IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

I quaderni
di
Approfondimenti di contabilità e gestione degli enti locali
Direzione scientifica di: E. D'Aristotile
11
Novenbre 2013
IL DANNO DA RITARDO
NEL PROCEDIMENTO
AMMINISTRATIVO
Stefano Usai
Supplemento del periodico telematico www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB - N. 11 - Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
I quaderni
di
Approfondimenti di contabilità e gestione degli enti locali
Direzione scientifica di: E. D'Aristotile
IL DANNO DA RITARDO
NEL PROCEDIMENTO
AMMINISTRATIVO
Stefano Usai
Supplemento del periodico telematico www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB N. 11 – Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
L’autore
Stefano Usai – Funzionario comunale – Responsabile dei servizi finanziari, tributi, personale e
amministrativi. Da oltre un decennio si occupa di appalti – Autore di varie pubblicazioni in
materia di appalti, personale e contabilità della Rivista “Contratti ed Appalti negli enti locali” –
Affianca l’attività di formatore in materia di appalti
QUADERNI DI PAWEB
Approfondimenti di contabilità e gestione degli Enti Locali
Supplemento mensile del periodico telematico www.paweb.it
Direttore Scientifico
E. D’ARISTOTILE
Proprietario editore
CEL Servizi s.r.l.
Via Ognissanti,17 – 66100 Chieti
www.paweb.it - e mail: [email protected]
Tutti i diritti sono riservati
Riproduzione vietata
Questo numero è stato chiuso in redazione il 6
novembre 2013
I testi dei provvedimenti pubblicati nel presente Quaderno non sono ufficiali. Per gli atti normativi, l’unico testo che
fa fede è quello pubblicato a mezzo stampa sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Ogni autore è
responsabile del contenuto del proprio elaborato e di eventuali diritti di terzi.
Per eventuali collaborazioni e/o/ contributi scrivere [email protected]
www.paweb.it
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
1
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Approfondimenti ............................................................................................................................. 2
1. L'obbligo di concludere il procedimento amministrativo ....................................................... 3
2. Il riscontro dell'istanza inammissibile ...................................................................................... 4
3. Il termine di conclusione del procedimento amministrativo...................................................7
4. la sospensione del termine.........................................................................................................9
5.la giurisprudenza sull'obbligo di concludere il procedimento ..............................................11
6. Casi in cui non sussiste l'obbligo di rispondere....................................................................13
7. Il danno da ritardo......................................................................................................................14
8. La risarcibilità del danno da "puro" ritardo ............................................................................16
9. La giurisprudenza che esclude il risarcimento per danno da ritardo puro .........................23
10. La questione della configurazione giuridica della responsabilità per danno da ritardo..26
11. Le differenze tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale .........................28
12. La questione dell'indennizzo nel caso di ritardo e/o non conclusione del procedimento
amministrativo ..............................................................................................................................29
Giurisprudenza .............................................................................................................................. 33
www.paweb.it
2
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
Approfondimenti
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
3
1. L’obbligo di concludere il procedimento amministrativo
L’articolo 2 della legge 241/90 (che sotto si riporta per completezza) ha introdotto fin dal 1990 (e
prevede ora nel primo periodo del primo comma) il dovere della pubblica amministrazione di
concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso.
La norma, oggetto di grande considerazione dalla dottrina e dalla giurisprudenza per le conseguenze
collegate alla sua “violazione”, come si vedrà più avanti, consente diverse riflessioni.
In primo luogo è bene evidenziare che gli interventi legislativi meno recenti – sulla disposizione in
commento – hanno determinato, in primis la specificazione della rubrica dell’articolo (è noto che la
legge 241/90 nasce come norma i cui articoli risultavano non rubricati) intervenuta ad opera della
novella del 2005 n. 15; in secondo luogo, ulteriore – e non ultimo innesto normativo meno recente si
deve ad una prima revisione dell’articolo ad opera della legge 69/2009 ed in particolare sui commi dal
2 al 5.
Mentre recenti interventi normativi, quali la legge 5/2012, la legge 134/2012 e la legge 190/2012
hanno poi ulteriormente ridisegnato il testo della norma in tema rispettivamente di funzionario c.d.
antiritardo e, soprattutto, la legge anticorruzione (l. 190/2012) ha ampliato la portata del primo comma
in commento estendendo l’obbligo della p.a. – come si vedrà di seguito – di provvedere, sia pure in
forma semplificata, anche in presenza di una richiesta di cui sia manifesta l’irricevibilità,
l’inammissibilità e l’improcedibilità o l’infondatezza. Casi che, come emergerà più avanti, la
giurisprudenza riteneva affrancati dall’obbligo della p.a. di agire con un provvedimento espresso.
E’ bene soffermarsi sulle recentissime innovazioni che, se spesso non rituali ed ordinate,
rappresentano comunque un passaggio, una maturazione nella sensibilità legislativa – frutto anche di
pressioni “pubbliche” – verso una completa democratizzazione dell’azione amministrativa e la
configurazione dello stesso potere della p.a. come funzione da non esercitarsi in modo arbitrario e
discrezionale ma sempre nel rispetto dei fondamentali canoni della Costituzione con il fine di ottenere
la “buona” amministrazione, una concreta maggiore partecipazione ed una totale trasparenza (in
questo senso deve essere letto anche il recente decreto legislativo 33/2013).
Le ulteriori riflessioni attengono al tenore della norma. E’ indubbio che nel momento in cui il legislatore
puntualizza che innanzi ad una istanza o ad un procedimento che deve essere avviato ex officio si è
in presenza di un autentico obbligo di adempiere. O se si preferisce un obbligo di agire e predisporre il
provvedimento espresso a prescindere dal merito (ovvero se il provvedimento declini concretamente
poi un accoglimento o un rigetto della richiesta). Obbligo contingentato e da intendersi al netto delle
ipotesi in cui “l’inerzia” della pubblica amministrazione si sostanzia in un silenzio significativo ovvero
nelle ipotesi di silenzio rigetto o accoglimento (sia pur nelle limitate circostanze previste dalla stessa
legge 241/90).
La conferma che si sia in presenza di un obbligo emerge anche dal recente innesto (contenuto nel
secondo periodo del primo comma) intervenuto per effetto della legge 190/2012 secondo cui “se
ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della
domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento
www.paweb.it
4
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”.
Per effetto di quanto, l’obbligo di provvedere si estende, o meglio, deve essere inteso in senso
asettico ovvero a prescindere dal merito. Pertanto ad ogni istanza, foss’anche appunto irrituale
(irricevibile, infondata ecc) la p.a. deve rispondere attraverso, evidenzia il legislatore, un
provvedimento semplificato.
La precisazione non è senza pregio. Occorre infatti considerare che la circostanza di aver presentato
una istanza infondata alla p.a. non sminuisce la rilevanza che l’utente può attribuire alla richiesta. Nel
senso che anche nel caso di specie, l’istante ha comunque diritto ad una risposta, ad un
provvedimento espresso con cui la p.a. comunica attraverso un provvedimento l’epilogo della
richiesta. Non può esistere pertanto, nell’ordinamento giuridico domestico, una situazione in
cui il soggetto istante rimane senza un riscontro o un procedimento senza una conclusione
specifica.
Sotto si riporta il primo comma – utile ai fini della presente trattazione - dell’articolo 2 della legge
241/90.
Art. 2 Conclusione del procedimento
1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato
d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un
provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità,improcedibilità o
infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un
provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un
sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.
(…)
2. Il riscontro dell’istanza inammissibile e il c.d. “provvedimento
semplificato”
La legge 190/2012, ha ampliato l’obbligo della pubblica amministrazione di concludere il procedimento
amministrativo con un provvedimento espresso.
La novità è stata introdotta a cura del comma 38, articolo 1 della legge da ultimo citata, che ha
innestato un secondo periodo all’articolo 2, comma 1 della legge 241/90 che dispone in tema di
conclusione del procedimento amministrativo.
Articolo e comma, che già dall’entrata in vigore della legge sull’azione amministrativa prevedeva che
“ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
5
d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un
provvedimento espresso”.
Il nuovo periodo introdotto dalla recente legislazione, come evidenziato estende detto obbligo
prevedendo che, se la pubblica amministrazione o chi si ingerisce in attività amministrative,
ravvisasse “la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda” è
tenuta a concludere “il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la
cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto
risolutivo”.
Viene introdotto pertanto, è in questo si sostanzia la novità rispetto a tanta pregressa giurisprudenza
amministrativa sempre tesa ad ammettere l’inesistenza – come si vedrà – di un obbligo di concludere
il procedimento in caso di istanze non proseguibili, la fattispecie del provvedimento semplificato.
Il legislatore individua quindi una particolare situazione in cui la pubblica amministrazione ha l’obbligo
di redigere un provvedimento espresso in forma semplificata.
E’ bene evidenziare che la disposizione prevede un obbligo non una facoltà da presidiarsi a seconda
del responsabile del procedimento investito.
Se la nuova disposizione venisse intesa come facoltativa, troppo facilmente verrebbero ad essere
elusi i principi di semplificazione, economicità ed efficienza dell’azione amministrativa.
Il legislatore ha avuto cura di individuare i tratti essenziali perché possa procedersi con un
provvedimento semplificato: la richiesta deve essere irricevibile, inammissibile, improcedibile o
manifestamente infondata.
Nel caso di specie, la motivazione – comunque necessaria - deve sintetizzarsi con riferimento alla
circostanza di fatto o di diritto risolutiva e/o dirimente. Motivazione quindi che deve consentire al
destinatario, di comprendere per quali ragioni la propria istanza non può proseguire.
L’aspetto di rilievo è quindi il momento stesso in cui si verifica o si constata l’oggettiva impossibilità di
prosecuzione.
Trattandosi di istanza di parte non pare necessaria, comunque, la comunicazione di avvio del
procedimento al diretto interessato ex articolo 7 della legge 241/90.
Se il provvedimento di rigetto venisse – per qualche singolare circostanza trattandosi di procedimento
non proseguibile - ad interessare altri soggetti. Nel caso di specie, pare opportuno procedere con la
comunicazione citata.
Il caso concreto ideale, che la fattispecie dovrebbe realizzare, è determinato da una situazione in cui
non appare necessaria alcuna attività istruttoria del responsabile del procedimento. Quindi nessuna
convocazione per chiarimenti, integrazioni e così via.
La semplificazione, inoltre, dovrebbe essere tale da non esigere neppure la previa comunicazione
delle ragioni ostative ex articolo 10 bis della legge 241/90. Il legislatore, infatti, sembra aver ipotizzato
una situazione in cui l’improcedibilità risulti talmente evidente che un provvedimento di rigetto appare
l’unica possibilità immodificabile senza che sia possibile e/o utile alcun contributo del soggetto
interessato.
www.paweb.it
6
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
Se fosse necessario, obbligatoriamente, far precedere il rigetto dal preavviso o addirittura una previa
comunicazione con l’indicazione del responsabile del procedimento, del funzionario sostituto e via
discorrendo la norma sarebbe inutile e non genererebbe alcuna semplificazione.
I vari riferimenti, al soggetto cui rivolgersi, al responsabile sostituto etc potrebbero tranquillamente
essere indicati nel provvedimento semplificato di rigetto il cui contenuto minimo è già individuato dalla
legge che impone la necessaria specificazione – per correttezza nei confronti del soggetto
interessato – della questione di fatto o di diritto (debitamente, purché comprensibile, sintetizzata) e
l’organo cui proporre eventuale opposizione o ricorso amministrativo.
Come si evidenziava, la pregressa giurisprudenza, nell’individuare i casi in cui l’amministrazione
pubblica non poteva ritenersi soggetta all’obbligo di provvedere con un provvedimento espresso per
ragioni di efficienza ed economicità, ha individuato alcune species richiamate nella norma.
In questo senso il TAR Campania, Napoli, sez. I, con la pronuncia del 13 gennaio 2010 n. 23566, ha
precisato che “l’art. 2 della L. n. 241/1990 ha fissato un principio generale secondo cui ove il
procedimento consegue obbligatoriamente ad un’istanza del privato ovvero debba essere iniziato
d’ufficio, la P.A. ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”; in
particolare, giusta la previsione di cui all’art. 2, comma 3, della suddetta disposizione la P.A. è tenuta
a definire i procedimenti attivati dai privati entro il termine di 90 giorni dal deposito della relativa
istanza, rilevava altresì la possibilità di affrancarsi da detto obbligo. In particolare, nella stessa
sentenza si rilevava come “l’evoluzione giurisprudenziale ha portato a ritenere che l’obbligo in parola
non sussiste soltanto nelle seguenti ipotesi: a) istanza di riesame dell’atto inoppugnabile per spirare
del termine di decadenza (ex multis: C. di S., Sez. IV, n. 69/1999; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III,
n. 5014/200); b) istanza manifestamente infondata (ex multis: C. di S., sez. IV, n. 6181/2000; T.A.R.
Campania, Napoli, Sez. III, n. 1969/2002); c) istanza di estensione ultra partes del giudicato (ex
multis: C. di S., Sez. VI, n. 4592/2001)”. Il fondamento della deroga all’obbligo, comunque generale di
concludere il procedimento con un provvedimento espresso, è stato ravvisato – come anticipato “anche in forza dei superiori principi di buona amministrazione e di proporzionalità dell’azione
amministrativa (Cfr.: art. 97 Cost. ed art. 2 L. n. 241/1990) che, comunque, deve sempre svolgersi in
maniera tale da perseguire l’interesse pubblico con il minor sacrificio per l’interesse del privato, e, poi,
per l’elementare esigenza di tutelare l’affidamento degli interessati”.
Nei casi individuati dal giudice napoletano rientrano, oltre alla tipologia della manifesta infondatezza
su cui si tornerà più avanti, un caso di improcedibilità (istanza di riesame dell’atto inoppugnabile per
spirare del termine di decadenza) a cui corrisponde il caso della domanda fuori termine; una ipotesi
inammissibilità come nel caso in cui venisse fatta istanza di estendere ultra partes un giudicato
“subito” dall’amministrazione.
Le due fattispecie appena riportate sono caratterizzate dalla circostanza che non appare necessaria
alcuna valutazione nel merito: la “patologia” emerge immediatamente senza che sia necessario
ulteriore atto istruttorio di indagine.
La stessa dovrebbe avere le stesse connotazione. Si tratta in sostanza di istanza che appare subito
non proseguibile si pensi alla richiesta di un titolo di studio ad un comune. Casi in cui l’assurdità è
talmente palese che non appare necessario alcun compimento di attività istruttoria ma solo l’adozione
del provvedimento di rigetto con l’indicazione sintetica della motivazione.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
7
E’ evidente che in queste ipotesi ogni ulteriore cautela adottata dal responsabile del procedimento (si
pensi all’adozione del preavviso di diniego) oltre a frustrare le finalità di economicità del procedimento
e canoni di efficienza si contrappongono allo spirito della norma. La chiara finalità di questa è infatti
quella di ossequiare anche canoni di correttezza evitando di lasciare in inutile attesa l’istante (che per
qualunque ragione può aver sbagliato) considerato il valore del “tempo”. Quindi anche questo
soggetto ha diritto a conoscere nel più breve tempo possibile il destino della propria richiesta evitando
lungaggini burocratiche assolutamente inaccettabili.
La nuova previsione prende in considerazione, oltre le tipologie appena richiamate, anche il caso
della manifesta infondatezza. Sembra indubbio che la questione della fondatezza esiga un esame nel
merito dell’istanza. Il legislatore sembra però riferirsi ad una diversa situazione in cui l’infondatezza è
manifesta ovvero è immediatamente percepibile, risulta ictu oculi, rendendo inutile quindi ogni
ulteriore analisi e/o indagine istruttoria. Si può trattare pertanto di pretese senza alcun titolo. In
questo senso, con un ragionamento a contrariis il Consiglio di Stato, sezione IV, con sentenza
risalente n. 6181/2000, dopo aver chiarito che “per ineludibili esigenze di economicità ed efficacia
dell'azione amministrativa, salvaguardate dalle medesima legge n. 241 del 1990, in una con il
prevalente indirizzo di questo Consiglio, può ritenersi che l'obbligo della P.A. di concludere il
procedimento con un provvedimento espresso, venga meno: a) in presenza di reiterate richieste
aventi il medesimo contenuto, qualora sia già stata adottata una formale risoluzione amministrativa
inoppugnata (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2000, n. 1765) e non siano
sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto (cfr. sez. V, 18 gennaio 1995, n. 89; Cass.
sez. un, 20 gennaio 1969, n. 128); b) in presenza di domande manifestamente assurde (cfr. sez. IV,
28 novembre 1994, n. 950), o totalmente infondate (cfr. sez. V, 3 agosto 1993, n. 838; 7 maggio 1994,
n. 418); c) in presenza di domande illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi illegittimi”.
Inoltre, secondo il giudice, “tale conclusione è coerente con la tesi esposta da questa sezione
secondo cui in sede di giudizio sul silenzio rifiuto non è possibile, di regola, compiere un accertamento
sulla fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, indicando all'amministrazione il contenuto
del provvedimento da adottare, vertendo il giudizio sul silenzio rifiuto solo sull'accertamento della
sussistenza o meno dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere (cfr. sez. IV, 25 marzo 1996, n.
