Capitolo 9. Gödel e la sua opera.

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C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
Capitolo 9. Gödel e la sua opera.
9.1. Il problema e le conseguenze della coerenza.
Nel Capitolo precedente si è cercato di rendere chiara non solo la situazione degli studi sui Fondamenti nei primi trenta anni del secolo
XX, ma anche di quali erano i rapporti ‘personali’ tra i rappresentanti
delle varie scuole di pensiero.
Il problema della coerenza di una teoria generale o di una teoria specifica era alla ribalta ed era affrontato in vario modo da tanti studiosi.
Einstein e Gödel a Princeton
9.1.1. Il teorema di completezza. Nel 1930, Gödel aveva 24 anni. Era discepolo di Hahn, e come tesi
di dottorato, preparata nel 1929 e discussa il 6 febbraio 1930, aveva presentato un
risultato che dava un’ulteriore conferma al programma di Hilbert. In realtà la formazione di Gödel è avvenuta in un ambiente privo di legami con una scuola particolare e questo, senza dubbio gli ha consentito di svolgere la sua ricerca in piena
Hans Hahn
(1879 – 1934)
libertà. Con tale libertà aveva affrontato i sistemi assiomatici e formalizzati giungendo a chiedersi (in Über die Vollständigkeit den Logikkalküls, tesi
dell’Università di Vienna, da cui trae l’articolo: Die Vollständigkeit der Axiome des logischen Funktionenkalküls, Monatshefte für Mathematik un Physik 37 (1930), 349 - 360) :
«Whitehead e Russell, come è ben noto, hanno costruito la logica e la matematica prendendo inizialmente certe
proposizioni evidenti come assiomi e derivando i teoremi di logica e di matematica da questi per mezzo di alcuni
principi di inferenza formulati con precisione in un modo puramente formale (cioè senza fare uso ulteriormente
del significato dei simboli). Ovviamente, quando si segue un procedimento di questo tipo la prima questione che
si pone è se il sistema inizialmente postulato di assiomi e di principi di inferenza è completo, ossia se esso effettivamente è sufficiente per la derivazione di ogni proposizione logico-matematica vera o se invece è concepibile
che esistano proposizioni (addirittura eventualmente dimostrabili per mezzo di altri principi) che non possano
derivare dal sistema considerato. Per le formule del calcolo proposizionale la questione è stata sistemata affermativamente: cioè è stato mostrato che ogni formula vera del calcolo proposizionale deve infatti seguire dagli assiomi dati nei Principia matematica. Lo stesso sarà fatto per un dominio più vasto di formule, cioè del “calcolo
funzionale ristretto”; ciò è quanto proveremo» (da Van Heijenoort, 1967).
A riprova della sua ‘indipendenza’ da scuole è interessante osservare che cita i Principia mathematica e i loro autori, ma la terminologia che usa, (calcolo delle proposizioni e calcolo funzionale ristretto”) è mutuata da Hilbert & Ackermann (1928). In questo breve brano compaiono alcune note a
pie’ di pagina. La prima dichiara il suo debito con Hahn per i suggerimenti che l’hanno aiutato a
scrivere il lavoro apparso se Monatshefte. La seconda, relativa alla completezza del calcolo proposizionale cita Bernays (1926). Axiomatische Untersuchung des Aussagen-Kalkuls der “Principia
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matematica”, Abhandlungen aus dem mathematische Seminar der Hamburgischen Universität, 6,
89 – 92, quindi ancora un lavoro realizzato nella cerchia hilbertiana. La terza nota è abbastanza lunga e tecnica:
«Nella terminologia e simbolismo questo articolo segue Hilbert & Ackermann (1928). In accordo con questo lavoro, il calcolo funzionale ristretto contiene le espressioni logiche che sono costruite dalle variabili proposizionali X, Y, Z,… e dalle variabili funzionali (cioè variabili per proprietà e relazioni) di tipo 1, F(x), G(x,y),
H(x,y,z),…, per mezzo delle operazioni ∨ (or), ¯ (not), (x) (per ogni), (Ex) (esiste), con le variabili nel prefisso (x)
e (Ex) che variano solo sugli individui, e non sulle funzioni…»
Poi definisce (da notare, senza avere ancora una semantica formalizzata) la verità di una formula se
sostituendo arbitrariamente proposizioni e funzione specifiche si ottiene una proposizione vera, e
come esempio di formula vera mostra il tertium non datur. Da questa nota si desume che il suo
“calcolo funzionale ristretto” è un calcolo dei predicai del primo ordine.
