Progetto di musica alla scuola dell`infanzia

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Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
“PUER MUSICUS”
PROGETTO DI MUSICA ALLA SCUOLA DELL'INFANAZIA
Scuola di Specializzazione:
Relatore:
Contesto di Project Work:
Tesista Specializzando:
Musicoterapia
Dott.ssa Roberta Frison
Scuola dell'infanzia
Dot.ssa Barbara Venturi
Anno di corso: Primo
Modena: 3 settembre 2011
Anno Accademico: 2010 - 2011
Indice dei contenuti
1 Introduzione..........................................................................3
2 Lo sviluppo musicale del bambino da 0 a 3 anni.................7
2.1 Memorie prenatali e prime esperienze neonatali......7
2.2 La comunicazione vocale: verso il parlato e
verso il canto............................................................8
2.3 Il canto......................................................................11
2.4 Ritmo, strumenti, movimento...................................12
3 Didattica della musica e musicoterapia...........................16
3.1 I modelli di riferimento della musicoterapia.............19
3.2 Modelli di musicoterapia riconosciuti a livello
internazionale..................................................................20
4 Osservare, promuovere, condividere...............................24
5 Ascolto.............................................................................27
6 Materiali e attività............................................................28
6.1 Programmare.............................................................28
6.2 Il setting.................................................................... 33
6.3 Mete da raggiungere................................................. 34
6.4 Scuola dell'infanzia “Balla Cogolli........................... 36
6.5 Struttura dell'incontro................................................ 36
7 Conclusioni...................................................................... 53
Bibliografia......................................................................... 55
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
BARBARA VENTURI – SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A. 2010 - 2011
1. Introduzione
“Dunque senza la musica nessuna disciplina
può essere perfetta, perché senza di essa non esiste nulla.
La musica muove i sentimenti e modula le emozioni.
La musica consola la mente nel sopportare le tribolazioni
e la modulazione della voce conforta la fatica di ogni lavoro
...ogni parola che pronunciamo, ogni pulsazione delle nostre vene
è legata al ritmo musicale ai poteri dell'armonia”.1
Isidoro di Siviglia
vescovo della città
Una bambina di tre anni canta mentre gioca, un'assemblea di fedeli canta in
chiesa.
Il valore antropologico del canto è conosciuto da tutti e dimostrato da un
gran numero di ricerche in diverse culture. Cantare e ascoltare musica, pur
essendo una pratica anche individuale, ha un forte ruolo socializzante e la
famiglia è sicuramente uno dei primi e più significativi luoghi in cui questo
può avvenire. Cantare insieme favorisce il senso di unione attraverso la
fusione delle voci e l'evocazione di uno stesso contenuto.
Ritengo di grande importanza offrire a tutti i bambini un ambiente “curato”
in cui i genitori, o i famigliari e gli educatori, favoriscono con una certa
frequenza specifiche esperienze musicali.
Come afferma François Delalande “la musica è un gioco da bambini”2 ed è
1 Isidoro di Siviglia in “Cosa può fare la musica” 627 ca., d.C.
2 F. Delalande, La musica è un gioco da bambini, Franco Angeli, Milano, 2001.
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proprio con i bambini che ho svolto il PW e più precisamente nella scuola
dell'infanzia Balla Cogolli di Mordano (Bo) dove già lavoro per conto di
una cooperativa sociale come educatrice di un bambino di 4 anni affetto
dalla Sindrome di Down.
Considerando che la scuola dell'infanzia è per antonomasia il regno del
gioco, l'affermazione di Delalande è stato il punto di partenza per elaborare
un laboratorio di musica che coinvolgesse tutti i bambini e che favorisse la
socializzazione di quei bambini stranieri che non avendo ancora acquisito
la padronanza della lingua italiana faticavano a partecipare alle attività
scolastiche con quell'entusiasmo che è proprio dei bambini di quell'età.
Musica come gioco dunque, gioco per esplorare la realtà, per relazionarsi
con gli altri, per immaginare altri mondi, per organizzare la materia
sonora.3 Un gioco che, per utilizzare un termine caro allo studioso francese,
deve “risvegliare” la sensibilità musicale dei bambini, rivolgendosi
all'homo musicus che è in ognuno di noi. Per sensibilità musicale si può
intendere tutto ciò che può precedere le acquisizioni tecniche e teoriche e
che si può riassumere nella “capacità di essere sensibili ai suoni, di
trovarvi un significato e di godere della loro organizzazione.”4
Intendendo la musica come gioco bisogna porvi al centro il principio di
“piacere”, caratteristica imprescindibile dell'attività ludica e motivazione
principale che spinge un individuo a giocare.
Per questo motivo ho cercato modalità e percorsi per fare in modo che il
gioco musicale creasse nei bambini curiosità, stupore e divertimento. In
questo contesto il mio ruolo è stato quello di creare situazioni che
favorissero il gioco sonoro, non ho seguito un percorso standardizzato per
non impoverire, togliendo la vitalità della variazione, i diversi modi di
3
4
Cfr Delalande, “Che cos'è la musica”, in Le condotte musicali, Clueb Bologna, 1993 p. 37-52.
F. Delalande, 2001, p. 24.
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vivere la musica che ciascun bambino esprime e avendo ben chiaro dove
stavo andando ma anche pronta a cambiare strada per seguire gli infiniti
sentieri suggeriti dalla fantasia dei bambini: Nella vita si impara sempre. Si
può anche imparare dai bambini, come ci ricorda “NAMUNA”, il titolo di
una canzone che in Costa d'Avorio le nonne cantano ai bambini.
Per concludere, il mio ruolo come educatore è consistito nel sostenere le
scoperte dei bambini e la loro creatività, aiutandoli ad interiorizzare le
esperienze attraverso un intervento leggero e al tempo stesso profondo, che
non si sovrapponesse alla loro originalità. Per stabilire con i piccoli una
comunicazione e una complicità profonda è necessario abbandonare il
linguaggio delle parole, lasciandosi guidare da loro in uno scambio
continuo di energie e di pensieri veicolati da gesti, sguardi e sorrisi. E'
importante sintonizzarsi con i loro tempi, molto dilatati rispetto a quelli dei
grandi, che troppo spesso tendono ad anticipare la conclusione
dell'esperienza razionalizzandola.
Questo percorso di risveglio della sensibilità musicale per qualcuno potrà
significare una preparazione ad attività future legate alla musica, ma per
altri potrà trovare in se stesso la sua conclusione, in quanto “esperienza
completa”5. Senza tralasciare il fatto che le competenze implicate in uno
sviluppo della musicalità (concentrazione, ascolto attento, padronanza del
gesto e del corpo, immaginazione, invenzione, cooperazione, …)
contribuiranno alla maturazione globale della persona, al di là delle sue
scelte future. Il nucleo non è dunque la musica ma la musicalità e ogni
individuo è anche un individuo musicale e può esserlo a suo modo secondo
le sue motivazioni, a nessuno però deve essere negato questo aspetto del
proprio essere6.
5 F. Delalande, 2001, p. 23.
6 Cfr StefaNI, Musica con coscienza, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 1989.
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La musicalità del bambino si esprime e si sviluppa attraverso il fare. Un
fare che deve toccare tutti gli aspetti dell'esperienza con il suono e la
musica (“Fare qualunque tipo di attività con qualunque tipo di suoni”)7 e
che è già presente nel
bambino come istinto ad esplorare, muoversi,
cantare, ascoltare...
Un laboratorio musicale è l'approccio che può aiutare proprio a trovare
strategie e percorsi per incoraggiare questi comportamenti spontanei,
coinvolgendo tutti i bambini in un momento di gioco musicale, un
momento fatto di gioia e di crescita.
Quando ho progettato questo laboratorio mi sono trovata davanti ad alcuni
vincoli importanti:
2 ore per incontro da suddividere nelle tre sezioni (piccoli, medi e grandi)
sezioni molto numerose (28 bambini per ogni fascia di età)
Questi vincoli hanno fatto si che le attività contenessero al loro interno
diversi livelli di approfondimento, a seconda delle età dei bambini.
I laboratori si sono sempre svolti nel teatro della scuola con una sezione
alla volta a cadenza settimanale da novembre a maggio.
Ogni incontro aveva la durata di circa quarantacinque minuti per i grandi e
i medi e trenta per i piccoli, in cui ho sempre cercato di non soffermarmi
su di un attività per più di 10-15 minuti in modo da mantenere sempre viva
l'attenzione dei bambini e offrire una lezione il più varia possibile.
Ad ogni incontro sono stata affiancata da una collega musicista per riuscire
ad ottimizzare i tempi e a coinvolgere allo stesso modo tutti i bambini e ho
sempre richiesto la presenza e la partecipazione attiva delle insegnanti di
classe che è stata di fondamentale importanza per la riuscita dell'esperienza.
7 Stefani, Tafuri, Spaccazocchi, Educazione musicale di base, La scuola, Brescia, 1979, p. 8.
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2. Lo sviluppo musicale del bambino da 0 a 3 anni
La psicologia della musica iniziò ad occuparsi delle capacità musicali tra la
fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento e si rivolse a bambini in età
scolare, solo successivamente, con l'aiuto di strumenti di analisi più
sofisticati, si rivolse a bambini sempre più piccoli fino a studiare gli effetti
dell'ascolto prenatale sullo sviluppo della musicalità, e le prime reazioni del
neonato.
2.1 Memoria prenatale e prime esperienze neonatali
Già più di mezzo secolo fa l'otorinolaringoiatra Alfred Thomatis dimostrò
con i suoi esperimenti che l'orecchio inizia a funzionare nella vita
prenatale. Oggi numerose ricerche scientifiche hanno convalidato queste
affermazioni8 e sulla base di queste si possono sintetizzare alcuni punti
essenziali:

l'apparato
uditivo
comincia
a
funzionare
intorno
alla
ventiquattresima settimana in alcuni feti e dopo ala trentesima in
tutti;

i feto reagisce ai suoni intrauterini e a quelli dell'ambiente esterno
con variazioni del battito cardiaco, movimenti delle palpebre, del
capo, degli arti e del tronco;

la qualità e la quantità delle reazioni dipende dalle qualità sonore
dello stimolo e dallo stato comportamentale del feto;

Già in epoca fetale è possibile indurre il fenomeno dell'abituazione a
determinati stimoli sonori.
8 G. Porzionato1980; Dumaurier 1982; Shetler 1989; Woodward 1992; Lecanuet 1995.
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In questi ultimi anni sono state numerose anche le ricerche riguardanti il
comportamento neonatale9 e i risultati possono essere così schematizzati:

Il neonato è sensibile agli stimoli sonori e musicali e lo dimostra con
gesti diversi;

manifesta capacità discriminative reagendo in modi diversi al
cambiamento di alcune qualità dello stimolo e manifesta presto delle
preferenze;

alcuni comportamenti del neonato sembrano evidenziare forme di
memoria e apprendimento nei confronti di esperienze uditive
prenatali.
2.2 La comunicazione vocale: verso il parlato e verso il canto
Pur essendo vero che i neonati comunicano con gli occhi, con un aumento
dell'attività motoria e presto anche con le smorfie del viso e il sorriso, la
comunicazione sonora è quella più importante e più varia. Sollecitati dal
comportamento materno, imitano le intonazioni vocali in modo sempre più
attivo.
Bénédicte de Boysson-Bardies10, studiosa della nascita del linguaggio
afferma che un posto speciale è occupato dallo scambio di vocalizzazioni
che avviene intorno ai tre mesi, e solo per un breve periodo, chiamato turntaking dove la madre e il bambino si rispondono l'un l'altra producendo a
turno suoni vocalici. Il bambino comincia quando l'adulto si ferma e ciò
avviene più volte dando l'impressione di una conversazione.
Il motherese, dall'inglese il modo di parlare della madre al neonato,
9 Aucher,1987; Woodward 1992; PapouseK H. 1995; Fassbender 1995; Trehub 2001, 2003.
10 Boysson-Bardies Bénédicte, 1999, How language comes to children,London, The MIT Press,
Cambridge (MA).
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caratterizzato dal registro alto, da un profilo melodico accentuato, da
un'intensità media con sonorità morbide, dalla ripetizione di sillabe e parole
e da un andamento lento, suscita uno speciale interesse nei bambini, con
effetti positivi sulla comunicazione interattiva.
Malloch11
ha
studiato
i
primi
dialoghi
madre-bambino,
o
protoconversazioni dove entrambi cercano di sincronizzarsi su una
pulsazione sottintesa. Malloch ha evidenziato l'alto livello d’intesa
raggiunto da entrambi come segno di una interazione comunicativa che è
co-operativa e co-dipendente.
I neonati mostrano abbastanza presto la capacità di produrre suoni, anche
per imitazione, prima di riuscire a produrre delle vere sillabe, cosa che
avviene verso i sei sette mesi quando si ha la vera e propria lallazione.
Mechtild Papousek12 ha evidenziato alcuni stadi nella produzione vocale
dei bambini: dalla semplice produzione di suoni che avviene nel primo
mese di vita alla produzione di suoni più articolati e modulati dal secondo
mese in poi; nello stadio successivo (dai 4 ai 6 mesi circa) giocano ad
esplorare la propria voce producendo una serie di suoni prima più ripetitivi
poi più variati, che portano, verso il primo anno di età, alle prime parole. In
questo percorso si differenziano presto le tracce della comparsa di due
capacità diverse: quella che porta al linguaggio e al pensiero e quella che
porta al canto.
E' stato dimostrato attraverso vari studi che la capacità dei bambini di
distinguere il linguaggio verbale dal canto e da altri tipi di suoni compare
abbastanza presto, tra il primo e il quarto mese (Eims et al., 1971); si può
quindi ipotizzare che il canto materno (o paterno) abbia ai fini della
11 S. Malloch, 1999/2000, Mothers and infants and communicative musicality, “Musicae Scientiae”,
Special Issue, pp. 29-54.
12 M. Papousek, 1995, Le comportement parental intuitif, source cachée de la stimulation musicale dans
la petite enfance, Naissance et développement du sens musical, Paris, Presses Universitaires de
France, pp. 41-62.
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stimolazione musicale, lo stesso effetto del loro parlato, e che il bisogno di
comunicazione dei bambini sia ugualmente soddisfatto con questo
linguaggio, sempre che mamma e papà siano interessati ad interagire con
loro anche attraverso questo canale.
Uno dei primi studiosi che si è occupato in modo approfondito della
comparsa di manifestazioni “cantate” nei neonati è stato Moog 13 che,
studiando le produzioni vocali che avvengono fin dai primi mesi, ha messo
in rilievo la presenza progressiva di una certa varietà di suoni di altezza
diversa. Tali produzioni, verso i 6-7 mesi, sono simili al canto e compaiono
soprattutto quando l'adulto canta al bambino (musical babbling – lallazioni
musicali). Alcuni studiosi hanno rilevato una maggiore attenzione nei
piccoli se la madre (o il padre) canta invece di parlare come se la relazione
che si riesce a stabilire attraverso il canto sia più intensa rispetto al parlato
(Trehub-Nakata 2001-2002).
Da diversi studi condotti da ricercatori quali Jay Dowling, Davidson e
Edwin Gordon che si sono occupati delle modalità di apprendimento
musicale dei bambini a partire dalla nascita fino ai sei anni è emerso un
quadro molto interessante; nel periodo da 1 a 2 anni le produzioni vocali
possono cominciare a essere simili a piccoli canti, le altezze sono
chiaramente individuabili e hanno una certa regolarità ritmica. Dopo l'età di
un anno, queste produzioni potrebbero progressivamente assumere la forma
di frasi, poi verso i 2 anni di canti di una certa durata: tali canti a volte sono
senza parole e a volte contengono sillabe ripetute che poi con il passare dei
mesi lasciano il posto a vere e proprie parole. Qualche volta nei canti che i
bambini producono è possibile riconoscere qualche frammento di canti a
loro famigliari, altre volte no e sono proprio questi ultimi i canti spontanei.
13 H. Moog, 1976, The musical experience of the pre-school child, London, Schott.
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Davidson14 ha classificato i canti prodotti dai bambini secondo tre categorie
esecutive, canti “parlati”, canti con altezze imprecise, canti con altezze
articolate e ha studiato il modo di procedere dei bambini nell'assimilazione
degli intervalli. Da questi studi è arrivato alla conclusione che prima
vengono assimilati i percorsi melodici per salti (intervallo di terza poi di
quinta o di quarta), e mano a mano che si padroneggia un intervallo si torna
indietro per assimilare il percorso per grado congiunto tra gli estremi
dell'intervallo stesso. Dopo i due anni compaiono canti basati sulla
ripetizione di una stessa frase melodica, poi le frasi aumentano
progressivamente sia in varietà sia in numero sia in consistenza (Dowling
1988; 1994). Moog conclude che già all'età di due anni tutti i bambini che
hanno avuto uno sviluppo normale possono cantare.
2.3 - Il canto
Nei canti imitativi, quelli cioè appresi per imitazione, si è notato che i
bambini riproducono correttamente prima il profilo della melodia, poi gli
intervalli tra le note più importanti della melodia e infine i suoni che stanno
al loro interno, avvicinandosi così gradualmente al modello originale15.
Dopo i tre anni i bambini cominciano a manifestare la capacità di cantare
intonato16. Man mano che i bambini si avvicinano ai 5 anni la stabilità
tonale delle loro canzoni aumenta17, così come l'ampiezza degli intervalli
eseguiti correttamente e la precisione delle singole altezze. 1985).
I canti spontanei sono i canti prodotti dai bambini nei momenti liberi,
individuali o collettivi, Lucchetti nella sua classificazione (1987) chiama
questi canti “originali”, cioè inventati dai bambini.
14 L. Davidson, 1985, Tonal structures of children's early songs, “Music Perception”, University of
California Press, II, 3, pp.361-74.
15 Davidson, 1985.
16 Lucchetti 1987; Bjorkvold 1990; Davidson 1994.
17 Dowling 1994.
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Tutti gli autori sono concordi nell'affermare che nel canto spontaneo vi
sono almeno due tipi di produzioni cantate: quelle socializzanti, che i
bambini inventano in situazioni collettive sono di carattere dialogico e
sono costituiti da frasi melodiche con parole, si sviluppano intorno a pochi
suoni diversi e terminano con inflessioni cadenzali alla fine della frase.
Questi canti hanno una struttura ritmica abbastanza regolare, legata alle
sillabe delle parole. Poi ci sono le produzioni cantate più personali, che i
bambini inventano quando sono da soli o si isolano e cantano per sé stessi.
Questi canti sono molto più vari e si prestano a un'ulteriore classificazione
interna (Lucchetti 1987; Young 2003): monologhi (presentano spesso una
cellula ritmica che si ripete in modo abbastanza regolare) e canti
(caratterizzati da un ritmo libero o comunque flessibile, da un uso libero
degli intervalli e dall'uso di parole fantasiose, anche nonsense). Nel canto
originale il livello di precisione intonativa è minore rispetto a quello
raggiunto nei canti imitativi probabilmente perché l'invenzione è
improvvisata e quindi guidata da un'idea estemporanea. Il canto originale
tende poi a scomparire con l'aumento dell'età.
2.4 Ritmo, strumenti, movimento
I bambini già a partire dai cinque sei mesi di vita scuotono sonagli o
battono su un tamburello. Lo fanno spontaneamente, per conoscere ed
esplorare l'oggetto e ancor di più se qualcuno sta cantando o se stanno
ascoltando musica. Verso un anno di età i bambini sono in grado di battere
le mani e sono numerose le canzoni nel repertorio popolare che invitano a
questo gesto, si tratta dei primi giochi di coordinamento motorio presenti
nell'educazione infantile.
Una pratica molto comune è quella di fare saltellare i bambini sulle
ginocchia, generalmente cantando una canzone, un saltellare con delle
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varianti. Suonare, battere le mani e saltellare sulle ginocchia oltre ad
intrattenere e far divertire i bambini favoriscono il coordinamento motorio,
il coinvolgimento emotivo e la maturazione delle capacità di strutturare il
tempo18. Per l'attivazione di questi comportamenti normalmente si ricorre a
canti e brani musicale che possiedono una struttura ritmico motoria molto
chiara cioè una pulsazione regolare evidente. La presenza di pulsazioni
regolari permette ai bambini di imparare ad organizzare il tempo e di
maturare la capacità di “andare a tempo”, una capacità da collocare nel più
ampio contesto del “senso ritmico” in generale.
Dalle ricerche compiute si evince che i bambini riescono ad organizzare i
suoni in moduli ritmici già a due mesi di vita (Demany-McKenzieVurpillot 1977). Sandra Trehub ha scoperto, insieme ad alcuni suoi
collaboratori, che verso i sette-nove mesi i bambini sono in grado di
percepire dei cambiamenti nella struttura ritmica19. Più precisamente, la
ricerca del 1988 conferma che i bambini sono già capaci, tra i sette e i nove
mesi, di operare dei raggruppamenti e di distinguere sequenze ritmiche
diverse, purché siano costituite da pochi suoni. Arlette Zenatti20 ha notato
che la discriminazione tra due sequenze ritmiche senza melodia è già
discreta a quattro anni e migliora notevolmente a cinque anni e mezzo.
Spostandoci sulla produzione ritmica Moog dice che le prime lallazioni
musicali sono ritmicamente amorfe, mentre verso i 18-24 mesi i bambini
cominciano ad usare nei primi frammenti di canti spontanei due durate:
quella più lunga è meno frequente, tendenzialmente il doppio dell'altra.
Dopo i tre anni aumenta il numero dei bambini capaci di riprodurre
18 M. Imberty, 2002, La musica e il bambino, in Nattiez j. - J- (a cura di), Enciclopedia della musica,
Vol. II (Il sapere musicale),Torino, Einaudi, pp. 477-95.
19 S. E. Trehub – D. Bull – L. A. Thorpe, 1984, Infants' perception of melodies: the role of melodic
contour, “Child Development”, LV, 3, pp. 821-30.
20 A. Zenatti, 1981,Capacités rythmiques, in L'enfant et son environnement musical, Issy- lesMopulineaux, EAP Edition, pp. 113-37.
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correttamente un canto nei suoi aspetti ritmico melodico.
Passando al rapporto tra percezione e movimento, Moog (1976) mette in
evidenza il passaggio, verso i sei mesi, da una reazione di calma a una
reazione di movimento all'ascolto della musica. Le risposte motorie
esplicite, ma non ancora sincronizzate, aumentano considerevolmente verso
i 15-18 mesi. Osservando il grado di coordinamento, cioè la sincronia dei
movimenti fatti dai bambini in rapporto alla musica, Moog dice che
pochissimi tra i 3 e i 4 anni (il 10%), erano capaci di sincronizzarsi con la
musica. Questa capacità diventa invece abbastanza buona tra i 4 e i 5 anni.
Sono principalmente tre le modalità di sincronizzazione ritmico-motoria:
accompagnare un brano musicale battendo le mani, suonando uno
strumento a percussione o marciando.
La studiosa argentina Silvia Malbràn21 ha messo in luce la presenza di
quattro componenti che concorrono a determinare la capacità di
sincronizzazione:

la capacità di cogliere la presenza delle pulsazioni e accompagnarle
con il proprio strumento (corrispondenza)

la capacità di non fermarsi (continuità)

la capacità di avvicinarsi il più possibile all'istante preciso di ogni
pulsazione (precisione)

la capacità di mantenere uno stesso livello di sincronia (regolarità)
L'uso degli strumenti è molto importante nello sviluppo delle capacità
ritmiche, ma anche per la funzione che svolgono nella crescita musicale dei
bambini.
21 S. Malbràn, J. Tafuri, 2006, Experiencia musical precoz y sincronia ritmica con el tactus, Euforia,
Grao, 38, pp. 14-38.
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Sono abbastanza numerose le ricerche sulla creatività, se invece si pensa
all'uso di strumenti considerati in sé stessi come oggetto di attenzione ed
esplorazione, le ricerche sono molto meno numerose. Tra gli studi di
notevole rilievo c'è quello di Mario Baroni22, che assegna agli strumenti un
posto fondamentale nell'esperienza dei bambini della scuola dell'infanzia e
primaria per l'esplorazione del suono e la realizzazione di attività
espressive.
Una ricerca dedicata a bambini del nido da 1 a 3 anni, è quella condotta
dallo psicologo francese François Delalande. Tale ricerca prese l'avvio dai
suoi precedenti studi (1993) sul piacere senso-motorio che scaturisce dal
“toccare” uno strumento, un piacere tattile, gestuale e uditivo che
costituisce una delle sue tre condotte musicali, considerate come gli
“universali” in musica. I risultati emersi oltre a confermare il fascino che
gli strumenti esercitano sui bambini, hanno permesso di individuare una
diversità di comportamenti che, secondo l'età, possono essere accolti e
potenziati dalle educatrici e dai genitori.
22 M. Baroni, 1978, Suoni e significati, Firenze, Guaraldi (poi Torino, EDT 1997).
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3. Didattica della musica e musicoterapia
Thérèse Hirsch è stata tra le prime ad aver proposto una distinzione tra
musicoterapia ed educazione musicale basata sui diversi obiettivi delle due
discipline: l'educazione “forma musicisti” e quindi la musica è considerata
come il fine del processo educativo; quando la musica è utilizzata come
mezzo per favorire una miglior qualità della vita di uno o più soggetti, sia
in caso di normalità che in presenza di patologia, allora si può parlare di
musicoterapia.
La musicoterapia utilizza la musica e/o degli elementi musicali (suono,
ritmo ecc.) al fine di migliorare la condizione bio-psico-sociale
dell'individuo.
Il modello bio-psico-sociale è una strategia di approccio alla persona,
sviluppatasi
negli
anni
Ottanta
sulla
base
della
concezione
multidimensionale della salute descritta nel 1947 dal WHO (World Healt
Organisation). Secondo questa teoria la salute deve essere considerata una
condizione di benessere fisico e psicologico, e valutata a partire dal
contesto socio-culturale di appartenenza dell’individuo. In particolare, la
definizione e la classificazione delle disabilità ha subito un articolato
processo di revisione: si è passati dal definirle deviazioni dalla normalità al
considerarle
variazioni
del
funzionamento
umano,
che
originano
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dall’interazione
tra
caratteristiche
intrinseche
dell’individuo
e
caratteristiche dell’ambiente fisico e sociale23.
Il primo modello bio-medico concepiva la disabilità come deviazione dalla
normalità a carico di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o
anatomica, causata da malattia, trauma o altro24. Successivamente, con il
modello socio-politico, la disabilità è stata identificata come un costrutto
sociale, costituito da un insieme di condizioni, attività e relazioni25. In
questa prospettiva le limitazioni che un cittadino disabile incontra
nell’ambito
dell’educazione
e
dell’occupazione
sono
il
risultato
dell’atteggiamento sociale riguardo ai bisogni e alle capacità delle persone
disabili 26. Di conseguenza, lo svantaggio percepito dal disabile deriva da
un fallimento da parte del contesto sociale nel rispondere ai suoi bisogni e
alle sue aspirazioni.
Recentemente, l’ICIDH-2 (International Classification of Impairments,
Disabilities and Handicaps, WHO, 1997), ultima revisione della
classificazione internazionale, si fonda sul modello bio-psico-sociale, che
rispetto ai precedenti coglie la natura dinamica e reciproca delle interazioni
individuo/ambiente superando la prospettiva causa-effetto. Secondo tale
modello, la disabilità è concepita e valutata come una variazione lungo tre
dimensioni definite come deficit (organico o psichico), limitazioni
nell’attività e limitazioni nella partecipazione. Per quanto riguarda la
partecipazione, vengono considerate tutte le aree della vita umana,
23 Ustun, T. B.,Chatterji, S., Bickenbach, J. E., Trotter II, R., Room, R., Rehm, J., Saxena, S.,
2001, Disability and Culture. Gottingen: Hogrefe & Huber Publishers.
24 Boorse, C. (1975). On the distinction between disease and illness. Philosophy and Public
Affairs, 5, 49.
25 Oliver, M. ,1986,. Social policy and disability: some theoretical issues. Disability, Handicap
and Society 1, 5.
26 Gartner and Joe,1987.
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dall’aspetto fisico alla spiritualità e al coinvolgimento politico. In base a
questa nuova classificazione, una persona può avere delle menomazioni
senza aver limitazioni nelle capacità; può avere difficoltà nello svolgimento
delle attività e limitazioni nelle capacità in assenza di menomazioni
evidenti (malattie croniche); può avere problemi nello svolgimento di
attività/partecipazione senza avere menomazioni o limitazioni nelle
capacità (es. AIDS, ex-pazienti psichiatrici); può infine avere limitazioni
nelle capacità in mancanza di assistenza e non avere problemi nello
svolgimento di attività (è il caso, ad esempio, di un individuo con
limitazioni nella mobilità che, per muoversi, si avvale di ausili tecnologici).
Studi mirati hanno inoltre evidenziato la necessità di non trascurare le
caratteristiche della cultura in cui vengono condotti programmi di
riabilitazione27. La rappresentazione sociale del corpo e delle sue patologie
è influenzata da atteggiamenti e attribuzioni radicati nella cultura 28. Infatti,
il significato attribuito ad una specifica patologia varia e influenza il
processo di sviluppo e di integrazione sociale dell’individuo.
Tali presupposti hanno importanti implicazioni a livello d’intervento:
programmi efficaci richiedono un approccio globale e integrato, che rispetti
l’individuo nelle sue dimensioni biologica, psicologica e culturale, e che
consideri non solo la patologia ma anche le problematiche sociali,
economiche, culturali e psicologiche che ne influenzano la sintomatologia e
il decorso. Questo modello s’inserisce perfettamente nell'approccio
sistemico – relazionale che si basa sull'idea che il disagio psichico può
essere colto attraverso l'osservazione di quelle relazioni specifiche e
necessarie per lo sviluppo di ogni individuo come quelle che vengono a
27 Sinha, 1986; Saraswhati, 1992.
28 Kim and Berry, 1993.
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costituirsi all'interno del nucleo famigliare29.
Il musicoterapeuta si pone in questa ottica di lavoro, intendendo l'individuo
come unione di corpo, mente ed emotività e lavorando con esso su di esso
verso un rinnovato e migliorato senso di benessere psico-fisico. La
musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue
dell'individuo in modo che questi possa meglio organizzare l'integrazione
intra e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità
della vita grazie ad un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico.
3.1 - I Modelli di riferimento della musicoterapia
Nonostante le origini remote del rapporto fra musica e benessere olistico,
l'applicazione e il riconoscimento di questo tipo di terapia è molto recente.
Le tre più importanti organizzazioni di musicoterapia furono fondate negli
Stati Uniti d'America verso la seconda metà del 1900. A partire da questo
momento l'interesse per questa disciplina divenne sempre più cospicuo e il
suo studio si diffuse dagli USA a molti altri paesi del mondo compresa
l'Italia.
La musicoterapia ha raggiunto una sua identità di “scienza autonoma” in
tempi molto recenti ma è possibile individuare già a partire dalla fine del
secolo scorso, idee di autori di metodi didattici legate a quella che sarebbe
poi diventata la musicoterapia. Dalcroze (Jacques Dalcroze, musicista,
compositore
e
pedagogo-1865-1950) ideò
un
metodo
alternativo
d’insegnamento basato sulla percezione fisica della musica ed in particolare
dell'aspetto ritmico attraverso il movimento. Molte delle sue idee sono
tutt'ora utilizzate in ambito musicoterapico. Egli perseguì l'unione perfetta
29 R. Frison, S. Cavatorta, D. Vecchi, 2009, Manuale di musicoterapia, teorie e pratiche. Marco del
Bucchia ed.
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tra musica, corpo, mente e sfera emotiva e pose il corpo e il movimento alla
base dei suoi rivoluzionari principi educativi.
Il
musicista
belga
Edgar
Willems
(1891-1978)
si
è
occupato
dell'educazione musicale precoce e dell'utilizzo terapeutico della musica a
favore di bambini, ragazzi e adulti disabili. Il metodo si pone come scopo
l'educare i bambini a discriminare i singoli suoni, affinando così le loro
funzioni sensoriali, affettive ed intellettive.
Zoltàn Kodàly (1882 - 1967), uno dei maggiori compositori ungheresi del
Novecento, rivoluzionò l'istruzione musicale ungherese a tutti i livelli, dalla
scuola dell'infanzia all'università, sviluppando un sistema educativo basato
sulla pratica del canto, soprattutto popolare che contribuì a riscoprire la
musica popolare ungherese e a diffonderla con successo. Le sue proposte
hanno offerto spunti e idee che sono state riprese e sfruttate dalla
musicoterapia.
Carl Orff (1895 – 1982) inventò il famoso metodo Orff-Schulwerk che per
far musica si avvale di parole, danza e semplici strumentini ritmici e
melodici.
Edwin Gordon ideò un metodo rivoluzionario il cui materiale didattico è
costituito da canzoni e canti ritmici senza testi che rispondono a tre criteri
fondamentali:
varietà,
complessità
e
ripetizione.
Il
presupposto
fondamentale di tale teoria sta nell'assunto che la musica può essere
appresa secondo gli stessi meccanismi di apprendimento della lingua
materna e che pertanto il bambino dovrebbe essere avvicinato alla musica
fin dai primi giorni di vita per sviluppare il senso della sintassi musicale.
Delalande applica all'attività musicale lo schema proposto da Piaget a
proposito dello sviluppo del gioco infantile: senso-motorio, simbolico e di
regole. Dal punto di vista delle condotte, il gioco sonoro del bambino e la
pratica
musicale
adulta
trovano
secondo
Delalande
rilevanti
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corrispondenze.
3.2 - Modelli di musicoterapia riconosciuti a livello internzionale30
Esistono vari modelli di musicoterapia diffusi e applicati nel mondo e nel
nostro paese; di questi, 5 sono stati riconosciuti dalla World Federation of
Musictherapy individuati e presentati al IX Congresso Mondiale di
Musicoterapia tenutosi a Washington nel 1999:

Musicoterapia Benenzoniana: creato dal musicista psichiatra
argentino Rolando Benenzon secondo il quale “la musicoterapia è
musica nella terapia nel senso che la musica facilita la relazione e la
comunicazione interpersonale ed è in grado di suscitare interazioni”.
Centro della musicoterapia benenzoniana è il principio ISO che indica
l'identità sonora. Si distinguono l'ISO UNIVERSALE che è l'identità
sonora che caratterizza tutti gli esseri umani indipendentemente dai contesti
sociali, culturali e storici a cui la persona appartiene dall'ISO
GESTALTICO che è patrimonio del singolo individuo che lo distingue da
tutti gli altri e che si va formando a partire dalla storia del proprio embrione
in gestazione. Poi c'è l'ISO CULTURALE che si forma nel neonato durante
la fase di formazione del pre-cosciente in seguito all'esposizione ripetuta e
continua a varie fonti sonore, a vibrazioni, al silenzio, ai suoni e alle
energie dell'ambiente circostante. Le espressioni di ogni persona sono
quindi la condensazione delle energie relative all'ISO UNIVERSALE,
all'ISO
GESTALTICO
e
all'ISO
CULTURALE.
Altro
elemento
fondamentale è l'oggetto intermediario che ha lo scopo di fluidificare i
canali di comunicazione. Il primo oggetto intermediario è il corpo della
30 P.A. Caneva (a cura di), Modelli e metodi di Musicoterapia, Modena, A.A. 2007-2008.
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madre. Successivamente lo strumento musicale si presta ad assumere
questo ruolo.

GIM – Immaginazione guidata e musica : modello sviluppato da
Helen Bonny.
E' un approccio psicoanalitico alla musica dove la musica facilita un
dialogo continuo con l'inconscio. Utilizza la potenzialità evocatrice
della musica come strumento di esplorazione della vita emotiva del
paziente. Attraverso il “viaggio musicale” (ascolto di musica
registrata per 30/50 min.) il paziente ha modo di esplorare diversi
aspetti della sua vita rivivendola in modo simbolico. La musica e il
terapeuta sono co-terapeuti sostenendo, rispecchiando e facilitando
l'esperienza creativa.

Musicoterapia creativa: modello sviluppato da Nordoff-Robbins. E'
il modello di musicoterapia improvvisata più famoso degli ultimi
cinquant'anni.
Durante
l'intervento
musicoterapico
qualsiasi
espressione musicale, sia vocale che strumentale prodotta dal
paziente è inglobata in una cornice musicale e sostenuta, offrendo al
suono del paziente una cornice ed un contesto appropriati,
Essendo l'improvvisazione il veicolo preferenziale di comunicazione
fra terapista e paziente, il musicoterapeuta deve avere una solida
formazione musicale (Bagno sonoro).

Musicoterapia analitica: modello sviluppato da Mary Priestley la
quale nella sua teoria mise insieme musicoterapia e psicanalisi, in
particolare quella di stampo Junghiano. Attraverso la musica il
paziente può scaricare le proprie tensioni e i propri disagi esplorando
nuove possibilità di espressione e comunicazione. In questo modello
le attività musicali sono orientate soprattutto sull'improvvisazione
del paziente e il terapeuta può essere di sostegno, può assumere un
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ruolo più creativo o può ricoprire un ruolo deciso anticipatamente.
Il paziente può desiderare di suonare da solo e di essere ascoltato dal
terapista, oppure può chiedere che il terapista suoni per lui facendosi
“accudire” dalla musica. L'attività musicale poi deve necessariamente
essere seguita da una riflessione verbale.

Madsen: modello BMT – musicoterapia comportamentale. Si
riferisce all'epistemologia comportamentista nordamericana che tiene
conto dell'uso del suono come stimolo che possa intervenire sul
sintomo specifico. Si riferisce al concetto Stimolo – risposta.
L'obiettivo è quello di raggiungere una modificazione del
comportamento attraverso un condizionamento musicale.
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4. Osservare, promuovere, condividere
L'osservazione è uno strumento metodologico indispensabile per consentire
all'adulto di comprendere meglio le implicazioni educative legate alla sua
presenza nel contesto di gioco, liberandola da obiettivi di intervento
immediati e finalizzandola invece all'individuazione delle condizioni più
favorevoli per consentire ad ogni bambino un contatto profondo e originale
con il mondo dei suoni.
Come gli studi sul comportamento esplorativo hanno saputo evidenziare,
esiste infatti un primo livello di manipolazione ed esplorazione mirato a
indagare le proprietà di uno stimolo.
Attraverso l'osservazione l'adulto può distinguere queste due fasi nel
comportamento esplorativo dei bambini e, conseguentemente, capire
quando, se e come intervenire direttamente nell'attività sonora. Se infatti
sembra opportuno limitarsi a osservare durante la fase iniziale
dell'esplorazione, quando ogni bambino pare vivere una
relazione
individuale con l'oggetto, per dargli modo di svilupparla nei modi più
congeniali ai suoi interessi, fino a giungere alla strutturazione di una vera e
propria condotta sonora intenzionale, quando i bambini hanno già definito
schemi e automatismi motori individuali e quindi possono più facilmente
aprirsi allo scambio e al confronto (anche quello suggerito da un semplice
rinforzo o commento verbale) senza rischiare di perdere il proprio punto di
vista, è possibile progettare un intervento di interazione nel quale la
presenza dell'adulto possa entrare nel gioco come presenza significativa
senza interferire con la logica infantile, ma invece favorendo gli obiettivi
cognitivi dei bambini. In questo caso diventa possibile realizzare quella
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pedagogia di “promozione dall'interno”31.
Tre sono le strategie di promozione dall'interno utilizzabili dagli educatori
anche in ambito sonoro: rispecchiamento, modeling e scaffolding.
Nel rispecchiamento l'adulto invece di proporre schemi da imitare, prende a
modello le produzioni sonore spontanee dei bambini, riproducendole
fedelmente. La ripetizione intenzionale delle azioni focalizza l'attenzione
sulle specifiche caratteristiche sonore che i bambini stessi hanno scoperto,
talvolta casualmente, e ne espande senso e significato all'interno di uno
schema di interazione che può trasformare ogni singola produzione sonora
in elemento linguistico. Provando a imitare l'adulto che gioca ad imitarlo,
ogni bambino acquista consapevolezza delle proprie azioni, le seleziona e,
attraverso la ripetizione, le trasforma in componenti significative di un
dialogo condiviso e gratificante.
Il modeling si basa sulla strategia di promozione dall'interno che consiste
nella capacità dell'adulto di mostrare la soluzione al compito che il
bambino vorrebbe realizzare, ma non riesce a compiere da solo. In questo
caso la soluzione fornita dall'adulto mediante l'esempio, oltre ad essere
capace di cogliere le intenzioni del bambino e a individuare in ambito
sonoro gli strumenti necessari per risolvere il problema posto, deve
collocarsi nell'area di sviluppo potenziale del bambino, e quindi essere
sufficientemente vicina alle sue capacità, per poter essere da lui agita in
prima persona.
Più complesso e articolato appare il ruolo dell'adulto nello scaffolding,
strategia di grande efficacia quando si lavora con un gruppo, perché punta
non soltanto a valorizzare, ma anche a far circolare le idee dei singoli,
attraverso riprese ad eco e sottolineature verbali e sonore che creano un
clima positivo di interazione reciproca che, oltre a mantenere l'interesse sul
31 Cfr. A. Bondioli , 1996, Gioco e educazione, Franco Angeli, Milano.
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tema ludico (integrandolo con altri), sostengono il coinvolgimento emotivo
dei bambini.
Soltanto attraverso questo processo di co-costruzione si può realizzare una
condivisione autentica, non più sbilanciata sulla cultura musicale
dell'adulto, ma capace di accogliere e valorizzare anche il rapporto con i
suoni e con la musica che i bambini piccoli esprimono nei loro giochi e
nelle loro modalità di percezione e ascolto.
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5. Ascolto
Il modo in cui leggeremo le produzioni sonore dei bambini sarà infatti
strettamente legato a quella cultura musicale personale che, anche quando
non dichiarata esplicitamente, struttura criteri di ascolto differenti e
preferenze rispetto a forme e generi particolari32.
Proprio per questo motivo, l'adulto deve proporsi come presenza silenziosa
nei contesti di gioco, per dare modo a ogni bambino di esprimere le proprie
modalità di percezione e produzione, evitando di orientarle verso
strutturazioni legate a logiche musicali probabilmente estranee al loro
pensiero.
E' importante ridefinire la presenza dell'adulto nei giochi sonori dei
bambini in termini di reale disponibilità di tempo e di pensiero non
interrotti, che l'adulto deve dedicare al qui e ora.
In questa logica il silenzio appare come atteggiamento mentale di attesa e
di ascolto particolarmente efficace che, oltre a rendere più ecologico
l'ambiente sonoro della comunicazione, costituisce una modalità educativa
efficace e alla portata di tutti, capace di favorire il riconoscimento e lo
scambio interpersonale.
32 F. Mazzoli ( a cura di), 2005, Guarda il mio suono, Bambini ed. Junior.
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6. Materiali e attività
6.1 Programmare
La programmazione degli incontri si è presentata molto impegnativa. Da un
lato dovevo garantire un buon livello musicale e attività significative,
dall'altro dovevo fare qualcosa che fosse stimolante, coinvolgente e anche
divertente.
Dopo aver riflettuto sugli ambiti dell'esperienza musicale da privilegiare ho
messo a punto uno specifico percorso basandomi sui presupposti teorici
della pedagogia attiva e sui principi che la caratterizzano:

la centralità del bambino;

l'attenzione ai suoi bisogni e interessi;

la naturalezza e gradualità del suo sviluppo;

l'individualità di un'educazione pensata “a misura di”;

l'istanza della dimensione sociale;

il valore dell'esperienza concreta.
Da qui l'impegno a favorire la partecipazione attiva dei bambini lasciando
opportuni spazi ai loro possibili interventi e all'interazione con i compagni.
Passando all'ambito musicale, le ricerche fatte dagli antropologi e dagli
etnomusicologi33 confermano che in tutte le culture esistono delle pratiche
musicali che ruotano intorno a due azioni fondamentali: la produzione di
suoni vocali, cioè il “cantare”, e la produzione di suoni con oggetti
/strumenti, cioè il “suonare”; accanto a queste, esiste una terza azione, che
in alcune culture è inscindibilmente legata al cantare o al suonare: la danza.
Riguardo all'ascolto, così come viene praticato nella cultura occidentale,
33 Blacking 1976; Nattiez 1987.
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non è molto diffuso nelle culture più primitive, e talvolta addirittura non
esiste, perché il far musica è sostanzialmente un'azione collettiva.
I modi in cui si canta, si suona, si danza cambiano ovviamente da cultura a
cultura, e di conseguenza cambiano i repertori.
Un sostegno particolare in questa direzione è scaturito anche dalla ricerca
di Delalande34 sulle condotte musicali, e dalla teoria successivamente da lui
formulata, secondo la quale la finalità del divertimento e del piacere, in
ambito musicale, viene soddisfatta da tre dimensioni che l'autore riconosce
presenti in tutte le culture e a tutte le età: quella senso-motoria, quella
simbolica e quella del gioco di regole.
Dice infatti Delalande che nelle pratiche musicali troviamo “la ricerca di un
piacere senso-motorio a livello gestuale, tattile come pure uditivo; un
investimento simbolico dell'oggetto musicale messo in rapporto con un
vissuto (esperienza del movimento, affetti) o con certi aspetti della cultura
(miti, vita sociale); e infine una soddisfazione intellettuale che risulta dal
gioco di regole. Tali condotte corrispondono ai tre tipi di gioco riscontrati
nei bambini e analizzati da Piaget (Delalande 1993). Naturalmente queste
condotte
devono
essere
caratterizzare
dall'intenzionalità,
concetto
fondamentale per comprendere un percorso evolutivo.
Gli studi di psicologia della musica, dal canto loro, mettono in evidenza, i
meccanismi percettivo-cognitivi che entrano in funzione nei confronti degli
eventi sonori: come li percepiamo, li elaboriamo, li riconosciamo, e come li
organizziamo, sia durante la produzione (per imitazione o per invenzione)
sia durante l'ascolto. Alla luce di questi studi ho deciso di far ruotare le
proposte musicali intorno al canto, al suonare gli strumenti e alla danza.
L'ascolto, considerato di fatto come l'altra faccia della medaglia, nel senso
34 F. Delalande, 1993, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, a
cura di G. Guardabasso e L. Marconi, Bologna, CLUEB.
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che se si canta, si suona e si danza vuol dire che si ascolta, è stato realizzato
anche attraverso l'interpretazione motoria. Nell'elaborazione del percorso
educativo, l'accento è stato messo sulle pratiche sociali: cantare, suonare,
danzare attraverso le quali avviene l'assimilazione delle strutture.
Per questo motivo il primo criterio che mi ha guidato nella scelta dei canti
da insegnare ai bambini è stato la modalità d'uso attuata nella tradizione
popolare e suggerita dallo stesso canto, secondo la forma musicale e il testo
verbale.
Nella tradizione popolare, come scrive l'etnomusicologo italiano Roberto
Leydi35 (1973), i canti infantili (giochi di parole, di movimento, girotondi,
ecc.), più che la funzione del gioco e del divertimento, hanno prima di tutto
una funzione didattica, l'obiettivo di promuovere il coordinamento motorio,
di stimolare il controllo delle emozioni, di insegnare vocaboli (per esempio
i numeri, i nomi dei giorni della settimana, dei mesi) e concetti.
Propongono per il fatto stesso di essere cantati dai bambini, modelli di
socializzazione attraverso un rituale che possiede l'apparenza del
divertimento. In questa tradizione dalle radici arcaiche si inseriscono molti
dei canti infantili, anche recenti.
Passando ad una possibile classificazione di quei canti che più si prestano
agli obiettivi indicati, notiamo che si tratta di strutture che sono presenti
non solo nel repertorio italiano ma anche in quello di altri paesi.
Abbiamo così:

canti numerativi (numeri, giorni, mesi, ecc.);

canti cumulativi (ogni volta si aggiunge un nuovo elemento e si
ripetono tutti quelli già nominati fino a quel momento);

canti con il riff, cioè con qualche parola o una frase che si ripete
35 R. Leydi, 1973, I canti popolari italiani,Verona, Mondadori.
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come un “ritornello incorporarto”;

canti con l'eco (di sillabe, parole);

canti a concatenazione, (ogni verso comincia con l'ultima o le ultime
parole del verso precedente);

canti con sostituzione motoria cumulativa (ad ogni ripetizione alcune
parole vengono sostituite da un gesto);

canti con azioni o situazioni che possono essere cambiate, dando
luogo così a nuove strofe;

