Trattati di Pace - GrandeGuerraProject

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Progetto 1^ Guerra Mondiale
I trattati di pace
Premessa
Il 26 aprile del 1915, dopo contatti segretissimi con l’Intesa, Antonio Salandra e Sidney Sonnino,
rispettivamente Primo Ministro e ministro degli Esteri del Governo italiano, con il solo avallo del Re Vittorio
Emanuele III, avevano firmato il cosiddetto Patto di Londra con Francia, Inghilterra e Russia. In virtù di tale
patto, l’Italia si preparava ad entrare in guerra a fianco di tali Paesi, con l’obbiettivo, in caso di vittoria, di
ottenere i seguenti nuovi territori su cui espandere la propria sovranità: il Trentino e il Sud Tirolo fino al
confine “naturale” del Brennero, la Venezia-Giulia, l’intera penisola istriana - con l’esclusione della città di
Fiume - e una parte della Dalmazia con numerose isole adriatiche.
Nel gennaio del 1918, d’altra parte, Woodrow Wilson, Presidente degli Stati Uniti (entrati in guerra a fianco
dei Paesi dell’Intesa il 6 aprile del 1917) aveva stilato in quattordici punti un programma di pace teso a
realizzare, quando il conflitto fosse finito, le linee ispiratrici della sua politica estera.
Tra le tante proposte ed indicazioni contenute in tale programma, una in particolare va sottolineata per
l’importanza che rivestì nei nuovi assetti territoriali europei: la possibilità di “sviluppo autonomo” per i
popoli soggetti all’Impero austro-ungarico e a quello turco, con la previsione della rettifica dei confini
italiani secondo le linee indicate dalle nazionalità. Secondo il programma indicato da Wilson nei suoi
“quattordici punti”, quindi, le nuove frontiere avrebbero dovuto tenere conto del principio di nazionalità e
della volontà liberamente espressa dalle popolazioni interessate. A tal fine egli suggeriva l’istituzione di un
organismo internazionale, la Società delle Nazioni, per assicurare il mutuo rispetto delle norme di
convivenza tra i popoli.
L’applicazione del principio di nazionalità, in sede di trattati di pace, tuttavia, si rivelerà assai problematica
sia a causa dell’intreccio di nazionalità presente nei singoli territori contesi, sia a causa della necessità di
punire gli sconfitti - giudicati dai Paesi dell’Intesa i veri responsabili della guerra - garantendo ai vincitori
dei confini sicuri e l’auspicato premio per l’esito finale del conflitto.
I TRATTATI DI PACE
1. Il Trattato di Versailles
“Questa non è una pace, è un armistizio per vent’anni” Così si pronunciò nel 1920 - con frase profetica Ferdinand Foch, ufficiale francese al comando degli alleati nella prima guerra mondiale, commentando gli
esiti assai controversi del trattato.
Il trattato di Versailles, anche detto patto di Versailles, è uno dei trattati di pace che pose ufficialmente fine
alla prima guerra mondiale. I lavori della Conferenza di pace di Parigi si aprirono il 18 Gennaio del 1919
nella reggia di Versailles e si protrassero per oltre un anno e mezzo. Erano presenti i delegati di trentadue tra
nazioni e gruppi nazionali che chiedevano l'indipendenza dei loro paesi, ma i veri protagonisti dei negoziati
per la stesura dei trattati di pace furono i rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti. Le
potenze sconfitte non vennero ammesse ai lavori. Il 28 giugno 1919, nella Galleria degli Specchi del Palazzo
fu firmata la pace da 44 Stati. Il Patto è suddiviso in 16 parti e composto da 440 articoli.
Da sinistra, il primo ministro del Regno Unito Lloyd
George, il presidente del Consiglio italiano Orlando, il
presidente del Consiglio francese Clemenceau e il
presidente degli Stati Uniti d'America Wilson.