La tecnica seguita si basa un approfondimento di metodi già proposti da Skolem.
Non è questo corso il luogo per entrare nei dettagli di questa dimostrazione. Qui se ne vuole mettere
in luce la portata cognitiva e i suoi rapporti col programma di Hilbert.
È interessante, a questo proposito, un parere di Mostowski sul ruolo e significato della completezza.
Egli scrive
«il problema della completezza è un esempio interessante di una questione che sorge da ricerche filosofiche concernenti le relazioni tra calcoli e semantica e che ha trovato molte applicazioni puramente matematiche a dispetto
della sua origine filosofica. Si parla spesso della rilevanza della logica matematica per l’algebra: è soprattutto il
teorema di completezza che riesce a connettere queste due discipline in modo tale che esse possano profondamente e reciprocamente influenzarsi.» (da Mangione & Bozzi, 1993).
Parlare genericamente di completezza può essere fuorviante. Di fatto ci sono almeno due aspetti da
mettere in luce. La completezza semantica è una proprietà di un calcolo logico ‘ben fatto’ in base
alla quale se un enunciato φ è vero in tutti i modelli di un insieme di enunciati (una teoria, ad esempio si pensi agli assiomi della teoria dei gruppi), allora φ è dimostrabile usando gli assiomi della teoria (cioè si riesce a trovarne una dimostrazione). È questo tipo di completezza che è utilizzato nella
tesi di dottorato di Gödel. La proprietà inversa, vale a dire il fatto che se φ è dimostrabile a partire
da certi assiomi, allora in un qualunque modello degli assiomi, anche φ è vero, prende il nome di
correttezza semantica. I calcoli del secondo ordine sono corretti semanticamente e semanticamente
incompleti.
La completezza sintattica è la proprietà di un insieme di enunciati. Considerati tali enunciati come
gli assiomi di una teoria T, si dice che T è sintatticamente completa se comunque dato un enunciato
φ del linguaggio in cui è formulata la teoria, in essa o si ha una dimostrazione di φ, oppure si ha una
dimostrazione di (¬φ).
La dimostrazione di Gödel della completezza (semantica) del calcolo del primo ordine, porta un
importante contributo alla tesi hilbertiana, su due fronti. Il primo è che il criterio di ‘esistenza’ di
una teoria assiomatica, la sua coerenza sintattica, era stato argomento di conflitto di Hilbert con Fre290
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
ge, che non accettava questo come criterio di esistenza. Ma già nella dimostrazione proposta dal
giovane matematico di Brno, c’è l’idea che la teoria possa, in base alla sua stessa coerenza, costruirsi il ‘mondo’ cui applicarsi.
Era, infatti, difficile abbandonare l’idea, codificata da Aristotele nella teoria della Scienza deduttiva,
in particolare della coppia di postulati di realtà e verità, riconducibili a due affermazioni del filosofo
greco tratte dagli Analitici Secondi (cfr. 1.6.1.):
«è necessario anche che sussistano le cose per sé»
«Dunque devono essere vere, poiché non è possibile conoscere ciò che non è»
I sistemi assiomatici, o meglio formali, proprio per loro natura, non garantiscono dell’esistenza degli oggetti che descrivono, ma ne descrivono, eventualmente in modo completo, le relazioni. Anche
il significato di esistenza ha subito un importante mutamento grazie al pensiero di Leibniz: esistenza
è la possibilità di essere in base al principio di non contraddizione e di ragione sufficiente. Questo
nuovo modo di pensare viene parzialmente inglobato nella frase: ‘a meno di isomorfismi’, divenuta
comune ai giorni nostri.
Il teorema di completezza è stato (ed è tuttora) una specie di sostegno alla ragionevolezza del programma di Hilbert o meglio ad un punto fondamentale di esso: le teorie assiomatiche devono essere
coerenti.