canti per gesti, movimenti e danze.
Successivamente riguardo al genere di repertorio da scegliere, ho preso in
considerazione alcuni aspetti strutturali della musica. Poiché di fatto i
bambini assimilano la cultura musicale del proprio ambiente, mi sono
orientata verso repertori in cui fossero presenti le sintassi musicali diffuse
nei vari tipi di canzoni che circolano oggi.
Tale scelta poggiava in particolare su due considerazioni, una di tipo
psicologico e una di tipo biologico. Riguardo alla prima, mi sono basata
sulla considerazione di Leont'ev36, secondo il quale non nasciamo con
organi disposti a compiere funzioni che sono il prodotto dello sviluppo
storico umano, ma questi organi (come l'orecchio tonale) si formano e si
sviluppano durante la vita sulla base di un'esperienza storica. Ne consegue
che se i bambini non sperimentano prodotti musicali organizzati secondo
un certo sistema, questi “organi culturali” non si sviluppano.
La considerazione, di tipo biologico, si basa sulle scoperte del biologo
olandese De Vries, che mise a fuoco, agli inizi del Novecento, la presenza
di periodi “sensitivi” nello sviluppo umano, cioè di periodi nei quali la
natura dà all'organismo una speciale plasticità per l'apprendimento di
36 Cfr. J. Tafuri, 2007, Nascere e crescere musicali,Educazione musicale EDT/SIEM, Torino.
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determinate capacità. Terminato il periodo sensitivo, la possibilità di
acquisire quella determinata capacità nelle specie animali (ad esempio
scavare cunicoli per il ratto scavatore) è persa, mentre per la specie umana
è più lenta e più faticosa.
L'esempio più chiaro è quello fornitoci dall'apprendimento della lingua
materna, il cui periodo sensitivo va dagli ultimi mesi della vita prenatale al
secondo anno di vita. Un bambino che nasce sordo e acquista l'udito verso i
3 anni, farà una notevole fatica a imparare a parlare. La fatica sarà ancora
maggiore e il livello raggiunto sarà tanto più modesto quanto più tardi
imparerà a parlare.
Le considerazioni precedenti mi hanno orientato verso la scelta di un
repertorio che comprendesse soprattutto canti tonali, in maggiore e in
minore, ma anche alcuni canti modali e pentatonici. I bambini che
imparano canti tonali e pentatonici sono più pronti e più maturi nel canto
rispetto a quelli che imparano solo canti pentatonici (Jarijsian 1983)37.
Dal punto di vista ritmico-metrico ho inserito canti con ritmi regolari, in
metro sia binario che ternario con tempi semplici e composti. Per le fonti
ho attinto dalla tradizione popolare e a raccolte d'autore.
Un altro aspetto che ho preso in considerazione è stato il rapporto tra
imitazione e invenzione. Come ho già precedentemente citato, gli studi di
psicologia della musica si sono interessati più all'invenzione melodica che
all'imitazione (più difficile da raccogliere e studiare), ma è altrettanto vero
che per poter inventare qualcosa bisogna possedere, sia pur a livello
minimo, gli elementi da combinare.
Se si pensa all'invenzione come processo mentale, bisogna parlare di
processo creativo, come scrive uno studioso americano della creatività
37 J. Tafuri, 1988, Modelli melodici nell'educazione al canto, (a cura di), Didattica della musica e
percezione musicale, Bologna, Zanichelli.
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musicale (Webster 1987), che sceglie questa espressione per mettere
maggiormente in evidenza il lavoro della mente. Se un bambino non
impara le parole della propria cultura, ed è chiaro che le impara per
imitazione, non potrà produrre una frase personale, più o meno originale
nella combinazione dei concetti.
In musica è un po' diverso perché i bambini possono produrre dei suoni, ma
l'assimilazione delle strutture musicale che avviene nell'apprendimento
delle canzoni per imitazione e durante l'ascolto si rivela particolarmente
necessaria affinché i piccoli possano inventare le “loro” canzoni che
saranno “originali” nel senso che si discostano da quelle già memorizzate.
Quanto più un bambino, come un individuo in genere, acquisisce modelli
mentali e capacità riproduttive, tanto più potrà sviluppare la propria
capacità d'invenzione, allontanandosi con nuove combinazioni dai suddetti
modelli.
Riguardo al suonare, ho pensato di dare ai bambini quegli strumenti dello
strumentario Orff che vengono usati anche nella musica popolare e in
orchestra e che per le loro piccole dimensioni sono adatti anche ai bambini:
sonagli, maracas, legnetti, tamburelli, ecc..
Passando all'ambito della danza, che ho inteso in senso più lato come
“musica e movimento”, ho inserito un ampio ventaglio di attività con
repertori appropriati.
6.2 - Il setting
Gli incontri si sono sempre tenuti nel teatrino della scuola, quindi un
palcoscenico dove i bambini erano soliti andare solo per gli spettacoli di
Natale o fine anno. L'arredamento era essenziale: un grande tappeto
colorato che mettevo al centro del palco prima di ogni incontro, tre cesti di
vimini dove mettevo gli strumenti divisi per categoria: pelli, legni e metalli
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e un tavolo dove avevo sistemato il lettore cd.
Il teatro della scuola si è rivelato il luogo ideale per gli incontri,
perfettamente isolato da qualsiasi interferenza sonora proveniente
dall'esterno e con un'ottima acustica.
6.3 - Mete da raggiungere
Il mio scopo era quello di far sì che i bambini si sentissero più felici, più
liberi, più “se stessi” perché capaci di cantare, di muoversi secondo un
certo ritmo o dare essi stessi un ritmo alla musica mediante qualche
semplice strumentino a percussione o battendo semplicemente le mani.
Quindi il percorso che ho intrapreso insieme ai bambini è un percorso di
musicoterapia ed educazione musicale, che vuole promuovere il benessere
degli individui e nello stesso tempo fornirgli quelle conoscenze musicali di
base che sono indispensabili per poter vivere musicalmente.
Credo che attraverso la musica i bambini possano imparare a conoscere
meglio il mondo che li circonda, a sentire il ritmo della vita fisica che pulsa
intorno a noi; attraverso il canto corale e il movimento fisico combinato
con quello dei compagni, capiranno di far parte di una comunità sociale;
infine sapranno prestare più attenzione a molti fenomeni sonori che prima
potevano sfuggirgli o non rappresentare nulla per loro.
La musica è indubbiamente un mezzo prezioso per lo sviluppo della loro
fantasia: un suono nuovo, un breve inciso melodico potranno suscitare nei
bambini immagini e pensieri nuovi; per contro la lettura di una favola o di
un racconto evocheranno in loro sensazioni facilmente associabili a suoni.
Una volta che la musica sarà entrata a far parte del loro normale modo di
esprimersi, sarà molto facile “inventare” un nuovo modo di rivivere la fiaba
proposta. Un po' alla volta i bambini arriveranno a proporre essi stessi un
suono per accompagnare certe situazioni, o un ritmo per esprimere meglio
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un'azione. Questo permetterà di attuare la “drammatizzazione” delle storie
raccontate dall'educatrice. Tutto questo non servirà solo al bambino, ma
sarà utilissimo all'educatrice per comprendere meglio l'evolversi della
psicologia del bambino: l'espressione musicale potrà costituire la spia del
suo sviluppo, un mezzo più sicuro del linguaggio (perché più spontaneo e
vivo) per stabilire i progressi compiuti dalla personalità del bambino.
Le mete particolari che mi sono prefissa mediante questo laboratorio
musicale sono:

sviluppo della sensibilità auditiva;

sviluppo della voce;

sviluppo del senso ritmico;

sviluppo della sensibilità musicale:

sviluppo della creatività.
Le strade che ho seguito sono molto semplici e divertenti, oltre ai canti, alle
danze e all'utilizzo degli strumenti, ho proposto molti giochi musicali in cui
i bambini si sentissero protagonisti e artefici del risultato. Una proposta che
ha avuto l'effetto di sorprenderli ed entusiasmarli molto è stata quella di
“musicalizzare” gli avvenimenti di ogni giorno: dal saluto musicale
all'insegnante di sezione, al commento sonoro (ottenuto mediante strumenti
a percussione) di qualche piccolo avvenimento: per esempio il comparire
del sole dopo giornate di pioggia, il ritorno di un compagno dopo qualche
giorno di assenza ecc…
La difficoltà che ho incontrato nel proporre questo tipo di attività è stata
principalmente quella di coinvolgere le maestre di sezione a vivere
musicalmente insieme ai piccoli situazioni e avvenimenti, superato questo
scoglio iniziale, il progetto è andato a gonfie vele dandomi soddisfazioni e
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sorprese decisamente inaspettate.
6.4 - Scuola dell'infanzia “Balla Cogolli”
Come ho già detto nella premessa, il laboratorio di musica prevedeva un
incontro di due ore a settimana per il periodo da novembre 2010 a maggio
2011.
Gli incontri sono stati così suddivisi: 45 minuti per i grandi (5 anni) e i
medi (4 anni) e 30 minuti per i piccoli (3 anni).
Ogni attività non veniva protratta per più di 10/15 minuti.
Una collega musicista mi ha supportato in tutti gli incontri occupandosi
principalmente della parte strumentale e di accompagnamento ma in più
occasioni è stata fondamentale per permettere il coinvolgimento di tutti i
bambini essendo le sezioni molto numerose e essendoci al loro interno
bambini stranieri che non conoscevano la lingua italiana.
6.5 - Struttura dell'incontro
Ogni singolo incontro è stato pensato in maniera tale che possedesse una
forma nell'organizzazione del tempo, forma che si è mantenuta per tutto il
ciclo di incontri. Un primo momento era infatti dedicato all'accoglienza del
gruppo. Dopo questo momento iniziale seguiva una parte centrale che
conteneva le specifiche attività da svolgere nell'incontro cioè canto, danza e
uso degli strumenti.
Una parte finale era poi dedicata al saluto cantato da me e dai bambini e
accompagnato dai movimenti nominati nel canto e che di volta in volta
venivano decisi dai bambini stessi.
- Canto di benvenuto (che funziona da saluto-segnale).
- Alternanza di canto, danza e uso degli strumenti.
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- Una volta ogni due incontri giochi utili allo sviluppo della sensibilità
uditiva.
- Canto di saluto finale (il canto di benvenuto e quello finale fungono da
cornice all'incontro).
Ho stabilito di proporre almeno 2 canti di seguito (c'erano i canti più graditi
da ripassare, ma anche i nuovi da imparare). Ho sempre cercato di non
prolungare troppo i momenti in cui i bambini stavano seduti o in
movimento cambiando sempre attività nel momento in cui i bambini
dimostravano di raggiungere una buona gratificazione o davano segni di
stanchezza.
La prima attività proposta è sempre stata il canto, perché con la danza e gli
strumenti i bambini si eccitano di più. Il passaggio dal canto alla danza,
dalla danza agli strumenti e viceversa ha l'effetto di rilassare e allo stesso
tempo ricarica. L'essenziale è non distogliere lo sguardo dai bambini per
cogliere subito ogni minimo cenno di gradimento, di attenzione, di
stanchezza e, naturalmente di maturazione.
Ogni incontro iniziava con l'ingresso dei bambini in teatro al ritmo di una
semplice marcetta che imitava il suono del treno, dopo alcuni giri di marcia
i bambini si disponevano in cerchio e si sedevano a terra. Devo dire che per
i primi incontri questa parte è risultata di difficile gestione in quanto i
bambini non riuscivano a marciare in cerchio e tanto meno a sedersi con
questa disposizione e questo creava confusione e rammarico nelle maestre
alle quali avevo chiesto espressamente di partecipare senza però richiamarli
o sgridarli ma solo seguendo la musica e aiutandoli (ad esempio tenendoli
per mano). Dopo 5 incontri, tutti e tre i gruppi entravano marciando e si
disponevano seduti in cerchio esattamente al termine della musica.
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
CANTO DI BENVENUTO
Benvenuti (P.M. J. Tafuri)
Benvenuti tutti quanti
siamo insieme per cantare
per suonare e per ballare
ci vogliamo divertire.
Barbara
sono qui
Elena
sono qui
...
La prima strofa veniva cantata da tutti, poi io chiamavo a turno ogni
bambino per nome e il bambino doveva rispondere SONO QUI, se le prime
volte solo 4 o 5 bambini rispondevano e gli altri si limitavano ad alzare la
mano, dopo qualche incontro hanno iniziato a rispondere tutti, compresi i
bimbi stranieri. Come è ovvio ogni risposta andava bene anche se non
intonata e non cantata ma alla fine del laboratorio tutti cantavano la risposta
e alcuni hanno anche proposto delle variazioni.
- CANTO
Ho proposto varie canzoni, e il mio modo di procedere è stato questo: la
prima canzone che abbiamo fatto insieme era una che loro già conoscevano
(in modo da rompere il ghiaccio e da assicurarmi che anche le maestre
cantassero con noi) poi ho proposto una canzone nuova e molto semplice in
modo che potessero impararla senza difficoltà: L'anatroccolo, una canzone
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con l'eco.
L'anatroccolo (tradizionale)
L'anatroccolo, occolo...occolo,
va nel viottolo, ottolo...ottolo,
ben contento, ben conteno,
ben contento se ne va
qua qua, qua qua, qua qua,qua qua.
Va nel lago, ago ago
a nuotare, are are
poi si becca, poi si becca,
poi si becca un pesciolin
qua qua, qua qua, qua qua,qua qua.
Poi ritorna, orna orna
pieno zeppo, eppo eppo
poi si posa, poi si posa
poi si schiaccia un pisolin
qua qua,qua qua, qua qua, qua qua.
Con i canti di questo tipo i bambini si possono facilmente unire nel
momento dell'eco senza dover aspettare di memorizzare parole o frasi (cosa
molto utile per i bambini stranieri presenti nelle varie sezioni). Il modo
migliore per sollecitare i bambini ad intervenire dopo aver cantato la
canzoncina due o tre volte è quello di fermarsi prima dell'eco e aspettare
che i bambini, almeno coloro che lo desiderano, lo cantino. L'effetto “eco”
può essere enfatizzato invitando i bambini a cantarlo piano e a portare la
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mano all'orecchio come se l'eco arrivasse da lontano.
Si stabilisce poi l'alternanza “solo/tutti” e si possono formare due gruppi e
rivolgersi per l'eco ora all'uno, ora all'altro. Oltre all'eco, questo canto può
essere facilmente mimato.
Ogni tre incontri circa, oltre alla canzone ormai conosciuta, ne introducevo
una nuova e invitavo i bambini a “arrangiare” quella già appresa ad
esempio cambiandone il testo. Questo è stato un esercizio che è piaciuto
molto e nel corso dell'anno mi è stato riferito più volte dalle maestre di
canzoni che i bambini amavano particolarmente e che venivano cantate
spontaneamente dai bambini stessi nei momenti di gioco libero con testi
variati da loro e a volte anche nonsense ma sempre rispettando la struttura
del brano.
Alcuni dei canti proposti:
Pippo Kid (tradizionale)
Lodoletta (Alouette) (tradizionale francese)
Il codino di un topino (tradizionale)
C'era una volta un papero
C'era una volta un papero
C'era una volta un papero
vestito di pelle di bufalo
faceva ballare le piattole
sull'uscio di dindirindé
Allez vous danser à la mode à la bracé (2 v.)
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C'era una volta un papero è un canto con azioni o situazioni sostituibili.
Quando i canti presentano un avvenimento semplice e concluso, questo si
presta ad essere cambiato e quindi si possono inventare altre strofe con il
cambiamento di uno o più elementi: Si può cambiare solo il soggetto e
coinvolgere i bambini inserendoli nella storia. Per es. C'era una volta
Chiara... e la canzone prosegue come prima. Oppure si può cambiare anche
la situazione, in questo caso il vestito e infine anche l'azione di ballare; per
es.
C'era una volta Chiara
vestita di petali di rosa
faceva la smorfiosa
sull'uscio di Dindirindé.
Qui si tratta prima di tutto di sollecitare la capacità linguistica dei bambini,
tanto più se si cercano anche le rime, ma è in gioco anche la capacità
musicale perché è necessario rispettare la struttura ritmica e melodica della
frase.
E' opportuno in questo caso, che il ritornello venga ripetuto sempre uguale
(Allez vous danser à la mode à la bracé): è la soddisfazione e in un certo
senso la rassicurazione prodotta dell'elemento familiare (cioè dalla
ripetizione).
All'inizio i cambiamenti li ho proposti io ma poi ho sollecitato i bambini a
inventare nuove strofe. La ripetizione e la variazione tengono desta
l'attenzione dei bambini, il cambio del nome li fa sentire a turno
protagonisti, l'adattamento del terzo verso li fa entrare nel gioco delle rime.
Il ritornello poi, si presta ad essere accompagnato da strumenti a
percussione: i
bambini si possono sincronizzare tutti insieme con tutte le
pulsazioni, oppure, dopo aver formato due gruppi e aver distribuito
strumenti diversi (es. tamburelli ad un gruppo e legnetti ad un altro) ho
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fatto alternare le due pulsazioni per uno (risultato: pum pum toc toc),
oppure il gruppo con i tamburelli suona la prima ma non la seconda
pulsazione, mentre quello con i legnetti le suona tutte e due (risultato: pumtoc toc).
Uno la signora veste di bruno (tradizionale)
Uno, la signora si veste di bruno
che di bianco non si vuol vestir,
mira la dirondella mira la dirondà.
Due, la signora sceglie il bue,
e altra carne non vuol mangiar,
mira la dirondella mira la dirondà.
Tre, la signora è più bella di te,
se non ci credi vai a guardar,
mira la dirondella mira la dirondà.
...
Questo è un canto numerativo il cui obiettivo è l'apprendimento della
successione dei numeri (dei mesi, dei giorni della settimana...). Con i
numeri la prima maniera di coinvolgere i bambini è quella di farli contare
con le dita. Sul ritornello (Mira la dirondella...) si possono battere le mani
o suonare gli strumenti a percussione a tempo con la pulsazione.
La macchina del capo (tradizionale)
La macchina del capo
ha un buco nella gomma (3 v.)
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aggiustiamola aggiustiamola col chewing gum
La macchina del capo è un canto con sostituzione motoria, la strofetta,
dopo una prima esecuzione integrale viene ripetuta tante volte quante sono
le parole che vengono taciute e sostituite con un gesto accompagnato da un
suono, come vuole l'esecuzione tradizionale.
Con i bambini di tre anni, la sostituzione è stata “preparata” eseguendo più
volte il canto con i gesti insieme alle parole che sono poi state taciute in un
secondo momento.
Questa modalità esecutiva è molto utile per imparare a mantenere il tempo
e riprendere la linea melodica dopo una breve interruzione che non
significa introdurre una pausa ma “saltare” un frammento e riprendere a
cantare dopo la parte saltata. In questo modo i bambini sviluppano e
rinforzano la memoria uditiva. Lo si può fare anche con frammenti più
lunghi, senza sostituzione motoria, ma come nel gioco del canto
“silenzioso”: un verso si canta forte e uno pianissimo, tanto che non si
sente, si vedono solo le labbra che pronunciano le parole. Lo si può
chiamare anche il gioco “della radio” dove un bambino può fare il gesto di
alzare e abbassare il volume. Naturalmente anche se il volume è a zero e
non si sente niente, la canzone... va avanti.
– MUSICA E MOVIMENTO: danze e girotondi
Per introdurre il concetto di “lento – veloce”:
La lumaca e il topolino
Lenta lenta lenta va, lentamente la lumaca
lento lento lento va, lentamente il lumacon
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Svelto svelto svelto va, corre corre il topolino
svelto svelto svelto va, corre corre il topolin.
Prima di incominciare dicevo ai bambini che la regola era quella di
occupare tutto lo spazio a loro disposizione (obiettivo che è stato molto
difficile da raggiungere) muovendosi ora lentamente, ora velocemente
come vuole il testo della canzoncina. I bambini hanno imparato presto
questo canto e lo aspettavano sempre con molta ansia per potersi sgranchire
le gambe e suggerire di volta in volta animali lenti e veloci da inserire nel
testo.
Altre attività che ho proposto:

canti che invitano a compiere dei movimenti;

canti-girotondo che suggeriscono delle azioni (La bella lavanderina,
Maria Giulia, Tutti qui si giocherà, Sorellina vuoi danzar, giro giro
rosa, ecc.);

danze vere e proprie, per le quali ho attinto al repertorio etnico
italiano e straniero, e in parte anche al repertorio colto;