Figure centrali del Trattato furono i cosiddetti "quattro
grandi": il primo ministro britannico David Lloyd
George, il presidente del consiglio francese Georges
Clemenceau, il presidente statunitense Woodow Wilson
e il Presidente del consiglio italiano Vittorio Emanuele
Orlando (quest’ultimo, in verità, con un ruolo marginale). Al trattato di Versailles fu difficile stabilire una
linea comune; il risultato venne definito un compromesso che non piacque a nessuno.
Le difficoltà a trovare un accordo soddisfacente tra i principali attori del trattato risiedeva nella necessità di
ridisegnare la carta politica dell’Europa, sconvolta dalla dissoluzione di ben quattro grandi imperi – tedesco,
austro-ungarico, russo e turco. Bisognava ricostruire un equilibrio europeo, ma era altresì necessario tenere
conto di quei principi di democrazia e di giustizia internazionale cui i governi dell’Intesa si erano richiamati
esplicitamente nell’ultima fase della guerra (cfr. i 14 punti di W. Wilson). A complicare ulteriormente le
possibilità di accordo, si aggiungevano le pressioni che ai governanti dei Paesi vincitori provenivano
dall’opinione pubblica infiammata dal nazionalismo divenuto fenomeno di massa.
Il contrasto tra l’ideale di una pace democratica e l’obiettivo di una pace punitiva risultò evidente soprattutto
quando furono discusse le condizioni da imporre alla Germania. Il trattato di pace costituì per questo Paese
un vero e proprio diktat, come fu definito con espressione tedesca; oltre alla restituzione dell’Alsazia e della
Lorena alla Francia, la Germania perdeva - a favore della ricostituita Polonia - alcune regioni orientali abitate
solo in parte da popolazioni di lingua tedesca: l’Alta Slesia, la Posnania, più una striscia della Pomerania che
permetteva alla Polonia un accesso al mar Baltico, interrompendo la continuità territoriale tedesca tra la
Prussia occidentale e la Prussia orientale. La città di Danzica, con il delta della Vistola sul mar Baltico,
diveniva “città libera” pur essendo abitata in prevalenza da tedeschi. Ancora, lo Schleswig settentrionale
veniva ceduto alla Danimarca e la Germania perdeva tutte le sue colonie a favore della Francia, della Gran
Bretagna e del Giappone.
Le clausole più pesanti, addirittura umilianti per i tedeschi, non furono, tuttavia, quelle territoriali, ma quelle
economiche e militari: la Germania dovette impegnarsi a rifondere ai vincitori, a titolo di riparazione, i
danni subiti in conseguenza del conflitto. Tale cifra fu stabilita in via definitiva da una commissione all’uopo
costituita che nel 1921 determinò, nell’astronomico ammontare di 132 miliardi di marchi, la somma
dovuta; dovette, inoltre, abolire il servizio di leva, rinunciare alla marina di guerra, ridurre la consistenza del
proprio esercito entro il limite di 100.000 uomini e lasciare “smilitarizzata” l’intera valle del Reno.
Le suddette condizioni erano tali da ferire l’orgoglio nazionale tedesco, oltre che i suoi interessi economici.
Molti storici, ma anche il grande economista J.M. Keynes, che partecipò alla conferenza di pace come
esperto economico per il governo inglese, hanno giudicato un errore politico ed economico tali sanzioni
previste dal trattato e hanno individuato in esse una delle cause della nascita del movimento nazionalsocialista di Hitler e della fine della democratica Repubblica di Weimar sorta dalle ceneri dell’Impero
tedesco.
2. Il trattato di Saint-Germaine-en-Laye
Un altro problema che le potenze
vincitrici dovettero affrontare fu quello
rappresentato dalla dissoluzione
dell’Impero austro-ungarico e dal
riconoscimento delle realtà nazionali
che da esso emersero.
