del Meschiari, aggiunse un altro elemento cronologico: nel suo scritto, Labriola citava la replica alla prolusione di Zeller dell’hegeliano Karl Ludwig Michelet, pubblicata in «Der Gedanke» del dicembre 1862, anzi probabilmente uscito nel gennaio 1863 (sul fascicolo non compare il mese, ma vi si dava notizia di una riunione della Società filosofica di Berlino tenutasi il 27 dicembre 1862). Della rettifica — resa necessaria anche dal fatto che più volte il filosofo, in lettere private dell’età matura, collocava lo scritto nel 1862 — si riferisce, con gli opportuni rinvii bibliografici, in Antonio Labriola, Carteggio. III. 1890–1895, Napoli, Bibliopolis, 2003, 379–80, nota 2. Il destinatario della lettera di Labriola del 5 maggio 1893, non è un improbabile, e in effetti inesistente, «Martinez», ma Ferdinando Martini, allora ministro della pubblica istruzione; che è ovviamente anche l’autore della missiva del 10 aprile 1893 indirizzata al filosofo, sempre attribuita al fantomatico «Martinez» (573–74). La lettera di Labriola al rettore della «Sapienza» (Ernesto Monaci) presentata (619) come «inedita» e datata «12/6/1886», è già stata pubblicata in Epistolario, I, Roma, Editori Riuniti, 1983, 215 (ed è del 12 gennaio 1886). Si omette di dire che non è una lettera autografa: ne esiste copia (firma compresa) di altra mano nella cartella Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza» 123 universitaria del filosofo (è riprodotta anche nel 2° volume dei Carteggio, Napoli, Bibliopolis, 2002, 310–11). Le ispezioni, le glosse autografe e le fattezze di Labriola Ci sarebbero molte altre cose da dire su questo impressionante contenitore di materiali disparati, affastellati un po’ alla rinfusa, dentro i quali non è agevole muoversi, anche per l’assenza di un indice dei nomi. Ci limitiamo ad analizzare una questione poco chiara. Ad un certo punto del mamozio si incontra (515) una sezione così intitolata: «La storia alle Elementari. Il punto di vista di Antonio Labriola Ispettore didattico nelle scuole normali (1870–1904)». Lasciamo stare l’incongruenza del titolo, frutto forse di un frettoloso assemblaggio. Una nota in calce avverte: «Elaborato scritto di Simona D’Onofrio, per una laurea triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione» del 2003/04 all’Università di Roma. Ma dopo uno svelto «cappello» giustificativo («il tema della storia è forse il più caratteristico dell’opera di Labriola»), ci si avvede che nelle 25 pagine successive sono riprodotte con note di commento le relazioni fatte da Labriola nelle vesti di ispettore ministeriale a nove scuole normali (gli istituti magistrali della riforma Gentile) nella primavera del 1885. E si tratta precisamente di due articoli apparsi a firma del De Cumis nella rivista «Scuola e città» del giugno 1995 e luglio 1996. Testi riproposti con così assoluta fedeltà, che viene conservata una postilla al secondo articolo, siglata «N.S.d.C.» e indicante gli errori presenti nel primo: errori che, se si eccettua il nome di un docente (corretto per non si sa quale motivo), sono tutti rimasti a scorno del lettore (che non può individuarli, perché le pagine indicate nella postilla sono quelle del periodico). Da una scheda della tesi di laurea, posta in altro luogo del catalogo (604–05), si apprende che essa contiene in appendice «inediti di Labriola come ispettore didattico nelle scuole normali»: ed è un mistero come possano esserlo (inediti) testi pubblicati otto anni prima (tre delle relazioni, per giunta, erano già apparse in una pubblicazione dell’Archivio Centrale dello Stato, L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana, a cura di Carmela Covato e Anna Maria Sorge, Roma, 1994, 157–67). Ma non abbiamo la possibilità di indagare oltre, e ci restringiamo al fattibile. 124 Stefano Miccolis Alle relazioni, redatte da altra mano (quella dello scrivano Oreste De Dominicis), Labriola appose note marginali e postille autografe, che avrebbero meritato maggiore attenzione e una più scrupolosa trascrizione. Della postilla alla relazione sulla scuola normale femminile di Ancona, si legge sorprendentemente in nota (519), a proposito del cognome errato di un docente: «Il copista ha male interpretato la calligrafia del Labriola». Sicché sorge il dubbio che l’autore del testo non abbia visto con i suoi occhi il manoscritto, dovendosi escludere che «uno dei più precisi, assidui ed esperti studiosi di Labriola» (652) non riconosca la grafia di una persona così lungamente indagata. La postilla si chiude (520) con una considerazione riguardante un altro docente (al quale Labriola addebitava sarcasticamente d’essersi esibito «in presenza di alunne» in un «bel saggio di moralità»): «Il De Bernardo […] fa conto che il Ministero si limiterà a traslocarlo» (non, come si legge, trascurarla). Lo diciamo anche per facilitare quelle «indagini», che si assicura (520, nota 29) essere «in corso», «per saperne di più» sul «caso De Bernardo». Dell’ispezione alla scuola normale femminile di Roma (la «Vittoria Colonna»), esiste il verbale dei consiglio dei docenti, avendo Labriola «stimato opportuno» (avvertiva in una nota autografa) «di esporre agl’insegnanti stessi le sue osservazioni». Qui sono più numerose le note a margine del filosofo, e molte sono rimaste vittime di errori di decifrazione che rendono oscura la comprensione di alcuni passi. Ci limiteremo a segnalare quelli presenti in una di esse (537–38), che ne stravolgono non poco il senso: «L’abitudine di far compilare dalle alunne dei manuali [non «normali»] manoscritti di tutte le materie, compresa l’aritmetica, ha raggiunto nella scuola di Roma le proporzioni di una frenesia» [non «porcheria»]. Quest’ultimo errore si sarebbe potuto evitare, se solo si fosse posta attenzione alla ricorrenza di certuni rilievi nelle relazioni. In quella riguardante la scuola normale di Chieti, Labriola lamentava (531) che una docente avesse «l’abitudine poco lodevole di far compilare dalle alunne dei veri trattati manoscritti»: e aggiungeva che «nella normale di Roma cotesta bella usanza» aveva «assunto la forma di una frenesia». Il curatore coltiva da tempo l’intento di realizzare un film sulla vita e sulla figura di Antonio Labriola. Ne scrisse anni fa (1995) su di una rivista cinematografica, sotto forma di una lettera a Eugenio Garin; articolo Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza» 125 riprodotto nel catalogo, proprio al termine delle pagine non numerate. E giustamente ha dato spazio alla dimensione visiva, utilizzando foto del filosofo e dei noti disegni della nuora Frieda Menshausen, ma anche elaborazioni di giovani artisti e fotomontaggi suggestivi: come quello che lo ritrae (316) alla destra di Labriola, attorniato da uno stuolo di allievi e collaboratori (tra i quali un allusivo Pulcinella); o l’altro, nell’ultima pagina del catalogo, dove figura insieme ad alcuni colleghi con sullo sfondo i ritratti di Labriola, Gramsci e Makarenko. Vorremmo solo far presente che il filosofo è rappresentato sia nelle sue effettive sembianze, sia in quelle del figlio Alberto Franz (che ha una qualche, sia pure vaga, genetica somiglianza col padre), sia addirittura col faccione di Andrea Costa; sicché risulta essere, per così dire, uno e trino, con intuibili effetti di straniamento e confusione. Meglio fermarsi (questo il nostro sommesso avviso), prima di andare «oltre», e intanto appurare almeno le fattezze autentiche di Antonio Labriola. Nota. S. MICCOLIS, Antonio Labriola e le elezioni comunali di Napoli del 1872, in «Critica storica», 1984, 409–453 (in particolare 412–18); ID., Antonio Labriola moderato, in «Nuovi studi politici», 1986, 1, 85–110 (in particolare 86–89); N. SICILIANI DE CUMIS, «Introduzione» ad A. LABRIOLA, Scritti liberali, Bari, De Donato, 1981, 31; ID., Antonio Labriola e «La Cultura» di Ruggero Bonghi, in «Giornale critico della filosofia italiana», 1987, 313–344 (in particolare 340–41); S. MICCOLIS, Su Antonio Labriola, Ruggero Bonghi e «La Cultura», in «Nuovi studi politici», 1988, 4, 43–70; E. ZELLER, Ueber Bedeutung und Aufgabe der Erkenntniss–Theorie, traduzione e postilla a cura di Alberto Meschiari, estratto da «Studi di filosofia, politica e diritto», 1982, 15–17 e nota 4; A. ZANARDO, Labriola contro Zeller: 1863, in «Critica marxista», 1998, 2–3, 65–78 (in particolare 76–78); A. LABRIOLA, Carteggio, voll. I–IV (1861–1898), a cura di Stefano MICCOLIS, Napoli, Bibliopolis, 2000–2004. La filosofia nella scuola e nell’università Maria Pia Musso Il bambino impara, perché crede agli adulti. Il dubbio vien dopo la credenza. Ludwig Wittgenstein Il libro a cura di Irene Kajon e Nicola Siciliani de Cumis, La filosofia nella scuola e nell’università esce nel 2005 per la casa editrice Lithos di Roma, e si articola in 325 pagine dense e stimolanti. Il volume nasce dalla collaborazione di numerosi studiosi e insegnanti di filosofia, di pedagogia e di altre discipline, alcuni impegnati, a vario titolo, presso l’Università di Roma «La Sapienza», altri “professori di scuola” a Roma che, con i propri scritti, riflettono su come il pensiero critico e la ricerca filosofica siano importanti per la formazione integrale della persona, nel passato come nel presente. Il volume sembra avere come scopo quello di restituire un ruolo degno alla filosofia intesa come ricerca, come metodo che insegna a porre domande, come destrutturazione continua delle conoscenze acquisite, come esercizio dell’intelligenza critica in ogni campo del sapere, al fine di contrastare l’attuale rischiosa tendenza a dare una risposta certa per ogni quesito, a fornire una ricetta manualistica per ogni problematica. L’uomo si è da sempre posto delle domande in ambito etico, filosofico, fisico costruendosi un metodo epistemologico rispetto al mondo fenomenico e a quello interiore. Non chiudersi nel proprio ambito specialistico, utilizzare la propria competenza tecnica per un fine collettivo, per costruire un sapere condiviso, frutto della convergenza interdisciplinare e multidisciplinare è l’obiettivo da raggiungere, lo sforzo che viene richiesto. Ha un significato dirompente allora la proposta di rinsaldare il legame tra scuola e università, tra un livello di alfabetizzazione “forzata” (lasciatemi passare il termine) e uno basato sulla scelta libera e personale dello studioso; i diversi livelli di cultura si qualificano e si arricchiscono 128 Maria Pia Musso interagendo tra loro e confrontandosi su di un terreno comune: la ricerca. Il libro prevede quindici saggi preceduti da una Premessa: la filosofia nel passato e nel presente, firmata dai due curatori e seguiti da un prezioso apparato che raccoglie i nomi e i temi ricorrenti. Chiude il testo una breve presentazione dei singoli autori, con lo specifico profilo professionale o accademico di ciascuno. Il volume affronta una molteplicità dei temi che non ne consentono una lettura veloce e superficiale. Per “entrare nel libro” occorre farsi guidare dalla Premessa dei due curatori, leggerla prima e dopo aver finito l’intero volume, per trovare il filo rosso, il senso direi quasi maieutico del volume stesso. L’ordine dei saggi compresi segue il seguente indice: – Gabriella Ricciarelli, La nascita della filosofia: unità e molteplicità; – Emidio Spinelli, Capire e parlar chiaro. Ricerca filosofica e pragmatica della comunicazione nel pirronismo antico; – Maurizio Trebbi, La funzione pedagogica della tragedia senecana; – Maria Grazia Iodice, Didattica del latino e filosofia; – Raffaele Vitiello, Le «Provinciali» di Pascal, fra Sorbona e Port. Royal. Un pamphlet filosofico, quasi un “romanzo di formazione”; – Stefania Biagetti, Il mito della “Riforma italiana” tra cultura dell’età barocca e storiografia illuministica; – Roberto Sandrucci, Per quale via puoi sostenere che Cartesio era scettico in merito di Dio; – Pierluigi Valenza, La nascita dell’università di Berlino e il dibattito sul ruolo della filosofia; – Nicola Siciliani de Cumis, Rileggendo L’Università e la libertà della scienza di Antonio Labriola; – Irene Kajon, Il ritorno dell’umanesimo platonico nelle università tedesche tra il 1915 e il 1939; – Paolo Piccolella, Filosofia e scienze: dialogo e interdisciplinarità in Hans Jonas; – Furio Pesci, L’insegnamento della filosofia in Italia dall’Unità alla scuola media unica; – Sergio Cicatelli, La via ermeneutica all’insegnamento della filosofia; – Giuseppe Boncori, Educazione e intelligenza; La filosofia nella scuola e nell’università 129 – Armando Gnisci, Piccolo prolegomeni ad un’ermeneutica interculturale. Ad una prima lettura cursoria dell’indice emerge la varietà delle tematiche affrontate nel volume, ma il collante è costituito dal comune intento, espresso bene nel retrocopertina, di «mantenere vivo il sentimento del ruolo insostituibile che la filosofia ha nella formazione della persona e nella storia della cultura. […] contrastare ogni dichiarazione di morte della filosofia, che oggi spesso risuona richiamandosi da un lato alla critica antimetafisica di ispirazione neopositivista o esistenzialista, dall’altro all’idea di riduzione dei problemi umani al naturalismo e biologismo, o alla difesa acritica del mito e della religione». In questo contesto si possono leggere le numerose metafore, riferite nel tempo alla filosofia, ricordate nella Premessa. Tra tutte trovo particolarmente significativa la metafora di Kant, che paragona la filosofia ad Ecuba, una regina «detronizzata dagli avversari, che penetrarono nel suo dominio in modo avventuroso e con mezzi nuovi» o quella di Wittgenstein: la filosofia è come una scala, uno strumento che consente all’uomo di esaminare i “fatti” ad una certa distanza, ma deve essere buttata via una volta utilizzata (Tractatus logico–philosophicus). Nel saggio di Nicola Siciliani de Cumis, Rileggendo L’Università e la libertà della scienza di Antonio Labriola, a proposito del ruolo della filosofia in rapporto alle altre scienze, si legge la tesi di Labriola: […] che la filosofia debba cessare di essere nell’ordine degli studii un che di extra–scientifico, e un quasi rimasuglio di tradizione scolastica: — che la filosofia debba essere liberata dalla forzata ed inverosimile congiunzione con la filologia; — che la filosofia debba essere messa alla portata di tutti quelli che studiano ogni altra disciplina, perché vi trovi un facoltativo complemento di coltura qualunque studioso si senta in grado di superare nella trattazione delle varie scienze la specialità della ricerca1. La didattica per non diventare sterile, dovrebbe avvalersi della ricerca, intrecciandosi e sperimentandosi in essa, costruendo un rapporto N. SICILIANI DE CUMIS, Rileggendo L’Università e la libertà della scienza di Antonio Labriola, in La filosofia nella scuola e nell’università, a cura di I. Kajon e N. Siciliani de Cumis, Roma, Lithos, 2005, p. 158. 1 130 Maria Pia Musso dialogico e critico; nell’azione educativa è necessario esercitarsi dunque, in una coerente e continua azione di bilanciamento, di correzione e di transazione, per “educare educandoci”. L’operazione di utilizzare l’attività scientifica di ricerca come legame proficuo di continuità nell’educazione di ogni grado (scuola media inferiore, superiore e università) è vista nell’ottica di una formazione critica permanente, adeguata alle varie fasi della crescita. Un esempio concreto è il contributo che professori universitari, studiosi, dottori, laureati e laureandi hanno dato con i loro saggi, nel corposo e multiforme catalogo a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e la sua Università2. Siciliani de Cumis nel suo scritto3 ricorda alcuni passi della prolusione del 1896–1897 di Labriola agli studenti, a proposito della funzione educativa dell’università e della responsabilità intrinseche all’atto del docere e dell’apprendere: Voi avete, senza dubbio, il diritto di discutere nei nostri insegnamenti la scienza che vi si rivela. Il discutere è condizione dell’apprendere; e la critica è la condizione di ogni progresso. Ma per discutere, occorre d’aver già imparato. La scienza è lavoro, e il lavoro non è improvvisazione. […] Io mi auguro che voi, discutendo e criticando, supererete noi, ossia questo periodo nostro. L’Italia ha bisogno di progredire materialmente, moralmente, intellettualmente […]. Noi professori siamo, senza dubbio, orgogliosi della superiorità di condizione morale, in cui ci troviamo rispetto a quelli che ci precedettero nei secoli scorsi, pei quali le libertà furono privilegi; […]. Ma saremo, per fermo, più orgogliosi, se, Il catalogo, edito da Aracne, Roma, 2005, esce in occasione dei settecento anni de «La Sapienza» (1303–2003) e per ricordare i cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. Nel volume sono proposti con dovizia tecnica, numerosi documenti esposti anche nella mostra organizzata dalla I cattedra di Pedagogia generale di Roma de «La Sapienza», che si è svolta in tre diverse sedi, tre luoghi labrioliani: l’Archivio Centrale dello Stato, l’Archivio di Stato di Roma, gli Archivi del Rettorato e della Biblioteca degli Studi di Roma «La Sapienza», nel febbraio 2005. Il catalogo dà notizia dello status quo degli studi sui temi labrioliani, ma ne indica anche di nuovi, riguardanti il Labriola filosofo, il politico, lo storico, il pedagogista e il professore; documenta aspetti inediti di Labriola e la sua Università (fotografie e dipinti, documenti di archivio, ricostruzioni della Roma di fine ‘800, ecc.). 3 Rileggendo L’Università e la libertà della scienza di Antonio Labriola, in La filosofia nella scuola e nell’università, cit., pp. 166–167. 2 La filosofia nella scuola e nell’università 131 associando voi all’opera nostra la vostra intelligente docilità, ci permetterete di chiamarvi cooperatori nostri in questo lavoro, che è il più gradito e nobile che capiti ad un uomo di esercitare ordinatamente, anzi commilitoni sotto l’insegna di quella libera e spregiudicata ricerca che per noi e voi tutti è diritto e dovere ad un tempo. L’obiettivo ultimo dell’educazione ha in sé dunque una forte componente creativa e propulsiva che mira a riconoscere autonomia nel soggetto che apprende e insieme a responsabilizzarlo, riconoscendolo come potenziale “ricercatore” e quindi competente di una materia specifica. Nel faticoso e complesso percorso è essenziale fare affidamento sulla motivazione personale, sull’interesse, sulla curiosità del singolo rispetto ad un tema specifico. Questo atteggiamento propulsivo dovrebbe essere tenuto dai professori tutti, dei vari gradi di scuola perché è il solo antidoto al dommatismo e allo scolasticismo polveroso riscontrabile purtroppo in parecchie aule. La tendenza ad assolutizzare strumenti di trasmissione passiva del sapere quali i manuali scolastici, considerati spesso come punto di arrivo e non di inizio, a ridurre al massimo i contenuti in sintesi improbe e mappe concettuali costruite da adulti che hanno già sistematizzato e acquisito il sapere, tarpa le ali a quel processo creativo di scoperta e di conquista personale che è parte della conoscenza critica. L’esercizio della mente garantito dalla ricerca filosofica disinteressata, dall’analisi delle fonti documentaristiche, dal “contatto” con il pensiero critico nel suo divenire, potrebbe essere un’alternativa percorribile per limitare il rischio di una cultura banale e banalizzante, fondata su breviari filosofici con soluzioni permeate di suadenti elisir. In questo senso ci vengono in aiuto le pagine scritte da Roberto Sandrucci, che costruisce una lezione–tipo su Cartesio destinata ad una classe liceale, e quelle di Sergio Cicatelli che propone l’ermeneutica come metodo di insegnamento per avvicinare i giovani alla lettura dei testi filosofici. La chiave storica nell’insegnamento della filosofia deve essere affiancata dall’approccio epigenetico: ripercorrere le strade della filosofia attraverso il suo farsi e dunque attraverso le sue domande. Questo implica da un lato il ri–conoscimento del significato dell’educazione, intesa come trasformazione e fondata su una didattica dialogica, e dall’altro il pieno e sostanziale riconoscimento della centralità dello studente nel processo di apprendimento. 132 Maria Pia Musso Giuseppe Boncori documenta nel suo stimolante saggio i numerosi studi sulle abilità di pensiero e sulle capacità di apprendere la filosofia fin dall’infanzia, a partire dalle ricerche di Alfred Binet, di Lewis Madison Terman, di Arthur S. Otis, di J.P. Guilford. Risulta particolarmente interessante, inoltre, il progetto sperimentale per la scuola elementare (riportato nelle pp. 310 e sgg.), promosso da M. Lipman e A.M. Sharp, Philosophy for children: where we are now, pubblicata in «Thinking» nel 1986, e poi sviluppato dagli studi di G.H. Mead, L.S. Vygotskij e J. Bruner. La ricerca utilizza alcune categorie e la metodologia della ricerca filosofica per migliorare alcuni aspetti intellettuali e conoscitivi come le capacità di comprensione, l’analisi e la soluzione di problemi, nella convinzione che la riflessività e la razionalità del cittadino si fondano sulla capacità di cogliere il significato di ciò che si sente e si legge, dando significato a ciò che si dice e si scrive. Per questo sono necessarie alcune competenze di ragionamento, come l’inferenza e la scoperta di presupposti soggiacenti, insieme alle capacità di ricerca che consentono di formulare e spiegare le ipotesi. Il volume a cura di Irene Kajon e Nicola Siciliani de Cumis costituisce una significativa alternativa al modo tradizionale di vedere e vivere la filosofia, come “scienza dei dotti”; mostra come i molteplici significati di cui la filosofia si sostanzia e si arricchisce rappresentino altrettanti strumenti sul piano metodologico per una ricerca critica, vitale per ogni insegnamento; ma soprattutto, l’insieme degli scritti contenuti nel volume riescono bene a rappresentare l’auspicio dei due curatori, espresso nella Premessa a p. XI, e cioè che «[…] la ricerca filosofica e l’insegnamento della filosofia non perd[ano] quei caratteri di astrazione, disinteresse, gioco (un dispendio di energie senza alcuna utilità), pur nel rigore, che sono loro connaturati fin da loro apparire nell’orizzonte della cultura». Descartes in una sua lettera a Picot, definisce la filosofia come un albero, le cui radici sono la metafisica, il tronco la fisica, e i rami che escono da tronco tutte le altre scienze. Torna il concetto di enciclopedia e della circolarità dei saperi saldati tra loro grazie alla riflessione critica e alla ricerca filosofica. Labriola, la filosofia, l’Università, il socialismo∗ Vincenzo Orsomarso La seconda edizione del libro di Nicola Siciliani de Cumis, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Torino, UTET, 2005, esce opportunamente nel momento in cui Antonio Labriola e la sua Università è lo specifico tema che l’Università di Roma «La Sapienza» ha scelto per etichettare le proprie iniziative in memoria del Labriola professore e scienziato nel centenario della morte (1904–2004): da un lato, con un Convegno svoltosi il 2 e il 3 febbraio 2004 nella Facoltà di Filosofia; da un altro lato con una Mostra documentaria realizzata tra il 2004 e il 2005, mediante una collaborazione tra la Prima Università di Roma, l’Archivio Centrale dello Stato (EUR) e l’Archivio di Stato di Roma (antica sede della «Sapienza»). Iniziative accompagnate dalla pubblicazione per le edizioni Aracne di un ricco e voluminoso Catalogo, Antonio Labriola e la sua Università1, curato sempre da Nicola Siciliani de Cumis, e da una serie di seminari di approfondimento svoltisi durante i mesi di marzo e maggio del 2005 nel quadro delle lezioni della prima cattedra di Pedagogia generale della facoltà di Filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, e relativi ai temi presenti tanto nella Mostra quanto nel Catalogo. Un testo dicevamo, quello su Antonio Labriola e la sua Università, ricco e denso di contributi, che dalla «filosofia del catalogo», dopo aver esposto il vivace dibattito del 3–4 febbraio 2004, a cui hanno partecipato tra l’altro Fulvio Tessitore, Gennaro Sasso, Luigi Punzo, Giuseppe Spadafora, Ignazio Volpicelli, Alessandro Sanzo e altri studiosi, raccoglie contri∗ Il presente saggio è il risultato dell’integrazione e dell’ampliamento di due articoli, Labriola, la filosofia, l’università e altro e La storia tra libertà e necessità, pubblicati rispettivamente su «Ora locale» (aprile–giugno 2005, p. 15) e sul «Giornale di storia contemporanea» (n. 2, dicembre 2005, pp. 188–206). 1 Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. 134 Vincenzo Orsomarso buti che affrontano i diversi e complessi terreni labrioliani. Dalle questioni socratiche, trattate da Emidio Spinelli, alle intuizioni, presenti negli Scritti pedagogici, a proposito di metodologia sperimentale e ricerca educativa su cui si sofferma Giuseppe Boncori. Ancora, Antonio Labriola fra Croce e Gentile di Giovanni Mastroianni, Diritto e stato nei Saggi sul materialismo storico di Luigi Punzo, e altri interventi di cui non possiamo dare conto in questa sede e ce ne scusiamo con gli autori. Seguono le pagine dedicate alla mostra e alle mostre su Antonio Labriola e la sua Università; infine una serie di contributi specificatamente interessati al Cassinate professore universitario, alle tesi di laurea dei suoi studenti. Vale la pena ricordare, per tutta una serie di implicazioni didattiche e filosofiche, quella di Luigi Basso, Sul metodo delle scienze sociali, introdotta nel catalogo da una stimolante nota di Franco Ferrarotti, e su cui torneremo nelle pagine successive. Quello che viene fuori nell’ultima parte del volume è l’impegno didattico e istituzionale del Labriola, il tutto sostenuto da una documentazione inedita, curata da Siciliani de Cumis e da un nutrito gruppo di giovani ricercatori. Ma l’opera non ha solo il merito di fare il punto sullo stato dell’arte ma rappresenta il felice esito dell’applicazione di una filologia che proponendosi gramscianamente di accertare i fatti «nella loro inconfondibile “individualità”»2, affronta l’autore e il contesto in cui opera nella sua articolata complessità, pur dai diversi Punti di vista da cui si collocano gli interventi. Un esito pertanto necessariamente aperto ad ulteriori sviluppi, a cui gli stessi studenti della cattedra di pedagogia generale sono chiamati a contribuire nel quadro di una didattica della ricerca, sostenuti in questo da un insegnamento interessato a favorire l’acquisizione tanto della strumentazione storico–filologica necessaria quanto delle forme essenziali della comunicazione scientifica. L’obiettivo è espresso dallo stesso Siciliani con le parole pronunciate dal Giorgio Pasquali nel 1923: Per nulla al mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di avere scoperto, essi per primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1429. 2 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 135 dall’esercizio, qualche cosa […] e fosse pure una minima cosa. È desiderabile, mi pare, che il giovane entri nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un giorno, anche un giorno solo, un ricercatore, uno scienziato. Ovviamente il programma pasqualiano era pensato per una università di élite mentre per Siciliani la questione di fondo è quello di posizionarlo e farlo fruttare nell’ambito della scuola e dell’università di massa3. Una proposta didattica che trova una formidabile fonte di ispirazione nel Labriola che si propone socraticamente di sollecitare più che insegnare, di suscitare l’interesse per il dibattito, per la ricerca. Un autore per il quale le operazioni educative non hanno «in mira di ottenere […] il nudo effetto dell’imitazione, ma di promuovere i principi interiori della retta scelta e della retta operazione. Attività ordinata, rivolta a produrre attività, ecco il preciso assunto del campo educativo»4. Ed è anche questo in fondo uno dei motivi che sostengono la tesi del Labriola sulle lauree in filosofia, una posizione che suscita un vivace dibattito e che Siciliani rimette in circolazione con il già citato volume Filosofia e università. Un testo la cui prima edizione risale al 1975 (Urbino, Argalia, collana «Studi filosofici» diretta da Leo Lugarini, Pasquale Salvucci, Livio Sichirillo); la seconda, rispetto alla prima, presenta solo qualche aggiunta, modifica e un aggiornamento bibliografico e poche variazioni di forma. Una scelta che si spiega per la validità che ancora hanno i motivi posti alla base dell’edizione del 1975 e a cui oggi se ne aggiungono altri, di tutti è bene darne conto in questa sede. In primo luogo, con questo libro, si è trattato di presentare un’esauriente esposizione delle proposte del Cassinate sulle «lauree in filosofia» e quindi «delle ragioni, senz’altro, della filosofia, nell’ambito dell’intrapreso vivacissimo dibattito sull’Università nell’Italia del “positivismo trionfante”»; proposte che suscitano un vasto dibattito prima, durante e dopo il primo Congresso dei professori universitari, tenutosi a Milano nel 1887. N. SICILIANI DE CUMIS, Di professione, professore, Caltanissetta–Roma, Salvatore Sciascia editore, 1998, p. 19, un testo a cui è utile affiancare dello stesso autore, L’educazione di uno storico, Firenze, Manzuoli, 1989. 4 A. LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, in ID., Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, p. 259. 3 136 Vincenzo Orsomarso Segue l’esigenza di circoscrivere, attorno al Labriola ed agli altri testimoni delle sue ipotesi filosofiche ed universitarie, un dinamico campo di interferenze ideologiche, «un moto di molteplici influssi, di fruttuose coincidenze d’opinioni, e di intrecci, tra le varie tendenze dominanti nel clima della cultura post–risorgimentale. Di qui, ancora, la necessità di riprendere, in tutta la sua ampiezza e complessità quell’unico, lavoratissimo tessuto d’idee, nel quale sembrano finalmente ritrovarsi, in un senso inscindibile, tanto i fili della formazione del Labriola, quanto il disegno, e le tinte, della sua prima fortuna tra i più noti e autorevoli intellettuali del tempo»5 . Altra giustificazione addotta dall’autore nella prima edizione riguarda l’intento di «offrire in qualche modo, ma sempre insistendo sull’importanza della predominante figura del Labriola, una pressoché inedita cronaca di filosofia italiana, nell’arco del ventennio, dal 1882 al 1902»6. Ai motivi sopra citati, addotti trenta anni fa a giustificazione della prima edizione e che, come dicevamo, mantengono tuttora una particolare rilevanza, ne vanno aggiunti altri, motivi di occasione, precisa l’autore, ma non solo a parere di chi scrive visto che anche oggi, ovviamente in un contesto profondamente mutato, tocca confrontarsi ancora, a proposito di scuola e di università, con «due pregiudizi egualmente perniciosi alla cultura: il volgare tradizionalismo e lo specialismo esagerato»7, nel nostro caso tutto dipendente da una visione dell’istruzione e della formazione immediatamente funzionale alle esigenze dell’accumulazione, qualcuno addirittura nelle sedi istituzionali si è spinto a teorizzare una sorta di just in time dell’istruzione, una presa diretta con un mercato sottoposto alle continue sollecitazioni prodotte da incessanti processi di innovazione che al contrario richiedono elevate capacità di autoapprendimento, quindi quella solida cultura generale e filosofica che il Labriola considerava valida per tutti gli studenti, indipendentemente dall’indirizzo di studio. Una tesi esposta per grandi linee nella lettera del 12 luglio 1887 al Direttore della «Tribuna»; nel testo Labriola critica il concetto espresso dalN. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Torino, UTET, 2005, p. VII. 6 Ivi, p. XVI. 7 Ivi, p. 107. 5 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 137 la legge allora vigente, secondo cui «non c’è che una sola via per diventare filosofi; quella cioè degli studi filologici», quando invece la filosofia non deve essere «un completamento obbligatorio della storia e della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori»8. Sulla proposta, «un po’ ostica alla prima», il Labriola ritorna nella relazione al convegno di Milano del settembre 1887, questa volta articolandola in termini interlocutori ma precisi, propri di chi ha conoscenza ed esperienza di ordinamenti scolastici e universitari. Rafforzato nelle sue convinzioni dai lunghi articoli di giornale in cui le questioni, dallo stesso Labriola toccate nella lettera alla «Tribuna», erano state «ampiamente svolte con efficace sussidio di ottimi argomenti e prove», così come dalle «molte lettere private» di studiosi prodighi di «suggerimenti e consigli». Da tali «suggerimenti e consigli risultano […] le proposte formulate più innanzi» dal Cassinate, che oramai considera proprie «di tutti gli egregi colleghi, coi quali» ha «tenuto una viva corrispondenza per ben due mesi»9. Quanto Labriola va proponendo poggia su una riflessione decisamente complessa maturata nel tempo e che si approfondirà negli anni successivi. L’insegnamento viene visto con nettezza come strumento essenziale per la formazione dell’uomo e la trasformazione della società; mentre nell’università, come scrive Garin nella prefazione, Labriola «individuò anche il punto in cui il sapere, la scienza, si innesta nel processo storico dell’umanità». Tutto ciò lo indusse a riflettere «sul rapporto fra le varie discipline, e fra le varie Facoltà, e a proporsi a un tempo i problemi generali della filosofia e i temi specifici dell’organizzazione dell’insegnamento superiore». Da qui la questione del significato e del compito della filosofia nella problematica moderna, e il nesso fra le discipline filosofiche da un lato, e, dall’altro, tra la filosofia, «le scienze della natura, le scienze matematiche, e le scienze ― se tali siano ― morali, storiche e “umane” in genere. 8 9 Ivi, pp. 20–21. Ivi, p. 104. 138 Vincenzo Orsomarso Il che, poi, significa mettere in discussione, attraverso l’ordinamento universitario, tutta una secolare tradizione di cultura, che in Italia è venuta saldando filosofia e filologia, assegnando a questa una posizione privilegiata per l’accesso alla filosofia, e predeterminando come unica valida una concezione “retorica” del filosofare»10. Il senso del ragionamento del Cassinate non prescinde da una idea di filosofia aperta alla virtuale filosoficità del non–filosofico e commutabile nella storicità dell’azione riformatrice universitaria. […] Un hegelismo ― scrive Siciliani ―, che se com’è noto risente della curvatura dello hebartismo e dell’influenza positiva dei circostanti positivismi, viene tuttavia a confermarsi refrattario così ad ogni scolastica hegeliana come a qualsiasi sistema–prigione di stampo hebartiano11. La sua è una filosofia che rifiuta di chiudersi in un sistema e che cerca di misurarsi con il nuovo che va emergendo nella realtà, il tutto da tradurre, con le dovute accortezze, pedagogicamente e politicamente. Operando quindi, nello specifico caso, nella direzione della trasformazione delle fondamenta dell’istituzione universitaria e di conseguenza «dei modi di intendere la società e i suoi valori, l’educazione e i suoi strumenti, i contenuti e i metodi d’insegnamento, la definizione e l’organizzazione della cultura»12. 1. Struttura economica e «prodotti di primo e secondo grado»13 Il 1887 è anche l’anno in cui il Cassinate, qualche mese prima della lettera alla «Tribuna», nella famosa prolusione su I problemi della filosofia della storia, mette in chiaro che «il nome di filosofia, in questa particolare applicazione [quello di filosofia della storia], non designa già un corpo di dottrine, dichiarato in ogni parte e consacrato dalla tradizione», un «sistema o [ … ] scuola», ma una Ivi, pp. IX–X. Ivi, p. XVII. 12 Ivi, p. XVIII. 13 A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, in ID., La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1965, p. 124. 10 11 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 139 tendenza, più o meno esplicita, ma generale sempre nello spirito dei nostri tempi e latente nei presupposti e nelle conclusioni di quelle discipline storiche, che abbiano raggiunto un più alto grado di esattezza scientifica. E dicendo tendenza, si vuol dire di cosa che non ci disobbliga del primo prossimo lavoro di analisi e di combinazione, e non ci permette di adagiarci tranquilli sopra una tradizione bella e stabilita14. È alla realtà dei processi storici che bisogna guardare, alle modalità con cui viene a documentarsi il complesso articolarsi dell’attività umana nei suoi molteplici livelli. È in questo quadro di riflessioni che il Labriola delinea una concezione epigenetica della storia, a partire dalla confutazione della riduzione del processo storico a «semplice trapasso d’uno in altro punto della medesima serie», a una «accumulazione secolare ed inconscia di prodotti che si alterino da sé, per impulso inerente alla lor propria natura». Come lo sviluppo embrionale non consiste in uno svolgersi di organi preformati, ma in una catena di neoformazioni, così nella storia umana vi è «tramutamento nell’azione propria dello spirito, una vera e propria epigenesi della civiltà»15. La storia in luogo di essere una lenta continua, progressiva evoluzione dei primi rudimentali organismi è una catena ininterrotta di formazioni nuove, determinate dalle circostanze e dall’ambiente, ma senza rapporto alcuno di dipendenza diretta o causazione rettilinea tra loro16. La critica labrioliana si appunta così sul concetto di causalità, trasferito dalle scienze naturali alle discipline storiche, e sull’evoluzionismo sul cui paradigma teorico «l’oggetto da spiegare diventa criterio della spiegazione»17. A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976, p. 25. 15 «Ciascuna parte si forma dopo l’altra e tutti compaiono in una forma semplice che è del tutto diversa da quella ulteriormente evoluta» (L. DAL PANE, La teoria dell’epigenesi nel pensiero di Antonio Labriola, in «Critica sociale», a. XXXV, n. 7, 1–15 aprile 1925, p. 110). 16 Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Nota bibliografica. La prelezione secondo la critica, in LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit. p. 69. 17 DAL PANE, La teoria dell’epigenesi nel pensiero di Antonio Labriola, cit., p. 112. 14 140 Vincenzo Orsomarso La concezione epigenetica non esclude anzi è inclusa nel metodo genetico «come necessità di scienza che voglia rendersi esatto conto del valore dell’esperienza»18. L’uso della categoria di metodo genetico, che in Italia sostituisce quella di metodo dialettico «degradata nell’uso comune all’arte retorica ed avvocatesca», non è solo una questione astrattamente terminologica: allo stato presente della cultura filosofica in Germania ― scrive ad Engels il 13 giugno 1894 ― vi pare che sia chiara evidente, calzante ed esauriente la designazione di metodo dialettico per dire quello che volete dire: cioè la forma del pensiero, che concepisce le cose non in quanto sono (factum ― specie fissa ― categoria etc.) ma in quanto divengono; e che perciò esso stesso, come pensiero, deve essere in atto di movimento? Crederei che la designazione di concezione genetica riesca più chiara; ― e di certo riesce più comprensiva, perché abbraccia così il contenuto reale delle cose che divengono, come virtuosità logico ― formale di intenderle per divenienti19. Se per Silvio Spaventa il metodo genetico, «“vero metodo speculativo (intuitivo) […] inerente nelle cose stesse”», non è altro che la esplicazione organica e libera dell’idea «e la riflessione filosofica non deve far altro che intuire e riprodurre questa esplicazione», tale «mutatis mutandis, il processo genetico, che è all’origine del criterio del morfologico e della concezione epigenetica della storia secondo Labriola»20. Ebbene, il morfologico, una «chiave per comprendere meglio, complessivamente, un po’ tutto il Labriola filosofo, politico, storico, pedagogista, pubblicista, insegnante»21. Sulla base di una visione che rifugge dalla linearità causale, l’unica previsione possibile non può avere carattere cronologico, «di preannun- LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 34–35. A. LABRIOLA, Carteggio, vol. III (1890–1895), a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 411–412. 20 N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 28. 21 Ivi, p. 27. 18 19 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 141 zio o di promessa, ma […], per dirla in una parola che […] esprime tutto in breve, morfologic[o]»22. Previsione che come la storia (la “Storia”), “è sempre determinata, configurata, infinitamente accidentata e variopinta”. È organica in se stessa e per se stessa. Ha “combinatoria e prospettiva”: ed è fatta di cose, che paiono disparate, indipendenti e per sé stanti”, ma delle quali occorre “cogliere l’insieme come insieme, e scorgervi i rapporti continuativi di serrati accadimenti” […] Ed è questa la ragione anche tecnica per la quale, […], il criterio del morfologico non è anticipazione di cose ma solo adesione alle cose. E quindi: è anzitutto riproduzione intelligente ma storicamente dipendente di forme, comunque aderenti alle condizioni date, in quanto risultano organiche all’insieme. È poi immersione critica totale e totalizzante in un processo di realtà storiche complesse, qui ed ora conoscibili, analizzabili, sintetizzabili in una forma. È ancora proposito etico–politico–pedagogico, decisamente aperto al nuovo, ma limitato ed autolimitantesi a priori nelle cause e negli effetti, perché storicamente connesso alle circostanze e da queste determinato23. Certo il morfologico è criterio da seguire razionalmente e non di meno da far valere idealmente, da vivere intellettualmente e passionalmente, ed è ciò che consente dal punto di vista pedagogico, di muovere verso «la formazione integrale dell’uomo», anche se poi la prassi non può non fare i conti con i pesanti condizionamenti imposti dalla Storia24, che si realizza in un quadro di «stadii morfologici (e genetico–epigenetici) che ha in Labriola radici tanto profonde e chiare (il suo sostanziale hegelismo) quanto formativamente compositi»25. Pertanto la previsione propria del comunismo critico risiede nella rilevazione dell’avvento di una forma di società, che svolgendosi dalla presente, dalle sue contraddizioni, per leggi immanenti del divenire storico, metterà capo al «selfgovernment del lavoro»26; benché poi il comunismo sia anche per il Cassinate la capacità collettiva e individuale di autogestione del tempo liberato dal lavoro salariato e riempito di forma- 22 A. LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 27. 23 SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, cit., pp. 29–30. 24 Cfr. ivi, p. 34. 25 Ivi, p. 35. 26 LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, cit., p. 37. 142 Vincenzo Orsomarso zione e autoformazione se, come scrive a Sorel il 20 aprile del ‘97, «le droit à la paresse […] farà spuntare da ogni angolo di strada dei perditempo di genio che, come il nostro maestro Socrate, saranno operosissimi di operosità non messa a mercede»27. Ma nella prelezione del 1887 la concezione epigenetica della storia rimane ancora imbevuta di psicologismo e sulla determinazione dell’evento gioca la dottrina dei fattori. Un anno prima Labriola aveva discusso la tesi di laurea di Luigi Basso, Sul metodo delle scienze sociali; una tesi che da un lato rispecchia la cultura generale e giuridica personale del Basso28, prevalentemente positivista, da un altro lato risente di una certa consuetudine con il Labriola che va riflettendo sui temi che saranno propri della prolusione del 1887. L’attenzione al metodo delle scienze sociali non può meravigliare se la «filosofia della storia non può ne deve essere una storia universale narrata filosoficamente ma anzi una semplice ricerca su i metodi, su i principii e sul sistema delle conoscenze storiche»29. Diventa quindi necessario misurarsi criticamente con la metodologia prodotta dalle scienze sociali e positive, anche se Labriola conferma il fallimento del positivismo quando quest’ultimo si propone in termini di sistema. D’altra parte ogni scolasticismo non può che essere bandito dalla complessità del fatto storico e sociale, che si specifica nei «diversi elementi» nelle «varie funzioni» che «concorrano alla [sua] formazione»30. A quest’ultimo proposito anche per Basso i fenomeni sono «l’effetto di molte e varie» cause e che altre «in certi casi possono controbilanciare quelle che […] hanno prodotto i fenomeni» considerati31. La stessa convinzione che basti analizzare la «natura psicologica dell’uomo»32 e i suoi 27 A. LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 179. 28 Basso già laureato in giurisprudenza nel 1883, si laurea in filosofia nel 1886, realizzando proprio quel tipo di preparazione universitaria di cui Labriola si farà aperto sostenitore nel 1887. 29 LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., p. 51n. 30 Ivi, p. 30. 31 Cfr. L. BASSO, Sul metodo delle scienze sociali, Tesi di laurea discussa con Antonio Labriola, nella Regia Università di Roma «La Sapienza» il 27 giugno 1886, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 545–556 (in particolare le pp. 548–549). 32 Spinto ad operare «da impulsi che sono nella sua natura» (ivi, p. 550). Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 143 «moventi» per «dedurre i fatti umani», risulta gravida di errori, poiché «questa natura psicologica non è cosa completa fin da principio». I «motivi più complessi delle azioni umane sono frutto di lenta evoluzione» e «possono svolgersi diversamente nei diversi individui e similmente nei diversi popoli, donde viene appunto quel diverso complesso di azioni, di sentimenti, di pensieri che fanno il carattere così dei popoli come degli individui». I moti psicologici «possono certo divenire principi che spiegano molte istituzioni sociali», ma su queste ultime «hanno grande e diretta influenza le condizioni materiali, e specialmente le circostanze geografiche poiché queste sole molte volte possono determinare certi organismi o certe varietà di organismi sociali»33, Basso cita Montesquieu e Spencer. Ma Labriola già anni prima parlava di «plastica del suolo, come di campo a cui l’uomo viene faticosamente sovraimponendo i prodotti dell’operosità sua». Quindi la storia e l’insegnamento della storia devono rendere chiari «le varie maniere di tecnica, che furono escogitati per vincere le esteriori difficoltà della natura», nonché «tenere congiunte le immagini della umana operosità a quella dell’ambiente esteriore»34. Considerazione del rapporto tra uomo e natura che viene portata a completa definizione nella categoria di «ambiente artificiale». La storia ― scrive Labriola nel secondo dei Saggi ― è il fatto dell’uomo, in quanto che l’uomo può creare e perfezionare i suoi strumenti di lavoro, e con tali istrumenti può crearsi un ambiente artificiale, il quale poi reagisce nei suoi complicati effetti sopra di lui, e cos’ì com’è, e come via via si modifica, è l’occasione e la condizione del suo sviluppo35. Nel testo di Basso sembrano combinarsi la formazione giuridica e positivista del giovane studioso e le sollecitazioni e le suggestioni dell’insegnamento del Labriola. Tant’è che subito dopo le asserzioni sul peso determinante dei fattori geografici Basso ritorna sulla pluralità delle 33 Ibidem. LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 290. 35 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 76. 34 144 Vincenzo Orsomarso cause operanti sui «fenomeni sociali», sulle «istituzioni», sulle «forze psichiche sociali», sui «fatti storici in generale»36. Ed è proprio «la considerazione di tante serie proprie ed indipendenti, di tanti elementi specifici, di tanti fattori irriducibili, di tante incidenze non preordinate, quante ne presenta la storia studiata al lume di una critica spassionata e penetrativa» che secondo Labriola ci consiglia, e anzi c’impone, di tenere per inverosimile e per illusorio il supposto di una reale unità, che sia come il punto di riferimento, il subietto costante, o la significazione massima d’ogni sorta d’impulsi e d’opere, dai primissimi tempi fino ai nostri; la quale unità il filosofo riuscirebbe poi a ritrarre per virtù di pensiero, e a tratteggiare per arte ed esposizione37. Un punto di vista a cui succederà nove anni dopo, ma solo «in ultima istanza», la spiegazione del «fatto storico per via della sottostante struttura economica». Affermazioni che sono alla base delle obiezioni di Vilfredo Pareto al secondo saggio del Labriola, di cui pure ammira «la profondità del pensiero» e rileva la densità di «vera scienza» presente nelle pagine dello «scritto […] sul materialismo storico». Ma non può non dissentire dal Cassinate quando il filosofo marxista ricostruisce, secondo Pareto, la storia cedendo «alla credenza», a cui non è estraneo Marx38, «che tanto a scrivere la storia basti mettere in evidenza il solo momento economico»39. Gli autori marxisti, tra questi Labriola, «richiamando l’attenzione sull’influsso che possono avere le condizioni economiche sulla morale, la religione, ecc., hanno reso un gran servigio alla scienza. Però si sbagliano sulla natura di cotesta dipendenza. Non si tratta di un rapporto di causa ad effetto». Per Pareto è necessario chiedersi «se questa “struttura economica” non sia essa stessa, in certi casi, effetto anziché causa»40. In realtà, nelle stesse pagine recensite da Pareto, Labriola muove alla critica di quella che definisce la «semidottrina» dei «fattori storici», «più volte addotta, quale argomento decisivo contro la teoria unitaria della Cfr. BASSO, Sul metodo delle scienze sociali, cit., p. 550. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., p. 44. 38 Cfr. V. PARETO, Scritti sociologici, a cura di G. Busino, Torino, UTET, 1966, p. 217. 39 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 70. 40 PARETO, Scritti sociologici, cit., p. 214. 36 37 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 145 concezione materialistica» e che si esprime nella convinzione «che la storia non si possa intendere, se non come incontro e incidenza di diversi fattori»41, il che ha a che fare con la teoria della mutua dipendenza dei fattori propria di Pareto. Una posizione che per Labriola si spiega nel quadro di una «società già arrivata ad un certo grado di sviluppo, […] già tanto complicata da nascondere il sottostrato economico che il resto sorregge», e che pertanto non si è rivelata ai puri narratori, se non in quegli apici visibili, in quei risultati più appariscenti, in quei sintomi più significativi, che son le forme politiche, le disposizioni di legge e le passioni di parte. Il narratore oltre che per la mancanza di una dottrina teorica su le fonti vere del movimento storico, per l’atteggiamento stesso che egli assume di fronte alle cose che coglie nelle apparenze del loro divenire, non può ridurre questo ad unità, se non nell’aspetto della sola intuizione immediata42. In realtà i fattori storici vanno considerati il prodotto necessario di una conoscenza che è in via di sviluppo e di formazione. Nascono dal bisogno di orientarsi sopra lo spettacolo confuso, che le cose umane presentano a chi voglia narrarle; e servono poi, dirò così, di titolo, di categoria, di indice a quella inevitabile divisione del lavoro, per entro alla quale fu finora teoreticamente elaborata la materia storico–sociale43. Ma, considerando che anche ai comunisti critici spetta «l’obbligo della minuta e diretta ricerca», La provvisoria orientazione44, secondo l’ovvio schema di ciò che dicono i fattori, può, in date circostanze, occorrere anche a noi, che professiamo un princi- LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 88. Ivi, p. 89. 43 Ivi, p. 94. 44 I fattori per Labriola «si originano nella mente, per via della astrazione e della generalizzazione degli aspetti immediati del movimento apparente, e stanno alla pari con tutti gli altri concetti empirici, i quali sorti che siano in ogni altro campo del sapere, vi si mantengono, finché, o non vengano ridotti ed eliminati per via di nuo41 42 146 Vincenzo Orsomarso pio affatto unitario della interpretazione storica. Intendo dire, se vogliamo, con propria nostra ricerca, illustrare un determinato periodo di storia45. È così che il materialismo storico risulta «il principio unitario di massima evidenza e trasparenza» ma non il «mezzo infallibile per risolvere in elementi semplici l’immane apparato e il complicato ingranaggio della società»46. Se noi […] ci proponiamo di penetrare nelle vicende storiche svoltesi fino ad ora, assumendo, come assumiamo, a filo conduttore il variare delle forme della sottostante struttura economica, fino al dato più semplice del variare degl’istrumenti, noi dobbiamo aver piena coscienza della difficoltà del problema che ci proponiamo; perché qui non si tratta già di aprir gli occhi e di vedere, ma di uno sforzo massimo del pensiero, che è diretto a vincere il multiforme spettacolo della esperienza immediata, per ridurne gli elementi in una serie genetica. E per ciò, dicevo, che nella ricerca particolare tocca anche a noi di pigliar le mosse da quei gruppi di fatti apparentemente isolati, e da quel variopinto intreccio, dallo studio empirico, insomma, dal quale è nata la credenza nei fattori, che poi si è svolta in una semidottrina47. La concezione materialistica della storia è il filo conduttore che attraverso i necessari accertamenti deve consentire di «intendere integralmente la storia» in tutte le sue intuitive manifestazioni48. va esperienza, o non si trovino riassorbiti da una concezione più generale, che sia genetica, evolutiva, dialettica» (ivi, p. 91). 45 Ivi, p. 94. 46 Ibidem. 47 Ivi, p. 96. 48 Proprio il tema del diritto e dello Stato in quanto prodotto di primo grado della struttura economica, rende evidente, secondo Luigi Punzo, la lettura non dogmatica ma aperta e problematica del rapporto che Labriola stabilisce tra struttura e sovrastrutture (cfr. L. PUNZO, Diritto e stato nei Saggi sul materialismo storico, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 261). Attraverso una ricostruzione storico–genetica del «fattore» Stato Labriola pone in luce come le funzioni dello Stato variano al variare delle condizioni sociali e «in secondo luogo, esso si determina alla stregua di una forza fisica che deve controbilanciare forze di segno contrario, in funzione della difesa degli interessi di una parte della società contro quella di tutto il resto». Lo Stato, risolvendosi nelle condizioni sociali da cui esso trae origine, «cessa di “rap- Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 147 Non si tratta di separare l’accidenti dalla sostanza, la parvenza dalla realtà, il fenomeno dal nocciolo intrinseco, […]; ma, anzi, di spiegare l’intreccio ed il complesso, per l’appunto in quanto è intreccio e complesso. Non si tratta di scovrire e di determinare il terreno sociale solamente, per poi farci apparire su gli uomini, come tante marionette, i cui fili siano tenuti e mossi […] dalle categorie economiche. Queste categorie sono esse stesse divenute e divengono come tutto il resto; ― perché gli uomini mutano quanto alla capacità e all’arte di […] trasformare ed usare le condizioni naturali; ― perché gli uomini cambiano animo ed attitudini per la reazione degli strumenti loro sopra di loro stessi; — perché gli uomini mutano nei loro rispettivi rapporti di conviventi, e perciò di dipendenti in vario modo gli uni dagli altri49. Il fattore economico pertanto non va astrattamente isolato da tutto il resto, va innanzi tutto concepito storicamente. Diversamente da gran parte dei teorici della Seconda Internazionale tanto revisionisti quanto ortodossi, la sfera economica per Labriola non può essere considerata separata dagli altri fattori, non può svuotarsi di ogni effettivo contenuto storico–sociale, non può essere presentata come una sfera antecedente e preliminare alla mediazione interumana. L’esprimere un concetto naturalistico di economia, parlarne come di un «istinto» o di una forza naturale economica analoga alla forza fisico– naturale, se rende per i sostenitori dell’ortodossia questo mondo retto da una concatenazione causale oggettiva, per i revisionisti pone, accanto e al di sopra della struttura economica naturalisticamente concepita, la necessaria esistenza, accanto e al di sopra di esso, dell’«ideale morale», del «dover essere» di Kant, al quale è rimessa la realizzazione del socialismo. La società dell’avvenire non è il risultato inevitabile dell’evoluzione oggettiva, bensì è una meta ideale che il volere umano si pone liberamente. Così la ferrea necessità evoca il suo opposto astratto: la libertà, il determinismo, l’indeterminismo assoluto. presentare la causa diretta” del movimento storico, in quanto presunto autore della società. Ciò non significa negare in maniera acritica lo Stato, la sua funzione», infatti per Labriola «resta pur sempre “qualcosa di assai reale, come sistema di forze che mantengono l’equilibrio, o lo impongono con la violenza o la repressione”» (L. PUNZO, Diritto e Stato nei Saggi di Labriola, in «Critica marxista», n. 1, 2005, pp. 63– 64). 49 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 140. 148 Vincenzo Orsomarso Per il Labriola la questione si presenta in termini ben più complessi, perché la storia «è storia del lavoro», che «è il nerbo del vivere umano, l’uomo stesso che si svolge»50. Ma «da premessa di ogni umana esistenza», «di ogni progresso», il lavoro diventa condizione di «soggezione del più gran numero degli uomini» alla «comodità di pochi»51. L’articolazione fondamentale della società poggia sui rapporti che «intercedono tra coloro, i quali direttamente producono col lavoro e coi suoi strumenti i beni materiali»52. Nel «concetto di storia del lavoro è implicita la forma sempre sociale del lavoro stesso, e il variare di tale forma: ― l’uomo storico è sempre l’uomo sociale, e il presunto uomo presociale, o supersociale, è un parto della fantasia». In Labriola la «produzione materiale» nel senso stretto della parola non è dissociata da quell’altra e simultanea produzione che gli uomini compiono dei loro stessi rapporti. Nella produzione gli uomini non agiscono solo sulla natura per creare un «ambiente artificiale», ma agiscono anche gli uni sugli altri. Per produrre stabiliscono legami e rapporti e la loro azione sulla natura, la produzione, ha luogo soltanto nel quadro dei rapporti sociali stabiliti. Siamo ben lontani da un concetto naturalistico di economia propria del marginalismo, la storia come storia del lavoro è un conoscere operando, è la prassi; il che implica «lo sviluppo rispettivamente proporzionato e proporzionale delle attitudini mentali e delle attitudini operative»53. D’altronde una formazione storico–sociale nuova va ipotizzata, studiata, preparata, organizzata, voluta da quanti nel tempo, concorrono alla sua genesi; ma per esistere e durare in qualche modo storicamente e politicamente, deve arrivare ad essere forma reale necessaria dei suoi contenuti di oggettiva razionalità. Deve cioè vivere socialmente nei fatti allo stesso modo in cui riesce a vivere filosoficamente nella teoria, per farsi quindi movimento reale e coscienza di classe: capacità di produrre la trasformazione morfologica richiesta dalle dinamiche conflittuali di classe. LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 232. Ivi, p. 251. 52 Ivi, p. 214. 53 Ivi, p. 204. 50 51 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 149 2. L’«arbitrio soggettivo» La storia così integralmente intesa «è il fatto dell’uomo»54 ma non cede «all’arbitrio soggettivo, che annunci una correzione, proclami una riforma, o formuli un progetto». La «relatività» delle formazioni economico–sociali sta nel fatto che si costituiscono in determinate situazioni, ma non può essere ridotta a «fugacità», a «mera apparenza». Da qui la ragione della lunga citazione della Prefazione del ‘59 a Per la critica dell’economia politica e il frequente riecheggiare nelle argomentazioni labrioliane delle affermazioni marxiane intorno alla «formazione sociale» che «non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa ha spazio sufficiente»55. Più forze di produzione «il mago va evocando, e più forze di ribellione contro di sé stesso suscita e prepara». Più «larghi si fanno i confini del mondo borghese, più popoli vi entrano, abbandonando e sorpassando le forme inferiori di produzione, ed ecco che più precise e sicure divengono le aspettative del comunismo»56. Su questa base il «socialismo scientifico […] non è più la critica soggettiva applicata alle cose»57, non è quel «socialismo» che «per lungo tempo» è stato «utopistico, progettistico, estemporaneo e visionario»58, «ma è il ritrovamento dell’autocritica che è nelle cose stesse». La critica vera della società esercitata dalla «società stessa, che per condizioni antitetiche dei contrasti su i quali poggia genera da sé in se stessa le contraddizioni»59. Ma se nel primo saggio la previsione del socialismo corre sicura nel suo carattere morfologico, nel terzo saggio Labriola va precisando come l’esperienza di questi ultimi cinquant’anni deve indurre a pensare ad un processo di trasformazione sociale in termini di lunga durata, il che rende la previsione «morfologica» incerta, dato il complicarsi e l’ampliarsi LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 76. LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, cit., p. 30. 56 Ivi, p. 55. 57 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 105. 58 LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 285. 59 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 105. 54 55 150 Vincenzo Orsomarso del modo di produzione capitalistico60. Dopo poco però Labriola precisa che lo studio delle trasformazioni capitalistiche, dei processi di ricomposizione sociale e politica del proletariato può consentire di riformulare, con «sufficiente chiarezza di calcoli», la «nostra previsione», il passaggio ad una nuova fase della storia umana61. Su cotesti dati più prossimi la nostra previsione può correre con sufficiente chiarezza di calcoli, e può raggiungere il punto nel quale il proletariato divenga prevalente, poscia predominante politicamente nello stato. E da quel punto, che deve coincidere con la impotenza del capitalismo a reggersi, da quel punto, dico, che nessuno può immaginarsi come un rumoroso patatrac, sarebbe il cominciamento di ciò che molti, non si sa perché, come se tutta la storia non fosse la serie delle rivoluzioni della società, chiamano enfaticamente la rivoluzione sociale par excellence. Spingersi oltre di quel punto, coi ragionamenti, gli è come voler confonder questi con gli artifizii della immaginazione62. La politica, che è anche grande opera pedagogica, non può affidarsi a quel «latente […] neoutopismo», al dogma della «necessaria evoluzione» presente tuttora nel «socialismo contemporaneo. Il futuro devono produrlo gli uomini stessi, e per la sollecitazione dello stato in cui sono e per lo sviluppo delle attitudini loro»63. La «forma capitalistico borghese» si svolge quindi non «secondo regole e piani» ma «per via di attriti e di lotte» che nell’insieme formano un «costante intrigo di antitesi»64; risulta quindi enorme il peso delle circostanze in cui gli uomini operano, tant’è che il socialismo è soprattutto «la coscienza delle sue difficoltà»65 e le premesse vanno ricercate nel pieno dispiegarsi del modo di produzione capitalistico. Se il capitalismo più si estende e più evoca le forze che lo seppelliranno, la premessa necessaria va individuata nella completa sussunzione del globo all’organizzazione economica e sociale borghese. Nel pieno svolgersi di una «ci- Cfr. LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 287. Ibidem. 62 Ibidem. 63 Ivi, p. 286. 64 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 148. 65 LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei comunisti, cit., p. 32. 60 61 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 151 viltà, non più atavisticamente locale, non più nazionale e mediterranea, ma internazionale, anzi interoceanica o panoceanica»66. Per quanto poi riguarda l’Italia nella «concatenazione economico– politica del mondo civile attuale», il paese, «in condizione relativamente passiva […] in tutti gli anni anteriori al 1870, nei quali le altre nazioni direttive posero le premesse e dettero la prima potente avviata alla presente espansione e gara […] mondiale»67, «non può volontariamente sequestrarsi dalla storia, dopo che per secoli ne era stat[o] mess[o] fuori dai fati»68. La famosa e discussa intervista del 13 aprile 1902 del «Giornale d’Italia» rende espliciti i limiti di un pensiero che non riesce ad elaborare un concreto e autonomo percorso politico, arrivando ad affidare la soluzione del problema dell’emigrazione alla conquista della Tripolitania. Una posizione eurocentrica che spiega l’altrettanto famosa risposta alla domanda sull’«educazione del papuano», che a sua volta rende evidente l’enorme peso attribuito dal Labriola al condizionamento oggettivo. Nonostante che l’uomo «produc[a] e svilupp[i] se stesso, come causa ed effetto, come autore e conseguenza ad un tempo di determinate condizioni sociali»69, l’equilibrio tra libertà e necessità si incrina gravemente a favore di quest’ultima. D’altronde gli uomini, che presi in astratto sono tutti educabili e perfettibili, si son perfezionati ed educati sempre quel tanto, e nella misura che essi potevano, date le condizioni di vita in cui è stata loro necessità di svolgersi. […], questo è appunto il caso in cui la parola ambiente non è una metafora, e l’uso del termine accomodazione non è un traslato70. La lotta di classe, nel presente, si muove pur sempre dall’interno della forma imprescindibile della produzione borghese; e alla rivoluzione, rimandata ad un futuro lontano, si rende necessario fare propria la gara LABRIOLA, Discorrendo di filosofia e di socialismo, cit., p. 323. A. LABRIOLA, Da un secolo all’altro, in ID., La concezione materialistica della storia, cit. p. 348. 68 A. LABRIOLA, Scritti filosofici e politici, a cura di F. Sbarberi, Torino, Einaudi, 1973, p. 959. 69 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 130. 70 Ivi, p. 128. 