390; 9 maggio 1994, n. 387). Non va confuso, infatti, l'obbligo di pronuncia gravante
sull'amministrazione, a mente del richiamato art. 2, l. n. 241 del 1990, ed il correlato interesse
legittimo di carattere pretensivo del privato, con l'interesse sostanziale introdotto nel procedimento
consistente nella pretesa al bene della vita agognato”.
3. Il termine di conclusione del procedimento amministrativo
Come evidenziato, la legge 69/2009 ha ridefinito la questione dei termini del procedimento dando
indicazioni alla p.a. sulla necessità di uniformare l’approccio nella individuazione di uno dei
termini essenziali della fattispecie in commento determinata dall’obbligo di procedere con un
provvedimento espresso. Ovviamente, come anche si dirà in relazione alle conseguenze in caso di
mancato adempimento e non rispetto del termine fissato per legge o per regolamento di adozione del
provvedimento, la p.a. (il funzionario responsabile) incorre in forme peculiari di responsabilità tra le
quali, oggetto di grande discussione sulla sua definizione della responsabilità per danno da ritardo e
per la più recente sottoposizione all’obbligo – in relazione ad un ambito contingentato di procedimenti
www.paweb.it
8
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
amministrativi – di pagare uno specifico obbligo di indennizzo fissato dal recente decreto “del fare”
(d.l. 69/2013 come convertito in legge n.98/2013) nell’articolo 28 rubricato “indennizzo da ritardo
nella conclusione del procedimento” che, con il comma 9, introduce il comma 1- bis, nell’articolo 2
–bis della legge 241/90. Il nuovo comma in argomento, di cui si dirà più avanti, stabilisce che “fatto
salvo quanto previsto dal comma 1 (nda che dispone in tema di danno da ritardo) ad esclusione delle
ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di
conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi,
l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite
dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2,
della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di
indennizzo sono detratte dal risarcimento”
Di termini del procedimento, come annotato si dispone nei commi dal 2 al 7 dell’articolo in commento
che sotto si riportano.
Art. 2 conclusione del procedimento (commi dal 2 al 7)
2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono
un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli
enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.
3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i
Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono
individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di
competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri
ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di
propria competenza.
4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione
amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del
procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei
procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui
al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e
l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I
termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei
procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.
5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di
vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di
rispettiva competenza.
6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal
ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
9
7. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo
possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per
l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti
già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche
amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.
I termini variano pertanto da 30 giorni (termine ordinario in assenza di specifica disposizione) fino ad
un massimo di 90 giorni con alcune eccezioni determinate dalla particolare complessità del
procedimento (comma 4) rimangono ferme, ovviamente, specifiche disposizioni.
L’individuazione delle elemento essenziale del termine di conclusione del procedimento è
fondamentale naturalmente per l’istante per comprendere lo stato di attuazione o inadempimento
della propria istanza.
Il comma 6 dell’articolo 2 introduce un altro riferimento essenziale dell’obbligazione (di concludere il
procedimento con un provvedimento espresso) di cui la p.a. risulta essere soggetto passivo.
A mente della disposizione citata si puntualizza che “i termini per la conclusione del procedimento
decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il
procedimento è ad iniziativa di parte”.
Sotto il profilo pratico operativo pertanto, nel primo caso il termine dovrà essere indicato nella
comunicazione di avvio del procedimento; nel secondo caso il termine è da intendersi con decorrenza
dal deposito dell’istanza al protocollo dell’ente da parte del soggetto interessato. Soprattutto la
seconda precisione, dal punto di vista operativo, acquista estremo rilievo.
E’ chiaro che l’amministrazione dovrà apprestare una organizzazione di smistamento della
corrispondenza (ora più semplice per effetto del protocollo informatico) in modo che non si generi
ritardo nella trasmissione al responsabile del procedimento o comunque all’ufficio competente.
Circostanza che andando a discapito dell’utente (si intende l’eventuale ritardo provocato da
disfunzioni del servizio del protocollo) potrebbe avere una incidenza rilevante impedendo addirittura la
conclusione del procedimento entro i termini di legge o di regolamento interno dell’ente.
4. La sospensione del termine
La legge 69/2009 ha disciplinato anche la peculiare questione della sospensione del procedimento
amministrativo specificando che, i vari termini di cui si dispone nei commi dal 2 al 5 dell’articolo 2 in
commento “possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta
giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in
documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre
pubbliche amministrazioni”.
La giurisprudenza, inoltre, a conferma della qualità di elemento essenziale del termine del
procedimento impone alla p.a. di specificare la data di scadenza della sospensione considerato che la
procedura non può restare sospesa sine die In questo senso, in tempi recentissimi, la giurisprudenza
ha ritenuto illegittima la comunicazione di avvio del procedimento con cui si comunicava la
www.paweb.it
10
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
sospensione del procedimento senza l’indicazione del termine finale. A tal riguardo il T.A.R.
Campania, Salerno, sez. II, con sentenza del 5 agosto 2013 n. 1741 ha puntualizzato come sia
“meritevole di favorevole apprezzamento la censura, (…) col quale si lamenta la mancata fissazione
di un termine atto a limitare l’ambito temporale di efficacia del provvedimento interdittivo impugnato.
Invero, come condivisibilmente affermato in giurisprudenza (T.A.R. Bari, Sez. III, n. 1389 del 4 giugno
2008), la sospensione in assenza della previsione di un termine finale, degli effetti di un
provvedimento si risolve sostanzialmente in una revoca del provvedimento ampliativo
precedentemente rilasciato, che avrebbe richiesto l’adozione delle formalità garantistiche di cui al’art.
21 nonies l.n. 241/90, nel caso che occupa del tutto obliterate. Risulta in atti che l’attività svolta dalla
ricorrente è stata autorizzata con d.i.a. prot. n. 14092 del 08.08.2011, con la conseguenza che
disporre la sospensione sine die degli effetti di tale atto ne comporta, di fatto, la revoca senza tuttavia
l’adozione di appositi atti repressivi secondo lo schema procedimentale normativamente imposto.
Ancor più di recente si afferma in sede pretoria che "È riconosciuto un generale potere cautelare della
pubblica amministrazione a norma dell'art. 7 comma 2 e, in particolare, dell'art. 21 quater, l. n. 241 del
1990, come aggiunto dall'art. 14, l. 11 febbraio 2005 n. 15, consistente nel disporre la sospensione
dell'efficacia di atti precedentemente adottati, pur in assenza di definitive determinazioni in sede di
autotutela, purché si ottemperi alla necessità della prefissione di un termine che salvaguardi
l'esigenza di certezza della posizione giuridica dell'interessato, restando così scongiurato il rischio di
un'illegittima sospensione sine die, poiché - come è noto - il provvedimento amministrativo, una volta
adottato e reso efficace, deve necessariamente essere portato ad esecuzione, non essendo
consentito alla pubblica amministrazione di sospenderlo sine die con atti atipici" (cfr. T.A.R. Roma
Lazio sez. III, 05 novembre 2007, n. 10892)”.
La questione dei termini e del procedimento amministrativo in generale assume rilievo in relazione ai
nuovi adempimenti in tema di trasparenza introdotti dal decreto legislativo 33/2013. In particolare,
l’articolo 35 del decreto citato impone (sarebbe meglio evidenziare che ribadisce) l’obbligo di ogni p.a.
o di chi si ingerisce in attività amministrative , di pubblicare sul sito on line i procedimenti di
competenza. Inoltre, “per ciascuna tipologia di procedimento” i responsabili di procedimento sono
tenuti ad indicare “le seguenti informazioni: a) una breve descrizione del procedimento con
indicazione di tutti i riferimenti normativi utili; b) l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria; c) il
nome del responsabile del procedimento, unitamente ai recapiti telefonici e alla casella di posta
elettronica istituzionale, nonché, ove diverso, l'ufficio competente all'adozione del provvedimento
finale, con l'indicazione del nome del responsabile dell'ufficio, unitamente ai rispettivi recapiti telefonici
e alla casella di posta elettronica istituzionale; d) per i procedimenti ad istanza di parte, gli atti e i
documenti da allegare all'istanza e la modulistica necessaria, compresi i fac-simile per le
autocertificazioni, anche se la produzione a corredo dell'istanza è prevista da norme di legge,
regolamenti o atti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, nonché gli uffici ai quali rivolgersi per
informazioni, gli orari e le modalità di accesso con indicazione degli indirizzi, dei recapiti telefonici e
delle caselle di posta elettronica istituzionale, a cui presentare le istanze; e) le modalità con le quali
gli interessati possono ottenere le informazioni relative ai procedimenti in corso che li riguardino; f) il
termine fissato in sede di disciplina normativa del procedimento per la conclusione con l'adozione di
un provvedimento espresso e ogni altro termine procedimentale rilevante; g) i procedimenti per i quali
il provvedimento dell'amministrazione può essere sostituito da una dichiarazione dell'interessato,
ovvero il procedimento può concludersi con il silenzio assenso dell'amministrazione; h) gli strumenti di
tutela, amministrativa e giurisdizionale, riconosciuti dalla legge in favore dell'interessato, nel corso del
procedimento e nei confronti del provvedimento finale ovvero nei casi di adozione del provvedimento
oltre il termine predeterminato per la sua conclusione e i modi per attivarli; i) il link di accesso al
servizio on line, ove sia già disponibile in rete, o i tempi previsti per la sua attivazione”.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
11
5. La giurisprudenza sull’obbligo di concludere il procedimento
La giurisprudenza più attenta, oltre a rimarcare uno specifico obbligo della p.a. di concludere il
procedimento con un provvedimento espresso – obbligo che si potrebbe definire praticamente di
natura contrattuale ovvero alla stregua di un “debito” di comportamento da parte della p.a. -, ha avuto
modo di rilevare anche ante legge 190/2012 che, in ogni caso, l’obbligo in parola sussiste ogni volta
che il funzionario pubblico si trova in situazioni peculiari, in cui ragioni sostanziali impongono di
concludere il procedimento.
Una lettura del tipo appena evidenziato emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, del 27
aprile 2012 n. 2468 che ha avuto modo di afferma come in linea di massima “l’obbligo giuridico di
provvedere – ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, (…) – sussiste” in ordine a “quelle
fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un
provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona
amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il
contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487)”.
Non si può negare, inoltre, che ragioni sostanziali di correttezza e buona amministrazione impongano
a chi “gestisce” un pubblico potere di rispondere in ogni circostanza in cui l’utente presenta una
istanza. Si è in presenza, infatti, di valori di diretta configurazione costituzionale (art. 97), che
risultano sono sempre presenti. Anche nel caso, come si è detto sopra, in cui la domanda risulti
manifestamente infondata o assolutamente improcedibile. Anche nel caso di specie, come bene ha
cercato di evidenziare il legislatore della legge 190/2012 con la modifica citata alla legge 241/90 tende
a rimarca che chi presenta una istanza non può restare in attesa “permanente” di una risposta o
www.paweb.it
12
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
peggio ancora in balia della p.a. ma ha diritto ad un riscontro foss’anche un provvedimento
semplificato ovvero prescindendo dall’utilizzo degli istituti della partecipazione democratica quali la
comunicazione di avvio del procedimento, il preavviso di diniego e via discorrendo.
La non necessità dell’attivazione di detti strumenti, circostanza che poggia anche su ragioni di
economia giuridica, evitando di aggravare un procedimento che non deve essere “allungato” proprio
per espressa previsione legislativa, che ammette l’approccio – nel caso di specie – semplificato
sembra altresì emergere anche da una recentissima pronuncia che attribuisce al principio della
partecipazione al procedimento dignità di riferimento democratico tra i più alti il
valore/interpretazione/applicazione deve essere intesa in senso sostanziale piuttosto che come norme
di mera forma.
In questo senso, il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 29 agosto 2013 n. 4315 ha
puntualizzato che l’obbligo di “informare” i soggetti interessati dei procedimenti che li riguardano o da
cui possono subire pregiudizio deve essere inteso come diretto a creare conoscenza in soggetti
potenziali attori del procedimento e non come adempimento formale.
A tal riguardo si legge nella pronuncia “che, come tutte le norme che impongono all’amministrazione
di adottare atti che favoriscono la partecipazione degli interessati, anche quelle del DPR n. 3272001,
relative alla partecipazione al procedimento espropriativo, devono essere interpretaste non in
modo formale, ma in relazione alla finalità (di conoscenza del procedimento) per cui esse sono
previste dal legislatore.” Tale interpretazione, “che si desume sia dalla previsione della
impugnabilità dell’atto per violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 solo da parte del soggetto nei confronti
del quale è stata omessa la comunicazione (art. 8, co. 4), sia, più in generale, dall’art. 21-octies l. n.
241/1990 – porta a considerare ininfluente, ai fini conoscitivi (…), la eventuale omissione di
pubblicazione di avviso di avvio del procedimento sul sito internet dell’amministrazione. E ciò
anche prescindendo dal fatto che tale pubblicazione è essa stessa prevista dal legislatore in termini di
eventualità”.
Oltre a ragioni di equità sostanziale e correttezza di comportamento, praticamente sempre insistenti
“a carico” della p.a. grazie al presidio dell’articolo 97 della Costituzione, la giurisprudenza ha avuto
modo di chiarire che l’obbligo di rispondere – a fronte di una istanza – deve ritenersi sussistente
anche a prescindere dall’esistenza di una norma specifica (T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I,
con sentenza del 9 marzo 2012 n. 74). In questo senso, risultano riconducibili alle considerazioni
espresse e sono tali da ritenere sussistente l’obbligo di rispondere anche “semplici” questioni di
trasparenza e partecipazione. Questa giurisprudenza, pertanto, costituisce – sia consentito - prova
provata che l’obbligo di rispondere (sia pure in modo semplificato) ad una istanza comunque
improseguibile risponde ad elementari principi di trasparenza e correttezza di comportamento. Ne
deriva che un’istanza diretta ad ottenere un provvedimento favorevole per il richiedente determina un
obbligo di provvedere quando chi la presenta è titolare di un interesse legittimo pretensivo “pur in
assenza di una norma specifica che gli attribuisca un autonomo diritto di iniziativa,a presentare
un’istanza dalla quale nasce in capo alla p.a. quantomeno un obbligo di pronunciarsi” (cfr., Cons.
Stato, n. 2318 del 2007, cit.)”.
Il ragionamento appena espresso risulta ben esplicitato nella pronuncia del T.A.R. Campania,
Salerno, sez. II, dell’8 marzo 2012, n. 453.
Nella pronuncia appena richiamata si chiarisce che l’obbligo di rispondere “può scaturire dalla legge, o
dalla peculiarità della fattispecie, per la quale ragioni di equità impongono l’adozione di un
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
13
provvedimento al fine, soprattutto, di consentire al privato (…) di adire la giurisdizione per far valere le
proprie ragioni. L’obbligo di provvedere dell’Amministrazione, poi, a sua volta, presuppone che
l’istanza del richiedente sia rivolta ad ottenere un provvedimento cui questi abbia un diretto interesse”
Da qui la stessa finalità del ricorso contro il silenzio rifiuto (o silenzio inadempimento) ovvero di
“ottenere un provvedimento esplicito dell’Amministrazione, che elimini lo stato di inerzia ed assicuri al
privato una decisione che investe la fondatezza o meno della sua pretesa”; in ogni caso - conferma
anche questo giudice - , “la fonte dell’obbligo giuridico di provvedere consiste, di solito, in una
norma di legge, di regolamento od in un atto amministrativo, ma non necessariamente deve derivare
da una disposizione puntuale e specifica, potendosi, talora, desumere anche da prescrizioni di
carattere generale e/o dai principi generali regolatori dell’azione amministrativa.(cfr. T.A.R. Calabria –
Catanzaro – n. 939/2009)” .
Il rimedio del ricorso giurisdizionale poi risulta “volto esclusivamente a far accertare l’inerzia
dell’Amministrazione nel pronunziarsi in ordine ad una istanza, a fronte della quale – a carico della
stessa Amministrazione – sussiste un obbligo a provvedere; di conseguenza il giudice investito della
relativa cognitio deve limitarsi a constatare l’illegittimità del comportamento omissivo con conseguente
dichiarazione dell’obbligo a provvedere, senza peraltro poter entrare nel merito della fondatezza o
meno della pretesa sostanziale sottesa all’istanza di provvedere (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 2 marzo
2011, n. 1345)”.
Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale richiamato e alla recente innovazione, di cui si è detto
sopra voluta dal legislatore “anticorruzione”, – pur prescindendo dall’esistenza di una norma specifica
che impone di rispondere con un provvedimento concreto – l’obbligo in parola sussiste praticamente
sempre ovvero in ogni circostanza in cui l’istante abbia (o mantenga) l’interesse ad ottenere il
riscontro. Ovvero, in modo ancora più elementare, ogni volta in cui vi sia una legittima aspettativa
dell’istante ad ottenere una risposta. Ossequia questa considerazione la circostanza che il potere
della p.a. di rispondere non è soggetto a decadenza.