C’è da osservare che quando Gödel formula il suo teorema non è ancora disponibile una semantica
stabilita in modo soddisfacente. Già Schröder aveva posto attenzione alla semantica, seppure a livello intuitivo. Di concetti semantici si parlava da sempre, con parole che sono presenti nel linguaggio comune: dominio di interpretazione, vero, falso, soddisfacibile, valido. Poi ad analizzare
l’uso di questi termini e i loro rapporti con la negazione, i cammini si ingarbugliano per cui non era
semplice stabilire cosa voglia dire contraddizione o non validità. Queste difficoltà rimangono anche
oggi nel linguaggio comune. In base alla proposta di Tarski di una semantica basata sulla teoria degli insiemi, si è avuta una chiarificazione concettuale importante. Per contro i termini di tipo sintattico, quali dimostrazione, teorema, contraddizione, assioma, inferenza erano presenti e ben delineati
nel linguaggio comune, da lungo tempo, anche se non in modo del tutto esaustivo.
Si rifletta inoltre sulla lunga tradizione del calcolo monadico e la ‘recente’ tradizione del calcolo delle relazioni (da Frege in poi) che in molti studiosi non aveva ancora avuto il tempo di consolidarsi.
Un’ulteriore difficoltà era l’accettazione del concetto di insieme, che è una grande semplificazione
dal punto di vista dell’approccio semantico ma che, ad esempio, il francese Herbrand rifiutava, per
costruire una sorta di semantica finitista.
Come secondo aspetto in cui la prova della completezza offre argomenti a favore del programma di
Hilbert sta nel fatto che Gödel si rende conto che la sua dimostrazione di ‘equivalenza’ tra aspetti
semantici e sintattici contiene una proposta di riduzione dal non numerabile (semantico) al numera291
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bile, anzi, finitistico (sintattico). Cerco di spiegare. Considero una formula del primo ordine, φ(x).
Per poterne garantire la validità devo essere in grado di provare che comunque preso un dominio di
interpretazione (un insieme non vuoto) e comunque vengano interpretati i simboli di costanti individuali, predicati e simboli funzionali presenti nella formula e comunque interpreti x, la formula esprime un giudizio vero in quel dominio. Questa ricerca è sicuramente non ‘commensurabile’ col
concetto di numerabilità. Per contro la dimostrabilità sintattica richiede solo la
considerazione finita o al più numerabile. Stabilire una stretta analoga tra i due
aspetti vuol dire mostrare come si possa, in questo specifico caso, ridurre considerazioni che richiamano l’infinito ‘grande’ al numerabile, anzi addirittura al finito.
Il teorema di completezza viene formulato per linguaggi numerabili, ma viene in
Anatolij Mal’cev
(1909 – 1967)
seguito generalizzato da Mal’cev per linguaggi più che numerabili, nel 1941. Altre dimostrazioni indipendenti, entrambe del 1949, sono di
Henkin e A. Robinson. Nella sua forma più generale è
l’affermazione che si è già vista nel calcolo delle proposizioni:
Γ├ φ se e solo se Γ╞ φ. Questo risultato è di solito formulato,
Leon Henkin
(1921 – 2006)
per semplicità, con enunciati, ma sono possibili considerazioni
un po’ più complesse con generiche formule. Se si considera un
Abraham Robinson
(1918 – 1974)
unico enunciato si ha che ├ φ se e solo se ╞ φ, quindi la dimostrabilità garantisce l’esistenza del
modello; l’esistenza non di un solo modello ma il fatto che φ sia vera in ogni interpretazione del
linguaggio in cui è scritta, ne implica la dimostrabilità.
Tale teorema non è costruttivo. La dimostrazione di Henkin ha un forte aspetto costruttivo in quanto
procede con una enumerazione delle formule esistenziali con una sola variabile libera, poi aggiunge
al linguaggio un testimone per ciascuna di queste formule e in questo linguaggio arricchito mostra
che è possibile organizzare un’interpretazione ‘canonica’ della teoria che è modello della teoria stesa. Purtroppo ci sono passaggi chiave che non rientrano nei canoni costruttivi. Però è forte
l’impressione che una teoria formale coerente sia in grado di ‘crearsi’ il proprio mondo in cui provare l’esistenza del modello.