66 67 152 Vincenzo Orsomarso e la concorrenza economica fra le nazioni, e dunque la conquista e la colonizzazione diventa uno strumento indispensabile dello sviluppo storico. Ma il tema del colonialismo non è questione nuova per il Labriola, già nel 1890 con una lettera al deputato radicale Alfredo Baccarini, sollecitava tutti coloro che si erano opposti all’impresa del Mar Rosso, a discutere, a cose fatte, «del modo di ordinare la colonia», se non fosse l’occasione, visto quanto previsto dalla recente legislazione in materia di terre coloniali, di «un esperimento di socialismo pratico»71. Una provocazione poiché si rivolgeva allo stesso Francesco Crispi invitandolo, in virtù del suo passato mazziniano orgogliosamente vantato, a rendere «omaggio, almeno in Africa, al semisocialismo cooperativo di Giuseppe Mazzini»72. Ma davanti alle decise obiezioni del Turati, per il quale il socialismo non era sperimentabile, «esso si fa, non si prova»73, Labriola precisa di non credere «alla capacità dello Stato borghese di risolvere uno solo dei problemi sociali secondo gli intendimenti nostri»74; la proposta aveva una finalità pedagogica, era necessario porre dei casi concreti come quello dell’Eritrea, in cui si vede come nasce la proprietà borghese e come il capitale si impossessa della terra, ed è flagrante la contraddizione fra lo stato presuntivamente democratico e l’abuso della pubblica finanza a vantaggio di pochi. I nostri operai sono stati troppo abituati a considerare il problema sociale coi criteri delle vecchie «Teniamo la terra a titolo di proprietà di stato — scrive Labriola —, ed aspettiamo, studiando. Si faccia di creare un sistema di coltivazione, o diretta o sussidiata. Proviamo le forme della partecipazione e della cooperativa» (LABRIOLA, Scritti filosofici e politici, cit., p. 107). 72 Ivi, p. 109. 73 «L’economia patriarcale», scrive Turati. «quella a schiavi od a servi, il feudalesimo, il cristianesimo, la rivoluzione francese e il regno della borghesia avvennero non si sperimentarono. Avvennero alla loro ora, quando essi non potevano non essere, e quel che prima era non poteva essere più. Forzare l’evoluzione, cancellare un periodo economico, saltare a piè pari dalla tribù africana al collettivismo sembrami un sogno» (ivi, p. 111). 74 Ivi, p. 113. 71 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 153 scuole rivoluzionarie, e perciò errano nel vuoto, o si fanno tirare per il naso dai demagoghi e dai catalinari75. Sebbene a margine nella discussione, sollecitato da Pasquale Martignetti, interviene anche Engels che in una lettera all’interlocutore italiano dichiara che la «piccola economia contadina è la soluzione naturale e la migliore nelle colonie che vengono oggi fondate dai governi borghesi (su cui è da confrontare Marx, Capitale, I vol., ultimo capitolo: Colonizzazione moderna)». Quindi i socialisti possono «appoggiare senza scrupoli di coscienza l’introduzione della piccola proprietà contadina nelle colonie già fondate. Se poi venga introdotta è un’altra questione»76. L’intervento di Engels rende evidente come i limiti del Labriola, in tema di colonialismo, il suo eurocentrismo, siano anche quelli del socialismo della Seconda Internazionale che equipara l’imperialismo moderno alla tradizionale politica coloniale, riducendolo all’annessione di un territorio d’oltremare ad uno Stato. Il fenomeno veniva così letto in termini puramente politici e solo successivamente al 191077 il dibattito va acquistando ben altri contenuti, sulla base del nesso tra sviluppo del capitalismo monopolistico e finanziario e colonialismo. Ma spetterà a Lenin trarne tutte le conseguenze politiche più che teoriche, contribuendo a sollecitare in modo decisivo la ricerca gramsciana intorno alla riformulazione della filosofia della prassi. In ogni caso l’intervista del 1902 richiama, in tema di pedagogia, l’educazione del «papuano», da fare «provvisoriamente […] schiavo» e solo poi «vedere se per i suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra»78. «L’insegnamento possibile non può essere […] altro da quello che, a certe condizioni, riesce a svolgersi». Ove mancano queste condizioni Ivi, p. 114. Ivi, p. 115. Cfr. La corrispondenza di Marx e Engels con italiani. 1848–1895, a cura di G. Del Bo, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 356. 77 È l’anno di pubblicazione de Il capitalismo finanziario di Hilferding, sebbene le prime sollecitazioni ad abbandonare una lettura dell’imperialismo in termini puramente politici venga dalla pubblicazione, nel 1902, de L’imperialismo dell’inglese Hobson. 78 B. CROCE, Conversazioni critiche, serie seconda, seconda edizione riveduta, Bari, Laterza, 1924, pp. 60–61. 75 76 154 Vincenzo Orsomarso «non si dà insegnamento alcuno, né si rendono possibili apprendimenti»79. È la prova dell’inefficacia, in determinati contesti, della pedagogia e nei Saggi di una considerazione dell’educazione come «accomodazione sociale», che «può modificare sì, entro certi limiti»80, dati, come afferma nello stesso 1896, anno di pubblicazione del secondo saggio, da una «storia […] signora di noi tutti». Labriola allo stesso tempo, proprio in virtù della sua concezione epigenetica della storia, rifiuta ogni astratta visione del procedere storico per stadi ben definiti, la storia non può essere ridotta al «sacramentale schema: economia a schiavi, economia a servaggio, economia a salariato». Chi si rechi quella formula in mano non capirà un solo fatto, proviamo, della vita inglese del secolo decimoquarto — e dove vorrà collocare quella buona Norvegia che non ebbe mai né schiavitù e né servi? E che conto si renderà della servitù della gleba, che si fissa e si sviluppa nella Germania d’oltre l’Elba proprio dopo la Riforma? E che spiegazione darà al fatto singolare che la borghesia europea inauguri una nuova schiavitù in America di schiavi a bella posta importati proprio nel medesimo tempo in cui essa percorse i primi stadi dell’età liberale?81 Per il Cassinate la ricerca storica «rimane sempre legata alle impreteribili ragioni empiriche della rappresentazione del fatto, e deve rifiutarsi a qualunque pretesa d’imperativi aprioristici»82. Ma alla «storia […] signora di noi tutti», con tutte le conseguenze, si va affidando nelle stesse pagine di Da un secolo all’altro, dove la fine dell’«era liberale si precisa nel sorgere di un nuovo dissidio tra Oriente e Occidente», le cui ragioni non vanno più ricercate nell’«invidia degli dei» ma nelle «invidie fra gli uomini»; nella concorrenza che è «l’assioma della società liberale la quale si eserciterà attorno più furiosamente nel nuovo secolo»83. 79 N. SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 184. 80 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 136. 81 LABRIOLA, Da un secolo all’altro, cit., p. 345. 82 Ivi, p. 346. 83 Ivi, p. 324. Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 155 Annunciatasi «con impeto di poesia» l’era liberale, intenta nell’esaltare democrazia e principio nazionale, ha trovato quale ostacolo il «grande intrigo della storia», di cui le «tracce del passato» sono motivi rilevanti degli «arresti» della «civiltà». A questo proposito chi vorrà negare esser tuttora vivo e forte il divario fra popoli attivi e passivi. Dov’è che gli europei, e i loro derivati d’America nel rapido ciclo della conquista tecnico–capitalistica del mondo, abbiano trovato emuli ed alleati, fuori che nel Giappone […]. Chi crederà mai […] che dall’accampamento ottomano si trarrà ancora una moderna nazione turca? E in che altro ha messo capo la kedhivale rinnovazione dell’Egitto, se non che, tout court, nell’ingerenza del capitale europeo, tradotta poi senza tanti complimenti, […] nel dominio prevedibilmente perpetuo dell’Inghilterra da Alessandria fin verso le fonti del sacro Nilo? Non una sola delle genti, non un solo dei varii conglomerati di genti, non un solo dei quasi popoli, sui quali l’Islam esercitò per più di un millennio la sua forte influenza, s’è visto ad assorgere di recente a nuova vita per ispontanea e rigeneratrice appropriazione degli elementi che il mondo europeo è andato offrendo. E poi non è forse l’Europa stessa suddivisa alla sua volta in un suo proprio Oriente e Occidente? […] la Russia, al confronto [degli] stati dell’Europa mediana ed occidentale, sorti e svoltisi da costanti rivoluzioni, che han rimescolato così spesso tutti gli elementi sociali dall’imo alla superficie, e dalla periferia al centro, e viceversa, rimane per noi come qualcosa di straniero, che sa sempre di bizantino e di mongolico tuttora. La posizione attiva è sempre tenuta, alla fin delle fini e nel tutt’insieme, dai neo–germani e dai neo–latini: e ci troviamo perciò rimandati alla lunga tradizione della civiltà mediterranea antica, continuatasi nella unità cattolica del Medioevo. Qual maraviglia, dunque, se la politica della conquista, della supremazia, della sopraffazione, dell’intervento di paese e paese, e della guerra, o fatta o soltanto minacciata, sia stata e rimanga l’inevitabile conseguenza, il potente ausilio e l’istrumento decisivo della espansione capitalistico–borghese?84 Le uscite del Labriola in tema di colonialismo «sono tutt’altro che un incidente, un caso di “spregiudicatezza critica” in atto di “degenerare”, meritevole di un discorso “a parte”»85, si tratta delle difficoltà del pen84 85 Ivi, pp. 324–325. G. MASTROIANNI, Antonio Labriola e la filosofia in Italia, Urbino, Argalìa, 1976, p. 64. 156 Vincenzo Orsomarso siero socialista di pensare e operare nella coscienza della longue durèe e di stabilire in questo quadro l’equilibrio tra libertà e necessità. Labriola dichiara a Pasquale Villari nella lettera del 13 novembre 1900, che non si è mai sognato che il socialismo italiano fosse leva per rovesciare il mondo capitalistico. A ciò non crede nessuno nel mondo civile, e soprattutto non ci credono i socialisti di altri paesi. Io ho inteso sempre il socialismo italiano come un mezzo: 1) per sviluppare il senso politico delle moltitudini; 2) per educare quella parte di operai che sono educabili alla organizzazione di classe; 3) per opporre alle varie camorre che si chiamano partiti una forte compagine popolare; 4) per costringere i rappresentanti del governo alle riforme economiche utili per tutti. Il resto della propaganda socialista, nel senso specifico della parola, non può avere effetto pratico quanto all’Italia che per le generazioni di là da venire86. L’insufficienza del socialismo italiano è prodotto della debolezza del capitalismo nostrano, mentre solo il pieno sviluppo delle premesse capitalistiche può dare ragione della trasformazione dei rapporti sociali di produzione. Da qui, per quanto riguarda sempre il presente, il mettere l’accento sui problemi dell’educazione e della formazione ideologica e politica delle masse, che deve chiarire, agli stessi lavoratori, la situazione e favorirne quindi la partecipazione al moto storico, «al fare delle cose»87. È nel quadro del mai risolto hegelismo che si iscrive la pedagogia del Labriola socialista, una pedagogia che continua ad assumere a fonte di ispirazione il Socrate che fa della rilevazione dell’aporia la leva per sollecitare l’indagine; un Socrate che educa a «ricercare, criticare, analizzare, correggere»88, di cui il Labriola aveva sottolineato «la dichiarata tendenza pedagogica», l’essenza del metodo che è nella «vita che diviene ricerca»89. A. LABRIOLA, Scritti politici, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, pp. 463–464. A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e filosofia, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 233. 88 LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 116. 89 Ivi, pp. 119–120. 86 87 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 157 Ecco quindi che Le operazioni riflesse, ordinate e successive, che si riassumono nel generale concetto dell’educare, sono per la maggior parte rivolte ad influire direttamente su l’animo e, cioè a dire, a promuovere tempo medesimo l’attività; perché in essa si formino così gli stati abituali del conoscere e dell’apprezzare esatto, come i movimenti del retto volere90. Per mezzo dell’istruzione si deve «suscitare l’interesse immediato, multiforme e concentrato per le cose del mondo interiore ed esteriore»91 e per quanto riguarda lo specifico dell’insegnamento storico ha da essere come il completamento dell’esperienza attuale con la narrazione dei fatti che la precedettero e la prepararono, deve arricchire l’immagine del variato spettacolo delle cose umane presenti con la esposizione delle assenti e delle passate, deve presentare all’animo il vivo dei rapporti sociali fuori delle fluttuazioni dell’empirismo giornaliero; in una parola vuol essere il vario del vivere umano destinato a suscitare il vario degli spirituali interessi92. L’ispirazione socratica, del conoscere indagando continua a specificare la sua pedagogia politica; all’intellettuale socialista Labriola affida socraticamente la funzione di «sollecitatore e critico sul piano teorico, rigoroso censore morale sul piano pratico»93. Ed è così che, nei limiti della sua concezione materialistica della storia, per il Labriola il partito operaio si deve venir costituendo per l’azione spontanea del lavoratori messi in opposizione col capitalismo dalle stesse condizioni di fatto, e dalla propaganda condotta con oculatezza. Noi socialisti, dirò così, teorici possiamo offrire le armi più generali e comuni, ma non possiamo e non dobbiamo turbare il movimento proletario con proposte anticipate, premature, astratte. Non si deve mai rinunziare alla discussione di nessun atto o provvedimento politico, che implichi un interesse sociale, perché giova che i borghesi si perIvi, p. 261. Ivi, p. 262. 92 Ivi, p. 266. 93 Cfr. E. GARIN, A scuola con Socrate. Una ricerca di Nicola Siciliani de Cumis, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1993, pp. 75–78. 90 91 158 Vincenzo Orsomarso suadano che noi siamo l’embrione del futuro partito socialista, e perché i proletari si abituino a questo sentimento, che se la democrazia sociale esclude i capi, nel senso giacobino della parola, non esclude maestri. Anzi!94 Maestri «come il nostro […] Socrate» che ritorna nella già citata lettere al Sorel del 1897 e che diventa, nelle condizioni date dalla liberazione dal giogo del lavoro salariato, la prefigurazione di un’umanità profondamente diversa, che riqualifica se stessa in un insieme di attività e relazioni non mercificate. Un’umanità alla cui formazione è chiamata a partecipare una «didattica» che non «produce un nudo effetto di cosa fissa (come nudo prodotto)»; ma attività «che generi altra attività»95. Ma alla dimensione utopica del comunismo Labriola contrappone il presente rispetto al quale al «movimento socialistico […] non è dato per ora dalle circostanze altro ufficio da quello in fuori di preparare la educazione democratica del popolo minuto»96. La pedagogia quindi deve sollecitare la ricerca ma «non deve sollecitare le cose; non intervenirvi, non tentare […] di mutarne il corso. Questo non è compito del magister» a cui spetta «quello, invece, di dimostrarle, spiegarle, interpretarle, cioè di assicurarne l’andamento. Magari polemicamente, ma niente di più di questo»97. Una pedagogia vincolata ad una concezione della storia che non esclude per il «papuano» la schiavitù, anzi ne fa «la pedagogia del caso»; ed è così che a questo proposito il punto di vista del Labriola per il Gramsci è «da avvicinare anche al modo di pensare del Gentile per ciò che riguarda l’insegnamento religioso nelle scuole primarie. Pare che si tratti di uno pseudo–storicismo, di un meccanicismo abbastanza empirico e molto vicino al più volgare evoluzionismo»98. Il modo di pensare del Cassinate si dimostra «meccanico e retrivo», al pari del pensiero 94 A. LABRIOLA, Carteggio. III. 1890–1895, a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2003, p. 33. 95 LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, cit., p. 280. 96 Ivi, p. 285. 97 SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, cit., p. 184. 98 GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. 1366. Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 159 «pedagogico–religioso» del Gentile che di fatto è una «rinunzia (tendenziosa) a educare il popolo»99. Quello del Labriola è un caso di «conformismo meccanico», una «rinunzia» ad educare ad un autonomo sviluppo, a cui è necessario che la scuola unitaria100 contrapponga quel «conformismo dinamico» che richiede un adattamento plastico al presente nella prospettiva di un suo superamento. Per il Gramsci che si addentra nel proposito di un sistema di educazione e di istruzione che contemperi «lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e la capacità del lavoro intellettuale», «il problema didattico da risolvere diventa quello di temperare e fecondare l’indirizzo dogmatico che non può essere proprio» dei «primi anni». Tutta la scuola unitaria «è scuola attiva sebbene […] occorra […] rivendicare con una certa energia il dovere delle generazioni adulte, cioè dello Stato, di “conformare” le nuove generazioni. […]: nella prima fase si tende a disciplinare quindi a livellare, a ottenere una certa specie di “conformismo” che si può chiamare “dinamico”». Nella fase successiva, quella che Gramsci definisce «creativa», sul fondamento raggiunto di “collettivizzazione” del tipo sociale, si tende a espandere la personalità, divenuta autonoma e responsabile, […]. Così la scuola creativa […] indica una fase e un metodo di ricerca e di conoscenza, e non un “programma” predeterminato con l’obbligo dell’originalità e dell’innovazione a tutti i costi. Indica che l’apprendimento avviene specialmente per uno sforzo spontaneo autonomo del discente, e in cui il maestro esercita solo una funzione di guida amichevole […]. Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e aiuti esterni, una verità è creazione, anche se la verità è vecchia, e dimostra il possesso del metodo; indica che in ogni modo si è entrati nella fase di maturità intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove101. Ivi, p. 1368. «Scuola unitaria o di formazione umanistica (inteso questo termine di umanesimo in senso largo e non solo nel senso tradizionale) o di cultura generale» che «dovrebbe corrispondere al periodo rappresentato oggi dalle elementari e dalle medie» ( ivi, pp. 1534–1535). 101 Ivi, p. 1537. 99 100 160 Vincenzo Orsomarso Ma l’avvento della scuola unitaria significa l’inizio di nuovi rapporti tra lavoro intellettuale e lavoro industriale «non solo nella scuola, ma in tutta la vita sociale». Pertanto altra funzione sono chiamate ad assumere le Università e le Accademie, vanno vivificate dagli interessi scientifici e culturali dei produttori, devono «fare avanzare le capacità individuali della massa popolare»102. È su questa base che si esplica «la tendenza democratica», cioè il porre seppure «”astrattamente”» le condizioni perché ogni «“cittadino”» possa diventare «“governante”» o in ogni caso sia posto in grado «di dirigere o di controllare chi dirige»103. Sono le premesse materiali e ideali di un nuovo intellettualismo, che deve essere il risultato del rapporto da stabilire tra tecnica–lavoro, tecnica–scienza e concezione umanistica storica che assume a concreto riferimento l’esperienza dell’«Ordine Nuovo» settimanale; che nel cuore del ciclo delle lotte operaie e proletarie del 1919–20 fa della ricerca dei percorsi di ricomposizione del lavoro manuale–industriale e intellettuale uno degli assi centrali della sua iniziativa politico–culturale, per rendere il produttore elemento fattivo del processo lavorativo e sociale. È l’istanza che fonda l’ipotesi di un ordinamento scolastico che «educhi a tutti la mente, formi tutti gli idonei alle funzioni sociali»104, che preveda che la specializzazione succeda ad «un tirocinio prolungato di istruzione generale e politecnica»105. È l’evidente aspirazione all’«autogoverno dei produttori» che, sebbene considerato in relazione alle resistenze della storia, non viene meno nei Quaderni. Di questa aspirazione l’educazione è una delle premesse fondanti, uno dei fattori su cui è chiamata ad operare una prassi consapevole della tendenzialità della storia, in quanto complesso impasto di fattori materiali ed ideali, così come delle sue rigidità e asprezze che in ogni caso non possono risolversi da sé ma che richiedono pur sempre Ivi, p. 1539. Ivi, p. 1542. 104 C. PETRI, Il sistema Taylor e i Consigli dei produttori, in «L’Ordine Nuovo», 15 novembre 1919, p. 205. 105 A. LUNAČARSKY, L’istruzione professionale tecnica nella Russia dei Soviet, «L’Ordine Nuovo», 20 novembre 1920, p. 151. 102 103 Labriola, la filosofia, l’Università e il socialismo 161 l’intervento di una volontà collettiva quale espressione politica e culturale delle forze sociali antagoniste. Da questo punto di vista il socialismo del Labriola è altra cosa e proprio la citata lettera al Villari lo testimonia, manca l’indicazione di una prospettiva politica e culturale che non si risolva nell’attesa, tutt’altro che imminente, del maturare dell’evento, del «trapasso» che è ridotto all’«autocritica che è nelle cose stesse»106. 106 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 105. La laurea in filosofia, quale «completamento, […] facoltativo di qualunque cultura speciale». Note a margine∗ Vincenzo Orsomarso 1. Premessa Nel testo che segue sono esposti gli esiti di un breve e parziale itinerario filologico interessato a rintracciare nel volume, curato dal prof. Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e la sua Università, edito da Aracne, nel 2005, la tesi del Cassinate sulla laurea in filosofia. Sono inoltre evidenziati e sottoposti all’attenzione dei lettori eventuali nessi tra la posizione di Labriola sulla laurea in filosofia e alcuni momenti della sua riflessione filosofica e politico–pedagogica. Si fa presente che per non appesantire la lettura si è ritenuto opportuno collocare nelle note alcuni concetti di metodologia didattica e termini essenziali del lessico labrioliano. Fatte queste precisazioni e prima di procedere nell’esposizione è utile svolgere alcune brevi considerazioni sul valore scientifico e didattico dell’opera curata dal prof. Siciliani de Cumis. In primo luogo il testo ha il merito di fare il punto sullo stato della ricerca in materia, un approdo ma anche un imprescindibile punto di partenza per ulteriori indagini a cui gli studenti di Pedagogia generale, nel quadro di una didattica della ricerca1, sono chiamati a contribuire, so∗ L’intervento è il resoconto di una lezione tenuta il 2 maggio del 2006 nell’ambito del corso di Pedagogia generale della Facoltà di filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, Corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. 1 A questo proposito si rinvia al testo di Siciliani de Cumis del 1998, Di professione, professore, Caltanissetta–Roma, Salvatore Sciascia editore, a cui è utile affiancare L’educazione di uno storico, Firenze, Luciano Manzuoli editore, 19891. L’obiettivo della didattica della ricerca, presentata nel primo dei due volumi citati, si sintetizza nelle parole di Giorgio Pasquali pronunciate nel 1923: «Per nulla al mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di avere scoperto, essi per primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta dall’esercizio, qualche 164 Vincenzo Orsomarso stenuti in questo da un insegnamento interessato a favorire l’acquisizione tanto della strumentazione storico–filologica necessaria quanto delle forme essenziali della comunicazione scientifica. In più il testo rappresenta il felice esito dell’applicazione di una filologia che proponendosi gramscianamente di accertare i fatti «nella loro inconfondibile “individualità”»2, affronta l’autore e il contesto in cui opera nella sua articolata complessità; quindi Labriola e Socrate, il Labriola–Socrate, Labriola e gli studenti, Labriola e i professori, Labriola e la ricerca educativa e sperimentale, Labriola e i concorsi universitari, Labriola e i suoi interlocutori, da Croce a Sorel a don Luigi Guanella; ancora Labriola e i circoli operai, i sindacati, il partito, il Socrate socialista, ecc. Nuovi materiali e sollecitazioni per ulteriori indagini sul Labriola, su un’opera filosofica e pedagogica complessa e dai tratti contraddittori ma su cui è necessario continuare a scavare anche per ragioni, come vedremo, attinenti la contemporaneità. 2. Filosofia e università Ritornando alla tesi di Labriola sulla laurea in filosofia è necessario soffermarsi sul testo che ha avuto il merito di rimettere in circolazione il punto di vista del filosofo sull’argomento, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, di Siciliani de Cumis. Un libro che ricostruisce e documenta le proposte in tema di laurea in filosofia che precedono e se- cosa […] e fosse pure una minima cosa. È desiderabile, mi pare, che il giovane entri nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un giorno, anche un giorno solo, un ricercatore, uno scienziato». Ovviamente il programma pasqualiano era pensato per una università di élite mentre Siciliani si propone di posizionarlo nell’ambito di una scuola e di una università di massa; il che implica, Prima della didattica, l’acquisizione della situazione di partenza in cui si è chiamati ad operare ma anche una reale motivazione, una sollecitazione a partire dal presente, «dalla cronaca» magari, ponendo delle analogie tra eventi in corso ed eventi passati ma per accertarne le specificità, perché sono le differenze tra presente e passato che interessano la ricerca storica. 2 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1429. La laurea in filosofia 165 guono la lettera alla «Tribuna» e la relazione del Cassinate del 1887 per il primo Congresso dei professori universitari. La prima edizione del testo risale al 1975 e la seconda rispetto alla precedente presenta solo qualche aggiunta, modifica e un aggiornamento bibliografico. Una scelta che si spiega per la validità che ancora hanno i motivi posti alla base dell’edizione del 1975. Il testo infatti ricostruisce il complesso intreccio di culture post–risorgimentali che si confrontano sul tema oggetto di discussione; rappresenta, pur insistendo sull’importanza del Labriola, una inedita cronaca di filosofia italiana nell’arco del ventennio che va dal 1882 al 1902; testimonia la ricerca dei termini di una ricomposizione, per il momento a livello di gruppi dirigenti, tra cultura umanistica e scientifica. Inoltre la tesi di Antonio Labriola, sebbene si collochi nell’ambito di un’università di élite, sembra acquistare oggi, a livello di massa, un particolare rilievo anche in considerazione dei mutamenti che attraversano l’organizzazione del lavoro, in presenza di un modo di produzione che richiede in misura crescente, sebbene in un quadro di obiettivi prestabiliti nell’ambito di una struttura gerarchica, sapere e creatività, in sostanza una solida cultura generale, la messa a lavoro di un insieme di capacità e competenze non specificatamente specialistiche. Si va delineando la richiesta di quella che Marx, in pagine che Labriola studierà solo successivamente al 1890, chiamava “versatilità”. L’industria moderna — scrive Marx — non considera e non tratta mai come definitiva la forma di un processo produttivo. Perciò il suo fondamento tecnico è rivoluzionario, al contrario di quello di tutti gli altri processi produttivi del passato, che era essenzialmente conservatore. Per mezzo delle macchine, dei processi chimici e di altri metodi essa rivoluziona costantemente, insieme al fondamento tecnico della produzione, le funzioni degli operai e le combinazioni sociali del processo lavorativo. E con uguale costanza essa rivoluziona la divisione del lavoro in seno alla società e ributta in continuazione da un ramo all’altro della produzione masse di capitale e masse di operai. La natura della grande industria comporta di conseguenza mutamenti del lavoro, fluidità delle funzioni, generale mobilità dell’operaio. […], la grande industria con le sue stesse catastrofi impone come una questione di vita o di morte la necessità di riconoscere il cambiamento dei lavori e quindi la più grande versatilità dell’operaio quale legge sociale universale della produzione, […]. Essa fa sì che sia una questione di vita o di morte rimpiazzare l’obbrobriosa, universale popo- 166 Vincenzo Orsomarso lazione operaia disponibile, tenuta in riserva per le varie necessità di sfruttamento del capitale, con l’assoluta disponibilità dell’uomo per le varie esigenze di lavoro; rimpiazzare l’individuo parziale, semplice esecutore di una funzione sociale di dettaglio, con l’individuo integralmente sviluppato, per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si scambiano liberamente3. Assumendo lo specifico della proposta, in ordine alla laurea in filosofia, il Labriola scrive che secondo la legge vigente «non c’è che una sola via per diventare filosofi; quella cioè degli studi filologici», quando invece la filosofia non deve essere un completamento obbligatorio della storia e della filologia, ma un completamento, invece facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve poter arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori4. Successivamente, nella relazione elaborata per il Congresso di Milano, dopo aver riprodotto la lettera del 12 luglio, Labriola articola la sua tesi in una serie di proposte operative, che prendono spunto anche dal dibattito aperto dalla lettera di luglio. L’obiettivo di Labriola è quello di combattere tanto «il tradizionalismo [la filosofia deve cessare di essere una «mera scolastica»] quanto lo specialismo esagerato»5. Allo stesso tempo, rendendo la filosofia facoltativa per «qualunque cultura speciale», si propone tanto la formazione di un punto di vista critico sugli esiti della produzione tecnica e scientifica quanto di sostenere un’idea di filosofia aperta e da sottoporre alla verifica degli eventi storici, chiamata a misurarsi con il nuovo che va emergendo anche nel campo delle scienze sociali e naturali. K. MARX, Il Capitale, libro I, a cura di E. Sbardella, Milano, Newton&Compton, 1976, pp. 636–638. 4 N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università, Torino, Utet , 2005, 20–21. 5 Ivi, p. 107. 3 La laurea in filosofia 167 3. Il punto di vista di Labriola sulla laurea in Filosofia in alcuni passaggi del Catalogo La proposta del Cassinate ritorna più volte nei materiali raccolti, secondo precisi criteri e finalità metodologiche, in Antonio Labriola e la sua Università; in primo luogo nel saggio di Siciliani, Rileggendo “L’Università e la libertà della scienza” di Antonio Labriola (1896), dove l’autore offre una sintesi accurata delle tematiche ricorrenti nel testo. La filosofia deve «esser messa alla portata di tutti quelli che studiano ogni altra disciplina, perché vi trovi un facoltativo complemento di coltura qualunque studioso si senta in grado di superare nella trattazione delle varie scienze la specialità della ricerca»6. Quindi contro ogni scolasticismo, favorire l’«elaborazione e produzione di un sapere disciplinare e interdisciplinare specializzato, rigoroso decisamente finalizzato alla promozione della più larga e libera convergenza di competenze “umanistiche” e “scientifiche”»7. Nelle stesse pagine ritroviamo la netta distinzione tra positivo e Positivismo, tra «il positivamente acquisito nella interminabile nuova esperienza sociale e naturale» e la pretesa di costruire un sistema in verità incapace di «spiegare un solo fatto storico concreto». La critica è rivolta alla sociologia dello Spencer e allo schematismo che la caratterizza. A Labriola d’altronde non poteva sfuggire la rilevanza dello sviluppo tecnico e scientifico ai fini della modernizzazione del paese. Infatti, sempre in L’Università e la libertà della scienza, il Cassinate, rivolgendosi agli studenti, dichiara che L’Italia ha bisogno di progredire materialmente, moralmente, intellettualmente. Io spero che voi vedrete, un’Italia, nella quale l’atavistico assetto della coltura dei campi sarà soppiantato dall’introduzione delle macchine e delle larghe applicazioni della chimica; e che vediate strappata ai corsi superiori dei Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 403. 7 Ivi, p. 402. 6 168 Vincenzo Orsomarso fiumi, e forse alle onde del mare ed ai venti, la forza generatrice della elettricità8. Ritornando alla critica del Labriola allo scolasticismo, è questo punto di vista a spiegare la contrarietà espressa dal Cassinate alle pretese di chi come Giovanni Batta Milesi richiede di insegnare un determinato sistema filosofico, la «Filosofia di Augusto Compte»9. La stessa convinzione sembra motivare il giudizio espresso dalla commissione per il concorso di Filosofia morale nell’Università di PadoA. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, pp. 615–616. Labriola nello stesso scritto continua sull’analfabetismo che si augura che sparisca, ma anche sulla speranza che l’Italia acquisti un rilevante peso di potenza economica e politica nel quadro internazionale, segnato dalla corsa alle conquiste coloniali. Affermazioni che precedono di poco il discorso del 21 febbraio 1897, Per Candia, in cui il Cassinate invita i socialisti a non brontolare e a mettere «sicuro piede sulla terra ferma della politica. Noi abbiamo bisogno di terreno coloniale, e la Tripolitania è a ciò indicatissima» (in A. LABRIOLA, Scritti filosofici e politici, a cura di F. Sbarberi, vol. II, Torino, Einaudi, 1973, p. 913). Seguirà l’intervista rilasciata al «Giornale d’Italia» del 13 aprile 1902, Sulla questione di Tripoli, in cui ritorna a sostenere la conquista coloniale anche per offrire un’occasione ai nostri emigranti. Ma c’erano stati anche altri precedenti, si pensi alla lettera, del 24 febbraio 1890, al deputato radicale Alfredo Baccarini in cui propone per la colonia eritrea un esperimento di socialismo pratico. Ricordiamo infine la famosa educazione del papuano, di cui ci informa Croce (B. CROCE, Conversazioni critiche, serie seconda, seconda edizione riveduta, Bari, Laterza, 1924, pp. 60–61). Il problema di fondo è che il Labriola, come gran parte del socialismo della Seconda Internazionale, non comprende la natura del moderno colonialismo; il nesso tra capitalismo monopolistico e finanziario e colonialismo; il carattere imperialistico che il capitalismo andava assumendo. La nuova fase di espansione coloniale viene interpretata come semplice espansione territoriale e non come evento determinato dai bisogni dell’accumulazione capitalistica (materie prime, nuovi mercati, occasioni di investimento per il capitale soverchio) e che pertanto in ogni caso non poteva rappresentare una soluzione ai problemi dell’emigrazione. Va ricordato che mentre Labriola rilascia l’intervista al «Giornale d’Italia» del 13 aprile 1902, J.A. Hobson pubblica L’imperialismo, un testo fondamentale per le opere marxiste successive, per quella di Hilferding, Il capitalismo finanziario (1910), di R. Luxemgurg, L’accumulazione del capitale (1913), di N. Bucharin, L’economia mondiale e l’imperialismo (1915), di Lenin, L’imperialismo fase suprema del capitalismo (1917). 9 N. SICILIANI DE CUMIS, Sulla prima pedagogia universitaria romana e don Luigi Guanella. Illazioni ed ipotesi, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 457. 8 La laurea in filosofia 169 va su Alfonso Asturaro. A giudizio della commissione infatti, di cui ovviamente faceva parte il Labriola, lo studioso, «restringendosi a ripetere l’opinione d’una Scuola senza sufficiente svolgimento e senza metterla in relazione con altre dottrine», non dimostra «bastevole maturità»10. Nella pagine del Catalogo le idee del Labriola sulla laurea in filosofia le ritroviamo ancora in alcune tesi di laurea della cattedra di Pedagogia generale; a proposito di Ruggero Bonghi che appoggia la proposta labrioliana11 e nell’Antonio Labriola 1895–1904. Materialismo storico e libertà della scienza12. Ma è nelle pagine dedicate alla tesi di laurea di Luigi Basso, Sul metodo delle scienze sociali, discussa il 27 giugno del 1886, che la posizione del Labriola riemerge con particolare vigore. Basso, già laureato in Giurisprudenza nel 1883, si laurea in Filosofia realizzando, dal punto di vista del Labriola il percorso esemplare dello studioso che completa la sua preparazione giuridica con un approfondimento filosofico13. Leggendo la tesi è del tutto evidente tanto la cultura positivista del Basso quanto la frequentazione del Labriola, ma ovviamente c’è da chiedersi la ragione dell’interesse del filosofo per i temi affrontati nella tesi del Basso che riguardavano questioni che erano campi di ricerca propri del positivismo. Ebbene a tale proposito va detto che l’anno successivo per la biografia intellettuale del Labriola è un momento di particolare rilevanza, non solo perché espone la sua tesi sulla laurea in filosofia ma anche perché il 28 febbraio legge nell’Università di Roma la prelezione, I problemi della filosofia della storia. È il testo in cui l’autore espone la sua concezione epigenetica della storia, un termine ripreso dall’embriologia per rappresentare una visione della storia come una catena di neoformazioni, che trovano certo nelle formazioni precedenti i presupposti della loro nascita ma che vanno acquistando nel corso degli eventi specificità tali da renderle profondamente diverse dalle precedenti. In estrema sintesi tra le formazioni Concorso di Filosofia morale nell’Università di Padova (1882–1993), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 499. 11 Cfr. Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 598. 12 Cfr. ivi, p. 602. 13 Cfr. ivi, p. 546. 10 170 Vincenzo Orsomarso storiche ci sono relazioni ma non c’è alcun rapporto di dipendenza diretta, nessun nesso di causa–effetto14. Ma l’attenzione del Labriola al metodo delle scienze sociali si spiega alla luce della sua specifica considerazione della filosofia della storia che «non può né deve essere una storia universale narrata filosoficamente, ma anzi una semplice ricerca su i metodi, su i principi e sul sistema delle conoscenze storiche»15. Pertanto il Cassinate non poteva non misurarsi criticamente con la metodologia prodotta dalle scienze sociali e positive. In conclusione possiamo affermare che il continuo riproporsi nei testi e nell’impegno didattico del Labriola del suo punto di vista sulla laurea in filosofia dimostra come il Cassinate sia profondamente convinto della necessità, almeno a livello di istruzione superiore, di andare ad una ricomposizione tra cultura umanistica e scientifica, nonché conferma la sua concezione antiscolasticistica della filosofia e la necessità di validare le asserzioni filosofiche alla luce dei processi storici in corso. 4. Il «trapasso» A quanto finora detto vogliamo aggiungere che nella prelezione del 1887 un ruolo fondamentale nella sua considerazione dei fenomeni storici lo gioca la dottrina dei fattori; l’essere i fenomeni, come scrive Basso, «l’effetto di molte e varie» cause. Una concezione a cui succederà nei Saggi, in particolare in Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, sebbene solo «in ultima istanza», la spiegazione del «fatto storico per via della sottostante struttura economica»; affermazione che susciterà le obiezioni di Vilfredo Pareto. Oltre la concezione epigenetica della storia, categoria fondamentale è quella di metodo genetico che ad avviso del Labriola sostituisce in Italia quello di dialettico, termine ridotto nel nostro paese all’arte retorica, ed indica il pensiero che considera i fenomeni nel loro divenire, nel loro essere «divenienti». Altro concetto fondamentale è quella di previsione morfologica, non previsione cronologica ma delle forme sociali successive alla presente società capitalistica, da cogliere nello svolgersi delle contraddizioni presenti. 15 A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976, p. 51n. 14 La laurea in filosofia 171 A questo proposito va detto che, a differenza dei marginalisti ma anche di tanta parte del marxismo della Seconda Internazionale, Labriola non esprime alcuna concezione naturalistica dell’economia. La storia è storia del lavoro, l’uomo nel corso della sua esistenza costruisce un ambiente artificiale, uno strato che tende a modificare la stessa natura, ma allo stesso tempo nel corso di questa attività l’uomo stabilisce una serie di relazioni e rapporti con i propri simili ai fini della produzione. È questa la base su cui si articola la «sottostante struttura economica», costituita da rapporti sociali di produzione, dai rapporti che si stabiliscono tra gli uomini nella sfera della produzione16. Al Labriola non va rimproverata una concezione economicistica della storia, altri sono i limiti della riflessione del Cassinate e in primo luogo una previsione morfologica segnata in profondità da necessità17, infatti, nella dottrina del comunismo critico, è la società tutta intera, che in un momento del suo processo generale scopre la causa del suo fatale andare, e, in un punto saliente della sua curva, la luce a se stessa per dichiarare la legge del suo movimento. La previsione, che il Manifesto per la prima volta accenna, era, non cronologica, di preannunzio o di promessa; ma era, per dirla in una parola, che a mio avviso esprime tutto in breve, morfologica18. Ancora, Questo [il socialismo scientifico] non è più la critica soggettiva applicata alle cose, ma è il ritrovamento dell’autocritica che è nelle cose stesse. La critica vera Il sovvertimento del presente, il comunismo deve assumere le forme del «self– government del lavoro», dell’autogoverno dei produttori, dell’autogestione del tempo liberato dal lavoro salariato e riempito di momenti di formazione e auto–formazione: «le droit à la paresse — la felicissima trovata del nostro Lafargue — farà spuntare ad ogni angolo di strada dei perditempo di genio, che, come il nostro maestro Socrate, saranno operosissimi di operosità non messa a mercede» (A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, in ID., La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1969, p. 179). Labriola fa riferimento al testo, del genero di Marx, Paul Lafargue, Il diritto all’ozio, pubblicato sotto forma di articoli su «L’egalité» nel 1880. 17 Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 27–39. 18 A. LABRIOLA, In memoria del Manifesto dei Comunisti, in ID., La concezione materialistica della storia, cit. p. 27. 16 172 Vincenzo Orsomarso della società è la società stessa, che per le condizioni antitetiche dei contrasti sui quali poggia, genera da sé stessa la contraddizione, e questa poi vince per trapasso in una nuova forma19. Un «trapasso» che necessita del pieno sviluppo delle forze produttive della società capitalistica, una concezione rafforzata da una specifica interpretazione della Prefazione marxiana del ‘59 alla Critica dell’economia politica. Una formazione sociale — scrive Marx — non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa ha spazio sufficiente; e nuovi rapporti di produzione non subentrano, se prima le condizioni materiali di loro esistenza non siano state covate nel seno della società che è in essere20. Ma in Marx tale processo non sembra dotato di automatismi, tant’è che in pagine che Labriola non poteva conoscere, quelle dei Grundrisse, ma in verità anche nel Capitale, il filosofo di Treviri fonda i passaggi fondamentali dello sviluppo capitalistico sull’antagonismo di classe. Pertanto lo sviluppo delle forze produttive trova un limite nei rapporti sociali di produzione e tale sviluppo, quello «delle forze produttive materiali», a un certo punto «sopprime il capitale stesso», ma lo sviluppo di cui parla Marx «è uno sviluppo delle forze della classe operaia»21. Per Labriola invece al socialismo non spetta che «la educazione democratica del popolo minuto»22, mentre il capitalismo deve fare il suo corso e il colonialismo non può non rappresentare una tappa di un processo storico hegelianamente considerato. A. LABRIOLA, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, in ID., La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1965, p. 105. 20 È un passo della Prefazione del ‘59, ampiamente utilizzata dal Labriola In memoria del Manifesto dei comunisti, in ID., La concezione materialistica della storia, cit., p. 30. 21 K. MARX, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, vol. II, a cura di G. Backhaus, Torino, Einaudi, 1976, p. 532. 22 LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, cit., p. 285. 19 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko∗ Claudia Pinci 1. Gramsci, Labriola e l’aneddoto del “papuano”. Indice dei nomi e delle tematiche ricorrenti 1.1. Premessa “Come fareste ad educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi scolari tanti anni fa […] al prof. Labriola, in una delle sue lezioni di Pedagogia, obiettando contro l’efficacia della Pedagogia. “Provvisoriamente (rispose con vichiana e hegeliana asprezza l’herbartiano professore), provvisoriamente lo farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra”1. ∗ Si tratta di parte dell’elaborato scritto per l’esame di Pedagogia generale I (Laurea specialistica, anno accademico 2005–2006). L’esercizio svolto consiste: a) nella redazione di un indice dei nomi e di un elenco delle tematiche ricorrenti dello scritto di V. MARRUZZO, Gramsci, Labriola e l’aneddoto del “papuano”, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, pp. 606–612; b) in un “parrallelo terminologico” tra Antonio Labriola, Anton S. Makarenko e Muhammad Yunus; c) nella recensione al volume Antonio Labriola e la sua Università, cit.; d) in un confronto, per differenze e analogie, tra Labriola e Makarenko; e) nell’indicazione della bibliografia utilizzata. 1 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1061. 174 Claudia Pinci 1.2. Indice dei nomi BALLIO2, 617 BALUFFI G., 618 BARBUSSE H., 610 BERGAMI G., 609, 610 BERGSON H., 610 BERTI D., 617, 618 BERTI G., 611, 617, 620 BIANCO V., 609 CIAMPI I., 618 CROCE B., 606, 609–611, 615, 616, 620 DALLA VEDOVA G., 619 DANEO3, 617 DEL NOCE A., 609 FILOMUSI F., 619 FELTRINELLI G., 609 GARIN E., 610 GENTILE G., 606, 609–611 GOBETTI P., 610 GRAF A., 618 GRAMSCI A., 606–613, 617 HEGEL G.W.F., 610 KERBACKER M., 618 KIPLING R., 606, 608 LABRIOLA A., 606, 608–620 LATERZA G., 610, 611 LOESCHER E., 609 LORIA A., 609 MARRUZZO V., 606, 607, 617 MARX C., 608, 610 MONDOLFO R., 609, 610 NICOTERA G., 620 PAGANO F. M., 618 PEGUY C., 610 PESCI F., 606, 607 RAGIONIERI E., 609, 612 ROLLAND R., 610 SAMANI G., 612 SCARAMELLA G., 620 SCHUPFER F., 619 SICILIANI DE CUMIS N., 606, 607, 611, 612 SOLARI G., 610 SOREL G., 610 SPAVENTA S., 620 SUARDO A., 620 TOGLIATTI P., 609, 612, 617, 620 TOCCO F., 618 TORRE A., 614, 615, 616 VIGLONGO A., 609 VISALBERGHI A., 612 ZAMBALDI F., 618B Cognome di una studentessa. Compare in una lettera di Antonio Labriola, conservata nell’Archivio della Fondazione Istituto «A. Gramsci» di Roma. 3 Cognome di due studentesse. Compare in una lettera di Antonio Labriola, conservata nell’Archivio della Fondazione Istituto «A. Gramsci» di Roma. 2 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 175 1.3. Elenco delle tematiche ricorrenti Amare/Amore Ambiente Amici/Amicizia Analogie Anticonformismo Apprendimento Attività Attuale/Attualismo/Attualità Autoeducazione Autonomia Autore/i Azione Bene Bolscevichi Capitalismo Classi Classico Coscienza Concetto Concezione Conformismo Conoscenza/Conoscere Contestare Contesto Continuità Contraddizione Corsi Crescita Critica Cultura Curiosità intellettuale Dialettica Differenze Difficoltà Dipendenza Disciplina Discriminazioni Distinzione Diversità Documenti Dottrina Dubbi Educazione Efficacia Élite Episodio Esclusi Esclusivi Esperienza Facoltà Fiducia Filosofia/Filosofo Finalità Formazione Frattura Futuro Giovani Grandezza Gruppo sociale Guida Hegeliano Herbartiano Humour Idea/e Idealismo Identità Ideologia Incontro/scontro 176 Indagare Indipendenza Influenza Ingiustizia Intellettuale Interesse Interpretazioni Invenzione Ipotesi Ispiratore Istruzione Lavoro Lettere Leggere Lezioni Libertà Libri Limiti Logica Lotta Maestro Marxismo Metodo Mondo Morale/Moralità/moralmente Nemici Nodi problematici Normalità Onestà Operaio Opinione Originalità Papuano Parlare Partecipazione Claudia Pinci Partito Peculiarità Pedagogia Pensiero/Pensare/Pensatore Persuasione Polemica Politica Popolo/i Posizione Potenza politica Prassi Privilegi Problematiche Processo Professore Prospettiva Questione Ragione Realtà storica Ricerca Rispetto Rivoluzionario Ruoli Saggi Schiavo/i Scienza/Scientifica/Scientificità Sconfitta Scoperta Scritti Scrivere Scuola Separazione Sociale Società Socialismo Sognare Storia Le parole di Labriola e quelle di Makarenko Studi/Studio Successo Superamento Sviluppo Tempo Tesi Testi Trasformazione 177 Umanità Università Uomini Valore/i Verità Vero Vita Volontà 178 Claudia Pinci 2. Parallelo terminologico Labriola–Makarenko–Yunus ANTONIO LABRIOLA4 Amare/Amore Ambiente Amici/Amicizia Analfabetismo Analogie Anticonformismo Antipedagogia Apprendimento Arte Attività Attuale/Attualismo/ Attualità Autoeducazione Autonomia Autore/i Azione ANTON S. MAKARENKO5 Abbandono Amare/Amore Ambiente Amici/Amicizia Analfabetismo Analogie Anticonformismo Antipedagogia Apprendimento Arte Attività Autoeducazione Autonomia Autore/eroe Azione Bambini Bambini (di strada) Bene Bolscevichi 4 Testo di riferimento per Labriola: Antonio Labriola e la sua Università, cit. Bene Besprizornye Bisogno/i Bolscevichi 5 Testi di riferimento per Makarenko: A.S. MAKARENKO, Poema pedagogico, [Pedagogičeskaja Poema, 1950], trad. it. a cura di S. Reggio, Ed. Raduga, 1985 e N. SICILIANI DE CUMIS, I bambini di Makarenko, Il Poema pedagogico come “romanzo d’infanzia”, Pisa, edizioni ETS, 2002. MUHAMMAD YUNUS6 Amare/Amore Ambiente Amici/Amicizia Analfabetismo Analogie Anticonformismo Antipedagogia Apprendimento Arte Attività Attuale/Attualismo/ Attualità Autoeducazione Autonomia Autore/eroe Azione Bambini Banca rurale Bene Bisogno/i 6 Testo di riferimento per Yunus: M. YUNUS, Il banchiere dei poveri, [Vers un monde sans pauvreté, 1997], trad. it. di E. Dornetti, Milano, Feltrinelli, 2001. Le parole di Labriola e quelle di Makarenko ANTONIO LABRIOLA Cambiamento Capitalismo Classi Classico Coscienza Concetto Concezione Conformismo Conoscenza/Conoscere Contestare Contesto Continuità Contraddizione Corsi Crescita Critica Cultura Curiosità intellettuale 179 ANTON S. MAKARENKO MUHAMMAD YUNUS Burocrati Burocrazia Burocrazia Capitalismo Catarsi Classi Classico Collettivo Coscienza Concetto Concezione Conformismo Conoscenza/Conoscere Contestare Contesto Continuità Contraddizione Corsi Creatività Crescita Critica Cultura Cambiamento Capitalismo Classi/caste Coscienza Concetto Concezione Conoscenza/Conoscere Contestare Contesto Contraddizione Corsi Creatività Crescita Critica Cultura Curiosità intellettuale Debito Dialettica Differenze Difficoltà Dipendenza Disciplina Discriminazioni Distinzione Diversità Documenti Delinquenza Dialettica Differenze Difficoltà Dignità Dipendenza Diritti Disciplina Discriminazioni Distinzione Diversità Documenti Dialettica Differenze Difficoltà Dignità Dipendenza Diritti Disciplina Discriminazioni Distinzione Diversità Documenti 180 Claudia Pinci ANTONIO LABRIOLA ANTON S. MAKARENKO MUHAMMAD YUNUS Dottrina Dubbi Dottrina Dubbi Dottrina Dubbi Economia Educabilità Educativo (sistema) Educazione Efficacia Economia Educabilità Educabilità Educazione Efficacia Élite Episodio Esclusi Esclusivi Esperienza Episodio Eroe Esclusi Esclusivi Esperienza Educazione Efficacia Elite Episodio Eroe Esclusi Esclusivi Esperienza Fame Famiglia Fanciullo/i Fiducia Filosofia/Filosofo Finalità Formazione Frattura Futuro Facoltà Fame Famiglia Fanciullo/i Fiducia Filosofia/Filosofo Finalità Formazione Frattura Futuro Facoltà Fiducia Filosofia/Filosofo Finalità Formazione Frattura Futuro Gioco (mettersi in) Giovani Governo Grandezza Gruppo sociale Guida Hegeliano Garanzia Gioco Gioco (mettersi in) Gioia (del domani) Giovani Governo Garanzia Gioco Gioco (mettersi in) Gioia (del domani) Gruppo Guida Gruppo Guida Handicap Handicap Le parole di Labriola e quelle di Makarenko ANTONIO LABRIOLA ANTON S. MAKARENKO Herbartiano Humour Humour Idea/e Idealismo Identità Ideologia Incontro/scontro Indagare Indipendenza Influenza Ingiustizia Insegnanti Insegnamento Intellettuale Interpretazioni Invenzione Ipotesi Ispiratore Istituzione Istruzione Idea/e Idealismo Identità Ideologia Incontro/scontro Indagare Indipendenza Influenza Ingiustizia Insegnanti Insegnamento Intellettuale Interpretazioni Invenzione Ipotesi Ispiratore Istituto Istituzione Istruzione Lavoro Lettere Leggere Lezioni Libertà Libri Limiti Logica Lotta Lavoro Lettere Leggere Lezioni Libertà Libri Limiti Logica Lotta Maestro Maestro Malnutrizione Marxismo Metodo Marxismo Metodo 181 MUHAMMAD YUNUS Idea/e Idealismo Identità Indagare Indipendenza Ingiustizia Insegnanti Insegnamento Intellettuale Interpretazioni Invenzione Ipotesi Ispiratore Istituto Istituzione Istruzione Lavoro Lezioni Libertà Limiti Logica Lotta Malnutrizione Metodo Microcredito 182 ANTONIO LABRIOLA Claudia Pinci ANTON S. MAKARENKO MUHAMMAD YUNUS Miglioramento Miseria Mondo Morale/Moralità Morale/Moralità Miglioramento Miseria Mondo Morale/Moralità Nemici Nodi problematici Normalità Nemici Nodi problematici Normalità Nemici Nodi problematici Normalità Onestà Operaio Opinione Opportunità Originalità Onestà Operaio Opinione Opportunità Originalità Ottimismo Onestà Papuano Parlare Partecipazione Partito Peculiarità Pedagogia Pensiero/Pensare/ Pensatore Persuasione Pessimismo Polemica Politica Popolo/i Posizione Potenza politica Potenzialità Prassi Privilegi/privilegiati Problematiche Processo Opportunità Originalità Ottimismo Parlare Partecipazione Partito Peculiarità Pedagogia Pensiero/Pensare/ Pensatore Personalità Persuasione Parlare Partecipazione Peculiarità Pedagogia Pensiero/Pensare/ Pensatore Personalità Persuasione Polemica Politica Popolo/i Politica Popolo/i Potenza politica Potenzialità Povertà Potenzialità Povertà Problematiche Processo Privilegi/privilegiati Problematiche Processo Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 183 ANTONIO LABRIOLA ANTON S. MAKARENKO MUHAMMAD YUNUS Processo Professore Processo Prospettiva Progetto Prospettiva Processo Professore Progetto Prospettiva Questione Questione Questione Ragione Ragione Randagi Recupero Regime Reparti Responsabilità Realtà storica Rieducazione Ricerca Rischio Risorse Rispetto Rivoluzione/ Rivoluzionario Ruoli Ragione Realtà storica Ricerca Rispetto Rivoluzionario/ Rivoluzionario Ruoli Saggi Schiavo/i Scienza/Scientifcità Sconfitta Scoperta Scritti Scrivere Scuola Separazione Sociale Società Socialismo Socratismo Sognare Sconfitta Scoperta Scritti Scrivere Scuola Separazione Sistema Sociale Società Socialismo Socratismo Sognare Recupero Responsabilità Realtà storica Rieducazione Ricerca Rischio Risorse Rispetto Rivoluzione/ Rivoluzionario Ruoli Schiave Scienza/Scientifcità Sconfitta Scoperta Sistema Sociale Società Sognare 184 ANTONIO LABRIOLA Speranza Stile Storia Studi/Studio Successo Sud del mondo Superamento Sviluppo Tempo Tesi Testi Claudia Pinci ANTON S. MAKARENKO MUHAMMAD YUNUS Solidarietà Speranza Stasi Stile Storia Studi/Studio Successo Solidarietà Speranza Superamento Sviluppo Superamento Sviluppo Tempo Teorie Tesi Testi Teorie Tesi Successo Terzo mondo Trasformazione Umanità Università Uomini Uomini nuovi Valore/i Verità Vero Vita Volontà Tradizione Transizione Trasformazione Tutela Umanità Uomini Uomini nuovi Utopia Valore/i Verità Vero Vita Volontà Trasformazione Tutela Umanità Università Uomini Utopia Valore/i Verità Vero Vita Volontà Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 185 3. Antonio Labriola e la sua Università (recensione) Una mostra documentaria su Antonio Labriola e la sua Università, per i settecento anni della «Sapienza» (1303–2003), a cento anni dalla sua morte (1904–2004), ed un catalogo, ideato e realizzato in quella che fu la sua Facoltà, per ricordare il centenario labrioliano. La mostra allestita, dall’8 marzo al 25 aprile 2005, presso l’Archivio Centrale dello Stato, l’Archivio di Stato di Roma e la Biblioteca della Facoltà di Filosofia è ciò che è già stato, quel che resta, a noi oggi, e resterà per i lettori che verranno, è il catalogo che riepiloga e lascia a disposizione permanentemente le attività di ricerca e di documentazione, nonché quelle congressuali ed espositive. Il catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904–2004), creato e curato dal professor Nicola Siciliani de Cumis (Roma, Aracne, 2005) ha una triplice valenza; innanzitutto, quella di ricordare Labriola nel centenario della sua scomparsa, poi, quella di documentare, qui ed ora, non definitivamente il Labriola, ma per condurci oltre il suo pensiero, e arrivare quindi, ad un ambizioso proposito: quello di dar vita a spunti di riflessione, che producano ulteriori ricerche e studi sull’autore. Il formato scelto è il catalogo, schematico, immediato e diretto, ma allo stesso tempo articolato, ricco e complesso, la forma selezionata ha la finalità di guidare limitatamente il lettore, e di lasciarlo il più libero possibile, vengono forniti spunti, chiavi di lettura, riflessioni, approfondimenti, l’intento è quello di stimolare la curiosità e l’immaginazione per fondare un interesse sull’autore. L’esperienza pedagogica e culturale di Labriola è complessa e articolata, e ci viene presentata a tutto tondo. Le aspettative del volume vanno al di là della documentazione, sono concentrate sull’autore ed oltre l’autore. Labriola è una personalità della nostra storia culturale e politica, sul quale negli ultimi decenni è calato un ingiusto silenzio. Il suo pensiero storicamente e ideologicamente si è prestato a valutazioni discordanti, spesso prodotte dall’originalità e dalla complessità proprie dello studioso. Considerata l’alta figura del pensatore, l’interpretazione non è certo 186 Claudia Pinci agevole; nella sua riflessione infatti, non si trovano categorie concettuali astrattamente precostituite, egli ha un atteggiamento di rifiuto verso qualsiasi visione rigidamente sistematica. È un autore dei salti, delle rotture, degli scoppi, degli sconvolgimenti, solo apparentemente incoerenti; filosofo critico della società e dei pregiudizi, “educatore perpetuo” che tramite la formazione prospetta la trasformazione. Dal catalogo emerge Labriola a “trecentosessanta gradi”; l’insegnante, il pedagogista, il filosofo, lo storico, il politico, il pubblicista, nonché l’uomo. Cinquant’anni mirabilmente portati; baffi e mosca color pepe e sale; gli occhi curiosi e interrogatori: le mani conserte dietro la schiena, armate di un enorme bastone. Ebbe in altri tempi un palamidone senza limiti; poi l’ha abbandonato per gelosia verso Giolitti. Adesso veste con giovanile eleganza di grigio tendente all’azzurro, e per mostrare che non ha più nulla del vecchio uomo, porta il goletto pulito — almeno per oggi. Occupa costantemente un posto al caffè Aragno; dice seimilaseicentosessantasei parole all’ora, intramezzate da questo ritornello: io non parlo mai. La sua anima è una vergine che sperava di sposare… un mandato legislativo, e non ci è riuscita; sicché ha serbato l’amarezza accumulata di una vecchia zitella. Questi, quasi di scorcio, i tratti significativi di una istantanea di Antonio Labriola dell’autunno del 1892, a cura di un icastico giornalista romano. In pratica professore all’università, con molti scolari e stipendio gradevole. In fondo un buon diavolo, specialmente quando trova un uditorio; il che nella tristizia dei tempi diviene ogni giorno più raro. Ha però l’aria annoiata di un uomo che ha perduto le illusioni elettorali; è fuoco sotto la cenere, non ci fidiamo9. Questo ritratto delinea un piacevole profilo dell’originale “personaggio Labriola”. Spirito critico ed autocritico, divulgatore di idee e scuotitore di coscienze; uomo singolare, ironico, pungente, polemico, brillante, in una parola autentico. Da SCHEMBOCHE FF., Labriola (dalla rubrica un ritratto al giorno), in «Patria», 9–10 ottobre 1892. Citato in Il Mondo di Antonio Labriola e il Laboratorio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), cit. p. 136. 9 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 187 Egli fu innanzitutto professore, un insegnate sui generis, perché non convenzionale, anzi, fuori dagli schemi, non accademico, ma assolutamente particolare. Labriola era un grande comunicatore, che affascinava con il suo sapere, che aveva bisogno di manifestare i suoi giudizi, di esprimere il suo pensiero o il suo dissenso, le sue polemiche non erano mai fini a se stesse. Sono rimaste celebri le sue lezioni vive ed appassionate, durante le quali, da grande oratore, incantava i suoi studenti. Personalità affascinante, un Labriola sorprendente e avvincente è quello che emerge dalla coinvolgente lettura del catalogo. Si illustra l’immagine di un intellettuale vero, completo, sincero; nel cui pensiero coesistono riflessione filosofica, pedagogica, politica e sociale. Nel volume affiorano frequenti tracce bibliografiche che ci permettono di ricostruire la vita dell’autore, nonché di provare a comprendere l’origine del peculiare temperamento che lo caratterizza. Il decadimento delle fortune familiari, le insoddisfatte ambizioni di un ottimo padre, Francesco Saverio, insegnante nelle Scuole Medie, riversate sull’unico figlio. Le qualità morali, ma anche intellettuali, di sua madre. Sono questi i primi aspetti che definiscono l’educazione del piccolo Antonio, iniziata sotto la guida paterna e poi proseguita nell’Abbazia di Montecassino, dove in età giovanile Labriola comincia ad acquisire le basi della sua cultura, nonché della sua personalità. Nel rigoroso clima del monastero nasce il suo modo di essere, quel non adattarsi alle chiusure, alle rigidità, agli standard, per cercare strade ulteriori, vie proprie alternative. Terminati gli studi inferiori si trasferisce a Napoli, per frequentare l’Università e, a causa delle ristrettezze economiche, per lavorare; con l’aiuto degli Spaventa, viene assunto come applicato di polizia, solo successivamente si dedicherà a quello che sarà il lavoro della sua vita: l’insegnamento. A Napoli comincia la vita intellettuale di Labriola; scrive, collabora, come cronista o editorialista, con vari giornali, frequenta circoli culturali e personaggi influenti. È il 1874 quando Labriola diventa professore straordinario di filosofia morale e pedagogia all’Università di Roma. Ed eccolo, nella sua università, «La Sapienza» non solo come sede architettonica o fisica, ma luogo mentale–ideale e pratico–educativo dove nella quotidianità si esercita la formazione del sé e la critica del circostante. 188 Claudia Pinci Così è l’Università per Labriola, e questa è l’Università che il catalogo ci mostra. Noi non siamo qui per farvi da padroni, e non ci assumiamo, certo le parti di direttori spirituali, o di vostri individuali consiglieri. Noi non abbiamo facoltà, né di scegliervi né di respingervi. Voi ci venite di vostro impulso, e per le condizioni favorevoli delle famiglie vostre. Di fronte alla gran massa di lavoratori, che rimangon privi dei benefizi della cultura, voi – permettetemi ve lo dica – voi siete dei privilegiati. Uscendo dalla università, la più gran parte di voi – il che fa in fondo la regola – non ci tornerà più ad occuparvi ufficio alcuno. Volgerete le discipline apprese qui dentro ad altri usi ed intenti, che non sian quelli del diretto e proprio esercizio di scienza stessa. Entrando nella gara della vita, vi toccherà di tentare le contingenze della fortuna, e di subire le alee della concorrenza. Questa è la vita, per ora almeno: né noi abbiamo modo di farvi veleggiare con agile e sicura navicella verso i regni di Madonna utopia10. L’attualità di Labriola, nonostante il secolo di distanza, balza viva ai nostri occhi. Le parole pronunciate dal professore il 14 novembre 1896, per l’inaugurazione dell’anno accademico, sul tema L’università e la libertà della scienza, sono di una modernità impressionante. Al di là della fluidità del discorso egli evidenzia tematiche complesse; mette in luce i vizi dell’università, sottolineando la promiscuità dell’insegnare e dell’esaminare, che ritiene un danno poiché con l’ossessione degli esami e dei giudizi, si spacca il nesso didattica–ricerca, e dà risalto inoltre, all’interdisciplinarità e alla funzione sociale della ricerca. La libertà di insegnamento è per Labriola scientifica, filosofica, politica e pratica. Dopo secoli di decadenza egli avverte il bisogno di rinnovamento, per un’istituzione che potenzialmente potrebbe generare un effettivo progresso, non solo materiale, ma anche morale e intellettuale, che sarebbe necessario per tutto il Paese. A suo avviso il futuro sarà garantito solo se filosofia e storia, conoscenza e prassi, pensiero ed azione potranno fondarsi sulla effettiva conoscenza della realtà e sulla libertà della scienza. Perché la libertà del conoscere garantisce la vita. Da A. LABRIOLA, L’università e la libertà della scienza, Roma, Loescher, 1897. Citato in N. SICILIANI DE CUMIS, Rileggendo “L’università e la libertà della scienza” di Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 399. 10 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 189 Estrapolato dal contesto storico dell’autore, il discorso ci appartiene, possiamo farlo nostro per poi riportarlo nel suo quadro e comprenderne la genesi. Così, con lo sguardo al passato guardiamo un Labriola insoddisfatto del suo tempo, ma pienamente radicato nella propria epoca, che vive infatti, con smisurata passione emotiva e razionale. È impossibile negare l’enorme funzione socio–culturale che Labriola ebbe nel suo periodo, ma che non fu degnamente apprezzata. Egli visse un momento di transizione della storia italiana, il grande fermento del pensiero risorgimentale si era fortemente indebolito, e alle battaglie ideali si sostituirono vere e proprie lotte per il potere. Ed in tale contesto, Labriola disgustato dalla corruzione e dal conformismo, si avvicinò sempre più ai problemi della società, e certo delle sue opinioni polemizzò contro la sua epoca. È fortemente presente nel suo pensiero l’esigenza di realizzare una riforma intellettuale e morale. Labriola si è costantemente battuto nell’affrontare le questioni più importanti e i problemi più significativi della situazione sociale, economica e politica del paese. Riformatore convinto e consapevole, mosso della voglia di voler rimediare concretamente alle molte e gravi manchevolezze della società italiana. Uomo di cultura, maestro di critica della cultura del suo tempo, Labriola contraddice il proprio tempo, e tenta di risolvere i fatti di attualità, intendendoli criticamente. Chi sta sulla cattedra universitaria, non deve occuparsi di cronaca quotidiana, non deve arringare né agitare, ma insegnare, cioè dimostrare, spiegare, interpretare le cose. Egli deve chiarire i concetti, le parole, i segni, sceverare le regole fondamentali, formulare le dottrine, presentare le modalità dello sviluppo, condurre ad unità i singoli processi, per quanto più questo gli può riuscire possibile11. L’insegnamento del professore non prevede solo lezione cattedratiche, ma è essenzialmente pratica di vita. Il pensiero di Labriola oltrepassa il mondo accademico e agisce nella quotidianità, non disdegna le Cit. da N. SICILIANI DE CUMIS, Antonio Labriola critico della cultura del suo tempo. I concetti, le parole i segni, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 104. 