In tema si è espresso il T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, con la sentenza n.109/2012 secondo cui “la
violazione dell’art. 2 l. n. 241/1990 risulta irrilevante (nda in relazione alla questione dell’esaurimento
del potere della p.a), in quanto i termini di conclusione del procedimento ivi indicati non determinano
sia la decadenza del potere amministrativo (cioè non consuma l’esercizio del potere amministrativo),
sia l’illegittimità del provvedimento tardivamente emanato, anche se tale violazione, in caso di tardiva
emanazione del provvedimento favorevole al cittadino e/o sussistendo i presupposti previsti dalla
legge (vedi ora l’art. 2-bis l. n. 241/1990, introdotto dall’art. 7 l. n. 69/2009), può determinare
conseguenze sul piano risarcitorio, senza peraltro comportare l’invalidità della determinazione
tardivamente assunta (sul punto cfr. da ultimo Cons. Stato sez. VI sent. n. 1913del 6 aprile 2010;
T.A.R. Catanzaro sez. II sent. n. 1428 del 2 luglio 2010;T.A.R. Toscana sez. III sent. n. 629 del 4
marzo 2010)”.
6. Casi in cui non sussiste l’obbligo di rispondere
La pratica operativa, inoltre, conosce circostanze che si affrancano da obblighi di riscontro come, a
titolo esemplificativo, nel caso in cui l’istanza del privato miri ad ottenere l’adozione di un
provvedimento in autotutela (di ritiro/modifica) di atti pregressi. Nel caso di specie l’obbligo di
provvedere si atteggia differentemente come ha rilevato recentemente il T.A.R. Puglia, Bari, sez. II,
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
14
con la sentenza n. 456/2012. Con il decisum citato il giudice pugliese ha puntualizzato – in coerenza
con l’orientamento giurisprudenziale univoco - “che non sussiste alcun obbligo per le Amministrazioni
pubbliche di pronunciarsi su istanze volte ad ottenere provvedimenti in autotutela,stante che i
procedimenti in autotutela debbono essere attivati d’ufficio e che le istanze di parte non possono che
avere mera valenza sollecitatoria”.
Appare evidente che nel caso di specie, trattato anche da altra giurisprudenza, l’istante più che
chiedere un provvedimento richiede all’amministrazione di avviare un procedimento che risulta
rigorosamente disciplinato da norme e da principi di interesse pubblico. Muta pertanto, si potrebbe
dire, l’oggetto della richiesta.
E’ bene rilevare che con l’introdotto obbligo del c.d. provvedimento semplificato, di cui si è detto
sopra, l’amministrazione risulta – sia pur in modo meno intenso – comunque obbligata a rispondere
alla istanza e ad evitare che la stessa rimanga inevasa. Ovviamente si tratta di distinguere le ipotesi in
cui la domanda risulta proseguibile e deve essere istruita nel merito dal caso disciplinato dalla recente
modifica intervenuta sul comma 2 della legge 241/90.
Nello stesso modo occorre leggere/interpretare altra pregressa giurisprudenza, come quella di cui si è
detto sopra, che ha sempre affermato che l’obbligo di rispondere non ricorre in presenza di richieste
generiche come evidenziato – ante introduzione della species del provvedimento semplificato – da
parte del T.A.R. Emilia- Romagna, Bologna sez. I, con pronuncia del 27 febbraio 2012, n. 153 in
tema di generica istanza di repressione di abusi edilizi. Nel caso da ultimo preso in considerazione,
evidentemente l’istanza non è proseguibile ed all’istante, con un provvedimento semplificato, verrà
indicata la motivazione in punto di diritto necessaria a motivare il rigetto.
7. Il danno da ritardo
La questione del “danno da ritardo” – che subisce continuamente alterne vicende in giurisprudenza ed
in dottrina – si è posta già ante previsione introdotta con la legge 69/2009 e declinata nell’articolo 2bis della legge 241/90.
La norma in parola – rubricata “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella
conclusione del procedimento” - dispone che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui
all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
Già si anticipa che la querelle, sostanzialmente si fonda sulla necessità di chiarire – al di là della
natura giuridica della responsabilità se contrattuale, extra contrattuale o precontrattuale – se il
risarcimento sia dovuto sotto forma di responsabilità oggettiva e quindi per la semplice circostanza del
ritardo (la perdita di tempo) o se invece possa essere ottenuto solo in presenza del mancato
ottenimento, per effetto dell’inerzia della p.a. o di chi si ingerisce in attività amministrative, di un
provvedimento espresso positivo ampliativo della propria posizione giuridica.
Come annotato la questione si è posta già ante legge 69/2009 ed è stata risolta nel senso che il
risarcimento può ritenersi dovuto non per mero ritardo o perdita di tempo. In questo senso si è
pronunciata il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria del 15 settembre 2005 n. 7.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
15
Nel caso trattato – già respinto in primo grado dal Tar Umbria con la sentenza n. 649 del 2003 –
l’istante richiedeva alla pubblica amministrazione il rilascio di titoli autorizzativi occorrenti per la
ristrutturazione di immobili e per la realizzazione di varie opere infrastrutturali.
La società ricorrente deduceva inoltre “che, sulla base del programma elaborato, confidava di poter
concludere i lavori entro l’estate del 2004, dopo il conseguimento, nei tempi prescritti, dei permessi
occorrenti. L’amministrazione aveva, invece, definito le pratiche in ritardo e in senso negativo,
producendo così un danno del quale si chiedeva al Comune il ristoro (nella misura di 37 milioni di
euro)”.
Risulta interessante il ragionamento dedotto nella pronuncia che ha tenuto conto non solo della
inesistenza di una norma specifica (questione che potrebbe essere ritenuta oggi superata alla luce
dell’articolo 2-bis introdotto dalla legge 69/2009) ma, soprattutto per quanto concerne la corretta
configurazione– a sommesso avviso valida anche nell’odierno - del danno da ritardo.
Nella sentenza si evidenzia che “va osservato che il fatto dell’intervenuto riconoscimento, da parte
dell’amministrazione comunale, di aver pronunciato in ritardo su tali pratiche non comporta, per ciò
solo - come vorrebbe la società ricorrente - l’affermazione della sua responsabilità per danni”.
Inoltre, “su di un piano di astratta logica, può ammettersi che, in un ordinamento preoccupato di
conseguire un’azione amministrativa particolarmente sollecita, alla violazione dei termini di
adempimento procedimentali possano riconnettersi conseguenze negative per l’amministrazione,
anche di ordine patrimoniale (ad es. con misure di carattere punitivo a favore dell’erario; con sanzioni
disciplinari, etc.)” ed in questo senso, potrebbe rientrare la recente previsione – sia pur contingentata
ad una serie limitata di procedimenti – contenuta nell’articolo 28 del decreto del fare del c.d.
indennizzo da ritardo.
Del resto, rileva il Consesso “in un quadro non dissimile si muoveva, d’altra parte - secondo talune
linee interpretative - l’art. 17, comma 1, lettera f), della legge n. 59 del 1997, che ipotizzava «forme di
indennizzo automatico e forfettario», pur se a favore del richiedente, qualora l’amministrazione non
avesse adottato tempestivamente il provvedimento, anche se negativo.
Non vale, però, soffermarsi oltre sulla disciplina ora ricordata, in quanto non è stata attuata la delega
conferita dalla citata legge, né sono state assunte, dopo la scadenza dei termini assegnati al
legislatore delegato, iniziative per la emanazione di una nuova legge di delega con lo stesso
contenuto o per la proroga del termine.
Stando così le cose, può affermarsi che il sistema di tutela degli interessi pretensivi – nelle ipotesi in
cui si fa affidamento (come nella specie) sulle statuizioni del giudice per la loro realizzazione –
consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l’interesse pretensivo, incapace di
trovare realizzazione con l’atto, in congiunzione con l’interesse pubblico, assuma a suo oggetto la
tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un
provvedimento vantaggioso per l’interessato (suscettibile di appagare un “bene della vita”).
Tale situazione non è assolutamente configurabile nella specie, posto che - a prescindere da
qualunque ulteriore profilo in ordine ai requisiti richiesti per potersi considerare realizzata
l’inadempienza - risulta incontroverso che i provvedimenti adottati in ritardo risultano di
carattere negativo per la società e che le loro statuizioni sono divenute intangibili per la
omessa proposizione di qualunque impugnativa”. Con la conclusione dell’insussistenza delle
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
16
“condizioni per lamentare, con domanda di ristoro del danno, le conseguenze di una inadempienza
che non risulta realizzata”
Pertanto, ante innesto dell’articolo 2 –bis nella legge 241/90, la giurisprudenza – pur non mancando
casi isolati – ha dovuto attenersi alle riflessioni dell’Adunanza Plenaria.
Anche in tempi recenti – pur in presenza di una norma specifica (comunque non chiara, ed in questo
senso il legislatore ha perso più di una occasione di chiarirne il portato) - fermo restando che
l’introduzione del c.d. indennizzo da ritardo dovrebbe far propendere per l’inammissibilità di un ristoro
per danno da ritardo “puro” ovvero a prescindere dalla spettanza di un provvedimento positivo
ampliativo della propria posizione giuridica, parte rilevante della giurisprudenza continua a basare il
proprio ragionamento sulle posizioni in cui si è attestata l’A.P. con la sentenza del 2007 appena
richiamata.
La questione pertanto di maggior rilievo riguarda la precisa individuazione dell’oggetto del
possibile risarcimento al fine di chiarirne la definitiva portata ovvero se il risarcimento possa
scaturire dal “semplice” ritardo colposo nell’emanazione del provvedimento (a prescindere
dalla spettanza) o se invece sia necessario un danno concreto ad un bene della vita (differente
dalla perdita di tempo pur rilevante ) che non viene acquisito o acquisito tardivamente con un
“impoverimento” o perdita di utilità a causa del comportamento della p.a.
E’ chiaro che la differenza, evidentemente, ha un rilievo fondamentale.
Nel primo caso, la p.a. verrebbe chiamata a rispondere per non aver rispettato il termine che esige
(come da rubrica delle norma in commento) certezza nella conclusione del procedimento con la
conseguenza che al richiedente verrebbe ristorato una sorta di “patema d’animo” subito a seguito del
comportamento scorretto della p.a. che non conclude la procedura.
Nel secondo caso, la problematica esige un riferimento certo, sostanziale, maggiormente adeguato
limitando la risarcibilità in caso di danno da perdita (anche solo temporanea considerato – come visto
sopra - che la p.a. non perde il potere di adottare un provvedimento anche tardivo) di un bene alla
vita “sostanziale” collegato all’ottenimento del provvedimento espresso in grado di far cessare una
situazione “penalizzante” oppure tale da consentire peculiari prerogative “vantaggiose” per l’istante e
quindi di ampliare la propria posizione giuridica.
8. La risarcibilità del danno da “puro” ritardo
Alla condivisione dell’orientamento formale, teorizzato da gran parte della dottrina (Caringella),
secondo cui la p.a. è tenuta a risarcire il danno per non aver ossequiato l’obbligo della certezza del
termine del procedimento si oppongono – a sommesso avviso una serie di serie di riferimenti oggetti
e questioni di opportunità.
Tra i rilievi testuali non si può non considerare comunque – rilevata l’ambiguità del testo dell’articolo 2
–bis che ricollega la responsabilità da un comportamento oltre doloso, almeno colposo ma soprattutto
ad un danno ingiusto, la carenza di un chiaro riferimento normativo. E questo è maggiormente vero
se si rammenta il mutamento di prospettiva intervenuto in sede di approvazione del disegno di legge
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
17
“Nicolais” dal nome del ministro proponente n. 1859 presentato durante la XV legislatura. Il disegno di
legge prevedeva, nell’ambito di una più ampia riforma della legge 241/90 sfociata nella legge
69/2009, all’articolo 1, primo comma lettera c) – che avrebbe poi introdotto l’articolo 2-bis – oltre alla
disposizione tutt’ora in vigore, l’ appendice secondo cui il ristoro era da ritenersi dovuto
“indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”.
La gravità della prescrizione, inoltre, veniva acuita dai successivi – previsti – commi 2 e 3 secondo
cui, rispettivamente, “indipendentemente dal risarcimento del danno di cui al comma 1 e con
esclusione delle ipotesi in cui il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di
accoglimento dell’istanza (c.d. silenzio significativo ex articolo 20 della legge 241/90 (1)) , in caso di
inosservanza del termine di conclusione del procedimento, le pubbliche amministrazioni e i soggetti di
cui all’articolo 1, comma 1-ter, corrispondono ai soggetti istanti, per il mero ritardo, una somma di
denaro stabilita in misura fissa ed eventualmente progressiva, tenuto conto anche della rilevanza
degli interessi coinvolti nel procedimento stesso” e “i pagamenti delle somme di denaro di cui al
comma 2 corrisposte dalle pubbliche amministrazioni sono comunicati alla competente procura
regionale della Corte dei Conti”.
Inoltre, non si può tacere la circostanza che la norma avrebbe determinato comunque delle
complicanze, in particolare nel momento in cui intendeva agganciare la misura del risarcimento alla
“rilevanza degli interessi coinvolti nel procedimento stesso”. Ulteriore circostanza curiosa è che il
risarcimento si sarebbe dovuto definire in una cifra fissa con progressione, senza apparir chiaro se
rimesso a discrezione della p.a. o rinviato ad ulteriore disposizione legislativa in grado di fissare
quantitativamente i risarcimenti.
Le disposizioni sopra riportate non sono state introdotte nella legge 241/1990.
Questo stesso rilievo dovrebbe indurre a ritenere esclusa la possibilità di affermare una fattispecie di
risarcimento per danno da incertezza (causata dal comportamento della p.a. che rimane inerte) da
puro ritardo.
In questo senso, il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, del 2 novembre 2011 n. 1911 ha espressamente
ribadito che la risarcibilità del danno “da inerzia” impone l’indagine e l’accertamento sull’animus
ovvero la colposità (o il dolo) non risultando sufficiente la semplice constatazione del ritardo e quindi
la violazione del termine entro cui il provvedimento doveva essere adottato.
Ai sensi dell’articolo citato, rubricato: “silenzio assenso”, si rileva che: “1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei
procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a
provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non
comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del
comma 2. 2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una
conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. 3. Nei casi
in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. 4. Le disposizioni del presente articolo non si
applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica
sicurezza e l'immigrazione, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa
comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione
come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. 5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis.
5-bis. Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo”.
1
www.paweb.it
18
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
Testualmente, il giudice pugliese, precisato che “la controversia (…) si inscrive nell’ambito del c.d.
danno da ritardo, istituto questo che è stato da ultimo positivamente disciplinato mediante
l’introduzione, ad opera della legge n. 69 del 2009, dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990 (Cons.
Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1913)” e che tale
norma prevede, da un lato, che l’amministrazione è tenuta “al risarcimento del danno ingiusto
cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento” (comma 1); dall’altro lato, che le relative controversie “sono attribuite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo” (comma 2); giungendo infine ad affermare che “che la
risarcibilità del danno da ritardo, ai sensi del citato art. 2-bis della l. n. 241/90, postula in ogni caso il
necessario accertamento della colposità dell'inerzia, la cui dimostrazione incombe sul danneggiato,
non bastando la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo
(Cons. Stato, sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5546; T.A.R. Toscana, sez. II, 18 febbraio 2011, n. 341):
tale violazione, infatti, di per sé non dimostra l'imputabilità del ritardo, potendo la particolare
complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all'amministrazione
escludere la sussistenza della colpa (T.A.R. Toscana, sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145; T.A.R. Veneto,
sez. I, 29 gennaio 2010, n. 197)”.
Per effetto di quanto, la pronuncia induce a rilevare come la “sola” violazione del termine del
procedimento non è in grado determinare ex se l’imputabilità anche perché potrebbe essere stato
generato da cause non imputabili alla pubblica amministrazione ma ad esigenze straordinarie e/o
oggettive non riconducibili all’ente. È bene rileva che, spesso, il ritardo può essere causato dalla
farraginosità della stessa legge.
In questo senso, si è orientato il T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, con sentenza del 9
febbraio 2012 n. 52 con specifico riferimento alla legislazione in materia di autorizzazioni ambientali.
Come annotato, la recente giurisprudenza oscilla tra una interpretazione ora formale ora sostanziale
maggiormente adeguata al testo normativo ritenendo non affrancato il risarcimento da ritardo dalla
questione della spettanza di un bene alla vita individuato nel provvedimento positivo.
Tra i vari interventi, appare estremamente interessante la composita ed articolata pronuncia del
T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sentenza del 21 novembre 2011 n. 548 che ha delineato la complessità
della fattispecie in commento.