Nella dimostrazione della completezza, Mal’cev si accorge di una conseguenza importante: una teoria ha modello se e solo se ogni sottinsieme finito degli assiomi della teoria ha modello (teorema di
compattezza). Anche in questo caso c’è un verso facile. Se c’è un modello della teoria, allora esso è
modello di ogni sottinsieme finito di assiomi. Il viceversa si presenta più complesso e ‘francamente’
sorprendente. Dire che ogni sottinsieme finito di assiomi ha modello, è una affermazione del tipo
∀∃; il fatto che la teoria ha modello comporta che esso sia modello per ogni sottinsieme finito di
assiomi, è una affermazione del tipo ∃∀, quindi il teorema di compattezza si trova nella condizione
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di affermare qualcosa del tipo ∀∃ ↔ ∃∀. In generale questa equivalenza è spesso fonte di complicazioni matematiche perché… non c’è e la parte che non funziona è ∀∃ → ∃∀, in quanto ciò che
esiste dipende da ciò che è quantificato universalmente e non si riesce a ‘collegare’ in modo unitario
i vari casi in uno solo che valga per tutti. Si pensi al seguente esempio, per ogni numero naturale
composto esiste un massimo numero primo che lo divide, da cui non si può concludere che esiste un
massimo numero primo che divide ogni numero naturale composto.
Ci si può chiedere allora quale sia la proprietà che permette di invertire l’implicazione nel caso del
teorema di compattezza e la risposta si trova proprio nel fatto finitario enunciato.
Nello stesso anno 1941 Mal’cev applica il teorema di compattezza a problemi di teoria dei gruppi,
fornendo molti risultati innovativi.
9.1.2. Il teorema di incompletezza. Subito dopo la discussione della tesi di dottorato, Gödel inizia a
stendere uno scritto per l’abilitazione. In essa tenta di trovare nuove conferme del programma di
Hilbert e di provare la coerenza diretta dell’Analisi. Per fare questo in modo finitistico si propone di
determinare un’interpretazione dell’Analisi all’interno della Aritmetica.
9.1.2.1. La gödelizzazione. Con una sorta di ricostruzione razionale, potremmo dire che la tecnica
messa in campo dal nostro è, al contempo, semplice e ingegnosa. Se si deve parlare di coerenza sintattica, allora si ha a che fare con dimostrazioni ed esse sono, per definizione, dei fatti finiti. Ci deve
essere quindi il modo per associare alle dimostrazioni dei numeri. La cosa può essere fatta in vari
modi, alcuni ingenui ed altri che lo sono molto meno. Consideriamo un qualunque linguaggio del
primo ordine il cui alfabeto sia numerabile. Associamo ad ogni segno del linguaggio numerabile un
numero naturale, ad esempio 1:
ġ(() = 1; ġ()) = 3; ġ(,) = 5; ġ(¬) = 7; ġ(→) = 9; ġ(∀) = 11; ġ(xk) = 5 +8(k+1); ġ(ck) = 7 +
8(k+1), ġ(f(n)k) = 1 + 8·2n·3k, n > 0; ġ(P(m)s) = 3 + 8·2m·3s, m > 0.
Con questa scelta, ad ogni simbolo dell’alfabeto resta associato, in modo effettivo, un numero dispari. Viceversa considerato un arbitrario numero naturale, con un procedimento effettivo (la divisione per 2) si può decidere se è un numero pari o dispari. Se è pari, ad esso non è associato alcun
simbolo del linguaggio. Se è dispari, poniamo (2h+1) e non maggiore di 12, allora dall’elenco fatto
si può decidere a quale simbolo è associato. Se è maggiore di 12, allora si procede in questo modo:
si considera il numero (2h+1) e si fa la divisione per 8 e si considera il quoziente q ed il resto r, un
ben noto procedimento effettivo. Essendo (2h+1) un numero dispari, il resto può essere solo r = 1,
1 Non è, evidentemente l’unico modo e non è detto che non ve ne siano altri più ‘intelligenti’ che facciamo uso di numeri naturali più
piccoli. In qualunque modo sia eseguita questa enumerazione, ġ(s), ove s è un ente del linguaggio, simbolo, formula, successione di
formule, ecc, ġ(s) si dice il numero di Gödel di s.