11 190 Claudia Pinci piazze, le vie, i caffè, entra in fabbrica per raggiungere gli operai, poi si serve dei quotidiani e dei periodici per aumentare il suo eco. Labriola critica l’intellettualismo astratto, egli prova una sorta di antipatia per gli intellettuali libreschi, che non tengono d’occhio il senso del reale. Ritiene indispensabile l’educazione indiretta, piuttosto che quella formale e diretta. Il punto fermo, nel sistema labrioliano, è la costante attività culturale, non fine a se stessa, ma come funzione pedagogicamente valida, che interviene nelle diverse realtà di vita, per realizzare l’incontro di cultura, morale, educazione, scuola, etica, politica e società. Nonostante le evoluzioni della formulazione teorica di Labriola, dall’hegelismo, allo herbartismo, al marxismo; dal liberalismo, alla democrazia, al socialismo; è possibile rilevare una certa continuità rintracciabile nell’impegno sociale e politico, ed etico pedagogico dell’autore, per costruire una cultura della critica individuale e sociale, non solo nell’università, ma nella scuola, nella famiglia, nella società. A cento anni dalla sua morte, la sua proposta è sempre valida, è tuttora viva, efficace; la sua esortazione non è finita con lui, ma dovrebbe diventare un impegno, per noi e per le generazioni future. Labriola critico della società e della politica della sua età, è totalmente immerso nella sua epoca, ma allo stesso tempo vuole districare il “grande intrigo della storia”, guarda al passato, ma particolarmente al futuro. È un pensatore a più dimensioni, che ragiona anche in termini di generazioni che verranno, come nel noto episodio del Papuano, raccontato da Croce, che provocò la disapprovazione di Gramsci. La risposta di Labriola, al suo studente universitario che obiettava contro l’efficacia della pedagogia, fu considerata meccanica e retriva. Ennesima dimostrazione che il pensiero labrioliano, così complesso e variegato, può dar luogo a impressioni diverse. Pertanto, è opportuno cercare di capire le circostanze entro le quali Labriola si muoveva, perciò nell’aneddoto del Papuano può leggersi la convinzione labrioliana della lentezza del processo educativo, e quindi l’idea che la pedagogia ha bisogno di molte generazioni per dare i suoi risultati. “Come fareste ad educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi scolari tanti anni fa […] al prof. Labriola, in una delle sue lezioni di Pedagogia, Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 191 obiettando contro l’efficacia della Pedagogia. “Provvisoriamente (rispose con vichiana e hegeliana asprezza l’herbartiano professore), provvisoriamente lo farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra”12. Con tale episodio Labriola sembra esprime in forma singolare il concetto che l’educazione presuppone uno sforzo prolungato ed un impegno rigoroso. Inoltre, il farlo schiavo può rientrare nel gusto del paradosso labrioliano, che lo portava spesso a chiarire i problemi con le battute, ma al di là dell’apparenza egli è comunque sensibile alla situazione. In questo aneddoto è possibile rintracciare la distinzione che Labriola opera tra l’attività del pensare e quella dell’educare. La risposta segue una “logica della separazione”, egli distingue una “cultura alta” che ha fini pedagogici, da ciò che è pedagogia, che è, a suo avviso, qualcosa di diverso dalla cultura; quindi da un lato c’è l’idea di un concetto di cultura per pochi e dall’altro la pratica pedagogica, come istruzione destinabile ai molti. Più volte ritorna nel catalogo il noto aneddoto del papuano, ci fa intendere l’inclinazione labrioliana al paradosso, ci introduce inconsciamente ma pienamente in quel momento, e ci chiama in causa. Ci induce a sviluppare la nostra capacità critica, il nostro punto di vista, e noi generazioni future, cogliamo lo stimolo che ci offre l’autore. Esaminiamo, analizziamo, scandagliamo, vagliamo, ogni ipotesi, diamo diverse interpretazioni, come lui avrebbe voluto che fosse. In prospettiva, ci sentiamo suoi allievi, e lui sembra stimolarci, ci porta al confronto, alla discussione, che è condizione indispensabile per l’apprendere, grazie a lui cresciamo, progrediamo, mentalmente, intellettualmente, moralmente. La sua teoria giunge a noi nipoti o pronipoti. E avvaloriamo in tal modo la sua ipotesi per cui prima o poi, ma lentamente, senza bruciare le tappe, dando tempo al tempo, tutte le culture dovranno passare attraverso una cultura più alta, che conduce innanzi alla storia, unica reale signora. N. SICILIANI DE CUMIS, Antonio Labriola a centosessant’anni dalla nascita, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 170. 12 192 Claudia Pinci Siamo quindi nella storia, ne assecondiamo l’andamento ciclico, ma cerchiamo di farlo polemicamente, o meglio criticamente. Come Labriola ci ha insegnato. Il filo della vita di lui fu tagliato troppo presto e troppo rapidamente, perché Egli potesse compiere la grande opera definitiva che raccogliesse ed esprimesse il pensiero Suo, giunto alla piena maturità. Per un processo di sviluppo interiore, continuo, e alle volte affannoso, Egli dall’animo mobilissimo, cambiò più volte di atteggiamento e di stile, cosicché sembrò che vivesse in una perpetua giovinezza. Fu caro ai giovani per questo perenne rinnovarsi, per questa instabilità, nella quale trovava meravigliosa espressione la vita, nel suo corso incessante. Egli era un atleta della polemica: così fu detto. E tale fu per davvero. Addestrò gli spiriti giovanili a questa ginnastica da atleti, togliendo gli appoggi, le impalcature e i sostegni, le formule e le definizioni, in quelle geniali corse attraverso la storia delle cose e delle idee, che Egli faceva con tanto diletto e con tanto profitto. Sì Egli fu, in questo senso, un atleta e insieme suscitatore abilissimo, di una folla di pensieri, arguto e mordente, passionale sì, ma pur sempre organico ed ordinato nella esposizione, nell’apparente disprezzo di ogni ordine e disciplina13. Nella dimenticanza collettiva, qualcuno ha continuato a lavorare su Labriola, sulle questioni di cultura, di politica, di formazione, di società proprie della sua riflessione, dapprima lo ha mantenuto vivo, certo che potesse ancora appassionare, e poi gli ha concesso la possibilità di crescita attraverso l’aspettativa di riflessioni ulteriori. Labriola non c’è più, per lui il catalogo, che oltre a dire, può far dire, molto ancora. Non è un utopia, se oggi siamo qui a scrivere, questa lettura ha suscitato qualcosa. Il lungo lavoro di studiosi, studenti e neolaureati, fatto di ricerche, analisi, confronti, discussioni, prove, ripetizioni, è riuscito nell’intento di lasciare un segno, se non addirittura di trasmettere compiutamente il pensiero di Labriola, poiché il suo fare dilatato e ammaliante appassiona. Il catalogo ha come obiettivo quello di tracciare un impronta, non necessariamente indelebile. Tuttavia, attraverso l’uso di ragione e sentiDa T. LABRIOLA, Mio padre, in «Scintilla di Calendimaggio», 1913. pp. 21–32. Citato in Il Mondo di Antonio Labriola e il Laboratorio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 137. 13 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 193 mento, di scientificità da un lato e di passioni dall’altro, la prospettiva reale appare il tentativo di umanizzazione delle nuove generazioni. L’autore affrontato, globalmente e in maniera originale, ci colpisce, se non rapisce. I diversi materiali usati, i saggi, le lettere, i documenti, gli articoli, le recensioni, le tesi, e i vari linguaggi intrecciati, informano, insegnano, documentano, istruiscono, consigliano, fanno da esempio, da modello. Labriola e la sua Università raggiungono il lettore. È il movimento spirituale raccomandato dall’autore stesso, una oscillazione dello scendere e del risalire, propria del catalogo, come della vita. Pertanto nella lettura, io lettore, esamino, considero con attenzione e ripercorro incessantemente la “mia strada”, ora in un verso, ora nell’altro; e comprendo, in base alle mie competenze, alla mia curiosità, ma anche alla mia incompetenza e la mia unitarietà; con la mia storia e le mie aspettative, quindi, con dei miei limiti. Leggo, inoltre, nel mio contesto, ma valuto “il dove” dell’opera stessa e dell’autore; inevitabilmente si genera una mescolanza, il mio presente, il mio passato, il tempo dell’autore, l’origine della sua opera e quella del catalogo; il futuro, il mio, la prospettiva dell’autore, i propositi del volume, si armonizzano. Ma io interpreto con la mia storia, con il mio punto di vista, sono i miei interessi a decidere, anche se in gioco c’è un complesso autore, e un ricchissimo testo. Ed è per questo motivo che il movimento è costante, continuo, incessante. Tra quantità e qualità, la forza dell’opera, sta nella sua effettiva interdisciplinarità. L’attività di lettura è trascinante, l’uso delle parole chiave determinante, molte termini hanno una doppia valenza, strumentale e finale, alcuni vocaboli possiedono un enorme peso, un grande valore, determinano assoluti vantaggi, fissano le idee, lasciano un segno, ed è una traccia voluta. L’esercizio di lettura è in qualche modo guidato, ma appare libero, poiché, con tutti gli elementi che ho a disposizione, posso dare la mia interpretazione, usare i miei occhiali di lettura. La struttura del testo è data da un complesso di idee, di questioni di principio, di valori, opinioni, concetti, dottrine, ma l’azione etico– pedagogica è innescata dalla lettura, durante la quale più elementi si sommano, si fondono, si legano, e creano il mio punto di vista. Il gioco 194 Claudia Pinci tra vecchio e nuovo, spinge in ulteriori dimensioni, questo sistema dà vita a risorse educative apparentemente taciute. Io leggo “con il mio mondo”, di un “altro mondo”, che diventa “il mio mondo”, creando a sua volta un “nuovo mondo”. La mia lettura parte da me, e dalle mie ipotesi, ma nel corso del suo svolgimento le mie idee si sono moltiplicate, il percorso è diventato più variegato, più complicato, ma sta a me lettore dipanare quei nodi problematici che il testo mi offre, la conclusione è aperta, o meglio provvisoria, perché una rilettura può portare ulteriori domande, e questo sul piano pedagogico è assolutamente ottimale. Ritornare sullo stesso argomento in termini diversi, significa in qualche modo cambiamento, e quindi crescita. 4. Labriola e Makarenko, differenze e analogie “Chi era però Labriola? Chi era stato, nel corso della vita […]? […] quali furono le idee principali, proprie e nuove […] nel corso della propria formazione? Quali le sue categorie mentali caratterizzanti? Quali, in ultima analisi, i punti forti d’arrivo […]?”. La risposta, o le risposte, a queste domande appaiono si diceva, non agevoli né semplici. Anche e soprattutto per le molteplici difficoltà che si frappongono alla piena comprensione di un “modo di pensare” che si è prestato storicamente e ideologicamente ad interpretazioni e valutazioni tutt’altro che univoche14. La complessità del pensiero labrioliano affascina, così come l’elaborazione teorica e la pratica educativa di Anton Semënovič Makarenko, il quale tuttavia, come Labriola, fu mal interpretato e non venne risparmiato da critiche. Il pedagogista sovietico ha un ruolo di primo piano tra i grandi educatori. Il suo nome può giustamente figurare tra i classici della pedagogia mondiale. Tuttavia, e non è raro, Makarenko è erroneamente presentato in modo parziale. L’opinione abbastanza diffusa, che lo indica semplicemente come il creatore della pedagogia sovietica, ha origine con la sua indiretta complicità. Il suo metodo educativo non può esser valutato come una costruzione autonoma e indipendente dalle tensioni innovative; il suo pensiero è ricco e articolato, però è indubbiamenI. VOLPICELLI, Antonio Labriola cento anni dopo (1904–2004), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 42. 14 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 195 te forte il rapporto con il suo tempo. Egli si oppone polemicamente alla pedagogia accademica, che non dà indicazioni sufficienti alla pratica educativa, e deduce la sua teoria pedagogica dall’esperienza reale, inevitabilmente connessa all’attualità storica. Pertanto, le idee del pedagogo non possono essere totalmente comprese e assimilate senza tener conto della realtà in cui si sono sviluppate, bisogna considerare il contesto storico e il vissuto dell’autore. Le sue dottrine non emersero dal nulla, ma si definirono in presenza di una vasta costellazione di eventi, idee ed esigenze socio–politiche. Analogo discorso può esser fatto per Labriola. […] per comprendere meglio un po’ tutto Labriola filosofo, politico, storico, pedagogista, pubblicista, insegnate. Il Labriola parte viva e attiva, esso stesso geneticamente, del “processo genetico” che vuol intendere obiettivamente e modificare morfologicamente. Il Labriola “resultato storico”, sia soggetto che oggetto di storia, che è insomma da comprendere metodologicamente nella sua particolare fisionomia biografica ed autobiografica, filosofica, pedagogica, etico–politica, economica didattica […] Il Labriola che racconta come storico e che si racconta come individuo; e che, così procedendo, rifà la storia della storia, il processo formativo, il “cosmo” di quella intera unità che filosoficamente e pedagogicamente lo riguarda come morfologia di una totalità culturale in formazione. Il Labriola, d’altra parte, che mentre contrasta teoricamente l’idea di qualsiasi “finalità ultima esterna”, proveniente da “metafisica o teologica escogitazione”, che spieghi “in anticipo” il senso della realtà storica umana, si muove tuttavia praticamente dall’interno di un “dover essere”, di un valore politico “altro” da affermare con determinazione etica, convinto della plausibilità delle forme dell’“educabilità umana” e delle possibilità che ha l’uomo di “farsi altrimenti” nella prospettiva di un cambiamento rivoluzionario al limite dell’utopia15. Quella di Labriola è una personalità viva, attiva, polemica, critica. Egli ha un atteggiamento di rifiuto e di intolleranza nei confronti di ogni conformismo, di ogni visione predisposta rigorosamente, nel suo pensiero non si incontrano categorie concettuali rigidamente precostituite. È possibile parlare di un Labriola dei “salti”, degli “scoppi”, delle “rotture” ma allo stesso tempo nelle sue concezioni è possibile ritrovare continuità. N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 27. 15 196 Claudia Pinci Ebbene, studioso inquieto ed inquietante, lontano dagli schemi tradizionali, coraggiosamente anticonformista, impegnato nel rinnovamento della cultura, della pedagogia, della filosofia, dell’istruzione, e della società. Insegnare per Labriola vuol dire rispondere ai bisogni reali; vivissima è la sua attenzione alle esigenze sociali di giustizia e libertà, per tale motivo ritiene fondamentale il rapporto scuola–società. E come la maieutica di Socrate, l’insegnare è per Labriola non definire, classificare astrattamente, bensì attività che genera altre attività, che risponde al bisogno reale. Il discorso di Labriola […], ha un forte senso “tanto antideologistico quanto antipedagogistico”. Richiama, in altre parole, la stretta connessione in Labriola tra riflessione filosofica e riflessione pedagogica. Labriola, dunque, oltre che filosofo e giornalista, fu anche e soprattutto educatore. […] Dunque, il Labriola educatore non può essere separato dal Labriola filosofo. La pedagogia, nella sua ottica, è una scienza filosofica e pratica. […] Labriola si batte per una scuola popolare, che è un “problema di politica sociale democratica”, e denuncia la piaga dell’analfabetismo, il che testimonia il “legame sempre fortemente provato da Labriola tra scuola e società”16. Il Labriola maestro perpetuo, pedagogista, grande educatore, insegnante all’università «La Sapienza» dal 1874 al 1903. Le sue lezioni vive ed appassionate superano i muri dell’accademia per agire nel mondo. Egli attribuisce all’educazione una funzione sociale, ritiene indispensabile la libertà della scienza e dell’insegnamento e il rinnovamento dell’università, così come l’incremento della istruzione popolare. L’educazione può generare un cambiamento, anche se i privilegi culturali sono destinati a pochi, la domanda di crescita intellettuale è di molti. L’ignoranza — la quale alla sua volta può anche essere spiegata — è cagione non piccola del modo come la storia è proceduta; e all’ignoranza bisogna aggiungere la bestialità non mai interamente vinta, e tutte le passioni e le nequizie, e le svariate forme di corruzione, che furono e sono il portato necessario di M. DORMINO, Antonio Labriola nelle “Grandi Scuole della Facoltà di Lettere e Filosofia”, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 57. 16 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 197 una società così organata, che il dominio dell’uomo sull’uomo vi è inevitabile, e da tale dominio la bugia, l’ipocrisia, la prepotenza e la vita sono inseparabili17. L’azione dell’ambiente storico–sociale sugli uomini, e la loro reazione ad esso, costituiscono il tema dell’educazione. Labriola mette in guardia contro ogni ottimismo pedagogico, e ritiene determinante il fattore sociale. Così Labriola, un po’ come Makarenko per definire i fini dell’educazione parte dal reale, dalla storia e dalla vita della società, ed anch’egli prospetta un’evoluzione. «Gli uomini, che presi in astratto son tutti educabili e perfettibili, si son perfezionati ed educati sempre quel tanto, e nella misura che essi potevano, date le condizioni di vita in cui è stato loro necessità di svolgersi»18, il contesto quindi è vincolante ma le possibilità di crescita, di miglioramento, di sviluppo innegabili. Ed è importante pertanto, andare oltre, oltre le critiche, oltre gli ostacoli, come Makarenko, oltre le ostilità. Il pedagogista sovietico, malgrado tutte le delusioni subite a causa dell’impopolarità delle sue dottrine esce vittorioso, il suo, ovviamente, non è un successo individuale ma collettivo, è il successo dell’intera società. L’arduo compito di guidare ed educare i giovani abbandonati viene portato a termine da Makarenko dopo anni di duro lavoro. Nel collettivo compatto trova il sistema per riscattare i ragazzi e per dar loro una prospettiva. Il principio pedagogico ispiratore è il riconoscimento del vero valore della vita umana, per la gioia del domani. Il Poema pedagogico è la testimonianza della sua grandiosa opera di educatore, lui l’autore–eroe con le sue passioni, i suoi sentimenti, le sue emozioni, l’“autore” è il pedagogista posto di fronte alle reali difficoltà del suo lavoro, con i suoi dubbi, le sue paure, le sue incertezze, che fa emergere tutto il “suo socratismo” ammettendo di non sapere da dove cominciare. È il Makarenko uomo che deve affrontare problemi apparentemente irrisolvibili. Poi c’è il “protagonista” del romanzo, lui stesso, il pedagogo che si “mette in gioco”, che rischia contro tutti e contro tutto. Nel Poema c’è, quindi, la storia di una crescita umana complessa: mentale, fisica, culturale, morale, civile, spirituale, nel racconto si avverA. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976, p. 109. 18 Ivi, p. 140. 17 198 Claudia Pinci te, tra cadute e salti di qualità, la forza educativa di quella eccezionale esperienza. Ciò che nasce nel collettivo, al di là delle apparenze, è un uomo nuovo e soprattutto libero. È qui che va colta l’originalità di Makarenko: creare personalità libere in un sistema rigidamente ordinato. Nella colonia non viene tolta la libertà, anzi viene incoraggiata sempre e comunque, nel gioco, nell’immaginazione, nella fantasia, nell’espressività, nel desiderio di un domani migliore e possibile grazie alla nascita di personalità libere, “altre”, diverse, nuove. Anche il metodo didattico di Labriola è lontano da qualsiasi forma di conformismo e dogmatismo, parte dai fatti storici, dalla realtà, dall’analisi oggettiva, ma a differenza di Makarenko egli critica la società, la situazione socio–economica e politica del suo tempo, inoltre tiene conto della tradizione culturale e dei precedenti storici. Il suo pensiero si alimenta di istanze sociali estreme. Per Labriola non vanno confuse le attività del pensare e dell’educare, tanto che egli si attiene alla separazione tra finalità universitarie elitarie e finalità pratiche utilitarie. Nel suo pensiero è possibile individuare quella distinzione di ruoli che appare in linea con l’ipotesi didattica proposta nel famoso episodio del Papuano. “Come fareste ad educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi scolari tanti anni fa […] al prof. Labriola, in una delle sue lezioni di Pedagogia, obiettando contro l’efficacia della Pedagogia. “Provvisoriamente (rispose con vichiana e hegeliana asprezza l’herbartiano professore), provvisoriamente lo farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra”19. L’eventualità dichiarata, il farlo schiavo provvisoriamente, è una “pedagogia del caso” che è un necessario prodotto della storia. Con tale aneddoto Labriola esprime in forma particolare il concetto che l’educazione comporta uno sforzo prolungato ed un solido impegno. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1061. 19 Le parole di Labriola e quelle di Makarenko 199 Il Papuano sembra essere il mediatore indispensabile del processo storico, che conduce inevitabilmente alle generazioni future, a quei nipoti e pronipoti moralmente educabili. Egli si augura il progresso sociale, auspica un miglioramento, anche se nulla lascia ben sperare, ed osserva ciò, argutamente, schiettamente, con la franchezza che gli è propria. Si può quindi ipotizzare che Labriola, tende ad una prospettiva ottimistica, che supera il cliché che lo vuole pessimista ostinato, perché in fondo egli è ottimista anche quando apparentemente si mostra convintamene pessimista; egli è semplicemente critico, autentico ed anche assolutamente ironico, il che non guasta a completare il profilo di un professore non certo tradizionale e convenzionale. Così ci appare, anzi si mostra, questo pedagogista sui generis, un pensatore controverso, un autore straordinariamente comunicativo, sempre predisposto al dialogo e al confronto, che con il suo spirito critico ci proietta nel sogno di un domani migliore. 5. Riferimenti bibliografici Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904– 2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. AA.VV., Enciclopedia Garzanti di filosofia e Epistemologia, Logica formale, Linguistica, Psicologia, Psicoanalisi, Pedagogia, Antropologia Culturale, Teologia, Religioni, Sociologia, Milano, Garzanti, 1991. GRAMSCI A., Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975. KAJON I. – SICILIANI DE CUMIS N. (a cura di), La filosofia nella scuola e nell’università, Roma, Lithos, 2005. LABRIOLA A., Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981. MAKARENKO A.S., Poema pedagogico [Pedagogičeskaja Poema, ed. Sovietski Pisatel, Mosca, 1947], trad. it. di L. Laghezza, Roma, ed. Rinascita, 1953. ID., Poema pedagogico [Pedagogičeskaja Poema, 1950], trad. it. a cura di S. Reggio, Ed. Raduga, 1985. POGGI S., Introduzione a Labriola, Bari, Laterza, 1982. SICILIANI DE CUMIS N., Studi su Labriola, Urbino, Argalia, 1976. ID., I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come “romanzo d’infanzia”, Pisa, edizioni ETS, 2002. YUNUS M., Il banchiere dei poveri [Vers un monde sans pauvreté, 1997], trad. it. di E. Dornetti, Milano, Feltrinelli, 2001. Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia. Anniversari e importanti libri celebrativi∗ Francesca Rizzo «I centenari sono un barbaro costume» ― dichiarò Croce nel corso di una conversazione con Paul Valery, avvenuta nel 1932 a Parigi, l’anno delle celebrazioni goethiane alle quali entrambi erano stati invitati a tenere discorsi commemorativi del grande poeta tedesco. Il ricordo di questo lontano episodio, tramandato da Leone Ginzburg, mi è venuto in mente per contrasto con quanto sto per dire. Per uno di quei strani giochi della storia, l’inizio del secondo millennio ha registrato per la cultura italiana la ricorrenza di un centenario, di un cinquantenario e di un sessantenario: cinquant’anni dalla morte di Croce nel 2002; cento anni dalla morte di Labriola nel 2004; sessant’anni dalla morte di Gentile nello stesso 2004. Tutte e tre queste ricorrenze hanno avuto una grande messe di iniziative, per nessuna delle quali si adatta, tuttavia, la battuta ironica ma severa di Croce, che si potrebbe tradurre così: la cultura esige libertà di interesse e spontaneità di ispirazione, di conseguenza non può essere comandata da scadenze di calendario. Questo verissimo motivo non impedisce, tuttavia, di dire che la celebrazione di un anniversario, quando assolve la condizione di una forte volontà di ripensamento e di una piena sincerità di sentimento; quando assume quei connotati di libertà e di autentico interesse, la cui mancanza giustamente era temuta e lamentata da Croce, diventa una felice occasione di vita degli studi e il suo rituale si trasforma in senso della continuità della cultura e della storia. Si sarà già compreso che queste condizioni sono state tutte presenti nella celebrazione degli anniversari indicati. Sicché, se qualcosa di generico e di comune si può dire intanto di esse, è che tutte e tre hanno segnato per la filosofia italiana all’inizio del nuovo millennio un momento di rilievo, perché ripensare Labriola, Croce e Gentile, le cui rispettive vi∗ Pubblicato in «Gazzetta del Sud», 10 luglio 2005. 202 Francesca Rizzo cende di pensiero hanno indiscutibilmente “fatto”, anche per gli effetti che hanno prodotto, la recente storia della filosofia italiana, era ormai il momento. Quanto detto voleva soprattutto richiamare l’attenzione su un volume, la cui pubblicazione (Aracne Editrice, Roma 2005) ricade nell’ambito delle attività di celebrazione del centenario di Antonio Labriola. Queste sono state tante e in sedi diverse, né possono dirsi del tutto concluse, visto che altre ancora se ne annunciano a partire dall’Edizione nazionale della sua Opera omnia. Comunque sia, fra i volumi dell’“anno labrioliano”, come giustamente è stato definito il 2004, quello di cui sto per dire è il primo a vedere la luce. Dal titolo Antonio Labriola e la sua Università; curato da Nicola Siciliani de Cumis, uno fra i più autorevoli interpreti del pensiero di Labriola; edito sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con l’intervento dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», della sua Facoltà di Filosofia, dell’Archivio Centrale dello Stato e dell’Archivio di Stato di Roma, si presenta in modo singolare, imponente e ― lo dico senza timore di esagerazione ― magnifico. Magnifica, infatti, è la veste tipografica; imponente la sua estensione (690 pagine); singolare, infine, la sua impostazione, in quanto il volume — il cui sottotitolo recita: Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004) ― si presenta come un catalogo delle attività culturali, che hanno accomunato, nel quadro delle iniziative intraprese per la celebrazione del settimo secolo di vita della «Sapienza», questa celebrazione con quella labrioliana. Ora, proprio la fusione delle due celebrazioni è l’aspetto originale del volume e pure al tempo stesso il modo più appropriato per entrare nel “pianeta” Labriola. Perché Labriola, che certo in tanti modi si potrebbe definire, essendo stata variegata e instancabile la sua operosità, se lo si volesse definire per l’attività che di più lo coinvolse e che esercitò con infinita passione, lo si dovrebbe dire anzitutto un professore, un professore della sua Università e nella sua Università, sempre che a questo titolo si dia il senso originario e autentico di chi professando l’insegnamento di una disciplina, anzi tutto educa, nella totale consapevolezza della responsabilità civile che il proprio magistero comporta e significa, nella piena coscienza della lezione di libertà, oltre che di sapere, che da quel Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia 203 magistero deve provenire. Si leggano i suoi Scritti pedagogici, o anche soltanto il discorso L’Università e la libertà della scienza tenuto all’Università di Roma il 14 novembre 1896 per l’inaugurazione dell’anno accademico: si avvertirà in esso il respiro di un’azione, il valore di un’opera, nella quale l’Università era sentita e vissuta come «una grande educazione», una maieutica continuativa e perpetua «che deve sopravvivere a molte generazioni». Dire che così sempre, e dunque anche oggi, dovrebbe essere sentito e vissuto l’insegnamento universitario sarebbe, forse, anacronistico o retorico? Non credo. Sarebbe invece il modo di tentare di realizzare un ideale, attraverso la lezione di un filosofo (e di un uomo), che non può e non deve essere ricordato soltanto come il teorico del materialismo storico in Italia. Sicché anche per questo il volume merita attenzione: per non avere, in definitiva, ricordato e celebrato soltanto il politico, ma il Maestro, il Maestro di quella studiorum universitas, che tale non può essere se non è anzi tutto responsabilità di vita e di vite e, insieme, inesauribile passione per la ricerca. Apprendimento spontaneo e interesse razionale: Maria Montessori tra Antonio Labriola e Lev S. Vygotskij∗ Federico Ruggiero Prendendo le mosse da una possibile valutazione del rapporto tra apprendimento e livello di sviluppo “spontaneo” in Vygotskij, sembra possibile operare un legame con quanto viene espresso da Labriola circa il rapporto tra momento “intuitivo” della conoscenza e momento “razionale” dell’interesse; in Labriola non sembra esserci separazione netta tra i due momenti, ma anzi essi contribuiscono in modo unitario a stabilire le basi per un nuovo approccio pedagogico all’insegnamento: E primieramente l’interesse empirico, col metter sott’occhi la forma varia e variabile del vivere umano, spinge l’intelletto alla ricerca del primo principio e dell’ultimo termine di tutte quelle cose che si vengono a parte a parte esaminando1. L’interesse poi che io dico razionale, provandosi ad interpretare le successioni e le connessioni degli avvenimenti, suscita assai di frequente il dubbio su l’umana sorte, per non essere il più delle volte intellegibili le cause genuine dei fatti e le maniere dei loro intrecci. Le forme estetiche e simpatetiche dell’interesse, dando dal canto loro il carattere del pregevole e dello spregevole degli atti umani, rendono avvertito l’animo delle disarmonie della vita, e muo- ∗ Questo scritto recensisce la mostra e il catalogo su Antonio Labriola e la sua Università, almeno per le seguenti ragioni. Intanto perché l’autore figura già tra i collaboratori del catalogo; e perché non sarebbe difficile vedere nell’attuale contributo un prolungamento della prima esperienza di studio nella seconda: sia dal punto di vista di alcuni dei contenuti della trattazione, sia dal punto di vista delle questioni di metodo affrontate via via. Inoltre, il nuovo contributo riprende temi e problemi variamente trattati o accennati nel catalogo: gli ipotetici nessi tra la pedagogie di Antonio Labriola e quella di Maria Montessori; Lev S. Vygotskij e la psicologia universitaria romana tra Otto e Novecento; insegnamento e apprendimento; la tematica dell’interesse e quella l’insegnamento della storia, ecc. 1 Corsivo nostro, come altre volte in seguito. Lo “spingere” acquisisce qui un significato molto particolare e specifico, tutto da esaminare. 206 Federico Ruggiero vono a dolorose riflessioni su i casi non infrequenti di disaccordo fra il merito ed il successo2. Metodologicamente e contenutisticamente viene evidenziato un innesto della dimensione emotiva nella prospettiva della presa di coscienza e, contemporaneamente, un germinare dell’aspetto “razionale” a partire dal terreno emotivo della curiosità orientata dall’interesse nascente. La forza della pedagogia consiste, per Labriola, proprio nel sapere mettere in conveniente rapporto lo sviluppo evolutivo naturale e spontaA. LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, in ID., Scritti di pedagogia e politica scolastica, a cura di D. Bertoni Jovine, Roma, Editori Riuniti, 1961, p. 60. Vygotskij spiega in termini di ricerca più avanzata, quasi a rendere specifiche e psicologiche le affermazioni pedagogiche di Labriola: «Un concetto isolato, questa cellula che abbiamo staccato dal tessuto vivente, unitario, come è intrecciato ed intessuto nel sistema dei concetti infantili, all’interno del quale soltanto può vivere e svilupparsi? In effetti i concetti non compaiono nella mente del bambino come dei piselli che si versano in un sacco, non stanno accanto l’uno all’altro o uno sopra l’altro senza alcun legame o senza alcun rapporto. Altrimenti non sarebbe possibile nessuna operazione di pensiero, che richiede una correlazione tra concetti, non sarebbe possibile nessuna visione del mondo nel bambino: in breve, tutta la vita complessa del suo pensiero. Inoltre, senza rapporti determinati con gli altri concetti non sarebbe neppure possibile l’esistenza di un singolo concetto, poiché l’essenza stessa del concetto e della generalizzazione presuppone, nonostante la teoria della logica formale, non un impoverimento, ma un arricchimento della realtà rappresentata nel concetto rispetto alla percezione e all’intuizione semplici e immediate di questa realtà. Ma se la generalizzazione arricchisce la percezione immediata della realtà, è chiaro che ciò non può trovare altro mezzo psicologico se non quello di stabilire dei legami complessi, delle dipendenze e delle relazioni tra gli oggetti, rappresentati nel concetto, e il resto della realtà. Così, la natura stessa di ciascun concetto isolato implica di per sé l’esistenza di un sistema determinato di concetti […]» (L.S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, a cura di L. Mecacci, Roma–Bari, Laterza, 20037, p. 295). Similmente il Labriola del 1896, già materialista storico, indaga gli aspetti della complessità nell’acquisizione ideologica dei contenuti appresi: «Comprendere l’intreccio ed il complesso nella sua intima connessione e nelle sue manifestazioni esteriori; discendere dalla superficie al fondo, e poi rifare la superficie dal fondo; risolvere le passioni e i disegni nei moventi loro, dai più prossimi ai più remoti, e poi ricondurre i dati delle passioni, dei disegni e dei moventi loro ai più remoti elementi […] ecco l’arte difficile, che deve esemplificare la concezione materialistica» (A. LABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, a cura di V. Gerratana e A. Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 153). 2 Apprendimento spontaneo e interesse razionale 207 neo con i momenti di “sforzo” da parte dell’attività psichica di apprendimento; in tale prospettiva non c’è una separazione netta e unilaterale tra dinamiche di sviluppo delle funzioni psichiche e processi di apprendimento, poiché entrambe le prospettive non sono significative prese solo di per sé, in quanto contribuiscono alla formazione di una dimensione unitaria di maturazione della personalità; questa doppia angolazione richiede una “conversione” pedagogica anche sul piano della stessa attività educativa. Non sembra possibile iniziare da contenuti inaccessibili sul piano cognitivo, in quanto la preclusione agirebbe anche sul piano emotivo e viceversa. Vale a dire che la pedagogia deve necessariamente riferirsi a queste condizioni di possibilità dell’apprendimento ed in esse porsi come elemento in grado di “servire” quale strumento di curiosità e “presa di coscienza”3. Labriola si pone il problema di come possa svilupparsi un processo di apprendimento che diventi formazione della personalità: in questo senso entrano nelle sue considerazioni le dimensioni di “interesse” emotivo presenti in ogni discente. Or come la cultura consiste in una certa forma peculiare delle interiori attività, l’educatore non può a meno di rivolger seriamente l’attenzione sua al procedimento che coteste attività seguono nel normale sviluppo loro, se ei vuol trovare il naturale addentellato della tecnica didattica. Anzi nel sapere mettere in conveniente rapporto l’azione educativa con le forme proprie e naturali dello svolgimento interiore, bisogna che ei faccia consistere l’insieme dei pratici risguardi da cui piglia origine il concetto del metodo pedagogico. Inteso così, esInteressante la considerazione di A. Gramsci: «Passaggio dal sapere al comprendere, al sentire, e viceversa, dal sentire, al comprendere, al sapere. L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filiteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa esser appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale […] cioè senza sentire le passioni elementari […]» (A. GRAMSCI, Antologia degli scritti, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 341). Non è un caso che Gramsci nella pagina successiva spieghi la posizione teoretica di Antonio Labriola. 3 208 Federico Ruggiero so non ha niente di comune coi procedimenti che piglian il nome identico nella logica e nella teorica della conoscenza, perché nel caso della didattica non indica i momenti della induzione e della deduzione per rispetto alla ricerca ed alla dimostrazione della verità, ma sì bene le forme e i gradi dell’azione educativa, in quanto coordinati alle forme ed ai gradi dello sviluppo interiore, in ragion del quale la materia del conoscere si converte in vivo elemento di attività spirituale4. Questa conversione nasce dall’interno di uno “sviluppo interiore” dove nulla si ha di idealistico, ma anzi dove si pone necessariamente l’accento sul fatto che lo sviluppo degli interessi cognitivi non può anticipare o prescindere le condizioni storiche di maturità e di sviluppo psichico5. Labriola si pone di fronte alla pedagogia da una prospettiva diversa rispetto all’angolazione puramente filosofica, e ciò trova la sua giustificazione necessaria nel fatto che istruire non basta per riuscire a fare intendere, necessita appunto quell’azione che permette di trasmettere la curiosità in chi ancora non ha raggiunto la padronanza specifica degli strumenti ragionativi e dei metodi conoscitivi atti a contenuti nuovi; in tal modo l’elemento di contenuto della materia (la storia) non più astrattamente ed estrinsecamente «identico nella logica e nella teorica della conoscenza» si trasforma in elemento reale nella coscienza del fanciullo e in essa fa germinare curiosità, stupore e spinta alla scoperta, «si converte in vivo elemento di attività spirituale» e prende corpo nei diversi significati a cui da origine e da cui si origina nuovamente. Una educazione “al negativo” rispetto alla sua forma aprioristica proprio perché si produce nell’esporre “filosoficamente” un’identità stabilita solo dall’interesse di chi apprende; una pedagogia che rifiuta didatticamente e dialetticamente di stabilire LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 73. Si consideri quanto detto nella nota n. 1. 5 Storiche perché la psiche ha una storia che coincide variabilmente alle circostanze con cui ha intrattenuto possibilità formative; la psiche si trasforma e cambia secondo parametri che non rispondono univocamente alle condizioni date dall’età e dagli stimoli; buona parte dello sviluppo psichico dipende dalla nostra capacità di innestare possibilità ed opportunità pedagogiche. Tali opportunità dipendono dalla presa in considerazione delle condizioni di sviluppo, dalle circostanze, dalla storia e dalle esperienze precedenti, ecc. 4 Apprendimento spontaneo e interesse razionale 209 un metodo prestabilito per ciò che concerne i significati e i fatti delle cose da esporre. L’importante è sottolineare l’importanza presente nell’innesto dell’elemento autonomo di ricerca: Escluso il significato estrinseco, che si suol dare al metodo didattico da quelli che ne discorrono con poca competenza scientifica, conviene ora determinare il valore intrinseco che s’intende qui d’attribuirgli. E ricordo qui primieramente che i diversi aspetti dell’attività didattica, per esser tutti destinati a dar forma di cultura a quelli cui si vuole istruire, devon trovare la norma del loro svolgimento nello studio degli stati della coscienza che si producono nell’animo dell’educando, per l’influenza successiva delle materie che a grado a grado gli s’insegnano. In altri termini […] col promuovere nella coscienza una certa determinata forma di attività, la tecnica esteriore dell’insegnamento piglia aspetto di metodo quando sia perfettamente ordinata a suscitare le forze in cui quella forma di attività ha principio certo e duraturo6. Il porsi, da parte di Labriola, in una prospettiva non formalistica ed aprioristica della didattica (e con essa della pedagogia) significa proteggere lo spazio necessario affinché ci sia un innesto spontaneo dell’intelligenza attraverso l’interesse, cioè la promozione «nella coscienza una certa determinata forma di attività» orientata sui contenuti. A questo punto si pone uno scambio interno tra orientamento degli interessi spontanei e potenzialità delle materie di studio: […] Di tal che il piano didattico, che si deve seguire nell’insegnamento, ha una doppia stregua; quella cioè della gradazione intrinseca alla natura speciale dei vari interessi, e quella che è propria della materia, la quale non può essere insegnata in ordine continuativo, perché si deve avere riguardo al movimento ed al progresso naturale delle inclinazioni conoscitive e simpatetiche […] Dalla descrizione, insomma, fino al filosofare, dalla chiara notizia di un fatto, fino alla movenza metodica dello spirito per entro ad un sistema di accadimenti, son due maniere di sviluppo dell’animo, che pur si compiono per l’azione di una medesima materia conoscitiva, e in fondo fanno uno nella formazione completa della coscienza. Premesso ciò, passerò ora ad indicare l’ordine che nell’insegnamento della storia si deve tenere. In questo insegnamento speciale, allo stesso modo che accade in quello di ogni altra materia di studio che si adoperi come mezzo educativo, non è un co6 LABRIOLA, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 73. Corsivi nostri. 210 Federico Ruggiero minciamento preciso ed assoluto, che possa essere puntualmente assegnato. In fatti quella che dicesi puntualità del cominciare è qualità esclusivamente logica delle scienze già bell’e fatte; delle scienze, cioè, in quanto vengon considerate in sé medesime, come esposizione rigorosa e come trattazione metodica dei concetti, che furono acquistati per mezzo della elaborazione intellettiva delle materie del conoscere. Ma nel campo della didattica non ha luogo cotesta maniera assoluta di cominciamento; perché alla cultura si dà principalmente secondo i casi, cioè secondoché le speciali condizioni della esperienza e della simpatia dei giovinetti da educarsi, offrano un diverso addentellato alle dichiarazioni metodiche della istruzione che si faccia con ordine7. Il Labriola evidenziato da Germana Recchia ci introduce negli “spazi” pedagogici della Montessori, la quale operava un uso specifico del termine “libertà” equiparandolo quasi a quello di “spontaneità”: Un cardine fondamentale della Pedagogia scientifica deve essere perciò la “libertà degli scolari”, tale che permetta lo svolgimento delle manifestazioni spontanee individuali del bambino. Se una pedagogia dovrà sorgere dallo “studio individuale dello scolaro”, sarà dallo studio inteso in questo modo cioè tratto dalla osservazione di bambini liberi8. Vygoskijanamente e, soprattutto, non aprioristicamente, il problema educativo si pone nei termini di una precisa responsabilità: occorre porsi il problema di come i discenti possano riuscire ad apprendere ancorando i contenuti nuovi alle loro precedenti esperienze emotive e cognitive. Sia che noi vogliamo fermare la nostra considerazione sul fatto che il bambino, nell’età pre– scolare, pensa per rappresentazioni generalizzate, sia che poniamo mente al fatto che i suoi interessi emotivi si associano con il senso e con il significato che egli ripone in una situazione data9, sia che vogliamo fermarci sul fatto che la sfera Ivi, pp. 83–84. Corsivi nostri. G. RECCHIA, Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 222. 9 L’interesse si colloca tra il cognitivo e l’emotivo e sarebbe coinvolgente riuscire a riportare tale tema allo sviluppo dei concetti con la complessità di problemi che vi sono connessi; a questo proposito segnaliamo l’”interesse” come motivo di sviluppo, di apprendimento, di relazione. La storia delle funzioni psichiche è anche per 7 8 Apprendimento spontaneo e interesse razionale 211 della comunicazione del bambino si allarga, in ogni caso, mi sembra, ne scaturirà una sola conclusione: il bambino, durante l’età pre–scolare, è, per le sue stesse caratteristiche psichiche, in grado di iniziare un nuovo ciclo di apprendimento che prima di tale età gli sarebbe stato inaccessibile. Egli è bensì capace di uniformare questo apprendimento ad un programma stabilito; al tempo stesso però, in conformità con la sua natura, con i suoi interessi, con il livello del suo pensiero, è in grado di assimilare il programma stesso soltanto nella misura in cui questo diviene anche il suo proprio programma10. L’esigenza pedagogica di un “programma” definito si riscontra specularmente con l’esigenza sempre pedagogica di fare sì che il “programma” sia per il bambino anche “il suo proprio programma”; esigenza che viene espressa chiaramente ed esplicitamente anche nello scritto sull’apprendimento nell’età scolare. Quanto Labriola dichiarava che la giusta angolazione per la messa a fuoco pedagogica era la prospettiva di meto- certi aspetti storia degli interessi psichici e della nostra responsabilità nel riuscire a farli scaturire orientandoli. Ma il discorso merita un approfondimento a parte. 10 L.S. VYGOTSKIJ, Sul problema dell’insegnamento e dello sviluppo mentale nell’età scolare; in ID., Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Firenze, Giunti– Barbera, 1975, pp. 288–289. Vygotskij lo sa bene che il punto è problematico e nonostante dichiari che spesso l’insegnamento delle materie innesti veri e propri processi fino a quel momento non presenti e anticipi l’uso consapevole e volontario di determinate funzioni (grammatica, scrittura, aritmetica, esprimono bene questa dinamica), affronta con rispetto la dimensione del presente attraverso la presa in carico da parte dello sviluppo prossimo del momento caratterizzato dai periodi sensitivi; «Ci resta soltanto da chiarire definitivamente la natura di questo periodo sensitivo. Si comprende chiaramente sin dall’inizio che nel periodo sensitivo condizioni determinate, in particolare un certo tipo di apprendimento, possono soltanto allora mostrare la loro influenza sullo sviluppo, quando i cicli corrispondenti di sviluppo non sono ancora maturi. Appena questi sono compiuti, allora queste condizioni possono dimostrarsi neutre. se lo sviluppo ha già detto la sua ultima parola in un dato campo, allora è già terminato il periodo sensibile in relazione a date condizioni. L’incompiutezza di determinati processi di sviluppo è la condizione necessaria affinché un dato periodo possa mostrarsi sensibile in relazione a precise richieste». Per nulla debole è il richiamo alle “condizioni” e la interazione necessaria dell’apprendimento da proporre con il fatto che può terminare «il periodo sensibile in relazione a date condizioni»; se ciò potrebbe sembrare un legame troppo forte di dipendenza allo sviluppo da parte dell’apprendimento, in realtà è sinonimo di una presa di coscienza non superficiale del problema dell’interazione stessa. 212 Federico Ruggiero do per cui «le speciali condizioni della esperienza e della simpatia dei giovinetti da educarsi, offrano un diverso addentellato alle dichiarazioni metodiche della istruzione», poneva l’accento proprio sulla necessità di fare incontrare l’esigenza di scoprire dei ragazzi con la progettualità didattica dei docenti o degli educatori11. Vygotskij sembra sapere bene che il rapporto educativo si colloca sempre in una zona di confine, e attraversa tale soglia in modo funzionale e necessario al processo evolutivo del bambino nella sua interazione con la possibilità di apprendere; l’educazione è uno stare dentro agli interessi impellenti e uno stare fuori ad essi allo stesso modo di quanto l’istruzione, nel rispetto e nel riconoscimento della “zona di sviluppo prossimo” deve sapere essere dentro alle potenzialità che si presentano “di già” ma “non ancora” si sono rese esplicite, senza giocare troppo in anticipo né troppo in posticipo rispetto ad esse12. «Ciò significa che il fatto Diremo esigenza pedagogica di “permettere” l’incontro tra livello emotivo di partecipazione e livello cognitivo di riflessione intellettuale; similmente oggi si parla di elaborazione dinamico–comportamentale. 12 Il concetto di “istruzione” è essenziale alla comprensione dialettica della zona di sviluppo prossimale; infatti essa si colloca dove l’attività istruttiva riesce ad essere legata alla fase evolutiva in cui lo sviluppo e la maturazione psichica procedono alla richiesta di un elemento culturale che ne esprima le esigenze interne di espletazione; “istruire” in questo senso significa permettere la crescita di potenzialità che aspettano di essere stimolate attraverso la cultura, quindi alimentare ed irrobustire le possibilità già presenti perché acquisite attraverso precedenti rapporti tra natura e cultura del processo di crescita. «Così l’elemento centrale per tutta la psicologia dell’apprendimento è la possibilità di elevarsi attraverso la collaborazione ad un livello intellettivo superiore, la possibilità di passare da ciò che il bambino sa fare a ciò che non sa fare, mediante l’imitazione. Su ciò si fonda tutto il significato dell’apprendimento per lo sviluppo e questo è il contenuto vero e proprio del concetto di area di sviluppo prossimo. L’imitazione, se la si intende in senso lato, è la forma principale sotto cui si esercita l’influenza dell’apprendimento sullo sviluppo […] In effetti a scuola il bambino apprende non ciò che sa fare indipendentemente, ma ciò che non sa ancora fare, ciò che gli risulta accessibile in collaborazione con l’insegnante e sotto la sua guida. Ciò che è fondamentale nell’apprendimento è proprio il fatto che il bambino apprende cose nuove. Perciò l’area di sviluppo prossimo, che definisce questo campo di passaggio accessibile al bambino, è proprio l’elemento più significativo in relazione all’apprendimento e allo sviluppo. Le ricerche mostrano in modo incontestabile che ciò che è presente nell’area di sviluppo prossimo in un determinato stadio di età si realizza e si trasforma nel livello di sviluppo presen11 Apprendimento spontaneo e interesse razionale 213 che il concetto scientifico del bambino abbia preso questo cammino non può essere indifferente per la parte rimanente del cammino che i concetti quotidiani devono ancora compiere»13, poiché in essi ha alimentato nuove prospettive di indagine possibile: «[…] ma il movimento di questo concetto è come se si spostasse, germinando dentro, facendosi strada verso l’oggetto, legandosi all’esperienza che il bambino ha sotto questo aspetto, assorbendolo in sé»14. La nuova dimensione prospettica in cui viene focalizzato dal discente il concetto quotidiano risponde ad un angolazione che conduce ad orizzonti più estesi rispetto a prima, ma ciò avviene solo sulla base di un innesto indispensabile con il precedente modo di sentire e di pensare i contenuti15. te nel secondo stadio. In altri termini ciò che il bambino sa fare oggi in collaborazione, saprà fare domani indipendentemente. Perciò è verosimile l’idea che l’apprendimento e lo sviluppo a scuola siano in rapporto l’uno con l’altro, come lo sono l’area di sviluppo prossimo e il livello di sviluppo attuale. È efficace soltanto l’apprendimento a scuola che va avanti allo sviluppo e trascina lo sviluppo dietro di sé. Ma è possibile insegnare al bambino solo ciò che già capace di apprendere. L’apprendimento è possibile là dove vi è la possibilità d’imitazione. L’insegnamento si deve orientare dunque sui cicli già percorsi di sviluppo, sulla soglia inferiore di apprendimento; tuttavia esso non si basa soltanto sulle funzioni già maturate, quanto su quelle in maturazione. Esso parte sempre da ciò che il bambino non ha ancora maturato. La possibilità di apprendimento è determinata (in modo immediato) dalla zona di sviluppo prossimo […] Le ricerche ricordate sopra hanno dimostrato che qualsiasi materia nell’apprendimento scolastico si basa sempre su ciò che non è ancora maturo» (VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, cit., pp. 272–273). In tale direzione credo possano essere interpretate le affermazioni di Maria Serena Veggetti, a commento dello scritto in questione: «La teoria dell’autore circa i limiti ottimali per l’apprendimento va intesa nel senso che l’apprendimento effettuato in un periodo determinato ci dà un risultato migliore ai fini di un adeguato sviluppo intellettuale. Un insegnamento troppo precoce può riflettersi in modo sfavorevole sullo sviluppo intellettuale del bambino, allo stesso modo in cui un inizio troppo ritardato, e cioè una prolungata assenza di esso, ha un’azione inibitrice sullo sviluppo intellettuale del bambino» (M.S. VEGGETTI, Storia delle funzioni psichiche superiori e altri scritti, Firenze, Giunti– Barbera, 1974, p. 285, nota 3). Si vedano anche le pp. 262–287 di Pensiero e linguaggio. 13 VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, cit., p. 287. 14 Ivi, p. 286; si vedano per intero le pp. 287–289. Corsivi nostri. 15 Labriola ha assunto questa rigorosa impostazione scientifica attraverso la “conversione” della dialettica nel metodo genetico: «La parola che a mio avviso, e- 214 Federico Ruggiero Il “legame” che occorre stabilire con la precedente esperienza del bambino indica quindi un avvicinamento pedagogico che si forma nel rapporto tra emozioni e apprendimento instaurato dall’interesse, che «legandosi all’esperienza che il bambino ha sotto questo aspetto» permette al concetto scientifico di innalzare su un piano diverso il concetto spontaneo volto verso lo stesso argomento16; Labriola ci parla di un arte educativa che “sostituisca” ciò che si ingenera naturalmente nell’animo, ma anche di un’istruzione che “prepara” l’animo “a ricevere” successivi concetti scientifici. Un’istruzione che coincide con lo sviluppo della psiche nella misura in cui in esso riesce ad intravedere elementi che predispongono la ricezione di possibili contenuti da apprendere: Ad agevolare il trapasso occorrono alcune generalità di cultura, che devon fare come da nuovo intuito delle cose interiori ed esteriori, che l’arte educativa sostituisca a quello il quale s’ingenera naturalmente nell’animo, per influenza diretta ed immediata delle cose circostanti. Coteste generalità17 son tali, che mentre alcune preparan l’animo a ricevere ogni sorta d’insegnamento, le altre non fanno che agevolare l’intelligenza di alcune materie soltanto. E ciò dipende dalla natura stessa della dichiarazione, la quale non può fare di ogni obbietto emsprime tutto in breve […] quel processo genetico, il quale consiste nell’andare dalle condizioni ai condizionati, dagli elementi della formazione alla cosa formata». 16 «Ma solo una cosa ci interessa qui: dimostrare che il sistema e la presa di coscienza ad esso connessa entrano nella sfera dei concetti infantili non da fuori, soppiantando il modo proprio del bambino di formare e usare i concetti, ma che essi stessi comportano già l’esistenza di concetti infantili sufficientemente ricchi e sviluppati, senza i quali il bambino non possiede ciò che deve essere l’oggetto della sua presa di coscienza e della sua sistematizzazione, e che il sistema iniziale che compare nella sfera dei concetti scientifici è trasferito strutturalmente nel campo dei concetti quotidiani, trasformandoli, modificando la loro natura interna, come se venisse dall’alto». 17 Il concetto di “generalità” come vedremo è approfondito da Vygotskij; basti segnalare un analogia tra Labriola e Vygotskij sul concetto di “generalità” come estensione dei contenuti concettuali: «Se la presa di coscienza significa la generalizzazione, allora è del tutto chiaro che la generalizzazione a sua volta non significa nient’altro che la formazione di un concetto superiore (Oberbegriffübergeordneter), nel cui sistema di generalizzazione è incluso il concetto dato come concetto particolare». L’intera questione ci spinge a considerare gli elementi herbartiani presenti in Labriola direttamente ed in Vygotskij non esplicitamente; ad essi probabilmente occorre aggiungere uno studio della dialettica nelle sue accezioni più o meno hegeliane/o marxiane. Apprendimento spontaneo e interesse razionale 215 pirico una materia capace d’ingenerar nell’animo qualunque maniera di conoscenza riflessa18. Ovviamente necessita un orientamento dove si stabilisce la messa a fuoco degli interessi spontanei sulla base degli obiettivi didattico–pedagogici che si vogliono raggiungere19. Il termine “ingenerare” per Antonio Labriola è un termine che ha un significato scientificamente non speculativo e filosoficamente antiidealistico; potremmo dire che “ingenerare” assume l’importanza di una responsabilità pedagogica e psicologica simili al significato di “produrre geneticamente”20. Vygotskijanamente Labriola è consapevole di come tra i processi dell’apprendimento e dello sviluppo non vi è un antagonismo, ma vi sono dei rapporti di carattere infinitivamente più complesso e più positivo. Ci dovremmo attendere che l’apprendimento debba rivelarsi, nel corso dell’indagine speciale, come una delle fonti fondamentali dello sviluppo dei concetti infantili e la forza più potente che dirige questo processo. Per avanzare questa ipotesi, ci fondiamo sul fatto universalmente noto che in età scolare l’istruzione è Labriola, Dell’insegnamento della storia, cit., p. 84. Corsivi nostri. Didattici nel senso curricolare del termine, pedagogici nel senso per cui “pedagogia” è l’intero studio degli elementi di crescita del discente: cultura, emozioni, interessi espliciti, attitudini in trasformazione, atteggiamenti, capacita di elaborare le informazioni scolastiche, comportamenti di fronte allo studio, persistenza negli impegni, ecc. Anche Labriola cerca una continuità di metodo e di merito tra elementi dello sviluppo ed elementi dell’apprendimento: «D’altra parte, poi, come la possibilità dell’educazione suppone la conoscenza della natura umana nel suo normale svolgimento, procede da ciò che la psicologia debba indicare quali sieno nella materia subiecta le forme e i modi d’essere su cui l’azione educativa può spiegarsi con sicurezza. Determinato il fine e dichiarata la possibilità dell’educazione, il concetto di essa assume contorno preciso, e partizione naturale. Il contorno e la partizione ricadono entro certi limiti di età, che non si può cambiare a capriccio; e ciò riduce nei giusti confini l’azione educativa, che in conseguenza piglia natura di compito, e non di attività che si continui indefinitivamente». 20 Il discorso rimanda più o meno direttamente a tematiche filosofiche che investono la trasformazione del pensiero idealistico dopo Hegel. Basti riflettere sul rapporto tra coscienza della sensibilità e sensazioni che vengono recepite dalla coscienza (dalla Critica della ragion pura in poi), all’uso che ne fa un certo Hegel, alla critica herbartiana ad Hegel, alle modalità di utilizzo svolte da Labriola (attraverso fonti herbartiane) e alle modalità di utilizzo svolte da Vygotskij (su fonti marxiane e marxiste). 18 19 216 Federico Ruggiero un elemento decisivo, che determina tutto il destino dello sviluppo mentale del bambino, compreso lo sviluppo dei suoi concetti, e ci basiamo sulla considerazione che i concetti scientifici di tipo superiore non possono nascere nella mente del bambino dall’inizio, se non da tipi di generalizzazioni più elementari, e non possono essere trasportati nella coscienza del bambino dall’esterno21. Le rappresentazioni generali del bambino in età prescolare, che corrispondono a ciò che nei concetti sperimentali abbiamo chiamato complessi, ha mostrato che le rappresentazioni generali come stadio superiore nello sviluppo e nel significato delle parole risultano non da singole rappresentazioni generalizzate, ma da percezioni generalizzate, cioè da generalizzazioni dominanti ad uno stadio precedente […] la trasformazione e non l’annullamento dello stadio precedente, attraverso la generalizzazione degli oggetti già generalizzati nel sistema precedente e non attraverso una nuova generalizzazione degli oggetti singoli […] il passaggio dai preconcetti […] ai concetti veri […] si effettua attraverso la generalizzazione di oggetti generalizzati precedentemente. […] Non si tratta di un movimento successivo nella stessa direzione, ne del suo compimento, ma dell’inizio di una nuova direzione, del passaggio ad un piano nuovo e superiore del pensiero […] Ma il nuovo concetto, la nuova generalizzazione delle proprietà […] compare solo sulla base di quella precedente. […] è nella possibilità contenuta nella generalizzazione di un movimento inverso dallo stadio superiore a quello inferiore: l’operazione inferiore è considerata già come un caso particolare di quella superiore […]22. Se Labriola ci indicava una “doppia stregua” per cui pedagogicamente occorre predisporsi ad accogliere il rapporto tra elementi emotivi di partecipazione e potenzialità euristiche della materia insegnata, Vygotskij, sotto la stessa prospettiva, pone l’accento sul fatto che «la nuova generalizzazione delle proprietà […] compare solo sulla base di quella precedente. […] è nella possibilità contenuta nella generalizzazione di un movimento inverso dallo stadio superiore a quello inferiore». La generalizzazione “precedente” permette l’aspetto partecipativo dell’interesse coinvolgendo l’alunno sul piano emotivo, mentre il “movimento inverso dallo stadio superiore a quello inferiore” è dato dall’elemento riflessivo ed intellettuale che orienta la partecipazione emotiva. 21 22 VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, cit., pp. 215–217. Corsivi nostri. Ivi, p. 305. Si vedano anche le pp. 265, 269, 289–293. Corsivi nostri. Antonio Labriola, a cuore aperto∗ Roberto Sandrucci La pubblicazione di un catalogo è sempre un evento felice. Vincolati, come sono, agli oggetti della catalogazione, ad un mondo materiale fatto di “cose” (altrove esposte e altrimenti sperimentabili al di là della pagina stampata) ― i cataloghi danno maggiori garanzie di opportunità rispetto ad altri libri di scienza che talvolta si vedono pubblicati: paghi di sé in relazione a se stessi, più maliziosi, gonfi eppure disabitati. Marginalità dell’editoria filosofica e pedagogica, i cataloghi, poi, che documentano queste discipline presentano tratti di umanità preziosa: nello svestirsi, innanzitutto; nel ritornare cioè all’osso o all’anima di questioni e di ragionamenti, di fatti e di autori che la teoria e l’opinione corrente hanno fissato in fogge che si vorrebbero definitive, che sono diventate prigioni. Nicola Siciliani de Cumis, ideatore e curatore sia della Mostra che del Catalogo Antonio Labriola e la sua Università, e i suoi numerosi collaboratori (di varia formazione, di varia età, impegnati nel progetto a vario titolo), offrono, per l’appunto, la possibilità di riaprire il dibattito, assopito da tempo, sulla figura e l’opera di Labriola: sull’attualità di alcune sue disamine sulla mala–scuola e sulla mala–università; sul mestiere o la missione dell’insegnante; sull’etica quale spazio di azione in cui cadono le barriere formali erette tra le discipline: Labriola filosofo, pedagogista, storico, insegnante, politico… Labriola uno, pensatore vero («Io credo fermamente, ― scriveva nel 1887 ― che, nel giro degli studi universitarii, la filosofia abbia ad essere, non un complemento obbligatorio della storia e della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica, o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori»). ∗ In corso di stampa su «Il Contributo. Rivista del Centro per la Filosofia Italiana». 