1914
Fu il trattato di Saint-Germain-en-Laye
del settembre 1919 a stabilire che
l'Impero austro-ungarico, venisse
sostituito a novembre dalla Repubblica
dell'Austria tedesca, lo stesso mese in
cui la Repubblica di Weimar prendeva
ufficialmente il posto dell'Impero
tedesco. L'Austria perse gran parte dei
suoi territori e rimase circoscritta al
solo territorio abitato da popolazioni di
lingua tedesca, che nel complesso
occupavano circa un quarto del vecchio
impero. Il Trentino-Alto Adige andò
all'Italia (così come Gorizia, Trieste,
l'Istria, alcune isole della Dalmazia e Zara con il successivo Trattato di Rapallo); la Boemia, la Moravia e la
Slovacchia vennero fuse a formare la Cecoslovacchia, la Bucovina passò alla Romania, parte della Carinzia
fu divisa fra l'Austria e il nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni attraverso un plebiscito, e anche il
Burgenland fu spartito con l'Ungheria,divenuta indipendente, sempre in seguito ad un plebiscito. L'esercito
venne ridotto a 30.000 soldati ed un articolo del trattato, rafforzato da un altro articolo del trattato di
Versailles che esplicitava la stessa cosa, vietava l'annessione alla Germania (Anschluss).
3. Il trattato di Neuilly e il trattato di
Trianon
Il trattato di Neuilly (27 novembre del
1919) e il trattato di Trianon (4 giugno
1920) riguardarono la spartizione di
territori bulgari ed ungheresi (Stati che
avevano combattuto a fianco degli
Imperi centrali) a vantaggio del
neonato Regno dei Serbi, Croati e
Sloveni, della Romania e del Regno di
Grecia.
4. Il trattato di Sèvres
Uno dei trattati più complessi e severi
fu quello di Sèvres firmato il 10
agosto 1920. Con esso l'Impero
ottomano perdeva tutti i territori
esterni all'Anatolia settentrionale e
alla zona di Istanbul: Siria, Palestina, Transgiordania e Iraq vennero affidati a Francia e Gran Bretagna che
ne fecero dei "mandati"; Smirne passava per cinque anni sotto l'amministrazione provvisoria della Grecia (in
attesa di un plebiscito). La Grecia acquistò anche la Tracia e quasi tutte le Isole egee; l'Armenia diventò
indipendente e il Kurdistan ottenne un'ampia autonomia; i Dardanelli rimanevano sotto l'autorità nominale
del sultano Mehmet VI, ma la navigazione venne posta sotto il controllo di una commissione internazionale
che garantiva la libertà di navigazione.
5. Il trattato di Rapallo
Breve ricostruzione degli avvenimenti che portarono al Trattato di Rapallo.
Non solo gli sconfitti rimasero delusi dalle conclusioni della Conferenza: anche alcuni dei paesi vincitori
videro negarsi possedimenti territoriali e respingere alcune clausole dei patti sottoscritti con gli Alleati al
momento di entrare in guerra al loro fianco. Tra questi Paesi ci fu l'Italia, i cui rappresentanti entrarono in
forte contrasto con Wilson e le altre potenze Alleate che non gli consentirono di applicare in toto quanto il
patto di Londra prevedeva.
Come già evidenziato, allo scoppio della Prima guerra mondiale, il Ministro degli Esteri italiano Sidney
Sonnino aveva negoziato il Patto di Londra, ritenendo che la guerra sarebbe stata breve e l'impero asburgico
sarebbe sopravvissuto. Aveva quindi condizionato l'ingresso dell'Italia in guerra a fianco dei Paesi dell’Intesa
non solo al raggiungimento dei confini nazionali, ma anche al conseguimento di territori abitati da altre etnie,
come, ad esempio, l'entroterra di Zara. In tale ottica, il Regno di Serbia così come le altre nazionalità slave
dell'Impero erano viste non come alleati, ma come dei potenziali contendenti.