Il giudice ha puntualizzato che “non c’è dubbio che il danno da ritardo quale componente risarcibile,
per equivalente, della lesione di un interesse legittimo pretensivo è concetto cui sono riconducibili
diversi contenuti cha spaziano dal diritto ad una prestazione (la tempestiva conclusione del
procedimento) all’interesse al bene della vita che l’esecuzione della prestazione soddisfa (il rilascio
del provvedimento favorevole). Sicché nella composita categoria possono individuarsi diverse
tipologie di fattispecie, fra loro distinte” e che nell’ambito dell’articolata predetta complessità si
possono enucleare:
“a) l’ipotesi in cui il ritardo, produttivo del danno, è derivante dal fatto che
l’amministrazione ha dapprima adottato un provvedimento illegittimo, sfavorevole al privato
(ad es., diniego di costruire), e successivamente ha emanato un altro provvedimento, legittimo
e favorevole, a seguito dell’annullamento, in sede giurisdizionale,del primo atto;
b) l’ipotesi in cui l’assenza di un provvedimento determina danni gravosi per il soggetto
interessato e il privato invoca tutela risarcitoria per danni generati dal ritardo con cui
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
19
l’amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato con ritardo
rispetto al termine previsto per quello specifico provvedimento (ad es. permesso di costruire
rilasciato con ritardo);
c) l’ipotesi, ancora diversa, in cui il provvedimento amministrativo, legittimo, ma emanato
con ritardo, è sfavorevole per il privato, che lamenta il danno per non aver ottenuto il
tempestivo esame della propria istanza e per non aver appreso entro i termini previsti l’esito
negativo del procedimento”.
Delle tre ipotesi enucleate le prime due (a e b) sicuramente presentano aspetti collegabili alla
spettanza di risarcimento.
Di più complicata configurazione risulta l’ipotesi di cui alla lettera c).
Nella pronuncia in commento, il giudice definisce i tratti della responsabilità per danno da ritardo
“puro”qualificando il tempo come autentico ed autonomo bene della vita (a prescindere dalla
spettanza quindi del provvedimento positivo, nel caso di specie riconosciuto).
In particolare, nella sentenza si legge che “il danno (nda da ritardo) è, secondo la prospettazione,
causato dal mancato rispetto di termini per la conclusione del procedimento, fattispecie, come detto,
sussumibile nel disposto di cui all’art. 2 bis della L. n.241/1990 secondo cui la p.a. e i soggetti ad essa
equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza
dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. Secondo il giudice, “posto che il bene
protetto dalla norma è, con evidenza e in primis, il rispetto dei tempi certi del procedimento, al fine di
salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell’assetto di interessi dallo stesso
preordinato in relazione ai tempi del procedimento medesimo, la certezza del diritto, cui è
indissolubilmente collegata la puntuale definizione dei procedimenti, è non necessariamente
ancorata all’ampliamento necessario della sfera soggettiva del privato; anche se il bene della
vita cui lo stesso aspira al termine del procedimento ampliativo è solo un esito eventuale del
procedimento medesimo, il soggetto ha comunque diritto di sapere se la sua pretesa è o meno
fondata in termini certi, o per contestare la determinazione sfavorevole e provare in sede
giurisdizionale la fondatezza della pretesa originaria in tempi utili ovvero anche solo per
aderire alla determinazione dell’Amministrazione e modificare, conseguentemente il proprio
programma di vita”.
Inoltre, “l’inosservanza del termine ha comportato, dunque, quale immediata e pregiudizievole
conseguenza, l’assoluta imprevedibilità dell’azione amministrativa e quindi l’impossibilità per il
soggetto privato di rispettare la programmata tempistica dei propri investimenti. Se il tempo è un
bene della vita, il ritardo è, necessariamente, un costo. Non sembra inopportuno a questo punto
richiamare la fattispecie, per molti versi e certamente sul punto analoga, dell’obbligo del rispetto dei
tempi del processo, conclamato nel principio apicale di ragionevole durata, la cui violazione, a
prescindere dalla fondatezza della pretesa giudiziariamente azionata, è causa di responsabilità
risarcitoria per lo Stato sul rilievo, comune alla fattispecie all’esame, che il mancato o ritardato esito
del procedimento intrapreso costituisce, di per sé, una negativa incidenza sul patrimonio (inteso come
fascio di relazioni) facenti capo al soggetto di diritti, la cui inviolabilità, in assenza di cause legali di
giustificazioni, va in ogni caso garantita. Nel caso di specie, il tempo previsto per la conclusione
del procedimento costituisce lo spazio di possibile franchigia per l’Amministrazione per
restare indenne rispetto all’obbligo di non violazione, mentre il suo superamento colpevole
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
20
(ossia non altrimenti giustificato secondo l’ordinamento) la espone alle conseguenze
risarcitorie derivanti dalla lesione di una situazione soggettiva giuridicamente tutelata.
Il mancato rispetto dei tempi del procedimento in caso di mero ritardo qualifica il danno
cagionato come ingiusto e legittima ad agire per il risarcimento, nel caso di specie qualificato,
anche nel quantum (secondo i principi indicati nell’Adunanza plenaria n.3/2011), dalla
tempestiva impugnazione del silenzio”.
L’orientamento appena riportato – da cui (come si vedrà più avanti) sembra discostarsi la
giurisprudenza di secondo grado del Consiglio di Stato – trova conferma in tempi recenti con la
pronuncia del T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, del 16 aprile 2013, n. 828.
Il giudice siciliano, affermata la duplicità (escludendo orientamenti minori che costituiscono species
soprattutto dell’indirizzo più rigoroso) degli orientamenti giurisprudenziali espressi sul tema propende
definitivamente verso l’ammissibilità di un risarcimento da danno per il “semplice” ritardo; fattispecie in
cui il tempo assurge ad autonomo bene della vita la cui perdita può essere azionata a prescindere
dalla spettanza di un provvedimento ampliativo, fermo restando: l’esigenza (almeno) di un
comportamento, colposo, di un nesso causale e l’imprescindibile dimostrazione/quantificazione del
“valore” patrimoniale del danno subito (elementi richiesti quindi dalla fattispecie della responsabilità
extracontrattuale di cui all’articolo 2043 del codice civile).
La pronuncia riveste un particolare rilievo per la completezza di ricostruzione della vicenda
sviluppatasi sulla questione della configurabilità del danno da ritardo a far data dal 2005.
Nella sentenza si evidenzia che nell’istanza risarcitoria – per danno da ritardo – già l’ordinanza “della
IV sezione del Consiglio di Stato, 7 marzo 2005, n. 875, di rimessione all’Adunanza Plenaria di alcune
questioni sul predetto danno” individuava i diversi pregiudizi lamentati, in particolare oggetto di
possibile enucleazione erano costituiti da:
“a) il ritardo col quale l’amministrazione ha emanato il provvedimento richiesto, che però è
favorevole: in tale ipotesi, il danno risarcito è quello subìto per aver avuto in ritardo il bene della vita
cui si aveva titolo;
b) il danno prodottosi medio tempore tra l’annullamento del diniego di provvedimento per motivi
formali e la riedizione del potere amministrativo conseguente all’annullamento,che conduca al rilascio
del provvedimento richiesto: la situazione è analoga alla precedente, in quanto comunque il danno
risarcito è quello derivante dal ritardo con il quale è stato conseguito il bene della vita cui si aveva
titolo;
c) la mancata emanazione di alcun provvedimento;
d) l’emanazione di un provvedimento negativo, ma in ritardo; anche in quest’ultimo caso,
peraltro, il danno lamentato non consiste nell’illegittimo diniego del bene della vita – che
andrebbe impugnato –, bensì nell’aver provveduto in ritardo, con ciò solo causando un danno
al privato (sui diversi contenuti del “danno da ritardo”, si veda anche T.A.R. Abruzzo, 21
novembre 2011, n. 548)”.
Nel caso di specie sottoposto all’attenzione del giudice siciliano la richiesta di risarcimento del danno
da ritardo presentata da rientrava “nell’ipotesi d), in quanto un provvedimento – negativo – è stato
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
21
emesso, ma tardivamente rispetto ai tempi procedimentali, circostanza, questa, che è stata
sanzionata da questa sezione con le due sentenze (…), depositate l’11 gennaio 2010 (n. 265 e 275
del 2010)”.
A sostegno della propria censura tendente ad ottenere il risarcimento per il danno da “perdita di
tempo”, l’istante richiamava proprio “l’esistenza dell’art. 2-bis della legge 241/1990, introdotto dalla
legge 69/2009, che ha stabilito l’obbligo di risarcimento del danno ingiusto cagionato dalle
Amministrazioni in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento”; ciò evidenziato il giudice rammenta la complessità della questione rilevando che
“anche prima di tale modifica normativa, dottrina e giurisprudenza si sono divise tra sostenitori della
risarcibilità del mero ritardo, a prescindere da ogni indagine sulla spettanza del bene della vita (cfr. la
citata ordinanza del Consiglio di Stato n. 875/2005), e contrari a tale soluzione; tra questi ultimi,
l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 15 settembre 2005, intervenuta a seguito della
predetta rimessione, e confermata da orientamenti giurisprudenziali consolidatisi negli anni, quali, a
titolo esemplificativo, Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2006, n. 321 e sez. IV, 29 gennaio 2008, n.
248, quest’ultima esplicitamente nel senso che l’accoglimento della domanda di risarcimento del
danno, in caso di inerzia dell’amministrazione, presuppone la valutazione circa la spettanza dell’utilità
finale da conseguire per il tramite del provvedimento richiesto, mediante un giudizio prognostico che
non può essere consentito allorché l’attività dell’amministrazione sia caratterizzata da consistenti
margini di discrezionalità amministrativa”.
Come evidenziato sopra, si può sostenere – come precisa anche la sentenza in commento – che fino
all’entrata in vigore dell’art. 2-bis della l. 241/1990, la spettanza del bene della vita costituiva
presupposto essenziale per il risarcimento del danno e che il danno da mero ritardo non era
considerato risarcibile (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2009, n. 1162).
Secondo la prospettazione del giudice siciliano, l’orientamento in parola per effetto
dell’introduzione dell’art. 2-bis, deve ritenersi superato.
Si rileva infatti nella pronuncia che “la situazione è mutata, in quanto detta norma obbliga
esplicitamente l’amministrazione al risarcimento del danno in ragione della violazione dolosa o
colposa dei termini del procedimento amministrativo”.
La norma, secondo questa riflessione giurisprudenziale, deve essere letta “in coordinamento sia con
l’art. 133, comma 1, n. 1, lett. a) del Codice del processo amministrativo, che prevede la giurisdizione
esclusiva del g.a. in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza del
termine di conclusione del procedimento, sia con il co. 4 dell’art. 30 del medesimo Codice, che
stabilisce che ‘per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in
conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il
termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l’inadempimento. Il termine di cui al
comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere’”.
Pertanto, secondo la sentenza in commento, il nuovo quadro delineato con l’introduzione di una
norma (più o meno) specifica
avrebbe consacrato il mutamento di impostazione voluto dal
legislatore pertanto, non sarebbe più necessaria l’indagine circa l’effettiva spettanza del bene della
vita o dell’utilità finale cui il ricorrente aspira, dovendo il giudice solo accertare l’illegittimità del ritardo
nel provvedere e il suo carattere pregiudizievole, stante la lesione di un vero e proprio diritto
soggettivo del ricorrente.
www.paweb.it
22
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
Per effetto di quanto, muta anche la stessa configurazione giuridica della responsabilità che
“fuoriesce” dall’alveo della responsabilità extra contrattuale per entrare nella più tipica fattispecie della
responsabilità contrattuale in cui si presume la responsabilità (a carico della p.a. per il semplice
acclaramento della scadenza del termine di adempimento rimasto “inevaso” da parte del responsabile
del procedimento).
Per completezza, è bene rilevare che nella pronuncia si dà conto delle voci contrarie alla
ricostruzione predetta tra cui lo stesso T.A.R. Palermo, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 582; ed in tempi
più recenti anche Cons. Stato sez. V, 3 maggio 2012, n. 2535; sez. IV, 15 dicembre 2011, n. 6609;
T.A.R. Lazio, sez. III, 3 luglio 2012, n. 6039; id., 15 maggio 2012, n. 4382; T.A.R. Latina, 21 novembre
2012, n. 863; T.A.R. Bari, sez. II, 12 ottobre 2012, n. 1766; T.A.R. Piemonte, sez. I, 9 novembre 2012,
n. 1190.
Pronunce, prosegue il giudice siciliano, che risultano “basate fondamentalmente sulla circostanza
che l’originaria versione dell’art. 2-bis nel cd. d.d.l. Nicolais (Atto Senato 1859) conteneva una norma
analoga a quella dell’art. 2-bis, accompagnata (nda però) dall’inciso ‘indipendentemente dalla
spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto” che, come rilevato, è stato
“soppresso nella versione finale della norma”. La mancata conferma dell’inciso finale ha finito,
ovviamente, con l’alimentare la considerazione secondo cui “l’articolo in questione non abbia
innovato rispetto al passato e che il danno da mero ritardo non sia risarcibile di per sé (ossia, senza
aver fornito la prova della spettanza del bene della vita richiesto col provvedimento)”. In funzione delle
pronunce appena richiamate e dell’impostazione ivi sostenuta si è rilevato come non sia rinvenibile
“alcun elemento testuale per sostenere che l’illecito ex art. 2-bis, l. n. 241 del 1990 si sia trasformato
in un illecito che punisce il mero patema d’animo da incertezza nella definizione del procedimento
amministrativo (a guisa della disposizione dell’art. 2, l. n. 89 del 2001 sull’equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo), per cui la norma deve essere interpretata nel solco
della giurisprudenza tradizionale (su tutte Cons. Stato, ad. plen., n. 7 del 2005) che individua il dannoevento nell’utilità finale da conseguire con il provvedimento emesso in ritardo (T.A.R. Brescia, sez. I,
13 marzo 2012, n. 405)”.
Il giudice de quo conclude comunque che “sebbene (…) l’argomento proposto appaia comunque di
un certo rilievo, il collegio, tuttavia (si) preferisce aderire all’impostazione innovativa e ritenere che un
danno da mero ritardo possa comunque essere risarcito indipendentemente dalla prova del danno,
purché si dimostri la colpa o il dolo dell’amministrazione.
Ciò sulla base di una prima riflessione in ordine alla portata innovativa della modifica della legge
241/1990, che rimarrebbe del tutto priva di senso se non venisse attuata attraverso il riconoscimento,
in favore del privato, del diritto al risarcimento per la violazione del termine procedimentale da parte
dell’Amministrazione. Non deve dimenticarsi, infatti, che l’art. 2-bis della l. 241/1990 è stato introdotto
nel 2009, al termine di un ventennio nel quale era stato serrato il dibattito in ordine all’inutilità dell’art.
2 della legge 241/1990 (termine di conclusione del procedimento), posto che la violazione di detto
termine non era sanzionata e sanzionabile in alcun modo se non, sotto il profilo processuale,
attivando il giudizio per la declaratoria di illegittimità del silenzio dell’amministrazione”. Inoltre “recenti
arresti giurisprudenziali sia del Consiglio di Stato che, soprattutto, del Consiglio di Giustizia
Amministrativa, spingono, pertanto, il collegio ad aderire all’impostazione ‘innovativa’ della presente
questione, ritenendo la risarcibilità del danno da ritardo mero. In particolare, si fa riferimento a Cons.
Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271, secondo il quale in caso di ritardo nel rilascio di un
provvedimento (intervenuto solo a seguito di impugnazione del silenzio del Comune), il privato è
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
23
abilitato a richiedere innanzi al g.a. il risarcimento del danno da ritardo, posto che “l’intervenuto art. 2bis,comma 1, l. n. 241/1990, introdotto dalla l. n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del
privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti
equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza
dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. L’art. 2-bis comma 1, l. n. 241/1990,
presuppone che anche il tempo sia un bene della vita per il cittadino: e infatti, il ritardo nella
conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo
costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a
qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.”Inoltre “il danno derivante
dall’inerzia della p.a. nel provvedere su una istanza del privato rappresenta un illecito di carattere
permanente, che assume particolare valenza negativa, derivando dall’ingiustificata inosservanza del
termine di conclusione del procedimento, che il legislatore ha, di recente, elevato all’ambito dei livelli
essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2,
lett. m), cost. (v. il comma 2-bis, dell’art. 29 l. n. 241/1990, introdotto dalla l. n. 69/2009, che richiama
appunto tra tali livelli essenziali l’obbligo per la p.a. di concludere il procedimento entro il termine
prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei procedimenti).”
9. La giurisprudenza che esclude il risarcimento per danno da ritardo puro
Risulta altrettanto cospicua – se non maggioritaria - la produzione giurisprudenziale tesa a negare la
possibilità dei risarcimento da danno “puro” affrancato dalla valutazione sulla spettanza del bene. In
questo senso, piuttosto rilevante è la pronuncia del T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, del 26 ottobre
del 2011 n. 4945. Il giudice campano, premettendo che nel caso di specie “si controverte in ordine al
danno invocato dalla ricorrente per la lesione del suo interesse legittimo a vedere definito il
procedimento entro i termini di legge, interesse riconosciuto meritevole di tutela a livello indennitario
www.paweb.it
24
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
dalla legge Bassanini n. 59/1997, suscettibile di risarcimento ai sensi dell’A.P. n.7/2005 cit.
subordinatamente alla dimostrazione della spettanza del bene della vita sottostante, e poi qualificato
in termini di risarcimento del danno per il ritardo tout court a seguito delle modifiche apportate all’art.