218 Roberto Sandrucci Antonio Labriola e la sua Università è un catalogo voluminoso: ricco di contributi, di punti di vista, di spunti di riflessione, di indirizzi di ricerca. Basta scorrere l’indice per riceverne l’impressione di opera generosa e complessa, capace di tenere insieme l’ortodosso, l’eterodosso e persino l’audace; capace di far convivere, accanto allo studioso di prim’ordine, l’apprendista o l’allievo. Siciliani, d’altronde, è quello stesso infaticabile professore universitario, alla «Sapienza» di Roma dal 1982, che ha fatto della sua professione l’occasione per tanti studenti di fare ricerca di prima mano; da sempre impegnato nella promozione dei giovani intelletti, come testimoniano anche i volumi Laboratorio Labriola (La Nuova Italia, 1994), L’università, la didattica, la ricerca. Primi studi in onore di Maria Corda Costa (Salvatore Sciascia, 2001), o la collana Diritto di stampa per l’editore Aracne. Poco fumo e molta carne già a partire dalle Presentazioni e dagli Ingressi ― i luoghi dell’avvio ― con la presenza, tra gli altri, del preside della Facoltà di Filosofia Olivetti, di Volpicelli e dello stesso Siciliani de Cumis; dove si assaggia, per così dire, e si comincia a masticare: il “morfologico” come concetto attraverso il quale comprendere “intuitivamente” l’assunto teorico–pratico dei Saggi sul materialismo storico, e grazie al quale confrontarsi con tutto Labriola; Labriola nelle grandi scuole della facoltà di lettere e filosofia romane (dove è presente, dove assente, e perché); Labriola e Credaro («Carissimo Credaro, di quel lavoro su “L’insegnamento della storia” (1876) non ho che l’unica copia che ti mando in prestito. A quel 1° studio […] non tenne dietro nessun altro perché non trovai pubblico. Poi dopo qualche anno quello studio divenne ricercatissimo»; 1902)… Con il seguito della Parte prima dedicata alle giornate del “Seminario di approfondimento in occasione delle Celebrazioni in Parlamento per i cento anni dalla morte di Antonio Labriola” (Roma, Facoltà di Filosofia, Villa Mirafiori, 2 e 3 febbraio 2004), dove sono ospitate le relazioni e gli interventi di Tessitore, Cotroneo, Giarrizzo, Sasso, Bellerate, Boncori, Cives, Fattori, Kajon, Miccolis, Spadafora, Veggetti, solo per citarne alcuni. Biografia e opera, uomo reale e filosofo, nei loro intrecci naturali e indissolubili, costituiscono il filo conduttore (e se si vuole: la tesi comune) dei saggi che formano la Parte seconda del Catalogo. Con le pagine di Spinelli Labriola a tutto tondo, a cuore aperto 219 sul socratismo (“Tra Labriola, Calogero e Giannantoni”), ad esempio; o con quelle di Mastroianni (“Antonio Labriola fra Croce e Gentile”), o dello stesso Siciliani (“Il principio ‘dialogico’ in Antonio Labriola”); con Orsomarso (“L’educazione come ‘accomodazione sociale’”), de Liguori (“Antonio Labriola e Arturo Graf. Principio e fine di un sodalizio di vita e di pensiero”), Pangrazi (“La storiografia della Rivoluzione francese nella formazione di Antonio Labriola: recensione della tesi di laurea di Roberto Donini”). Dentro e fuori il solco della tradizione degli studi labrioliani, si affrontano i temi del materialismo storico, dello herbartismo, della rivisitazione fascista di una parte dell’opera di Labriola (Mussolini lo cita a più riprese dal 1908 al ‘22), del Positivismo francese, della Montessori, delle intuizioni sperimentali come appaiono in alcuni passaggi degli Scritti pedagogici (così Labriola: «Il maestro deve essere […] preparato per fare imparare, in guisa che la didattica diventi tecnica. Egli deve far entrare la nozione in tutti i gradi dello spirito, e perciò studiare questa tecnica, lasciando da parte le astruserie»)… Tanta prolificità, che è la caratteristica propria delle indagini storiografica e filologica quando condotte con passione, interrogando cioè gli autori, non accontentandosi di soltanto chiosare, (e questa intenzione si rinviene per tutto il Catalogo) non si esaurisce nella Parte terza: “Percorsi: la Mostra, le Mostre su Antonio Labriola e la sua Università”, dove il Catalogo rende conto della Mostra ospitata (per il periodo 8 marzo – 25 aprile 2005) nelle tre sedi romane dell’Archivio Centrale dello Stato all’Eur, dell’Archivio di Stato di Roma di corso Rinascimento e della biblioteca di Villa Mirafiori (Facoltà di Filosofia). Si tratta di 80 pagine a colori di buona resa grafica e di una certa suggestione, ma soprattutto di grande ricchezza tematica: dagli anarchici alle donne («A Milano ― scriveva ad Engels ― non c’è che un uomo, che viceversa è una donna, la Kuliscioff»), dal carnevale di Roma al socialismo; i tribunali, le aule dell’ateneo romano, i caffè, la strada; i colleghi professori, i ministri, i maestri, gli operai, gli studenti, la figlia Teresa… Le carte (manoscritte e non; diverse inedite), i testi, le fotografie, le illustrazioni: tutto a riprova di una università, quella nella testa partoriente di Labriola (e quale nella testa partoriente di Siciliani), traboccante, vivente ben oltre le mura della «Sapienza», mai dimentica del mondo, in grado anzi di farsi essa stessa mondo. 220 Roberto Sandrucci Non a caso l’ultima sezione del Catalogo, Momenti e moventi, si apre con lo scritto di Siciliani, Rileggendo “L’università e la libertà della scienza” di Antonio Labriola, dove dell’università da essere si delinea il profilo e si affermano i diritti e i doveri. «Signori Studenti,» ― esordiva Labriola nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico 1896–97 — «noi siamo qui per rendere un servigio a voi […]. Nel rendere un servigio a voi, noi, per il tramite delle persone vostre, lo prestiamo alla società in generale». Dove non c’è retorica ma tanta santa politica ― risolta o trasfigurata come «grande opera pedagogica»: c’è il senso della prospettiva e quel richiamo alla prassi che sono anche il senso profondo e il richiamo sentito di questo Catalogo. In questa Parte, per la cura di Sanzo, Broccoli, Ruggiero e altri, compaiono i concorsi universitari (uno per tutti, quello che vede Gentile candidato alla libera docenza di filosofia teoretica presso l’università di Napoli nell’anno 1902), e ancora epistole e verbali e relazioni (come quelle di Labriola ispettore didattico nelle scuole normali), e finanche una tesi di laurea discussa dallo studente tale Luigi Basso con il professor Labriola (anno 1886)… Labriola, dunque, a tutto tondo, a cuore aperto; non idolo, non icona, mai nella figura del mezzo busto, sempre interloquente, sempre al centro della polemica, capace di accendere gli animi e le menti: come accese quella di Croce, parlandogli di Marx; e come può continuare ad accendere, anche da un secolo all’altro ― purché letto e studiato. «All’università oggi grande dimostrazione di studenti: hanno fischiato un professore, Antonio Labriola, che ieri spingeva gli operai ad insorgere. Molti e molti però lo hanno applaudito», così Pirandello in una lettera del 1889. Le attente analisi dell’Ispettore Labriola Antonio Santoni Rugiu Leggendo il volume su Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), curato da Nicola Siciliani de Cumis, mi sono venute in mente alcune spicciole considerazioni. Prima di tutto che proprio Labriola autore pedagogico (sia pure sui generis) conferma una mia vecchia convinzione per cui i veri pedagogisti italiani dell’Ottocento non furono ― salvo forse Lambruschini e pochissimi altri― né educatori di professione né teorici o storici dei problemi educativi, bensì cultori di altro, come Francesco De Sanctis, Pasquale Villari e lo stesso Labriola e non solo, per non parlare già a fine secolo del ben più noto caso di Giovanni Gentile, come si sa tutt’altro che laudatore del “pedagogismo” dei pedagogisti di professione. Appunto perché nella formazione umana ci sta di tutto e ogni elemento di questo pasticciaccio può essere visto da angolature diverse e talvolta non assemblabili, i problemi pedagogici sono inquadrabili solo a posteriori, come problemi dell’essere stato e non del dover essere; sono insomma un punto di arrivo, non un traguardo né un percorso tracciato prima di cominciare; se volete, una deriva finale, che prima di essere tale resta priva di proprie chiare connotazioni e ragionevoli prevedibilità che diano consistenza al profilo del pedagogista dotato di un profilo a sé stante. Ma questo è un discorso troppo grosso per affrontarsi così en passant. Di Antonio Labriola nel merito di cui sopra, potrei ― per mio difetto ― aggiungere ben poco di fondato e di ponzato. Non posso però non rilevare alcune caratteristiche del volume (anzi permettetemi di dire del volumone data la sua giustificata mole) una caratteristica comune ad altre opere di Siciliani de Cumis: il suo contenuto non risulta ordinato progressivamente secondo la consueta progressività tematica, bensì scrambled, apparentemente scoordinato, come pezzi di un puzzle, che il lettore è indotto a ricomporre per ricavarne una più organica visione d’insieme, ricavandone così una lettura più partecipata. Già questa è 222 Antonio Santoni Rugiu un’ottima procedura “pedagogica”, invogliando una ricostruzione anche in base alle proprie rappresentazioni, migliorandone così l’acquisizione. Ricostruzione che non si arresta agli scritti e ad aspetti della figura e dell’attività di Labriola ma questi sono intrecciati (sia pure sempre in modo scrambled) con brani di storia dell’antica università «La Sapienza» dove Labriola prevalentemente insegnò, la quale deve i suoi lontani natali all’alba del XIV sec. nientepopodimeno che a papa Bonifacio VIII dei principi Caetani. Mi hanno anche colpito i primi due versetti (si chiamano così? mi pare di no, ma non ne ricordo il vero nome) in apertura al volume, presi dallo stesso Labriola: «E facendo la propria educazione, Socrate era diventato educatore». E Siciliani de Cumis, spiegando la «filosofia del catalogo» parla in proposito del «curioso fenomeno di Socrate che educa educandosi» e «mediante l’analisi della propria incertezza produce per sé e per gli altri il criterio della convinzione» (p. 73). Nello stesso senso Labriola, chiamando gli studenti «cooperatori» e giovandosi dell’incontro e dello scambio con gli operai ai quali spiegava i diritti e i doveri, da lui apprezzati perché erano «uomini e non professori soltanto» come invece i colleghi universitari «del nostro mondo fittizio di scienza burocratica». Si può escludere in questo importante passaggio un riecheggiamento non tanto di Herbart (che aveva fama di “poco democratico” per essersi come docente umilmente sottomesso alla censura del principe) quanto di Marx, precisamente del suo “l’uomo fa l’uomo, fa se stesso e l’altro uomo”? E c’è da star certi che quando Labriola andava a incontrare gli operai non lo faceva per mettersi a posto la sua coscienza di neo approdato al materialismo storico, ma proprio per arricchire se stesso in quel bagno di «schietta umanità». Per lui era insegnare apprendendo e viceversa (non si potrebbe forse azzardare in questo un’anticipazione dei gentiliani, dello “scambio di anime” di Lombardo Radice?). Ho poi letto con grande piacere l’accostamento di Labriola con Denis Diderot. Ho sempre lamentato, e questa lamentela mi si rinfresca ogni volta che mi capita fra le mani un manuale di filosofia per la scuola che tace quasi del tutto di figure così significative come Diderot, soprattutto attraverso le quali (basterebbe a testimoniarlo il gigantesco lavoro pedagogico dell’Enciclopédie) si può intendere la rivoluzione copernicana del L’attenta analisi dell’Ispettore Antonio Labriola 223 Settecento in materia di modelli formativi, più e meglio di quanto possano far intendere figure come d’Holbach, Helvétius e compagnia, perfino ― con tutto il rispetto dovuto al grande pensatore ― le dispense di pedagogia attribuite al Kant. Un altro contributo che mi è parso quanto mai idoneo a tratteggiare la personalità di Antonio Labriola è la documentazione riportata su di lui ispettore di scuole normali e convitti annessi. Ne conoscevo già il testo, prima ancora che apparisse nel volume curato da Carmela Covato e Anna Maria Sorge (L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana, pubblicato nel 1994 dagli archivi di Stato e dal ministero dei Beni Culturali) perché Siciliani de Cumis mi aveva usato la cortesia di farmi conoscere qualcuna di quella relazioni labrioliane alla Minerva. La disillusione che Labriola visse in quelle visite d’ispezione («Sono tre settimane che giro per ispezionare queste Scuole Normali. È un vero obbrobrio!», p. 515) non raffreddò il suo zelo. In parecchie alcune scuole normali visitate, come quella di Ancona, considerata fra le migliori o fra le meno peggio, saltavano all’occhio vistosi difetti didattici, tanto più gravi in una scuola che avrebbe dovuto formare i nuovi insegnanti della scuola del popolo, come le «carte geografiche poche, vecchie mal collocate. Scarsi gli strumenti per lo studio della fisica, scarsissime e sconnesse le collezioni per lo studio della storia naturale. Pochi, pochi per davvero i mezzi per l’insegnamento intuitivo e per le esercitazioni di scuola modello». Altro che modello. Se questa era una delle situazioni migliori sul piano nazionale, figuriamoci altrove. Altri uomini insigni sono stati ricordati come autori di relazioni ispettive nelle scuole pubbliche, come Pasquale Villari, Carlo Tenca, Giovanni Marchesini e altri, ma nessuno come Labriola, malgrado ciò che vedeva l’avesse potuto spingere a concludere sommariamente “È tutto uno schifo” o quasi, non tradisce mai il suo mandato. Al contrario, Labriola ispettore è sempre puntuale e scrupolosissimo, a volte quasi minuzioso nel riferire tutti i dettagli meglio e più di un burocrate malgrado tutto, nel dialettizzare per ritrovare qualcosa di positivo o almeno promettente un miglioramento. Anche di fronte al più vistoso «obbrobrio» Labriola continuava imperterrito a notare meticolosamente il poco bianco e il molto nero, il raro buono e il più comune cattivo osservabili in ogni aspetto, anche in aspetti che molti altri al suo posto avrebbero considerato irrilevanti o comun- 224 Antonio Santoni Rugiu que non degni di un rapporto a S.E. il ministro della Minerva. Nel volume (pp. 527–528) sono indicate quasi ottanta voci che Labriola aveva tenuto presenti per i suoi attentissimi rilevamenti ispettivi, persino una valutazione della qualità della magra «nutrizione delle convittrici» in rapporto alla retta che pagavano e cui doveva sottrarsi la spesa del vettovagliamento gratuito per le cinque persone di servizio, per l’illuminazione dell’edificio convittuale, per il bucato e per la manutenzione corrente e altre minutaglie. Altrettanta cura per l’idoneità edilizia (quasi sempre cattiva se non pessima), per la non areazione e l’insalubrità delle aule e dei dormitori, per la luminosità dei corridoi e delle scale, e via dicendo. Labriola non trascurava neppure il problema degli svenimenti delle allieve, causati da non meglio specificate «loro private indisposizioni» (p. 539), mancamenti non si sa quanto autentici o quanto simulati per sfuggire a un’interrogazione o a una punizione, sotterfugi mal visti da Labriola che richiamava sempre alla severità e al rigore necessari in ogni esperienza formativa. Forse tanta precisione, che qualcuno a torto potrebbe definire pignola, chissà non fosse un’applicazione del fermo convincimento labrioliano che «le idee non cascano mai dal cielo» ma le cui scaturigini vanno sempre in qualche modo cercate nella realtà, la quale è composta anche da minuzie apparentemente insignificanti ma che poi, chissà mai, afferrano le redini del carro della storia. Insomma, bisogna sempre partire dall’analisi attenta del fenomeno osservabile, piccolo o grande che sia, costi quel che costi. Ho ripensato a questo leggendo le lettere, riportate sempre nello stesso volume, che la vedova Rosalia von Sprenger scriveva alle pubbliche istituzioni per sollecitare una pensione particolare per decesso avvenuto a causa di un logorìo dell’«organo pedagogico» ovvero delle vie vocali messe a dura prova dal tanto parlare di una straordinaria dedizione didattica e para–didattica: dovendosi dividere ― specificava la vedova ― negli insegnamenti di Filosofia della storia, di Pedagogia, di Filosofia e di un’altra Filosofia nei corsi di “magistero” per studenti di Lettere e di Scienze che ambivano a divenire professori secondari, per complessive 11 ore settimanali, senza tenere conto poi delle esercitazioni e dei numerosissimi colloqui con gli studenti, delle tesine e delle tesi, nonché e di altri numerosi impegni derivanti dal suo status e ruolo di professor ordinario inteso nel modo più impe- L’attenta analisi dell’Ispettore Antonio Labriola 225 gnativo, senza parlare di tutti gli altri doveri extraccademici, compresa la direzione del Museo pedagogico. La signora von Spenger scriveva sottolineando che suo marito era sempre stato «diligentissimo nel compiere il suo dovere» di professore (p. 588). Dopo aver letto le sue relazioni ispettive, le si può credere alla lettera. Chissà se poi la pensione privilegiata le sarà giunta, ma questo è in proposito irrilevante. Una delle caratteristiche, forse dei meriti, di Labriola è di non aver lasciato labriolisti. Il suo insegnamento, in senso lato, era fatto soprattutto della viva voce, del comunicare anche e forse soprattutto con la gestualità, con lo sguardo, tutte cose prossemiche inseparabili del fascino della presenza fisica e anche poco o nulla imitabili. Mirava non tanto a formare giovani che proseguissero il suo discorso, ma piuttosto dotati dell’apertura mentale, del desiderio del nuovo e della fiducia nell’educabilità dell’uomo pensante senza pretendere preventivi atti di fede dottrinaria e/o politica. Una formazione che non lascia tracce evidenti ma che sottotraccia opera parecchio. Al fascino di una persona che non c’è più, può sostituirsi il fascino degli scritti che questa persona ha eventualmente lasciato. Ma Labriola non è stato un autore fecondo di volumi, manuali e roba del genere. Di lui non si può dire che ha scritto più di quella che ha pensato. Per leggerlo, bisogna cercarlo prevalentemente nelle raccolte di sue conferenze o comunicazioni occasionali e comunque asistematiche o nella sua verbalistica, diciamo (fra cui le relazioni ispettive), o nella corrispondenza. Per di più Labriola è difficilmente catalogabile: dire che è stato hegeliano e poi herbartiano e quindi marxista è senza alcun dubbio vero, ma non basta, perché in questi e in altri casi le sue acquisizioni passavano sempre attraverso un filtro critico e rielaborativo di marca Labriola. Si aggiunga poi la poliedricità dei suoi interessi. D’altronde non era affatto un animale accademico, né uno di quei baroni che si adoperavano a formarsi una corte fissa di seguaci, magari plaudente e servizievole. Anzi disprezzava, come la «sana filosofia», le nuove nidiate di animali accademici. A lui interessavano soprattutto gli uomini veri, come i lavoratori del braccio, e questi erano più facilmente fuori che dentro l’università. Infine una curiosità extravagante cui ― forse a causa di una mia lettura non attentissima ― non ho trovato cenno di risposta nel volume: Labriola era appassionato di teatro? Io direi di sì. Almeno mi è sempre 226 Antonio Santoni Rugiu piaciuto pensarlo così, credo non del tutto arbitrariamente: uno che porta in scena se stesso e non per esibizionismo, non per cercare l’applauso ma per persuadere, per interagire con il pubblico, un uomo che anche fisicamente è sempre in movimento («omnimoventesi») e che non monologa ma dialoga, non sentenzia ma discute, si rappresenta il male mai scisso del tutto dal bene (neppure nello “obbrobrio” delle scuole normali ispezionate) non può, secondo me, non sentire come congeniale la rappresentazione drammatica. Se il cinema fosse stato ai suoi tempi così popolare come diverrà dopo di lui, sono convinto che Labriola avrebbe trovato «schietta umanità» anche nelle sale di cinema muto, con il pianista che strimpellava per sottolineare i momenti di maggiore tensione romantica o drammatica. È suggestiva la proposta di un film su Labriola che Siciliani de Cumis avanza in una lettera a Garin. Proposta quanto mai stuzzicante e intrigante, sebbene l’epoca del reality show odierna temo sia poco disponibile per un film impegnato del genere. Mani esperte e creative potrebbero certo ricavarne un trattamento e una sceneggiatura pregevoli. Lo scoglio sarebbe per il protagonista. Ci vorrebbe un attore del calibro e della versatilità inventiva di Robin Williams, per dire, altrimenti si correrebbe il rischio di ricadere nel cliché del chiarissimo professore ottocentesco. Niente di più inappropriato: Labriola non era un chiarissimo professore qualunque. Antonio Labriola, in prospettiva∗ Alessandro Sanzo Dal 26 al 30 settembre 1887 si svolge a Milano il primo Congresso dei Professori universitari italiani. Il primo e l’ultimo, almeno fino ad oggi. Promosso dal Consiglio direttivo del periodico bolognese «L’Università», il Congresso si presenta, fin dalla sua preparazione, come un momento importante per la vita accademica e culturale italiana. Nelle intenzioni del Comitato organizzatore, l’adunanza ha lo scopo di dar conto all’opinione pubblica dell’operosità didattica dei docenti universitari e di promuovere la riforma dell’insegnamento superiore; essa, inoltre, ha l’ambizione di esprimere l’esigenza di un incontro e di un’unificazione tra i vari rami del sapere, in un clima assolutamente nuovo per l’Italia. Per la complessità degli argomenti da affrontare, la dimensione scientifica e la risonanza internazionale, il Congresso si configura, insomma, come un evento di indubbia rilevanza e di notevole difficoltà. Non deve sorprendere, pertanto, né che esso susciti una massiccia mobilitazione di intellettuali, né che la sua preparazione, prima ancora del suo svolgimento, sia decisamente laboriosa. Se a ciò si aggiungono gli esiti poco prevedibili e la “bocciatura” del Ministro dell’Istruzione Michele Coppino ― che una parte non irrilevante dei partecipanti si rifiuta di eleggere per acclamazione alla presidenza onoraria dell’assise congressuale ― si comprende appieno l’attesa vivissima che precede e accompagna i lavori. Un’attesa ampiamente giustificata, dal momento che in occasione del Congresso si compie, con Antonio Labriola in un ruolo da protagonista, anche un provvisorio bilancio delle condizioni della ricerca scientifica nel nostro paese e della sua organizzazione nell’Università, nonché una ricognizione e una verifica del rapporto esistente tra la filosofia, le scienze e i possibili campi di attività professionali. Bilancio, ricognizione e verifica che prendono le mosse dalla proposta labrioliana di conferire «la laurea in filosofia […] agli studenti di qualunque Facoltà, compresa la ∗ In corso di stampa su «I problemi della pedagogia». 228 Alessandro Sanzo letteraria, i quali, frequentato che abbiano entro il quadriennio di obbligo certi corsi filosofici da determinare, si espongano a sostenere una tesi scritta di argomento generale quanto all’obiettivo ed al metodo, ma fondata sempre sopra una determinata cultura speciale». Avanzata dal filosofo e pedagogista cassinate con una lettera a «La Tribuna» nel luglio 1887, tale proposta viene variamente discussa da un nutrito gruppo di professori universitari e di uomini di cultura, prima sulla stampa, quindi durante i lavori del Congresso. Commentata, criticata, modificata, fatta propria, integrata, respinta (in tutto o in parte) e, infine, approvata, seppure nella formulazione conciliatoria e compromissoria del Bonghi, la proposta è comunque al centro di un vivace e stimolante confronto di idee e di posizioni (filosofiche, accademiche, culturali e politiche), al quale prendono parte, solo per fare qualche nome, studiosi e intellettuali come Alberto Alberti, Andrea Angiulli, Giacomo Barzellotti, Ruggero Bonghi, Saverio De Dominicis, Pasquale D’Ercole, Luigi Ferri, Nicola Fornelli, Baldassarre Labanca, Angelo Majorana, Pietro Merlo ed Enrico Morselli. Un dibattito che si rivela teoreticamente e culturalmente fecondo nella misura in cui non viene inteso, né da Labriola né dai suoi interlocutori (ivi compresi gli insegnanti di liceo, i laureati e i laureandi), come un dialogo tra sordi. È solo a queste condizioni, infatti, che i suggerimenti, i consigli e le critiche ricevuti da Labriola possono realmente contribuire ad una più matura rielaborazione e rimessa in discussione della “proposta iniziale” sulle lauree in filosofia e, insieme, alla formazione delle idee universitarie e delle dottrine politiche e sociali del cassinate. In tal senso, quando nella Relazione al Congresso Labriola affermerà essere le sue proposte il risultato anche dei suggerimenti e dei consigli fin lì ricevuti ― ed esse, dunque, oltre che sue, «sono un po’ di tutti gli egregi colleghi» che hanno ritenuto opportuno di intervenire sul tema, privatamente o pubblicamente ― non sarà affatto per captatio benevolentiae. Prova ne siano, tra le altre cose, il consenso che la sua proposta ― accortamente espressa con la “mozione Bonghi”, nella quale, al fine di farne passare quanto meno le linee fondamentali, si accantonano i modi e i nodi problematici della sua attuazione ― riceverà, prima dalla Sezione filosofica e letteraria e poi, a grande maggioranza, dall’Assemblea generale del Congresso. Antonio Labriola, in prospettiva 229 I termini della questione, per quanto concerne sia il tema delle lauree in filosofia sia il dibattito che esso suscita, nelle loro molteplici connotazioni e implicazioni (filosofiche, culturali, scientifiche, accademiche e politiche), sono stati egregiamente ricostruiti e analizzati, ormai trent’anni addietro, da Nicola Siciliani de Cumis nel volume Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902 (Urbino, Argalia, 1975); lavoro che ora viene opportunamente e meritoriamente riproposto al lettore dalla casa editrice UTET nella collana “Teorie dell’educazione”. L’opera, in effetti, da tempo non più disponibile in libreria, nonostante gli ormai tre decenni di vita, ha mantenuto integre tanto la rilevanza scientifica quanto la fecondità delle prospettive di ricerca. Rispetto alla precedente, questa nuova edizione di Filosofia e università presenta solo qualche integrazione, modifica e aggiornamento bibliografico. Poche, dunque, le variazioni di forma. Significative, invece, la redazione di un ricco e accurato Indice analitico (per il suo valore didattico e, soprattutto, per le stimolanti direzioni di indagine che da esso scaturiscono) e l’ampliamento dell’Appendice, con l’aggiunta di alcune significative lettere di Labriola, a testimonianza dell’importanza che il cassinate attribuisce alle sue iniziative per il Congresso. Si tratta, in ogni caso, di cambiamenti marginali; il che si spiega ― afferma Siciliani de Cumis nella Premessa alla seconda edizione ― alla luce della persistente validità e attualità dei motivi che giustificavano la prima edizione dell’opera. Ovvero, di «presentare ― nel quadro di uno studio sistematico della complessiva formazione intellettuale e politica di Antonio Labriola ― un’esauriente esposizione delle proposte del cassinate sulle “lauree in filosofia”, e quindi delle ragioni, senz’altro, della filosofia, nell’ambito dell’intrapreso vivacissimo dibattito sull’Università, nell’Italia del “positivismo trionfante”» (p. VII); di «circoscrivere, attorno al Labriola ed agli altri testimoni delle sue ipotesi filosofiche ed universitarie, un dinamico campo di interferenze ideologiche, un moto di molteplici influssi, di fruttuose coincidenze d’opinioni, e d’intrecci, tra le varie tendenze dominanti nel clima della cultura post– risorgimentale» (p. VII); e, infine, di offrire «una pressoché inedita cronaca della filosofia italiana, nell’arco di un ventennio, dal 1882 al 1902» (p. VIII). Ragioni alle quali sono da aggiungersi, oggi, i «motivi d’occasione» delle celebrazioni per il centenario della morte di Labriola (1904–2004) e il fat- 230 Alessandro Sanzo to che il volume, ancor più che trent’anni fa, appare «adatto ad interloquire variamente, nel quadro delle discussioni in corso sull’insegnamento della filosofia e sulla riforma dell’università» (p. XVII). Nello specifico, l’opera si articola in tre parti. La prima comprende la lettera di Labriola alla «Tribuna» e una scelta degli interventi di alcuni tra coloro che, prima di Labriola, hanno affrontato il tema “filosofia e università” (Ardigò, Sergi, Ragnisco e Cremona). Nella seconda parte vengono invece proposti al lettore otto interventi (di Majorana, Alberti, Angiulli, Tanzi, Barzellotti, Salvadori, Macry–Correale e De Dominicis) relativi alla lettera di Labriola e all’adunanza dei professori universitari. Nella terza parte, infine, vengono raggruppati: a) la Relazione di Labriola per il Congresso; b) quanto, intorno alla proposta labrioliana sulle “lauree in filosofia”, all’epoca fu dato alle stampe dei verbali relativi ai lavori della Sezione di filosofia e lettere ed a quelli dell’Assemblea generale; c) alcuni interventi (di Morselli, Ferri, De Meis, Fornelli e Vailati), successivi al Congresso, che si ricollegano alle proposte labrioliane e ai lavori congressuali. Le tre parti, al pari dell’Appendice, sono precedute da puntuali Note introduttive, nelle quali, oltre che nella corposa Introduzione generale al volume, Siciliani de Cumis ricostruisce e analizza sia lo specifico e la fortuna della proposta labrioliana sia il dibattito che essa suscita, soffermandosi, ampiamente e giustamente, sulla loro rilevanza culturale, filosofica e accademica. In questo lavoro di ricostruzione e analisi l’autore si avvale, per una condivisibile opzione di carattere metodologico, ancor prima che per una necessità (considerato il carattere di pubblicità del dibattito), principalmente di materiali attinti da quotidiani e periodici; una scelta che richiama alla mente, anzitutto, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri della Bertoni Jovine e, soprattutto, la straordinaria lezione del Garin delle Cronache di filosofia italiana. La raccolta di testimonianze su Labriola e sulla sua proposta per il congresso milanese ― ristampate dal Siciliani de Cumis secondo l’ordine cronologico della loro pubblicazione ― si propone di restituire, come si è detto, «almeno, la fisionomia del dibattito fiorito attorno al promotore della laurea in filosofia, ad opera di una schiera compatta di pensatori e scienziati» (p. LXXIV). Antonio Labriola, in prospettiva 231 Ma per quale motivo, verrebbe da chiedersi, la proposta di “liberalizzare” le lauree in filosofia suscita all’epoca tanto interesse? Per quale motivo arriva a riscuotere una così grande attenzione ― prima, durante e dopo l’adunanza congressuale ― oltre che degli addetti ai lavori, anche degli osservatori, dei giornalisti e dunque, presumibilmente, di non poca parte della classe dirigente italiana? Fino al punto che il congresso risulta essere stato, soprattutto, il “Congresso delle lauree in filosofia”. E ciò nonostante che le altre proposte ― scrive Siciliani de Cumis ― non siano «meno importanti», né siano «scarse o poco significative le altre tesi in discussione» (p. LIX). A cosa è dovuto, dunque, il fatto che la questione delle lauree in filosofia finisce con l’assorbire «più d’uno degli altri argomenti del Congresso» (p. LXI)? A cosa è dovuto, in altri termini, il “successo” di Labriola e della sua proposta? Esso è dovuto ad una serie di ragioni, ugualmente importanti. Anzitutto ― spiega Garin nella Prefazione all’opera qui recensita ― la proposta labrioliana, in quanto risulta essere il punto d’arrivo di una riflessione «sul rapporto fra le varie discipline e fra le varie Facoltà», coinvolge, «ad un tempo, i problemi generali della filosofia e i temi specifici dell’organizzazione dell’insegnamento superiore» (p. IX), ovverosia, «il problema dell’Università italiana e della sua riforma: che cosa fosse, e quale dovesse essere» (p. XII). Dal dibattito suscitato e alimentato da Labriola nel 1887 emergono, inoltre, come afferma ancora Garin, due «questioni capitali». La prima, riguardante «il significato e il compito della filosofia nella problematica moderna, e cioè nei suoi rapporti con le singole scienze» (p. IX); la seconda, concernente non solo la struttura e l’ordinamento dell’Università italiana ma il nesso fra le discipline filosofiche e le scienze naturali, matematiche e “umane”. Il che significa, di fatto, «mettere in discussione, attraverso l’ordinamento universitario, tutta una secolare tradizione di cultura, che in Italia è venuta saldando filosofia e filologia, assegnando a questa una posizione privilegiata per l’accesso alla filosofia, e predeterminando come unica valida una concezione “retorica” del filosofare» (pp. IX–X). Il che significa e implica, ancora, una risoluta condanna della filosofia vista come «scienza sacerdotale» ed una fermissima «volontà di spezzare, sul piano istituzionale, il vincolo antico degli studi filosofici con le “lettere”» (p. X). In che misura ciò si leghi con il dialogo intrapreso 232 Alessandro Sanzo da Labriola con la filosofia “scientifica”, “positiva” (non positivista), è di per sé evidente. Non deve sfuggire, infine, esorta Garin, il «carattere fondamentale, da un punto di vista teorico», della questione affrontata da Labriola: quello che il filosofo cassinate imposta, infatti, è il «problema stesso della filosofia […] e del suo rapporto con le scienze singole» (p. X). Al tempo stesso, è la questione dell’università che egli affronta, della sua funzione nella “moderna” società, del suo valore e dei metodi di insegnamento. Non è certo un caso, da questo punto di vista, che i due problemi, quello teorico e quello pratico–organizzativo, agli occhi di Labriola si colleghino indissolubilmente. Sul significato e sulla rilevanza della proposta labrioliana, nelle sue notevoli implicazioni, immediatamente accademiche, certo, ma evidentemente e organicamente filosofiche, culturali e politiche, e dunque educative, si sofferma anche Siciliani de Cumis nell’Introduzione a Filosofia e università. La proposta di una laurea in filosofia conseguibile, a determinate condizioni, da tutti gli studenti universitari ― egli afferma ― comporta, di necessità, «una filosofia aperta alla virtuale filosoficità del non– filosofico» (p. XVII) e, dunque, il rifiuto di ogni “filosofia monistica” e del suo assunto della riduzione ad assoluta unità di ogni materia conoscibile e di ogni metodo di conoscenza. Tale rifiuto comporta, ancora, la critica dello specialismo arido e miope e la necessaria verifica di ogni indagine sulla base di un’esigenza metodologica superiore. Beninteso, sempre e comunque, liberi da ogni “metafisica”, non ultimo da quella positivista, e da qualsivoglia scolastica o sistema–prigione, hegeliani o herbartiani che siano; per quanto, a ben vedere, hegeliano ed herbartiano, per il tramite dello Spaventa, Labriola non smise mai di esserlo. A modo suo: criticamente e autocriticamente. Si spiega anche in quest’ottica la proposta di una laurea in filosofia che, «mantenendo vivo il senso dell’unità dei processi […] fosse al tempo stesso buona ad esaltare il senso della differenza» (p. XVIII). Una proposta che, lo si è già detto, si inserisce e si comprende, interamente, nel quadro di una “moderna” riflessione sul significato e sui compiti della filosofia nelle relazioni con le singole scienze e di «un’azione volta a intervenire criticamente nella dimensione tradizionale dei rapporti tra le Antonio Labriola, in prospettiva 233 “due culture”; e dunque, in modo fortemente innovativo, nelle strutture concettuali e pratico–operative consolidate» (p. XVIII). Con la conseguenza «che il cambiamento, se ci fosse stato, non avrebbe potuto non riguardare al tempo stesso i fondamenti del pensiero e le fondamenta dell’istituzione universitaria e, di conseguenza, i modi di intendere la società e i suoi valori, l’educazione e i suoi strumenti, i contenuti e i metodi di insegnamento, la definizione e l’organizzazione della cultura» (p. XVIII). La portata di tale proposta, dunque, va ben al di là della dimensione filosofica e di quella accademica; per quanto, chiaramente, sono la filosofia e l’università ad essere al centro delle lauree in filosofia. Il tentativo di operare nella prospettiva di un radicale rinnovamento dell’istruzione superiore, la spinta a riflettere, imparzialmente ma criticamente, nella concezione dei problemi e nella loro soluzione, le tendenze più generali del pensiero e della cultura “moderni” e, infine, l’intento di combattere, in questo sforzo di adesione alla realtà, il volgare tradizionalismo e il gretto specialismo coinvolgono, infatti, anche nel 1887, sia la dimensione culturale che quella politica. L’ipotesi di un superamento, quantunque in nome della filosofia, della distinzione tra l’ordine di studi cosiddetto “umanistico” e quello “scientifico”, di un intervento volto a liberare la filosofia dall’abbraccio ormai mortale con la filologia non è, in altri termini, questione meramente “accademica” o cosa da “tecnici”, non ultimo per le sue ricadute sociali e politiche. Alla pubblica presentazione e discussione della proposta labrioliana concorrono, infatti, come spiega Siciliani de Cumis, elementi di ordine economico, sociale, politico, culturale e ideologico; elementi che conducono, finanche, al problema dell’impostazione “classista” della scuola italiana. Dietro lo scontro tra le “scienze” e le “lettere” si nascondono, insomma, ragioni diversissime. A tal punto che ― scrive Dina Bertoni Jovine ― la «difesa del classicismo», anche nella forma della “conservazione” del vincolo gerarchico tra la filologia e la filosofia, «divenne programma dei conservatori, mentre la difesa delle scienze quello dei rivoluzionari», e «non fu più possibile sceverare i motivi schiettamente pedagogici e culturali da quelli politici e sociali» (La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 77). La proposta di “liberalizzare” le lauree in filosofia, per quanto coinvolga il tema della libertà della scienza e del suo insegnamento, non si 234 Alessandro Sanzo restringe, insomma, al campo specificamente universitario. Il problema, per Labriola, oltre che filosofico e accademico è di natura culturale, politica e, dunque, pedagogica. In che misura ciò sia vero, tanto per il filosofo cassinate quanto per i suoi interlocutori, lo si può ben comprendere prendendo in esame: uno scritto pubblicato dal “radicale” Salvatore Barzilai su «La Tribuna» (a ridosso e a commento dell’adunanza milanese), uno degli interventi di Ruggero Bonghi durante i lavori congressuali e, infine, un passo della Relazione di Labriola al Congresso. Nell’articolo Professori a congresso ― ampiamente ripreso da Siciliani de Cumis ― Salvatore Barzilai difende le argomentazioni di Labriola, in specie per le loro implicazioni culturali e politiche, sottolineando, non a caso, il valore che questi attribuisce alla filosofia: non più «scienza sacerdotale», ma nutrimento per «tutti i lavoratori dell’umano consorzio» (p. LXXII); scienza «buona per chi insegna il diritto», «per chi indaga l’origine delle lingue», «per chi cura le malattie dello stomaco», «per chi studia le rivoluzioni degli astri o quelle dei popoli» e, significativamente, «per coloro che fanno le scarpe» (p. LXXIII). E diresti, labriolianamente (e, mutatis mutandis, gramscianamente), buona per i tipografi, per i maestri elementari, per gli operai e le sartine. Il 27 settembre 1887, nel primo dei suoi contributi ai lavori della Sezione di filosofia e lettere ― come si può leggere negli “Atti e documenti” del Congresso, ristampati in Filosofia e università ―, Ruggero Bonghi, dopo aver riconosciuto «che il concetto della proposta» labrioliana è «buono» e «giusto» e dopo aver parlato «brevemente degli intimi indissolubili rapporti della filosofia con le scienze naturali e […] sociali», ritiene «esservi molta difficoltà nel passaggio da questo concetto scientifico alla sua attuazione didattica» (p. 112). A suo avviso, infatti, affinché tale concetto «possa essere pienamente attuato», sarebbe necessario «anche un migliore ambiente di coltura nella società» (pp. 112–113). Da ultimo, per quanto concerne lo stesso Labriola, non è un caso se egli nella Relazione al Congresso ringrazi, «soprattutto», il suo «carissimo amico prof. G. Barzellotti», al quale è «grato assai dell’aver egli toccato dei più gravi problemi della cultura nazionale, a proposito di una questione, che ai più può parere di solo interesse didattico, anzi scolastico» (pp. 105–106). Antonio Labriola, in prospettiva 235 Proprio il professor Giacomo Barzellotti, che da lì a poco comincerà a smaniare e a brigare per essere trasferito dall’Università di Napoli a quella di Roma, ci conduce a parlare di quello che appare come uno dei maggiori pregi di Filosofia e università: la rilevanza e la fecondità delle prospettive di ricerca che il volume indica. Il lavoro di Siciliani de Cumis, infatti, ancora oggi (nel settembre 2005), si rivela uno strumento essenziale per chi volesse studiare la vita universitaria del professor Labriola e, in particolare, le posizioni e le iniziative accademiche, filosofiche, culturali e politiche che egli assunse negli organismi collegiali della «Sapienza» e nei concorsi universitari in cui fu “commissario”. Ad esempio, per restare al Barzellotti, ci si chiede per quale complesso di ragioni, agli inizi degli anni Novanta, Labriola si opponga risolutamente e ripetutamente al suo trasferimento nell’università romana. È mai possibile che Labriola, che fino all’altro ieri dialogava con la filosofia “scientifica” e “positiva”, adesso ― per dirla con il Morselli ― si sia arruolato nella schiera dei «filosofi di professione o di cattedra» (p. 120) e si metta a combattere accademicamente la possente avanzata del “positivista” Barzellotti? Il suo atteggiamento non dipende, piuttosto, come spesso accade con Labriola, da un giudizio di valore sull’uomo e sulla sua produzione scientifica, che trascende l’appartenenza a qualsivoglia scuola o corrente? E ancora: quanto rimane da dire, anche alla luce delle lauree in filosofia, sul fallito tentativo intrapreso da Labriola nel 1884 di svolgere (per gli studenti della Facoltà giuridica, oltre che per quelli della Facoltà di filosofia e lettere) un corso libero di Filosofia del diritto? Sicuramente non poco. Le lauree in filosofia, per quanto concerne sia il merito della proposta, sia i termini del dibattito che essa innesca, hanno dunque un posto tutt’altro che secondario nella vita accademica di Labriola; capitolo, in larga parte, ancora da scrivere e, a sua volta, tutt’altro che marginale nell’opera e nella formazione di Labriola. Si pensi, a tal proposito, oltre che alla consapevole e ricercata compresenza nell’elaborazione filosofica e pedagogica del cassinate e nel suo impegno universitario e sociale delle dimensioni filosofica, accademica, culturale e politica, anche a quanto scrive Garin nella Prefazione al volume di Siciliani de Cumis: nella scuola 236 Alessandro Sanzo e nell’insegnamento, anche a livello universitario, «Labriola vide con grande chiarezza uno strumento essenziale per la formazione dell’uomo e la trasformazione della società» (p. IX). Ancora a proposito dei pregi di Filosofia e università va sottolineato, con Garin, il rimarchevole contributo che il lavoro apporta «ad una più esatta interpretazione della vicenda culturale italiana fra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento» (p. XIII). Inoltre, per quanto concerne Labriola, l’opera ha il notevole merito di richiamare l’attenzione degli studiosi labrioliani sul periodo 1877–1887. Un decennio, tutt’altro che irrilevante per quanto riguarda la formazione e l’opera di Labriola, impegnato, fra teoria e prassi: in lavori relativi al regolamento dell’istruzione secondaria e all’ordinamento della scuola popolare (in Italia e all’estero); nell’attività di direzione del Museo di Istruzione e di Educazione di Roma; nell’opera di recensione (una per tutte, quella al volume di Friedrich von Bärenbach [Frigyes Medveczky], Die Sozialwissenschaften. Zur Orientierung in den Sozialwissenschaftlichen Schulen und Systemen der Gegenwart) e nel lavoro di traduzione in italiano (del Philippson, Il secolo di Luigi decimoquarto e dello Stern, Storia della rivoluzione inglese); nella redazione dei Principali monumenti architettonici di tutte le civiltà antiche e moderne (insieme al Langl) e dei Problemi della filosofia della storia; infine, nella ricerca di un impegno etico–politico di tipo nuovo, con il tentativo di candidarsi alle elezioni politiche del 1886 nel secondo collegio di Perugia. Gli anni che vanno dal 1882 al 1887, in particolare, dal punto di vista di una possibile ricostruzione dei tempi e dei modi della formazione filosofica e politica di Labriola, si configurano ― come afferma giustamente Siciliani de Cumis ― come un intenso e fecondo periodo di studio, come una lunga «pausa di riflessione, che potrebbe apparire perfino voluta, nella misura in cui riuscirà poi a convogliare verso un nuovo ordine, lungo un’altra direzione rispetto al passato, tutto il piano degli interessi, degli ideali, delle prospettive sociali ed umane che saranno proprie così del “filosofo” di professione, come del recente militante socialista» (p. XXIV). In altri termini, questi anni risultano essenziali anche per comprendere, geneticamente, la maturazione filosofica e politica del cassinate, e, in primo luogo, il suo approdo al socialismo e al marxismo. Antonio Labriola, in prospettiva 237 Un capitolo, quello relativo agli anni 1877–1887, quanto mai importante e, lo si è detto, ancora in gran parte da scrivere; per la cui redazione ― come per quella di tutti gli altri capitoli della formazione labrioliana, in primo luogo di quello relativo alla vita accademica ― risultano essenziali il competente contributo del maggior numero possibile di studiosi e la fattiva partecipazione di tutte le istituzioni che, consapevolmente o inconsapevolmente, custodiscono documenti e materiali, direttamente o indirettamente, labrioliani. Un’operazione che potrà risultare scientificamente feconda nella misura in cui riuscirà a non “tradire” Labriola, scindendolo, ma vedrà in lui il filosofo, il politico, il pedagogista, il professore universitario, il giornalista, l’organizzatore culturale, il polemista, l’animatore della prima sala del Caffè Aragno, ecc. Ovverosia, se riuscirà a guardarlo a tutto tondo, alla luce di diverse categorie interpretative: l’unitarietà, la molteplicità, l’interdisciplinarità e l’organicità. Parallelamente a quanto avviene con la proposta sulla laurea in filosofia, è insomma necessario «considerare la posizione di Labriola nella sua interezza ed organicità, ma senza perdere mai di vista i diversi livelli della formazione dell’uomo e della trasformazione della società, dell’etico e del teoretico, dell’educativo e dello storiografico, dello scientifico e del politico» (p. XVII). Tornando a Filosofia e università è opportuno fare un’ultima annotazione a proposito dell’attualità (o, forse, dell’inattualità) della proposta labrioliana sulle lauree in filosofia, della riforma del sistema scolastico e universitario italiano e, da ultimo, di alcune delle considerazioni svolte da Enrico Morselli nell’ottobre 1887. Antonio Labriola ― afferma Garin ― mostra, «di fatto», che una riforma universitaria non si può «affrontare con serietà se non con una chiara concezione della scienza, sia nelle discipline specifiche, sia nei loro rapporti e nelle loro articolazioni, nel loro progresso e nella loro funzione» (p. X). Pertanto, se l’università vuole assolvere al compito «di far progredire il sapere, di sviluppare la coscienza critica e di preparare dei “professionisti” capaci» deve «essere sul serio anche l’organo e il luogo della scienza, nella concretezza delle ricerche particolari e nella capacità delle sintesi unificanti» (p. XI). A giudizio di Garin, inoltre, le proposte di Labriola e il dibattito da lui aperto «restano attuali dopo quasi un secolo, proprio perché così in Labriola, come in taluni dei suoi interlocuto- 238 Alessandro Sanzo ri è presente quello che, spesso, tuttora manca: e cioè la consapevolezza che ha senso parlare di una riforma Universitaria solo quando si abbia netta la visione dell’organo del sapere, dei fini della scuola universitaria, della struttura di quella società per la quale si opera» (p. XI). In altri termini, spiega Garin, proprio la «lezione» di Labriola «ci insegna» che «senza una consapevolezza precisa dei fini dell’Università, e della sua funzione nella società, senza una rigorosa veduta teorica della ricerca scientifica, e soprattutto senza una chiara scelta politica, parlare delle riforma dell’Università è tempo perso, e vuota retorica» (p. XIII). Del già citato intervento di Morselli sul Congresso milanese (La laurea in filosofia), una volta superati gli iniziali, indisponenti e ingenuamente ottimistici toni di rivalsa nei confronti dei “filosofi di professione o di cattedra” antipositivisti, risultano interessanti, tra le altre cose, una proposta didattica e una considerazione accademico–scientifica. Fra le proposte avanzate da Morselli a chiusura del suo scritto va infatti segnalata al lettore, per la sua rilevanza e lungimiranza, nonché per la sua vicinanza (se non nel metodo, quanto meno nel merito) alle riflessioni didattico–pedagogiche del Labriola, l’ipotesi di prevedere una serie di «esercizii pratici», «obbligatorii», per gli studenti che intendano conseguire la laurea in filosofia. Tra gli esercizi pratici (3 ore settimanali nei primi due anni di studio e 6 ore settimanali nei restanti due anni) Morselli significativamente indica: «Escursioni geologiche», «Visite e dimostrazioni nei musei archeologici, con speciale riguardo alla preistoria», «Visite ai Musei per illustrazione dei fatti ed avvenimenti della storia antica», «Conferenze per l’avviamento delle ricerche critico–storiche», «Conferenze pedagogiche», «Visite ai Musei per illustrare la storia delle manifestazioni religiose», «Esame comparativo delle opere d’arte» (p. 137). Dell’intervento pubblicato da Morselli sulla «Rivista di Filosofia scientifica» è inoltre interessante una stimolante riflessione, evidentemente e strettamente collegata alla precedente proposta didattica, su “come” e “cosa” avrebbe dovuto essere, nel 1887, la vita accademica, in particolare per quanto concerne il rapporto tra i docenti e gli studenti. All’interno di un ampio raffronto tra le università italiane e quelle tedesche, Morselli afferma che in Germania i «professori» e i «discepoli studiano e lavorano veramente insieme», laddove in Italia, invece, «il compito dei maestri e degli scolari sembra quello di dedicare alla loro convi- Antonio Labriola, in prospettiva 239 venza intellettuale il minor tempo possibile» (p. 139). «La istruzione filosofica ― continua Morselli ― ha dunque bisogno, nelle nostre Università, di farsi moderna, e di rinsanguarsi coll’introduzione di metodi didattici più diretti e immediati». Il che si potrà ottenere «quando tutti, professori e allievi, si daranno […] alla pratica delle discussioni, delle ricerche storico–critiche, dei commentari fatti a viva voce; quando, non più solo per caso fortuito o per indirizzo personale di qualche raro insegnante, la disputa nelle scuole, la indagine paziente nelle biblioteche e negli archivi, la investigazione sperimentale ed obbiettiva nei laboratori e nei musei, la interpretazione analitica delle opere dovute ai pensatori di genio, diverranno abitudine e regola generale, anima e nerbo del nostro insegnamento Universitario filosofico» (p. 139). In conclusione, come sembra indicare anche la già menzionata Appendice, se Siciliani de Cumis dovesse riscrivere oggi, dal principio, Filosofia e università, con molta probabilità farebbe un volume in parte diverso, utilizzando sicuramente e abbondantemente il carteggio labrioliano (cosa che, del resto, nel 1975 gli era impossibile fare). Tuttavia, ciò nulla toglie al fatto che questa nuova edizione di Filosofia e università faccia pensare ad una vecchia bottiglia di buon vino, di ottima annata, finalmente liberata dalla polvere e dalle ragnatele. E, proprio come le bottiglie di vino pregiato, anche il lavoro di Siciliani de Cumis, col passare degli anni… La stele e lo stile di Antonio Labriola∗ Daniela Secondo 1. Introduzione Nihil est quod non expugnet pertinax opera et intenta ac diligens cura. Seneca Il punto di partenza, l’antefatto dell’elaborato, è la lettera che Antonio Labriola scrive nel luglio del 1887 ai giornali […] 2. La lettera: tra Scienza, Università e Filosofia1 Roma, 12 luglio [1887] Ill.mo sig. Direttore nel prossimo settembre si terrà a Milano il primo Congresso Universitario. Buona l’idea per ravvicinare tanti professori che non si vedon mai; ottima poi per mettere in chiaro, se gl’insegnanti superiori abbiano idee precise e decise su le questioni, che due diversi e opposti disegni di legge, votato l’uno dalla Camera e l’altro dal Senato, miravano ultimamente a risolvere. Il Comitato di Bologna, che per la sua felice iniziativa merita le lodi ed i ringraziamenti di tutti i professori d’Italia, nel dar fuori il programma preliminare ∗ Si tratta di una parte dell’elaborato scritto per l’esame di Pedagogia generale I (Laurea triennale, anno accademico 2004–2005). Il testo, pur nella sua frammentarietà e semplicità iniziale, restituisce i tratti di un campo d’indagini su Labriola, in via di ipotesi nuovo. Ai fini dell’accreditamento dell’esame, la prova della studentessa si è prolungata in colloqui orali e ricerche in archivio, in particolare sul Labriola ispettore didattico (1885), in rapporto al Labriola docente universitario e filosofo della storia. 1 Pubblicata in N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, prefazione di E. Garin, Torino, UTET Libreria, 2005, pp. 19–21. 242 Daniela Secondo dell’adunanza, ha già pubblicata una lista di temi, che a me paiono assai pratici nella sostanza e nella forma. Fra questi temi ve n’è uno proposto da me, ed accolto dal Comitato promotore. Mi permette di chiarirlo un po’? perché, trattandosi di cosa che concerne l’economia generale delle facoltà universitarie, mi preme di richiamarvi su per tempo l’attenzione di tutti i colleghi cui stia a cuore il vero e sicuro progresso della cultura nazionale. Nelle nostre Università si dà presentemente la laurea in filosofia a tutti gli studenti di lettere, che, dispensati dal corso di archeologia frequentino per un anno i corsi di etica e di pedagogica. Secondo il concetto della nostra legge, in somma, non c’è che una sola via per diventar filosofi; quella cioè degli studi filologici, salvo il meno dell’archeologia e il più dell’etica. Ma, facendo così, speriamo noi con fondamento, che la filosofia cessi ormai dall’essere mera scolastica od una opinione letteraria? e dov’è il positivismo del quale tanti si dichiarano aderenti? e quando si arriverà all’indirizzo reale e razionale, che molti, con espressione a me poco gradita, ma vera nel fondo, chiamano filosofia scientifica? Io credo fermamente, che nel giro degli studi universitarii, la filosofia abbia ad essere, non un complemento obbligatorio della storia e della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica, o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori. Io per ciò propongo, che la laurea in filosofia si conferisca agli studenti di qualunque Facoltà, compresa la letteraria, i quali, frequentato che abbiano entro il quadriennio di obbligo certi corsi filosofici da determinare, si espongano a sostenere una tesi scritta di argomento generale quanto all’obbiettivo ed al metodo, ma fondata sempre sopra una determinata cultura speciale. Delle modalità discorrerò e discuterò poi a Milano. Questa mia proposta per la sua novità tornerà un po’ ostica alla prima. Perciò io prego caldamente i miei colleghi di pensarci un pò su: e la raccomando poi in modo speciale ai professori Sergi e Cremona. Il primo scrisse qualcosa in proposito ultimamente, e per altre ragioni venne alle medesime conclusioni. Al Cremona poi dico: non le pare che questa sia la via per giungere speditamente ad alcuni dei resultati da lei vagheggiati con la istituzione della grande Facoltà Filosofica? Grazie e mi creda Suo Dev.mo A. Labriola La stele e lo stile di Antonio Labriola 243 2.1. Reazioni alla lettera La lettera, che Antonio Labriola fece pubblicare sul giornale la «Tribuna» nel 1887, risultò da stimolo per un ampio dibattito nell’ambiente non solo universitario, ma di intellettuali in genere. Riporterò di seguito alcune testimonianze di coloro che hanno preso a cuore le argomentazioni del grande pensatore e educatore cassinate, mettendo soprattutto in rilievo le posizioni che sono legate più strettamente agli intendimenti del prof. Labriola. Questo che segue è l’estratto del fine giudizio di Angelo Majorana, giovane professore dell’Università di Cagliari, che apparve sul «Diritto» e fu ripreso da «L’Università»: Non esito a dichiarare che, a mio giudizio, la proposta dell’esimio professore è sotto ogni riguardo accettabile […]. Dicono molti, paghi della loro ignoranza, che oggi la filosofia, quest’odioso ferravecchio, è morta. Fortunatamente il loro è nulla più che un desiderio: è caduta, forse, la metafisica, ma non la filosofia. Se noi questa intendiamo come dobbiamo, cioè come quel metodo di indagine che non si acquieta alla cognizione esteriore dei fatti, ma ne ricerca le cause, e possibilmente le leggi, vedremo oggi molti giuristi, economisti, storici, i così detti sociologi, biologi, antropologi e via dicendo, altro non sono che filosofi […]. Intesa debitamente, la filosofia non è tanto scienza determinata, quanto metodo scientifico universale. Coll’aiuto filosofico, cioè colla ricerca approssimativa dei principi causali; o per lo meno colla diligente indagine delle leggi di sviluppo e dei rapporti reali e necessari delle cose; con un savio abito della mente ad astrarre dalle note comuni, così da potere convenientemente generalizzare; e, d’altro canto, con l’abitudine di risolvere i fenomeni, analizzandoli nei loro elementi costitutivi: potrebbesi veramente sollevare lo studio delle scienze […]. Non credo di esagerare affermando che una delle cause, se non dell’abbassamento, certo del traviamento degli studii scientifici in Italia, sia appunto il difetto di una partecipazione filosofica nei giovani. Questo difetto è assoluto nei cultori di scienze matematiche, naturali e mediche; di cui non tutti hanno quella stessa irrisoria istruzione filosofica che si dà nel Liceo […]. Questa generale coltura filosofica — ed in ciò sono perfettamente d’accordo col professor Labriola — dovrebbe essere disposta in modo da permettere, a 244 Daniela Secondo chiunque coltivi qualsiasi ordine di studii universitari, di accedervi. Dico permettere, non imporre […]2. Sempre su «L’Università» nel 1887, è riportato il pensiero di Alberto Alberti; anche il suo è un apprezzamento dell’opera del Labriola […]: Questa idea del professor Labriola parmi una fra le più felici che da lungo tempo si sono enunciate per migliorare le condizioni, o meglio i risultati dello insegnamento superiore, e credo farà bene se si svolgerà intorno a questa proposta una discussione, per togliere gli ostacoli che non mancheranno di opporsi al compimento di una istituzione i di cui risultati saranno, senza dubbio, efficacissimi nel progresso del pensiero in Italia […]. Come studiano i giovani? Nello studiare le scienze, in questo viaggio a traverso lo scibile, essi fanno, (mi diceva uno dei più sapienti senatori del Regno) essi fanno come i nostri emigranti contadini che fanno un viaggio fino in America, ma che delle terre, dei popoli, dei costumi in mezzo a cui vivono, conoscono solo l’jugero di terra in cui han seminato ed arato […]. Non vogliamo enciclopedisti — si è gridato a lungo — non vogliamo volumi di compilazione — Ci occorrono opuscoli, note di una pagina magari, ma che ci diano qualche cosa di nuovo — Specializziamo i giovani. La scienza è così vasta che non si abbraccia più. Bisogna limitare il campo. Assennate parole — che per scegliere e limitare un campo di studio occorre aver già larghe vedute. Bisogna sapere, e saper bene, già molto — tanto quanto basta per tutto abbracciare dall’alto e vedere quale è il punto ove, ancora, è più abbondante la messe. E poi le scienze sono tutte così largamente allacciate che è impossibile rilevare il meccanismo che governa alcuna questione se non si conosce il meccanismo di tutte le altre — Imperocché noi possiamo considerare le scienze e, in generale tutti gli studii umani, come angoli in cui, per quanto col volgere del tempo e delle scoperte si van divergendo i lati, i vertici sono però tutti convergenti ad un punto. È a questo punto comune di convergenza che bisogna tutti risaliamo. Si affaccia a questo punto al pensiero il titolo di un’opera, il nome di un grande — I primi principii. Erberto Spencer. È scienza questa? È scienza! Scienza vera, lucida, pura. È filosofia questa? È filosofia — filosofia fulgente come sole che illumina — filosofia limpida come acqua cristallina che disseta e ravviva. Vi sono dunque dei principii che sono scienza e filosofia a un tempo — principii turgidi come semente feconda elevati come culmini di un’immensa mon2 Cit. da SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università, cit., pp. 58–60. La stele e lo stile di Antonio Labriola 245 tagna d’onde per ogni dove si spazia su uno sconfinato paese e donde verso qualunque direzione si discende. Io non so se mi apponga al vero ma parmi sia questa la filosofia per cui il Labriola sente il bisogno che in Italia sieno delle lauree. — Filosofia per cui il chimico dica: Io non so soltanto analizzare un corpo; io comprendo il meccanismo che governa la materia in tutte le sue leggi, in quell’essenza stessa che governa le molecole come i sistemi solari e gli atomi come i pianeti. Filosofia per cui il giurista dica: Io non so solo dichiarare la legge, ma so quale legge governa il pensiero e il cervello dell’uomo, e ne esalta o ne turba la retta coscienza. — Filosofia per cui, chi è maestro ad adolescenti, comprenda di quali forze è risultante l’operare di un fanciullo, o per quali tortuose vie del cervello, un pensiero si stampa in una giovane mente […]3. Di seguito vi è l’estratto della lettera di Giacomo Barzellotti. In proposito il Labriola nella Prelezione su I problemi della filosofia della storia, dice di lui: «Queste, o signori, sono le disposizioni di animo e di mente, con le quali assumo l’ufficio temporaneo, affidatomi dal Ministro col consenso dei miei colleghi, di dettar lezioni di filosofia della storia in luogo del mio collega ed amico prof. Barzellotti, passato ad altra Università»4. Vediamo ora, uno stralcio della lettera, datata 12 agosto 1887: Carissimo prof. Labriola, Non prima di qualche giorno fa, ho potuto leggere nella Tribuna la vostra proposta di una laurea facoltativa in filosofia da concedersi a chiunque, seguendo qualsiasi altro ordine di studi universitari, compresi quelli di lettere, frequenti anche certi corsi filosofici e si sottoponga ad un esame. Se cotesta vostra proposta mi fosse subito venuta sott’occhio, già da un pezzo io mi sarei unito a voi per sostenerla pubblicamente. E non perché io creda che la mia voce possa aggiunger nulla alla forza e all’opportunità della causa così ben difesa da voi, ma perché son convinto che chi prenda a cuore l’avvenire dei nostri studi superiori, nel quale è tanta parte di quello morale d’Italia, non deve lasciare alcuna occasione d’insistere perché l’alta cultura filosofica acquisti anche tra noi nell’organismo e nella vita delle Cit. da ivi, pp. 62–65. A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976, p. 49. 3 4 246 Daniela Secondo università quel luogo e quell’efficacia che essa ha altrove e che le spettano nello stato presente della scienza […]5. Significativa anche la lettera di Saverio Fausto De Dominicis, professore ordinario di pedagogia scientifica nell’Università di Pavia, pubblicata in «Rassegna Critica»: A me è parso invece che la proposta del nostro collega di Roma abbia un alto significato scientifico, un’importanza didattica non solo per la facoltà di lettere e filosofia ma per tutta l’Università, e che oltre ciò includa un principio di riforma di tutto il nostro insegnamento. Riserbandomi di esplicare ampiamente il mio pensiero dopo le discussioni del Congresso, io fin d’ora rilevo che aspetti scientificamente notevoli nella proposta. L’uno questo: la filosofia non è più considerata neanche da noi come un esercizio letterario o un addestramento polemico a scopo teologico o di critica negativa e Kantiana, ma quale unità del sapere scientifico raggiungibile per le vie delle scienze. Talché quella solidarietà delle scienze che Augusto Comte cercava per costruire una filosofia, e che il positivismo inglese ed italiano ha espresso sotto la forma di Monismo, si racchiude nella proposta del nostro collega, per quanto poi egli e i tanti che caldeggiano la sua idea dissentano ancora in molte cose da noi. L’altro aspetto della proposta riguarda il concepimento storico della filosofia. Lungi dal ritenere la tradizione filosofica come divisa in ortodossia ed eterodossia, secondo le idee più diffuse in Italia, la proposta del prof. Labriola considera il formarsi dell’organismo filosofico come determinato dall’azione dello svolgimento delle scienze. Ed anche qui non solo siamo nel vero, come lo provano tutt’i sistemi filosofici antichi e moderni, ma siamo in una interpretazione storica della filosofia lontana da tutte le piccolezze di scuole e, ciò che è meglio ancora, lontana dai nostri pregiudizi religiosi e nazionali […]. Ora, in attesa di riforme più sostanziali, a me pare che la proposta del Labriola venga in buon punto, e se no cura la piaga vi pone un rimedio, sia pur tenue. Giacché l’aprire ai migliori giovani di tutte le facoltà una nuova via – la laurea in filosofia — offre un addentellato a tutta la ricerca puramente scientifica de’ nostri massimi istituti scolastici […]6. 5 6 Cit. da SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università, cit., p. 74. Cit. da ivi, pp. 89–91. La stele e lo stile di Antonio Labriola 247 3. Il Congresso Poco prima l’inizio dei lavori del Congresso, tenutosi a Milano nel settembre del 1887, il Labriola prepara una Relazione per introdurre il tema che dovrà essere discusso insieme agli altri professori. Egli riproporrà la lettera del 12 luglio 1887, come antefatto da cui prende avvio quella proposta sulle lauree in filosofia che ebbe un così largo riscontro nell’ambiente universitario. Un riscontro, che è dimostrato dagli estratti che seguono: E difatti cotesta lettera, così, per sé senza che io v’aggiungessi altra spiegazione e commento, ha dato occasione non solo a diversi e lunghi articoli di giornale, nei quali le questioni da me toccate con molta brevità furono ampiamente svolte con efficace sussidio di ottimi argomenti e prove, ma anche a molte lettere private, con le quali non pochi colleghi mi hanno onorato dei loro suggerimenti e consigli. Da tali suggerimenti e consigli risultano per l’appunto le proposte formulate più innanzi: e queste, oramai, non che mie, sono un po’ di tutti gli egregi colleghi, coi quali ho tenuta una viva corrispondenza per ben due mesi […]7. Alla fine della Relazione il Labriola elencherà i quesiti da mettere in discussione: I. Tutti gl’insegnamenti filosofici, a qualunque facoltà si trovino presentemente assegnati formeranno per quel che riguarda gli effetti degli esami e il conferimento del dottorato, come un gruppo a sé, rimanendo però impregiudicata per tutti gli altri aspetti la posizione dei singoli professori nelle rispettive facoltà cui ora appartengano, o a norma di legge, o in via di fatto. A questo gruppo d’insegnamenti potranno iscriversi con effetto utile, tutti gli studenti di qualunque facoltà o scuola, universitari, così entro il periodo degli anni rispettivamente obbligatori, come anche nei due anni successivi al conferimento della laurea. Lo studente regolarmente iscritto al gruppo filosofico, quando abbia affrontato nel giro di quattro anni otto almeno dei corsi annuali di filosofia (cioè due corsi per anno), potrà chiedere di essere ammesso a sostenere gli esami di laurea in tale disciplina. V’è una doppia combinazione: II. III. 7 Cit. da ivi, p. 104. 