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3, 5 o 7. Se r = 5, se cioè (2h +1) = 5 + 8q, allora si tratta del numero associato a xq-1. Si osservi che
13 ≤ 2h+1, quindi 8 ≤ (2h+1) – 5 = 8q, per cui q ≥ 1. Se r = 7 si procede come prima e ad esso si associa una specifica costante individuale. Ad esempio 13 = ġ(x0); 23 = ġ(c1) Il caso dei resti 1 e 3 è
un poco più complesso: bisogna scomporre in fattori primi q, in base al teorema fondamentale
dell’aritmetica tale scomposizione è essenzialmente unica e, per determinarla, è dato un algoritmo
(noto fin dalla scuola media). Se nella scomposizione di q vi sono fattori primi diversi da 2 e da 3,
oppure esclusivamente il fattore 3, a tale numero non è associato alcun simbolo; se invece q è prodotto esclusivamente di potenze di 2 e di 3, con esponente di 2 positivo, allora, in base al resto si
decide se tale numero è associato a un simbolo funzionale o ad un simbolo predicativo ed a quale.
Si noti che siccome si sta considerando (2h+1) ≥ 13 e che il resto della divisione per 8 è 1 o 3, allora
il primo numero su cui incentrare l’attenzione è 17 = 1 + 8·21,o 19 = 3 + 8·21. Nel primo caso il
quoziente è 2 e quindi si conclude che 17 = ġ( f (1)0); 19 = ġ(P(1)0). Al numero 134.567 che è un numero dispari e tale che 134.567 = 8·16.820 + 7 = ġ(c16.819). In corrispondenza a 134.563 = 8·16.820
+ 3 non è associato alcun simbolo dell’alfabeto in quanto il resto è 3, ma nel quoziente è presente il
fattore primo 5. Si ha ancora, ad esempio 139.969 = 8·17.496 + 1 =1+ 8·23·37, quindi 139.969 =
ġ(f(3)7). A 4.251.531 = 8·531.441 + 3 = 8·312 + 3 non è associato nessun simbolo in quanto un possibile candidato sarebbe un simbolo predicativo, ma nella fattorizzazione del quoziente compare esclusivamente il fattore 3 con esponente positivo.
Queste esemplificazioni hanno lo scopo di convincere il lettore che:
–
la funzione ġ è iniettiva,
–
ġ è computabile, cioè dato un qualunque simbolo dell’alfabeto, con un numero finito di passi si
giunge a determinare il risultato,
–
la immagine di ġ è decidibile, vale a dire, dato un qualunque numero naturale il fatto se sia associato ad un simbolo è decidibile con un numero finito di passi e questo processo porta univocamente a determinare il simbolo associato.
Un altro aspetto che si mette in luce è che se il linguaggio è povero, allora i numeri utilizzati sono
abbastanza ‘piccoli’; se il linguaggio è ricco, si fa presto a superare le centinaia di migliaia. Ma anche se l’alfabeto è finito, si ha sempre un insieme numerabile di variabili individuali, dunque
l’immagine di ġ è un sottinsieme infinito di N.
Una volta associati numeri naturali dispari ai simboli dell’alfabeto, si consideri la enumerazione
‘naturale’ dei numeri primi, ponendo p0 = 2, p1 = 3, p2 = 5, … Il teorema che dato un numero primo
p esiste un numero primo maggiore di p (minore di 2p, o minore di p!+1) stabilisce il fatto che c’è
un procedimento effettivo che applicato a p permette, con un numero finito di passi di determinare
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il minimo numero primo maggiore di p. Quindi se p è il k-esimo numero primo, allora quello trovato col procedimento delineato è pk+1.
In base all’osservazione precedente, si può associare ad ogni successione finita di simboli, un opportuno numero. Se S = s0, s1, .., sn è una successione finita di simboli del linguaggio, non necessa.
.
.
riamente un termine o una formula, allora ġ(S) = p0 g (s0 )·p1g (s1 )·…·pn g (sn ) . Con questa posizione il numero da associare ad una qualunque successione finita di simboli dell’alfabeto è perfettamente determinata in modo effettivo ed si tratta di un numero pari, dato che il fattore 2 = p0 ha esponente (dispari) maggiore di 0. Da qui si controlla che non può coincidere col numero associato ad un semplice simbolo, inoltre ġ(S) ha una fattorizzazione ‘completa, vale a dire se pm è il massimo numero
primo che divide ġ(S), allora nella fattorizzazione di ġ(S) sono presenti con esponenti non nulli tutti
i numeri primi compresi tra 2 e pm, estremi inclusi. Inoltre gli esponenti dei numeri primi presenti in
tale fattorizzazione sono tutti dispari e associati a numeri di simboli del linguaggio.