2-bis comma 1 della legge n. 241/1990 introdotto dalla legge n. 69/2009. Ivi si è sancito che le
pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto
cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento. Resta così tipizzata come fattispecie autonoma – rispetto alla lesione del
corrispondente interesse legittimo pretensivo – la risarcibilità della lesione del ritardo nella
conclusione di un procedimento amministrativo, così definitivamente riconoscendo il rilievo economico
del fattore ‘tempo’ quale componente essenziale per la organizzazione ed attuazione di interventi
programmati la cui esecuzione resti subordinata ad atti di assenso amministrativi ”. Puntualizza, nel
prosieguo che “sul piano del diritto intertemporale va comunque precisato che la fattispecie di danno
da ritardo oggetto di esame, perfezionatosi nel regime giuridico anteriore alle modifiche introdotte con
la citata legge n. 69/2009, era comunque riconosciuta meritevole di tutela anche nell’ordinamento
anteriore sebbene entro i limiti di cui alla pronuncia della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.
7 del 15 settembre 2005. Ivi la risarcibilità del danno da ritardo è stata riconosciuta subordinatamente
all’accertamento della illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa in senso favorevole
all’interessato o, quanto meno, attraverso la sua esplicazione virtuale mediante un giudizio
prognostico, così escludendosi la risarcibilità del danno da ritardo ‘puro’ disancorato dalla
dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell’interesse pretensivo fatto valere”.
Ulteriore giurisprudenza ha rilevato che “non è predicabile alcun danno da ritardo in capo
all’Amministrazione perché, come correttamente ha dedotto la difesa erariale, sulla scorta di
condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. sez. V, n. 1796 del 2011), il c.d.
risarcimento da ritardo presuppone in ogni caso l’accertamento della spettanza, in capo al richiedente,
del c.d. bene della vita per l’ottenimento del quale è avviato il procedimento amministrativo,
circostanza che nella specie non è ricorrente” (in questo senso il Consiglio di Stato, sez. IV, del 15
dicembre 2011 n. 6609); piuttosto esplicito, nell’affermare l’irrilevanza del danno da perdita di tempo, il
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II con la pronuncia del 24 gennaio 2012 n. 762, secondo cui “d’altra parte, il
lamentato danno non potrebbe nemmeno ricollegarsi al discusso istituto del ‘danno da ritardo’. Sotto
tale profilo infatti – e tralasciando gli aspetti attinenti all’inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie
in esame dell’art. 2-bis della l. n. 241/1990, introdotto dalla l. n. 69/2009 – occorre osservare come ad
avviso del Collegio il danno ingiusto da ritardo si traduca nelle conseguenze patrimoniali negative che
si verificano nella sfera giuridica patrimoniale del cittadino leso, titolare dell’interesse al
provvedimento, in conseguenza del ritardo colpevole dell’amministrazione nel provvedere. La
ricorrenza del danno da ritardo risarcibile postula, cioè, il verificarsi di una lesione alla sfera giuridica
del soggetto connessa alla violazione delle regole procedimentali. Il danno da ritardo, dunque,
presuppone pur sempre la lesione di un ‘diverso’ – rispetto al tempo – bene giuridicamente protetto,
ponendosi il fattore temporale quale mero nesso causale tra fatto e lesione. In tale prospettiva,
dunque, se da un lato si confermano le conclusioni negative all’apertura della tutela risarcitoria della
mera ‘perdita di tempo’ in sé considerata – non riconoscendosi nel fattore “tempo” un bene della vita
meritevole di autonoma dignità e tutela (si veda, in proposito, T.A.R. Palermo, sez. I, 20 gennaio
2010, n. 582) – non si disconosce che il tempo possa costituire la causa di ulteriori e differenti danni
rispetto al bene della vita oggetto di accertamento da parte della Amministrazione. Tale impostazione
sembra maggiormente rispondente al dato letterale della novella legislativa di cui alla l. 19 giungo
2009 n. 69, il cui art. 7, comma 1, lett. c) ha introdotto l’art. 2-bis della l. 241/1990 ed ai sensi del
quale si prevede che «Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono
tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
25
colposa del termine di conclusione del procedimento». Il danno risarcibile, infatti, in tale prospettiva,
non risulta essere quello relativo al ‘tempo perso’ quanto, piuttosto, quello che si realizza nella sfera
giuridica del soggetto ‘in conseguenza della inosservanza’ del profilo temporale. Il fattore temporale,
dunque, potrà sicuramente assumere rilevanza laddove rapportato all’esito favorevole del giudizio, ma
assumerà valenza risarcitoria anche con riguardo a tutte quelle ipotesi nelle quali la sfera giuridica del
soggetto appare lesa in connessione al fattore temporale e pur in assenza del provvedimento
amministrativo favorevole o sfavorevole. La prospettiva in esame, del resto, si pone in linea con le
recenti impostazioni della giurisprudenza del Supremo Consesso Amministrativo che tende a
riconoscere la risarcibilità del c.d. ‘danno da ritardo’ indipendentemente dal contenuto – favorevole o
sfavorevole – dell’emanato o emanando provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n.
1271; Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, ‘Il ritardo nella conclusione di un
qualunque procedimento è sempre un costo per il privato e il danno ad esso correlato sussiste anche
se il procedimento non si sia ancora concluso e finanche se l’esito sia stato in ipotesi negativo, atteso
che l’inosservanza del termine massimo di durata del procedimento comporta, quale immediata e
pregiudizievole conseguenza, l’assoluta imprevedibilità dell’azione amministrativa e quindi
l’impossibilità per il privato di rispettare la programmata tempistica dei propri investimenti, con la
conseguenza di una correlata crescita dei costi di internalizzazione delle dilazioni amministrative’). Il
profilo del danno da ritardo, conseguentemente, non può essere risolto, ad avviso del Collegio, in
termini di ammissibilità/inammissibilità dell’azione volta al risarcimento del danno da mero ritardo, ma
deve essere affrontato in termini di voci di danno e di rigorosa prova del danno lamentato in sede di
ricorso”.
In tema anche il T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, che con la pronuncia del 24 marzo 2012 n. 405 ha
ribadito che “la formulazione letterale della norma dell’art. 2-bis l. 241/1990, infatti, non deroga alle
regole generali sull’illecito civile, e impone quindi che dal comportamento illegittimo (il ritardo
dell’amministrazione) sia derivato un evento di danno che nel caso in esame non v’è, perché
comunque le ricorrenti non avrebbero potuto edificare neanche se il Comune avesse emanato il
provvedimento (inevitabilmente negativo, come si è detto) nei termini. È da ricordare, d’altronde, che
dal testo finale dell’art. 2-bis l. 241/1990 è stato espunto l’inciso, comparso durante i lavori preparatori,
che attribuiva il risarcimento del danno ‘indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal
provvedimento richiesto’. Talché non c’è nessun elemento testuale per sostenere che l’illecito ex art.
2-bis l. 241/1990 si sia trasformato in un illecito che punisce il mero patema d’animo da incertezza
nella definizione del procedimento amministrativo (a guisa della disposizione dell’art. 2 l. 89/2001
sull’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, che punisce la
violazione del termine massimo del processo indipendentemente dalla spettanza della pretesa
azionata in giudizio e per il solo fatto del patema d’animo derivante dall’incertezza cui sono soggette
le proprie posizioni giuridiche). La norma dell’art. 2-bis l. 241/1990 deve, quindi, essere interpretata
nel solco della giurisprudenza tradizionale (su tutte Cons. Stato, Ad. Plen., 7/2005) che individua il
danno-evento nell’utilità finale da conseguire con il provvedimento emesso in ritardo”.
In tempi recentissimi, sulla questione – come anticipato sopra - è tornato anche il Consiglio di Stato,
sez. V, con sentenza del 3 maggio 2012 n. 2535 che, nell’escludere la risarcibilità del danno da mero
ritardo, rammenta “come l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (15 settembre 2005 n. 7) abbia
chiarito che il G.A. riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento
dell’Amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita: non è
invece risarcibile il danno da ritardo provvedimentale c.d. ‘mero’, occorrendo appunto verificare se il
bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato sia, o meno, dovuto”. Il consesso
conferma la pronuncia di primo grado che condiziona – in modo omologo – la risarcibilità solo in
www.paweb.it
26
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
presenza di acclarata/dimostrata spettanza del provvedimento positivo ampliativo (autentico ed
autonomo bene della vita). In questo senso il T.A.R. Umbria, Perugia, del 6 marzo 2012 n. 80, per
cui “il danno da ritardo ha natura aquiliana (n.d.a. extracontrattuale riconducibile al paradigma dell’art.
2043 c.c.) e non può essere presunto o ipotetico, ma va rigorosamente provato in tutti suoi elementi
ex art. 2697 c.c. (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2011 n. 2675)”. Riflessione ribadita anche con
successiva pronuncia del 5 aprile 2012 n. 112 che rimarca che “secondo la giurisprudenza
amministrativa d’appello, la risarcibilità del danno ‘da ritardo’ ovvero del danno derivante dalla tardiva
emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, dopo l’annullamento di un precedente atto
illegittimo sfavorevole, deve essere ricondotta all’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi
costitutivi della responsabilità:
spetta perciò al danneggiato, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa
domanda, non potendosi l’ingiustizia e la sussistenza presumersi iuris tantum, in meccanica ed
esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole (Cons. Stato,
sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675)”.
In senso analogo, lo stesso Consiglio di Stato, sezione IV, con sentenza del 13 giugno 2013 n. 3266
ha escluso la risarcibilità del danno da puro ritardo rilevando che “la Sezione evidenzia come la
pretesa delle parti appellanti, ossia il riconoscimento di un danno risarcibile come conseguenza
dell’azione amministrativa illegittima, non sia qualificabile come evento direttamente conseguente alla
declaratoria giurisdizionale dell’illegittimità di un atto amministrativo, ma deve essere fondata su una
pluralità di presupposti, desumibili dalla normativa civilistica in tema di danno extracontrattuale, che
contemplano, accanto all’accertata non conformità a legge del provvedimento lesivo, anche la
sussistenza del danno de quo, la puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed
effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno e l’imputabilità all’amministrazione stessa del fatto.
Non vi è quindi un meccanismo di automatica equivalenza tra l’intervenuto annullamento dell’atto
amministrativo, l’evidenziato comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e la risarcibilità
del danno ingiusto eventualmente patito dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell’atto annullato.
Ed è alla parte istante, secondo la normale ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito dei diritti
soggettivi, che spetta dare contezza dei fatti sui quali si fonda la propria pretesa”.
10. La questione della configurazione giuridica della responsabilità per
danno da ritardo
Secondo il T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sentenza del 21 novembre 2011 n. 548 – con conferma anche
di più recente giurisprudenza - la responsabilità della p.a. nel caso di specie può essere ricondotta
nell’alveo della responsabilità extracontrattuale.
In questo senso, si rileva che “la fattispecie di responsabilità emersa dalla riforma del 2009 ha natura
extracontrattuale, come si evince dalla testuale previsione della necessaria presenza dell’elemento
soggettivo, doloso o colposo, per la configurazione positiva dello stessa. Ne discende che il privato
dovrà provare il danno con riferimento sia al danno emergente sia al lucro cessante, così come dovrà
provare l’imputabilità del danno alla p.a. a titolo di dolo o colpa, non desumibili, secondo la più seguita
giurisprudenza, dal mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa e dunque sulla base
del mero superamento dei termini procedimentali, ma da accertarsi in concreto. Il privato dovrà allora
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
27
dimostrare che il superamento del termine è avvenuto in violazione delle regole proprie dell’azione
amministrativa, e puntualmente dei principi costituzionali d’imparzialità e di buon andamento, delle
norme di legge ordinarie imponenti celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, dei principi generali di
ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza”.
La recente giurisprudenza, come anche già evidenziato nei paragrafi precedenti, sembra aver
definitivamente risolto la problematica relativa alla configurazione giuridica del danno da ritardo. In
particolare, la logica e condivisibile posizione espressa è stata quella di affrancare il danno in
argomento da forme di responsabilità (praticamente) oggettiva. Di per sé, il riscontro tardivo può
essere sintomatico di un danno determinato all’istante ma è necessario che questo abbia connotati
di attualità e di concretezza come nel comune caso in cui il provvedimento che la p.a. viene
chiamata ad adottare è potenzialmente foriero di ampliare le posizioni giuridiche
dell’interessato ovvero di “arricchire” (non necessariamente in senso materiale) le
prospettive/prerogative di azione dell’istante. È evidente che, nel caso di specie, il tempo
realmente assurge ad autentico bene della vita ed appare corretto che la correlata “perdita” possa
essere oggetto di considerazione da parte del giudice amministrativo, ma sulla base di uno schema
vicino alla responsabilità extra contrattuale con danno ingiusto da provarsi a cura dell’interessato. In
questo senso ben chiara appare la recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, del 7 marzo
2013, n. 1406 espressa (con richiesta risarcitoria) in relazione all’eccessiva “durata del procedimento
di rilascio del permesso di costruire e dalla mancata autorizzazione alla installazione dei pannelli
fotovoltaici”. Nel caso di specie il collegio ha evidenziato come già in passato la stessa sezione ha
affermato che “una volta ammessa la risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi, non può
negarsi la risarcibilità del danno subito dall’amministrato in presenza di una lesione direttamente
conseguente dall’atto illegittimo. Il solo ritardo nell’emanazione di un atto è elemento sufficiente per
configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento
amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato, ove tale procedimento sia da
concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario”.
Ciò in quanto “il risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla pubblica amministrazione in
conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento
presuppone che il tempo è un bene della vita per il cittadino e il ritardo nella conclusione di un
qualunque procedimento ha sempre un costo” (si veda Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271
proprio con riferimento al caso di ritardo nel rilascio di un permesso di costruire in variante). Inoltre, a
completamento, nella sentenza si rileva che “la successiva evoluzione giurisprudenziale ha chiarito
che la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva
emanazione di un provvedimento favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da
lesione di interessi legittimi pretensivi, (…), dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito
civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere
ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della
responsabilità. Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea
di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del
provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli
elementi costitutivi della relativa domanda (si veda Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675, ma
si veda anche Cons. Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739). In particolare, occorre verificare la
sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare,
ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del
danneggiante): in sostanza, il mero ‘superamento’ del termine fissato ex lege o per via regolamentare
www.paweb.it
28
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma (non) integra ‘piena prova del
danno’.
Secondo il giudice “la valutazione è di natura relativistica, deve tenere conto della specifica
complessità procedimentale, ma anche – in senso negativo per le ragioni dell’amministrazione
intimata – di eventuali condotte dilatorie: si è detto pertanto che ‘il ritardo della p.a. non può essere
giustificato con esigenze di sentire e risentire gli addetti ai lavori. La mancata organizzazione
dell’ufficio e il ritardo nelle risposte alle legittime esigenze del privato comporta una responsabilità del
Comune che ritarda il rilascio del permesso di costruire in variante con il risarcimento a favore del
privato non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale.’ (Cons. Stato, sez. V,
28 febbraio 2011, n. 1271)”.
Nel caso di specie, a detta del censurante, il procedimento “sotteso alla variante presentata non era
complesso; i termini di definizione del procedimento furono abbondantemente superati;
l’Amministrazione andrebbe censurata anche per il suo indulgere in atteggiamenti dilatori”. Secondo il
giudice i rilievi – rispetto quaestio in causa – sono da respingere considerato “che, tenuto anche dei
tempi tecnici legati all’esame del progetto nonché alle attività istruttorie necessarie per provvedere
sull’istanza (attività anch’esse, per quanto sopra evidenziato, tali da rendere congrui i tempi
impiegati), davvero non si ravvisa nella condotta dell’Amministrazione la sussistenza di manifeste
violazioni di legge colposamente commesse, il che esclude la risarcibilità del danno lamentato (ex
multis: ‘la domanda di risarcimento del danno da ritardo, azionata ex art. 2043 c.c., può essere
accolta dal giudice solo se l’istante dimostra che il provvedimento favorevole avrebbe potuto o dovuto
essergli rilasciato già ab origine e che sussistono tutti i requisiti costitutivi dell’illecito aquiliano, tra i
quali elementi univoci indicativi della sussistenza della colpa in capo alla pubblica
amministrazione.’Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 2008, n. 2564)”.
Lo stesso Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza del 27 marzo 2013, n. 1781 ha ribadito
l’esigenza – nello schema classico della responsabilità extra contrattuale - che venga data prova
compiuta del nesso di causalità nella fattispecie risarcitoria che lega il fatto/comportamento compiuto
al danno procurato. Secondo il collegio “il nesso di causalità, (…), costituisce elemento essenziale
dell’azione risarcitoria, sicché laddove, pur in presenza degli altri elementi dell’azione risarcitoria,
manchi il rapporto di causalità diretta e necessaria tra il comportamento illegittimo e il danno ingiusto,
non può darsi luogo a risarcimento del danno”. Inoltre, costituisce “principio pacifico che il nesso di
causalità tra comportamento illegittimo e il pregiudizio riveniente all’interessato deve essere diretto e
deve essere provato in maniera rigorosa, mentre nella prospettazione della ricorrente il rapporto di
causalità è meramente ipotetico e indiretto, essendo fondato sulla mera presunzione che
l’assegnazione secondo criteri predeterminati avrebbe soddisfatto interamente o in maniera più
soddisfacente la pretesa dell’associazione ad ottenere maggiori spazi, con conseguente riduzione o
azzeramento dei costi per l’uso di campi esterni”.