248 Daniela Secondo a) Nel caso che il richiedente sia già laureato, o in filologia, o in diritto, o in matematica e così via, oltre alla prova degli otto corsi filosofici di obbligo, la laurea già conseguita sarà titolo per l’ammissione. b) Nel caso poi che uno studente iscritto per le lettere, per il diritto, per la matematica e così via, tralasciando di laurearsi in filosofia, oltre a provare la frequenza degli otto corsi filosofici di cui sopra, dovrà anche esibire la prova di aver frequentato altri otto corsi della facoltà alla quale era iscritto ma sempre delle materie più generali e scientifiche, e non di quelle strettamente tecniche e professionali. Coteste materie aventi effetto utile saranno determinate per regolamento. IV. L’esame di laurea sarà dato da una commissione composta di tutti i professori del gruppo filosofico, e di tre professori scelti nella facoltà alla quale il candidato si trovi iscritto. La tesi di laurea potrà avere per argomento una qualunque questione speciale, purché trattata filosoficamente. La commissione però nell’accettarla dovrà emettere un voto motivato. V. Chi voglia iscriversi al gruppo filosofico esclusivamente, senza appartenere ad un’altra determinata facoltà, per chiedere la laurea avrà obbligo di dimostrare, non solo la frequenza di tutti i corsi filosofici esistenti nel gruppo, ma eziandio la frequenza di altri otto corsi liberamente scelti e liberamente combinati fra le materie più generali e scientifiche della Università (cfr. art. III). VI. Nei diplomi di laurea sarà usata una formula dalla quale apparisca se il dottorato è di filosofia pura (art. V), o di filosofia a base di cultura filologica, matematica, giuridica e così via. VII. Quanto agli effetti amministrativi di coteste varie lauree, nella scelta dei professori di filosofia nei licei, e di etica e diritto negl’istituti tecnici, sarà determinato per regolamento a quale combinazione degli studi filosofici, vuoi con la filologia, o vuoi con la matematica, o vuoi col diritto, si accordi la preferenza. In tutti i casi le lauree in filosofia saranno titoli apprezzabili nei concorsi a cattedre universitarie e di scuole secondarie, e nel conferimento della libera docenza […]8. Durante l’adunanza del 27 settembre 1887, presieduta dal «chiarissimo sig. prof. Occioni», viene riferita la dissertazione del Labriola a cui seguiranno i commenti dei presenti; la maggioranza risulta favorevole alla proposta del prof. Labriola. Tra i favorevoli: il prof. Bonghi, il prof. 8 Cit. da ivi, pp. 108–109. La stele e lo stile di Antonio Labriola 249 Barbera, il prof. D’Ercole, ma soprattutto il prof. Sergi. Dal verbale risulterà: Il prof. Sergi non solo approva questi concetti generali, ma di essi s’allieta perché affermano il progresso della filosofia scientifica. A lui pare la tesi del prof. Labriola debba essere sostenuta anche nel rispetto dell’utilità che la filosofia arrecherà alle scienze naturali col generalizzare i particolari risultati che gli sperimentatori attengono nei loro laboratori. I grandi naturalisti sono anche grandi filosofi. E quando mai si offrisse luogo e tempo di proporre riforme, egli vorrebbe introdurre la fisiologia e l’anatomia nel complesso degli studi filosofici […]9. Prima che venga sciolta l’adunanza viene approvata, a maggioranza dei votanti, la mozione del prof. Borghi, che seguiva le linee della proposta del prof. Labriola, salvo qualche riserva sui modi di applicazione. Ecco cosa appare nel verbale: Il prof. Bonghi tornando ancora brevemente in generale sulla proposta del prof. Labriola, viene per quanto concerne l’attuazione di essa alla proposta seguente, che presenta per iscritto al presidente. Conservando gli ordinamenti attuali della Facoltà di filosofia e lettere e i fini a cui sono oggi ordinati, e riservando i modi d’applicazione, la sezione accetta la proposta del prof. Labriola cioè “che la laurea in filosofia si conferisca agli studenti di qualunque Facoltà, i quali frequentato che abbiano entro il quadriennio di obbligo, o due anni dopo, i corsi filosofici, si espongano a sostenere una tesi scritta di argomento generale quanto all’obbiettivo ed al metodo, ma fondata sempre sopra una determinata coltura speciale” […]10. Durante l’adunanza del 28 settembre, ove l’assemblea pone come presidente il prof. Fabretti, vengono lette le conclusioni da parte del prof. Igino Gentile. Dopo la lettura del verbale vi sono delle rimostranze da parte del prof. Merlo; riporto di seguito il suo pensiero: […] ricorre egli all’aiuto di due similitudini accennanti al diritto che ha ogni scienziato di salire a considerazioni generali, così circa il metodo e le ragioni 9 Cit. da ivi, p. 113. Cit. da ivi, p. 114. 10 250 Daniela Secondo supreme della particolare disciplina che è da lui coltivata, come circa le attinenze con le altre. Dev’esser lecito ad ognuno di noi di fare cotesto, non già ricorrendo all’immaginaria tutela di una filosofia a priori, e nemmeno a quella troppo imponente e mal fida di una filosofia che professi unicamente di stillare i risultati raccolti col lavoro altrui, ma bensì filosofando ciascuno con le sue proprie forze, senza omettere, che ben s’intende, lo studio storico dei problemi che s’incontrino sulla nostra via. Non è salutare lusingarci che possano da un solo studioso, ne’ tempi nostri, essere possedute tutte le infinite cognizioni già conquistate in ogni parte dello scibile universo. Sarebbe ingiustissima una così sconfortante valutazione degli studi fatti ne’ secoli precedenti e in questo nostro; ma appunto dai meravigliosi progressi dell’umano pensiero, consegue necessariamente che bisogna rassegnarci alla divisione del lavoro, anche coltivando la filosofia. La Facoltà di filosofia si deve convertire in Facoltà universale scientifica […]11. Chiuderà il dibattito il prof. Bonghi, mettendo in evidenza una priorità che deve esser tenuta ben presente prima di andare ai voti: Oggi invece si tratta di affermare un principio pedagogico; si deve ricercare se esso è giusto, e null’altro; e poiché appunto la filosofia è tale ordine di studi, che può e con buon frutto, coordinarsi con tutti gli altri: la filosofia ha necessariamente tale generalità, ed è opportuno designare quali corsi di ciascuna Facoltà debbonsi congiungere con insegnamenti filosofici. Invita dunque l’adunanza ad accettare le conclusione della Sezione di filosofia e lettere. Il presidente le mette ai voti, e le conclusioni già riferite risultano approvate a grande maggioranza12. A lavori ultimati, apparirà sulla «Rivista di Filosofia Scientifica», un ampio studio sul primo Congresso Universitario Italiano nel quale il Morselli, psichiatra e filosofo modenese, afferma che già da qualche anno, sulla sua rivista, si era affrontato il problema ora sollevato da Labriola: Ed ora, dopo tanta animosità da una parte e tanta abnegazione dall’altra, ecco un’Assemblea formata di insegnanti ufficiali di filosofia, ecco un Congresso Universitario accettare e proclamare solennemente, quasi ufficialmente, non so- 11 12 Cit. da ivi, p. 116. Cit. da ivi, p. 117. La stele e lo stile di Antonio Labriola 251 lo i rapporti intimi fra la filosofia e le scienze, che la scuola accademica non poteva, almeno teoricamente negare, ma anche la necessità che nell’ordinamento degli studi filosofici si dia adito ad una più profonda e fondamentale coltura scientifica. È questa, cel consentano i nostri antichi critici ed avversarii, una vittoria insperata del positivismo; una vittoria che sarà madre di altre conquiste. Né la riforma si arresterà certamente alla laurea filosofica così come fu proposta dal Bonghi ed accettata dal Congresso, ma si estenderà ed amplierà in un più fecondo ed indissolubile amplesso della filosofia con le scienze positive. Rompere questo legame, una volta che ne è stata riconosciuta la necessità, sarebbe ridonare alla filosofia la sua indipendenza solitaria, il suo assolutismo dogmatico, le sue tendenze all’astrazione verbale; ritogliere la concessione, che finalmente si è fatta alla realtà ed alla logica induttiva, sarebbe ricacciare la nostra coltura nel limbo delle sottigliezze dialettiche, e obbligare di nuovo la parte più alta e nobile del sapere nazionale a contentarsi dei vieti acrobatismi e dei vacui formalismi. Avete tenuto per tanti anni la filosofia lontana da questo connubio coll’indirizzo positivo e scientifico, sì da renderla eguale ad una zitella invecchiata nel desiderio e nell’impotenza; ma oggi con un soffio di positivismo la ringiovanite, e domani la troverete capace di generare finalmente concetti e principii sintetici più vitabili e più sicuri […]13. Significativo appare il suo elogio delle scienze varie: Con qual criterio si possono accingere questi nostri “laureati in filosofia” allo studio ed alla intelligenza (non dico alla critica, sebbene sappia che questo è il cavallo di battaglia delle scuole accademiche) delle opere di Hamilton, di Stuart Mill, di Bain, di Darwin, di Haeckel, di Spencer, di Hartmann, di Fiske, se loro manca il fondamento indispensabile delle prime nozioni scientifiche? Come intendere oggi la psicologia, dopo gli immortali lavori di Weber, Fechner, Helmholtz, senza nozioni matematiche? Come valutare, dal punto di vista filosofico, i sistemi dell’etica, i progressi dello spirito umano nella storia, i rapporti dell’uomo con la natura, senza conoscenze antropologiche, etnologiche e sociologiche, e senza i lumi della storia naturale? Come accostarsi al problema della coscienza, senza il sussidio della legge di unità e trasformazione dell’energia, quale viene insegnata dalla fisica e dalla chimica? Come pretendere di capire qualsiasi rappresentazione complessiva del cosmos, senza averne prima cercato gli elementi nei dati dell’astronomia e della cosmologia fisica? […]14. 13 14 Cit. da ivi, pp. 121–122. Cit. da ivi, p. 123. 252 Daniela Secondo Concluderei questo veloce excursus sullo stesso periodico che ha dato il via al dibattito universitario sui nessi di filosofia e scienza. L’autore è Salvatore Barzilai che sulla «Tribuna», sempre nel 1887 scrive: Tutti coloro che hanno una laurea debbano poter ritemprare il bagaglio di cognizioni che essa per una finzione giuridica rappresenta in un bagno di filosofia. Ora, se si pensa che la filosofia, oggi — dopo ché Platone, e Bacone, e Descartes, e Cartesio e tutti i fautori delle idee assolute e dei sistemi fantastici, sono passati di moda — non è altra cosa che l’arte di osservatore con esattezza, di analizzare con precisione, di generalizzare con rigore, in tutte le cose di questo mondo, è facile intendere, che essa è una scienza buona per chi insegna il diritto, come per chi indaga l’origine delle lingue come per chi cura le malattie dello stomaco, come per chi studia le rivoluzioni degli astri o quelle dei popoli come, sto per dire, per coloro che fanno le scarpe. Lo studio degli esseri, delle cause, la induzione dei principii — è il fondamento della scienza sotto qualunque aspetto si consideri. Ed enunciare questo significa affermare quell’altro: la filosofia è, e deve essere soprattutto metodo, strumento, lume per ogni studio […]. La filosofia per tutti — anche fuori dell’aula universitaria — la filosofia per i pubblici funzionari incaricati di tutelare l’ordine pubblico (Federico II diceva che per punire una provincia bisognava darla a governare a un filosofo) la filosofia per gli autori drammatici chiamati a rappresentare le passioni della vita e a subire quelli palesi del pubblico, la filosofia per i sarti interessati a conoscere le cause per cui gli avventori non pagano loro le note, la filosofia pei giornalisti — che devono cavarla da tutto, i Congressi universitari compresi. Perché non ci facciamo illusioni — gli egregi uomini di scienza convenuti alla Scala col nome di Papiniano, di Claudio Bernard, di Euclide, di Orazio, di Dante, di Ramayana — Mahabarata sul labbro, se prima hanno teoricamente votata la fiducia nella filosofia positiva del professore Labriola, nel seguito del Congresso hanno tenuto a far sapere che non sono gente da predicare come padre Zappalà15. 15 Cit. da ivi, pp. LXXII–LXXIV. La stele e lo stile di Antonio Labriola 253 4. Un anno prima del Congresso: la tesi di laurea di Luigi Basso Vi presento il mio bravo alunno ed amico sig. Basso, di cui ho già parlato; perché possiate intendervi con lui. Labriola a Carlo Fiorilli, 16 gennaio 1886 Prima di tutto non voglio vedere dissertazioni di laurea, tranne quella di Basso (unica in filosofia). Desidererei che l’esame di laurea del Basso avesse luogo pel primo la mattina del 27, per essere poi libero al più presto. Labriola a Onorato Occioni, 15 giugno 188616 L’elaborato di Luigi Basso, non sembra affatto una tesi di filosofia: basta notare i termini che ricorrono con maggiore frequenza e subito si nota lo spostamento dell’asse d’interesse del giovane allievo di Labriola, verso discipline giuridiche, economiche e di scienze sociali in particolare. La ricerca di cui si occupa Basso fa emergere un carattere, che potrebbe assomigliare ad un modo di procedere sociologico–sperimentale, andando ad infarcire la relazione di vocaboli tipo «metodo», «principio», «dottrina», «sperimentale», ecc. Sembra, per questo, uno studio che certo risente del positivismo […]. Il Basso evidenzia come il ritardo della scienza sociale ad assumere il metodo positivo, e quindi scientifico, sia congenito al carattere dei fenomeni che studia. Infatti, quando si osserva un fatto storico, una rivoluzione, una guerra, un cambiamento nella forma di governo, l’osservatore ha a che fare con il fatto vero e proprio e non con una legge. Noi possiamo osservare solo un aspetto del problema, solo una parte di un intero organismo. Così è per la storia: se la consideriamo in generale, ci mostra un effetto diverso dal trattarla in particolare. Ecco il metodo enunciato dallo stesso Basso: Cit. da Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904– 2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 545. 16 254 Daniela Secondo […] abbandonare l’illusione che i fatti sociali sieno esposti all’arbitrio degli uomini e convincersi che, come tutti gli altri, devono avere delle cause che agiscono con perfetta regolarità, guardarsi sopra tutto dal portare nella scienza le proprie aspirazioni pratiche, facendone altrettanti principii, da cui dedurre le norme sociali, e finalmente sforzarsi di avvicinare tra loro i fatti sociali e osservarli in complessi considerevoli per poterne meglio cogliere le relazioni […]17. Basso sostiene che il sapere può essere di due specie. Se i fatti vengono considerati individualmente sotto il profilo di spazio e tempo, avremo la storia; se questi possono essere legati tra loro in relazione di causa e di effetto avremo la scienza. Vi è in Basso la convinzione che i fatti sociali e le leggi che ne derivano non sono relazionabili tra loro completamente e in modo costante, ma ciò non impedisce di considerarla scienza, perché si tratta sempre di cognizioni e spiegazioni che vanno allargandosi e coordinandosi. Ciascuna scienza ha un proprio metodo dipendente dal carattere dei fatti che essa studia. Per es. le matematiche seguono il metodo deduttivo, le scienze fisiche il metodo sperimentale. Così Basso può dire: […] È dunque necessario esaminare quali sieno a questo proposito i caratteri dei fenomeni che la scienza sociale si propone di studiare, perché da questi caratteri risulterà evidente il metodo da seguirsi. I fatti sociali sono in ogni modo fatti umani, e l’uomo non opera se non spinto da impulsi che sono nella sua natura. Sembrerebbe quindi che bastasse analizzare questa natura psicologica dell’uomo e dai moventi che questa analisi rivelasse dedurre i fatti umani […]18. Anche se poi ammette che la natura psicologica non è una cosa completa fin dal principio. Il Basso enumera molteplici forze, che vivono nei popoli e hanno parte nella costituzione e nei mutamenti sociali. Tra esse, troviamo lo spirito religioso, l’interesse individuale o sociale, l’aspirazione alla libertà, alla nazionalità, all’uguaglianza, ecc. Se queste forze sono opposte l’una all’altra, oppure agiscono insieme, condizionandosi tra loro in vario modo, ciò comporta il fatto che i fenomeni sociali, rispetto ad altri, si mostrano più difficili da spiegare scienti17 18 Cit. da ivi, p. 548. Cit. da ivi, p. 550. La stele e lo stile di Antonio Labriola 255 ficamente. Da questa constatazione deriva che, per la scienza sociale, non è possibile usare i due metodi, ossia quello deduttivo matematico e quello sperimentale. Secondo Basso, per ciò che concerne i fatti sociali occorre accontentarsi dell’osservazione, perché non è possibile maneggiare la società facendo esperimenti artificiali: un po’, per il fatto che non si potrebbe tener conto di tutte le circostanze, e poi perché, nei tempi lunghi gli effetti potrebbero modificarsi radicalmente. 5. Chi è Luigi Basso? Nato a Feltre (Belluno) il 20 febbraio 1862, figlio di un medio proprietario feltrino, dopo la laurea in lettere e filosofia19, che aveva conseguito brillantemente a Padova, soggiornò alcuni anni a Roma dove frequentò i circoli repubblicani e radicali aperti ai nuovi motivi del socialismo e del positivismo: fu segretario del comitato per il monumento a Giordano Bruno e membro del Comitato centrale del «patto di Roma» […] Nel clima di grandi speranze del dopoguerra B. divenne il primo deputato socialista del Feltrino: sempre più staccato dalle vicende del reale movimento socialista di massa, di cui intendeva con profondo senso umano le difficoltà e i problemi quotidiani, ma di cui non riusciva a intendere e interpretare le esigenze più schiettamente politiche, B. anche al parlamento, e poi come collaboratore di Critica sociale e, dopo la nascita del Partito socialista unitario, della Giustizia, continuò ad occuparsi prevalentemente di argomenti economico–tributari. F. Turati ne stimava la probità e la serietà, anche se nell’ambito del PSU le sue scarse doti di oratore e la mancanza di diplomazia nello sfumare l’ultrariformismo nelle sue posizioni erano affettuosamente note. Dopo la morte di G. Matteotti toccò a lui, «semplice spulciatore di bilanci», come lo definiva il giornale di B. Mussolini, raccoglierne l’eredità come segretario del partito, cosa che seppe fare con coraggiosa umiltà. La sua relazione al convegno nazionale del marzo 1925 ebbe una vasta, anche se discorde, risonanza: la stampa liberale ampliò l’eco della sua accorata difesa delle libertà statutarie, il suo appello, di fronte alla barbarie fascista, per una società più serena e La prima laurea che consegue Luigi Basso è quella in Giurisprudenza (cfr. il par. 1 del presente lavoro). 19 256 Daniela Secondo civile. Dal novembre 1926 al dicembre 1927 fu confinato a Lipari: ritornato a Feltre abbandonò qualsiasi attività politica e pubblica (A. Rosada)20. Per conoscere più a fondo Luigi Basso, come persona e come politico, inserisco l’estratto da un articolo di giornale del 1925 (Gli unitari dal socialismo allo stato liberale. Le “note eccellenti” dell’on. Basso)21. Il pezzo è importante, perché sembra convalidare l’ipotesi di un’affinità con il Labriola per quanto riguarda il sentire politico–morale, sottolineata soprattutto nelle ultime righe. La Giustizia è scesa in campo per la difesa delle “note eccellenti” dell’on. Luigi Basso. Benone. Per ora la Giustizia ferma la sua attenzione ad una nota romana del nostro giornale in cui era posto in evidenza l’elogio a Noske e l’invocazione dello Stato forte. Ma c’è ben altro nelle “note eccellenti” del segretario del Partito unitario. C’è in pieno, senza sottintesi, senza equivoci (e di ciò va data lode all’on. Basso) l’accettazione non solo del metodo democratico per la conquista del potere, ma dello Stato liberale. E questo è veramente il colmo. Finora noi avevamo imparato — sia negli opuscoletti da pochi centesimi in vendita anche alla Giustizia, sia nei poderosi e ponderosi volumi di Marx e degli altri teorici del socialismo — che lo Stato è lo strumento della dominazione borghese, così come l’esercito ed i vari corpi di polizia sono gli strumenti della repressione borghese. Tutto questo cessa di essere vero. Dalle “note eccellenti” dell’on. Basso salta fuori la figura di uno Stato ideale, imparziale amministratore della giustizia, imparziale custode della libertà, superiore ai Partiti, superiore alle classi. Orbene se un tale Stato potesse esistere, tutta la critica socialista sarebbe un impasto di errori e di menzogne. Ma un tale Stato non può esistere. Sia liberale, democratico, reazionario lo Stato è uno strumento della conservazione e della dominazione della classe al potere. Sempre esso giudica la libertà tramutata in licenza, e quindi legittima la repressione, ogni qual volta il proletariato forte del numero e del suo diritto di classe soggetta, intende valersi della libertà per la propria rivendicazione sociale. Ciò rende inevitabile, prima o poi, il cozzo violento fra le due classi, così come fu inevitabile il cozzo violento fra le vecchie caste feudatarie e le aristocrazie nobiliari e clericali con la moderna borghesia. In questo senso la funzione rivo- F. ANDREUCCI – T. DETTI, Il Movimento Operaio Italiano. Dizionario biografico 1853–1943, vol. I, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 201–203. 20 21 Da «Avanti!», 27 marzo 1925. La stele e lo stile di Antonio Labriola 257 luzionaria che appartenne nel secolo XVIII e nella prima parte del XIX secolo alla borghesia, è passata ora al proletariato. […] Di quale Stato si parla? Se si parla dello Stato socialista, noi rispondiamo che lo vogliamo non forte ma fortissimo. Ma lo Stato socialista non sarà “per la contraddizione che nol consente”, liberale. Vi si oppone lo stesso fine che persegue: la distruzione cioè dell’attuale ordine sociale, l’espropriazione degli espropriatori, la dispersione della classe borghese (della classe, diciamo noi, dei singoli). Tutto questo sarà sempre giudicato antiliberale e tirannico. Ogni rivoluzione fu accusata di tirannia. […] Ond’è che ritornando alle “eccellenti note” del segretario del Partito unitario, non resta a noi che riconfermare in pieno come alla luce delle sue teorie — “Stato forte”, ”libertà che non si trasforma in licenza”, “tutto lecito nei limiti della legge” — siano ampiamente giustificate le reazioni passate, presenti e future. Ci si poteva aspettare qualche cosa d’altro. E qui potrebbe arrestarsi la nostra polemica. In fondo ciò che sorprende nella relazione Basso sono certe affermazioni di tono apertamente conservatore che si preferirebbe trovare nelle colonne del Corriere. Quanto al fenomeno in sé della definitiva adesione degli unitari alle tesi democratico–liberali, quanto al loro inserirsi nell’orbita monarchica e costituzionale, era cosa prevista, logica, in certo senso fatale. Per questo avvenne la scissione di Roma. Questa è la funzione che i riformisti si sono assunta e che devono assolvere. 6. Prelezione su: I problemi della filosofia della storia Prelezione letta nell’Università di Roma il 28 febbraio del 1887, per presentare i corsi che il Labriola terrà dal 1887 in poi, riguardo all’insegnamento di Filosofia della storia. Questo scritto, da un certo punto di vista è più importante dei saggi di tutto un lungo periodo di tempo. Ciò che emerge, e che è di notevole interesse, è il fatto che, per la prima volta in tutta la sua storia, Labriola mette radicalmente in discussione la propria formazione sicuramente hegeliana. È lo scritto dell’incertezza, della crisi, della critica della necessità storica, della tensione teoretica, in special modo della contraddizione teoretica tra particolare e generale. Egli, negli altri suoi scritti tendeva soprattutto a cogliere un’unità del sapere, una formalizzazione, una compattezza, una necessità; con la prelezione vi è la presenza di un’inquietudine molto forte, una messa in cri- 258 Daniela Secondo si di tutte le sue certezze. Non a caso, è la lezione preliminare che introduce ai corsi sulla rivoluzione francese: un argomento, che Labriola non lascerà più, perché questa rivoluzione segna il passaggio dal feudalesimo alla modernità, dallo Stato assoluto a quello rappresentativo. Questo passaggio Labriola lo vede pieno di contraddizioni, di difetti, importante rispetto il passato, ma lacunoso verso il tema della giustizia sociale. Labriola, proprio studiando la rivoluzione francese diventa marxista, e la prolusione è in particolare lo scritto che testimonia la perdita della sicurezza teoretica. Nella prelezione vi è quasi una “lite” tra due concetti, tra preformazione ed epigenesi. Questi due vocaboli che derivano dall’embriologia portano a pensare a due opposte teorie. Il germe che riproduce l’essere umano, contiene già l’essere umano? O c’è un’interazione tra quel germe, l’esperienza della natura e le novità? Nella preformazione, il germe contiene già tutto l’uomo; invece, per quanto riguarda l’epigenesi, l’uomo si costruisce non embriologicamente, ma storicamente. Non si conosce come diventerà l’uomo, perché le esperienze che farà lo modificheranno. In questo testo, il Labriola, usa termini che non fanno parte della filosofia; e si serve dell’embriologia per dare un’interpretazione della storia. La storia, non la costruiamo una volta per tutte, la costruiamo epigeneticamente. Noi non possiamo prevedere i fatti storici, altrimenti sarebbero preformati. La previsione storica, invece, è qualche cosa di morfologico, perché avviene sulla base degli elementi nuovi che concorrono a farla diventare tale. Tutto questo serve a noi, per intendere il suo pensiero nel leggere i saggi sul materialismo storico che seguiranno, proprio nel momento in cui aveva ancora idee ideal–democratiche. Le recensioni alla prelazione sono utili per avere un’idea sul sentire critico degli esperti del tempo di Labriola. Vediamone alcune, cominciando da Felice Tocco: […] Una prima parte toccherebbe dei motivi che ci spingono a filosofare sulla storia, e del metodo che tanto in questi filosofemi, quanto nell’esposizione storica suole essere tenuto. E questa prima parte ei vorrebbe chiamare Historica, parola foggiata dal Gervinus sull’analogia di altre già in uso come Pedagogica e La stele e lo stile di Antonio Labriola 259 Grammatica. A questa prima parte terrebbe dietro la seconda che discute i principî, su cui poggia così l’indagine filosofica, come l’esposizione storica […]22. Andrea Angiulli affermava: Il nostro amico Prof. Labriola concordandosi coi migliori risultamenti del pensiero e degli studii contemporanei, sostiene che la filosofia della storia più che una dottrina bella e costituita, o una storia universale narrata filosoficamente, sia e debba essere una semplice ricerca su i metodi, su i principii e sul sistema delle conoscenze storiche […]. In rispetto della prima quistione discorre dell’interesse che ci muove alla ricerca, del procedimento che assicuri della certezza del risultato, dell’obbiettività dell’esposizione. L’interesse alla ricerca storica, come risultato di tutte le disposizioni intellettive ed etiche, estetiche e religiose, politiche e sociali del nostro animo, è esso stesso già una parte integrante della nostra cultura. Nel nostro tempo è divenuto più scientifico; e però richiede una maggiore esattezza nel procedimento della ricerca ed una maggiore certezza dei risultati; le quali due cose nondimeno variano secondo la complessità delle diverse discipline storiche […]. Rispetto alla quistione dei principii l’autore indaga ciò che distingue un fatto storico propriamente detto, ed è quel nesso assimilativo degli elementi che lo costituiscono, per cui si porge un accrescimento continuato di nuove formazioni. Onde segue essere difficile segnare un punto di vera separazione tra gli elementi non storici e il prodotto storico. Le connessioni negli eventi umani si allargano coi progressi degli studii […]. Circa la terza questione, tenendo fermo al principio fondamentale della ricerca scientifica, egli pone assai acconciamente in luce, come da una parte non si debba presupporre l’unità dei diversi ordini di fatti, ma rintracciarla ed esporre geneticamente, e non dedurre la loro differenza, e dall’altra parte non si debba con uno specialismo ombroso opporsi all’investigazione dei legami generali tra le cose e smarrire il fine della scienza […]23. F. TOCCO, Recensione ad A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia. Prelezione letta nella R. Università di Roma, Roma, Loescher, 1887, in «Rivista italiana di Filosofia», 1886–1887, pp. 284–286; ora in LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 60–61 (il brano citato si trova a p. 60). 23 A. ANGIULLI, Recensione ad A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia. Prelezione letta nella R. Università di Roma, Roma, Loescher, 1887, in «Rassegna critica», 1887, n. 5, pp. 155–157; ora in LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 62– 63. 22 260 Daniela Secondo 7. L’arte al servizio di Labriola Siamo abituati a considerare l’arte legata al prof. Labriola soprattutto in riferimento all’opera I principali monumenti architettonici, di cui è coautore insieme a Giuseppe Langl. L’intento, ora, è di rovesciare i termini di paragone, di considerare cioè quell’arte che si è sviluppata partendo dalla figura del Professore e di ciò che aveva rappresentato nel panorama della cultura italiana ottocentesca e non solo. Ettore Ferrari, famoso per aver scolpito il Giordano Bruno di Campo de’ Fiori, si presterà per portare a termine il progetto di una stele in onore del suo amico, in occasione della commemorazione che si terrà due anni dopo la sua morte. La ricerca ha inizio con il ritrovamento di una lettera all’Archivio Centrale dello Stato, in cui il figlio di Labriola, Alberto Franz, chiede al Ferrari di riavere indietro la maschera mortuaria. Roma 22 / 6 / 912 Via del Pellegrino 105 (Telefono 3549) Chiar.mo Professore Trovandomi di passaggio a Roma per motivi di servizio vorrei permettermi di importunarla con una visita. Le sarei grato se volesse farmi conoscere in quali ore posso trovarla. Sarebbe mio desiderio di riavere la maschera di mio padre, se ella ne l’avesse in studio. Gradisca signor professore gli atti del mio particolare ossequio. Suo dev.mo A. F. Labriola In questa lettera, datata 1912, sei anni dopo la commemorazione, Alberto Franz Labriola non fa alcun riferimento ad una stele. Questa farà la sua comparsa in uno scritto di Luigi Dal Pane24, che ha portato ad altri interessanti scoperte. L. DAL PANE, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1975, p. 439. 24 La stele e lo stile di Antonio Labriola 261 Vediamo ora il riferimento: «Il 18 marzo 1906 il Labriola fu solennemente commemorato all’Università con un discorso di Andrea Torre e gli fu eretta una stele, opera dello scultore Ettore Ferrari». In nota alla citazione vengono portati diversi quotidiani che si sono occupati di coprire l’avvenimento, ma anche l’indicazione del fatto che nel trasferimento dell’Università la stele fu smarrita. Qui di seguito includo le cronache del tempo e documenti che attestano la preparazione dell’opera dedicata a Labriola, comprendente un bozzetto che sembra delineare una cattedra solenne, più che la stessa cattedra universitaria. La ricerca è solo all’inizio, chissà se andando ad esplorare nelle segrete stanze dell’antica università non salti fuori l’omaggio in morte a colui che ha contribuito a fare grande l’Università di Roma. 7.1. Antonio Labriola commemorato da Andrea Torre25 Oggi ha avuto luogo nell’aula magna della R. Università la solenne commemorazione del prof. Antonio Labriola, che un Comitato di professori universitari, deputati, amici e studenti hanno promosso. L’aula magna era gremita di pubblico: notate molte signore, il ministro della pubblica istruzione, on. Boselli, il sottosegretario di Stato on. Credaro, l’on. Chimienti, l’on. Rava, il senatore Pierantoni, il Senatore Schüpfer, l’on. Cabrini, l’on. Lollini, l’on. De Amicis, la vedova e la figliola del prof. Labriola, il prof. Franz Labriola figliuolo del professore, il prof. Ragnisco, l’on. Galluppi, il prof. Adolfo Venturi, le rappresentanze di tutte le Facoltà universitarie e gran pubblico di giornalisti e studenti. Il Rettore dell’Università, prof. Tonelli, ha presentato l’oratore. Egli ha detto: «Dei meriti scientifici del nostro compianto collega non io, profano, oserò far cenno: ma alla mia manchevolezza supplirà degnamente la incontestata competenza ed il memore affetto del prof. Andrea Torre. E nessuno meglio di lui potrà farlo, che nella lunga, e costante sua dimestichezza col Maestro incomparabile, ebbe agio di apprezzarne la profondità del pensiero scientifico e la straordinaria attitudine didattica». Quindi il Rettore ha delineato brevemente e splendidamente il carattere e la mente di Antonio Labriola. 25 Da «Il Giornale d’Italia», 19 marzo 1906. 262 Daniela Secondo In seguito il signor Rizzini, presidente della Corda Frates, ha lette le adesioni che sono venute dai più lontani paesi d’Europa: Francia, Inghilterra, Russia, Belgio, Rumenia, Polonia. Poi ha presa la parola Andrea Torre, cominciando così: Il segno caratteristico della personalità dell’uomo che commemoriamo è dato dalla disubbidienza del suo spirito a qualsiasi dogma. Egli fu un critico nel vero senso della parola: critico dei fatti, critico delle idee altrui ed anche critico delle idee proprie. Onde non si adagiò mai, egli filosofo e maestro di filosofia, in alcuna formula filosofica definitiva: perché intese bene che qualsiasi formula è sempre inadeguata alla realtà, anzi non è che il mero riflesso di un momento e di un modo della realtà. E per questo egli considerò ogni sistema come una specie di prigione e dichiarò che in una tal prigione non si sarebbe rinchiuso mai. E poiché egli era avido non tanto di conoscenze più o meno astratte quanto di scoprire ciò che costituisce il segreto dell’azione e della coscienza umana, — e l’impresa è la più complicata ed ardua che giammai l’uomo abbia proposta a sé stesso — Antonio Labriola, spirito sensibilissimo, passionato e di difficile aquiescenza, fu perpetuamente irrequieto nelle sue ricerche, nei suoi dubbi, nelle sue interrogazioni, e, dirò anche, quasi mai contento dei risultati altrui e dei propri. Perciò scrisse molto meno di quello che avrebbe potuto se avesse attribuito maggior valore alla “carta stampata”, come egli diceva, che alla sostanza e all’efficienza, di ciò che è stampato, e perciò non compone mai l’opera nel senso classico della parola, cioè una trattazione metodica, complessiva e definitiva intorno ad un tale argomento. Ma se la sua produzione scritta fu relativamente scarsa di fronte alla sua potenzialità, fu invece ricchissima la sua produzione orale. Da quest’aspetto egli si può dire veramente un maestro perpetuo: dentro all’Università e fuori, per le vie, al Caffè Aragno — la sua seconda cattedra, più libera e non meno feconda dell’altra — in ogni incontro con persona capace di discutere o apprendere, egli fu inesauribile nel dire, densamente, rapidamente, entrando subito nel nocciolo delle questioni, soddisfatto quando altri lo intendesse, felice quando altri sapesse comunicare con lui. Egli fu un maestro perpetuo. Ma anche nell’Università non ebbe alcuno di quegli atteggiamenti così detti accademici che si attribuiscono all’uomo della cattedra. La sua lezione non era trattenuta entro quei rigidi confini che le regole convenzionali abitualmente impongono: aveva andature libere e semplici come si conviene a chi conversa familiarmente intorno ad un argomento, e, senza divagare in cose inutili o superflue, illustra anche gli argomenti e i fatti che si irraggiano da quello centrale. In tal modo le sue lezioni erano una fonte svariatis- La stele e lo stile di Antonio Labriola 263 sima di conoscenze, un vero granajo per l’intelligenza desiderosa di nutrirsi, un vero teatro vivente per lo spirito curioso. Il Labriola non era un oratore nel senso classico della parola e neppure un artista del discorso; ma era un dicitore così vibrante, nervoso, caustico, svegliatore di attenzione, stimolatore di contraddizioni, che il suo insegnare e più il suo conversare avevano un’attrattiva, un fascino, difficile a immaginarsi da chi non li ha subiti. Queste sue qualità spiegano perché egli non è tutto intero nei suoi libri; e perché sia perduto di lui un grande tesoro di osservazioni e di analisi spesso geniali dei più vari avvenimenti e dei più diversi uomini contemporanei: osservazioni ed analisi che se si fossero potute raccogliere nella forma spontanea, duttile e viva in cui furono dette, non esito ad affermare che costituirebbero la più interessante storia psicologica del nostro tempo. * * * Dopo questa introduzione, il Torre incomincia a trattare dell’orientazione dello spirito del Labriola e delle forme della sua mente. Egli dice che tre furono le principali influenze che il Labriola subì: di Hegel, di Herbart e di Marx. E si addentra nell’esame delle opere che il Labriola produsse, nei tre diversi periodi della sua attività, da quando nel 1862 difese la dialettica di Hegel contro Edoardo Zeller fino a quando avvenne la conversione di lui al socialismo. Il Torre dimostra che fin nei primi scritti vi erano i germi delle idee che il Labriola sviluppò in seguito. Passa poi a dire del modo in cui influì Herbart sulla mente di Labriola; e quali idee derivò dalla scuola herbartiana e dal neocriticismo francese. E si ferma a discutere dei principii che informarono la sua prelezione sui problemi della filosofia della storia (1887). Nota come la critica del monismo idealista, la critica della continuità storica, del concetto di progresso, del valore che le cause multiple e irriducibili hanno nel processo storico prepararono il pensiero di Labriola ad una comprensione più larga e originale del mondo umano. Discute quindi della conversione di lui al socialismo. Il Torre dimostra qui con un esame acutissimo che quando Labriola scrisse sul Socialismo il 1889 non era socialista nel senso voluto del materialismo storico, ma ancora un ideologo umanitarista: e che la vera conversione al socialismo non avvenne o almeno non si rivelò pubblicamente se non nel 1895, e non già tra il 1879 e il 1889 come il Labriola credeva. Entra poi a discutere dell’ultimo periodo della mente di Labriola in cui vennero fuori i Saggi sul materialismo storico. 264 Daniela Secondo L’esame che il Torre fa del materialismo storico come filosofia della storia e come spiegazione e giustificazione speciale del movimento socialista è tutta una serie densa e profonda di osservazioni critiche. Il Torre pone quindi il problema: se possa esistere quella società futura la quale Engels e Labriola annunziano come la necessaria risultante e soluzione della crisi della società moderna. E dimostra per quali ragioni Engels e Labriola si ingannavano su questo punto. Accenna infine ai germi di una filosofia della praxis che si trovano negli ultimi scritti del Professore dell’Università romana. Questa filosofia avrebbe dovuto essere il completamento del materialismo storico. Quindi conclude: Un’ultima questione: i legami tra materialismo storico e socialismo sono tali, che se il materialismo non fosse vero, il socialismo non sarebbe giustificato nella sua base? Non tutti i socialisti rispondono in modo affermativo. Jaurès, per esempio, crede, come Kant, che vi sia una direzione intelligibile, un senso ideale della storia: egli crede in un ente umanità che cerca ed afferma se stessa nella storia ed è l’anima del diritto. E per conseguenza ritiene che si può essere socialisti senza accettare il materialismo storico. La concezione idealistica della storia espressa da Jaurès è, come può derivarsi da quello che abbiamo detto, una teoria insostenibile al lume dei processi storici delle varie società: ma non per questo si può conchiudere che il socialismo mancherebbe di classe se il materialismo storico non fosse perfettamente vero in tutte le sue parti. Il Labriola ha limitato il problema in questi termini: «Se il materialismo storico non regge, vuol dire che l’aspettativa del socialismo è caduca, e che il nostro pensiero della società futura è creazione da utopisti». Ma Labriola medesimo insegna che «il futuro non può costituire il criterio pratico di ciò che noi dobbiamo fare al presente». Ora la storia e la logica ci dicono che il socialismo è una grande forza: che è la risultante dello sviluppo economico, politico, giuridico e morale della società moderna; che questa forza potrà adattarsi ad essere adattata in parte nello svolgimento libero della società borghese; ma che è una forza indistruttibile nei fondamenti e nella sua ragion d’essere. E questa constatazione basta all’assunto sociologico che il Labriola s’è proposto. Bisogna riconoscere inoltre che la storia è il fatto dell’uomo, del suo lavoro, della sua produzione, dei suoi bisogni, delle sue figurazioni ideali, della sua po- La stele e lo stile di Antonio Labriola 265 tenza. E questa constatazione spiega e giustifica il realismo nella [nello, nel testo] dottrina filosofica della storia sostenuta dal Labriola. Egli cammina, dunque, col suo tempo, e all’avanguardia: come guida, come dirigente, come portatore della lampada della vita. Perché la sua filosofia non è una esercitazione accademica più o meno dotta, ma è un fattore di azione: e i suoi insegnamenti, i suoi scritti non sono stati invano: essi sono stimolo e pungolo ad operare, sono arma per combattere, sono l seme sparso sul terreno, che noi dobbiamo far sì che non rimanga infecondo. Ricordate le sue parole? «È del filosofo appunto questa doppia figura: il filosofo, o signori, è di solito, e per abito e per ufficio suo, critico della conoscenza, critico del pensiero, critico della società, critico dei pregiudizi. Ma, quando si elevi dentro di sé medesimo, e per un istante si rappresenti come in compendio, e anzi in forma di poesia, la somma delle convinzioni che si sia andato facendo per critica di ragione, il filosofo, per poco che spinga lo sguardo di là dalla cerchia della mente dei volgari, può diventare e parere augure e profeta. Ed io vorrei per un’istante solo vivere, come per immagine dentro di me, della vita della futura Italia, che, penetrata tutta della coltura e costituita in forma di verace democrazia, parlerà di noi e del nostro stato presente, come di infanti ciechi per errore». Egli vive e vivrà in mezzo a noi sotto l’aspetto da lui stesso descritto. Egli ha designate le forze e i valori che si agitano nel tempo nostro e fanno la storia, e ci ha additato il cammino che si può utilmente percorrere. Io sento ora e sempre la sua voce che mi dice, che dice a noi tutti: Avanti e in alto! * * * Il discorso ascoltato con attenzione vivissima, in religioso silenzio, è durato un’ora. Prolungati applausi hanno coronata la sua chiusa. Il ministro Boselli; gli on. Credaro, Chimienti, Pierantoni, De Amicis, i professori dell’Università e gran parte del pubblico hanno fatto le più vive congratulazioni all’oratore, che ha ottenuto un vero grande successo. 7.2. La commemorazione di Antonio Labriola all’università26 Il Consolato romano della Corda Fratres aveva preso l’iniziativa della commemorazione di Antonio Labriola che avrebbe dovuto avere luogo nel II° anni- 26 Da «La Vita», 19 marzo 1906. 266 Daniela Secondo versario della morte di lui: ma fu rimandata a causa dei disordini studenteschi per quali L’Ateneo venne chiuso. Comunque, la cerimonia ebbe luogo ieri e riuscì veramente imponente perché del maestro disse degnamente Andrea Torre e perché il concorso degli intervenuti fu grande e sceltissimo. Ai lati della vedova e della figlia del Labriola sedevano il ministro Boselli, il sottosegretario per la pubblica istruzione onorevole Credaro e l’on. Chimienti sottosegretario per la Grazia e Giustizia. Tra i molti altri presenti ricordiamo gli onorevoli Lacava, Cabrini e Lollini, Rava, Galluppi, il senatore Pierantoni e Schüpfer, i professori Impallomeni, Gregoraci Giuseppe, Vaccaro, Tauro, Boseo, Semeraro, Venturi, Montemartini, ecc. Moltissime anche le signorine e signore, numerosissimi gli studenti. Dopo che il rettore Tonelli ebbe presentato con brevi parole l’oratore, Rizzino, console della Corda Fratres, lesse le adesioni dell’on. Calandra, ministro delle finanze, del Rettore dell’Università di Oxford, dell’Università di Macerata e di Urbino, dell’Accademia di Lione, degli studenti Rumeni, dell’Associazione universitaria romana e degli studenti di Bruxelles. […]. Alla destra della cattedra era esposta una stela egregia opera di Ettore Ferrari, che rappresenta il maestro nell’atto di insegnare nella scuola. La stela riprodotta in marmo sarà posta nell’aula ove il Labriola insegnava. 7.3. Commemorazione di Antonio Labriola27 Stamane alle 11 nell’Aula Magna dell’Università, ha avuto luogo la commemorazione affettuosa e solenne alla quale ha partecipato, insieme con le autorità, una vera folla di studenti e di pubblico. […]. Durante la commemorazione si è scoperto il modello in gesso di una stele di Ettore Ferrari, che sarà poi tradotta in marmo e collocata nell’aula in cui il compianto maestro teneva le sue lezioni. La commemorazione riuscì veramente degna del gran pensatore. 27 Da «La Tribuna», 19 marzo 1906. La stele e lo stile di Antonio Labriola 7.4. Immagini dall’Archivio Centrale dello Stato28 Fig. 1 — Un anno prima della commemorazione di Antonio Labriola si costituisce il Comitato Promotore. 28 Archivio Centrale dello Stato (Roma), Ettore Ferrari, b. 14, fasc. 697. 267 268 Daniela Secondo Fig. 2 – La scheda di sottoscrizione. La stele e lo stile di Antonio Labriola Fig. 3 – Invito di Emilia Santamaria ad Ettore Ferrari per partecipare alla riunione del Comitato. 269 270 Daniela Secondo Fig. 4 – Invito di Andrea Torre a Ettore Ferrari per intervenire alla riunione del Comitato. La stele e lo stile di Antonio Labriola Fig. 7 – Ettore Ferrari, bozzetto della “Cattedra di Antonio Labriola” 271 272 Daniela Secondo 8. Riferimenti bibliografici ANDREUCCI F. – DETTI T., Il Movimento Operaio Italiano, Dizionario biografico 1853– 1943, vol. I, Roma, Editori Riuniti, 1975. Antonio Labriola commemorato da Andrea Torre, in «Il Giornale d’Italia», 19 marzo 1906. Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904– 2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. Commemorazione di Antonio Labriola, in «La Tribuna», 19 marzo 1906. DAL PANE L., Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1975. Gli unitari dal socialismo allo stato liberale. Le “note eccellenti” dell’on. Basso, in «Avanti!», 27 marzo 1925. LABRIOLA A., I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976. La commemorazione di Antonio Labriola all’università, in «La Vita», 19 marzo 1906. N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, prefazione di E. Garin, Torino, UTET Libreria, 2005. 9. Appendice. Confronto a due colori Allo scopo di mettere a confronto le tematiche dei due scritti presi in considerazione29, nel sottoparagrafo 9.1. (Labriola–Basso) adotterò il metodo, impropriamente detto, dei “due colori”, usando il “grassetto” per i vocaboli di Labriola ed il “normale” per il Basso. A prima vista si vedranno, così, le similitudini di vedute con le relative frequenze. Nei due scritti, ad una prima lettura, si ha l’impressione di visioni parallele riguardo a metodi, principii e sistemi: quella di Labriola, applicata alla storia e alla sua “filosofia”; quella di Basso, più spostata sull’asse delle scienze sociali, quasi ci fosse stata una contaminazione veicolata dal criterio scientifico–sperimentale. a) L. BASSO, Sul metodo delle scienze sociali. Tesi di laurea discussa con Antonio Labriola nella Regia Università di Roma «La Sapienza» il 27 giugno 1886, a cura di N. Siciliani de Cumis, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., pp. 545–556; b) LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, cit., pp. 23–60. 29 La stele e lo stile di Antonio Labriola 273 9.1. Labriola – Basso Civile (–i), 29, 33 Civile (–i), 547, 550, 553 Conoscenza, 25, 26, 27, 28, 32 Conoscenza, 548, 555 Coscienza, 36, 37, 38, 39 Coscienza, 546, 549, 551, 554, 556 Costume (–i), 37, 46 Costume (–i), 548, 552 Diritto romano, 46 Diritto romano, 547, 552 Diritto, 36, 42, 48 Diritto, 547, 551, 552 Dottrina, 25, 29, 30, 39 Dottrina, 551, 552 Embriologia, 556 Embrionali (Embriologia), 34, 35 Empirica (–o), (–che), 547, 551, 555, 556 Empirici, 29, 32 Empirismo, 33 Esperienza (–e), 553, 555 Esperienza, 35, 47 Esperimentazione, 553 Esperimento, 26 Esperimento, 550, 554 Evoluzione (Evoluzionismo), 34, 35, 40 Evoluzione, 547, 550 Fatti (Fatti sociali), 546 sgg. Fatti umani, 26, 30, 31 Fatto (–i) storico (–i), 25, 28, 29, 30, 32, 38 Filosofia della Storia, 25, 41 Filosofia, 25, 30, 38, 44, 48 Filosofia, 546 Forme, 27, 28, 31, 32, 34, 38, 46 Forme, 547, 548 Interesse, 25, 26, 27, 28, 31 Interesse, 549 sgg. Legge (Leggi), 546 sgg. Legge, 25, 37, 39, 46 Logica, 26 Logica, 546 Metodo (–i), 25, 26, 28, 31, 33, 35, 42 Metodo (–i), 546 sgg. Natura, 26, 34, 35, 42, 48 Natura, 547, 549, 550, 552, 554 Osservazione (–i), 547, 548, 551, 553 Osservazione, 26 Pensiero, 34, 38, 43, 47 Pensiero, 547 Popoli, 30, 33, 35, 45, 47, 49 Popolo (–i), 546 sgg. Principio (–ii), 25 sgg. Principio (–ii), 547 sgg. Prodotti, 35, 38 Prodotto, 546, 555 Progresso, 25, 27, 32, 35, 42, 46, 47, 49 Progresso, 546, 554 Proprietà, 28, 30, 31 Proprietà, 550 Psicologia (individuale, sociale), 25, 26, 30, 35, 36, 40 Psicologia, 548 274 Daniela Secondo Ragione, 39 Ragione, 547 Sistema, 25, 32, 36, 37 Sistema, 547 sgg. Religione, 27, 36, 48 Religioni, 548, 549 Società, 27, 49 Società, 546 sgg. Ricerca, 25 sgg. Ricerca, 553, 556 Spazio, 39 Spazio, 548, 553 Scientifica (–o), 25, 26, 27, 28, 32, 41 Scientifica, 547, 550 Spirito, 25, 26, 27, 35, 36, 46, 49 Spirito, 550 Scienza (–e) storica (–che), 35, 38 Scienza, 30 sgg. Scienza, 546 sgg. Storia, 25 sgg. Storia, 546, 547, 548, 555 Sentimento (–i), 552, 553, 556 Sentimento, 27, 32 Vita, 27, 48 Vita, 546, 547, 548 La stele e lo stile di Antonio Labriola 275 9.2. Indice dei nomi in Luigi Basso ARISTOTELE, 546 BACONE, F., 546 BAGEHOT, W., 555 BAIN, A., 554 BOSSUET, J.B., 555 BUCHANAM, G., 547 BURKE, E., 547 MACHIAVELLI, N., 546 MARIA STUARDA, 547 MENGER, K., 552, 555 MILL, J.S., 553 MILTON, J., 547 MONTESQUIEU, 550 PLATONE, 546 COMTE, A., 547 ROUSSEAU, J.J., 547 KANT, I., 547 SCHÄFFLE, A.E.F., 554 SPENCER, H., 550, 555 LANGUET, H., 547 LINDNER, G.E., 547 TOMASIO, C.T., 547 VICO, G., 546, 547 276 Daniela Secondo 9.3. Indice delle tematiche ricorrenti in Luigi Basso Anatomia, 556 Autorità, 550 Chimica, 548, 555 Civile (–i), 547, 550, 553 Conoscenza, 548, 555 Cosa, 547 Coscienza, 546, 549, 551, 554, 556 Costume (–i), 548, 552 Deduttivo, 550 sgg. Diritto civile, 552 Diritto divino, 552 Diritto naturale, 547 Diritto razionale, 547 Diritto romano, 547, 552 Diritto, 547, 551, 552 Dottrina, 551, 552 Economia politica, 552, 553 Embriologia, 556 Empirica (–o), (–che), 547, 551, 555, 556 Esperienza (–e), 553, 555 Esperimentazione, 553 Esperimento, 550, 554 Evoluzione, 547, 550 Fatti (Fatti sociali), 546 sgg. Fenomeni sociali, 547 Filosofia, 546 Fisica, 546, 548 Fisiologia, 556 Forme, 547, 548 Giurisprudenza, 552 Giustizia, 551, 552 Guerra, 546, 548, 552 Igiene, 556 Interesse, 549 sgg. Legge (Leggi), 546 sgg. Libertà, 547, 549, 550, 551, 553, 556 Logica, 546 Matematica (–che), 550, 553 Medicina, 556 Metodo (–i), 546 sgg. Morale, 547 Natura, 547, 549, 550, 552, 554 Nazionale (Nazionalità), 550, 551 Nazione, 550 sgg. Ordinamento politico, (giudiziario), 546, 547, 548 Organi, 554 Organismo (–i), 547, 548, 549, 554 Osservazione (–i), 547, 548, 551, 553 Pace, 548 Pensiero, 547 Politica teoretica, 554 Politica, 546, 556 Popolo (–i), 546 sgg. Pratica, 547, 552 Principio (–ii), 547 sgg. Procedimenti penali, 546 Prodotto, 546, 555 Produzione, 549 Progresso, 546, 554 Proprietà, 550 Prosperità, 548, 551, 553, 554 Psicologia, 548 Ragione, 547 Razionale, 548 Religioni, 548, 549 Ricerca, 553, 556 Rivoluzione francese, 547 Rivoluzione, 547, 548 La stele e lo stile di Antonio Labriola Scientifica, 547, 550 Scienza, 546 sgg. Scienze sociali, 546 sgg. Sentimento (–i), 552, 553, 556 Simpatia, 552 Sistema, 547 sgg. Società, 546 sgg. Sociologia, 546 Spazio, 548, 553 Sperimentale, 551, 553, 554 277 Spirito, 550 Storia, 546, 547, 548, 555 Sviluppo, 548, 549, 553 Tempo, 548 Teoria, 547 Uguaglianza (Eguaglianza), 547, 550, 551 Vincolo giuridico, 546 Vita, 546, 547, 548 Daniela Secondo 278 9.4. Indice dei nomi in Antonio Labriola BARZELLOTTI, G., 49 BIEDERMANN, G., 43 BÖCKH, A., 31n BUCKLE, [?], 48 COMTE, A., 34n., 40n. DARWIN, C.R., 48 DROYSEN, J.G., 31 FERRARI, [?], 37n. GERVINUS, G.G., 31 GIOBERTI, V., 46n. HEGEL, G.F.W., 40n., 41 sgg. HERDER, J.G., 41 HERMANN, K.F., 43 HUMBOLDT, W., 49n. HUXLEY, T.H., 35n. LAZARUS, R.S., 37 LINDNER, G.E., 36n. LIPPERT, J., 48n. LOTZE, R.H., 49n. MARLO, K.G.W., 29n. MAZZINI, G., 46n. MOMMSEN, T., 29n. MORSELLI, E., 34n. PAUL, H., 37 RENAN, J.E., 46n. ROLLIN, C., 29n. SCHÄFFLE, A.E.F., 36 SCHELLING, F.W., 40n. SCHILLER, J.C.F., 50n., 51n. SCHOPENHAUER, A., 34 STEINTHAL, H., 37, 49n. TOCCO, F., 46n. VERA, A., 43, 49 VICO, G., 31n., 39n., 50 WOLF, F.A., 31n., 49n. WUNDT, W., 37 La stele e lo stile di Antonio Labriola 279 9.5. Indice delle tematiche ricorrenti in Antonio Labriola Accadimenti umani (–storici), 31, 42 Ammaestramento, 43 Animo, 26, 27, 46, 49, 50 Antropologia, 34 Arte, 39, 42, 44, 48 Civile (–i), 29, 33 Civiltà, 25 sgg. Configurazione demografica, 30 Conoscenza, 25, 26, 27, 28, 32 Coscienza, 36, 37, 38, 39 Cose, 26, 29, 34, 40, 47 Costume (–i), 37, 46 Critica, 34, 36, 39, 45 Cultura, 27, 32, 42 Darwinismo, 48 Demografia, 33 Destino, 27 Diritto romano, 46 Diritto, 36, 42, 48 Disciplina (–e), 25, 26–29, 30, 33, 41 Dottrina, 25, 29, 30, 39 Economia, 29 Embrionali (Embriologia), 34, 35 Empirici, 29, 32 Empirismo, 33 Epigenesi, 35, 38, 39 Epoca (–che), 26, 30, 45 Esperienza, 35, 47 Esperimento, 26 Etica, 26, 48 Etnografia, 33 Evoluzione (Evoluzionismo), 34, 35, 40 Extrascientifica, 41 Fatti umani, 26, 30, 31 Fatto (–i) storico (–i), 25, 28–30, 32, 38 Filologia, 28 Filosofia della Storia, 25, 41 Filosofia, 25, 30, 38, 44, 48 Fisica sociale, 29 Forme, 27, 28, 31, 32, 34, 38, 46 Genesi, 34, 45 Genetico, 35 Grammatica, 31 Hegellismo, 49 Historica, 31 Ideologia (Ideologiche), 45, 48 Incivili, 33 Intelligenza, 28, 48 Interesse, 25, 26, 27, 28, 31 Interpretazione, 28 Istituto giuridico, 28 Istituzioni politiche, 31 Istrumenti, 27 Lavoro, 28, 30, 47 Legge, 25, 37, 39, 46 Lingua (–e), 37, 42 Linguistica (–i), 28, 29, 38 Logica, 26 Materia, 28 Metafisica, 39 Metodo (–i), 25, 26, 28, 31, 33, 35, 42 Miti, 37 Modi, 27, 34 Monismo (Monistica), 33, 42 Morfologia, 37 Natura, 26, 34, 35, 42, 48 Neo–formazione, 25, 32, 33, 38, 39, 46 Obiettività (Obiettiva), 25–26, 29–31, 46 Ordinamenti familiari, 31 Ordinamento, 34, 42 Osservazione, 26 Daniela Secondo 280 Paesi, 40 Paleografici, 28 Pedagogica, 31 Pensiero, 34, 38, 43, 47 Periodo, 26 Popoli, 30, 33, 35, 45, 47, 49 Preformazione, 38 Pregiudizio (–i), 29, 42, 43, 45 Prelazione, 26 Preordinazione germinale, 40 Principio (–ii), 25 sgg. Procedimento (–i), 25, 27, 28 Processo, 25, 32, 42 Prodotti, 35, 38 Progresso, 25, 27, 32, 35, 42, 46, 47, 49 Proprietà, 28, 30, 31 Psicologia, (individuale, sociale), 25, 26, 30, 35, 36, 40 Ragione, 39 Rappresentazione, 26 Regresso, 32, 47 Religione, 27, 36, 48 Ricerca, 25 sgg. Riproducibilità, 28 Scientifica (–o), 25, 26, 27, 28, 32, 41 Scienza (–e) storica (–che), 35, 38 Scienza, 30 sgg. Scienze morali, 34 Scienze naturali, 27 Scienze organiche, 37 Scuola herbartiana, 36 Sentimento, 27, 32 Sistema, 25, 32, 36, 37 Società, 27, 49 Spazio, 39 Spirito, 25, 26, 27, 35, 36, 46, 49 Storia, 25 sgg. Storiografia, 30, 37 Studi antropologici (etnografici), 30 Studi sociali, 33 Subiettività, 30 Tecnica, 48 Teoria epigenetica, 35 Tradizione, 25, 31, 36, 37, 42 Vita, 27, 48 Antonio Labriola e la multimedialità∗ Roberto Toro 1. Introduzione La figura di Antonio Labriola — così come essa si manifesta, all’inizio del ventunesimo secolo, alla nostra coscienza e alla nostra sensibilità — non appare (almeno ad uno sguardo sommario) contraddistinta da una rilevante contiguità con la dimensione multimediale. Sembra, infatti, possibile (e anzi necessario) riferirsi a Labriola — sia pure entro i limiti di una percezione estemporanea — come ad una personalità di studioso scientificamente rigoroso; a un intellettuale capace, in definitiva, di guardare avanti meglio e più di altri nella rappresentazione del proprio pensiero, giungendo infine a esprimere un punto di vista ben definito e pienamente consapevole sulla realtà1. Tutto ciò non sembra, sulle prime, potersi conciliare appieno con taluni aspetti del sentire multimediale, che è — anzitutto — un sentire plurivoco, consistente nella percezione scambievole e per così dire reversibile della realtà nel rapporto tra dimensioni diverse del comunicare. Da una parte, dunque, la personalità della quale Labriola dà prova, il rifiuto da parte del filosofo di ogni irragionevole supponenza; d’altra parte, il manifestarsi (nell’ambito multimediale) di linguaggi e codici differentemente articolati, perfino eterogenei, ma destinati — nella prospettiva dei potenziali utenti — a interagire nel contesto di un’informazione moltiplicata e “arricchita” rispetto ai dati iniziali. ∗ Pubblicato in «Slavia», n. 2, aprile–giugno 2006, pp. 93–108. «Labriola fu il primo marxista teorico in Italia, forse il maggiore: il primo autore che nei Saggi sul materialismo storico […] abbia tradotto l’eredità di Marx ed Engels su un piano alto e originale. Labriola diventa marxista a cinquanta anni, cioè dopo aver pensato e scritto per decenni come non–marxista. È un marxismo che risente del suo precedente liberalismo» (Labriola e la sua Sapienza, intervista di G. Gaetano a N. Siciliani de Cumis, pubblicata in rete il 24 marzo 2004 su M@g – Quotidiano online della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica. In rete all’indirizzo: http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia?id_cattnewsT=3887). 1 282 Roberto Toro In realtà il rapporto intercorrente tra Labriola e la multimedialità (si potrebbe, forse, aggiungere: tra l’universo labrioliano e l’universo multimediale), pur risultando difficoltoso sotto alcuni aspetti, non può ritenersi eccessivamente problematico. O, meglio, esso può apparire — a chi consideri con interesse e curiosità intellettuale le rispettive caratteristiche dei due “universi” — fortunatamente problematico: si tratta, infatti, di un rapporto assai promettente, se inteso in conformità delle necessarie premesse teoriche e degli esiti maggiormente significativi che da esso possono scaturire. Fra questi ultimi si annoverano, con particolare evidenza, la Mostra documentaria Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia, realizzata — dall’8 marzo al 25 aprile 2005 — «per i settecento anni dell’Università di Roma “La Sapienza” (1303–2003), ad un secolo dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004)»; e il libro–catalogo Antonio Labriola e la sua Università, realizzato — in corrispondenza di tale iniziativa — a cura di Nicola Siciliani de Cumis, con il contributo di «una nutrita schiera di giovani studiosi e studenti, collaboratori a vario titolo della Prima Cattedra di Pedagogia generale della “Sapienza”»2. Quest’ultima realizzazione può, in effetti, contribuire non poco — configurandosi come un proseguimento assai significativo dell’itinerario originariamente percorribile (in senso reale e metaforico) all’interno della Mostra labrioliana — a delineare il senso e la prospettiva di una visione “multimediale” di Labriola; essa può anche, naturalmente, contribuire a determinarne le condizioni e i limiti. Occorre, per l’uno come per l’altro momento della “ricostruzione” labrioliana, identificare un percorso di lettura che tenga conto della provvisorietà — identificabile, come si è visto, in riferimento a dati apparentemente contraddittori — delle premesse più sopra riportate; e che giustifichi l’approccio a un terreno (quello del Labriola “multimediale”, appunto) fertile ma non ancora sufficientemente conosciuto. Occorre, soprattutto, avvertire che siffatta ipotesi di lettura del “personaggio” Labriola (e dei contributi labrioliani in vario modo rappresentati nel catalogo) assume una connotazione tendenzialmente sperimentale, in conformità del carattere quasi “magmatico” — o, se si preferisce, omnimoventesi – dello studioso, «critico di tutti e anche di Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005, p. 13. 2 Antonio Labriola e la multimedialità 283 se stesso» ma soprattutto «felice quando altri sa conversare e comunicare con lui» (così scrive Gwynplaine, in occasione del venticinquesimo anniversario [1899] dell’insegnamento di Labriola alla «Sapienza»)3. È proprio la necessità di riconoscere alla “fisionomia” labrioliana una vocazione sperimentale che definisce appieno la condizione dello studioso, in riferimento al tema della multimedialità. Non si tratta, evidentemente, di un rapporto verificabile sul piano delle circostanze oggettive (Labriola muore nel 1904, molti anni prima dell’avvento del cinema sonoro e, soprattutto, della macchina di Turing); si tratta, invece, di una relazione assai suggestiva, tendenzialmente sfumata, che potrebbe — agli occhi di noi moderni — identificarsi mediante l’abbinamento dei termini fuori e dentro. Labriola si pone fuori del contesto multimediale per ragioni invero necessitanti (le circostanze di ordine temporale prima ricordate); egli può, tuttavia, situarsi dentro la multimedialità per il carattere intrinsecamente complesso, volto al divenire, della sua visione filosofica e pedagogica; può situarvisi anche in virtù della proiezione che i suoi estimatori, riferendosi alla manifesta attualità del pensiero labrioliano, hanno effettuato ed effettuano tuttora. Si pensi all’osservazione riportata da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche (paragrafo n° 90), relativa al metodo e al concetto stesso di filosofia: «È come se dovessimo guardare attraverso i fenomeni: la nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni, ma, si potrebbe dire, alle “possibilità” dei fenomeni»4; ciò sembra corrispondere assai bene all’iter compiuto da Labriola, sia in riferimento alla capacità labrioliana di “guardare attraverso” il proprio tempo in vista degli sviluppi futuri (prossimi o remoti), sia in relazione alla necessità che noi stessi — osservando il percorso labrioliano da un punto di vista privilegiato — giungiamo a individuarne le molteplici risorse, riconoscendovi il germe di possibilità esplicitamente o implicitamente costituite. 3 Il testo completo dell’intervento, originariamente pubblicato sulla rivista «Roma» (1899, pp. 475–477), è riportato in: A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. Siciliani de Cumis, Torino, UTET, 1981, pp. 665–669. 4 L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, ediz. it. a cura di M. Trinchero, Torino, Einaudi, 1967, p. 60. Cfr. anche: E. GARRONI, Estetica. Uno sguardo–attraverso, Milano, Garzanti, 1992, pp. 13–14. 284 Roberto Toro 2. Annotazioni per un Labriola “sperimentalista” La propensione di Labriola verso un atteggiamento innovativo e, per così dire, “sperimentalista” emerge con chiarezza nel testo di Giuseppe Boncori Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti pedagogici di Antonio Labriola. Lo scritto, compreso nel libro–catalogo della Mostra (pp. 208 e sgg.), pone in particolare evidenza la radice pedagogica del “farsi” teorico labrioliano e rappresenta, per questo motivo, un contributo non certamente trascurabile (al di là del valore intrinseco dal quale esso risulta, con evidenza, contraddistinto) al fine di accertare — ancora in riferimento al tema della multimedialità — le analogie e le differenze esistenti tra la prospettiva filosofica di Labriola e l’attuale prospettiva dell’informazione e della conoscenza, così come quest’ultima si configura nelle parole di Roberto Maragliano: «la direzione fondamentale verso cui procedere […] non è di imporre un ordine sull’altro, o un ordine prestabilito su un “disordine” considerato come aberrazione, ma di cercare punti di dialogo, confluenza e alleanza tra le molte modalità di definizione e organizzazione delle conoscenze, accettando di convivere con la quota ineliminabile di “rumore di fondo”, quindi con elementi di disordine»5. Occorre, anzitutto, evidenziare la dimensione interdisciplinare che risulta — nel citato scritto di Boncori — assegnata al contributo pedagogico labrioliano. L’insegnamento, precisa l’autore, «è visto da Antonio Labriola nel contesto dello svolgimento storico e delle sue “variabili” sociali e individuali, con dimensioni interdisciplinari e psicologico–sociali importanti […] Ad anticipare futuri discorsi applicativi è già un parlare di “individualità in continuo sviluppo” e di “sempre variati contatti col mondo circostante”»6. Una specifica attenzione viene riservata, da Boncori, alla rilevanza didattica della proposta labrioliana, con particolare riferimento alla formazione storica: «L’insegnamento della storia è un costrutto complesso in cui convergono varie dimensioni applicative del pensiero labrioliano tendente a “un’educazione interiore dell’animo” R. MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale, Roma–Bari, Laterza, 2004, p. 25. 6 G. BONCORI, Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti pedagogici di Antonio Labriola, in: Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 209. 5 Antonio Labriola e la multimedialità 285 che integri dimensioni spirituali e variabili “tecniche”, in vista di una “formazione del vivo senso delle cose, in quanto capaci di muovere lo spirito interessandolo”. La prospettiva con cui il Labriola si pone di fronte alla diacronia è quindi decisamente sincronica, ancora una volta interdisciplinare e critica sull’analisi e sulla progressione delle variabili»7. È, tuttavia, nel configurare il profilo del maestro che Labriola — così come emerge dalla visione proposta, in queste pagine, da Boncori — delinea i tratti essenziali di un ideale (destinato a realizzarsi soltanto dopo molto tempo8) di sperimentazione pedagogica: «[…] il maestro è l’elemento critico che, maturata egli stesso una motivazione e un interesse per la storia formativa del fanciullo, è in grado di stabilire un profondo legame formativo, “simpatetico”, “spirituale” che gli consente di porre in atto un intervento didattico realistico e capace di produrre gli sviluppi ipotizzati; questi verranno perseguiti attraverso metodi, strumenti, tecniche, interventi razionali e sempre verificati»9. La rilevanza assegnata al contesto metodologico corrisponde, in Boncori, al delinearsi di una pedagogia contrassegnata, fin dall’inizio del Novecento, da un’attitudine scientifica e sperimentale: a cominciare dalle esperienze di Alfred Binet (la “Scala metrica dell’intelligenza”, ideata dallo psicologo francese, risale al 1909) si assiste, infatti, a una progressiva ascesa delle nuove tendenze e all’instaurarsi di prospettive strettamente connesse con il progresso tecnico; lo sforzo di rispondere sempre meglio alle esigenze formative della società conduce — come ricorda Boncori all’inizio del proprio scritto — a costruire «strumenti progressivamente sempre più perfezionati, con tecnologie per una più rapida e sicura acquisizione dei dati (per esempio attraverso scanner ottici), elaborazione (per esempio attraverso test statistici fattoriali e multivariati) e comunicazione (per esempio attraverso Ivi, p. 211. Il riferimento labrioliano compreso nella citazione è tratto da: A. LADell’insegnamento della storia (1876), nella raccolta degli Scritti pedagogici, cit., p. 267. 