brani musicali da ascoltare e vivere attraverso l'interpretazione
motoria.
Ecco alcuni esempi:
Maria Giulia
Maria Giulia da dove sei passata?
Alza gli occhi al cielo!
Fai un salto! Fanne un altro!
Cavati il cappello! Fai la riverenza!
All'insù, all'ingiù,
dai un bacino a chi vuoi tu!
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Sorellina vuoi danzar
Sorellina vuoi danzar,
io le mani ti vo' dar.
Or di qua, or di là ed in giro trallallà (2 v.)
Così bene sai danzar,
chi poteva immaginar.
Or di qua, or di là ed in giro trallallà (2 v.)
Sorellina ripetiam,
alla fine ci inchiniam.
Or di qua, or di là ed in giro trallallà (2 v.)
La partecipazione del corpo sia nei canti mimati che in quelli di movimento
(girotondi e danze) favoriscono lo sviluppo del coordinamento motorio e
delle capacità ritmico-metriche.
Per mimare un canto si possono inventare facilmente gesti e movimenti e in
questo le insegnanti di classe sono veramente bravissime. Ci sono canti i
cui testi indicano delle azioni da compiere o che sono fatti apposta per il
coordinamento motorio. Maria Giulia contiene inviti specifici a compiere
determinate azioni, la melodia è giocata solo su quelle tre note (sol, la, mi)
che sono considerate come la prima espansione dell'intervallo “originario”
(sol mi), quindi un modulo effettivamente molto facile.
I bambini possono eseguire la canzone eseguendo tutti insieme i gesti
richiesti, oppure possono farli uno per volta, chiamati a turno (io ho
preferito questa versione e al posto di Maria Giulia cantavo il nome del
bambino che volevo chiamare) andando al centro, ovviamente solo se ne
aveva viglia. Il canto poi veniva sostenuto dagli altri bambini, visto che chi
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è al centro dell'attenzione è molto impegnato nei gesti. Quando i bambini
hanno assimilato il canto molto bene si rivolgevano al compagno al centro
cantando cosa doveva fare.
Molto simile l'esecuzione di Sorellina vuoi danzar, dove però ho collocato i
bambini su due file frontali. I piccoli formavano delle coppie avvicinandosi
e prendendosi con le due mani durante il canto dei primi due versi e poi
eseguivano ciò che il canto
richiede.
Con grande stupore mi sono accorta che per i bambini di tre e quattro anni
è molto difficile fare il girotondo, e proprio per questo motivo abbiamo
dapprima cantato e danzato i girotondi tradizionali per passare poi a danze
vere e proprie dove chiedevo loro solo di girare in senso orario e in senso
antiorario al cambio della musica.
Con i bambini della sezione dei “grandi”, sono passata presto a danze più
articolate e a brani musicali strutturalmente più complessi ma molto
coinvolgenti.
Eccone un esempio:
Chanale ofa ktana – Israele
Traduzione del testo:
Chanale, la piccola panettiera
ha della farina e dell'acqua
Impasta tutta la giornata la pasta con le sue mani
Prepara degli H'ala (dei dolcetti di Shabat) e il pane
Ma quando li mette in forno
Brucia tutto
Oi oi oi
Brucia tutto
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Dopo una introduzione di 8 tempi abbiamo una sequenza 11 22 11 22 11
22.
I movimenti da abbinare a questo brano sono molto semplici perché
mimano ciò che fa esattamente la Piccola Panettiera.
- STRUMENTI
I bambini sono molto attirati dagli strumenti ed è stata una mia scelta
lasciarglieli manipolare liberamente per i primi quattro incontri senza dargli
nessuna regola; sperimentando così tutti i modi possibili di suonarli e
mostrando le loro preferenze verso alcuni piuttosto che verso altri. Questa
prima fase esplorativa ha coinvolto in maniera positiva i bambini che hanno
mostrato grande curiosità e desiderio di esprimere le proprie idee musicali
agli altri. Occorre però dire che alcuni bambini, in una fase iniziale, hanno
manifestato alcune difficoltà di coinvolgimento nelle attività di
esplorazione. Tali difficoltà si osservavano sia nei casi in cui i bambini
rivolgevano l'attenzione su altre attività (come ad esempio un'attività di
gioco con un compagno che avevano a fianco), sia nei casi in cui dalla
libera e personale esplorazione degli strumenti a disposizione, emergevano
esclusivamente comportamenti di imitazione delle produzioni di altri
compagni.
Alcuni bambini si sono sentiti smarriti, avevano paura di toccarli e si
avvicinavano alle maestre per chiedere aiuto, il mio ruolo in questi primi
incontri è stato di supporto: ho accompagnato fisicamente i bambini più
insicuri, e solo quelli che
me lo chiedevano esplicitamente verso lo
strumento dal quale erano maggiormente attirati e ho suonato per loro e
con loro. Una reazione che non avevo messo in conto, è stata quella delle
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maestre che si mostravano infastidite da tutto quel “rumore”. Troppo spesso
le sperimentazioni dei piccoli rimangono sommerse e ignorate o, nel
peggiore dei casi, scambiate per attività rumorose e fastidiose, quindi
connotate negativamente.
Il mio errore è stato quello di non avere premesso con le maestre che era
proprio il mio intento quello di lasciarli esplorare perché ritengo
indispensabile questa fase iniziale per entrare in confidenza con gli
strumenti e i suoni che essi producono.
Come sostiene il musicologo Gino Stefani, “musica è qualsiasi attività con
qualsiasi tipo di suono”. Dopo un iniziale momento d’imbarazzo anche le
maestre si sono fatte coinvolgere giocando e divertendosi con i suoni
rispecchiandosi nei bambini e i bambini in loro in bellissimi momenti di
ascolto reciproco.
Successivamente e più precisamente al quinto incontro, dopo che i bambini
avevano scelto lo strumento gli ho insegnato il modo corretto di
impugnarlo, di suonarlo e il suo nome e ho così introdotto i due canti che a
mio avviso sono di grande utilità per memorizzare i nomi dei vari strumenti
e esercitarsi a maneggiarli e suonarli correttamente e perché no, anche
condividerli con i compagni.
Il grillo John
Il grillo John è un furbacchion
canta e balla tum tum tum tum tum
sale sul muro suona il tamburo
bum bum bum, bum bum bum bum
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Il grillo John è un furbacchion
canta e balla pum pum pum pum pum
trova due gatti che suonano i piatti
ciac ciac ciac ciac ciac ciac caic
…......
Alla fiera di Mastro Andrè
Alla fiera di Mastr'Andrè
oggi ho comprato un tamburello
turu tutùm il tamburello
Alamirè, alamirè,
alla fiera di Mastr'Andrè (2 v.)
Alla fiera di Mastr'Andrè
oggi ho comprato un pifferello
piri pipì il pifferello
turu tutùm il tamburello
Alamirè, alamirè,
alla fiera di Mastro Andrè (2 v.) ecc.
Una volta imparati questi canti sono stati molto utili anche per fare
inventare ai bambini l'onomatopea, cioè l'imitazione con la voce del suono
di ogni strumento nominato e aggiungere i gesti con cui mimare l'atto di
suonarli. Quindi si possono cantare anche senza l'utilizzo degli strumenti e
introducendone via via anche di quelli meno conosciuti dai bambini come il
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violoncello, l'oboe e così via. Questo percorso ha stimolato molto la
curiosità dei bambini, soprattutto dei più grandi e così ho deciso di
mostrargli e fargli ascoltare il suono al computer tutti gli strumenti che
avevamo nominato.
Le attività che abbiamo svolto sono state tante, dall'utilizzo delle
percussioni per battere le pulsazioni di alcuni brani registrati,
all'accompagnamento di alcuni ritornelli nei canti appresi nel corso dei vari
incontri, a giochi che potessero stimolare la capacità di discriminare i
diversi suoni. Abbiamo preso l'abitudine che poi si è mantenuta anche nei
giorni in cui io non ero presente, di “musicalizzare” alcuni avvenimenti
della giornata come il ritorno del sole dopo giornate di pioggia, il ritorno di
un compagno che era stato assente per un po' di tempo e così via...
In ogni incontro ho sempre lasciato che i bambini si avvicinassero agli
strumenti autonomamente e che scegliessero quello a loro più congeniale
per questo motivo mi sono dotata di un numero molto cospicuo di
strumentini e soprattutto di tamburi e bongos che erano i più ricercati.
- CANTO FINALE DI SALUTO
Tutti vogliamo camminare
Tutti vogliamo camminare, camminare, camminare
tutti vogliamo camminare da oggi fino a domani
tutti vogliamo mandare un bacino, mandare un bacino, mandare un bacino
tutti vogliamo mandare un bacino da oggi fino a domani
tutti vogliamo fare un inchino, fare un inchino, fare un inchino
tutti vogliamo fare un inchino da oggi fino a domani
tutti vogliamo salutare, salutare, salutare
tutti vogliamo salutare da oggi fino a domani
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- GIOCHI
Gioco del detective – Un bambino fa la parte del detective ed esce dall'aula.
Gli altri bambini tengono le mani dietro alla schiena: uno di essi tiene in
mano una piccola campanella che fa suonare all'ingresso del detective il
quale deve indovinare qual'è il bambino che fa suonare la campanella.
Gioco del qual è – Prendo due strumenti a percussione qualsiasi ad
esempio il triangolo e il tamburo. I bambini mi devono voltare le spalle e
riconoscere di volta in volta il nome dello strumento percosso. Fatto questo
posso perfezionare questo esercizio suonando alternativamente due
triangoli di diversa dimensione e lasciando indovinare ai bambini quale è il
più piccolo, e quale il più grande.
Gioco dei vigili – Due bambini sono i vigili e hanno in mano uno strumento
ciascuno (es. Tamburello basco e triangolo). I vigili dirigono i movimenti
dei compagni in questo modo: quando suonano il tamburello tutti i
compagni camminano, quando suonano il triangolo saltellano. In questo
gioco si possono aggiungere sempre nuovi strumenti abbinati a diversi
movimenti. E' stato molto interessante notare come anche i bambini più
piccoli riuscissero a discriminare i suoni provenienti da due strumenti
uguali ma di diverse dimensioni.
Gioco dell'ascensore – La mia collega pianista suonava un motivetto sul
pianoforte invitando i bambini a seguire la musica con movimenti liberi.
Durante l'esecuzione faceva notare ai bambini quanto sono differenti tra
loro i suoni acuti da quelli gravi invitando i bambini ad alzarsi in punta di
piedi e sollevare le braccia verso l'alto nei suoni acuti e portare il busto in
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avanti e le braccia verso il basso nei suoni gravi. I suoni ripetuti, cioè
quando non c'è variazione verso il grave o l'acuto, indicano che l'ascensore
sta fermo e i bambini dovevano stare fermi con le braccia in fuori.
Gioco del gattino cieco – Il gattino è un bambino con gli occhi bendati che
dovrà tentare di seguire il compagno che sta suonando uno strumento di sua
scelta e che si sposta camminando tra gli altri compagni e che tenterà di
distrarlo facendolo spostare continuamente da un luogo all'altro.
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7. Conclusioni
L'esperienza alla Scuola dell'infanzia Balla Cogolli è stata molto
impegnativa e allo stesso tempo molto gratificante.
L'iniziale rigidità delle maestre e il loro timore nel mettersi in gioco si è
presto trasformato in entusiasmo verso tutte le attività da me proposte ed è
sicuramente anche grazie alla loro collaborazione e al loro coinvolgimento
che il laboratorio si è rivelato piacevole per tutti i bambini anche per quelli
più introversi e timorosi che non riuscivano inizialmente a partecipare
liberamente e in modo spensierato. Ritengo infatti, che per il percorso
proposto, sia stata indispensabile la collaborazione delle insegnanti che
hanno offerto la loro conoscenza dei bambini, la loro partecipazione più o
meno attiva a seconda delle necessità poste dalle diverse attività e che
hanno sostenuto la conduzione degli incontri mantenendo il loro ruolo
educativo e permettendo che gli incontri, pur possedendo una loro specifica
caratterizzazione sia per le modalità di conduzione sia per il tipo di attività
proposte, si integrassero nel continuum dell'esperienza scolastica dei
bambini.
Sono decisamente convinta dell'importanza, nel lavoro svolto in ambito
scolastico, dello scambio di informazioni che può avvenire tra le differenti
figure professionali che si occupano del processo di crescita dei bambini ed
è per questo motivo che mensilmente avevo programmato insieme alle
insegnanti delle tre sezioni e alla coordinatrice scolastica un momento di
confronto reciproco nel quale ciascuna di noi condivideva con le altre le
sue osservazioni e gli eventuali problemi e/o progressi riscontrati nei
singoli e nel gruppo.
Grazie alle verifiche periodiche che abbiamo programmato con le
insegnanti e ai racconti di alcuni genitori, siamo giunte alla conclusione che
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questo “anno musicale” è stato veramente molto gradito da tutti i bambini
ed è già stato espresso da parte di tutti il desiderio di continuare l'esperienza
anche nei prossimi anni.
Per quanto riguarda i bambini stranieri sono stati quelli che abbiamo
monitorato più nel dettaglio, gli incontri hanno offerto loro un' importante
occasione di integrazione nella classe attraverso la partecipazione ad
attività nelle quali il loro contributo personale è stato valorizzato e grazie
all'uso della comunicazione sonora e quindi non verbale, questi bambini
hanno avuto la gratificante esperienza di poter comunicare facilmente con i
compagni e con le insegnanti in un linguaggio comune e universale: quello
musicale. L'obiettivo di inserirli nel gruppo classe senza traumi è stato
pienamente raggiunto e tutto il collegio docente è concorde nel ritenere che
la musica, quale canale privilegiato di comunicazione, sia stata di
fondamentale importanza per la riuscita dell'inserimento.
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