La sostanziale inapplicabilità del Patto di Londra si manifestò, però, già in piena guerra, allorché, il 20 luglio
1917, sull'isola di Corfù, venne siglata la così detta Dichiarazione di Corfù da parte di politici esuli
dell'Impero austro-ungarico che rappresentavano le etnie slovena, serba e croata ed i rappresentanti del
Regno di Serbia,
sostenuti politicamente da Gran Bretagna e Francia, in base al principio
dell'autodeterminazione dei popoli. L'accordo rese imprescindibile la creazione di un Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni sulle ceneri dell'Impero austro-ungarico
Finita la guerra con la sconfitta degli Imperi centrali, dopo la firma dell'armistizio a Padova, il 3 novembre
1918, le truppe italiane occuparono Rovigno, Zara e Fiume (autoproclamatasi italiana), Pola e Sebenico,
cercando di spingersi addirittura fino a Lubiana, ma venendo fermate nei pressi di Postumia dai serbi.
Alla Conferenza per la pace, i rappresentanti italiani chiesero l'applicazione integrale del Patto di Londra, e,
in aggiunta, l'annessione della città di Fiume. Tali richieste si rivelarono però in controtendenza con i principi
della Conferenza, in particolare con le idee sostenute dal Presidente americano Wilson, che, peraltro, non
aveva sottoscritto il Patto di Londra. Wilson, per assicurare una pace equa tra le nazioni, riteneva necessaria
l’applicazione dei principi da lui stilati nei 14 punti del suo documento del 18 gennaio 1918: all’articolo 9
auspicava la “rettifica delle frontiere italiane secondo linee di demarcazione chiaramente riconoscibili tra le
due nazionalità”; al punto 11, “un libero e sicuro accesso al mare alla Serbia”, e delle “garanzie
internazionali dell'indipendenza politica ed economica e dell'integrità territoriale degli stati balcanici”.
Alla Conferenza per la pace di Parigi, la questione dei territori che sarebbero spettati agli italiani fu dibattuta
a partire dal mese di febbraio, ma il ministro italiano Orlando si ritrovò di fronte l'ostilità degli jugoslavi, che
miravano a ottenere, oltre alla Dalmazia, anche Gorizia, Trieste e l'Istria. Il netto rifiuto degli italiani provocò
disordini a Lubiana, Spalato e Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik) , ai quali Orlando rispose rivendicando con
fermezza Fiume.
Fu proprio sulla questione legata alla città portuale che l'Italia aveva trovato la grande ostilità di Wilson, il
quale, il 19 aprile 1919, avanzò la proposta di creare uno stato libero di Fiume, spiegando che la città istriana
doveva essere un porto utile per tutta l'Europa balcanica e che le rivendicazioni dell'Italia nei territori a est
del Mare Adriatico andavano contro i quattordici punti, tanto da essere additate come "imperialiste". Fece
pubblicare, sui giornali francesi, un suo articolo che ribadiva questi concetti.
Nello stesso giorno, il primo ministro italiano lasciò polemicamente Parigi: al suo rientro in Italia, le piazze
lo accolsero con grande calore, ma nelle più grandi città italiane si verificarono disordini presso le
ambasciate britanniche, francesi e statunitensi.
Orlando fece ritorno a Parigi il 7 maggio 1919, ma al suo arrivo nella capitale francese, il politico italiano
trovò un clima decisamente ostile nei suoi confronti, tanto che si rese conto dell'impossibilità di proseguire
sulla propria linea e rassegnò le dimissioni. Il nuovo governo fu presieduto da Francesco Saverio Nitti,
nuovo ministro degli esteri fu Tommaso Tittoni.
Il 10 settembre 1919, Nitti sottoscrisse il Trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italo-austriaci
(quindi il confine del Brennero), ma non quelli orientali. Le potenze alleate, infatti, avevano autorizzato
l'Italia e il neo-costituito regno dei Serbi, Croati e Sloveni (che nel 1929 avrebbe assunto il nome di
Jugoslavia) a definire congiuntamente i propri confini. Immediatamente (12 settembre 1919), una forza
volontaria irregolare di nazionalisti ed ex-combattenti italiani, guidata dal poeta Gabriele d'Annunzio,
occupò militarmente la città di Fiume chiedendo l’annessione all’Italia. Tra il popolo era dunque cresciuta la
delusione per la “vittoria mutilata” e la sfiducia verso le istituzioni era largamente aumentata, soprattutto
dopo la firma del trattato di pace con la sola Austria.