Come prima siamo pertanto in grado di affermare che data una successione finita S di simboli del
linguaggio, si può produrre con un procedimento costruttivo il numero ġ(S). Viceversa. Dato un
numero naturale, la determinazione della sua scomposizione in fattori primi è un procedimento costruttivo, quindi siamo in grado di decidere, con un computo da eseguire con un numero finito di
passi se il numero dato ha una fattorizzazione completa con esponenti dispari e se tali esponenti sono associati a simboli dell’alfabeto.
Le regole che sono state date per distinguere i termini e le formule, sono regole effettive e di conseguenza il fatto di riconoscere se una data successione di simboli è un termine, oppure è una formula
è anche essa una questione decidibile in un numero finito di passi, in quanto, dato un numero arbitrario e trovata la successione di simboli ad esso assegnata, si può controllare, appunto, se si tratta di
un termine o di una formula o nessuno dei due casi.
L’insieme degli assiomi logici è decidibile, e di conseguenza anche tra i numeri associati alle formule, si possono identificare con un numero finito di passi le formule che sono esempi degli assiomi logici.
Se la teoria che si ha in esame è una teoria assiomatica con un insieme di assiomi propri decidibile,
allora tra i numeri delle formule, con un procedimento costruibile e possibile individuare quelli corrispondenti agli assiomi propri della teoria.
A questo punto, riflettendo che una dimostrazione è un’opportuna successione di formule, è facile,
innanzi tutto, data una successione Σ = σ0, σ1, …, σn di formule, associare ad essa, con un procedimento analogo al precedente,un numero naturale, avvalendosi della stessa struttura vista in prece.
.
.
denza, ġ(Σ) = p0 g (σ 0 )·p1g (σ 1 )·…·pn g (σ n ) . Con tale scelta non c’è pericolo di confusione tra numeri che
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Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
sono da associare ad una successione di simboli dell’alfabeto ed una successione di formule. Infatti
nel primo caso gli esponenti dei numeri della fattorizzazione completa sono numeri dispari, mentre
nel secondo, avendo ad esponenti i numeri corrispondenti a formule, questi sono numeri pari, anzi
sono particolari esempi ottenuti con fattorizzazioni complete di numeri primi ad esponenti dispari.
Una volta data una successione di formule si controlla in modo costruttivo se si tratta di una dimostrazione oppure no. Questo procedimento si può ripetere, ancora in termini finiti, ed ottenere un
criterio di decisione applicabile a qualunque successione finita di formule, in base al quale provare
la decidibilità del sottinsieme delle successioni di formule che sono teoremi della teoria.
Questo procedimento, qui delineato, prende il nome di gödelizzazione. Nel lavoro originale di Gödel si prova che ogni concetto morfologico e sintattico relativa ad una qualunque teoria espressa in
un linguaggio numerabile con un insieme decidibile di assiomi, si può tradurre considerando opportuni insiemi decidibili di numeri.
Per ogni numero naturale n si può quindi decidere in modo effettivo se si tratta di un numero che sta
nell’immagine di ġ oppure no. Con la scrittura ⌐n¬ si indica, nel caso che esista, l’ente linguistico
tale che n = ġ(⌐n¬).Tutto ciò mette in luce che gli aspetti finitistici delle teorie, con le condizioni sopra delineate, possono ‘interpretarsi’ nell’aritmetica formalizzata che quindi si offre come una specie di metalinguaggio per le teorie stesse.
È in questo senso che Gödel cercava di interpretare l’Analisi nella Aritmetica.
9.1.2.2. Le funzioni ricorsive primitive. Per provare nei dettagli quanto il nostro si proponeva Gödel
ha ‘creato’ un nuovo campo della Matematica, la teoria delle funzioni ricorsive. Sviluppando considerazioni nate da queste idee si sono introdotti i computer.
In precedenza si è ‘abusato’ di locuzioni del tipo: ‘costruttivamente’, ‘effettivamente’, ‘numero finito di passi’, ‘calcolare’. Data la delicatezza dell’argomento, era necessario trovare una controparte
formale a tutte queste considerazioni intuitive. Già Dedekind aveva proposto una caratterizzazione
dell’Aritmetica mediante la ricursione. Ora si tratta di trasformare, una volta per tutte, alcune idee
vaghe ed altre formulate anche in contesti già abbastanza ‘matematici’, in modo formale e chiaro.