8 «Pur senza riferirsi ad un concetto formale di sperimentazione, cosa peraltro fuori del contesto storico e culturale in cui opera il Labriola, ci sembra tuttavia di riscontrare nella descrizione professionale del maestro da lui elaborata un’aderenza a qualità che, qualche decennio più tardi, porteranno a distinguere l’esperienza dall’esperimento» (ivi, pp. 213–214). 9 Ivi, p. 213. 7 BRIOLA, 286 Roberto Toro sistemi informatici per la costruzione automatizzata e individualizzata di profili di orientamento)»10. A tali strumenti pedagogici (ascrivibili, almeno in parte, all’ambito delle nuove tecnologie) possono forse avvicinarsi i più recenti prodotti dello sviluppo multimediale, nella veste di sussidi didattici — e, in senso lato, formativi — ormai indispensabili. Si assiste, in definitiva, alla conferma dell’ipotesi che «la strumentazione tecnologica possa creare nella scuola nuove sintesi di metodi pedagogici; possa cioè consentire, nella pratica, la traduzione dei “criteri di cambiamento” in “nuovi modelli di interazione didattica”»11: tale mutamento, lungi dal poter essere definito in modo permanente, risulta determinato dall’intersezione di variabili — l’innovazione del sapere e la medesima possibilità di trasmetterne i contenuti — non riconducibili ad una sintesi definitiva (e, anzi, fondate sul divenire del contesto esperienziale). Se il ricorso a procedimenti informatici o audiovisivi nell’ambito della formazione si inserisce nella dimensione progettuale dell’operare didattico, il significato (tendenzialmente generico12) del termine “multimedialità” appare destinato a precisarsi in relazione agli specifici percorsi progettuali nei quali esso risulta utilizzato; ciò non esclude, peraltro, il possibile configurarsi di un vero e proprio modello di apprendimento multimediale, per così dire “trasversale” rispetto ai singoli itinerari didattici di volta in volta predisposti e resi operativi13. Ivi, p. 209. R. ZAVALLONI – M. PARENTE, Formazione degli insegnanti e innovazione educativa, Roma, Antonianum, 1980, p. 250. 12 «La multimedialità rischia di affondare nella multisemanticità. Per galleggiare e per navigare deve liberarsi di alcuni pesi. Tra questi, la genericità» (MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale, cit., p. 5). 13 «L’uso strutturale di strumenti multimediali preconizza una scuola di nuovo tipo. Antonio Calvani la definisce “Iperscuola”, in un saggio dallo stesso titolo. Non si vuol dire che non sia possibile utilizzare strumenti informatici o multimediali nell’ambito dell’organizzazione attuale, ma che essi tendono a cambiarne la forma, verso un modello che può essere realizzato anche parzialmente, ma che costituisce comunque un punto di riferimento e una tendenza del processo di trasformazione in atto» (E. RUFFALDI, Insegnare filosofia, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1999, pp. 151–152). 10 11 Antonio Labriola e la multimedialità 287 È nel delinearsi di una simile prospettiva (considerata nel suo insieme e non soltanto in riferimento agli sviluppi maggiormente avanzati) che possono trovare posto alcune tra le più suggestive intuizioni labrioliane: lo scritto di Boncori ne offre una significativa testimonianza. Pure, la necessità di situare i contributi di Labriola in una collocazione “naturale” — avvertita e resa esplicita dallo stesso Boncori — vale a ricondurre, in modo più generale, la figura di Labriola nel contesto che meglio le si addice: «[…] ciò che degli “scritti pedagogici” sembra più ermeneuticamente attuale, oltre agli aspetti brevemente accennati, è una dimensione trasversale che inserisce quest’autore all’interno dello sviluppo storico tra filosofia e pedagogia, quasi un ponte tra metodologie educative in un processo di fortissimi cambiamenti annunciati, tra teoresi e sperimentazione»14. Labriola come “uomo di confine”, dunque, in una visione che potrebbe — in modo, apparentemente, paradossale — presentarsi accanto a quella di un Labriola «pedagogista (nel senso lato della parola) solo fino ad un certo punto attuale»15. Non è, qui, in discussione lo spessore educativo dell’intera opera labrioliana16: «Il problema è […] di conoscere, alla fine, accanto al come ed al perché dell’attualità di un Labriola rivoluzionario in quanto educatore, il vantaggio che può forse derivare oggi, ancor più, dalla verifica e dall’accertamento dei fatti che sono alla base della sua stessa ipotizzata “inattualità” di filosofo e di marxista della Seconda internazionale»17. 3. Dalla Mostra al Catalogo: idee per un percorso di lettura La presenza, in Antonio Labriola, di un’apprezzabile apertura verso il nuovo (anche nei termini, fin qui introdotti, di un’attitudine in qualche misura sperimentalista) rappresenta, con ogni evidenza, un elemento importante nella delineazione di quel percorso di lettura del quale si è accennato, in vista di una possibile ricostruzione del rapporto Labriola– BONCORI, Metodologia sperimentale…, cit., p. 215. N. SICILIANI DE CUMIS, Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, p. 37. 16 Per le osservazioni espresse, in proposito, da Siciliani de Cumis, cfr. ivi, pp. 35 e sgg. 17 Ivi, pp. 39–40. 14 15 288 Roberto Toro multimedialità. Un ulteriore contributo al raggiungimento di tale obiettivo è rappresentato dallo scritto di Roberto Sandrucci, Mettere in mostra Antonio Labriola, anch’esso riportato — così come il predetto intervento di Boncori — nel libro–catalogo (pp. 71 e sgg.): si tratta di una riflessione assai stimolante — si potrebbe, forse, dire: energica — sul significato che dovrebbe ascriversi (ma che, in realtà, è ben lungi dall’essere ascritto) al catalogo, alla mostra e, soprattutto, alla figura di Labriola (con particolare riguardo alla funzione docente del medesimo). Sembra, in effetti, difficile non essere d’accordo sull’incipit dell’intervento di Sandrucci, quando egli — a proposito del catalogo come della mostra — invoca il manifestarsi «di apprezzamenti di qualsiasi segno»; appare, perfino, auspicabile che tali apprezzamenti si rivolgano anche alle sezioni maggiormente spettacolari della mostra («c’è del cinema e c’è del multimediale: dunque qualche abbaglio di suoni e di luci che tanto piacciono agli italiani»18) e magari allo stesso catalogo (che riuscirebbe, in verità, difficoltoso — sia pure assecondando la provocatio verbale dell’autore — considerare alla stregua di «una pedante esposizione di carte»). È, naturalmente, appena il caso di evidenziare (chiedendo venia a Sandrucci e allo stesso Labriola, il quale avrebbe verosimilmente condiviso il senso e apprezzato l’efficacia delle affermazioni appena tratte dall’articolo) che ci si trova d’accordo con la sostanza del discorso esaminato. L’accento situato dall’autore sul Labriola pedagogista risulta quanto mai significativo, connettendosi — nello scritto di Sandrucci — con il ritratto dell’università labrioliana (la quale «supera i muri dell’accademia per agire nel mondo in tempi e luoghi supplementari alla Cattedra: perciò non disdegna la piazza e la strada; si serve di quotidiani e periodici, siede al caffè, entra in fabbrica e in tribunale; e si adopera nei carteggi privati»19). Se la mostra, secondo l’osservazione di Sandrucci, deve considerarsi «una forma e una strategia dell’insegnamento della storia»20, quest’ultimo può — con ogni evidenza — definirsi, a partire dalla concezione laR. SANDRUCCI, Mettere in mostra Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 71. 19 Ibidem. 20 Ivi, p. 72. 18 Antonio Labriola e la multimedialità 289 brioliana, mediante un progressivo riconoscimento dei punti di vista a suo tempo espressi dallo studioso. Ad attestare la liceità di tale intendimento si situa — così come ricorda lo stesso Sandrucci — la consapevolezza che «qualcuno ha continuato a lavorare convinto della necessità di mantenere vivo (in verità bisognerebbe dire: resuscitare) una possibilità di dibattito. Sicuri che Labriola possa essere ancora scientificamente — e appassionatamente — interrogato; che sia disponibile a dare delucidazioni su singoli episodi e avvenimenti generali dell’Italia post–risorgimentale e del primissimo Novecento; a fornire spiegazioni su illustri e meno illustri; a parlare di identità nazionale»21. Tutto ciò sembra collimare con la possibilità che Labriola, davvero, sia già presente alla nostra coscienza, purché si abbia la sensibilità necessaria a saperlo interrogare; diversamente, si rischia di ricadere — come avverte Sandrucci — «nella ignoranza collettiva — o dimenticanza o rimozione […] di Antonio Labriola e delle questioni di cultura, di politica e di formazione, legate alla sua vita e alla sua riflessione»22. In quest’ottica non appare inutile riflettere — raccogliendo l’indicazione precedentemente offerta da Sandrucci — sulla natura del divenire storico, che può assumere prospettive e dimensioni non agevolmente prevedibili23. La condizione di sostanziale incertezza rispetto al divenire ha trovato, in effetti, conferma nel verificarsi della rivoluzione multimediale, apparsa — soprattutto nel corso degli ultimi decenni — come un evento capace di riflettersi sulla natura e sui medesimi presupposti di svariate categorie umane (lavoro, formazione e informazione, comunicazione): Labriola non avrebbe potuto, ovviamente, prevedere il costituirsi di tale fenomeno, ma il carattere progressivo della sua ricerca non consente a posteriori di situarlo fuori dalla prospettiva labrioliana, sia pure nei termini alquanto generici di una variatio delle opere dell’uomo. Diversamente rilevante, tuttavia, è la disponibilità della quale Labriola avrebbe dato prova (e, per quanto riguarda i “fatti umani” a lui contemporanei, ha effettivamente dato prova) nei confronti di tutto quanto potesse — in conformità di un atteggiamento dialettico — corrispondere a un punto di Ivi, pp. 72–73. Ivi, p. 72. 23 «[…] quello che del divenire una volta sembra svelato e fissato, in un successivo ricercare può traballare o franare senz’altro» (Ibidem). 21 22 290 Roberto Toro vista diverso dal proprio24: seppure Labriola avesse manifestato perplessità (o, magari, disapprovazione) riguardo alla “dimensione” multimediale, quest’ultima — si può essere certi — non avrebbe mancato di suscitare il suo interesse. Una conferma indiretta (ma non per questo meno significativa) del punto di vista fin qui delineato è nel rapporto — puntualmente definito nello scritto di Sandrucci — tra ricerca e didattica in Labriola. La presenza, nell’odierna istituzione scolastica, di una componente multimediale non effimera25, il ruolo non certamente marginale da quest’ultima esercitato nel più generale contesto della formazione, non potrebbero giustificarsi richiamando esclusivamente la sfera del procedere operativo: tali fenomeni non avrebbero acquisito (e non acquisirebbero) l’anzidetto rilievo, in assenza di una mutua fertilizzazione della prassi didattica con la ricerca pedagogica, sociologica, psicologica e anche informatica. Labriola sembra avere percepito assai bene — fin dal periodo di stesura (1869) del Socrate — tutto questo, seppure in una prospettiva necessariamente generica: «In Labriola la ricerca e la didattica molte volte si sono intrecciate; e così dovrebbe essere sempre: buone sorelle che si conoscono a perfezione, che sanno andare in soccorso l’una dell’altra, che si scambiano con gioia ogni bene in loro possesso (le vesti quotidiane al pari dei gioielli). Che nascono, infine, dalla medesima pianta che si po- 24 «[…] Labriola era assolutamente asistematico, coerentemente contraddittorio o, se si preferisce, contraddittoriamente coerente. Un pensatore dialettico, inquieto, che si forma in presenza dei propri interlocutori: singoli individui o gruppi, studenti, organizzazioni culturali, partiti politici» (Labriola e la sua Sapienza, intervista di G. Gaetano a N. Siciliani de Cumis, cit.). 25 La diffusione, a livelli notevoli, di una “cultura” multimediale si annovera — ormai da tempo — tra le finalità di molte istituzioni scolastiche. Essa corrisponde, seppure indirettamente, al punto di vista espresso (già nel 1974) da Robert F. Mager nel suo noto lavoro L’analisi degli obiettivi (Teramo, EIT, 1974, p. 13): «[…] l’unica giustificazione legittima dell’istruzione è la riduzione o eliminazione di una differenza autentica tra ciò che qualcuno “può” fare e ciò che egli o qualche altro “vorrebbe” che facesse». Il linguaggio multimediale rappresenta, per le recenti generazioni, uno strumento capace di garantire il più autentico contatto con la realtà; il medesimo problema dell’alfabetizzazione iniziale sembra, ormai, destinato a cedere il posto — per urgenza e importanza — al problema del possibile uso delle nuove tecnologie da parte dei giovani. Antonio Labriola e la multimedialità 291 trebbe descrivere come una specie di arbusto dalla bizzarra foggia di punto interrogativo»26. Nella parte conclusiva del proprio scritto, Sandrucci si sofferma brevemente — riprendendo un’osservazione iniziale — sulle modalità di allestimento del catalogo, «per la cui attuazione […] è stato decisivo il contributo, pratico e di idee, di studenti e di neo–laureati; dove hanno trovato spazio lavori eterogenei — di diversa impostazione, di competenze formate e di altre in graduale evoluzione; dove le proposte interpretative si sono arricchite mutuamente nel rispetto delle reciproche specificità»27. Siffatto modo di procedere corrisponde a una decisa (quanto suggestiva) affermazione di democrazia partecipativa; esso può considerarsi, nel medesimo tempo, una concreta manifestazione del concetto — in qualche misura generico — di multimedialità: colpisce, infatti, il riferimento di Sandrucci alla “eterogeneità” di proposte destinate ad “arricchirsi mutuamente”, proprio come le diverse componenti di un contesto multimediale. Si può, in effetti, considerare la realizzazione del catalogo come una sorta di variazione sul tema della multimedialità; ed è possibile, in conformità di siffatto orientamento, “leggere” il catalogo stesso rilevando l’eventuale presenza (e approfondendo, se opportuno, il significato) dei riferimenti — ivi contenuti — alla dimensione multimediale, sotto qualsiasi forma essi vengano presentati. È, questo, un elemento non secondario nella delineazione di un adeguato percorso di lettura, che consenta di valorizzare appieno gli aspetti meno evidentemente (ma, forse, più fattivamente) connessi, nel catalogo, con il profilo di un intellettuale aperto — come, forse, pochi altri — al nuovo. 4. Ipotesi per un Labriola omnimoventesi La presenza, nella parte terza del libro–catalogo (Percorsi: la Mostra, le Mostre su Antonio Labriola e la sua Università), di alcune annotazioni relative al pannello La Russia di Labriola si rivela assai interessante, in questa sede, per almeno due motivi: il primo risiede nella possibilità — espressamente suggerita nelle due pagine dedicate a tale argomento — di av- 26 27 SANDRUCCI, Mettere in mostra Antonio Labriola, cit., p. 73. Ibidem. 292 Roberto Toro viare, prendendo spunto dai documenti riprodotti, «il discorso sui rapporti tra Labriola e la Russia (con riferimento anche all’Italia)»28; il secondo consiste nel rendere, allo stesso modo, possibile — e quasi nel richiedere — un’osservazione non estemporanea (nelle due pagine anzidette così come nella terza parte del libro e, anzi, nel libro intero) di quanto risulti attinente, più o meno esplicitamente, al tema della multimedialità. A tali circostanze potrebbe, forse, aggiungersi un terzo elemento di interesse, consistente nella considerevole ampiezza — e, per così dire, nella stratificazione — dei non pochi riferimenti al suddetto ambito di indagine: la Russia di Antonio Labriola è, con ogni evidenza, il Paese di Tolstoj e di Plechanov, ma è anche la patria di Vygotskij e di Bachtin, di Ejzenštejn e di Prokof’ev, personaggi che potrebbero — pur nella profonda diversificazione dei rispettivi interessi — non risultare estranei l’uno all’altro; e che non sarebbe, perfino, ingiustificato avvicinare allo stesso Labriola. Tale reciproco accostamento è, anzitutto, motivato dallo spessore pedagogico delle esperienze variamente maturate; e rappresenta, anche, la motivazione maggiormente significativa del proposto avvicinamento a Labriola, “maestro perpetuo”. Se le pagine del catalogo dedicate al predetto tema (La Russia di Labriola) riportano alcune citazioni labrioliane relative a Tolstoj e a Plechanov — alle quali si aggiunge, tra l’altro, l’esplicito (e ben noto) riferimento all’evoluzione “borghese” della Russia: Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, capitolo quinto — e se tali posizioni valgono, di per sé, a denotare un orizzonte di indagine già abbastanza ampio, occorre avvertire che il discorso su Labriola e la Russia si configura come un’ipotesi di ricerca percorribile in molteplici direzioni, anche al di là dei medesimi presupposti “labrioliani” dai quali esso discende. Esaminare il tema dei rapporti tra Labriola e la Russia significa, infatti, imbattersi in una sorta di “spartito a più voci”, nella navigazione del quale sembra opportuno assumere in primis alcune coordinate culturali di riferimento, utili a delineare un quadro d’insieme assai articolato. Occorre evidenziare, a premessa delle osservazioni di seguito esposte, che l’anzidetto spartito assume un carattere composito e — per così dire — politonale, data l’eterogeneità degli elementi (personaggi, punti di vista, 28 Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 375. Antonio Labriola e la multimedialità 293 richiami biografici e non) in esso presenti: al centro di tale articolazione si situa, tuttavia, in modo permanente — assumendo il valore di un immediato punto di riferimento — la figura labrioliana. Si osserva, anzitutto, che il rapporto tra Labriola e Plechanov — opportunamente delineato nelle anzidette pagine del catalogo — rinvia al nesso identificabile tra lo stesso Labriola e Hegel. Sembra opportuno richiamare, in proposito, le indicazioni di Luigi Dal Pane: In un interessante studio sull’evoluzione filosofica di Marx, il sociologo russo Georgij Plechanov distingue, nella vita scientifica di quello, tre atteggiamenti diversi nei riguardi dello Hegel. Il primo è di adesione incondizionata alla filosofia hegeliana e comprende a un di presso gli anni che vanno dal 1830 al 1840. A tal periodo si riferisce la dissertazione intorno ad Epicuro. Nella seconda fase del suo svolgimento filosofico, il Marx si pone in aperto contrasto con lo Hegel e l’hegelismo tradizionale. In questo tempo egli scrisse La sacra famiglia, dove appunto troviamo la documentazione di una estrema severità verso lo Hegel. Nella terza fase, infine, il Marx, oramai giunto alla formulazione del suo sistema, guarda con serenità alla dottrina del grande filosofo. Anche la posizione del Labriola di fronte alla filosofia hegeliana subisce notevoli ondeggiamenti. Nella sua giovinezza intellettuale, l’influenza dello Hegel su di lui è predominante. Lo abbiamo infatti visto difendere con giovanile entusiasmo la dialettica dello Hegel contro lo Zeller, che iniziava il neokantismo. Ma la scarsa documentazione non ci ha permesso di determinare fino a qual punto giungesse la sua adesione al sistema hegeliano prima e dove arrivasse il successivo distacco […] per quanto non possa apparire a prima vista, i risultati delle nostre ricerche hanno dimostrato che il problema della storia è vivo in Labriola fin dalla giovinezza29. L. DAL PANE, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 125–126. Per quanto attiene specificamente alla visione labrioliana del «problema della storia», si consideri quanto segue: «Anche per Labriola […] la storia ha unità, un fine e un valore. La grande divergenza nei confronti della filosofia della storia idealistica sta in considerazioni metodologiche. Perché se è vero che l’idealismo ha fatto della storia qualcosa di più di una ‹esposizione empirica›, è anche vero che non basta la dialettica per spiegarne il movimento. La sue insufficienze vanno eliminate con l’uso del metodo genetico, già individuato da Humboldt, che studia il succedersi delle diverse sfere storiche con l’aiuto delle altre scienze (presentando così la grande innovazione della interdisciplinarità) e mira a individuare la molteplicità di origini (non una sola, che è quanto fa la dialettica) del cambiamento con analisi particolareggiate dei fatti empirici in cui le idee si concretizzano» (B. 29 294 Roberto Toro L’influenza della filosofia hegeliana su Labriola è stata, peraltro, esaminata più recentemente da Gian Piero Orsello, il quale — ripercorrendo, sulla traccia della lettura di Eugenio Garin, le principali tappe della formazione labrioliana — si esprime come segue: L’approfondimento intorno alla caratterizzazione del pensiero di Antonio Labriola e al processo di enucleazione di un suo autonomo indirizzo filosofico è stato considerato spesso in termini eccessivamente semplicistici sia quando si è voluto sopravvalutare la pregnanza del suo iniziale hegelismo, sia quando ne sono state separate in modo troppo netto le singole fasi, a scapito della sua intima continuità di sviluppo30. È, forse, lecito discutere — riprendendo quanto è stato detto più sopra — di un Labriola omnimoventesi, per così dire “sospeso” tra le radici hegeliane e le prospettive di un dibattito culturale “a più voci” con i succitati esponenti della cultura russa (un dibattito, si intende, virtuale)? A tale interrogativo è possibile rispondere affermativamente, a condizione di assegnare alla dimensione pedagogica una funzione assimilatrice delle diverse “realtà” labrioliane. È, infatti, lo spessore pedagogico del “maestro perpetuo” Labriola, il suo essere — come è stato accennato — un pensatore dialettico, che rappresenta la condizione e la premessa necessaria per relazionarsi (pur mantenendo sempre la propria specificità) CENTI, Antonio Labriola. Dalla filosofia di Herbart al materialismo storico, Bari, Dedalo, 1984, pp. 76–77). 30 G. P. ORSELLO, Antonio Labriola. Il pensiero del filosofo e l’impegno del politico, Milano, LED, 2003, p. 12. Particolarmente interessante appare (in vista, tra l’altro, di un’adeguata comprensione del Labriola “pedagogico”) il successivo riferimento alla dialettica hegeliana, che viene espresso dall’autore nei termini seguenti: «Un ritorno a Kant, come proponeva lo Zeller, aveva un semplice valore filologico, ma soprattutto veniva a significare una pericolosa dimenticanza dell’hegelismo nei suoi significati storico–fìlosofici. Perciò la via maestra era quella di sviluppare il pensiero di Hegel nella sua parte più vera, cioè, in quella parte che considera l’unità del reale inteso nel suo svolgersi, lasciando da parte le astrazioni che, attraverso gli elaboratori dell’hegelismo, avevano corrotto la dottrina facendole perdere ogni contatto col mondo storico. Antonio Labriola ebbe coscienza di questo importantissimo fatto, tant’è vero che la sua difesa di Hegel fu rivolta a mantenere in vita ciò che dell’hegelismo era vivo — la dialettica — e perciò suscettibile di ulteriore sviluppo in quanto si inseriva nel moto storico, anzi era la storia stessa» (Ivi, p. 17). Antonio Labriola e la multimedialità 295 con personaggi tanto diversi: «Si tratta […] di procedere gradualmente nell’indagine sui molti e diversi profili con cui si presenta via via la stessa cosa, Labriola, e ritrovare su un piano siffatto il senso proprio e nuovo di una educazione, per indiretta che possa risultare, oltre la cronaca, nella storia»31. Tali considerazioni assumono significato (in relazione alle testimonianze acquisite o, come si è detto, sul piano dell’ipotesi di ricerca) per le numerose figure di intellettuali più sopra citate, ma anche — in una misura non certo inferiore — per alcuni studiosi italiani: è, questo, il caso dello psicologo Sante De Sanctis32, che può avvicinarsi a Labriola in conformità di quanto osservato nel libro–catalogo (i documenti ivi introdotti si considerano infatti, secondo l’aspettativa già espressa, «utili ad avviare il discorso sui rapporti tra Labriola e la Russia, con riferimento anche all’Italia»)33. L’affinità “intellettuale” tra De Sanctis e Labriola può riconoscersi, ad esempio, considerando l’episodio qui di seguito descritto (assai significativo anche al fine di illustrare il “clima” culturale del tempo): Nel 1898 il nostro autore presenta alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma la sua domanda per ottenere la libera docenza in Psicologia sperimentale che successivamente rinnoverà sopprimendo precauzionalmente l’attributo “sperimentale” considerato di problematica accettazione in sede filosofica. La commissione della Facoltà di Filosofia (composta dai professori Labriola, Barzellotti, Turbiglio) accoglie la domanda del nostro autore. Questa però viene respinta dal Consiglio superiore della pubblica istruzione che, nel maggio del 1901, facendo proprie le argomentazioni del filosofo e senatore neokantiano Carlo Cantoni (1840–1906), sostiene che l’insegnamento della Psicologia non SICILIANI DE CUMIS, Laboratorio Labriola, cit., p. 34. «Lo spessore scientifico di Sante De Sanctis (1862–1935) e la poliedricità dei suoi interessi di ricerca, almeno nelle linee generali, sono ben noti. Nella storia della psicologia italiana De Sanctis è indubbiamente un personaggio di primo piano, uno dei fondatori della nuova disciplina tra ‘800 e ‘900. Attraverso la sua ininterrotta produzione scientifica (sono più di 300 i lavori pubblicati) e la sua attività divulgativa ed organizzativa ha lasciato una traccia importante nella storia della psicologia concorrendo all’affermazione della disciplina» (Sante De Sanctis tra psicologia generale e psicologia applicata, a cura di G. Cimino e G. P. Lombardo, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 7). 33 Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 375 (corsivo mio). 31 32 296 Roberto Toro possa venire affidato in una Facoltà di Filosofia ad un “non–filosofo”. Nello stesso anno ad Ancona, per iniziativa di Enrico Morselli (1852–1929) e di Augusto Tamburini (1848–1919), il Congresso della Società freniatrica italiana, dopo ampio e significativo dibattito, riconosce invece la Psicologia sperimentale come insegnamento universitario. Nel dicembre del medesimo anno, nonostante il perdurante parere sfavorevole del Consiglio superiore, il ministro della Pubblica istruzione, Nunzio Nasi (1850–1935), concede a De Sanctis la libera docenza in Psicologia. È a partire dall’anno accademico 1906–1907 che De Sanctis vincendo una cattedra di Psicologia sperimentale, messa a concorso dal ministro della Pubblica istruzione Leonardo Bianchi (1848–1927), andrà ad insegnare questa disciplina presso la Facoltà di Medicina della Regia Università di Roma34. 5. Conclusioni La presenza, nel libro–catalogo, di un apprezzabile livello di multimedialità rappresenta — così come si è fin qui cercato di evidenziare — un elemento non certamente secondario nella determinazione di un proficuo percorso di lettura: occorre, peraltro, tenere conto della varietà dei significati ascrivibili al termine “multimediale” — in riferimento alle caratteristiche del testo — ed enucleare, conseguentemente, alcuni livelli di complessità identificabili nella struttura dell’opera. Un primo livello è costituito dall’accostamento, corrispondente a una precisa scelta redazionale e per così dire “compositiva”, di immagini e testi — particolarmente nella sezione intermedia del catalogo — con la funzione di veicolare informazioni e concetti: il ricorso a un duplice registro espressivo, sviluppato secondo criteri di autonomia dei linguaggi 34 Sante De Sanctis tra psicologia generale e psicologia applicata, cit., p. 160. Significativo appare il confronto con il punto di vista espresso da Labriola, nella nota lettera a «La Tribuna» del 12 luglio 1887, per quanto attiene alla questione delle “lauree in filosofia”: «Io credo fermamente che, nel giro degli studi universitarii, la filosofia abbia ad essere, non un complemento obbligatorio della storia e della filologia, ma un complemento, invece, facoltativo di qualunque cultura speciale: storica, giuridica, matematica, fisica, o che altro siasi. Alla filosofia ci si deve potere arrivare didatticamente per qualunque via, come per qualunque via ci arrivaron sempre i veri pensatori» (A. LABRIOLA, Lettera pubblicata sul periodico «La Tribuna» il 14 luglio 1887, in N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia ed Università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Urbino, Argalia, 1975, p. 117). Antonio Labriola e la multimedialità 297 utilizzati, si traduce in un considerevole (e immediato) potenziamento del messaggio trasmesso. Un secondo livello, maggiormente elaborato rispetto al precedente, consiste nel prevedere — nell’ambito del catalogo — il ricorso a una pluralità di generi testuali, destinati a un frequente avvicendamento: dai dibattiti ai saggi, dalle citazioni (lettere, verbali, relazioni) alle didascalie; ciò determina, ancora, un rafforzamento dell’espressività insita nell’articolazione linguistica e formale del discorso. Un ulteriore livello di complessità è offerto dalla ramificazione della struttura concettuale: è, infatti, possibile ravvisare nel catalogo una sorprendente varietà di approcci al “personaggio” Labriola, anche attraverso la presentazione di ambiti d’indagine piuttosto inconsueti. È, questo, il caso della pagina dedicata a La musica secondo Labriola e il Carnevale di Roma, nella quale si ha quasi l’impressione di un attenuarsi (sia pure momentaneo) del “rigore” labrioliano, in vista della presenza a Roma — in occasione del Carnevale — della «diva Patti, persona sufficiente a togliere le noie della camera e degli uomini politici»35. La compresenza dei tre livelli — fin qui esaminati — di articolazione concettuale (e contestuale) corrisponde al delinearsi di una rete di significati, che non si definiscono necessariamente in un percorso prestabilito ma rimangono aperti a ogni possibilità di accostamento (e, naturalmente, di indagine): l’approccio sequenziale ai contenuti del catalogo può trasformarsi, secondo l’orientamento del lettore, in un’interpretazione di tipo diverso — reticolare, appunto — la quale richiama assai da vicino alla mente il configurarsi di un ipertesto. Si realizza, in tal modo, l’avvicinamento di due dimensioni altrimenti destinate a rimanere distanti (l’omogeneità del supporto cartaceo all’informazione e il rilievo da annettere a un prodotto multimediale), quasi superando la concezione — delineata da Antonio Calvani — del libro come “sistema noetico”: «Un medium porta con sé una “filosofia” implicita della conoscenza. Ogni oggetto–prodotto, specifico dei vari media (libro, film, software…) ha l’impronta di un’architettura noetica propria della matrice da cui deriva. Esso non è rappresentato solamente da un puro insieme di infor- Frammento di una Lettera di Antonio Labriola ad Angelo Camillo De Meis (1877), in: Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 354. 35 298 Roberto Toro mazioni ma anche da una complessa metodologia di trattamento della conoscenza. Questa architettura è in qualche modo già fissata al momento in cui l’individuo entra in rapporto con l’oggetto, ne condiziona la fruizione e l’elaborazione consentita»36. 6. Appendice. Grafico inerente alla composizione del libro–catalogo Percentuale corrispondente alle diverse sezioni del libro-catalogo 1% (Premessa) 42% (Parte quarta) 12% (Parte terza) 1% (Presentazioni) 8% (Ingressi) 13% (Parte prima) 23% (Parte seconda) Premessa Presentazioni Ingressi Parte prima (Antonio Labriola e la sua Università, Roma, 2-3 febbraio 2004) Parte seconda (Punti di vista) Parte terza (Percorsi: la Mostra, le Mostre su Antonio Labriola e la sua Università) Parte quarta (Momenti e moventi) A. CALVANI, Dal libro stampato al libro multimediale: computer e formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1990, p. 18. 36 Antonio Labriola e la multimedialità 299 7. Riferimenti bibliografici e risorse individuate in rete 7.1. Testi consultati Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904– 2004), a cura di N. Siciliani de Cumis, Roma, Aracne, 2005. BELLERATE B., Filosofia e pedagogia, Torino, Società Editrice Internazionale, 1983, p. 538. BERTONDINI A., Antonio Labriola: educazione, politica, cultura, Urbino, Argalia, 1974. ID., Labriola, Assisi, Cittadella, 1977. BONCORI G., Metodologia sperimentale e ricerca educativa: intuizioni negli Scritti pedagogici di Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 208 e sgg. CALVANI A., Dal libro stampato al libro multimediale: computer e formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1990, p. 18. ID., Multimedialità nella scuola. Perché e come introdurre le nuove tecnologie nell’educazione, Roma, Garamond, 1996. ID., I nuovi media nella scuola. Perché, come, quando avvalersene, Roma, Carocci, 1999. CENTI B., Antonio Labriola. Dalla filosofia di Herbart al materialismo storico, Bari, Dedalo, 1984, pp. 76–77. CIMINO G. – LOMBARDO G. P. (a cura di), Sante De Sanctis tra psicologia generale e psicologia applicata, Milano, Franco Angeli, 2004. 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II. 300 Roberto Toro ID., Lettera al periodico «La Tribuna» (pubblicata il 14 luglio 1887), in N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia ed Università. Da Labriola a Vailati 1882–1902, Urbino, Argalia, 1975, p. 117. ID., Lettera ad Angelo Camillo De Meis (1877), in Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 354. ID., I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976. MAGER ROBERT F., L’analisi degli obiettivi, Teramo, EIT, 1974, p. 13. MARAGLIANO R., Nuovo manuale di didattica multimediale, Roma–Bari, Laterza, 2004. MARCON P., Formazione e politica, Roma, La Goliardica, 1979. MERKER N. (a cura di), Storia della filosofia, vol. III, pp. 248–250. ORSELLO G.P., Antonio Labriola. Il pensiero del filosofo e l’impegno del politico, Milano, LED, 2003. RONCAGLIA G., Oltre la cultura del libro?, in «Iter. Scuola, cultura, società», anno I, n. 2, maggio–agosto 1998, pp. 24–30. 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Appendice Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko1 Nicola Siciliani de Cumis La certezza del risultato non si misura soltanto dalla precisione istrumentale dei metodi paleografici, filologici, linguistici, o come altro si chiamino, ma anche e principalmente dal grado di trasparenza e di riproducibilità teorica della materia presa in esame. […È] affatto erroneo l’indirizzo didattico di coloro, che applicandosi agli studi storici, si danno gran pensiero d’impadronirsi soltanto degli ovvii mezzi istrumentali della critica, e sperano che la cognizione reale della materia debba venir da sé. Ma dove manchi la cultura teoretica, poniamo dell’economia e del diritto; o dove faccia difetto l’intelligenza della funzione psicologica p. e. della lingua o della religione, è inutile che altri si travagli nell’esercizio della critica diplomatica o filologica: l’uso anche corretto degl’istrumenti non affida di nulla. Antonio Labriola – Come fa lei a sapere tutto questo? — gli chiesi. – Io non parlo mai senza le prove. Non sono di quella razza, io, guardi qui… Aprì un pacchettino che aveva tirato fuori da una tasca interna. Nel pacchettino c’era qualcosa di bianco e nero, una strana miscela. Anton S. Makarenko 1. Lungimirante Poe Debbo ad Edgar Allan Poe2 una splendida rappresentazione avant la lettre della circostanza “recensiva” di cui dirò; e di cui vorrei riferire, a Ciò che segue è il testo di una “spiegazione” richiestami da alcuni laureandi e studenti che, preparando l’elaborato di laurea, ovvero gli esami di Terminologia pedagogica e di scienze dell’educazione e di Pedagogia generale, hanno saputo della recensione di cui più sotto si viene a dire: e hanno chiesto quindi di conoscere la mia opinione a riguardo. Opinione, che viene qui restituita nell’essenziale. 2 E.A. POE, Regole di critica letteraria, in ID., Scritti ritrovati, a cura di F. Mei, con sette disegni di F. Clerici, Brescia, Shakespeare and Company, 1984, pp. 164–165. 1 306 Nicola Siciliani de Cumis mia volta recensivamente, nella persuasione di contribuire, così facendo, al chiarimento almeno del mio punto di vista. E dunque. Per quanto evidentemente ignaro dello “stato dell’arte” su Antonio Labriola, e superando felicemente barriere secolari e steccati disciplinari, Poe si rivela incredibilmente lungimirante e straordinariamente “al corrente”. Un testimone oculare, diresti, delle furbizie miopi, delle chiusure narcissiche e delle conseguenti meschinerie dei letterati di ogni tempo, di cui prendere utilmente atto anche a futura memoria. Questi pertanto i passi salienti delle sue impareggiabili “istruzioni per l’uso”, su come stroncare ingiustamente un libro. Scrive: Lasciate che lo spirito del libro in se stesso prenda cura di sé, o che sia oggetto di qualche mano più competente, e per parte vostra procedete ad enumerare gli errori verbali: ogni libro ne contiene abbastanza per farlo condannare, se dovesse essere giudicato solo in base ad essi […]. Ogni errore scoperto in un libro aiuta ad ostacolare la sua vendita e risponde al fine precipuo della critica letteraria, che è quello di mettere il critico, e non l’autore recensito, in una posizione di vantaggio. Di qui, allora, una precisa indicazione di strategia del recensore velenoso per partito preso, che alla luce di ciò che dirò, da un lato, è impressionante per l’aderenza alla situazione labrioliana descritta; da un altro lato, introduce nuovi elementi metodologicamente significativi, di cui tenere ulteriormente conto. Continua infatti Poe: La miglior linea di condotta è di giudicare il libro non per quello che è effettivamente e che vuol essere, ma per quello che non è e che l’autore non ha mai inteso che fosse; in base a questo, pronunciare una condanna irrevocabile. Con questo sistema costringete l’autore stesso a riconoscere la verità della vostra critica; e di fronte a coloro che si affidano a voi per farsi la loro opinione, sarete considerato un recensore profondo, splendido e brillante. Di tutti i modi di recensire un libro, questo offre il più ampio margine di estro, perché non vi costringe a limitarvi all’opera in esame, ma vi permette di citare liberamente dall’ultimo libro che avete letto. Se il libro da cui citate, dovesse trattare un argomento diverso da quello che state recensendo, vi servirà a fare apparire l’autore molto ridicolo, mostrando quanto egli sia diverso da qualcun altro. Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 307 E non è tutto: ché la preveggenza di Poe si esercita, per così dire, anche bilateralmente, guardando egli insieme sia al recensito che al recensore. E fornendo ad entrambi la spiegazione dei meccanismi interni alla disamina (si fa per dire) critica dello stroncatore pro domo sua, che si studi tuttavia, pur nella propria intrinseca pochezza, di apparire avveduto, erudito, portatore di novella scienza: Niente è più facile che far apparire ridicola un’altra persona, ma non è sempre facile al tempo stesso riuscire a non apparire tali. Perciò, si deve esser sempre molto cauti, nel fare a pezzi un autore, a non infliggere delle ferite a se stessi. In una recensione, lo scopo principale è di far sì che il recensore, non il recensito, appaia in una posizione di vantaggio. Il critico perciò deve spulciare tutte le notizie e le idee brillanti che può, dal libro che sta recensendo, e spargerle qua e là nel suo articolo, senza rivelare la fonte della loro origine. Il più grande sforzo che deve prefiggersi un recensore è di mettere se stesso tra il pubblico e l’autore, cosicché l’autore viene perso completamente di vista quando l’articolo arriva alla fine. 2. C’è Mamozio e mamozio Eppure, devo essere molto grato a Stefano Miccolis, per la sua stroncatura del catalogo da me curato Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), Roma, Aracne, 2005 [seconda edizione 2006]3. Grato nondimeno alla rivista che ospita la recenEdizione, che si giova delle seguenti correzioni e/o integrazioni. Nel titolo: non «Settecento» ma «settecento». A p. 13, seconda colonna, rigo 12°: al posto di «Campatola» va «Campajola». A p. 39, seconda colonna, rigo 3° dal basso: non «tutti», ma «tutto». A p. 46: a sinistra del riquadro su «I problemi della pedagogia», che andrebbe spostato leggermente a destra, le seguenti parole di spiegazione: «La rivista “I problemi della pedagogia” rinvia, tra l’altro, ai contributi su Labriola di Dina Bertoni Jovine: cfr., in particolare, A. LABRIOLA, Scritti di pedagogia e di politica scolastica, Roma, Editori Riuniti, 1961». A p. 140, seconda colonna, rigo 16° dal basso: non «la compete», ma «le compete». A p. 224, seconda colonna del testo, rigo 7° dal basso: non «Credano», ma «Credaro». A p. 376, nel pannello a colori su “Labriola e gli anarchici” (seconda parte): alla fine della didascalia accanto all’immagine di Labriola che conclude il pannello, aggiungere «Il ritratto qui accanto è di Franco Flaccavento». A p. 409: alla didascalia (dopo le parole “autobiograficamente al cassinate”), oc3 308 Nicola Siciliani de Cumis sione, «Belfagor», per il contributo di visibilità offerto, nel fare da cassa di risonanza e da amplificatore della rubizza sonorità della “noterella– schermaglia”, già nel titolo della recensione e nei titoletti dei paragrafi. L’intervento di Miccolis, infatti, con le sue chiose correttive e integrative, è un ottimo pretesto per riportare il discorso sul Labriola che conta. Risulta anzi, per la stessa ragione, perfino collaborativo con il curatore; ed esemplare, proprio alla luce delle modalità “tecniche” prospettate da Poe. Direi maieutico, soprattutto in previsione di una terza edizione del catalogo, emendata se possibile dagli errori ed auspicabilmente arricchita di nuovi apporti: e con indice dei nomi, indice analitico e, forse, con la numerazione delle ottanta pagine a colori con i pannelli della mostra. Un’edizione, alla quale stanno ora attendendo i collaboratori della Prima Cattedra di Pedagogia generale della «Sapienza» di Roma, assieme agli studenti dei corsi di quest’anno e a quanti partecipano variamente alle attività del “Laboratorio Labriola”. Anche il fatto che Miccolis abbia scelto di usare il registro di una cipigliosa stroncatura e l’enfasi di una sproporzionata polemica, per le regioni che cercherò di dire, è per noi un vero regalo. Proprio la gratuità correrebbe aggiungere ciò che segue: «A tale precedente accademico “romano”, sono quindi da accostare gli importanti, autonomi contributi labrioliani di Augusto Guerra. Così, per es.: Studi sulla vita e il pensiero di Antonio Labriola (1947–1956), in «Rassegna di filosofia», 1957, 1, pp. 5–34; Labriola educatore e moralista, in Il mondo della sicurezza. Ardigò, Labriola, Croce, Pubblicazioni dell’Istituto di filosofia dell’Università di Roma, Firenze, Sansoni, 1963, pp. 87–140; Determinismo e libertà nello storicismo di Antonio Labriola, in «Studi storici», 1965, 3, pp. 501–506». A p. 573, seconda colonna, tra il quarto e il quinto rigo ci vorrebbe una doppia interlinea (come avviene per tutte le altre lettere, nelle pagine successive). Ad una nuova rilettura, dopo che la nuova edizione era stata approntata, sono venuti fuori alcuni errori e affiorate altre disfunzioni tipografiche e/o redazionali, tuttavia di non grande rilievo. Se ne dirà, in qualche caso nel corso del presente articolo; in qualche altro caso, si provvederà a correggere direttamente nella prossima edizione: che, da un lato, riproporrà il catalogo con le integrazioni e le correzioni che risulteranno necessarie; da un altro lato, in un secondo tomo, raccoglierà un’ampia scelta dei materiali scientifici e didattici che, in presenza del catalogo, ora nella forma della recensione, ora nella forma dell’articolo autonomo “a partire da”, ovvero come esercizio di ricerca o elaborato scritto di studenti universitari impegnati in esami e lauree, sono stati prodotti in varie sedi e segnatamente alla «Sapienza», dopo l’aprile 2005. Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 309 della sortita “filologistica” è un bene pedagogico prezioso, per differenza. Che tra l’altro, in un gruppo di lavoro con un certo grado di affiatamento, si presta ad essere vissuto umoristicamente e a fare, per così dire, da colla sociale e da stimolo ulteriori. E se Miccolis, ha preferito rifarsi all’immagine di un Labriola– mamozio (che vuol dire fantoccio, bamboccio, ritratto d’uomo mal riuscito), la cosa sembra in realtà riguardare la mostra e il catalogo solo fino ad un certo punto. Sollecita invece ad appuntare l’attenzione sul Labriola “altro”, che è stato ed è oggetto di documentazione e di studio alla «Sapienza»; e di riprendere il discorso su temi e problemi labrioliani di maggiore interesse, spererei, per gli studiosi seriamente impegnati a cogliere l’unitarietà dell’opera di Labriola; e, dunque, sul grado di novità dei contributi in tal senso, proprio a partire dal «mamozio» evocato trionfalmente dal recensore, come inconsapevole autocaricatura, finzione del sé, svuotamento della propria funzione critica. Insomma, un mamozio anche lui. A parte il disappunto che mi produce il fatto che, per risultare più efficace nella stroncatura, Miccolis si sia voluto servire proprio di quel «Mamozio», che rimanda sinistramente allo strazio degli ultimi giorni di Labriola, è tuttavia anche vero che — anche alla luce degli inediti esposti nella mostra e stampati nel catalogo — proprio il Mamozio di labrioliana memoria, assume una grande importanza per capire Labriola, sia in quanto tale, sia nel quadro dei suoi rapporti con Benedetto Croce4; e, ancora di più, con Giovanni Gentile: Caro Benedetto […] Di Gentile non m’importa d’approfondire più nulla. Faccia il comodo suo… e invochi il perdono di Hegel per gli spropositi che gli attribuisce… Giudizi analitici! È un modo di servirsi delle formule kantiane per ispiegarsi. E poi hai capito… perché neghi la comprensione filosofica della natura e della storia… E ti pare poco? Quello Spirito che non ha niente che fare con la A. LABRIOLA, Epistolario 1896–1904, introduzione di E. Garin, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 1004 (una lettera del 5 gennaio 1904). 4 310 Nicola Siciliani de Cumis Natura da cui risulta e con la Storia che è la somma delle sue manifestazioni deve essere… un bel Mamozio. Mandamelo come dono della Befana»5. Ed è un Mamozio, questo di Labriola, con la lettera maiuscola, che denominerei qui Mamozio Primo, per non confonderlo con il mamozio secondo, di cui si limita a dire Miccolis. Che è un «mamozio» con la lettera minuscola che, per l’evidente incapacità di comprensione dell’importanza del problema da lui stesso evocato, allontana inopinatamente l’attenzione dal «Mamozio» caro al Labriola, del quale proprio il catalogo offre invece un significativo, inedito riscontro, nei due pannelli della mostra che illustrano «L’ultimo concorso» e «L’“anti–Gentile”, ovvero il testamento hegeliano di Labriola»6. Basti pensare, infatti, alle parole (finora ignote) con cui Labriola boccia Gentile al concorso di Filosofia teoretica a Palermo. Parole, che rienA. LABRIOLA, una lettera a Benedetto Croce del 5 gennaio 1904, in Antonio Labriola e la sua Università, cit., nei pannelli della mostra dal titolo «L’ultimo concorso» e «L’“anti–Gentile”, ovvero il testamento (hegeliano) di Labriola». 6 Per completezza di informazione sulla mostra e sul catalogo, a proposito dei rapporti tra Labriola e Gentile, sono da ricordare i supplementi di documentazione “fuori catalogo”, messi a disposizione dei visitatori della mostra, nella sede della Fondazione «Giovanni Gentile» (Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza»); e che faranno parte, sia di un volume di documenti labrioliani in preparazione per conto del Rettorato della Prima Università di Roma, sia di un DVD sull’Anno labrioliano alla stessa «Sapienza», anch’esso in preparazione. Cfr. quindi, nel medesimo ordine di idee, le pp. 582–586 del catalogo, dal titolo «Per Giovanni Gentile libero docente di filosofia teoretica nell’Università di Napoli, 1902» (pp. 582– 586 del catalogo). Un testo, quest’ultimo, anch’esso riferibile criticamente al problema del Mamozio Primo, giacché l’autore (Laudisi), ad un certo punto, chiama in causa l’interpretazione della dialettica di Hegel e Marx, secondo Gentile, come conforme a quella data da Labriola (oltre che, ahimè, da Loria e Chiappelli), e in opposizione a quella offerta da Sorel e Croce: «Di guisa che il Marx mantiene da Hegel il procedimento dialettico ed il concetto che la storia umana è un divenire per processo di antitesi: e si contrappone al suo maestro per il contenuto e il soggetto di questo procedimento in quanto che reputa che non è l’idea o che altro di astratto che si sviluppa dialetticamente, ma la società in quello che ha in se stessa di essenziale e di originario, il fatto economico, dal quale fatto tutti i fenomeni dipendono e derivano. Interpretazione codesta del materialismo storico in certa guisa, a me sembra, conforme a quella dell’Engels ed in Italia del Loria, del Labriola e del Chiappelli ed in opposizione alla interpretazione data dal Sorel e dal Croce» (p. 584 del catalogo). 5 Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 311 trano perfettamente nel quadro dell’importante problematica del Mamozio Primo, respingendo al mittente l’invenzione distrattiva del mamozio secondo (e del suo mentore): Il Gentile si professa rappresentante della rinascita dell’idealismo, e con ciò intende di dire che si torni ad Hegel sic et simpliciter. Così si manifesta nella sua produzione, nei proemii alle ristampe degli scritti dello Spaventa, e in qualche opuscolo di polemica segnatamente col Varisco. Del resto le sue pubblicazioni importanti sono di storia della filosofia; e in queste la preoccupazione speculativa cede il posto alla ricerca erudita, all’analisi delle fonti, alla esposizione obiettiva. Fra i titoli esibiti dal Gentile non ve n’è alcuno di strettamente dottrinale nel senso di ciò che occorre a documentare la preparazione diretta ad insegnare la filosofia teoretica. Un giudizio, questo di Labriola su un Gentile sic et sipliciter “hegeliano”, che, come dicevo, risulta perfettamente coerente con la presa di posizione labrioliana sul Mamozio Primo della lettera a Croce. Un giudizio, cioè, che anche e soprattutto alla luce dei pareri espressi dallo stesso Labriola sugli altri concorrenti nel medesimo concorso palermitano (pareri anch’essi esposti nei pannelli della mostra e riproposti quindi nel catalogo)7, chiarisce ulteriormente il quadro concettuale per esplicito hegeliano e anti–gentiliano di Labriola: e, quindi, la complessità della posizione teoretico–pratica labrioliana, tra «Spirito», «Natura», «Storia», che si contrappone alla semplificazione “mentalistica” gentiliana di Hegel, in quanto, secondo Labriola, non è che «analitica», nel significato restrittivamente kantiano del termine… E per l’appunto il «Mamozio», niente altro che il Mamozio Primo, nell’ottica di Labriola e del suo “anti–Gentile”. Un «Mamozio», dunque, che, se correttamente inteso, avrebbe potuto avvicinare all’intera materia labrioliana del catalogo e al suo effettivo contributo nella direzione di un Labriola originalmente hegeliano a trecentosessanta gradi: dialetticamente, o meglio, come Labriola precisa, geneticamente hegeliano. Da sempre hegeliano: e, cioè, almeno da quando, dall’interno del «principio dello Hegellismo», egli arriva a Herbart, agli 7 Ibidem. 312 Nicola Siciliani de Cumis herbartiani e a quanti altri dei suoi autori, fino agli stessi Engels e Marx, con continuo, rinnovato «senso esperimentale». Morfologicamente hegeliano, Labriola, quando, nel farsi della propria, complessiva esperienza culturale e politica, egli tratta di etica, storia, filosofia della storia, geografia, pedagogia, didattica, religione, arte, linguistica, economia, statistica, scuola, università, ecc. Organicamente hegeliano quando, sul presupposto della distinta unità di Spirito, Natura e Storia, il marxismo che ne risulta è esso stesso un intero, l’intero. Tutte cose, che spiegano la molteplicità ed insieme l’unitarietà dei profili labrioliani ospitati nel catalogo: e la tipologia “enciclopedica” dei documenti inediti, esposti nella mostra e raccolti nel volume, nelle diverse sezioni. Tanti profili di Labriola, quanti sono gli aspetti dell’unico Labriola. Tante direzioni di indagine, quante sono le pieghe della sua complessiva, trentennale esperienza di docente alla «Sapienza». Di qui la scelta, che Miccolis mi rinfaccia come esagerata «autoreferenzialità», di limitare alla dimensione universitaria romana l’orizzonte dell’indagine. E di condizionare consapevolmente gli spazi della ricerca, enfatizzandone il punto di osservazione; di prospettare infine un “campo di studi” su Labriola e la sua Università, sempre e comunque monograficamente incentrati sul medesimo tema universitario labrioliano romano. Di qui, pertanto, l’attivazione di coerenti procedure didattiche e di ricerca intorno all’Università di Labriola, tali da restituire tra l’altro, nei limiti del possibile, il permanere di una certa tradizione labrioliana nell’Università che fu di Labriola. E ciò, a partire proprio dalla consapevolezza metodica, che Miccolis, per le ragioni addotte dallo stesso Labriola, non sembra in grado di capire: che la certezza del risultato non si misura soltanto dalla precisione istrumentale dei metodi paleografici, filologici, linguistici, o come altro si chiamino, ma anche e principalmente dal grado di trasparenza e di riproducibilità teorica della materia presa in esame: e in secondo luogo, che gli elementi teorici coi quali si interpreta il fatto storico, quando siano stati per se stessi dichiarati, dan luogo a discipline generali, che fanno come da capisaldi di ogni ulteriore ricerca particolare8. A. LABRIOLA, I problemi della filosofia della storia, a cura di N. Siciliani de Cumis, Napoli, Morano, 1976, pp. 28–29. 8 Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 313 Di modo che risulta affatto erroneo l’indirizzo didattico di coloro, che applicandosi agli studi storici, si danno gran pensiero d’impadronirsi soltanto degli ovvii mezzi istrumentali della critica, e sperano che la cognizione reale della materia debba venir da sé. Ma dove manchi la cultura teoretica, poniamo dell’economia e del diritto; o dove faccia difetto l’intelligenza della funzione psicologica p. e. della lingua o della religione, è inutile che altri si travagli nell’esercizio della critica diplomatica o filologica: l’uso anche corretto degl’istrumenti non affida di nulla9. Ecco perché Miccolis — per dirla ancora con Labriola — procedendo «per soli gradi di erudizione», non fa che offrire, con la sua recensione (ma non solo con questa), un proprio ulteriore mamozio… Un mamozio, che il prof. Labriola avrebbe probabilmente bocciato o, al più, trattato con sufficienza: forte della persuasione, che una cosa è leggere con gli occhi un autore e contribuire a restituirne diligentemente i testi; un’altra cosa (per usare la stessa terminologia labrioliana) è intenderne con la testa il «pensiero» e il «motivo», la «genesi» e lo «sviluppo», il rapporto, in ultima analisi, tra gli «elementi della formazione» e «la cosa formata». 3. Del terzo mamozio Tertium datur: ed è un mamozio, quello che su tale presupposto Miccolis riesce a produrre di suo, che si colloca ben oltre il Mamozio Primo di cui parla Labriola per Gentile e sicuramente al di là del mamozio secondo a me attribuito. Un mamozio del mamozio, se così posso dire, che denominerei per l’appunto mamozio terzo, per differenziarlo qualitativamente dai due precedenti. E so bene che, già per il solo fatto di occuparmene, non rendo forse il giusto merito all’insegnamento di un grande maestro di studi labrioliani, che proprio a proposito del mamozietto acrimonioso di un altro logografo degli anni ‘70, sempre su Labriola, così si esprimeva: Caro Siciliani […]. Ho l’abitudine di non leggere, per principio, attacchi che non contengono critiche precise, o di fatto. Solo a queste rispondo, per ricono- 9 Ibidem. 314 Nicola Siciliani de Cumis scere l’errore, se l’ho commesso, o per rettificare l’avversario, se è il caso. Gli sfoghi velenosi, avvelenano soltanto. E io preferisco mantenere, fin dove si può, la serenità. Comunque, ora ho letto. Ma per rispondere alla Sua domanda, devo dirle che col […] non ho mai avuto a che fare, né ne ho parlato con terzi. Forse è irritato per qualche omissione, o pettegolezzi maligni che a volte circolano — non saprei! Forse è solo un omaggio ai tempi. Oggi è di moda — in questo rigurgito di positivismo cattivo — dire male di Labriola; e gente come me, che non ha potere, ed è in discredito, serve bene come testa di turco per far piacere a qualche […] di turno. Devo confessarLe — anche se Le farò cattiva impressione — che non me ne importa proprio nulla: che desidero solo ripensare in pace alle cose che ancora mi interessano. Amen! Ecco perché, chiosando ora nell’indispensabile il mamozio terzo, mi limiterei alle seguenti, rapide precisazioni: 1) Mi sembra storicamente inesatto e vacuamente presuntuoso affermare, come invece fa Miccolis, forse in un eccesso di edificante autobiografismo10, che solo «a partire dagli anni ‘80», su Labriola, si sia incominciato a «correggere luoghi comuni invalsi negli anni ‘50, e protrattisi a lungo per forza inerziale (complice la pigrizia dei ricercatori, spesso indotti a dar per buono il già detto, per più o meno inconscia deferenza verso qualche “principio d’autorità”)». Non serve qui fare i nomi di alcuni dei principali studiosi di Labriola nel secolo scorso; ma è un fatto che siano state proprio le discussioni e le polemiche labrioliane, talvolta assai aspre, degli anni Cinquanta e Sessanta, sullo sfondo delle grandi passioni di allora nel clima culturale e politico assai diverso da quello intellettualmente più remissivo e politicamente meno acceso degli anni Ottanta, ad esigere di ricostruire Labriola nella sua interezza e complessità. Un compito, questo, non feticistico né meschinamente “filologistico”, da tombaroli sovraeccitati quanto inconsapevoli; non da settimana enigmistica, per tener viva la mente di ex studiosi di Labriola ora a riposo; o da salottino accademico, per soddisfare le ambizioni di carriera di aspiranti nuovi professori. Un compito molto difficile, invece, che richiederebbe un’effettiva adesione alle problematiche labrioliane effettive, un sicuro autocontrollo del “personcino” e un vero sforzo unanime Cfr. S. MICCOLIS, Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza», in «Belfagor», a. LXI, n. 361, 31 gennaio 2006, p. 85. 10 Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 315 al fine di restituire Labriola, tutto Labriola, secondo l’ordine, la molteplicità e l’unitarietà dei suoi pensieri (filosofici, storiografici, pedagogici, politici, ecc.). Ma a chi la racconto? Al Salieri in diciottesimi, di un qualche Mozart collettivo inesistente? 2) Risulta pertanto pressoché inutile l’esagerata messa a punto di Miccolis contro la semplice frase, solo genericamente informativa, dedotta da un’affermazione di Labriola e riportata in uno dei pannelli della mostra, a proposito del fatto che Labriola, nel 1876, «comincia a dar lezioni di diritti e doveri agli operai romani, distaccandosi dalla Destra storica». È inutile, perché è addirittura un luogo comune la convinzione, che il distacco di Labriola dalla Destra storica fu comunque un processo lungo, laborioso, intimamente contraddittorio: e perciò stesso assai difficile da circoscrivere ad un “momento”, ad un “anno” preciso, per un “motivo” soltanto, in presenza di un unico “dato di fatto”. La stessa proclamata e tuttavia filosoficamente condizionata (in senso hegeliano) adesione di Labriola allo herbartismo (che per lui non è una «prigione») la dice lunga sulla sua forma mentis anche in politica. Senza contare che, con il ‘76, è proprio lo hegelismo labrioliano di fondo a suggerire, che la caduta della Destra storica (da una lato) e la Sinistra al potere (dall’altro lato), al di là dei necessari distinguo, non siano altro che momenti della medesima «lezione delle cose» con cui fare dialetticamente i conti… Ed è nel ‘76, che Labriola prende posizione contro talune decisioni ufficiali della propria parte politica (per es. a proposito dell’abolizione delle Facoltà teologiche), senza per questo tagliare i ponti con essa, tra linearità, discontinuità, contraddizioni… Non per niente, ancora nel 1903, Labriola sarà pur sempre lui, a suo dire, quel «socialista in partibus infidelium», cui piacerà ricordare non senza nostalgia, quei «moderati — che i loro illegittimi eredi di ora fan ritenere per dei conservatori, ma che furono invece dei rivoluzionari temperati»11. È poi inutile, l’acribiosa messa a punto di Miccolis, perché il primo ad essere convinto delle ovvie verità che egli polemicamente mi sostiene contro con eccessivo spreco di veleno, sono proprio io. E mi parrebbe A. LABRIOLA, L’opposizione al divorzio, in «La Tribuna», 31 gennaio 1903, in ID., Scritti politici 1886–1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, p. 503. 11 316 Nicola Siciliani de Cumis stucchevole elencare qui tutti quei luoghi dei miei scritti nei quali, in quarant’anni di studi su Labriola, rifacendomi alle consolidate posizioni e discussioni in proposito, ho cercato di sottolineare la coesistenza di tortuosità e linearità nella formazione labrioliana, tra continuità e rotture, tra pubblico e privato, tra liberalismo e socialismo, tra filosofia, pedagogia e politica, ecc. È inutile, perché proprio nella mostra e nel catalogo non mancano tutta una serie di indicazioni, atte a produrre effettivi motivi di nuove indagini, assai più di quanto non faccia Miccolis nella sua fuorviante tiritela, sulla genesi del passaggio di Labriola dal liberalismo al socialismo. Per non dire dei saggi compresi nel libro (tutti selezionati al fine di illustrare le varie facce del “fenomeno” Labriola), ricordo soltanto il pannello su «Labriola, l’omnimoventesi», quell’altro dal titolo «Non “pregiudizi speculativi”, ma scienze sociali e politica», quell’altro ancora su «Labriola alla Fondazione Gramsci» e quello infine «Per il Labriola di Eugenio Garin», ecc. 3) E vengo all’altrettanto sterile requisitoria del recensore, per l’avere io, nel corso degli anni, attribuito incautamente scritti non di Labriola a Labriola; e, come insegnante, di stare quindi ad “ingannare” con bugie storiografiche i miei ignari, fiduciosi studenti… Non credo, a tal proposito, di avere gran che da dire. E questo, semplicemente perché non mi sembra di avere mai, dico mai, ascritto «con sicure ragioni» testi di dubbia paternità a Labriola. Mi pare invece di essermi sempre limitato a svolgere qualche doveroso, aperto ragionamento, nella forma esplicita dell’illazione, della supposizione, del dubbio, dell’indagine da svolgere, circa la possibilità delle attribuzioni, non scartando mai l’eventualità opposta. E, se talvolta ho ritenuto di avanzare una qualche ipotesi in senso positivo, lo ho fatto convinto come ero e sono che sul Labriola pubblicista e recensore di libri c’era e c’è ancora molto da scoprire; che, accanto al Labriola scrittore, rimane da conoscere il Labriola lettore («dagli elementi della formazione alla cosa formata»); e che, tra l’uno e l’altro, vi sia talvolta una linea di confine assai sottile ed un contesto in movimento da indagare del tutto, o quasi del tutto. Di qui la necessità, nelle diverse situazioni, di distinguere sempre tra testi certamente di Labriola, testi non di Labriola, testi forse di Labriola, testi in Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 317 qualche modo collegabili a Labriola; e nondimeno l’opportunità di additare, tra gli uni e gli altri, nessi, interferenze, sovrapposizioni, elementi culturali in comune, stili di pensiero, motivi formativi i più diversi. E ciò, ai vari livelli: così sul piano degli scritti di Labriola e delle loro fonti, prossime e meno prossime; sul terreno dei testi, dei contesti e dei pretesti di ciascun momento formativo; nell’ambito della soggettività labrioliana e della collegialità di certe sue esperienze nelle redazioni di giornali e riviste, a scuola e nell’università, nonché nell’ambito di attività culturali di diverso tipo, in congressi, associazioni, circoli, comitati, ambienti di partito, ecc. 4) Quanto alle altre notazioni del severissimo mamozio terzo, mi limiterei a far presente: a) che si può tranquillamente sostenere che un hegeliano come Labriola, marxista in atto tra i cinquanta e i sessantun anni, non può non essere stato, in qualche modo, marxista in fieri anche in precedenza, nei lunghi decenni della vigilia: e questo, purché ci si intenda sul senso complessivo del suo itinerario, del suo sottolineato non–contraddirsi ma svolgersi, del particolare tipo del suo liberalismo (prima) e del suo marxismo (dopo) e, dunque, delle peculiari modalità antiche e nuove del loro farsi; b) che già nel 1876, nonostante la particolarità di quel momento “universitario” ed etico–politico, l’atteggiamento di Labriola verso gli operai e la loro educazione, verso la politica e la «rivoluzione», non è che una risultante, tra le altre, delle continue discontinuità e discontinue continuità della formazione: non a caso accade che Labriola, nel corso della vita, chiami con nomi diversi la stessa cosa («rivoluzione», per l’appunto) e chiami cose diverse con lo stesso nome (ancora «rivoluzione»); c) che se è certo importante stabilire che lo scritto del giovanissimo Labriola in polemica con il neokantiano Eduard Zeller debba non essere dell’inverno 1862 (come lo stesso Labriola attesta), ma della primavera del 1863, è altrettanto importante il fatto che Labriola possa essere caduto proprio in un errore come questo: perché, evidentemente, la polemica contro il “ritorno a Kant”, nella memoria di Labriola, si situa in un contesto altrettanto degno di memoria quanto e forse più dello stesso testo; un contesto, evocativo tanto delle lezioni di Bertrando Spaventa all’Uni- 318 Nicola Siciliani de Cumis versità di Napoli, nel ‘62, e delle conversazioni con lui, quanto dell’incidenza della cultura tedesca in città e della recezione delle “ultime novità” filosofiche (per esempio alla libreria Detken); d) che certe “prove a carico” sono davvero… schiaccianti. Schiaccianti: per ciò che nella mostra e nel catalogo si è esposto o non esposto; e nei modi in cui lo si è fatto o non lo si è fatto. Così, per esempio, a proposito del nominato Licurgo Cappelletti (un’indagine da fare); relativamente ad Alfredo Poggi e al suo «semiomonimo marchigiano» (ma quale sarà stata la ragione per cui Labriola arrivava a confonderli?); di un Martinez, al posto di Ferdinando Martini (quasi certamente da correggere); del Labriola debitamente e/o indebitamente “inedito” delle Ispezioni didattiche del 1885 o alla Fondazione Istituto Gramsci (a causa delle sviste di due studentesse); di due o tre parole manoscritte di Labriola non esattamente lette e trascritte (da ricontrollare ed eventualmente correggere); e, infine, a proposito di un paio di immagini, forse concernenti non Antonio Labriola, ma il figlio Franz e Andrea Costa (ma è così?). 