Tra alterne vicende, la questione adriatica di definizione dei confini orientali si protrasse fino al novembre
del 1920. Il nuovo ministro degli esteri italiano Carlo Sforza, uomo esperto di politica estera e personalmente
in contatto con i politici serbi sin dal periodo bellico, per ottenere l’auspicata normalizzazione dei rapporti
italo-yugoslavi, aveva, frattanto, ritirato le truppe italiane d’occupazione in Albania e promesso la rinuncia
italiana all’annessione della città di Fiume. Pur facendo tali concessioni a testimonianza della volontà
italiana di risolvere il problema adriatico e riprendere le trattative, Carlo Sforza precisò agli interlocutori di
considerare essenziale che il confine tra i due Regni fosse fissato sulle Alpi Giulie e fosse coincidente con
quello naturale; considerava, altresì, essenziale l'integrazione in favore dell'Italia di alcune isole adriatiche,
quali Cherso e Lussino, più altre da definire. Fece sapere, infine, di essere disposto ad affrontare qualsiasi
passeggera impopolarità nel suo paese, pur di difendere gli interessi permanenti dell'Italia e della pace tra i
due Regni.
Villa del Trattato (Villa Spinola)
Il negoziato fu fissato a partire dal 7 novembre
successivo, nella Villa Spinola (oggi conosciuta anche
come Villa del trattato), presso Rapallo. Sforza era
accompagnato dal Ministro della guerra Ivanoe
Bonomi; solo a trattative ultimate, per la firma
dell'accordo, fu raggiunto dal Primo ministro Giolitti.
La delegazione yugoslava era composta dal Primo
ministro Vesnic, dal ministro degli esteri Trumbic e dal
Ministro delle finanze Kosta Stojanovic. Sin dalla prima
riunione, apertasi l'8 novembre alle ore 9.30, Sforza
pose sul tavolo le sue condizioni: la fissazione della
frontiera terrestre allo spartiacque alpino da Tarvisio al
Golfo del Quarnaro, compreso il Monte Nevoso; la
costituzione del territorio di Fiume in Stato libero
indipendente, collegato all'Italia da una striscia costiera,
l'assegnazione all'Italia della città di Zara e delle isole di
Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa. Dopo ulteriori tentativi da parte dei rappresentanti “Yugoslavi” di
ottenere il riconoscimento delle proprie richieste, superate le ultime riserve da ambo le parti, Ante Trumbic
comunicò a Sforza di accettare le frontiere proposte dal Governo italiano. L'accordo venne sottoscritto il 12
novembre 1920.
In base
trattato
a
d
l
i
Rapallo
356.000 sudditi dell'Impero austro-ungarico di lingua italiana ottennero finalmente la cittadinanza italiana,
mentre circa 15.000 di essi divennero sudditi del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Contemporaneamente
però si ritrovarono entro i confini del Regno d'Italia anche 490.000 Croati e Sloveni.
Il Trattato di Rapallo rappresentò la conclusione del processo risorgimentale di unificazione italiana, con il
raggiungimento completo del confine alpino e l'annessione di Gorizia e Trieste. La rinuncia italiana ai
territori dalmati, etnicamente slavi, non compromise il controllo italiano sul Mare Adriatico, garantito dal
possesso di Pola e di Zara, delle isole di Cherso, Lussino, Lagosta, Pelagosa e dell'isola di Saseno. Infine, la
città di Fiume, costituita in Stato indipendente, acquisiva uno status internazionale simile a un Principato di
Monaco italofono sul Mare Adriatico.