Le proposte di Gödel nascono dall’idea intuitiva di computabilità effettiva (o con un numero finito
di passi) e, in trasparenza, rimangono chiare in tutto il percorso. Per semplicità ci si limita a funzioni che hanno per argomenti numeri naturali e che assumono valori che sono ancora numeri naturali.
Si inizia dalla funzione costante che associa ad ogni numero naturale 0, Z: N → N, tale che per ogni n∈N, Z(n) = 0. Sulla calcolabilità di questa ci sono pochi dubbi. Anche la funzione successivo
S: N → N , è calcolabile e lo sono pure, per ogni n∈N*, per ogni k∈N* tale che k ≤ n, le funzioni
k-esima proiezione n-aria, Unk : N n →N. Per esemplificare queste proiezioni, si ha che comunque
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presa la n-pla ordinata ⟨m1, m2, …, mn⟩, Unk(m1,m2,…,mn) = mk. Nel caso particolare in cui n = 1, si
ottiene un'unica proiezione U11, che si assume coincidente con l’identità.
Queste funzioni (un’infinità numerabile) sono dette funzioni elementari. A partire da queste si costruiscono altre funzioni, che non sono più elementari, ma che conservano la computabilità. Le regole di costruzione sono due, sostituzione (ma in termini analitici si direbbe composizione) e ricursione (con parametri).
Sostituzione: siano date una funzione g: N m → N, e m funzioni h1, h2, …, hm : N r → N, allora si
ha la funzione ⟨h1,h2,…,hm⟩: N r → N m ed è (g◦⟨h1,h2,…,hm⟩): N r → N. La funzione f = (g◦⟨h1, h2,
…, hm⟩) si dice ottenuta per sostituzione da g e da h1, h2, …, hm. Intuitivamente, dati arbitrariamente
r numeri naturali, q1, q2, …, qr, se con un numero finito di passi si calcolano h1(q1,q2,…,qr),
h2(q1,q2,…,qr), …, hm(q1,q2,…,qr), e se anche la funzione g si calcola con un numero finito di passi
su ogni suo argomento, allora f(q1,q2,…,qr) = g(h1(q1,q2,…,qr),h2(q1,q2,…,qr),…, hm(q1,q2,…,qr)) si
calcola con un numero finito di passi. Il procedimento per calcolare f dipende dai procedimenti per
calcolare g, h1,…, hm e dagli argomenti.
Ricursione (primitiva) 2: siano date due funzioni g: N m → N e h: N m+2 → N. a partire da questi,
mediante la ricursione con parametri, si definisce un’unica funzione f: N m+1 → N tale che per ogni
m-pla di numeri naturali q1,q2,…,qm, si ha f(q1,q2,…,qm,0) = g(q1,q2,…,qm) e per ogni n∈N,
f(q1,q2,…,qm,S(n)) = h(q1,q2,…,qm,n,f(q1,q2,…,qm,n)).
Una funzione f si dice ricorsiva primitiva se è ottenuta come ultima funzione di una successione finita di funzioni in cui sono presenti solo funzioni elementari, oppure funzioni ottenute per sostituzione da funzioni precedenti, oppure funzioni ottenute per ricursione primitiva da funzioni precedenti.
La ‘vicinanza’ tra le derivazioni necessarie a provare che una funzione è ricorsiva primitiva e le deduzioni di una formula (dimostrabile) è evidente.
Gli esempi di funzioni aritmetiche ricorsive primitive sono numerosi e alcuni di essi riguardano le
operazioni aritmetiche fondamentali:
– addizione;
– moltiplicazione;
– elevamento a potenza;
– valore assoluto della sottrazione (che fornisce la differenza quando il minuendo è maggiore del
sottraendo);
2 L’aggettivo ‘primitivo’ non è di Gödel. Nello sviluppo della teoria delle funzioni ricorsive si introdurrà un’altra regola di ricursione
per poter esprimere una classe di funzioni ritenute computabili che non trovano espressione con le clausole qui stipulate. In altri testi,
le funzioni qui presentate vengono anche descritte come HG-ricorsive (abbreviazione di Herbrand-Gödel-ricorsive), in quanto ci sono contributi quasi contemporanei ed indipendenti di Herbrand che caratterizzano lo stesso tipo di funzioni.
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Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
–
il fattoriale;
–
il minimo e il massimo;
–
il quoziente e il resto della divisione.