4. Come Rodimčik Prove schiaccianti! Ma vogliamo scherzare? Rodimčik… Miccolis mi fa tornare in mente proprio Rodimčik: quel personaggio del Poema pedagogico di Anton Semënovič Makarenko, che ad un certo punto della storia, prove alla mano, si rivolge a Makarenko per accusare Šere… (Šere, l’agronomo, che tramerebbe alle sue spalle, accusando Rodimčik di inefficienza, opportunismo da “tengo–famiglia” e sostanziale estraneità alla vita collettiva della colonia). Rodimčik incolpa quindi a sua volta «quel tedesco» di Šere, di trarre illecitamente dei vantaggi dal proprio ruolo di agronomo; e porta a Makarenko le prove della di lui indegnità, mostrandogli “filologicamente” il corpo del reato: – Lo so io chi è stato, lo so bene chi è che cerca d’incastrarmi, è quel tedesco! Lei farebbe meglio ad accertarsi, Anton Semënevič, che razza di uomo è quello! Io me ne sono già accorto: nemmeno pagando ho avuto la paglia per la mia mucca, e ho dovuto venderla. Così i miei bambini non hanno latte e devo andarlo a prendere al villaggio. Ma mi dica, lo sa cosa dà Šere da mangiare al suo Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko 319 Milord? Lo sa? Eh, no, che non lo sa. Prende il grano destinato ai volatili e ci fa il pastone per Milord! Il grano, capisce? Lo fa cuocere e lo dà da mangiare al suo cane senza pagare un soldo. E quel cane mangia di nascosto il grano della colonia e gratis, solo perché il padrone è l’agronomo e lei si fida di lui. – Come fa lei a sapere tutto questo? — gli chiesi. – Io non parlo mai senza le prove. Non sono di quella razza, io, guardi qui… Aprì un pacchettino che aveva tirato fuori da una tasca interna. Nel pacchettino c’era qualcosa di bianco e nero, una strana miscela. – Cos’è — chiesi stupito. – Sono le prove di quel che dico. Sono gli escrementi di Milord. Sterco, capisce. Lo ho seguito fino a che non ho avuto quello che cercavo. Vede cosa espelle Milord? Grano autentico! E mica lo compra, lo prende semplicemente dalla dispensa. Dissi a Rodimčik: – Senta, Rodimčik, è meglio che lei se ne vada alla svelta dalla colonia. Come, «se ne vada»? – Se ne vada al più presto. Oggi la licenzio. Mi lasci una dichiarazione di denuncia spontanea, sarà meglio per tutti. – Non finirà così! – La finisca come vuole, ma lei è licenziato. Rodimčik se ne andò. La cosa «finì così» e dopo tre giorni partì12. Grande Makarenko! Grandissimo Poe… A.S. MAKARENKO, Sočinenija. Tom Pervi, Pedagogičeskaja poema, Izdatel’stvo Akademii pedagogičeskich nauk RSFSR, Moskva, 1950, pp. 210–212 (e cfr. ID., Poema pedagogico, nella trad. it. più recente, a cura di S. Reggio, Raduga, Mosca, 1985, pp. 180–182). 12 Antonio Labriola, tra quadri e lettere∗ Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato A Roberto Bagnato, Roma Caro Roberto, tenevo a ringraziarti innanzitutto per il contributo, prezioso, che hai voluto offrire alla Mostra della «Sapienza», per i Cento anni della morte di Antonio Labriola. I quattro pannelli sul “papuano” da te elaborati creativamente, forniscono a loro modo una stimolante interpretazione del celebre episodio raccontato da Benedetto Croce. Ciò che ne deriva, è una rilettura all’incrocio di realtà e immaginazione, che sta tutta o quasi nei pensieri in progress dei personaggi evocati (Antonio Gramsci, Antonio Labriola, Benedetto Croce, Andrea Torre, gli avventori del Caffè Aragno, gli studenti al computer). Il finale della storia, a sorpresa, conferma quindi la peculiarità anche “pedagogica” della costruzione figurativa. Di qui l’idea di proporre alla tua inventività pittorica qualche altra situazione labrioliana, questa volta poco nota, che potrà forse interessarti. Leggi quindi, per cortesia, i documenti che ti faccio avere in copia; e considera la possibilità, in tutta calma, di lavorarci un po’ su. Chissà che non ne venga fuori qualcosa di altrettanto interessante. ∗ Cfr. la lettera di Nicola Siciliani de Cumis a Roberto Bagnato, quelle di Antonio Labriola e di Alberto Franz Labriola a Ettore Ferrari e il testo stenografico del discorso pronunciato da Antonio Labriola alla «Sapienza» il 16 febbraio 1902, in «l’albatros», a. VI, n. 3, luglio–settembre 2005, pp. 106–110 (nella rubrica “Lettere dall’università”). In precedenza, le lettere di Antonio Labriola e di Alberto Franz Labriola a Ettore Ferrari erano state esposte nella Mostra documentaria su Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto della Filosofia (Roma, Archivio Centrale dello Stato – Archivio di Stato di Roma – Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza», 8 marzo – 25 aprile 2005). Il disegno di Roberto Bagnato (Frammenti di posta) è stato invece pubblicato in «l’albatros», a. VII, n. 2, aprile–giugno 2006, pp. 106– 107 (con il titolo Dalla vita di Antonio Labriola). 322 Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato Di che si tratta? Di tre lettere di Antonio Labriola; e di una quarta lettera, di Alberto Franz Labriola, figlio di Antonio. Vedrai tu stesso, dai testi (che debbo alla cortesia della dott. Carla Nardi), gli elementi delle situazioni biografiche direttamente o indirettamente evocate: Ettore Ferrari e la statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori; il matrimonio di Casa Labriola in Campidoglio; la sposa, «una pittrice di Berlino»; la «piccola cena di famiglia»; Alberto Franz, che va a far visita a Ferrari; Ferrari figlio, che fa l’esame col professor Labriola, ecc. E poi, nella lettera di Alberto Franz a Ferrari, il tema della maschera mortuaria di Antonio. Propongo infine alla tua attenzione, un brano di discorso di Antonio Labriola su Giordano Bruno, del 16 febbraio 1900, in occasione del trecentesimo anniversario della morte di Giordano Bruno. Un fatto che, come sai, ha ispirato variamente scrittori, pittori, scultori, uomini di teatro, autori di cinema, ecc. Che te ne pare? Un caro saluto, dal tuo Nicola Siciliani de Cumis Quattro Lettere labrioliane nell’Archivio Centrale dello Stato – Roma1 251 [sic.], Corso Vittorio Em.le, 251 Caro Ferrari. Ti chiedo un piccolo favore… che accetterò però come un favore grandissimo, soprattutto se tu, come spero, vorrai farmelo di buon grado. Mio figlio — che viene a vederti di persona — prende moglie, e presentandosi giovedì prossimo sera (5 giugno) alle ore che è di consuetudine in Campidoglio per l’atto civile, noi tutti qui in casa desideriamo che tu funga da ufficiale dello Stato Civile. Come faremmo a meno di te proprio noi? Ci vuole un po’ di Giordano Bruno. Eccoti un’altra ragione. La signorina che mio figlio sposa è una brava pittrice di Berlino: e per ciò il tuo intervento ci pare come un commento estetico all’atto civile. Faremo che anche i testimoni corrispondano. Conto su la tua cortesia, rifermandomi [?] aff.mo sempre A. Labriola 1 Archivio Centrale dello Stato (Roma), Ettore Ferrari, b. 14, fasc. 697. Antonio Labriola, tra quadri e lettere 323 Roma. 31/5 1902 Corso V. E. 251 Carissimo Ferrari. Grazie dell’amabile risposta. Noi avremmo fissato per le otto p. m. di domani sera (ossia giovedì 5). Tu per quell’ora sarai certamente libero. Fa di esaudire il nostro voto. Mancando te ci parrebbe che manchi qualcosa di desiderato e di bello a tutta la cerimonia. Compiuta la quale ti preghiamo di rimanere con noi a una piccola cena di famiglia. Se fosse questione di differire un po’ oltre le otto fammelo sapere, ché disporremo le cose secondo il comodo tuo. E per dare buona speranza a me stesso voglio dire: a rivederci giovedì sera in Campidoglio. Tuo sempre aff.mo Antonio Labriola Mercoledì 4 giugno 1902 Mio figlio ti ha cercato più volte. Favorisci la risposta al latore. 13/ 11 ‘192 Caro Ferrari. Sono stato lieto di trovarmi all’esame di tuo figlio, che s’è portato bene. Temevo di non poter venire quest’oggi all’Università. Sto per diventare un professore in partibus infidelium. Dovetti subire la tracheotomia, ed ora non [?] posso parlare. Saluti affettuosi del tuo A. Labriola Roma 22 / 6 / 912 Via del Pellegrino 105 (Telefono 3549) Chiar.mo Professore Trovandomi di passaggio a Roma per motivi di servizio vorrei permettermi di importunarla con una visita. Le sarei grato se volesse farmi 324 Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato conoscere in quali ore posso trovarla. Sarebbe mio desiderio di riavere la maschera di mio padre, se ella ne l’avesse in studio. Gradisca signor professore gli atti del mio particolare ossequio. Suo dev.mo A. F. Labriola Labriola per Giordano Bruno2 Domani fa trecento anni, era di giovedì, al mattino per tempo, in ora non precisata, che Giordano, o meglio Filippo Bruno da Nola, ex frate domenicano e filosofo panteista, fu abbruciato vivo in Campo di Fiori, all’angolo di via Balestrieri, secondo una verisimile interpretazione del Narducci […]. L’arresto di Bruno avviene nel 1592 e il processo romano si inizia nel 1599, finisce il 4 febbraio dello stesso anno; poi il papa ordina la cosiddetta obbedienza, cioè concede al Bruno 40 giorni affinché si ravveda; ma ecco, tutto è posto in tacere e fino al 21 dicembre del 1599 il processo non vien ripigliato. Invitato a ravvedersi, Bruno rispose: «non debbo, ne voglio ravvedermi, non ho materia per ciò, e non so perché debba ravvedermi». In tutti gli anni della prigionia, per quello che se ne sa da certe carte consegnate da un patriota italiano, rimasto anonimo, al Berti, la questione cadde su questo: sapere se Giordano Bruno dovesse esser condannato come eretico, secondo il comune concetto, o se nell’ambito delle eresie dovesse entrare la teoria dell’infinità dello spazio e della pluralità dei mondi. Questa dovette essere la tesi del Bellarmino. E già anche allo Scioppio pareva condannevolissima la sua dottrina dei mondi innumerevoli […]. Ora ci domandiamo: poteva cedere Giordano Bruno ai suoi oppressori? Sì, prima; no, dopo. È il testo stenografico di un discorso pronunciato da Labriola all’Università di Roma, nel cortile della «Sapienza», il 16 febbraio 1900, per il terzo centenario del rogo di Campo dei Fiori: ora in A. LABRIOLA, Scritti politici 1886–1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, pp. 452–459. 2 Antonio Labriola, tra quadri e lettere 325 Nel primo processo di Venezia, preso prigioniero dal suo scolare Mocenigo nella casa ospitale, quando già stava Bruno per fuggire in Germania a Francoforte, dove il suo editore lo aspettava, egli cercò di sottrarsi al processo. Bruno venne a Roma non da eroe, e lo divenne nel carcere, e in cospetto della storia a Campo dei Fiori. Tornato in Italia, dal 1591 alla morte egli è sottratto per sempre all’attività scientifica; e poiché dalla fuga dal convento di Napoli nel 1576 al 1591 passano solo quindici anni, è in tale breve periodo ch’egli spiega tutta la sua meravigliosa attività scientifica. È in quindici anni forse ch’egli scrive quelle opere latine, riunite e ristampate in sette grossi volumi per cura del ministero della Pubblica Istruzione, e quei due volumi di opere italiane, di cui si ha ora una buona edizione fatta in Germania. In questi quindici anni ha vagato per tutta Europa, incontrando a Ginevra la scomunica dei calvinisti, a Parigi l’intolleranza degli aristotelici, in Germania quella dei luterani e di nuovo dei calvinisti. Espatriato d’ogni patria, egli è più atopico di Socrate! Ora, fuori e più in là della tragedia esterna del processo, sono i suoi attriti che dovrò raccontare. È la crisi della scienza che si pone di fronte alla Chiesa, ma che non si può affermare, perché le mancano gli strumenti. Bruciar Bruno per offese alla Vergine è una puerilità, e il Bellarmino capì la difficoltà di far rientrare quest’uomo nei canoni della praxis ereticale. Bruno è il precursore filosofico della scienza moderna: non dobbiamo a lui specificate scoperte, ma abbiamo in lui tutto lo spirito e tutto il bisogno della scienza moderna. Egli reca in sé tutta una rivoluzione, e conscio delle sue qualità si chiama il fastidito: egli non è duce di partiti, come tanti altri, né consigliere di sette, come Calvino. Egli ha guardato al futuro, mentre la civiltà, dopo le grandi scoperte geografiche, da mediterranea diveniva oceanica, e mentre la nuova concezione copernicana scompaginava la gerarchia dell’universo. Non esistono più gli astri e i pianeti contenuti nelle immobili sfere. E allora la gente s’è domandata con spavento: dunque è esistito un altro 326 Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato Adamo e un altro redentore per ciascun mondo? Onde a ragione il Bellarmino dice: «II sistema copernicano è il più conforme alla ragione, ma il più alieno agli interessi della Santa Sede». Il mondo diventa, secondo la frase del Bruno gl’infiniti mondi, dell’azione di Dio rimane I’Unitutto, all’infinitamente grande fa riscontro l’infinitamente piccolo. Bruno fu bruciato, perché diceva che tutte le religioni sono nulle, che tutto si rimuta per interna virtù. Nelle Università dove Bruno ha insegnato vi è poco traccia di lui: dove nulla, dove tenui ricordi, dove una semplice firma. Ma Bruno ha trovato poi il suo compimento nel Deus Sive Natura di Spinoza; e l’ultimo suo scolaro è Giorgio Hegel. Ecco perché il nome di Bruno tornò in onore in Germania al principio di questo secolo. Né io ho aspettato il 1889 per onorare il filosofo nolano, perché vengo, quantunque non ne segua le idee, da quella scuola in cui brillava Bertrando Spaventa, il quale pensava che lo studio della filosofia tedesca sarebbe stato da riprovarsi se non avesse continuata la tradizione bruniana. Giordano Bruno dall’Inghilterra, sotto il governo della vergine Elisabetta, come prevede la fortuna politica dell’Inghilterra così prevede lo sviluppo dell’intelletto tedesco, e lui, che non fu mai eretico perché non fu mai credente, rende omaggio a Martin Lutero, che, novello Alcide, ha legato il Cerbero della triplice tiara e costrettolo a vomitare il suo veleno. Questo sarà il programma delle mie future conferenze, che non potranno essere solenni certo come quella di oggi, ma nelle quali, perché in me nulla ha mai potuto Ignazio di Loyola, manterrò un’intonazione alta, quale il mio dovere lo esige: perché, professore di filosofia, non rispetto che il mio convincimento. Antonio Labriola, tra quadri e lettere 327 328 Nicola Siciliani de Cumis e Roberto Bagnato Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione∗ Nicola Siciliani de Cumis 1. Nell’opera di Antonio Gramsci, tra gli altri luoghi sullo stesso argomento1, ve ne sono alcuni dei Quaderni del carcere, che possono forse ∗ Pubblicato in «Storiografia», a. I, n. 1, 1997, pp. 23–39 (numero monografico su La recensione. Origini, splendori e declino della critica storiografica, a cura di M. Mastrogregori, Pisa–Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997). Questo studio si colloca nel quadro di una serie di interventi sullo stesso tema, che da un lato hanno comportato e comportano una pratica continuativa del recensire (è dal 1961 che lo scrivente recensisce libri), da un altro lato si spiegano, appunto, sul terreno del rapporto (in senso stretto ed in senso ampio) storiografico–educativo a partire dalla concreta esperienza dell’autore. La quale, per riassumere, tenderebbe metodologicamente a tradurre nel suo specifico e nei suoi limiti l’antico criterio di Giorgio Pasquali: «Per nulla al mondo io vorrei tolta ai miei scolari la gioia orgogliosa di aver scoperto, essi per primi, grazie a metodo fattosi abito e a perspicacia cresciuta dall’esercizio, qualche cosa […] e fosse pure una minima cosa. È desiderabile, mi pare, che il giovane entri nella vita con la lieta coscienza di essere stato anch’egli un giorno, anche un giorno solo, un ricercatore, uno scienziato» (G. PASQUALI, L’università di domani, in Scritti sull’università e sulla scuola, con due appendici di P. Calamandrei, introduzione di M. Raicich, Firenze, Sansoni, 1978, pp. 48–49; cfr. quindi N. SICILIANI DE CUMIS. Filologia, politica e didattica del buon senso, Torino, Loescher, 1980, pp. 11 sgg., 76 sgg., 109 sgg., 127 sgg.; ID., Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994, pp. 7 sgg., 85 sgg., 231 sgg.). 1 Cfr. anzitutto A. GRAMSCI, Quaderni del carcere. Edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 33, 348–349, 975–976, 2263–2267 e passim. Ma sono numerosi e varii gli aspetti esaminati da Gramsci relativamente all’atto tecnico del recensire (da diversi punti di vista storico–critici, nonché politico–educativi), anche in altra sede prima e dopo il ’26 (soprattutto come giornalista, e nelle lettere non solo dal carcere). E, alla luce dei suoi modi di vedere stessi, potrebbe forse essere sostenuta l’ipotesi di tutta un’opera tendenzialmente riconducibile alla sostanza di una recensione (contenuto e forma), come attività imprescindibile, radicalmente «storiografica» ed elementarmente «educativa». Senza 330 Nicola Siciliani de Cumis essere subito utili ad identificare i termini della questione: il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione. Il punto di vista, cioè, come documento di in–formazione: considerato proprio il fatto che, tra gli altri significati tradizionali del documentare (da docere) c’è anche quello dell’informare e dell’insegnare («per lo più pratico, morale, ma talora anche intellettuale, teorico, speculativo»), del consigliare, dell’istruire, dell’ammaestrare, dell’ammonire, del fungere da esempio, da modello, e perfino da «contenuto dell’insegnamento»2. E ben sapendo che recensione, l’atto del recensire, all’origine vuol dire anzitutto affrontare «un’opera nuova, con giudizio sul suo valore e pregio», «esaminare, considerare con attenzione», «a fondo», e nondimeno «raccontare, narrare», passare in rassegna secondo una qualche cronologia3: e quindi in vario modo storicizzare, educare il senso storico, da un determinato punto di vista; espressione, quest’ultima, che pur rinvia alla questione del vedere come strettamente connessa alla storia, già sul piano etimologico; ed insieme alla questione della cronaca, dell’informazione formativa4. Scrive pertanto Gramsci (all’inizio degli anni Trenta)5: Riviste–tipo. Le recensioni. Ho accennato a diversi tipi di recensione, ponendomi dal punto di vista delle esigenze culturali di un pubblico ben determinato e di un movimento culturale, anch’esso ben determinato, che si vorrebbe suscitare: quindi recensioni «riassuntive» per i libri che si pensa non potranno essere letti e recensioni–critiche per i libri che si ritiene necessario indicare alla lettura, ma non così, senz’altro, ma dopo averne fissato i limiti e indicato le deficontare che essenziale è, per l’antipedagogico Gramsci, la stroncatura critica come momento “alto” del recensire. 2 Cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, vol. VI (DAH–DUU), Torino, UTET, 1966, pp. 894–896 (con attenzione anche alla parte storico–antologica, relativa alle definizioni dei termini (Documentare, Documentazione, Documento ecc.). 3 Cfr. M. CORTELAZZO – P. ZOLLI, Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. 4 (O–R), Bologna, Zanichelli, 1985, p. 1041 (con significativa bibliografia). 4 Cfr. ID., Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. 5 (S–Z), Bologna, Zanichelli, 1988, pp. 1278–1279; e N. SICILIANI DE CUMIS, L’educazione di uno storico, Pian di San Bartolo (Firenze, Manzuoli), 1989, pp. IX e 1–3, e pp. 165–197; ma già in precedenza, ID., Filologia, politica e didattica del buon senso, cit., pp. 130–134. 5 GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. 976. Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 331 cienze parziali ecc. Questa seconda forma è la più importante e scientificamente degna e deve essere concepita come una collaborazione del recensente al tema trattato dal libro recensito. Quindi necessita di recensori specializzati e lotta contro l’estemporaneità e la genericità dei giudizi critici. Ed in un altro testo (precedente, ma rimesso in bella copia nel ’34), Gramsci chiarisce: Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un tipo critico–informativo: si suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato, ma che sia utile per lui conoscere il contenuto e le conclusioni. Un tipo storico–critico: si suppone che il lettore debba leggere il libro dato e quindi esso non viene semplicemente riassunto, ma si svolgono criticamente le obiezioni che si possono muovere, si pone l’accento sulle parti più interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata ecc. Questo secondo tipo di recensione è più adatto per le riviste di grado superiore6. In altre parole, ed in relazione al tema che qui interessa, c’è secondo Gramsci una doppia funzione del recensire: quella del comunicare, e cioè trasmettere socialmente informazioni bibliografiche, divulgare contenuti di ricerca, mediare una cultura finalizzata tra chi scrive e chi legge; e quella del criticare, ovverosia dell’esaminare diligentemente e prontamente, del controllare, integrare e correggere i frutti di un’indagine, e quindi dell’interferire attivamente in essa facendo sì che altri, quanti più «altri» è possibile, siano messi in grado di intervenirvi a loro volta non passivamente ma intelligentemente, con “cognizione di causa”. Il motivo storiografico lo intravedi quindi nel riferimento esplicito al punto di vista, alla determinatezza della situazione, all'assumere–riassumere in un «qui» ed in un «ora» certi e non certi altri elementi per un giudizio (storico) ecc. Mentre è evidente la dimensione formativa, educativa dell’atto in cui consiste (tra un «prima», un «durante» e un «dopo») la recensione: che è o dovrebbe essere domanda ed offerta (trasmissione e produzione) di cultura generale e di sapere specifico; è o dovrebbe essere un farsi dialogico, magari dialettico, della relazione «a tre» autore–recensore–pubblico dei lettori: che è o dovrebbe essere incentivo, valorizzazione proce6 Cfr. pp. 2266–2267 (e cfr. p. 33). 332 Nicola Siciliani de Cumis durale, promozione effettiva di interessi, di immaginazione creativa, di competenza maggiore. E non è tutto. Gramsci infatti non si limita al ragionamento sulla recensione in quanto tale, come attività critico–informativa speciale e per così dire separata dall’insieme del lavoro intellettuale caratterizzante le «riviste», intese quali sedi tecniche, laboratori del «vedere» e del ri– vedere, tra formazioni e trasformazioni storico–educative del «punto di vista». Ipotizza prammaticamente invece, allo stesso riguardo, un preciso intervento didattico, effettivamente specializzato ma aperto ed esteso, nel senso appunto della maggiore ampiezza possibile dell’utenza del recensire e dei suoi feed back, tra «quantità» e «qualità». Non a caso quindi, ancora nel quadro della sua riflessione sulle recensioni, aggiunge7: Il servizio di informazione critica, per un pubblico di mediocre cultura o che si inizia alla vita culturale, di tutte le pubblicazioni sul gruppo di argomenti che più lo possono interessare, è un servizio d’obbligo […]. Le recensioni non devono essere casuali e saltuarie, ma sistematiche, e non possono non essere accompagnate da «rassegne riassuntive» retrospettive sugli argomenti più essenziali. E ancora: Una rivista, come un giornale, come un libro, come qualsiasi altro modo di espressione didattica che sia predisposto avendo di mira una determinata media di lettori, ascoltatori ecc., di pubblico, non può accontentare tutti nella stessa misura, essere ugualmente utile a tutti ecc.: l’importante è che sia uno stimolo per tutti, poiché nessuna pubblicazione può sostituire il cervello pensante o determinare ex novo interessi intellettuali e scientifici dove esiste solo interesse per le chiacchiere da caffè o si pensa che si vive per divertirsi e passarsela buona. Ciononostante, conviene predisporre gli strumenti «didattici» del caso; e, sulla base di quanto detto sulle recensioni e sul resto (sullo stesso «rapporto governanti–governati», sulla «democrazia politica» ecc.), concludere: 7 Ivi, p. 975 (e dunque 976). Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 333 Queste osservazioni e note sulle riviste–tipo e su altri motivi di tecnica giornalistica potranno essere raccolte e organizzate insieme col titolo: Manualetto di tecnica giornalistica… Dalla soggettività del recensire, quindi, ad una tendenziale obiettività della funzione recensiva. Dal fatto scientifico, l’altro fatto educativo: da «manuale». Da una professionalità vaga, indeterminata, la prospettiva di una certa regolamentazione e tecnicizzazione dell’opera del recensore. L’etica del leggere e dello scrivere «per gli altri» comporta un salto di qualità di tutto il processo comunicativo e storico–critico–formativo, giacché compromette e coinvolge attivamente una quantità qualificabile di destinatari del servizio. Il «punto di vista» del recensore da individuare, in un certo senso, si fa collettivo. E del procedimento pedagogico in fieri si dà storia, può prodursi documento, e cioè una «prova» (quale che sia) di insegnamento– apprendimento. Tra storiografia e educazione, la recensione resta sì un genere letterario tecnicamente caratterizzato; ma si specifica operativamente come attività congiunta di didattica e ricerca, intesa a produrre effetti didattici e ricercativi e teorici ulteriori. D’altronde. secondo Gramsci: non è la pratica del «recensire criticamente» (al limite dello «stroncare») la migliore delle teorie in proposito? 2. Da una siffatta prospettiva, pertanto, il «punto di vista» del recensore ha una storia, ed è un elemento di primaria importanza nel processo formativo. È esso stesso, nella sua evidenza o possibile oscurità o ambiguità, un’educazione, uno stimolo allo «storiografico» (in senso più o meno tecnico): per il fatto che comporta in qualche modo e misura una reazione, di resistenza o adattamento, di opposizione o di accettazione. Di integrazione, sempre. Il lettore di recensioni, cioè, recensisce a sua volta il recensore: quanto e come, e con quali conseguenze di rilievo critico, rimane però da vedere; se e fino a che punto, e se con effetti anche educativi, sarà tuttavia da accertare. Sulla base della propria eventuale esperienza tra storiogra- 334 Nicola Siciliani de Cumis fia ed educazione, anzitutto8; ma non solo9. Ed in ogni caso sarà utile rinviare (autocriticamente) alla concretezza della pratica che ciascuno può avere in fatto di recensioni: per averne lette e per averne scritte, o fatto scrivere; e, nondimeno, per averci lavorato didatticamente su, ovvero per aver tentato di usare l’esercizio del recensire come uno strumento formativo elementare imprescindibile, in ambito sia scolastico sia universitario 10. E in qualsiasi altro ambito esplicitamente o implicitamente «formativo» (i giornali, le riviste, altro). Ad esempio, è pur sempre della recensione, del «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione, che chi scrive adesso in questa sede ha avuto l'opportunità di discorrere pubblicamente nella forma seminariale universitaria, e a più riprese, nell’ultimo anno accademico: vuoi nel caso di un incontro con i Colleghi e i dottorandi del Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale, in tema di Cautele storico–critiche nella ricerca empirica in educazione11; vuoi nell’ambito di una lezione a più voci per studenti del Corso di laurea in Filosofia della «Sapienza» romana, che aveva come argomento La recensione didattica 12; vuoi ancora occupandosi individualmente e Cfr. a titolo di esempio, dello scrivente, Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, cit.; e, per un chiarimento recente sul punto di vista di recensore storiografico–educativo, dello stesso, Per un «Dizionario» di. filosofi contemporanei. in Studi in onore di Giovanni Mastroianni, «Bollettino filosofico» del Dipartimento di filosofia dell’Università della Calabria (Filosofîa e politica), Cosenza, Brenner, 1992, pp. 321–337. 9 Cfr. ancora esemplificativamente E. GARIN, A scuola con Socrate. Una ricerca di N. Siciliani de Cumis, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1993; ed i tentativi di applicazione di un metodo a diversi livelli e su differenti contenuti recensivi, nelle collaborazioni a riviste come «Scuola e Città» o «Cinema Nuovo», ovvero «Rassegna sovietica» ora «Slavia» (per dire solo di alcune delle esperienze in corso). 10 Cfr. quindi, ancora, il già cit. Filologia, politica e didattica del buon senso, per l’illustrazione di alcuni casi riusciti di uso didattico della recensione in diversi tipi di scuola media; e L'educazione di uno storico, cit., da considerare accanto al pur menzionato Laboratorio Labriola. Ricerca, didattica, formazione, come bilanci provvisori di una continuità di intenti sul piano anche universitario. 11 In data 17 febbraio 1995, per invito di Aldo Visalberghi coordinatore del Dottorato «consortile», con sede amministrativa nella Prima università di Roma. 12 Un incontro seminariale, questo, che si rinnova ormai da diversi anni per iniziativa congiunta di Giacomo Cives (Storia della pedagogia) e di chi scrive, e con la 8 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 335 collettivamente di svariate recensioni, e delle tecniche relative, nel quadro dello svolgimento di due corsi monografici per gli studenti di Pedagogia della stessa Università13. Infine (ma ciò esaurisce solo relativamente l’indagine), non sono mancati precisi riscontri di contesto anche fuori dell’ambito accademico di cui sopra, che varrà forse la pena di documentare a parte14. Può servire, a questo proposito, ripercorrere (si veda la nota che segue questo articolo) unitariamente l’andamento delle considerazioni svolte via via nel farsi delle successive occasioni di seminario, sottolineando preliminarmente la circostanza obiettiva dell’ambiente istituzionale, che per le sue stesse finalità ha favorito la riflessione sia personale sia collegiale: e cioè il Dipartimento di ricerche storico–filosofiche e pedagogiche della Prima università di Roma. Il «punto di vista» del recensire, e la recensione del «punto di vista» tra storiografia e educazione, non potevano non risentirne variamente. Di qui, pertanto, il senso della scelta del tema e dei modi dello svolgimento di esso. Di qui lo stesso tono autorecensivo, e l’uso della prima persona, con motivazioni tecniche esplicite, per altro facilmente desumibili dal testo nella nota e dalle sue propaggini, cronologicamente successive ma logicamente sincrone. 3. Una data, i «dati»: meglio, l’assunto, gli assunti del recensire secondo un determinato punto di vista, tra storiografia e educazione. In altri termini: la recensione che in via di ipotesi più serve, scrivendo di storia in un’ottica pedagogica ovvero insegnando/apprendendo in qualche modo il «mestiere dello storico», già a scuola (dalle elementari all’università, ed ovviamente cambiando le cose che sono da cambiare ai vari livelli d’età e di acculturazione), la recensione che più importa, è quella che restituisce i contenuti di un testo e contemporaneamente introduce problemi: quella, cioè, che funge da partecipazione di studenti e laureati di diverse «annualità» e generazioni. Oltre che, talvolta, di qualche collega «ospite». 13 Per gli studenti di prima annualità, su Anton S. Makarenko e il Poema pedagogico; per quelli di seconda annualità su Jean Piaget e l’Epistemologia genetica. 14 Cfr. quindi taluni riscontri, ancora nella forma della recensione, soprattutto nelle riviste «Slavia», «Cinema Nuovo», «Scuola e Città», nel corso di questi anni Novanta. 336 Nicola Siciliani de Cumis tratto–di–unione tra le indagini compiute, da un autore in una certa opera e di cui si dà conto da un qualche punto di osservazione, e le indagini che si stimolano nei lettori il più possibile funzionalmente ad una ulteriorità orientata, tendenzialmente finalizzata a produrre nuove conoscenze di merito ed un ampliamento della pratica recensiva. E ciò, senza altre limitazioni che quelle derivanti dalla competenza del recensore “in atto” o “potenziale”: dove, per «competenza», si deve intendere sia la formazione e l’esplicazione di capacità tecniche (in forza di cultura, esperienza, sapere specifico), sia la genesi ed il costituirsi originario di abilità di giudizio (sulla base di propensioni, attitudini, impulsi dell’intelligenza). In questo ordine di idee occorre recensire i recensori. E auto– recensirsi: ed intanto, collocandosi criticamente e autocriticamente nel bel mezzo del lavorìo individuale e sociale che la recensione come genere alla sua maniera storiografico comporta, contribuire forse alla costruzione del documento ed al suo ipotetico successivo produrre documenti (variamente didattico–storici). Cioè recensioni. Ma da dove incominciare? Evidentemente, da «punto di vista»: dal punto di vista che eleggiamo a «nostro» e che, in quanto tale, può essere dichiarato, spiegato, posto in discussione. Nei suoi elementi e nell’insieme; nelle sue posizioni di principio, e nelle sue conseguenze, come frutto di riflessioni pregresse, e come traccia del «nuovo» da studiare in futuro. Di qui, per l’appunto, il senso del successivo promemoria tra cronaca e storia , tra «indagini scientifiche» e «senso comune»: a) Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione ha, in quanto tale, una storia ed un rilievo educativo che può essere a sua volta storicizzato e, nondimeno. essere oggetto di una azione pedagogico–didattica eventuale. Un buon inizio di ricerca, tra gli altri possibili: la “scoperta” e l’”uso” del primo dei recensori, di chi «inventò l'arte della recensione» ovvero dell’«antenato degli stroncatori», probabilmente — in senso tecnico — il patriarca di Costantinopoli Fozio, vissuto nel nono secolo dopo Cristo (820 circa – 899 circa): ed autore, tra l’altro, della Bibliotheca o Myriobiblion, che consiste in una rassegna di 279 opere di diverso argomento (in parte perdute) da lui lette, riassunte ed esaminate criticamente (cfr. Fozio, Biblioteca, trad. it. di Claudio Bevegni, a cura di Nigel Wilson, Milano, Adelphi, 1992, pp. 461). Problema: interferisce o non, nell’attività del Fozio recensore, il suo punto di vista polemico verso la Santa Sede, che lo Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 337 spinse addirittura a convocare un concilio a Costantinopoli e ad accusare di eterodossia la Chiesa occidentale? Nelle lettere d’invito da Fozio spedite ai patriarchi e ai vescovi delle chiese d’Oriente, oltre che nelle sue recensioni e negli altri suoi scritti, quale diretta e/o indiretta pedagogia si esprime? Di che marca è, dunque, il tipo della sua storiografia? Ed ancora a proposito di lettere, di epistolari, di comunicazioni interindividuali private e/o pubbliche, fino a che punto ed in che modo in determinati casi (trattandosi cioè di interlocutori tecnici in un certo campo), tali testi non sono da considerare proprio l’espressione di un punto di vista, di una recensione, di un’interferenza dialogica, tra lo storiografico e l'educativo? b) Segue un’ulteriore approssimazione ai termini del problema, che qui interessa; ed essa si propone in direzioni d’indagine prospetticamente ipotizzabili (per somme linee). Di modo che, ai fini della presente ricerca sul «punto di osservazione» di questo recensore, storico da un lato, educatore dall’altro, può forse essere utile la seguente scaletta pro–memoria: – La recensione e la sua storia come genere storiografico, ed insieme come strumento educativo. Autori e testi noti, e da individuare tra «indagini scientifiche» e «senso comune». Biblio–emerografie. Riviste specializzate. La terza pagina dei giornali. Dibattiti e polemiche ricorrenti. Zona di confine: la stroncatura. – L’ideologia del recensore, il suo sistema di valori tra storiografia e educazione. Competenze ed incompetenze. La tecnica del recensire, ed il motivo deontologico che variamente vi si connette. Valenze documentative e pedagogiche. – La «pubblicità» come elemento caratteristico della ulteriorità dell’atto del recensire. Dialogicità espressa o potenziale. Socialità dello stile di pensiero (individuale–collettivo) del recensore. Il «pubblico» della recensione, il «recensire» da parte del pubblico. Antipedagogismo. La recensione pubblicitaria. La pubblicità recensiva. I risvolti di copertina, le veline per i giornali, le iniziative editoriali (ai vari livelli) ecc., come occasioni di studio (storiografico–educativo). – Limiti e possibilità del recensire «pedagogico». Strumenti intermedi: le schede di lettura, le rassegne critico–bibliografiche, le note problematiche, i riassunti, le rilevazioni dei temi ricorrenti, le tassonomie concettuali, le incidenze dei contenuti, la rilevazione di tesi ed ipotesi, l'osservazione di «indizi» (convergenti e/o divergenti), l’identificazione di ulteriori itinerari d’indagine nel quadro della materia specifica. – Quantità e qualità del recensire, tra filologia e educazione (autoeducazione). La recensione più lunga, a ragion veduta, del libro recensito. La recensione laconica, per brevità calcolata, come «maieutica» del leggere funzionale (comunque critico–autocritico). 338 Nicola Siciliani de Cumis – Prefazioni e postfazioni, come propedeutiche del leggere–recensire l'opera cui si riferiscono. L’educazione del testo, la storicizzazione del contesto. Informazione e giudizio come pedagogia indiretta. Tra presente, passato e futuro dell’attività di recensione. – L’intervista e l’auto–intervista come recensione/auto–recensione (al limite, come auto–stroncatura). Gli errata corrige come motivo, tra l’altro, educativo/autoeducativo (al limite, come test di attenzione e di correttezza nel leggere). Il diario culturale di autori e lettori, come l’intervista/auto–intervista. – La recensione e la compravendita del prodotto cui si riferisce. Recensioni e best–seller (libri come patate? film come dentifrici?). Le «ragioni» e i «torti» del mercato. Un’occasione educativa, il «vederci chiaro». Motivi storico–storiografici ed etico–politici, oltreché pedagogici, di un siffatto, esplicativo «punto di vista». Recensione del «recensore–imbonitore», recensione delle «recensioni a pagamento», recensione della «recensione di scambio» ecc. – Gli attributi del recensore (nel significato sia soggettivo sia oggettivo del genitivo). Aggettivi di valore e di disvalore. Identificazione del lessico di chi recensisce, in rapporto al lessico presumibile del destinatario della recensione. Funzione tecnica ed insieme pedagogica di eventuali neologismi. – Il «metodo» e il «merito» del recensire. La recensione come discorso indiretto sul metodo («i canoni del recensore»), e come intervento critico di merito («di che si tratta»). All’origine di un’educazione non diretta («antipedagogica»). Responsabilità del recensore, responsabilità del lettore di recensioni. Un’ipotetica crescita di competenze, a livello sia formale che di contenuto, e sul terreno sia soggettivo che oggettivo. – La recensione come mediazione pedagogica. Le pagine culturali dei quotidiani e dei rotocalchi, e le riviste specializzate, tra «cultura di massa» e «alta cultura». Tra trasmissione culturale, e produzione culturale «di base». La recensione come momento amplificatore, procedurale, dell’indagine, tra stabilizzazione di competenze e promozione di capacità tecniche, ovvero di cultura generale. Temi e problemi di una «filosofia» della recensione. – La traduzione come (in un certo senso) recensione. «Tradurre è un po' tradire». Recensire le traduzioni in funzione esplicitamente educativa, nell’insegnamento/apprendimento (non solo) della lingua straniera, e (anche e soprattutto) dei meccanismi inter/trans–culturali specifici. Storicità, e dunque storicizzazione di ciascun prodotto di traduzione. Un’educazione. – Il recensir di nuovo la stessa «cosa», da un diverso «punto di vista». La ripetizione–strumento educativo, in rapporto con l’irripetibile–obiettivo storiografico (Gramsci). Nessi storico–educativi di testi e contesti, di contesti e pretesti di ricerca nuova, ulteriore. Quot capita, tot… recensiones. Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 339 – Rapidità e lentezza strumentale, funzionale, del recensire. La recensione come acquisizione di mobilità intellettuale, di flessibilità critica. I «corsi di lettura rapida», in relazione con l’attenzione costitutiva del recensire. Tempi storico– cronologici e diacronico–metastorici. Educazione e diseducazione della mente. Crescita della capacità di scelta, potenziamento di motivazioni e costruzione di interessi (tra utilità e disinteresse). – Recensire le recensioni, recensire le stroncature, stroncare le recensioni, stroncare le stroncature. Dibattiti ricorrenti, continuità della polemica: documentazione in corso di chiarezza e confusione di idee, un’ipotesi educativa a partire dalla querelle nei suoi termini storici, come segno dei tempi (storiograficamente ricostruibili). – Rubriche di recensioni nei periodici (quotidiani, settimanali, quindicinali, mensili. bimestrali, trimestrali, quadrimestrali, semestrali, annuali ecc.). Stabilizzazione e occasionalità del posto–recensione. La «cattedra» del recensore. Interventi critici ed educativi a breve, media e lunga scadenza. Identificazione di un ipotetico (prevedibile) feed back. – Straordinarietà del recensire. La recensione «anomala». L’umorismo come «recensione». Recensire «senza leggere» l’oggetto di recensione. La recensione «preventiva» e quella «tardiva» (a ragion veduta). La recensione «spettacolo». Recensioni e «avvisi di garanzia». Le «manette» del recensore. La «pena di morte» come «recensione». La recensione che «arriva dall’aldilà». – La recensione visiva. La cine–recensione. La video–recensione. La recensione a fumetti. Comics e recensioni. Strips librarie. La recensione in vignetta, la vignetta come recensione («una recensione tutta da ridere»). – Sciocchezzaio del recensore. Il «Re Censore», «Catone, il recensore». Un «catechismo» per recensori. Recensioni «a naso». L’«auto–critica» (nel senso di una critica–automobile) ecc. – La recensione didattica. Il «gioco» della critica. Concorsi di scrittura recensiva nella scuola. Studenti recensori. Il recensito in classe, gli studenti «in giuria». Morte e trasfigurazione della recensione e del suo «punto di vista», tra storiografia e educazione, didattica e autodidattica, «Non–transitività» del verbo (transitivo) educare. – Il recensito che recensisce il recensore. Il lettore capace di recensire in concorrenza con il recensore. Funzione ad hoc delle rubriche delle «lettere al direttore» (in giornali, e riviste specializzate). Il lettore «storico» e «educatore», tra «indagini scientifiche» e «senso comune». Critica della passività del recepire (leggere, vedere, ascoltare). Prospettive ulteriori del «punto di vista», tra storiografia e educazione. 340 Nicola Siciliani de Cumis c) Discorso a parte, benché organicamente connesso alla recensione, meriterebbe, anche in questo quadro, la stroncatura15. La stroncatura. Ricerca necessaria. E l’indagine non potrà per prudenza, che incominciare con il considerare l’ipotesi descritta da Edgar Allan Poe, nelle Regole di critica letteraria (ora in Scritti ritrovati, a cura di F. Mei, con sette disegni di F. Clerici, Brescia, Shakespeare and Company, 1984, pp. 164–165), allo scopo di accertare subito il senso e i limiti della «cosa». Lo humour nero di Poe si colora, qui, di ben altre tinte: «[…] Lasciate che lo spirito del libro in se stesso prenda cura di sé, o che sia oggetto d’attenzione di qualche mano più competente, e per parte vostra procedete ad enumerare gli errori verbali: ogni libro ne contiene abbastanza per farlo condannare, se dovesse essere giudicato solo in base ad essi. Sarà veramente un caso raro se non troverete una dozzina di proposizioni e anche più usate in modo poco corretto, o se non riuscirete a pizzicare una congiunzione o due piuttosto superflua. Quando avrete finito lo spoglio […] ci saranno errori tipografici in abbondanza su cui appuntare l’attenzione; dopodiché se la vostra recensione è ancora difettosa per lunghezza o non è ancora abbastanza cattiva, avete […] il titolo, il tipo dei caratteri, il taglio del volume, la rilegatura e l’editore a cui fare ricorso. Ogni errore scoperto in un libro aiuta a ostacolare la sua vendita e risponde al fine precipuo della critica letteraria, che è quello di mettere il critico, e non l’autore recensito, in una posizione di vantaggio […]. La miglior linea di condotta è di giudicare un libro non per quello che è effettivamente e che vuol essere, ma per quello che non è e che l’autore non ha mai inteso che fosse; in base a questo, pronunciare ma condanna irrevocabile. Con questo sistema costringete l’autore stesso a riconoscere la verità della vostra critica; e di fronte a coloro che si affidano a voi per farsi la loro opinione, sarete considerato un recensore profondo, splendido e brillante. Di tutti i vari modi di recensire un libro, questo offre il più ampio margine di estro, perché non vi costringe a limitarvi all’opera in esame, ma vi permette di citare liberamente dall’ultimo libro che avete letto. Se il libro da cui citate, dovesse trattare un argomento diverso da quello che state recensendo, vi servirà a far apparire l’autore molto ridicolo mostrando quanto egli sia diverso da qualcun altro […]. Niente è più facile che far apparire ridicola un’altra persona, ma non è sempre facile al tempo stesso riuscire a non apparire tali. Perciò, si deve esser sempre molto cauti, nel fare a pezzi un autore, a non infliggere delle ferite a se stessi. In una recensione, lo scopo principale è di far sì che il recensore, non il recensito, appaia in una posizione di vantaggio. Il critico perciò deve spulciare tutte le notizie e le idee brillanti che può, dal libro che sta recensendo, e sporgerle qua e là nel suo articolo, senza rivelare la fonte della loro origine. Il più grande sforzo che deve prefiggersi un recensore è di mettere se stesso tra il pubblico e l’autore, cosicché l’autore viene perso completamente di vista quando l’articolo arriva alla fine». 15 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 341 4. Proprio Gramsci del resto, tutto Gramsci, quello dei Quaderni del carcere e quell’altro che precede (nonostante i necessari distinguo), è un invito alla riflessione sull’argomento nelle sue articolazioni pedagogico– antipedagogiche, didattiche–antididattiche, nel senso appunto della ricerca: e quindi della recensione come indagine innovativa, perspicua, segno di vitalità intellettuale e morale, produttiva a sua volta di nuova vita tecnico–etica, e storico–politica. Né è un caso che l’antica convinzione marxiana sull’educazione, che «le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato» (K. Marx, 3a Tesi su Feuerbach, 1845), rispunti nella sostanza in Gramsci: coniugandosi poi variamente all’idea di una quotidianità formativa, pedagogica, didattica, da riconoscere e da far valere nella complessità delle situazioni di insegnamento–apprendimento. La recensione, a questo livello, è strumento educativo elementare, essenziale: e si ripropone metodologicamente come leva della crescita della volontà e dell’intelligenza individuale e sociale (e quindi di massa). Le «armi della critica», innanzi tutto. Le riviste, i giornali, sedi privilegiate, accanto ai libri, alla scuola, alle altre intermediazioni istituzionali della trasmissione e della produzione di cultura, di sapere, di competenza, all’incrocio di quantità e qualità (Gramsci vi insiste). La recensione, in questo senso, può essere essa stessa ricerca storica di prima mano, esemplificazione minima di indagine storiografica; veicolo, dunque, di abiti critici ed autocritici in sviluppo. Il recensire altro non è, in un’ottica siffatta, che una presa d’atto della realtà nel suo prodursi quotidiano, problematico, non prevedibile e nondimeno da padroneggiare razionalmente. L’atteggiamento del recensore dovrà allora essere senza meno attivo, frontale, alternativo a ragion veduta, oppositivo se serve, nell’interesse dell’oggetto medesimo di recensione: e integrativo, correttivo, modificativo ben oltre l’esistente, in funzione di un’ulteriorità recensiva in formazione, tanto se si guarda all’intervento del recensore, quanto al carattere della «cosa» (come già si diceva più sopra) recensita o recensibile. A cominciare appunto dalla sua relazione con la quotidianità e dai suoi «documenti» giornalieri: al limite dal «giornale in classe» come strumento storiografico–educativo in senso stretto e in senso lato), metodologicamente eletto a rappresentare i termini per così dire «sperimentali» del rapporto, da un certo «punto 342 Nicola Siciliani de Cumis di vista». E cioè, ancora, dal punto di vista di chi scrive qui queste note, per come è venuto storicamente e pedagogicamente strutturandosi fin dal principio nel farsi di una circoscritta esperienza di insegnante– ricercatore, tra «filologia, politica e didattica del buon senso»16. Così riassumibile, relativamente a ciò che qui interessa, alla recensione, appunto, come genere storiografico nella sua valenza educativa «di base»17: L’ipotesi unitaria […] consiste nel tentativo di combinare operativamente assieme, e di far convergere nella dimensione di un’unica didattica (dell’italiano, della storia, della pedagogia, ecc.), due esigenze distinte: e cioè l’uso del quotidiano come strumento di formazione etico–politica; e, con lo stesso mezzo, ricerca storica di prima mano, in classe. Al di là delle pur importanti «variazioni sul tema» e delle acquisizioni concrete sul terreno linguistico, documentativo, storico–pedagogico; e al di là delle ulteriori «possibilità di sviluppo» del metodo «filologico» nelle diverse classi e nei differenti tipi o livelli di scuola, il giornale, tra cronaca e storia, consente di conseguire subito, a certe condizioni, risultati considerevoli in fatto di apprendimento–insegnamento, di profitto, di verifica del prodotto ottenuto. L’intelligenza critica dei problemi attuali attraverso un’indagine sulla quotidianità– trascorsa e ormai fattasi storia, può permettere infatti questo di particolare: che gli scolari–ricercatori acquistino il senso di una articolata e ampia prospettiva di giudizio, mantenendo nel loro approccio al passato il vantaggio, il gusto dell’immediatezza e talvolta dell’«urgenza» del problema esaminato e dei suoi termini. D’altra parte, l’interesse, l’attenzione riservata nel corso del normale svolgimento dei «programmi» a qualcuno dei più notevoli episodi dell’attualità–presente, mediante gli stimoli alla ricerca che possono provenire da antiche cronache e comunque da documentazioni giornalistiche, è un modo abbastanza perspicuo per accertare proceduralmente la vitalità degli stessi programmi e per utilizzarne o rettificarne l’indirizzo, sotto la spinta di una realtà in Il volume loescheriano su citato, del resto, sottolineava nella Introduzione l’intrinseco legame tra impegno personale nell’attività di ricerca (con i suoi limiti, le sue regole. le sue finalità e i suoi strumenti, e soggettivo compito professionale (cfr. SICILIANI DE CUMIS, Filologia, politica e didattica del buon senso, cit., pp. 11–36). Il che è continuato e continua a valere nelle intenzioni, come si è detto, anche fuori della scuola media, nell’università. 17 Ivi, pp. 127–129. Cfr. infine, ID., Prime note per una ricerca didattica su Gramsci, Gentile, l’educazione, negli «Atti» del Convegno di studi su Giovanni Gentile, la pedagoga, la scuola, dicembre del ‘94 a Catania (Università degli Studi, Facoltà di lettere, a cura di Giuseppe Spadafora), poi nei tipi dell’editore Armando. 16 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 343 sviluppo. Ed è appunto qui che prende corpo e consistenza durevole l’idea di ricerche originali da parte degli studenti: qui l’idea del «vantaggio» di una formazione individuale e di gruppo progressiva, sperimentalmente rinnovabile nella duplice ottica del presente e del passato a concorso, in vista della soluzione di un problema dell’oggi. Tutto ciò significa, nel farsi concreto di un’educazione, confronto sistematico di linguaggi, di situazioni, di idee; vuol dire approssimazione razionale alle questioni e abbinamento controllato, per somiglianza e per differenza di circostanze problematiche antiche e recenti sul piano di una selezionata «contemporaneità». Da questo punto di vista, l’uso in classe di sepolte effemeridi e di giornali dimenticati, in parallelo e a confronto con le gazzette quotidiane ancora fresche di stampa (la hegeliana «preghiera del mattino») può comportare qualche vantaggio didattico, che val la pena di rilevare. A parte il non sottovalutabile esercizio collaborativo di studenti e insegnante per verificare quotidianamente o almeno periodicamente il ritmo del proprio passo con quello del mondo, ciò che più conta è la possibilità e la continuità dell’accertamento, nel contesto sociale soggettivo che è la classe, delle «accelerazioni» e dei «ritardi» dei processi sociali oggettivi in corso, alla luce di una crescita globale di interessi individuali e di gruppo. Il che comporta di fatto il superamento, anche, di certe barriere linguistiche; l’acquisto di una più elevata consapevolezza storica e politica; e quindi una maggiore padronanza critica di sé e della propria cultura, dall’interno di un determinato ma non immodificabile contesto civile ed esistenziale. In tal senso, a seconda dell’argomento, a seconda del problema, le esperienze ora riferite vanno viste come i momenti trainanti di una azione scolastica complessiva. Esse sembrano pertanto essere servite anzitutto a recuperare e a non dissipare energie, ad aggregare e a chiarire, nelle varie classi, i compiti e i ruoli di ciascuno. Hanno anche contribuito, in qualche caso, a saldare positivamente, una volta evitata la contrapposizione, un curricolo scolastico «normale» con un curricolo scolastico «straordinario», «parallelo». ecc. E, a proposito, va detto almeno questo: che le ricerche di cui si discorre hanno avuto quasi sempre la capacità di sollecitare negli studenti — nel caso che non fossero stati già questi ultimi a prendere l’iniziativa e a stimolare essi stessi l’insegnante — una maggiore adesione, un’attenzione più critica, consapevole e «necessaria», ai programmi previsti dagli ordinamenti: e ciò, paradossalmente, proprio nel momento in cui le stesse ricerche venivano presentate (in un certo senso lo erano anche) come qualcosa di «alternativo». Acquistando i ragazzi fiducia nelle loro capacità di ricercatori e ottenendo da sé la certezza di svolgere un’attività intelligente, impegnativa e «seria» oltre che autogratificante, essi hanno finito con lo scegliere più che col subire 344 Nicola Siciliani de Cumis o con l’accettare ciò che, in un primo tempo avevano rifiutato. Il che vale in particolare per certi argomenti del programma o per alcuni libri di testo. Quando anche sia capitato di verificare la inadeguatezza degli uni e degli altri, rispetto agli interessi sia maturati in classe sia sviluppati fuori dalla scuola, il lavoro integrativo «tra cronaca e storia» per l’intervento attivo di studenti e insegnante — ma gli uni e l’altro solidali nella realizzazione dell’unico fine ricercativo — ha consentito in effetti di riempire qualche «vuoto», di colmare lacune, di superare fratture: a cominciare da quella più grave ed evidente, tra la «vita» e la «scuola», la cultura e il libro […]. Tale «il punto di vista», esplicitamente tecnico, e storico–biografico, del recensore; ed il presupposto stesso della interferenza procedurale ipotetica, tra l’attività storiografica e quella educativa. A scuola e fuori della scuola. Nell’università, certamente, e fuori dell’università. Recensendo libri, e riflettendo in vario modo attorno alla pratica del recensire. E leggendo e documentando, per quanto possibile, il ripresentarsi periodico, tra cronaca e storia, dei termini della «quistione» (nell’accezione gramsciana della parola). Del recensire e dei suoi «momenti» e «moventi», come diceva Antonio Labriola discorrendo del «mezzo pratico per misurare la nostra cultura storica», ed insieme «la nostra capacità di intendere il presente […] i fatti politici attuali» (nel 1900). Ed ora, prendendo le mosse da questo occasionale scambio di idee (estate 1995) tra recensori della recensione e della sua funzione vuoi storiografica, vuoi educativa, nell’ottica di un ipotetico punto di vista dialogico18: a) Bruno Pierozzi: Vorrei sollecitare a questo punto una riflessione su l’opportunità di dedicare uno spazio (ad esempio la domenica) ad una rubrica che recensisca libri e pubblicazioni. La rubrica a mio avviso non dovrebbe però limitarsi alla recensione delle sole novità editoriali, ma svolgere anche un’opera Su «Liberazione», 28 giugno e 4 luglio 1995: due lettere dal titolo Una rubrica per i libri e Bella idea recensire libri. Non sembra tuttavia che le due iniziative abbiano poi avuto alcun significativo riscontro, o conseguenza, nel senso richiesto dai due lettori del quotidiano. Per una mappa di possibili direzioni di indagini sulle recensioni dei giornali, dal punto di vista storiografico–educativo che qui interessa, sui temi del «recensire le recensioni», delle «stroncature preventive». del «recensore frettoloso», dell’«inconscio bibliografico», degli «errori di stampa», di un «errata corrige» ecc., cfr. da ultimo N. SICILIANI DE CUMIS, Stravaganze biblio–emerografiche, in «Samnium», luglio–dicembre 1995, pp. 232–236. 18 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 345 dì divulgazione di testi oggi «oscurati» dalla cultura nuovistica. […] Si avverte oggi con prepotenza l’esigenza di mantenere viva la «memoria storica» […]. Non mi illudo che questo compito impervio possa essere esaurito da una rubrica dedicata ai libri e alla pubblicistica politica, ma sono fermamente convinto che possa essere uno strumento di grande utilità per orientare, per invogliare alla lettura e ad ulteriori approfondimenti. b) Vitaliano Stabilini: Non si può non essere d’accordo con Bruno Pierozzi, per il rilievo dato all’idea di una rubrica di recensioni di libri, con particolare attenzione alla tradizione dei classici del marxismo. Personalmente, se la proposta prendesse quota, vorrei collaborarvi. E comincerei, proprio. da Antonio Gramsci e dalla sua teoria (per così dire) della recensione. La sintetizzo con le sue parole stesse: «Ho accennato a diversi tipi di recensione, ponendomi dal punto di vista delle esigenze culturali di un pubblico ben determinato, che si vorrebbe suscitare: quindi recensioni «riassuntive», per i libri che si pensa non potranno essere letti e recensioni critiche per i libri che si ritiene necessario indicare alla lettura, ma non così, senz’altro, ma dopo averne fissato i limiti e indicato le deficienze parziali, ecc. Questa seconda forma è la più importante e scientificamente degna e deve essere concepita come una collaborazione del recensente al tema trattato dal libro recensito. Quindi la necessità di recensori specializzati e lotta contro l’estemporaneità e la genericità dei giudizi critici». Che Gramsci! E noi? […] risulterebbe una scelta pedagogicamente essenziale tentare di ragionarci su e di mettere socialmente in pratica lo schema del duplice tipo di recensione. Perché non ci proviamo, qui ed ora, fornendo esempi […]? Ci riusciremo? Se ci riusciremo è francamente difficile, difficilissimo dire. Il discorrere criticamente di recensioni può essere, tuttavia, almeno uno spiraglio sulla positività dell’intento. E fa parte del «gioco», cioè del lavoro impegnativo e serio del recensore nella costruzione di un ipotetico «punto di vista» tra storiografia ed educazione, il tentare di prospettare soluzioni tecniche, metodiche, in un certo qual modo «pedagogiche»: benché si sappia senza infingimenti che, se i verbi educare, formare, insegnare ecc. sono grammaticalmente «transitivi», essi però risultano di fatto non– transitivi; nel senso che non serve alcun «complemento» perché l’azione verbale espressa si compia: giacché ogni educazione, formazione, insegnamento che si rispetti, non può che essere in ultima analisi che un’auto–educazione, un’auto–formazione, un’auto–didattica. Si può quindi essere pienamente d’accordo con la lezione dei «Maestri», in tal senso. 346 Nicola Siciliani de Cumis Al recensore, spetta sì il compito di una relativa esemplarità metodologica, in presenza, mai in assenza, del merito delle questioni da lui trattate; ma un esercizio siffatto è pur sempre imperfetto, incompiuto, aperto al «nuovo» che esso stesso proceduralmente introduce o almeno prefigura tra lo «storiografico» e l’«educativo», dal suo «punto di vista». Ecco perché, già solo alla luce di quanto detto fin qui, c’è una quantità di altri discorsi non svolti che pur vi si ricollegano e che converrà tentare. C’è l’obbligo dell’autorecensione. E dunque, in via esemplificativa: va bene il Gramsci della «recensione»: ma fino a che punto il vero Gramsci, sul tema, è questo, come si è detto, che ne parla per esplicito e che qui è stato recensito, e non piuttosto l’altro Gramsci, quello che non ne fa cenno per esplicito pur mettendo in pratica i suoi criteri di recensore? In che misura, se abbiamo affrontato un argomento così (il «punto di vista» storiografico–educativo del recensore per l’appunto) siamo riusciti ad essere autocriticamente trasparenti, ed a restituire le «ragioni» della costruzione della tesi ed il senso delle sue articolazioni? Se la prospettiva da cui ci si è posti fin qui fosse da ora in avanti un’altra (e le variabili da considerare sono in realtà numerose e diverse), come ripenseremmo alla materia delle nostre riflessioni in corso? In che consisterebbero i termini ideologici di un’autorecensione degli attuali modi di osservazione del «punto di vista», che vuol essere tratto–di–unione, ovvero di–disgiunzione tra le attività storiografiche e quelle educative, intanto, di questo singolo ricercatore, di questo solo insegnante19? E poi, in prospettiva (dal punto di vista di quest’ultima, nell’esercizio della sua funzione di recensore): il Labriola che recensì libri, probabilmente e con relativa certezza su «La Cultura» di Ruggero Bonghi (con buonapace dei labriolologi acribiosi epperò ignoranti), nell’86 sognava davvero «volentieri di Giordano Bruno nelle logge massoniche». O almeno sognava di sognare di lui colà (nonostante gli errori di stampa nelle Lettere ad Engels, da correggere, certo). Lo Eugenio Garin totus recensor di questo straordinario volume in fieri dal titolo Minima paedagogica, con i suoi scritti educativi «minori» di oltre un sessantennio, è nella recensione come genere storiografico, nelle schede critiche, nelle note e chiose e postille che fornisce una chiave metodologica per entrare nel merito dell’opera maggiore. Forse. E ancora: questo continuo andirivieni dalle biblioteche e dagli archivi storici, non solo a vantaggio della propria personale ricerca, ma anche nel quadro di un’attività educativa in corso, è parte essenziale della qualità della concretezza del recensire e libri e film (e delle recensioni di libri e film). Questa ricorrente diatriba sulla «realtà» della recensione 19 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 347 Nota. Cautele storico–critiche nella ricerca empirica in educazione∗ Il chi Per cautelarmì (se è possibile) dalle ambivalenze, dalle ambiguità anche, che lo stesso concetto di cautela comporta, spero mi sia consentito di servirmi di un tono insistitamente problematico–interrogativo, per così dire da questionario. Ma un simile approccio dovrebbe esserci tecnicamente congeniale, tra questioni di merito, appunto, e questioni di metodo: e, quanto a me, non saprei farne a meno (al di là di ogni espediente retorico), giacché incomincerei immediatamente col chiedermi una spiegazione tanto dei valori «negativi» della parola cautela, per giunta al plurale, con i significati di prudenza, circospezione, precauzione, riserbo, difesa ecc., quanto dei valori semantici «positivi» del termine: quali accortezza, avvedutezza, ponderazione, furbizia, riflessione, controllo, ecc. Sì, controllo: e siamo già, evidentemente, su un terreno peculiare, scientifico, «unificato» alla John Dewey, sperimentale in senso stretto, ed esperienziato, al livello di precise, circoscritte, limitatissime prove d’indagine tra storiografia e educazione. Diciamo, la recensione… In ogni caso, non saprei uscire dalla mia concreta pratica di ricercatore. Non posso, cautelativamente, che fare riferimento ad essa e ai suoi problemi e alle sue tecniche, alla sua ambizione formativa, e dunque alle sue difficoltà, impossibilità, deficienze, limitazioni oggettive e soggettive autolimitazioni. oggi, e sul suo «dover essere», trova un attimo di respiro, una boccata di ossigeno, se un autore fa sapere di aver riscritto di pianta un’opera nella seconda edizione, «alla luce» delle critiche dei suoi recensori. Trovata pubblicitaria anche questa? Chissà. Però avverti che, tra storiografia ed educazione, le prime prove di recensione dei critici in erba del «Grinzane Cavour» pubblicate non solo sui giornali scolastici ma sui quotidiani di massima tiratura, qualcosa sono. Ma può bastare? No di certo, se volendo in qualche modo partecipare del punto di vista di Pasquali sullo studente–ricercatore «per un solo giorno» (e della critica gramsciana della «passività»), non s’inventa e si generalizza la figura dell’insegnante–recensore, in classe (ad ogni livello di scuola). ∗ Lo stesso titolo della lezione di dottorato di cui sopra, e l’espressione «ricerca empirica», a dispetto del suo significato occasionale polivalente, indicano comunque recensione, ed un recensire quantitativamente rilevante di libri e realtà, idee e fatti. valori e disvalori (tanto educativi quanto storiografici). 