Il ministro Sforza, ancora agli esordi della carriera politica, nonostante i tentativi, ebbe difficoltà a spiegare
nelle piazze la bontà del Trattato, e a confutare il concetto della “vittoria mutilata” introdotto da D'Annunzio.
Lo stessa maggioranza parlamentare accettò il Trattato di Rapallo come una dura necessità, e non secondo
l’interpretazione di Sforza, come presupposto per una politica italiana di pace e di sviluppo oltre Adriatico.
Domande di verifica della comprensione del testo
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
Tra chi fu concluso e quale fu il contenuto del Patto di Londra?
Quali erano le indicazioni principali dei 14 punti del programma W.Wilson?
Perché si rivelò estremamente difficile realizzare gli obiettivi del programma di pace di Wilson?
Quando prese avvio e quanto durò la Conferenza di Pace di Parigi? Chi erano i cosiddetti “quattro
grandi”?
Quali furono i trattati che decisero le condizioni della pace in Europa e nel mondo?
I Paesi sconfitti poterono partecipare alla Conferenza di pace? Perché?
Quali furono le misure adottate nei confronti della Germania, dell’Austria e dell’Impero Ottomano?
Rispettivamente, con quali trattati?
Quali trattati riguardarono l’Italia? Quali conquiste territoriali conseguì e a detrimento di quali
Paesi?
In cosa consistette la “questione adriatica”? Perché in Italia, a riguardo, si parlò di “vittoria
mutilata”?
Perché gli storici hanno affermato che il Trattato di Rapallo fu l’atto conclusivo del Risorgimento
italiano? Chi firmò il Trattato?
Quali altri Paesi oltre l’Italia videro aumentare il proprio territorio in seguito ai trattati di pace?
Sorsero nuovi Stati grazie ai trattati di pace?
Costruisci uno schema riassuntivo sui trattati di pace della prima guerra mondiale, evidenziando
quali Stati furono coinvolti nei singoli patti e quali furono gli esiti degli stessi.
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Domande relative al documento allegato
1. Leggi l’articolo 1 del trattato di Rapallo: che tipo di confini sono quelli descritti così
minuziosamente in tale articolo?
2. Che tipo di confine è, invece, quello descritto dal comma 2 dell’articolo 2 del trattato? Aiutati con la
cartina di pagina 5.
3. Quali isole adriatiche vengono assegnate all’Italia, quali al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni?
4. Con quale modalità, in concreto, verranno delimitati i confini tra il Regno d’Italia ed il Regno dei
Serbi, dei Croati e degli Sloveni? Chi è indicato come arbitro in caso di divergenze?
5. In quale articolo vengono stabiliti i confini dello Stato di Fiume? Per quanto tempo i due Regni si
impegnavano a rispettarli? Fai una breve ricerca per verificare se tale accordo fu rispettato.
6. In che modo i rappresentanti dei Governi firmatari confidano di mantenere buoni rapporti
intellettuali e morali tra i due popoli? In quale articolo è scritto ciò?
7. Come vengono regolati dal trattato i diritti degli italiani che si trovino a vivere nel Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni? In quale articolo si definiscono tali diritti? Nel trattato c’è una norma reciproca per
i Serbi, Croati o Sloveni che si trovino a vivere in territorio italiano dopo l’entrata in vigore del
trattato?
8. In che modo il trattato prevede che vengano raggiunti e mantenuti tra i due Paesi cordiali rapporti
economici e finanziari?
9. In quante copie viene redatto il trattato? Qualora sorgano divergenze interpretative, quale copia farà
fede? Perché?
10. Chi sono i firmatari del Trattato? Che funzioni svolgevano nel loro Paese?
Bibliografia
-
A.Giardina, G.Sabbatucci, V.Vidotto – Storia dal 1900 ad oggi – Editori Laterza
T. Detti, G. Gozzini – Storia contemporanea II. Il novecento – Bruno Mondadori
Sitografia
- http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Rapallo_(1920)
- http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Versailles_(1919)
- http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/trattati-di-pace/
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