11. Le differenze tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale
L’orientamento maggioritario, pertanto, riconduce la fattispecie della responsabilità da danno da
ritardo nell’alveo della responsabilità aquiliana o extra contrattuale (al massimo in una species di
questa qual è la responsabilità precontrattuale. Come più volte rilevato, l’inquadramento nella
responsabilità contrattuale o “fuori” contratto (e contatto) ha conseguenze ovviamente differenti.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
29
In primo luogo, nella responsabilità contrattuale insiste una presunzione di responsabilità nel soggetto
che non adempie (determinato dalla violazione del termine che esaurirebbe – sia consentito – l’onere
probatorio a carico del danneggiato); un termine prescrizionale più ampio (10 anni in luogo di 5);
disciplina codicistica per le ipotesi di esonero che non riguarda la responsabilità extra contrattuale.
La configurazione della responsabilità per danno da ritardo nell’alveo dell’articolo 2043 del codice
civile secondo cui “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga
colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, implica per il (potenziale) danneggiato un onere
probatorio più intenso ed in particolare, come visto anche dalla giurisprudenza sopra richiamata: la
dimostrazione della colpa o del dolo della p.a. (non apparendo sufficiente pertanto la sola
dimostrazione del mancato rispetto del termine), il collegamento (nesso causale) tra il comportamento
ed il danno e l’ingiustizia di questo (ovvero l’aver subito un pregiudizio non dovuto ad interessi tutelati
giuridicamente) che deve essere adeguatamente dimostrato e quantificato (in questo senso, tra le
altre, il Consiglio di Stato, sez. V, n. 1271/2011).
12. La questione dell’indennizzo nel caso di ritardo e/o non conclusione
del procedimento amministrativo
Il recente d.l. c.d. del “Fare” (n. 69/2013 convertito con legge n. 98/2013) ha introdotto una particolare
forma di indennizzo diretta a “sanzionare” il mero ritardo con cui viene adottato il provvedimento
espresso – se è dovuto e con le eccezioni del silenzio significato, dei concorsi pubblici e, in ogni
caso per il momento, limitato ai procedimenti a valenza “imprenditoriale”. L’indennizzo è previsto
esclusivamente, ovviamente, per i procedimenti su procedimento ad istanza di parte.
www.paweb.it
30
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
La norma ha valenza sperimentale ed è soggetta ad apposito monitoraggio al fine di valutarne la sua
“sostenibilità” e pertanto la sua stessa permanenza nell’ordinamento giuridico.
Ai sensi dell’articolo 28, comma 1 del decreto legge in parola, “la pubblica amministrazione
procedente o quella responsabile del ritardo e i soggetti di cui all'art. 1, comma 1-ter, della legge 7
agosto 1990, n. 241, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento
amministrativo iniziato ad istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, con
esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, corrispondono
all'interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni
giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento,
comunque complessivamente non superiore a 2.000 euro”.
Il meccanismo si attiva su sollecito del diretto interessato che a pena di decadenza (comma 2) nel
termine “perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Nel
caso di procedimenti in cui intervengono più amministrazioni, l’interessato presenta istanza
all’amministrazione procedente, che la trasmette tempestivamente al titolare del potere sostitutivo
dell’amministrazione responsabile del ritardo”.
Per consentire questa prerogativa, il legislatore al comma 8, dell’articolo in commento, ribadisce che
nella comunicazione di avvio del procedimento cui è tenuto il responsabile del procedimento e/o del
servizio nonché nelle comunicazioni da pubblicarsi ai sensi dell’articolo 35 del decreto trasparenza
33/2013 occorre fare “menzione del diritto all'indennizzo, nonché delle modalità e dei termini per
conseguirlo” e deve essere “altresì indicato il soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo e i termini a
questo assegnati per la conclusione del procedimento”.
La previsione dell’indennizzo – che dovrebbe intendersi come aggiuntivo rispetto agli altri strumenti
apprestati dal legislatore -, viene esplicitata innestando all’articolo 2 – bis della legge 241/90 un nuovo
comma in cui si puntualizza che fatto salvo quanto previsto dal comma 1 (ovvero che le pubbliche
amministrazioni e i soggetti privati che si ingeriscono i funzioni amministrative, sono tenuti anch’essi al
risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del
termine di conclusione del procedimento) e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei
concorsi pubblici, “in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di
parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il
mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un
regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal
caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”.
Sancito il carattere aggiuntivo ed i correlati limiti, il terzo comma dell’articolo individua il soggetto
tenuto ad erogare l’indennizzo.
Il titolare del potere sostitutivo che non emani il provvedimento nel termine (ovvero nel nuovo termine
che è pari alla metà di quello originario) è tenuto ad erogare l’indennizzo.
In difetto, dovrebbe pagare l’indennizzo pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo fino all’emanazione o
fino al massimo di 2.000 euro.
A sommesso avviso, l’introduzione di questa forma peculiare di indennizzo (come annotato
sperimentale) risulta fondamentale ai fini del chiarimento del fondamento stesso del danno da ritardo.
Nel senso che se il legislatore ha esplicitato un forma di indennizzo dovuta per il semplice ritardo
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
31
(quando sia dovuto almeno il provvedimento espresso a prescindere dalla circostanza che possa
essere negativo o positivo) appare logico pensare che la previsione di cui al comma 1 dell’articolo 2 –
bis della legge 241/90 (che prevede la fattispecie del danno da ritardo) dovrebbe essere intesa come
destinata ad operare solo nel caso in cui l’utente ha diritto ad un provvedimento positivo e la p.a.
(almeno) con colpa ne ritarda il rilascio.
La nuova fattispecie, “migliorata” prescindendo da considerazioni sul merito, con gli emendamenti
adottati in fase di conversione non può che configurarsi come provvedimento squisitamente punitivo
e come diretta a sanzionare il danno da mero ritardo.
Per evitare facili abusi e/o strumentalizzazioni già il legislatore ha compiuto delle prevalutazioni
imponendo che i “procedimenti” che vi possono accedere (o meglio il ritardo sui procedimenti)
siano limitati a quelli a valenza imprenditoriale quando – semplificando – effettivamente il ritardo
nell’adozione del provvedimento e/o la stessa mancata adozione determina un danno di avvio di
attività; prevedendolo per le istanze di parte e non d’ufficio, ed escludendo a priori, pertanto, una serie
di procedimenti che in nessun caso potranno dar luogo all’indennizzo se non per altre vie (e,
evidentemente, sotto altre forme risarcitorie).
Nella presentazione del disegno di legge, la nuova fattispecie viene rappresentata come misura
maggiormente efficace, in aggiunta alle altre già previste, ad essere utilizzata come “leva” che
dovrebbe facilitare una tempestiva conclusione dei procedimenti amministrativi.
In particolare, nel documento di accompagnamento della previsione legislativa si legge che in
relazione all’articolo 28 del decreto del “Fare”, “l'articolo, facendo salve le disposizioni che già oggi
consentono la risarcibilità del danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo,
prevede un indennizzo in favore della parte istante quale misura idonea a conseguire un più vasto
rispetto dei termini di conclusione del procedimento da parte della pubblica amministrazione o
dei soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative. Essa si applica ai soli
procedimenti a istanza di parte per i quali è prevista la conclusione mediante l'adozione di un
provvedimento espresso, esclusi i pubblici concorsi già in altri casi considerati secondo regole di
specialità. Sono quindi escluse anche le ipotesi di silenzio qualificato (assenso o rigetto). Allo scadere
del termine di conclusione del procedimento, come già prevede l'articolo 2 della legge n. 241 del
1990, l'interessato, con l'onere di rivolgersi al titolare del potere sostitutivo entro sette giorni (n.d.a. in
sede di emendamento il termine è stato spostato a 20 giorni) dalla scadenza del termine del
procedimento, ha diritto di vedere indennizzato il ritardo nella conclusione del procedimento
amministrativo che lo riguarda nella misura di 30 euro al giorno, con un tetto massimo di 2.000 euro. Il
diritto all'indennizzo decorre dalla data di scadenza del termine del procedimento. Ove il titolare del
potere sostitutivo non emani il provvedimento nel termine dimidiato a lui assegnato o non liquidi
l'indennizzo, l'interessato può proporre tale domanda al tribunale amministrativo regionale con ricorso
avverso il silenzio o con ricorso per decreto ingiuntivo. Allo scopo di evitare speculazioni o sviamenti
nell'utilizzo della norma, si prevede che, in caso di domande inammissibili o manifestamente infondate
sul piano procedimentale o processuale, il giudice adìto condanni l'istante al pagamento di una
somma da due a quattro volte il contributo unificato. La condanna nei confronti della pubblica
amministrazione è comunicata, oltre che al titolare dell'azione disciplinare, al giudice contabile ai fini
del controllo di gestione e al procuratore regionale della Corte dei conti per le valutazioni di
competenza. Considerato il particolare momento di crisi economica, la norma - che costituisce una
significativa leva per il rispetto dei termini procedimentali e che comunque si applica solo ai
procedimenti successivi alla sua entrata in vigore - riguarda in prima applicazione i ritardi sulle istanze
www.paweb.it
32
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
formulate relativamente all'attività d'impresa. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto, il Governo, sentita la Conferenza unificata, stabilirà se la norma
debba continuare a trovare applicazione, essere rimodulata o cessare, nonché l'eventuale termine per
la sua estensione anche ad altri procedimenti, espressamente individuando quelli eventualmente
esclusi”.
E’ bene rilevare che nei vari dossier di supporto al disegno di legge viene ammessa la possibilità
della pubblica amministrazione – che si trovasse, evidentemente, in difficoltà - di ampliare il termine
di durata di certi procedimenti.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
33
Giurisprudenza
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
34
Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo - (Sezione Prima)
Sentenza n. 548 del 21 novembre 2011
FATTO
Con il ricorso in epigrafe individuato i ricorrenti chiedevano dichiararsi l’illegittimità del silenzio serbato
dall’Amministrazione provinciale di L’Aquila in relazione al mancato rilascio tempestivo
dell’attestazione di non contrasto con il Piano territoriale di Coordinamento provinciale nell’ambito del
procedimento di variante volto alla riclassificazione urbanistica dei terreni di proprietà dei ricorrenti; in
relazione al detto silenzio avanzavano altresì richiesta risarcitoria.
Nelle more del giudizio, la Provincia di L’Aquila emanava l’atto in questione; il Collegio rinviava la
causa, in ragione della proposizione dell’istanza risarcitoria, all’odierna udienza pubblica, all’esito
della quale riservava la decisione in camera di consiglio.
DIRITTO
I. I ricorrenti hanno proposto azione intesa al superamento del silenzio serbato dall’Amministrazione
provinciale nell’emanazione dell’attestato di non contrasto con il P.T.C.P., spiegando altresì
contestuale domanda risarcitoria.
I.1) Nelle more del presente giudizio l’Amministrazione provinciale ha emanato il richiesto atto,
impugnato innanzi a questo TAR con separato ricorso dai ricorrenti (R.G. n.140/2011 ) e definito con
sentenza n.499/2011 resa all’odierna udienza recante annullamento del predetto atto.
I.2) Mentre il ricorso avverso il silenzio, al fine di ottenere pronuncia che imponesse
all’Amministrazione di adottare l’atto richiesto, deve, per quanto precede, dichiararsi improcedibile per
effetto della intervenuta rimozione del contestato silenzio, sia pure in forma non satisfattiva per i
ricorrenti, residua la doverosa disamina della connessa domanda risarcitoria.
II. Il presupposto da cui muove l’azione sta nel fatto che il ritardato rilascio dell’attestazione ha, finora,
impedito la definizione del procedimento di variante urbanistica, tuttora fermo all’adozione.
Sicché, ove si consideri che il bene della vita preteso dai ricorrenti è, nel presente procedimento, la
definizione del procedimento di variante tesa alla individuazione di destinazione urbanistica e dunque
di positiva utilizzabilità della proprietà, che è presupposto della sua concreta utilizzazione, non è
dubbio che ogni ritardo nella emanazione di atti necessari nel corso della procedura costituisce danno
in quanto osta alla effettiva disponibilità del bene.
E’ poi ovvio che il bene della vita così come sopra individuato nella specie (pretesa alla ridefinizione
urbanistica delle aree di proprietà), può fin da ora ritenersi sicuramente spettante, come già affermato
da questo TAR con sentenza n.22/2008 e successivi provvedimenti resi nella fase di ottemperanza;
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
35
ciò che ancora non è definito è solo l’esito di tale ridefinizione, e cioè, in concreto, la misura della
edificabilità a riconoscersi, in senso più o meno vantaggioso per i proprietari.
I ricorrenti, allo stato, non hanno ottenuto né il bene della vita/definizione del procedimento né,
ovviamente, la concreta riconformazione della proprietà che costituisce ulteriore e successivo, in
senso logico, bene cui aspirano.
II. 1) Nel caso di specie, nondimeno, è pacifico che i ricorrenti non hanno tuttora conseguito alcun
“bene”, stante l’intervenuto rilascio di un atto reputato lesivo, impugnato con separato ricorso ed
annullato con sentenza n.499/2011, che in quanto necessario ai fini del procedimento, osta alla
definizione dello stesso.
Non si tratta dunque di tutela azionata in via risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui
l’amministrazione ha adottato un provvedimento favorevole, benché emanato appunto con ritardo
rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento - che da ultimo ha trovato
riconoscimento nel senso della piena risarcibilità, sia pure con particolare attenzione riservata alla
valutazione dell’elemento soggettivo della colpa (cfr. Cons. di Stato. Sez.V, 28 febbraio 2011, n.1271)
- , bensì dell’invocazione di una tutela risarcitoria connessa fondamentalmente al ritardo
procedimentale sulla base del disposto testuale dell’art. 2-bis, comma 1, della L. n.241/1990 introdotto
dalla L. n.69/2009, secondo cui le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al
risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del
termine di conclusione del procedimento.
A norma, poi, dell’art. 133, comma 1, lett. a), punto 1) del D.lgs. n.104/2010 tali controversie sono
rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
II.2) Tale norma è stata evidentemente introdotta sul presupposto che anche il tempo è un bene della
vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di qualsiasi procedimento è sempre un costo, dal
momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e
nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa
convenienza economica.
Sotto diverso profilo, la permanente incertezza sull’esito del procedimento che si protrae nel tempo è
fonte di sicuro disturbo sul piano esistenziale, impedendo la eventuale predisposizione di programmi
di vita alternativi ove fosse conseguita la certezza di non poter ottenere il bene della vita preteso.
Secondo tale impostazione, il danno sussisterebbe anche se il procedimento non fosse ancora
concluso (e per effetto del solo ritardo, ove acclarato) e finanche se l’esito fosse (o fosse stato), in
ipotesi, negativo (in termini Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 4 novembre 2010, n.1368).
II.3) Orbene, non c’è dubbio che il danno da ritardo quale componente risarcibile, per equivalente,
della lesione di un interesse legittimo pretensivo è concetto cui sono riconducibili diversi contenuti cha
spaziano dal diritto ad una prestazione (la tempestiva conclusione del procedimento) all’interesse al
bene della vita che l’esecuzione della prestazione soddisfa (il rilascio del provvedimento favorevole).
Sicché nella composita categoria possono indivuduarsi diverse tipologie di fattispecie, fra loro distinte.
La dottrina ha enucleato, esemplificando: a) l’ipotesi in cui il ritardo, produttivo del danno, è derivante
dal fatto che l’amministrazione ha dapprima adottato un provvedimento illegittimo, sfavorevole al
www.paweb.it
36
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
privato (ad es., diniego di costruire), e successivamente ha emanato un altro provvedimento, legittimo
e favorevole, a seguito dell’annullamento, in sede giurisdizionale, del primo atto; b) l’ ipotesi in cui
l’assenza di un provvedimento determina danni gravosi per il soggetto interessato e il privato invoca
tutela risarcitoria per danni generati dal ritardo con cui l’amministrazione ha adottato un
provvedimento a lui favorevole, ma emanato con ritardo rispetto al termine previsto per quello
specifico provvedimento (ad es. permesso di costruire rilasciato con ritardo); c) l’ipotesi, ancora
diversa, in cui il provvedimento amministrativo, legittimo, ma emanato con ritardo, è sfavorevole per il
privato, che lamenta il danno per non aver ottenuto il tempestivo esame della propria istanza e per
non aver appreso entro i termini previsti l’esito negativo del procedimento.