348 Nicola Siciliani de Cumis Ecco perché in primo luogo, anche in generale, è al punto di vista di chi compie una determinata ricerca, che io comincerei col rimandare: chi sono io che svolgo questa indagine? Chi siamo noi che indaghiamo? Chi, al singolare e al plurale, chi individualmente e collettivamente, chi siamo e chi vogliamo essere nel corso di un siffatto studio a valenza storico–critica ed insieme (in qualche modo e misura) di tipo empirico–educativo? Chi — infine, o dal principio — sono i «soggetti» dell’indagine? La celebre questione etimologica e glottologica della storia come «istoria», ἱστορία e historia (con quel che precede e segue, sulla radice ἰδ di όραω, dell ’ aspirata h, dello spirito aspro e dello spirito dolce ecc.), come questione non solo filologica, si propone e ripropone come essenziale: se è vero, per dirla ancora con il Dewey di Logica, teoria dell'indagine, che sempre che noi narriamo e descriviamo un fatto, in effetti ri–viviamo una storia, ri–scriviamo la storia (e magari la Storia). Di qui la cautela, il maggior sforzo possibile, di trasparenza ideologica. Chi cioè, più di tutti, mi condiziona nel mio agire storico–critico? Avendo solo una frazione di secondo per pensarci, non avrei dubbi a rispondere. E risponderei: Antonio Gramsci, il Gramsci di tre luoghi per me indimenticabili (il primo scoperto al liceo, il secondo come studente universitario, il terzo a cinquanta anni). Eccoli, nell’ordine cronologico–bio–bibliografico: a) Carissimo Delio, […] Mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio. Antonio20 20 A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Torino, Einaudi, 1965, p. 895. L’edizione su riferita era tuttavia quella parziale, del ’61 nei tipi degli Editori Riuniti, con prefazione di Luigi Russo (la lettera in questione era a p. 159, e chiudeva la raccolta); e fu letta contestualmente al volume Lettere ai condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945), a cura di P. Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 349 b) Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna ed io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza nazionale della regione: «Al mare i continentali!» Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe operaia. Ma quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività se non si era amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante, non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario?21 c) Giustificazione delle autobiografie. Una delle giustificazioni può essere questa: aiutare altri a svilupparsi secondo certi modi e verso certi sbocchi. Spesso le autobiografie sono un atto di orgoglio: si crede che la propria vita sia degna di essere narrata perché «originale», diversa dalle altre, perché la propria personalità è originale, diversa dalle altre, ecc. L’autobiografia può essere concepita «politicamente». Malvezzi e G. Pirelli, Prefazione di E. Enriques Agnoletti, Torino. Einaudi, 1952. Di quest’ultimo libro cfr. quindi la recensione, nella rubrica «Un libro per voi», a cura di chi scrive in «il Sentiero», periodico del Liceo «P. Galluppi» di Catanzaro, del 24 novembre 1961 (tra gli altri collaboratori e recensori, nello stesso numero, Gianni Amelio, Maria Donzelli). 21 A. GRAMSCI, 2000 pagine di Gramsci. Volume secondo. Lettere edite e inedite (1912–1937), a cura di G. Ferrata e N. Gallo, Milano, Il Saggiatore, 1964, pp. 32–33 (una lettera a Julca, da Vienna, 6 marzo 1924). Cfr. quindi, in rapporto “dialettico” con la medesima esperienza di Gramsci le due recensioni di N. Siciliani de Cumis: di A. VISALBERGHI, Educazione e condizionamento sociale, Bari, Laterza, 1964, su «Riforma della scuola», maggio 1964, p. 39, e di F. PITIGLIANI, Metodologia della programmazione. Piano pilota per le scuole secondarie inferiori in Calabria, Roma, Istituto di rilevazioni statistiche e di ricerca economica, 1964, in «Scuola e Città», aprile 1965, pp. 295–296. 350 Nicola Siciliani de Cumis Si sa che la propria vita è simile a quella di mille altre vite, ma che per un «caso» essa ha avuto uno sbocco che le altre molte non potevano avere e non ebbero di fatto. Raccontando si crea questa possibiltà, si suggerisce il processo, si indica lo sbocco. L’autobiografia sostituisce quindi il «saggio politico» o «filosofico»: si descrive in atto ciò che altrimenti si deduce logicamente. È certo che l’autobiografia ha un grande valore storico, in quanto mostra la vita in atto e non solo come dovrebbe essere secondo le leggi scritte o i principi morali dominanti […] solo attraverso l’autobiografia si vede il meccanismo in atto, nella sua funzione effettuale che molto spesso non corrisponde per nulla alla legge scritta. Eppure la storia, nelle sue linee generali, si fa sulla legge scritta: quando poi nascono fatti nuovi che rovesciano la situazione, si pongono delle domande vane, o per lo meno manca il documento del come si è preparato il mutamento «molecolarmente», finché è esploso il mutamento […] le autobiografie […]22. Il dove D’altro canto, in quale spazio si situa l’indagine storico–critica, relativamente al suo uso empirico–educativo? Se c’è un luogo in cui l’ipotetica storicizzazione avviene, e c’è un luogo dove si colloca, distanziandosene la materia oggetto di analisi storica, in che rapporto stanno le due «sedi» tra lontananza ed avvicinamento nel qui o lì dell’esperienza formativa, pedagogica? In che misura è ammissibile, e con quali cautele, nel corso di una sperimentazione sul campo ed in presenza delle sue proprie tecniche, prescindere con cognizione di causa dalla effettiva localizzazione di un fatto storico complessivo e complesso? In altre parole occorre, dovunque, ricollocarsi extralocalizzandosi (per adoperare la terminologia di un Bachtin, ma già Gramsci diceva che bisogna pensare mondialmente): e quindi riuscire ad agire, in quanto storici ed in quanto educatori, di conseguenza. È una specie di ginnastica della mente, che comporta costruzione di abiti storicamente nuovi, interiorizzazioni inedite, tuttavia sempre relative, parziali, ri- 22 GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., p. 1718 e pp. 1723–1724. È questa la chiave di lettura di una serie di testi individuali e collettivi, prodotti a vari livelli d’indagine in oltre venticinque anni di insegnamento sia scolastico sia universitario: ed infine, recensendo il Poema pedagogico di Makarenko come documento storico–autobiografico a forte valenza educativa; e dunque «antipedagogico», nei modi spiegati dall’autore stesso. Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 351 schiose. Vale tuttavia la pena di osservare «sul campo», però storicizzandola, un’indicazione metodologicamente innovativa in questo genere «dialogico»: Una cultura straniera solo agli occhi di un’altra cultura si rivela più pienamente e profondamente (non però in tutta la pienezza, perché sorgeranno anche altre culture, che vedranno e capiranno ancora di più). Un senso rivela le sue profondità, dopo essersi incontrato ed essere entrato in rapporto con un altro senso, straniero: fra di essi comincia una specie di dialogo, che supera la chiusura e l’unilateralità di questi sensi di queste culture. Noi poniamo alla cultura straniera nuove domande, quali essa stessa non si poneva, cerchiamo in essa risposta a queste nostre domande, e la cultura straniera ci risponde, scoprendo davanti a noi nuovi suoi aspetti, nuove profondità di senso. Senza le nostre domande (ma certo, domande serie, autentiche) non si può creativamente capire niente di altro e di straniero. In un tale incontro dialogico di due culture esse non si fondono e non si confondono, ognuna conserva la sua unità e aperta interezza, ma esse si arricchiscono reciprocamente23. Il quando Non è un caso, d’altra parte, che sia lo stesso menzionato Bachtin a fornirci lo strumento concettuale di una cautela storico–critica ulteriore, a proposito del «tempo» (la hora di cui parla Dewey): una cautela perfettamente trasferibile, a mio avviso, sul piano della ricerca empirica in educazione. È sufficiente, nella citazione dialogica che segue, sostituire alla parola «opera» la parola «essere umano», al termine «autore» il termine «educatore», ai «testi» le «teste» e (perché no?) il testing — conservando però, in ogni caso, il senso ed il valore dei limiti, del contesto, della differenza (categoria storico–critica per eccellenza). E allora: Il primo problema è capire l’opera così come la capiva l’autore stesso, andare oltre i limiti della sua comprensione […]. Il secondo problema è l’inserimento nel nostro contesto (estraneo all’autore). Si tratta di mantenere la differenza fra due testi. M.M. BACHTIN, Otvet na vapros redakcij «Novago mira» [Risposta a una domanda della redazione di «Novyj Mir», in «Novyj Mir», n. 11, 1970, p. 240 (trad. it. di G. Mastroianni, Pensatori russi del Novecento, Napoli, L’Officina tipografica, 1993, p. 5). Cfr. quindi N. SICILIANI DE CUMIS, I filosofi russi e il «Giano bifronte» di Bachtin (Note di culturologia tra Italia e Russia/URSS/Csi, 4), in «Slavia», aprile–giugno 1994, pp. 42–49. 23 352 Nicola Siciliani de Cumis Non ci sono né la prima, né l'ultima parola e non ci sono confini al contesto dialogico (esso si perde nello sconfinato passato e nello sconfinato futuro) […]. In ogni momento dello sviluppo del dialogo esistono enormi, illimitate moltitudini di sensi dimenticati, ma, in determinati momenti dell’ulteriore sviluppo del dialogo, nel suo corso, essi di nuovo saranno ricordati e rinasceranno in forma rinnovata (in un nuovo contesto)…24. Il che cosa È il grande tema dei contenuti dell’insegnamento/apprendimento (ma va oltre): il tema, enorme, della materia specifica nel quadro della «enciclopedia pedagogica» e delle sue storiche ripartizioni in settori (psicologico, sociologico, metodologico, disciplinare); ed è il tema delle cautele critiche, che dalla suddetta quadripartizione consegue assieme ad alcune domande precauzionali, preventive ma basilari, in ordine alla scelta educativa, che qui ed ora soprattutto interessa. E quindi, storicamente e pedagogicamente parlando: 1. se le competenze professionali che si richiedono agli insegnanti si possono schematicamente ridurre alla conoscenza dell’allievo, alla conoscenza della società, alla conoscenza dei metodi ed alla conoscenza della materia dell’insegnare e dell’apprendere, è un fatto che tutti e quattro i tipi di competenza evolvano storicamente e criticamente: e che, pertanto, lo sviluppo e il mutamento siano essi stessi parte di un processo (storico– critico) che appartiene all’esperienza educativa (al limite anche «sperimentale»); 2. se c’è (come sembra vi sia) un’evidente relazione tra le suddette competenze dell’educatore ed i settori delle scienze dell’educazione precedentemente elencati, non sembra essere dubbio che tra la storia e la critica interna alle singole discipline (o a gruppi di esse) e la storia e la critica della didattica non può, non deve esserci soluzione di continuità (ed è per me un’assunzione metodologica “alta”, quanto irrinunciabile); 3. se la “filosofia dell’educazione” o la “pedagogia generale”, e la “pedagogia sperimentale” o la “pedagogia comparata” costituiscono “problema” circa il loro posto nell’«enciclopedia pedagogica», sembra essere proprio la dimensione storico–critica a consentire una corretta, M.M. BACHTIN, in T. TODOROV, Michail Bachtin. Il principio dialogico, trad. it. di Anna Maria Marietti, Torino, Einaudi, 1990, pp. 150–151. 24 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 353 nuova impostazione e possibile risoluzione della questione (sia teorica sia empirica): nel senso che, anche al di là delle eventuali istituzionalizzazioni accademiche (le cattedre, i gruppi concorsuali, i dottorandi di ricerca ecc.), è la storia e la critica interne ai su indicati ambiti disciplinari a decidere in ultima analisi delle legittimità o meno del loro posto tra le scienze dell’educazione; 4. se, per altro, la “pedagogia sperimentale” in specie vuol continuare ad essere non una scienza particolare, ma un modo soprattutto di utilizzare diverse scienze dell’educazione al fine di svilupparne altre (le metodologie didattiche, le tecnologie educative, la “teoria del curriculum” ecc.), sembra opportuno ipotizzare forse una maggiore ampiezza dell’ambito dell’influenza di ciò che è «sperimentale» ed al tempo stesso (cioè storicamente e criticamente) «pedagogico»; 5. se difatti non c’è attività «scientifica» che in qualche maniera non poggia su ipotesi e controlli di tipo variamente «sperimentali», potrà servire, probabilmente, anche ai fini educativi cogliere sempre, purché ci sia, l’elemento esperienziale, empirico, prammatico, e dunque di sperimentazione, di prova, di avanguardia tecnico–scientifica, di rottura tra presente, passato e futuro, al di qua e al di là della «storia»; 6. se finalmente, poi, ciascuna disciplina o scienza che afferisce alla «enciclopedia pedagogica» ha una sua storia, ha i suoi contenuti specifici, una sua materialità empirico–educativa (perfino sperimentale, nei suoi confini tradizionali e nelle sue ibridazioni interdisciplinari ovvero transdisciplinari ulteriori), allora pare ancora utile agganciare la cosiddetta “storia della materia specifica” (con le critiche che essa competono, tra didattica e ricerca) ad ognuna delle scienze dell’educazione con o senza patente… Di maggior interesse, anzi, quelle discipline di statuto epistemologico–educativo in via di formazione, e dunque più che mai «sperimentali», più che mai pedagogiche nel loro costituirsi tendenzialmente come «scienza». 354 Nicola Siciliani de Cumis Il perché È il gran tema delle ragioni storiche (soggettive ed oggettive) del nostro voler e saper essere critici sempre, nella ricerca empirica in educazione, non meno che in altre attività direttamente o indirettamente pedagogiche. E vale la pena di sottolineare il doppio valore causale e finale del «perché»: il motivo della mia ricerca consiste in questo, lo scopo che mi prefiggo è il seguente… ma è bene non teorizzare oltre: anche perché le cautele storico–critiche, oltre un certo limite, possono essere paralizzanti. E dunque, meglio mettersi in gioco… continuare a metterci in gioco, ciascuno, nella quotidianità del nostro lavoro di ricercatori, nei limiti delle nostre eventuali competenze, e capacità di traduttori o ipotetici induttori di competenze leggendo e rileggendo storicamente e criticamente — poniamo — il Poema pedagogico di Anton Semёnovič Makarenko — subito avvertiti del fatto, a suo modo empirico ed educativo, che l’opera, non solo la parola del titolo, recupera e moltiplica, nella sua chiave, tutti i significati del verbo greco ποιέω e le sue conseguenze «multilaterali», «politecniche», complesse ed ipercomplesse, oltre che ricchissime in prospettiva… Ma perché recensire questo autore, a quale scopo, con quali obiettivi e finalità, relativamente a ciò che voglio ottenere con la mia disamina per gli altri o con ali altri, di storiografico ed insieme di educativo? Perché recensire monograficamente l’opera, un romanzo di educazione, come se fosse (lo è) un documento storico? Perché collegare di fatto, nel corso di un lavoro didattico e di ricerca strettamente congiunto ad altre parallele esperienze di ricerca e didattiche, lo scrivere di storia ed il leggere di educazione? Che cosa mi propongo di ottenere nell’immediato, storicizzando il Poema pedagogico, che cosa mettendo in evidenza il rilievo educativo del mio ipotizzato ragionamento storico–ricostruttivo? Almeno i seguenti sperabili risultati elementari, da cui dedurre quindi le «regole» di una possibile recensione didattica su cui continuare a discorrere con colleghi e studenti e studiosi25: Cfr. intanto su «Slavia», luglio–dicembre 1995, pp. 3 sgg., a cura di chi scrive e di Beatrice Paternò, i materiali di una recensione individuale–collettiva del Poema pedagogico, che completano il testo stesso del romanzo makarenkiano, integrandoli di due capitoli pressoché sconosciuti, e dunque di ulteriori elementi di riflessione e di interpretazione. 25 Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione 355 a) una comprensione della vicenda narrata dall’autore; b) una certa sensibilizzazione del gusto per il leggere; c) una approssimazione a tutt’intera la pedagogia di Makarenko; d) una collocazione del romanzo nel suo spazio e nel suo tempo; e) una contestualizzazione del libro in relazione agli altri testi adottati per il corso; f) una problematizzazione, tra cronaca e storia (per analogia e per differenza), dei principali concetti e delle situazioni educative rappresentate nel romanzo; g) una qualche attenzione alle fonti esplicite e/o implicite dell’opera; h) una individuazione degli interessi, in presenza della materia specifica (specie quella relativa alla problematica degli interessi secondo Makarenko); i) una prefigurazione di ipotesi di indagini sul romanzo, sull’autore, sui tempi ecc., «a partire da…»; l) uno studio iniziale della letteratura critica su Makarenko; m) un inizio di lettura di corrispondenze makarenkiane con colleghi pedagogisti, e con taluno degli allievi della colonia «Gor’kij»; n) una sottolineatura del rapporto personaggi del romanzo/allievi effettivi (della colonia, della comune) di Makarenko; o) un approfondimento delle coordinate pedagogiche generali del romanzo, in rapporto con le vedute estetiche del tempo (Makarenko, il realismo socialista, il suo lirismo, la sua idea di arte, di bellezza ecc.; ma pure, fuori dell’Ucraina e dell’URSS, Dewey…); p) una caratterizzazione delle idee–forza della concezione del mondo rnakarenkiana, siccome risulta dal romanzo; r) una spiegazione del concetto di «pedagogia dello scoppio» (anche in relazione al tema dell’«esplosione» in altri autori, da Ejzenštejn e Vygotskij a Lotman); s) una ipotesi sull’idea di «sperimentazione», secondo Makarenko; t) una lettura dell’interpretazione di Gyorgy Lukács sul Poema pedagogico come prova di «accumulazione originaria» della pedagogia socialista; u) un’attenzione particolare al tipo di umorismo pedagogico dello scrittore Makarenko; 356 Nicola Siciliani de Cumis v) una discussione sui temi: biografia/autobiografia, collettivo, diritto, filosofia, gioco, morale, politica, prospettiva, quantità/qualità, valutazione, rotazione, scienza, vita, ecc. z) un’indicazione di ricerca: il 1934 (e dintorni). Come recensione, anche questa. Autori presenti nel volume e nel DVD Pietro Borzomati. Ordinario di Storia contemporanea nell’Università statale per Stranieri di Perugia. Collabora a «L’Osservatore Romano». Studioso di temi e problemi della questione meridionale, del movimento cattolico e della spiritualità popolare in Calabria. Giovanni Cacioppo. Professore di Didattica nell’Università di Palermo. Dirige per i tipi dell’editore Sciascia, la collana «Percorsi formativi». È autore, tra l’altro, di studi su Aldo Capitini e Danilo Dolci. Mario Casalinuovo. Avvocato, uomo politico, pubblicista. Ha collaborato e collabora a riviste e a giornali, su temi e problemi di carattere sociale, amministrativo, meridionalistico. Sergio Cicatelli. Docente nelle scuole medie e all’università, dirigente scolastico nei licei, è studioso di materie filosofiche. Esperto di questioni inerenti alla didattica della filosofia e, più in generale, al rapporto insegnamento–apprendimento–ricerca. Giacomo Cives. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza», vi insegna tuttora materie storico–pedagogiche. Presidente del Centro Italiano per la Ricerca Storico–Educativa (CIRSE). È soprattutto studioso di autori e opere dell’Ottocento e del Novecento pedagogico italiano (ispezioni e inchieste, filosofia dell’educazione, Gabelli, Collodi, Giuseppe Lombardo Radice, Montessori, ecc.). Marco Antonio D’Arcangeli. È professore associato di Pedagogia generale nell’Università di L’Aquila. Ha svolto e svolge incarichi di insegnamento in altre università, tra cui «La Sapienza» di Roma. È studioso, soprattutto, di Luigi Credaro e della «Rivista Pedagogica». Nino Dazzi. Prorettore delegato ai Rapporti con l’Amministrazione nell’Università di Roma «La Sapienza». Ordinario di Psicologia dinamica nella medesima università. È autore di studi di storia della psicologia e di didattica. Girolamo de Liguori. Ha insegnato a vario titolo nella scuola e all’università. È studioso di Arturo Graf, del materialismo filosofico tra “modernità” e “contemporaneità”, nonché di temi e problemi storico–filosofici, storico–letterari, culturologici ed educativi. Tullio De Mauro. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». È stato Ministro della Pubblica istruzione e del’Università. Storico della lingua, linguista, filosofo del linguaggio, lessicografo. Studioso, tra l’altro, di Saussure, Wittgenstein, Croce, Gramsci, Don Milani. Pubblicista ed esperto di divulgazione scientifica. 358 Autori presenti nel volume e nel DVD Graziella Falconi. Politologa. Collabora variamente a «Le nuove ragioni del socialismo» e, sul piano nazionale, con il Dipartimento Formazione dei Democratici di Sinistra. Franco Ferrarotti. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». Primo cattedratico di Sociologia in Italia, fondatore e attuale direttore di «La Critica sociologica», parlamentare. Noto in Italia e all’estero per gli studi sui classici della sociologia, per le indagini sul campo, per le polemiche e per i reportage fotografici. Remo Fornaca. Professore Emerito nell’Università di Torino. Già presidente del CIRSE, è soprattutto studioso di temi e problemi di storia dell’educazione in Italia, tra Ottocento e Novecento. Le sue opere spaziano nei campi della filosofia dell’educazione, della pedagogia generale, delle tecnologie educative, delle storia della cultura. Vincenzo Gabriele. Laureato in Filosofia. Ha studiato la rivista «Giornale critico della filosofia italiana», dal punto di vista della sua attenzione alla pedagogia, all’educazione, alla scuola, alla didattica. Norberto Galli. Ordinario di Pedagogia generale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Studioso di temi e problemi relativi alla pedagogia familiare, nelle diverse loro connessioni con le scienze dell’educazione e della formazione. Dirige la rivista «Pedagogia e Vita». Tullio Gregory. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». Accademico dei Lincei. Dirige il Lessico Intellettuale Europeo e settori nell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Si è occupato del platonismo medievale e rinascimentale e dei momenti di passaggio e di crisi tra il XII e il XVII secolo. Studioso delle dimensioni giuridico–istituzionali, organizzative, strutturali e materiali, anche quelle più “elementari”, della cultura. Luigi Londei. Direttore dell’Archivio di Stato di Roma. Storico, docente, pubblicista. Ha pubblicato studi di archivistica e di storia delle magistrature dello Stato della Chiesa nell’età moderna. Emiliano Macinai. Assistente di redazione della rivista «Didatticamente». Collabora con la Facoltà di Scienze della formazione di Firenze. Mario Alighiero Manacorda. Ordinario di Storia della pedagogia nell’Università di Roma «La Sapienza». Studioso, in particolare, dell’educazione nell’antichità greca e romana e della pedagogia di Marx, Engels, Gramsci; nonché dei rapporti tra l’educazione intellettuale, morale, politica e l’educazione fisica, quella agonistica in specie. Giacomo Marramao. Ordinario di Filosofia politica nell’Università di Roma Tre. Direttore della Fondazione «Lelio e Lisli Basso–Issoco». Storico della filosofia, politologo, pubblicista. Studioso, tra l’altro, dell’“austromarxismo”, del revisionismo in Autori presenti nel volume e nel DVD 359 Italia, della secolarizzazione e il potere, delle culture comunitarie. Ha insegnato e insegna in diverse università italiane e straniere. È membro del Collège International de Philosophie di Parigi. Stefano Miccolis. Studioso dell’opera di Antonio Labriola e di autori che variamente gli si riconnettono. Di Labriola, ha curato, in particolare, un’edizione dei carteggi in cinque tomi. Maria Pia Musso. Insegna nella scuola media e collabora con la Cattedra di Pedagogia generale I dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza». Ha pubblicato un libro sul tema del “gioco” durante il fascismo e contributi in volumi collettanei e in riviste (su Labriola, Gramsci, ecc.). Marco Maria Olivetti. Ordinario di Filosofia della religione e primo Preside della Facoltà di Filosofia, nell’Università di Roma «La Sapienza». Socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Studioso di notorietà nazionale e internazionale, in particolare, di Kant, Jacobi, Heidegger, ecc. Ha diretto l’Istituto di Studi Filosofici «Enrico Castelli» e la rivista «Archivio di Filosofia». Vincenzo Orsomarso. Docente di Italiano e storia negli istituti tecnici. Collabora con la Cattedra di Pedagogia generale I, nell’Università di Roma «La Sapienza». È autore di libri e saggi sul materialismo storico, su Labriola, su Gramsci, sulla divisione sociale del lavoro, sul nesso didattica–ricerca. Claudia Pinci. Laureata nella “triennale” in Scienze dell’educazione e della formazione, nell’Università di Roma «La Sapienza». Studentessa della laurea “specialistica”. Ha studiato in particolare Makarenko e Yunus a confronto. Luigi Punzo. Straordinario di Storia della filosofia nell’Università di Cassino. Studioso della cultura inglese del Seicento, del pensiero politico di Francesco Bacone, del marxismo di Antonio Labriola. Ha svolto e svolge incarichi di governo dell’università. Attivamente impegnato nei Democratici di Sinistra. Ricci Aldo Giovanni. Sovrintendente all’Archivio Centrale dello Stato. Storico e pubblicista. Studioso, in particolare, di Sismondi e il marxismo. Francesca Rizzo. Docente di Filosofia contemporanea nell’Università di Messina. Collabora con la Società Italiana di Storia della Filosofia. È studiosa del pensiero e dell’opera di Gentile, nelle sue relazioni con la filosofia del Risorgimento. Federico Ruggiero. Dottore in Filosofia, cultore di materie pedagogiche e scientifico–educative. Educatore professionale. Studioso di Labriola e di Vygotskij. Roberto Sandrucci. Docente di Storia e filosofia nei licei. Collabora con la Cattedra di Pedagogia generale I. Studioso di temi e problemi di storia della filosofia e di storia 360 Autori presenti nel volume e nel DVD della cultura (Cartesio, Renato Serra, Günter Anders, Gianni Amelio, l’intercultura, la didattica, ecc.). Antonio Santoni Rugiu. Professore Emerito di Storia della pedagogia nell’Università di Firenze. Storico dell’educazione. Specialista di storia delle istituzioni scolastiche e universitarie e di storia della didattica. “Enciclopedico” studioso di autori classici, non solo della pedagogia. Sensibile ai temi e ai problemi dell’educazione, anche in rapporto ai mass media (teatro, cinema, radio). Gennaro Sasso. Professore Emerito nell’Università di Roma «La Sapienza». Storico della filosofia e filosofo della cultura. Studioso, tra l’altro, di Machiavelli, Croce, Gentile. Dirige la rivista «La Cultura». Daniela Secondo. Studentessa del Corso di laurea “triennale” in Scienze dell’educazione e della formazione. Fulvio Tessitore. Ordinario di Storia della filosofia nell’Università di Napoli «Federico II». Senatore della Repubblica. Presidente del Comitato d’onore per le celebrazioni dell’Anno labrioliano (2004). Studioso, soprattuttto, dello storicismo tedesco contemporaneo. Pubblicista. Roberto Toro. Docente di Storia e filosofia nei licei. Musicologo ed esperto di tecnologie informatiche e audiovisive. Collabora alla Cattedra di Pedagogia generale I dell’Università di Roma «La Sapienza». Giuseppe Vacca. Presidente della Fondazione Istituto «Gramsci». Ordinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Bari. Storico della filosofia politica, politologo, studioso, tra l’altro, di Bertrando Spaventa, Gramsci, Togliatti. Membro della Direzione Nazionale dei Democratici di Sinistra. Corrado Veneziano. Autore di teatro e di cinema. Documentarista. Professore di Linguistica nell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico». Ha insegnato in università italiane e straniere. Indice dei nomi* ABBAGNANO N., 15, 17 ADLER M., 41 ALBERTI A., 228, 230, 244 ALTHUSSER L., 74 AMELIO G., 348n., 360 ANDERS G., 360 ANDREUCCI F., 35n., 256n., 272 ANGIULLI A., 108, 228, 230, 259 e n. ARDIGÒ R., 108, 230, 308n. ARISTOTELE, 67, 275 ASTURARO A., 169 BABINI V.P., 31 BACON F., 252, 275, 359 BACCARINI A., 152, 168n. BACCI L., 39n. BACHTIN M., 292, 351 e n., 352n. BACKHAUS G., 172n. BADALONI N., 113 BALUFFI G., 174 BAGEHOT W., 275 BAGNATO R., IX, 321 e n. BAIN A., 251, 275 BAKUNIN M.A., 75 BALLIO E., 174 BANFI A., 113 BARATONO A., 47, 48 BARBERA L., 249 BARBUSSE H., 174 ∗ BÄRENBACH F. VON (pseudonimo di F. MEDVECZKY), 236 BARZELLOTTI G., 97, 228, 230, 234, 235, 245, 278, 296 BARZILAI S., 234 BASSO L., 134, 142 e n., 143, 144n., 169, 220, 253, 254, 255 e n., 256, 272 e n., 273, 276 BATTA MILESI G., 168 BATTAGLIA S., 330n. BELLAGAMBA L., 10 BELLARMINO (cardinale), 326 BELLERATE B., 88n., 100, 218, 299 BERGAMI G., 174 BERGSON H., 54, 66, 174 BERNARD C., 252 BERNINI G.L., 10 BERNSTEIN E., 104 BERTI D., 174 BERTI G., 119, 174 BERTONDINI A., 299 BERTONI JOVINE D., 89n., 206n., 230, 233, 307n. BEVEGNI C., 336 BIAGETTI S., 129 BIANCHI L., 296 BIANCO V., 174 BIEDERMANN G., 278 BINET A., 132, 285 BLONDEL M., 54 Considerata la frequenza con cui torna nel volume, non si registra, ovviamente, il nome di Antonio Labriola. 362 BÖCKH A., 278 BONACCORSO R., 55 e n. BONAVENTURA DA BAGNOREA, 55n. BONCORI G., 128, 132, 134, 218, 284 e n., 285, 287 e n., 288, 299 BONFIGLI P., 31 BONGHI R., 104, 105, 121, 125, 169, 228, 234, 248, 249, 250, 251, 346n. BONIFACIO VIII (papa), 222 BORROMINI F., 10 BORZOMATI P., VII, 9, 357 BOSELLI P., 261, 265, 266 BOSEO (professore), 266 BOSSUET J.B., 275 BOUTROUX É., 54 BRANCHETTI M.G., 9–10 BROCCOLI A., 28n., 220 BRUNER J.S., 132 BRUNO G., 63, 260, 322, 324, 325, 326, 346n. BUCHANAM G., 275 BUCHARIN N.I., 74, 168n. BUCKLE, H.T., 278 BURKE E., 275 BUSINO G., 144n. CABRINI A., 261, 266 CACIOPPO G., VII, 13, 357 CALAMANDREI P., 329n. CALANDRA C., 266 CALOGERO G., 15, 24, 94, 219 CALVANI A., 286n., 297, 298n. CALVINO (J. CAUVIN), 325 CAMBI F., 34n., 35n., 52n. CANTONI C., 295 CAPITINI A., 357 CAPPELLETTI L, 121, 318 CAPRIOGLIO S., 348n. CARDUCCI G., 108 CARINA D., 107 Indice dei nomi CARLYLE T., 104 CASALINUOVO M., VII, 19, 357 CASATI G., 82, 123, 223 CATONE M.P., 339 CAVOUR C.B. (conte di), 108 CELESIA E., 82 CENTI B., 294n., 299 CERAMI V., 17 CHIAPPELLI A., 310n. CHIMIENTI P., 261, 265, 266, 267 CHIOSSO G., 34n. CHOEN E., 41 CIAMPI C.A., 2 CIAMPI I., 174 CICATELLI S., VII, 23, 128, 131, 357 CICCOTTI E., 39n., 267 CIMINO G., 295n., 299 CIVES G., VII, 29 e n., 88n., 100, 218, 334n., 357 CLERICI F., 305n., 340n. COLLODI C. (pseudonimo di C. LORENZINI), 357 COLONNA V., 124 COMENIUS (J.A. KOMENSKY), 54n. COMTE A., 168, 246, 275, 278 CONDORCET J.–A.–N., 50n. COPPINO M., 82, 227 CORNELIUS H., 54 CORDA COSTA M., 218 CORTELLAZZO M., 330n. COSTA A., 39n., 125, 267, 318 COTRONEO G., 100, 218 COVATO C., 27n., 123, 223 CREDARO L., 24, 27, 29, 33 e n., 34, 35, 36 e n., 37 e n., 38n., 39 e n., 40n., 42, 43 e n., 44, 45, 46, 47, 52, 53, 55, 57, 218, 261, 265, 266, 267, 270, 307n., 357 CREMONA L., 230, 242 CRISPI F., 152 Indice dei nomi CROCE B., 35, 39n., 48, 61, 65, 66, 68, 70 e n., 71, 77, 78, 83, 85, 86 e n., 97, 103, 115, 118, 122, 134, 153n., 164, 168n., 174, 190, 201, 219, 220, 267, 308n., 309, 310n., 311, 321, 357, 360 D’AFFLITTO R., 120 DALLA VEDOVA G., 174 DAL MONTE G., 55n. DAL PANE L., 82n., 119, 139n., 140n., 260 e n., 272, 293 e n., 299 D’AMICO S., 101, 360 DANEO (studentesse), 174 DANTE ALIGHIERI, V, 252 D’ARCANGELI M.A., VII, 33 e n., 36n., 357 DARWIN C., 66, 251, 278 DAZZI N., 1 e n., 357 DE AMICIS E., 261, 265 DE BERNARDO (maestro), 124 DE CRESCENZO L., 16 DE DOMINICIS O., 124 DE DOMINICIS S.F., 228, 230, 246 DEL BO G., 153n. DE LIGUORI G., VII, 59, 219, 357 DELLA VALLE G., 44, 52 DELLA VOLPE G., 112–113 DEL NOCE A., 174 DE MAURO T., 1n., 15 e n., 16, 17, 61, 94, 357 DE MEIS A.C., 120, 230, 297n., 299 D’ERCOLE P., 228, 249 DE REGIBUS L., 55n. DE RUGGIERO G., 67 DE SANCTIS F., 221 DE SANCTIS S., 31, 295 e n., 296 e n. DE SARLO F., 48 DESCARTES R., 128, 131, 132, 252, 360 DESIDERI F., 15 e n., 17 DESSI A., IV 363 DETTI T., 35n., 256n., 272 DEWEY J., 71, 351, 355 DIDEROT D., 222 DI DIECO G., 28n. DOLCI D., 357 DONINI R., 219 D’ONOFRIO S., 123 DONZELLI M., 348n. DORÉ G., 55n. DORMINO M., 25 n., 196n. DORNETTI E., 178n., 199 DROYSEN J.G., 278 DURANT W., 14, 17 EFIROV S.A., 70n. EHRMAN B.D., 16 e n., 17 EJZENŠTEJN S.M., 292, 355 ELISABETTA (Regina d’Inglitterra), 326 ENGELS F., 45, 47, 48, 49, 61, 66, 67, 69, 70, 73, 105, 106, 153 e n,, 219, 264, 281n., 312, 346n. , 358 ENRIQUES A.E., 348n. EPICURO, 293 EUCLIDE, 252 FABRETTI G., 249 FALCONI G., VII, 63, 358 FATTORI M., 218 FECHNER G.T., 251 FEDERICO II (re), 252 FERRATA G., 349n. FERRARI E., 39n., 260, 261, 266, 267 e n., 270, 271, 321n., 322, 323, 327, 328 FERRARI G., 278 FERRAROTTI F., VII, 1n., 60, 65, 70 e n., 95, 134, 358 FERRI E., 10, 66, 107, 108 FERRI L., 228, 230 FEUERBACH L., 48, 341 FICHTE J.G., 87 364 FILOMUSI–GUELFI F., 174 FIORILLI C., 253 FISKE J., 251 FLACCAVENTO F., 307n. FORMIGGÍNI A.F., 39n., 267 FORNACA R., VII, 81, 86n., 358 FORNELLI N., 228, 230 FOZIO (patriarca di Costantinopoli), 336 FUBINI E., 348n. GABELLI A., 357 GABRIELE V., VII, 91, 358 GAETANO G., 290n., 299 GALILEI G., 8 GALLI N., VIII, 93, 358 GALLO N., 349n. GALLUPPI P., 261, 266, 348n. GARDER J., 16, 17 GARIN E., 5, 14 e n., 59, 60, 66, 68, 71, 83n., 94, 124, 137, 138n., 157n., 171n,. 172n,. 174, 226, 230, 231, 232, 235, 236, 237, 238, 272, 309n., 316, 334n., 346n. GARRONI E., 283n., 299 GENTILE G., XIn., 43 e n., 61, 69, 73, 84, 85, 86 e n., 92, 95, 96, 97, 123, 134, 158, 159, 174, 201, 219, 220, 221, 309, 310 e n., 311, 313, 342n., 359, 360 GENTILE I., 249 GERRATANA V., 83n., 103, 104n., 114n., 117, 134n., 156n., 164n., 173n., 198n., 199, 206n., 309n., 315n., 324n., 329n. GERVINUS G.G., 258, 278 GESÙ CRISTO, 14 GIANNANTONI G., 219 GIANTURCO E., 108 GIARRÉ M., 107 GIARRIZZO G., 85n., 95, 199, 218 Indice dei nomi GIOBERTI V., 278 GIOLITTI G., 53, 77, 186 GNISCI A., 129 GOBETTI P., 174 GOR’KIJ M. (pseudonimo di A.M. PEŠKOV), 355 GRAF A., 174, 219, 357 GRAMSCI A., V, 66, 70, 73, 74, 75, 77, 78, 94, 114 e n., 125, 134n., 158 e n., 159, 164n., 173 e n., 173n., 174 e n., 190, 198n., 199, 207n., 316, 318, 321, 329 e n., 330 e n., 330n., 331, 333, 338, 341, 345, 346, 348 e n., 349n., 350n., 351, 357, 358, 359, 360 GRAMSCI D., 348 GREGORACI G., 266 GREGORI L., XII GREGORY T., VIII, 95, 358 GUANELLA L. (don), 9, 11, 12, 36n., 164, 168n. GUASTELLA C., 97 GUEDIJ D., 16, 17 GUERRA A., 83n., 104n., 117, 206n., 308n. GUILFORD J.P., 132 GWYNPLAINE (pseudonimo di A. TORRE), 283, 299 HAECKEL E.H., 251 HAMILTON W., 251 HARTMANN E., 83, 251 HEGEL G.W.F., 83, 96, 174, 215n,. 263, 278, 293, 294n., 309, 310n., 311, 326 HEIDEGGER M., 73, 359 HELMHOLTZ H., 251 HELVÉTIUS C.–A., 223 HERBART J.F., 35, 36, 42, 83, 87, 88 e n., 93, 100, 222, 263, 311 HERDER J.G., 278 HERMANN K.F., 278 HILFERDING R., 153n., 168n. Indice dei nomi HOBSON J.A., 153n., 168n. HOLBACH (P.–H. THIRY, barone di), 223 HONNEGER FRESCO G., 31 HUMBOLDT K.W. VON, 278 HUXLEY T.H., 278 IMPALLOMENI G., 266 IODICE M.G., 128 JACOBI F.H., 359 JERVOLINO M., 32 JONAS H., 128 KAJON I., 127, 128, 129n., 132, 199, 218 KANT I., 35, 36, 45, 49, 56, 57n., 83, 122, 129, 223, 264, 275, 294n., 317, 359 KERBACKER M., 174 KIPLING R., 174 KONOVALENKO O., 70n. KRAMER R., 31 KULISCIOFF A., 219 LABANCA B., 228 LABRIOLA A.F., 125, 260, 261, 318, 321 e n., 322, 324, 327, 328 LABRIOLA F.S., 187 LABRIOLA T., 39n., 192n., 219 LACAVA P., 266 LAENG M., 27 LAFARGUE P., 171n. LAMA L., 31 LAMBRUSCHINI R., 221 LANGL J., 236, 260 LANGUET H., 275 LASSALLE F., 105 LAUDISI (professore), 310n. LATTANZIO L.C.F., 55n. LAZARUS R.S., 278 LAZZARI S., 26n. 365 LENIN (pseudonimo di V.I. UL’JANOV), 70 e n., 74, 75, 78, 153, 168n. LEONE XIII (papa), 109 LEOPARDI G., 114 LE ROY E., 54 LINDNER G.E., 275, 278 LIPMAN M., 132 LIPPERT J., 278 LOESCHER F.H., 174 LOISY A., 56 LOLLINI V., 261, 266 LOMBARDI F., 25 LOMBARDO G.P., 295n., 299 LOMBARDO RADICE G., 43n., 222, 357 LOMBARDO RADICE L., 70 LOMBROSO C., 66 LONDEI L., 1n. , 358 LOPEZ M., 15n., 17 LORIA A., 66, 310n., 174 LOTZE R.H., 278 LOYOLA, I. DI (santo), 326 LUCA (evangelista), 14 LUCISANO P., 101 LUGARINI L., 135 LUIGI XIV (re), 236 LUKÁCS G., 355 LUNAČARSKIJ A.V., 74, 160 LUPORINI C., 113 LUTERO M., 326 LUXEMBURG R., 168n. MACCHERONI A.M., 31 MACHIAVELLI, N, 275, 360 MACINAI E., VIII, 99, 358 MACRY–CORREALE F, 230 MADISON TERMAN L., 132 MAGER R.F., 290n., 299 MAISTRE J. DE, 104 MAJORANA A., 228, 230, 243 Indice dei nomi 366 MAKARENKO A.S., 125, 173 e n., 178 e n., 194, 197, 198, 199, 305, 318, 319 e n., 335n., 350n., 354, 355, 359 MALVEZZI P., 348n. MANACORDA G., 108 MANACORDA M.A., VIII, 1n., 95, 101, 103, 358 MARAGLIANO R., 284 e n., 286n., 299 MARCHESINI G., 223 MARCHI D., 89n. MARCO (evangelista), 13 MARCON P., 299 MARIETTI A.M., 352n. MARLO K.G.W., 278 MARRAMAO G., 1n., 358–359 MARRUZZO V., 173n., 174 MARTIGNETTI P., 153 MARTINELLI R., 119 MARTINEZ, 122, 318 MARTINI F., 122, 318 MARTINO A., 113 MARX K., 36, 45, 48, 49, 66, 69, 70, 73, 83, 86n., 96, 105, 106, 111, 112, 113, 114, 115, 144, 153 e n., 165, 166n., 171n,. 172 e n., 174, 220, 222, 263, 281n., 293, 310n., 312, 341, 349, 358 MASTROGREGORI M., 329n. MASTROIANNI G., 59, 60, 134, 155n., 219, 334n., 351n. MATELLICANI A., 26n., 29, 31 MATTEOTTI G., 255 MAZZINI G., 152, 278 MEAD G.H., 132 MECACCI L., 206n. MEI F., 305n., 340n. MENCKEN H.L., 13 e n., 17, 44 MENGER K., 275 MENSHAUSEN F., 125, 327 MERKER N., 299 MERLINO S.F., 104 MERLO P., 228, 249 MESCHIARI A., 122, 125 MICCOLIS S., VIII, 35n., 40n., 41n., 92, 117, 119, 121, 125, 140n., 158n., 218, 307, 308, 309, 310, 312, 313, 314n., 315, 316, 318, 359 MICHELET K.L., 122 MILANI L. (don), 357 MILTON J., 275 MOCENIGO G., 325 MOMMSEN T., 278 MONACI E., 122 MONDOLFO R., 41, 45, 46, 47, 48, 174 MONTEMARTINI G., 266 MONTESANO G.F., 31 MONTESQUIEU (C.–L. DE SECONDAT, barone di), 108, 113, 275 MONTESSORI M., 10, 26 e n., 29, 30, 31, 32, 46, 93, 205 e n., 210 e n., 357 MORATTI L., 26 MORIN E., 26 MORSELLI E.., 228, 235, 237, 238, 239, 250, 296, 278 MOZART W.A., 315 MUSSO M.P., VIII, XII, 127, 359 MUSSOLINI B., 75, 255 NARDI C., 322 NARDUCCI E., 324 NASI N., 296 NATORP P., 48 NENNI P., 75 NEWTON I., 83 NICOTERA G., 174 NIETZSCHE F.W., 83 OCCIONI O., 248, 253 OLIVETTI M.M., V, VII, XV, XVI, 1 e n., 19, 94, 95, 100, 218, 359 ORANO P., 39n. Indice dei nomi ORAZIO FLACCO Q., 252 ORSELLO G.P., 294 e n., 299 ORSOMARSO V., VIII, 133, 163, 219, 359 OTIS A.S., 132 OWEN R., 87 PAGANO F.M., 174 PALGRAVE R.H.I., 66 PANE A., 52 e n. PANGRAZI T., 219 PAPINIANO E., 252 PAPPALETTERE S., 63 PARENTE M., 286n., 299 PARETO V., 144 e n., 145, 170 PASCAL B., 128 PASQUALI G., 134, 163n., 329n., 347n. PASSERIN D’ENTRÈVES A., 66n. PATERNÒ B., 354n. PAUL H., 278 PAVESI A., 267 PEGUY C., 174 PESCI F., 29 n., 31, 128, 174 PESTALOZZI J.E., 87 PETRI C., 160 PHILIPPSON M., 236 PIAGET J., 335n. PICCOLELLA P., 128 PICK A., 107 PICOT C., 132 PIERANTONI A., 261, 265, 266 PIEROZZI B., 344 PIERRI N., 66n. PINCI C., VIII, 173, 359 PIRANDELLO L., 67, 220 PIRELLI G., 348n. PITIGLIANI P., 349n. PLATONE, 15, 67, 72, 87, 252, 275 PLECHANOV G., 74, 292, 293 PLUTARCO DI CHERONEA, 73 367 POE E.A., 305 e n., 306, 307, 308, 319, 340n. POGGI A., 33 e n., 34, 35 e n., 36 e n., 41, 42 e n., 43 e n., 44 e n., 45, 46, 47, 48, 49, 50 e n.,51, 52, 54 e n., 55 e n., 56 e n., 57 e n., 122, 318 POGGI S., 199 PROKOF’EV A., 292 PUNZO L., 1n., 63, 133, 134, 146n., 147n., 359 RAGIONIERI E., 174 RAGNISCO P., 230, 261 RAICICH M., 329n. RAVA L., 108, 261, 266 RAVAISSON–MOLLIEN J.–G.–F., 54 RECCHIA G., 26n., 210 e n. REGGIO S., 178n., 199, 319n. RENAN J.E., 278 RESTA R., 47 RICARDO D., 106, 113 RICCI A.G., 1n., 9, 94, 359 RICCIARELLI G., 128 RIZZINI, 266 RIZZO F., VIII, 201, 359 RODIMČIK (personaggio del Poema pedagogico), 305, 318, 319 ROLLAND R., 174 ROLLIN C., 278 RONCAGLIA G., 299 ROSADA A., 256 ROSSI P., 98 ROUSSEAU J–J, 275 RUFFALDI E., 286n., 299 RUGGIERO F., VIII, 205, 220, 359 RUSSELL B., 14 RUSSO L., 348n. SALIERI A., 315 SALVADORI O., 230 SALVUCCI P., 135 368 SAMANI G., 174 SANDRUCCI R., VIII, 128, 131, 217, 288 e n., 289, 290, 291 e n., 299, 359–360 SANTAMARIA E., 39n., 267, 269 SANTONI RUGIU A., VIII, 221, 359–360 SANTUCCI AA., 309n. SANZO A., III, IV, VIII, XII, 36n., 133, 220, 227 SARTRE J.–P., 73 SASSO G., 1n., 94, 95, 100,133, 218, 360 SAUSSURE F. DE, 357 SAVONAROLA G., 55n. SBARBERI F., 151n., 168n., 30 0 SBARDELLA E., 166n. SCALZO D., III, XV, 1n. SCARAMELLA G., 174 SCHÄFFLE, A.E.F., 275, 278 SCHELER M., 56 SCHELLING F.W.J., 278 SCHEMBOCHE FF., 186n. SCHILLER J.H.F., 278 SCHOPENHAUER A., 278 SCHUCHT J., 349n. SCHÜPFER F., 174, 261, 266 SCHWEGMAN M., 31 SCIOPPIO G., 324 SCURATI A., 15, 17 SECONDO D., IX, 241, 360 SEMERARO G., 266 SENECA LUCIO A., 241 SENOFONTE, 67, 72, 73 ŠERE (personaggio del Poema pedagogico), 318 SERGI G., 31, 230, 242, 249 SERRA R., 360 SHARP A.M., 132 SICHIROLLO L., 135 SICILIANI DE CUMIS N., III, VII, IX, XI e n., 1n., 3, 4, 5, 7, 8, 9, 11, 12, 19, 20, 21, 23 e n., 24, 25 e n., 26n., 29 e n., Indice dei nomi 32, 36 e n., 39n., 40n., 41n., 59, 60, 61, 63, 65n., 68, 71, 72, 73, 79, 81 e n., 82n., 83n., 88, 89 e n., 91, 94, 95, 96, 100, 103n., 104n., 105n., 117, 121, 123, 125, 127, 128, 129 e n., 130, 132, 133 e n., 134, 135 e n., 136n., 138, 139n., 140n., 141n., 154n., 157n., 158n., 163 e n., 164 e n., 166n., 167 e n., 168n., 170n., 171n., 173n., 174, 178n., 185, 186n., 188n., 189n., 191n., 195n., 197n., 199, 202, 210n., 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223, 226, 229, 230, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 239, 241n., 244n., 245n., 246n., 253n., 272 e n., 281n., 282 e n., 283n., 287n., 290n., 295n., 296n., 299, 300, 301, 305, 312n., 313, 321 e n., 322, 329 e n., 334n., 342n., 344n., 349n., 351n. SISMONDI (J.–C.–L. SISMONDE DE), 359 SMITH A., 106, 113 SOCCI E., 20, 105 SOCRATE, 15, 25, 59, 60, 61, 67, 68, 71, 72, 73, 83, 142, 156, 157n., 158, 164, 170n,. 196, 222, 325, 334n. SOLARI G., 174 SOREL G., 61, 66, 104, 142, 158, 164, 174, 310n. SORGE A.M., 123, 223 SPADAFORA G., 100, 133, 218, 342n. SPAVENTA B., 97, 105, 119, 120, 174, 187, 232, 317, 326, 360 SPAVENTA S., 105, 120, 140, 187 SPENCER H., 66, 96, 244, 251, 275 SPINELLI E., 128, 134, 219 SPINOZA B., 61, 83 SPIR A.A., 54 SPRENGER R. VON, 39n., 224, 261 STABILINI V., 345 STALIN (pseudonimo di J.V. DŽUGAŠVILI), 75 Indice dei nomi STAMMLER R., 48 STANDING E.M., 31 STEINTHAL H., 278 STERN A., 236 STRAUSS L., 66n. STRUVVE [?], 48 STUART (STUARDA) M., 275 STUART MILL J., 251, 275 STURZO L. (don), 29 SUARDO A., 174 SZPUNAR G., XII, 36n. TAMBURRINI A., 296 TANZI E., 230 TARABUSI D., XII TAROZZI G., 41, 48 TAURO G., 38n., 39n., 266 TAYLOR F.W., 160 TENCA C., 223 TERRACINI U., 75, 76 TESSITORE F., 1n., 61, 93, 95, 133, 218, 360 TILLICH P., 55n. TOCCO F., 48, 174, 258, 259n., 278 TOCQUEVILLE (A.–C.–H. CLÉREL DE), 113 TODOROV T., 352n. TOGLIATTI P., 70n., 75, 76, 77, 78, 174, 360 TOLSTOJ L.N., 292 TOMASIO, C.T., 275 TONELLI A., 261, 266 TORO R., IX, 281, 360 TORRE A., 39n., 63, 261, 263, 264, 266, 267, 270, 272, 321, 174 TORRINI M., 35n. TRABALZINI P., 31 TREBBI M., 128 TRINCHERO M., 283n. TROCKIJ (pseudonimo di L. BRONSTEJN), 65 369 TURATI F., 20, 46, 105, 152 e n. TURBIGLIO S., 295 VACCA G., 1n., 360 VACCARO (professore), 266 VAILATI G., 133, 136n., 164, 229, 230, 241n., 296n., 299 VALENZA P., 128 VALERY P., 201 VARISCO B., 97, 311 VEGGETTI M.S., 213n., 218 VENEZIANO C., XV, 1n. , 360 VENTURI A., 39n., 261, 266, 267 VERA A., 278 VICO G., 275, 278 VIDARI G., 41, 44, 57n. VIGLONGO A., 174 VILLARI P., 97, 156, 161, 221, 223 VISALBERGHI A., 25, 101, 174, 334n., 349n. VITIELLO R., 128 VOLPICELLI I., 26n., 88, 100, 133, 194n., 218 VORLÄNDER K., 41, 45 VYGOTSKIJ L.S., 132, 205 e n., 206n., 211n., 212, 213n., 214n., 216n., 292, 359 WEBER M., 96, 251 WILLIAMS R., 226 WILSON N., 306 WITTGENSTEIN L., 127, 129, 283n., 299, 357 WOLF F.A., 278 WOLTMANN L., 48 WUNDT W.M., 55, 278 YUNUS M., 173n., 178 e n., 199, 359 ZAMBALDI F., 174 370 ZANARDO A., 122, 125 ZANZI C., 46, 47 ZAPPALÀ (padre), 252 ZAVALLONI R., 286n., 299 Indice dei nomi ZELLER E., 122, 125, 263, 293n., 294n., 317 ZOCCOLI E., 267 ZOLLI P., 330n. Indice analitico* Accademia, 195 Accomodazione sociale, 154 sgg. Accumulazione, 136, 139 Aggiornamento, 135 Agricoltura, 114 Albero, 132 Alfabetizzazione, 127, 294 Alternativa, 132 Ambiente, 87, 143, 148, 151, 197 Analfabetismo, 89, 196 Analogia, 11, 194 sgg. Anarchismo, 112 Andamento, 158 Antididatica, 341 Antiideologismo, 196 Antipedagogia, 89, 196, 208. 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 Antisociologia, 71, 257 sgg. Antropologia, 255 Apocrifi, 118, 305 sgg. Apprendimento, 120, 131 sgg., 153, 159, 205 sgg., 211 sgg., 215–216, 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 341 ∗ Arbitrio, 149 sgg. Archeologia, 246 Architettura, 10, 24 Archivio, XII, 133 Arte, 245 sgg., 251 sgg., 256, 264 sgg., 276 sgg., 321 sgg. Asistematicità, 25 Assunto, 335 Atenei federati (cfr. Laurea in Filosofia), 6 Attenzione, 25 Attitudini, 148, 150 Attivi–passivi, 155 Attributi, 338 Attualità, 188, 237 sgg., 344 Audiovisivi, XIII sgg., 281 sgg. Autoapprendimento, 136 Autobiografia, 20, 65 sgg., 70 sgg., 82, 103 sgg., 221 sgg., 305 sgg., 314, 321 sgg., 329 sgg., 350, 356 Autocritica (Autocritica delle cose delle cose), 149 sgg. 161, 305 sgg., 329 sgg. Autoctisi, 69 Autoformazione, 33 sgg., 41 sgg., 134 sgg., 142 L’indice vuol restituire le principali tematiche circolanti nel volume; e tenta di circoscrivere, con una certa elasticità, ma con una qualche attenzione ai dettagli, i termini e i concetti di maggior rilievo: e questo, tanto con riferimento al pensiero e all’opera di Antonio Labriola, quanto nell’ottica dei singoli contributi dei recensori e, com’è ovvio, dal punto di vista dei curatori. Data la frequenza con cui ricorrono, non sono registrate tematiche quali Catalogo, Celebrazioni, Centenario, Filosofia, Mostra, Pedagogia, Recensione, Università. 372 Autogoverno, 160 Autore, 197, 352 Autoreferenzialità, 120, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Autoritarismo, 11 Attualità, 27, 217 sgg., 227 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Avvenire, 147 Azione (educativa), 207 Bambini, 127, 216 sgg., 210 sgg. Biblioteca, 7 Biografia, 29 sgg., 41 sgg., 61, 104 sgg., 118, 186 sgg., 192, 221 sgg., 235, 259 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 356 Bisogni, 196 Borghesia, 85 Buon senso, 342 Caffè Aragno, 285 sgg., 292, 321 Cambiamento, 165, 290 Carenze, 89, 117 sgg. Casa dei bambini, 30 Categorie, 195 Causalità, 139 Chiesa, 112, 324–326 Cinema, 27, 226, 281 sgg. Cine–recensione, 339 Civiltà, 10, 155 Classe, 148, 172 Classe dirigente (italiana), 231 Classico (Classicismo), 79, 233 Collaborazione (Cooperazione), 7, 13, 26, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 110, 117 sgg., 130–131, 152, 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Indice analitico Collettivo, 87, 197 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 356 Colonialismo, 151 sgg., 172 Commemorazione, 265 sgg., 270 sgg. Comparativismo, 88–89, 101, 174 sgg. Competenze, 132 Complessità, 89–90, 136, 142, 165, 194 sgg. Completamento, 163, 166 Compravendita, 342 Comprensione (filosofica), 313 Comunicazione, 134, 290, 293 Comunismo, 65 sgg., 70 sgg., 75 sgg., 84–85, 113, 149 sgg., 158 Concatenazione, 151 Concetti, 193 Concezione materialistica della storia (vedi Materialismo storico), 145 sgg., 157 sgg., 265 sgg., 270 sgg. Concorsi (universitari, c. di recensioni, ecc.), 28, 33 sgg., 41 sgg., 89, 96 sgg., 314–315, 339 Concretezza, 63, 106 Condizioni, 151 sgg. Conferenze magistrali (o pedagogiche), 12, 89, 238 Conflittualità, 148 Conformismo, 158, 195, 198 Confronti, 178 sgg., 194 sgg., 276 sgg. Congiunzioni (astrali o altre), 1 sgg., 79 Congresso (Primo c. dei professori universitari italiani; vedi anche Laurea in Filosofia), 227 sgg., 241 sgg., 251 sgg. Contesto, 193, 197, 352 Continuità, 7–8, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg, Contraddizioni, 152, 189, 261–262, 267, 305 sgg. Controllo, 347 373 Indice analitico Cooperazione (vedi Collaborazione) Corporativismo, 111 Correlatività, 88 Correttezza, 100, 117 sgg. Corruzione, 197 Corsi di laurea, 7–8, 334–335 Coscienza, 205 sgg., 211 sgg., 255, 266, 285, 330 Cose (lezione delle c.), 315 Creatività (vedi anche Arte), 159, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Creazione, 159 Crescita, 197 sgg., 305 sgg., 320 sgg., 329 sgg. Crisi, 9, 41 sgg., 54 sgg., 261 Cristianesimo, 11, 86–87, 113 Critica (Criticismo), 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 60, 65 sgg., 70 sgg., 79, 83, 100, 108, 113, 117 sgg., 132, 172, 178 sgg., 189 sgg., 195, 217 sgg., 227 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 286 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Crocianesimo, 65 sgg. Cultura (oppure Coltura), 24, 33 sgg., 54 sgg., 69 sgg., 83, 85, 136, 163 sgg., 166, 185 sgg., 201 sgg., 205 sgg., 211 sgg., 233, 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 355 Cura, 245 Curiosità, 208 Dati, 335 Decongestionamento, 6 Democrazia, 152, 158, 332–333 Determinismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 147 Diacronia, 289 Dialettico, metodo (vedi anche Genetico, metodo), 140, 294 Dialogo, 130 sgg. Diamat, 78 Dibattito, 339 Didattica (vedi Ricerca), XIII sgg., 26, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 129–130, 133 sgg., 163 sgg., 170, 173 sgg., 188 sgg., 207, 238, 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 285 sgg., 290 sgg., 295, 305 sgg., 313, 321 sgg., 329 sgg., 339, 341 Differenze (Differenza, senso della d.), 11, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 194 sgg., 198, 232, 305 sgg., 329 sgg., 356 Diritto, 65, 86 Discussione, 130, 245 sgg., 251–252, 305 sgg., 321 sgg., 329 Dittatura del proletariato, 74 Divenire (storico), 287, 293 Divisione del lavoro (vedi Lavoro), 250 Divorzio, 86 Divulgazione, 16 Documentazione (Documenti), 27, 134, 245 sgg., 251 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 341 sgg. Dogmatismo (anche Dommatismo), 113, 131, 198, 255, 256 Domande, 194 Domani, 198 Dottrina, 257 Dover essere, 195, 347 Dubbio, 205 Due culture, 217 sgg., 227 sgg., 233, 245, 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg. Ecologia, 114 374 Economia (anche Economia politica), 45, 49, 85, 89, 106, 111, 113 sgg., 138, 144 sgg., 152 sgg., 170 sgg., 233, 246, 305 Editoria, 217 Educabilità, 87, 151, 173 sgg., 195, 198–199, 205 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305, 321 sgg., 329 Educazione, 15, 26, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 66 sgg., 87, 156 sgg., 172 sgg., 202–203, 205 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 349 sgg. «Educazione del papuano», 151 sgg., 173 sgg., 190 sgg., 198–199, 321 sgg. Egemonia, 74 sgg. Elementi, 206, 208, 313 Elitarismo, 68 Emancipazione, 59 Embriologia, 169, 262 Emozione, 216 Empirismo, 157 Enciclica, 109 Enciclopedia (Enciclopedia pedagogica, Enciclopedicità), XI, 132, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 357 Enigmistica, 15 Epigenesi, 131, 139 sgg., 169, 262 Eresia, 324–326 Eroe, 197 Errore, 117 sgg., 121 sgg. 207, 305 sgg., 329 Esami, 30, 245 sgg., 251 sgg., 323 Espansione, 155 Esperienza, 66 sgg., 83, 108–109 Esperimento, 108–109, 152, 210, 258– 259, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Espressività, 198 Estetica, 97 Indice analitico Eterodosso, 218 Etica, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 65 sgg., 193, 235, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Etnologia, 255 Eurocentrismo, 151 sgg. Evoluzione, 83, 152, 206 sgg. Evoluzionismo, 66 sgg., 157 sgg. Extralocalizzazione, 351 Facoltà di Filosofia, 1 sgg., 10, 33, 41 sgg., 217 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg., 305 sgg., 329 sgg. Falso (fotografico), 61 Famiglia, 187 sgg., 321–322 Fantasia, 148, 198 Fatti, 117 sgg., 129, 144, 167, 257–259, 305 sgg., 315, 329 Fattori, 142 sgg., 160 sgg. Fede, 11 Fenomeni, 287 Film, 124–125, 226 Filologia (Filologismo), 117 sgg., 129, 133 sgg., 137 sgg., 250, 252, 305 sgg., 313 sgg., 329 sgg. Filosofemi, 258 Filosofia delle prassi, 74, 153 Filosofia della storia, 142, 257 sgg. Filosofia della vita, 84 Filosofia per tutti, 256 Filosofia scientifica, 1 sgg., 13 sgg., 129, 133 sgg., 163 sgg., 166 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 265 sgg., 270 sgg. Finalità, 152 Fisica, 132, 258 Fonti, 121 sgg. Formalismo, 83, 209, 257 Formazione, XII, 25, 32, 33 sgg., 41 sgg, 54 sgg., 59 sgg., 63, 82 sgg., 118 sgg., Indice analitico 127 sgg., 130, 136 sgg., 142 sgg., 148 sgg., 156, 166, 170, 172, 185 sgg., 192 sgg., 205 sgg., 222 sgg., 225 sgg., 236 sgg., 247 sgg., 253 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 270 sgg., 287 sgg., 305 sgg., 313, 316, 321 sgg., 329 sgg. Fotografia, 125, 219, 281 sgg. Futuro, V, XV–XVI, 1 sgg., 23, 115, 190 sgg., 198 Genetico, metodo (vedi Dialettico, metodo e Epigenesi), 146, 152, 170, 195, 213–215, 236, 313 Generazioni, 190 sgg., 199 Geografia, 143 Gioco, 198, 339, 356 Giornali, 118–119, 228 sgg., 245 sgg., 251 sgg., 292, 305 sgg., 329 sgg., 332, 341–342 Giustizia, 12, 260–261 Globalizzazione, 150–151 Governanti–governati, 160, 332 Guerra, 14 Gusto (della lettura), 356 Hegelismo, 156, 173, 190, 191, 198, 215, 232, 261, 310 sgg., 315 Herbartismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 61, 100, 138, 173, 190, 191, 198, 214– 215, 232, 315 Ibridazioni disciplinari, 353 Iceberg, 59 Iconografia, 11 Idee, 84, 193 sgg. Ideali, 12, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 63, 147, 224 Idealismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 73–74 375 Ideologia (anche Ideologismo), 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 83, 106, 117 sgg., 206, 233, 337, 348 Ignoranza, 196 Illuminismo, 13 sgg. Imitazione, 212 Immaginazione, 198, 332 Immagini, 101, 125, 265 sgg., 270, sgg., 281 sgg., 321 sgg., 327 sgg. Immatricolazioni, 8 Impopolarità, 197 Inattualità, 237, 291 Incertezza, 293 Indagini scientifiche, 336–337, 339 Indeterminismo, 147 Indici, 174 sgg., 273 sgg. Individuo, 87 sgg., 134, 164 Inedito, 117 sgg., 134, 321 sgg. Infanzia, 132, 206 sgg., 210 sgg., 214 Infinito, 324 Informazione (vedi anche Multimedialità), 293 Innovazione, 136 sgg,, 196 Insegnamento, 10, 24, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 120, 131, 133 sgg., 153 sgg., 157 sgg., 163, 187 sgg., 196, 202–203 e sgg., 217 sgg., 239, 245 sgg., 251 sgg., 253 sgg., 261 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 329 sgg., 341 Intellettuali (Intellettualismo), 190, 247 Intelligenza, 109, 305 sgg. Intenzioni (pedagogiche), 63. Interazione, 211, 290–291. Interdisciplinarità, 27, 83, 127 sgg., 133 sgg., 137, 193, 205 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 231, 237, 245 sgg., 251 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 266 sgg., 284 sgg., 305 sgg. 321 sgg., 329 sgg. Interesse, 146, 201, 205 sgg., 210 sgg., 225 376 Interferenze, 136 Internazionalismo, 111, 121 Intero, 312 Intersezione, 286 Intersoggettività, 73 Intervista (Autointervista), 338 Intolleranza, 325 Intrigo, 155 Introduzione, 28 Introspezione, 68 Intuizione (Intuitivo, momento), 205 sgg. Invidia, 154 Ironia, 60 Ispezioni (didattiche), 223, 318 Istruzione, 20, 26, 33 sgg., 112, 136, 196, 212 sgg., 239, 245 sgg., 251 sgg. Kantismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg. Laboratorio Labriola, 120, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Laurea in Filosofia, 5 sgg., 13 sgg., 129, 133 sgg., 163 sgg., 166 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg. Lavoro (vedi Divisione del lavoro), 10, 110, 141 sgg., 148 sgg., 159 sgg. Leninismo, 74–75 Lentezza, 339 Lettera, XI, 6, 13, 23, 38, 122–123, 137, 225, 227 sgg., 230, 245 sgg., 253, 321 sgg., 337, 339, 355 Letteratura, 15 Lettore, V, 297–298, 329 sgg. Lettura, 193 Liberalismo, 190 Libertà, 63, 95 sgg., 100, 107 sgg., 112 sgg., 147, 188 sgg., 198–199, 201 sgg. Libro, 305 sgg., 329 sgg. Limiti (e Possibilità), 337, 352 Indice analitico Lingua, 9, 61, 173 sgg., 193, 285, 294 sgg., 342 Lorianesimo, 66 Lotta di classe, 151 Lungimiranza, 305 sgg. Luoghi, 187–188 Luoghi comuni, 118 Maestri (elementari), 20, 219, 289 Maestro perpetuo (Labriola), 262, 292 sgg. Magister, 158 Maieutica, 196, 219, 222, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Mamozio (e mamozietto), 305 sgg. Marginalismo, 171 Marxismo, 24, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 63, 65, 70 sgg., 73, 103 sgg., 113 sgg., 133 sgg., 163 sgg., 190, 215, 236, 265 sgg., 265 sgg., 317 Massa (Masse), 53, 73–74, 160, 164 sgg. Matematica, 16, 251, 254 Materialismo storico (vedi Concezione materialistica della storia), 63, 84 sgg., 103 sgg., 111, 146, 203, 261 sgg., 292 sgg. Materialismo liberale, 115 Matrimonio, 321 sgg. Mazzinianesimo, 152 Meccanicismo, 158 Mediazione, 338 Memoria, V Merito, 338 Metafisica, 132, 243 sgg. Metafore, 129 Metodo (Metodologia), 9 sgg., 26, 29 sgg., 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 60, 65 sgg., 70 sgg., 83 sgg., 92, 111 sgg., 117 sgg., 127 sgg., 132, 138 sgg., 142, 156 sgg., 163 sgg., 167 sgg., 194 sgg., Indice analitico 198, 217 sgg., 232, 241 sgg, 247 sgg., 253 sgg., 281 sgg., 292 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Microstoria, 103 sgg. Miglioramento, 197 Mitologia (filosofica), 84 Modello, 286 sgg., 290 sgg. Monismo, 261 sgg. Montessorismo, 29 sgg. Morfologico, 82, 140 sgg., 148 sgg., 170 sgg., 195 sgg., 305 sgg., 312 Movimento, 193 Multidisciplinarità, 127 sgg., 241 sgg., 281 sgg. Multimedialità, 101, 219, 260 sgg., 281 sgg., 321 sgg. Museo dei gessi, 4 Museo d’Istruzione e di Educazione, 27, 92, 225, 238 Museo storico della didattica, 27 Musica, 101, 297 Mutamenti, 165, 352 Natura, 87, 109, 114, 147, 309–310 Naturalizzazione della storia, 84, 87 Necessità, 84, 109 Negatività, 208 Neoformazioni, 82, 139 Novità, 1 sgg. 9 sgg., 20 sgg., 24 sgg. 59 sgg., 63, 65 sgg., 81 sgg., 91–92, 95 sgg., 118, 133 sgg., 201 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 253 sgg., 281 sgg., 292 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Obiettivi (didattici), 354 sgg. Oggettivismo, 66 Onnilateralità, 114 Opera Nazionale Montessori, 31–32 Operai, 152–153 Operazione (Operazionismo), 69, 135 377 Opinione (Opinione pubblica), 14, 16, 193 Oratoria, 263 Ordinamenti (vedi anche Laurea in Filosofia), 137, 231 Organizzazione, 137 sgg. Ortodossia, 147, 218 Ottimismo, 108, 197, 199 Pace, 12 Padronanza, 208 Paradigma, 140 Paralleli, 178 sgg. Parole, 173 sgg. Partito, 157 Passato, XV, 1 sgg., 61, 65 sgg., 70 sgg., 111 sgg. Passioni, 196, 207 Passivi–attivi, 155 Pedanteria, 207 Percezione, 206 Perfettibilità, 88 Personalità, 28, 205 sgg., 281 sgg. Pessimismo, 199 Piano didattico, 209–210 Pluralità, 85, 88 Poesia, 155 Polemica, 40 sgg., 65 sgg., 70 sgg., 96, 104–105 e sgg., 117 sgg., 192, 205 sgg. Politica, 33 sgg., 60, 65 sgg., 70 sgg., 163 sgg., 186 sgg., 190, 217 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 253 sgg., 329 sgg. Politica scolastica, 85 Popolo, 159, 172 Positivo, Positivismo, 6–7, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 61, 82, 135 sgg., 142, 167, 169, 228 sgg., 241 sgg., 253 sgg. Possibilità (vedi Limiti) Postcomunismo, 113 378 Potenzialità, 209, 329 sgg., 340 Prassi, 148, 264, 290 Prefazione (e Postfazione), 1 sgg., 338 Preformazione, 82, 257 sgg. Pregiudizi, 117 sgg., 264, 305 sgg. Presente, XV–XVI, 61, 111 sgg. Previsione, 140, 149 sgg., 170 Principio, 253 sgg. Processo, 139–140, 189 sgg. Produzione, 148, 165–166 Professori, 13 sgg., 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 241 sgg., 253 sgg., 266 sgg. Progetto culturale, 1 sgg., 6 sgg., 65 sgg., 70 sgg. Progettualità (didattica), 212, 281 sgg., 329 sgg. Programma, 211–212, 342 Progresso, 83, 148, 167–168, 237 sgg., 241 sgg., 253 sgg., 281 sgg. Proletariato, 85 Proprietà, 152 Prospettiva, 16, 197, 199, 209 sgg., 227 sgg., 281 sgg., 292 sgg., 307 sgg., 354 sgg. Prove (a carico), 322 sgg. Pseudo–storicismo, 158 Psicologia, 26, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 142 sgg., 205 sgg., 251 sgg., 281 sgg., 296 sgg. Psicologismo, 142 Pubblicità, 13–14, 16, 329 sgg. Punto di vista, 134, 170 sgg., 191, 321 sgg., 329 sgg., 344 sgg. Quadri, 321 sgg. Qualità, 79–81, 89, 193, 329 sgg., 341 sgg., 347 sgg. Quantità, 79–80, 81. 89, 193, 329 sgg., 341 sgg., 347 sgg. Questione femminile, 89 Indice analitico Questione meridionale, 89 Questione sociale, 66 Quotidianità, 189 sgg., 329 sgg. Ragione, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 192– 193 Ragione pratica, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg. Rapidità, 339 Rapporti, 1 sgg., 9 sgg., 13 sgg., 20 sgg., 29 sgg., 33 sgg., 59 sgg., 63 sgg., 65 sgg., 81 sgg., 91 sgg., 93 sgg., 95 sgg., 99 sgg., 103 sgg., 117 sgg., 127 sgg., 133 sgg., 163 sgg., 173 sgg., 178 sgg., 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg. Razionalità, 148 sgg., 117 sgg., 205 sgg. Realismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg. Relatività, 149 sgg. Religione, 11, 13–14, 50, 53, 158 Responsabilità, 100, 210, 215 Retorica, 138 sgg. Riassunto, 329 sgg. Ricerca, XIII sgg., 7, 65 sgg., 70 sgg., 80, 117 sgg., 132 sgg., 164, 185 sgg., 188 sgg., 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg. Ricomposizione, 165 Riconoscenza, 94 Riforma (intellettuale e morale), 189, 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg. Rigore (morale), 100 Ripetizione, 117 sgg., 305 sgg., 340 sgg. Ritorno a Kant, 317 Indice analitico Ritratto, 186 Riviste, 1 sgg., 9 sgg., 13 sgg., 20 sgg., 29 sgg., 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 59 sgg., 63 sgg., 65 sgg., 81 sgg., 91 sgg., 93 sgg., 95 sgg., 99 sgg., 103 sgg., 117 sgg., 127 sgg., 133 sgg., 163 gg., 173 sgg., 178 sgg., 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 257 sgg., 261 sgg., 266 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg. Rivoluzione, 85, 121, 150, 153, 233, 256 sgg., 287 sgg., 315 sgg., 345, 349 Rotazione, 356 Rotture, 196 Rubriche, 339 Russia, 292 Sacerdoti, 13 Salti, 196 Schematismo, 111 Schiavitù, 151 sgg., 158, 190 sgg., 198 sgg. Scienza, 5 sgg., 10, 13, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 65 sgg., 83, 104, 110, 117 sgg., 132, 137 sgg., 142, 166, 196, 214, 227 sgg., 237 sgg., 241 sgg., 251 sgg., 263, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 351 sgg. Scienze sociali, 65 sgg., 142, 166 sgg., 170, 217 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 251 sgg., 263, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 351 sgg. Sciocchezzaio, 339 Scolasticismo, 131, 168 Scoppi (Esplosioni), 196, 355 Scuola, 15, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 60, 101, 108, 136, 160, 217 sgg., 227 sgg., 253 sgg., 253 sgg., 261 sgg., 281 sgg., 329 sgg., 341 sgg., 347 sgg. 379 Scuola antropologica romana, 31, 347 sgg. Scuole normali, 223 sgg., 241 Selfgovernment, 141 Semidottrina, 144 sgg. Semisocialismo, 152 Senso, 281 sgg. Senso comune (vedi Indagini scientifiche) Sentimento, 192–193, 201 Settarismo, 207 Sforzo, 206 sgg. Sfruttamento, 113 Simpatia, 210 Sincerità, 201 Sincronia, 285, 289 Sistema, 138 sgg. Socialismo, 19–21, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 65 sgg., 70 sgg., 106, 111 sgg., 115, 133 sgg., 150 sgg., 156 sgg., 161, 190, 236, 253 sgg., 263, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 351 sgg. Società, 106, 111, 137, 149 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 232 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 281 sgg. Sociologia, 59 sgg., 65 sgg., 70 sgg., 79– 80, 111, 241 sgg., 257 sgg. Socratismo, 59 sgg., 67 sgg., 71 sgg., 135, 141–142, 156 sgg., 196 sgg., 222, 290, 329 sgg. Soggettivismo, 73, 149 sgg., Specialismo (esagerato,ombroso, imbecille), 117 sgg., 136, 233, 242 sgg., 305 sgg., 329 sgg. Specializzazione, 127 sgg., 160, 163 sgg., 166, 233 Sperimentazione pedagogica, 26, 132, 152, 164, 253 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 329 sgg., 351 sgg. Spettacolarità, 292 sgg. 380 Spontaneità, 201 Spregiudicatezza, 155 Statistica, 15 Stato, 109, 112, 152, 256–257 Stele, 241 sgg., 260 sgg., 266 sgg. Storia, 1 sgg., 9 sgg., 16, 20 sgg., 33 sgg., 61, 63 sgg., 81 sgg., 91 sgg., 99 sgg., 103 sgg., 108, 110 sgg., 117 sgg., 133 sgg., 142 sgg., 147 sgg., 154, 163 sgg., 173 sgg., 191, 196, 198, 201 sgg., 205 sgg., 217 sgg., 221 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 247 sgg., 253 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 351 sgg. Stroncatura, 117 sgg., 305 sgg., 329 sgg., 340 sgg. Strumenti, 134, 138, 143, 147, 281 sgg. Struttura, 138, 144 Studenti, 134 sgg., 188 Sviluppo (Svolgimento), 206 sgg., 211 sgg., 215 sgg., 217 sgg., 227 sgg., 241 sgg., 281 sgg., 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg., 347 sgg. Teatro, 101, 225–226, 297 Tecnica (Tecnicismo, Tecnologie), 26, 72, 87, 104, 130, 143, 165, 207, 281 sgg., 305 sgg., 329 sgg. Tendenza, 156, 160 Teoria (anche Teorica della conoscenza), 109, 208–209, 257 sgg., 261 sgg., 309 sgg. Terminologia, 13, 83, 140, 173 sgg., 273 sgg. Tesi di laurea, XIV, 27, 123, 142, 169, 219, 224, 253 sgg. Test, 285 sgg., 347 sgg. Tolleranza, 51 Tradizionalismo, 136 sgg., 166, 217 sgg., 227 sgg., 242 sgg. Indice analitico Tradizione, 113, 198, 233 Traduzioni, 236, 329 sgg., 338 Transazione, 189 Trasformazione, 137, 236 sgg. Trasmissione, 329 sgg. Trasparenza (ideologica), 305 sgg., 329 sgg. Umanità, 14, 158 Umanizzazione (della natura), 114– 115 Umorismo, 66, 321 sgg., 355 Unificazione culturale del genere umano, 114 Unità, 232 Universalismo, 111 Utopismo, 84, 88, 106, 111, 158, 192 Valori, 138, 193 Valutazione, 241 sgg., 305 sgg., 253 sgg., 356 Verbali, 23, 27 Verbalismo, 83 Veridicità, 117 Verità, 159 Veste tipografica, 202 Vichismo, 173, 191, 198 Vino, 239 Visivo (vedi Multimedialià) Vita, 14–15, 27, 110, 188 sgg., 356 Volontà, 161 Volontarismo, 33 sgg., 41 sgg., 54 sgg., 73, 84 Zona di confine (vedi anche Sperimentazione pedagogica), 170 sgg., 212, 305 sgg., 321 sgg., 329 sgg. Zona di sviluppo prossimo (o prossimale), 212 sgg. Finito di stampare nel mese di marzo 2007 dal Centro Stampa Nuova Cultura, Roma