Il caso in esame, per le modalità in cui il procedimento amministrativo e le connesse vicende
giurisdizionali si sono svolte, non può tuttavia costringersi, a rigore e allo stato, in nessuna delle
tipologie sopra esaminate, posto che i ricorrenti lamentano, sì, la causazione di danni discendenti dal
ritardo nell’emanazione di un atto, che, con sentenza resa all’odierna udienza, è stato dichiarato
illegittimo ed annullato, ma che, per certi versi, come meglio sotto si dirà, determina (o ha
determinato) comunque il ritardato riconoscimento di un bene della vita (seppure non
necessariamente nella esatta consistenza sperata), concretato nella possibilità di utilizzazione
economica di suoli di proprietà finora non sfruttati in assenza di riqualificazione urbanistica rispetto
alla quale l’atto in questione si pone come condizione necessaria (atto obbligatorio del procedimento).
In sostanza, è vero che i ricorrenti non hanno (ancora) conseguito il bene della vita cui aspirano, ma
non c’è dubbio che già risulta riconosciuto, anche in via giurisdizionale, il loro diritto/interesse
all’ottenimento di una destinazione urbanistica, per i suoli di proprietà, che ne consenta la loro
utilizzazione economica.
Ne discende, allora, che i ricorrenti devono ritenersi, fin da ora, legittimati a proporre istanza
risarcitoria per i danni come sopra configurati limitatamente al segmento procedimentale esaminato, e
ferma la possibilità di configurare nel prosieguo (oggetto del giudizio n.140/2011 R.G. ed
eventualmente successivo) ulteriori fattispecie variamente riconducibili a quelle sopra individuate, ove
gli ulteriori segmenti procedimentali possano costituire autonoma ragione per avanzare altre istanze
risarcitorie per effetto della nuova configurazione delle nuove eventuali cause produttive di danno
(causa petendi), non sovrapponibili a quella esaminata nella fattispecie in esame.
II.4) Più puntualmente, il danno è, secondo la prospettazione, causato dal mancato rispetto di termini
per la conclusione del procedimento, fattispecie, come detto, sussumibile nel disposto di cui all’art. 2
bis della L. n.241/1990 secondo cui la p.a. e i soggetti ad essa equiparati sono tenuti al risarcimento
del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento.
Posto che il bene protetto dalla norma è, con evidenza e in primis, il rispetto dei tempi certi del
procedimento, al fine di salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell’assetto di
interessi dallo stesso preordinato in relazione ai tempi del procedimento medesimo, la certezza del
diritto, cui è indissolubilmente collegata la puntuale definizione dei procedimenti, è non
necessariamente ancorata all’ampliamento necessario della sfera soggettiva del privato; anche se il
bene della vita cui lo stesso aspira al termine del procedimento ampliativo è solo un’esito eventuale
del procedimento medesimo, il soggetto ha comunque diritto di sapere se la sua pretesa è o meno
fondata in termini certi, o per contestare la determinazione sfavorevole e provare in sede
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
37
giurisdizionale la fondatezza della pretesa originaria in tempi utili ovvero anche solo per aderire alla
determinazione dell’Amministrazione e modificare, conseguentemente il proprio programma di vita.
L’inosservanza del termine ha comportato, dunque, quale immediata e pregiudizievole conseguenza,
l’assoluta imprevedibilità dell’azione amministrativa e quindi l’impossibilità per il soggetto privato di
rispettare la programmata tempistica dei propri investimenti.
Se il tempo è un bene della vita, il ritardo è, necessariamente, un costo.
Non sembra inopportuno a questo punto richiamare la fattispecie, per molti versi e certamente sul
punto analoga, dell’obbligo del rispetto dei tempi del processo, conclamato nel principio apicale di
ragionevole durata, la cui violazione, a prescindere dalla fondatezza della pretesa giudiziariamente
azionata, è causa di responsabilità risarcitoria per lo Stato sul rilievo, comune alla fattispecie
all’esame, che il mancato o ritardato esito del procedimento intrapreso costituisce, di per sé, una
negativa incidenza sul patrimonio (inteso come fascio di relazioni) facenti capo al soggetto di diritti, la
cui inviolabilità, in assenza di cause legali di giustificazioni, va in ogni caso garantita.
Nel caso di specie, il tempo previsto per la conclusione del procedimento costituisce lo spazio di
possibile franchigia per l’Amministrazione per restare indenne rispetto all’obbligo di non violazione,
mentre il suo superamento colpevole (ossia non altrimenti giustificato secondo l’ordinamento) la
espone alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una situazione soggettiva
giuridicamente tutelata.
Il mancato rispetto dei tempi del procedimento in caso di mero ritardo qualifica il danno cagionato
come ingiusto e legittima ad agire per il risarcimento, nel caso di specie qualificato, anche nel
quantum (secondo i principi indicati nell’Adunanza plenaria n.3/2011), dalla tempestiva impugnazione
del silenzio.
II.5) La fattispecie di responsabilità emersa dalla riforma del 2009 ha natura extracontrattuale, come si
evince dalla testuale previsione della necessaria presenza dell’elemento soggettivo, doloso o colposo,
per la configurazione positiva dello stessa.
Ne discende che il privato dovrà provare il danno con riferimento sia al danno emergente sia al lucro
cessante, così come dovrà provare l’imputabilità del danno alla p.a. a titolo di dolo o colpa, non
desumibili, secondo la più seguita giurisprudenza, dal mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione
amministrativa e dunque sulla base del mero superamento dei termini procedimentali, ma da
accertarsi in concreto.
Il privato dovrà allora dimostrare che il superamento del termine è avvenuto in violazione delle regole
proprie dell’azione amministrativa, e puntualmente dei principi costituzionali d’imparzialità e di buon
andamento, delle norme di legge ordinarie imponenti celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, dei
principi generali di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza.
III. Passando alla fattispecie concreta all’esame, giova richiamare sinteticamente in fatto le
circostanze rilevanti.
III.1) I ricorrenti, proprietari nel Comune di L’Aquila di vari suoli già interessati da vincoli espropriativi
secondo il P.R.G. risalente al 1978, e dunque da tempo decaduti, hanno ottenuto, con sentenza TAR
www.paweb.it
38
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
n.22 del 2008 la declaratoria di illegittimità del silenzio dell’Amministrazione comunale e
successivamente, stante il perdurare del silenzio, la nomina di un Commissario ad acta per
provvedere in luogo dell’Amministrazione alla riclassificazione dei suoli medesimi, da ultimo
individuato (peraltro, dopo una rinuncia da parte del nominato Dirigente della Provincia di L’Aquila) nel
prof. Arch. Antonio Alberto Clemente, docente di Urbanistica dell’Università di Pescara, formalmente
insediato in data 11.9.2008; in data 16.1.2009 il Commissario ad acta nominato depositava presso la
Segreteria generale del Comune di L’Aquila la delibera di adozione di variante al P.R.G., ritualmente
pubblicata; in data 25.3.2009, presso gli uffici del Settore territorio del Comune di L’Aquila, si teneva
la Conferenza di servizi di cui al comma 4 dell’art.10 della L.R. 18/1983 “per acquisire i pareri, i nulla
osta e gli altri atti di assenso comunque denominati previsti dalle leggi in vigore per la tutela degli
interessi pubblici curati da altre autorità”, che si concludeva “non avendo nulla da osservare alla
variante urbanistica dei terreni di che trattasi ferma restando la necessità di acquisire i pareri della
regione Abruzzo (direzione Parchi e genio civile) secondo le modalità indicate dagli Enti stessi”, poi
favorevolmente rilasciato (nota prot. 12644 BN 66049 del 15.7.2009); seguivano l’acquisizione del
rapporto preliminare di screening ai fini dell’espletamento della procedura di valutazione ambientale
strategica, cui non venivano mosse osservazioni, il parere favorevole del Servizio Genio Civile della
regione Abruzzo, l’adozione del provvedimento di verifica di cui all’art. 12, comma 4 D.lgs. 152/2006,
con dichiarata esclusione della variante in questione dalla VAS, infine il parere di compatibilità delle
previsioni della variante commissariale con le condizioni geomorfologiche del territorio da parte del
Servizio Genio Civile.
Residuava il rilascio del parere di non contrasto con il P.T.C.P. da parte della Provincia dell’Aquila,
che è stata formalmente investita della questione con nota prot. n.8930 del 12.3.2010
dell’Amministrazione comunale, con cui si trasmettevano tutti gli atti adottati ed esaminati nel corso
della procedura; in data 13.4.2010, la Provincia chiedeva integrazioni documentali (ulteriori elaborati
grafici), segnalava che alle aree era stata assegnata una disciplina urbanistica “non riferibile a
nessuna zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico generale del Comune di L’Aquila, rispetto
al quale la presente variante dovrà essere opportunamente coordinata” e chiedeva se il procedimento
avviato dal MIBAC fosse stato concluso attraverso l’imposizione di effettive e specifiche prescrizioni di
salvaguardia; il Comune replicava con nota n.14655 del 20.4.2010, in cui evidenziava che i richiesti
elaborati grafici “risultano parte integrante e sostanziale del provvedimento di adozione” già inviato;
sottolineava la coerenza della disciplina urbanistica assegnata alle aree con la vigente normativa
attuativa di fonte comunale ed infine affermava che la rideterminazione urbanistica dei terreni non
precludeva l’osservanza dell’eventuale vincolo, da verificare con l’acquisizione di un parere di
competenza sul progetto definitivo; la Provincia convocava per il giorno 3.6.2010 l’amministrazione
comunale alla Conferenza di consultazione di cui all’art. 43 della L.R. n.11/99 per il rilascio
dell’attestazione di non contrasto, senza tuttavia convocare il commissario ad acta; il verbale della
riunione, trasmesso in data 19.7.2010 con nota n.45315, evidenziava appunto la necessaria presenza
del Commissario per le controdeduzioni ai rilievi mossi in sede di Conferenza dall’Amministrazione
provinciale, che ancora insisteva sulla necessaria integrazione degli atti con la tavola di P.R.G.
contenente le destinazioni d’uso; la riunione veniva aggiornata al 22.9.2010 e in tale sede veniva
nuovamente prodotta la documentazione relativa all’espletamento della procedura di verifica di
assoggettabilità della variante a V.A.S., di cui già era stato inoltrato il provvedimento di esclusione, e
si ribadiva l’assenza di ulteriori atti di tutela da parte della locale sovrintendenza B.A.A.S.; il verbale,
nel quale si dava conto delle osservazioni e controdeduzioni delle parti intervenute, veniva trasmesso
in data 9.11.2010 e in data 26.11.2010 il Settore territorio comunale provvedeva ad inoltrare
(nuovamente) le tavole recanti l’individuazione grafica delle nuove destinazione delle aree integrate e
modificate dalla consultazione con la Provincia.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
39
A questo punto, in assenza di ulteriori atti, e dunque a distanza di oltre otto mesi dalla trasmissione
alla Provincia dei documenti relativi al procedimento (nota prot. n.89930 del 12.3.2010), i ricorrenti
notificavano il ricorso avverso il silenzio in data 24.1.2011.
III.2) Superamento del termine.
Il capo relativo alla improcedibilità del presente ricorso in ordine al richiesta pronuncia di condanna
dell’Amministrazione provinciale all’emanazione dell’atto (che è stato nelle more del giudizio emanato;
cfr.sopra sub I.2) non esime il Collegio dal verificare l’illegittimità del silenzio serbato fino
all’emanazione dell’atto stesso stante la proposizione dell’istanza risarcitoria che fonda appunto sulla
natura illecita dell’omessa/ritardata pronuncia.
Va in proposito evidenziato che non può revocarsi in dubbio che la Provincia abbia emanato l’atto in
questione in ritardo, atteso che il preciso disposto di cui all’art. 44, comma 1 quinquies della L.R.
3.3.1999, n.11, come modificato dall’art. 1 della L.R. 17.10.2005, n.31 indica in un anno il termine per
definire il procedimento di riclassificazione urbanistica (da ultimo, Cons. di Stato, sez.IV,
nn.5451/2010 e 7493/2010, ex pluris), nel quale il procedimento di rilascio dell’attestato di non
contrasto da parte della Provincia costituisce evidentemente un sub-procedimento che non può
occupare quasi i 5/6 del tempo complessivamente previsto per la sommatoria di predisposizione ed
adozione di atti di ben più complessa portata.
Come ha condivisibilmente sostenuto la difesa di parte ricorrente, “se il legislatore regionale ha
previsto una tempistica conclusiva di un anno, va da sé che la porzione temporale di tale periodo
adempimentale volta al rilascio del solo parere di non contrasto con il P.T.C.P., non può che essere
residuale” (cfr. ricorso, pag. 17).
Vale la pena aggiungere che i tempi di conclusione del procedimento di approvazione della variante
erano, nel caso di specie, non già quelli legislativamente previsti (e di cui sopra) ma quelli, già
contratti, di cui ai provvedimenti giurisdizionali di nomina del Commissario ad acta e successive
proroghe; ora, se è vero che la Provincia non può ritenersi obbligata al rispetto dei termini, pro parte,
ridotti, non può sottacersi che proprio l’inerenza del procedimento ad un’attività già commissariata per
mancata conclusione del procedimento nei termini di legge imponeva alla Provincia la massima
celerità consentita e comunque la massima attenzione alla tempestiva definizione del procedimento di
competenza.
D’altra parte, la mancata indicazione espressa di un termine di legge diverso per la conclusione del
relativo sub-procedimento impone, in ogni caso, di considerare quale termine obbligatorio (valevole in
via generale in assenza di ulteriore indicazione) quello di trenta giorni dalla richiesta (ex art. 2, comma
2, della legge n.241/1990), salva sospensione per una sola volta e per un periodo non superiore a
trenta giorni finalizzata all’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati, qualità
non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili
presso altre pubbliche amministrazioni.
Nel caso di specie, nei trenta giorni dalla richiesta (12.3.2010), l’Amministrazione provinciale si è
limitata a chiedere integrazioni (13.4.2010), riscontrate in data 20.4.2010; l’istruttoria interna si è
protratta quindi fino al 18.5.2010, data in cui veniva convocata la Conferenza di consultazione per il
3.6.2010, che non portava ad alcuna definizione per l’assenza del Commissario ad acta non
convocato e in cui si chiedevano ancora integrazioni; la riunione veniva, poi, riconvocata per il
22.9.2010 ( già a più di sei mesi dalla richiesta), con l’ulteriore reiterazione di richieste istruttorie,
www.paweb.it
40
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
ottemperate le quali (26.11.2010) non seguiva altro; l’atto veniva poi rilasciato in data 28.1.2011, solo
successivamente alla notifica del ricorso in esame.
La cronologia che precede impone di ritenere del tutto ingiustificato il ritardo oggettivamente
evidenziato; sono del tutto evidenti i “vuoti” procedimentali che costituiscono la ragione principale del
ritardo (dal 12.3.2010 al 13.4.2010; dal 18.5.2010 al 3.6.2010; dal 3.6.2010 al 22.9.2010, infine dal
26.11.2010 al 28.1.2011), per complessivi circa 200 giorni.
III.3) Produzione del danno e nesso causale.
Altrettanto evidente è la rilevanza causale della mancata emanazione dell’atto in questione sul danno
lamentato dai ricorrenti, che attendono da anni la riqualificazione urbanistica dei suoli di proprietà.
Orbene, pacifico essendo, come sopra detto, che i ricorrenti non hanno sinora ottenuto il bene della
vita cui aspirano (la definizione del procedimento di riclassificazione dei suoli di proprietà), ed
essendo per altro verso altrettanto pacifico che i ricorrenti aspirano legittimamente (e fondatamente,
anche sulla base anche di quanto attestato dalla stessa Provincia) ad una qualche utilizzazione
economica della proprietà finora preclusa dalla mancata riclassificazione, è ben possibile imputare,
allo stato, proprio all’Amministrazione provinciale la persistente mancata definizione della complessiva
vicenda amministrativa.
L’atto emanato (oggetto del separato ricorso n.140/2011 R.G. e di cui alla sentenza n. 499/2011),
infatti, pur imponendo prescrizioni di tipo formale e procedimentale (necessità di rimettere la concreta
disciplina a successivi atti attuativi e rilievi sulla scelta dello strumento di variante in concreto
prescelto), oltre che sostanziale (quanto alla prescritta inedificabilità di alcune parti e relativamente
alla diversa zonizzazione individuata), non ha tuttavia affatto né escluso il diritto alla diversa
conformazione dei fondi, nel senso dell’attribuzione agli stessi di una qualche capacità edificatoria, né
affermato la necessità di imporre ulteriori vincoli comportanti la persistente complessiva non
utilizzabilità dei fondi stessi e da alcun atto del procedimento emergono tali eventualità; d’altra parte,
giova aggiungere, ove pure l’avesse imposto, ovvero tale esito dovesse essere in ipotesi dovuto, in
sede di definizione del procedimento, i ricorrenti ben avrebbero potuto ottenere un utile
economicamente valutabile per effetto della necessaria indennizzabilità dei vincoli eventualmente
reiterati.
Il che dimostra, ancora una volta, che è proprio la mancata definizione del procedimento di
riconformazione la causa del danno lamentato dai ricorrenti.
Senonché, l’atto di accertamento di non contrasto emanato conferma che i ricorrenti hanno fondata
aspettativa di riqualificare i suoli in senso maggiormente satisfattivo, ai fini della loro possibile
utilizzazione in proprio (con iniziative economiche conformi, ben vero, alle nuove destinazioni
imposte) ovvero ai fini della maggiore remuneratività degli stessi ove posti sul mercato immobiliare.
Il protrarsi indebito del procedimento (che, giova aggiungere, è tuttora bloccato per effetto della
disposta riedizione del procedimento di pertinenza della Provincia per effetto di quanto statuito dalla
sentenza TAR Abruzzo – L’Aquila, n.499/2011), che comporta la mancata definizione dello stesso
danneggia dunque per ciò stesso i ricorrenti, essendo per quanto sopra detto acclarato che le
potenzialità di sfruttamento dei suoli sono allo stato sacrificate dal ritardo nell’adozione degli atti di
pertinenza dell’Amministrazione provinciale.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
41
In tale prospettiva, solo in un certo senso, come detto, il danno è conseguente al mero ritardo, posto
che non è esclusa una componente di effettivo ritardato conseguimento del bene delle vita allo stato
del procedimento riconosciuto sicuramente spettante almeno per una certa parte.
III.4) Colpa dell’Amministrazione.
Del pari accertata deve ritenersi la colpa dell’Amministrazione, evidente non solo nella sopra
esaminata cronologia degli atti ma anche, senza neppure entrare nel merito delle questioni sollevate
dalla Provincia (e di cui alla sentenza n.499/2011 resa sul ricorso R.G. n.140/2011), dalla ulteriore
circostanza, rilevante nella fattispecie, che l’Amministrazione provinciale e i suoi apparati tecnici erano
perfettamente avvertiti della inerenza della vicenda procedimentale in esame ad un procedimento
giurisdizionale in atto (già declaratorio dell’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione comunale e
perciò comportante la nomina di un Commissario ad acta), il che evidentemente connota il ritardo e la
complessiva gestione della procedura di un grado di maggior gravità della responsabilità soggettiva
dell’Ente provincia.
Giova aggiungere che la natura sostanzialmente vincolata (di accertamento costitutivo) dell’atto
rimesso alla Provincia (il rilascio dell’attestato di non contrasto, ovvero la verifica, non discrezionale,
ma basata sul solo parametro costituito dal vigente P.T.C.P.; cfr. ex pluris Cons. di Stato, Sez.IV.
n.1493/2000 e TAR Abruzzo – L’AQUILA, n.499/2011) avrebbe imposto, ove dalla documentazione
inviata fosse emerso il contrasto ovvero, per converso, non fosse evidente il non contrasto,
l’emanazione di un atto espresso (e non meramente interlocutorio) negativo, che avrebbe se del caso
innescato un sindacato giurisdizionale ovvero, se condiviso, una riedizione procedimentale intesa a
superare l’indicazione contraria.
Il prolungamento procedimentale ha, dunque, solo ritardato l’emanazione dell’atto senza eliminare
peraltro i contrasti (cfr. ricorso n.140/2011 e sentenza n.499/2011).
Non sembra superfluo evidenziare che la Provincia è individuata dalla L.R. n.11/1999, art. 44, comma
1, lett.b), come Autorità attributaria del potere sostituivo in caso di mancata definizione del
procedimento da parte del Comune, nello stesso termine di un anno già imposto al Comune.
Il che rende vieppiù evidente la incongruità dei tempi che l’Amministrazione provinciale si è invece
data per la definizione del procedimento di rilascio dell’attestazione di non contrasto ex art. 10 L.R.
n.18/1983.
III.5) Quantificazione del danno
La natura del danno di cui nella specie si controverte, come sopra qualificata, osta alla esatta
quantificazione matematica dello stesso, inerendo a contenuti in parte patrimoniali e in parte non
patrimoniali, sotto specie di danni esistenziali (sulla sopraevidenziata incidenza sui programmi di vita).
Il che non esclude tuttavia la possibile individuazione di parametri certi per la sua quantificazione
economica che, ad avviso del Collegio, sono costituiti:
a) dal valore economico della pretesa il cui soddisfacimento o mancato soddisfacimento è ritardata,
non potendo revocarsi in dubbio che, quanto maggiore (rectius, di maggior valore economico) è la
pretesa, tanto maggiore è anche il danno da ritardata risposta, a prescindere dalla spettanza o meno
della stessa;
www.paweb.it
42
QUADERNI DI PAWEB - N. 11/2013
b) dal grado di affidamento nella positiva definizione del procedimento, anche in tal caso non
potendosi dubitare della diversa incidenza causale del ritardo su pretese sicuramente fondate ovvero,
per converso, totalmente infondate (sulla base del grado di discrezionalità del potere attribuito);
c) dalla effettiva durata del ritardo imputabile.
In particolare, i parametri sub b) e c) operano, evidentemente, in senso limitativo del risarcimento
spettante in base al parametro sub a).
Il Collegio non può utilizzare i dati risultanti dalle produzioni documentali del 12 settembre 2011,
giacché tardive a termini dell’art. 73 c.p.a., ma, stante il positivo accertamento della produzione di un
danno, può invece, ex art. 34, comma 4 del c.p.a., specificare i criteri di commisurazione del danno
risarcibile in base ai quali la Provincia di L’Aquila dovrà proporre in favore dei creditori ricorrenti il
pagamento di una somma entro un congruo termine.
Nel caso di specie, i ricorrente avrebbero tratto sicuri benefici economici dall’utilizzazione dei beni,
commisurati all’effettivo loro sfruttamento dipendente dalla destinazione finalmente impressa; dal
momento che il ritardo imputabile alla Provincia ed oggetto del presente procedimento è pari a circa
200 giorni (cfr. punto III.2) che precede), può considerarsi che la disponibilità di detti benefici è stata
ritardata appunto di tale spazio temporale.
Orbene, tali benefici possono essere individuati, formulando l’ipotesi che i ricorrenti avrebbero
ottenuto il bene della vita esattamente duecento giorni prima se l’Amministrazione provinciale avesse
provveduto tempestivamente e ipotizzando, inoltre, che non vi siano variazioni in aumento sui valori di
mercato tra la date di mancato rilascio dell’atto provinciale e di effettiva definizione del procedimento,
alternativamente: a) nell’immediata disponibilità di denaro conseguente a dismissione immobiliare
(vendita dei beni) al valore probabile di mercato, risultante dai dati ufficiali in ambito provinciale,
derivante dalla diversa destinazione impressa dalla variante adottata (prudenzialmente ridotto del
30%); b) negli introiti derivanti dallo sfruttamento in proprio dell’area conformemente alla destinazione
impressa dalla variante adottata (prudenzialmente ridotti del 30%) calcolati sulla base delle rendite
normali di suoli consimili come risultanti da dati pubblici ed ufficiali in ambito provinciale.
La operata riduzione prudenziale dipende dalla non certa totale conformità tra la variante adottata e
quella approvata anche in eventuale conseguenza degli esiti della riedizione procedimentale
commessa alla provincia.
La quota parte dei mancati guadagni imputabile alla Provincia è individuabile dunque o negli interessi
legali sulle somma di cui sub a) che precede, per il tempo di 200 giorni, ovvero nel corrispettivo della
rendita di cui sub b) che precede, per 200 giorni.
La somma che la Provincia dovrà offrire ai ricorrenti, secondo le modalità di cui in dispositivo, potrà
dunque essere commisurata come precede sui guadagni sperati, desunti dalla normale utilizzazione
economica dei beni secondo la più probabile destinazione delle aree in questione come risultante
dalla variante adottata, con riduzione equitativa e prudenziale degli stessi (guadagni come sopra
calcolati) del 30%, operata in ragione della non certa totale conferma delle statuizioni di cui in variante
dipendente dalle eventuali diverse determinazioni procedimentali successive.
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMNISTRATIVO
43
IV. Per quanto precede, il ricorso va in parte dichiarato improcedibile e in parte accolto per quanto di
ragione.
V. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore dei ricorrenti come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo - L’AQUILA, definitivamente pronunciando sul
ricorso di cui in epigrafe, così provvede:
dichiara il ricorso in parte improcedibile, quanto alla richiesta declaratoria di illegittimità del silenzio
intesa all’ordine di provvedere;
accoglie la domanda risarcitoria per quanto di ragione e per l’effetto ordina alla Provincia di L’Aquila di
offrire ai ricorrenti, nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione e/o notifica della presente
sentenza, una somma a titolo di risarcimento del danno da ritardo commisurata ai criteri individuati in
motivazione.
Condanna la Provincia di L’Aquila al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in
complessivi euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre alla rifusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2011.
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB N. 11 – Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Elenco dei Quaderni pubblicati
2007
n. 1 - E. D’Aristotile : Il Patto di Stabilità
n. 2 - E. D’Aristotile : Il rendiconto della gestione
n. 3 - E. D’Aristotile: La rimodulazione dei prestiti della CC.DD.
n. 4 - A. Di Filippo: Il personale nella Finanziaria 2007
n. 5 - A. D’Alessandri: La responsabilità amministrativa e contabile nell’ente locale
n. 6 - N. Cinosi: IVA e IRAP negli enti locali. Caratteristiche e dichiarazione
n. 7 - N. Parmentola: Governance e territorio. Le politiche per lo sviluppo locale
n. 8 - M. Collevecchio: Verso la Carta delle Autonomie. Il ddl n. 1464 all’esame del Senato
n. 9 - D. Angiolelli: Analisi dei costi. Un caso pratico
2008
n. 1 - Maria Concetta Rosati: Avvalimento nei contratti pubblici. Alcune considerazioni
n. 2 - Agostino Bultrini: Privacy ed Enti Locali: l'uso degli strumenti informatici a prova di
riservatezza
n. 3 - M. Russo & G. Di Pangrazio: Trasparenza ed etica nella p.a.: due esempi. Il Difensore Civico
nella Regione Abruzzo - Il Codice di Autodisciplina degli Enti Locali
n. 4 - Argentino D’Auro: Riscossione coattiva: tributi ed altre entrate degli Enti Locali
n. 5 – Paolo Braccini: Balanced Scorecard negli Enti Locali
n. 6 – Giuseppe Leopizzi: Profili amministrativi di responsabilità nell’ente locale
n. 7 – Stefano Barera: Il condono erariale alla luce della giurisprudenza costituzionale
n. 8 – Matteo Barbero: Federalismo fiscale: stato dell’arte e prospettive future
n. 9 – Argentino D’Auro: La partecipazione dei comuni all’accertamento fiscale
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB N. 11 – Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
n. 10 – E.D’Aristotile & M.Marafini: Il Patto di stabilità 2009 dopo la Legge 6 agosto 2008, n. 133
n. 11 – Marcello Collevecchio: Il promotore finanziario nel Codice dei contratti pubblici
2009
n. 1 - Roberto Mastrofini: Dismissioni e valorizzazioni di patrimonio immobiliare pubblico nell’art. 58
della legge 6 agosto 2008
n. 2 – Marcello Faviere: La sicurezza negli appalti di forniture e servizi: il DUVRI e non solo.
Considerazioni sulla gestione delle procedure di gara e dei contratti
n. 3 – Achille D’Alessandri: Il controllo collaborativo della Corte dei Conti
n. 4 – Carlo Amoroso: Affidamenti in house providing e alle società a capitale misto pubblico – privato
n. 5 – Vincenzo Angeloni: La certificazione ambientale degli enti locali. UNI EN ISO 14001, EMAS
n. 6 – Matteo Barbero : Verso il federalismo fiscale. Una prima analisi della Legge Calderoli
n. 7 – Arturo Bianco: Gli errori della Contrattazione Decentrata
n. 8 – Stefano Barera: Manuale dei congedi parentali per i dipendenti degli Enti Locali
n. 9 – Roberta Guastaveglia & Michela Niccacci: Fondo del salario accessorio per il personale del
Comparto Regioni – Enti Locali
n. 10 – Giuseppe Salvatore Alemanno: Dall’Ordinamento al Codice delle Autonomie Locali
2010
n. 1 – Giunio Faustini: Il Governo dei Servizi pubblici tra la Legge Giolitti e il Decreto Brunetta: oltre
cento anni di riforme incompiute
n. 2 – Marcello Faviere & Giuseppe Tomasino: Le società pubbliche ed il procedimento
amministrativo: nuove prospettive per un controverso rapporto dopo l’ultima riforma della
Legge n. 241/1990
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB N. 11 – Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
n. 3 – Patrizio Belli & Nicola Cinosi: Appunti di approccio alla “governance territoriale”
n. 4 – Argentino D’Auro: Fiscalità territoriale e decentramento catastale
n. 5-speciale – E. D’Aristotile & M. Marafini: Il Patto di Stabilità 2010
n. 6 – Mario Collevecchio: Il Direttore Generale dei Comuni e delle Province
n. 7 – Gianfranco Buttarelli: Il partenariato pubblico – privato nella governance dell’ente locale
n. 8 – Fabio Amatucci: Il leasing immobiliare per la realizzazione di investimenti pubblici
n. 9 – E.D’Aristotile & G.Profenna: La rimodulazione dei prestiti 2010 della Cassa Depositi e Prestiti
n.10 – Anna Maria Coppola: Il controllo di regolarità amministrativa negli enti locali
2011
n. 1- Matteo Barbero: La territorializzazione del Patto di Stabilità interno
n. 2 – Stefano Barera: Le relazioni sindacali negli enti locali dopo il D.Lgs. n. 150/2009
n. 3 – Stefano Usai: Le acquisizioni in economia di beni e servizi nel regolamento attuativo del Codice
degli appalti
n. 4 – Matteo Barbero: Il nuovo Federalismo municipale: un’analisi a prima lettura
n. 5 – Giuseppe Leopizzi: I cittadini comunitari ed extracomunitari a confronto: profili giuridici e
conseguenze alla luce delle disposizioni della Legge n. 94/2009
n. 6 – Argentino D’Auro: Gli strumenti di attuazione del Federalismo fiscale municipale
n. 7 – Giuseppe Salvatore Alemanno: Il sistema delle camere di commercio nello sviluppo locale
n. 8 – Marco Morgione: I delitti di concussione e corruzione nella giurisprudenza della Suprema Corte
di Cassazione
n. 9 – Marco Giuri & Michele Morriello: Responsabilità e sicurezza nelle società partecipate
n. 10 – Patrizia Cartone: I procedimenti di autorizzazione degli impianti di energia rinnovabile
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB N. 11 – Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
2012
n. 1 - Giuseppe Salvatore Alemanno: Lo Statuto delle imprese & the Small Business Act
n. 2 – Stefano Usai: Percorsi giurisprudenziali in tema di appalti pubblici
N. 3 – Ebron D’Aristotile: Il Patto di stabilità 2012 dei Comuni e delle Province
N. 4 – M. Cristina Colombo: La responsabilità ambientale: inquadramento normativo e casi
problematici
N. 5 - E.D’Aristotile & G.Profenna: L’operazione straordinaria di trasformazione dei prestiti Cassa
DD.PP. 2012
N. 6 – Nicola Parmentola: Cultura e sviluppo locale
N. 7 – Manuela Galassi: La trasparenza nella disciplina dei contratti pubblici
N. 8 - Manuela Galassi: L’accesso nella disciplina dei contratti pubblici
N. 9 – G. Buttarelli & I. Buttarelli: La fattibilità nella pianificazione, programmazione e esecuzione delle
opere
N. 10 – Marco Morgione: La tutela legale per amministratori e dipendenti degli enti locali
N. 11 – Stefano Barera: Il procedimento disciplinare negli enti locali
N. 12 – N. Cinosi & M. Stopponi: Cenni sull’IVA degli Enti locali ante D.L. n. 83/2012
2013
N. 1 - Giuseppe Salvatore Alemanno: Nuove tipologie di controllo negli enti locali. Le novità dopo le
leggi sui controlli
N. 2 – Argentino D’Auro: La partecipazione dei Comuni con le Agenzie fiscali all’accertamento dei
tributi erariali
N. 3 – Matteo Barbero: Il Fondo “anti-default” e gli interventi a favore degli enti dissestati
N. 4 – Nicola Parmentola: Governance delle infrastrutture a livello locale
N. 5 – Mattia Casati: Il subappalto quale strumento di partecipazione e di esecuzione dei lavori
pubblici: tra limitazioni e libertà d’impresa
www.paweb.it
QUADERNI DI PAWEB N. 11 – Novembre 2013
IL DANNO DA RITARDO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
N. 6 – Giuseppe Leopizzi: La valutazione delle performance dei dirigenti nella programmazione e
controllo dell’ente locale
N. 7 – Alessandra Leonardi: La tassatività delle cause di esclusione da una pubblica gara:
applicazioni operative in un piccolo comune
N. 8 – Ebron D’Aristotile: I debiti degli enti locali. Ricognizione, certificazione, interessi e costi per
ritardati pagamenti
N. 9 – Maria Cristina Colombo: Il servizio di pubblica illuminazione: inquadramento normativo e
procedure di affidamento
N. 10 – Antonio Meola: Controlli di regolarità amministrativa e direttive, strumenti per la legalità e
l’efficienza degli EE. LL.
www.paweb.it