Il concetto di ‘ricorsivo’ si estende ai sottinsiemi delle potenze di N. Infatti se A ⊆ N m, sia χA: N m
→ N la funzione caratteristica di A che assume valori 1 per ogni argomento che appartiene ad A, 0,
altrimenti. Si dice che A è ricorsivo primitivo se la sua funzione caratteristica è ricorsiva primitiva.
Buona parte delle dimostrazioni presentate da Gödel (1931) mostrano che gli insieme dei numeri
associati a termini, a formule, a teoremi, ed altro ancora, sono ricorsivi primitivi.
Una volta giunti alle relazioni numeriche, si può considerare una sorta di ‘algebra’ delle relazioni
stesse costruendone altre con le operazioni insiemistiche di intersezione, unione, differenza (ed anche complementazione rispetto and un dominio dato da una potenza di N). Queste operazioni conservano la proprietà di essere ricorsive (primitive). Date inoltre due funzioni ricorsive primitive, anche di variabili diverse, la relazione ottenuta uguagliandole è ricorsiva primitiva, ed inoltre se
f(q1,…,qn) è una funzione ricorsiva primitiva, P(x,r1,…,rk) è una relazione ricorsiva primitiva, la relazione S(x1,…,xn,y1,…,yk) definita da ∃x∈N(x ≤ f(q1,…,qn) ∧ P(x,r1,…,rk)) è ricorsiva primitiva.
In questa maniera si sono ‘tradotti’ i connettivi di congiunzione, disgiunzione e negazione, nonché
il quantificatore universale, ma da questi si ottengono poi le ‘traduzioni’ della implicazione e del
quantificatore universale, sottoposto, come l’esistenziale, alla limitazione.
Con queste considerazioni si mostra che altre proprietà e relazioni numeriche sono ricorsive primitive:
–
la relazione di divisibilità
–
la proprietà di essere un numero primo
–
la relazione che lega ciascun numero naturale n con lo n-esimo numero primo, costruendo così
l’enumerazione crescente dei numeri primi
–
le successioni di numeri naturali cui si associano le funzioni lunghezza, k-esimo termine delle
successioni, concatenazione delle successioni.
Con questi (ed altri) strumenti aritmetici, si riesce a costruire un’ampia classe di funzioni/relazioni
aritmetiche ricorsive primitive che traducono in termini aritmetici, stavolta precisi, le considerazioni
viste prima in modo intuitivo sul linguaggio numerabile ed anche sulla teoria assiomatica (con insieme di assiomi decidibile) che si sta considerando:
IC(x) sta per
esiste una costante individuale c tale che x = ġ(c), oppure c = ⌐x¬;
FL(x) sta per
esiste un simbolo funzionale f tale che x = ġ(f), oppure f = ⌐x¬;
PL(x) sta per
esiste un simbolo predicativo P tale che x = ġ(P), oppure P = ⌐x¬;
EVar(x) sta per
esiste una variabile individuale y tale che x = ġ(y), oppure y = ⌐x¬;
298
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
ArgT(x) = n sta per esiste un simbolo funzionale n – ario f tale che x = ġ(f);
ArgP(x) = m sta per esiste un simbolo predicativo m – ario P tale che x = ġ(P);
Neg(x) = y sta per
esiste una successione di simboli S tale che x = ġ(S) e y = ġ((¬S));
MP(x,y,z) sta per
esistono successioni di simboli S1, S2, S3, tali che x = ġ(S1), y = ġ(S2), z = ġ(S3)
e S1 = (S2 → S3) 3;
Gen(x,y) sta per
esiste una successione di simboli S1 tale che x = ġ(S1), y = ∃n∈N(n < y ∧
Evar(n) ∧ y = ġ(∀⌐n¬ (S1)));
Trm(x) sta per
esiste t∈Ter, tale che x = ġ(t), oppure t = ⌐x¬;
Sost(x,y,u,v) sta per esistono t∈Ter, z∈X, successioni S1 e S2 di simboli dell’alfabeto, tali che x =
ġ(S1), y = ġ(S2), u = ġ(t), v = ġ(z) e S1 si ottiene sostituendo t a z in tutte le presenze libere di z nella successione S2;
x = So(y,u,v) se
esistono t∈Ter, z∈X, successioni S1 e S2 di simboli dell’alfabeto, tali che x =
ġ(S1), y = ġ(S2), u = ġ(t), v = ġ(z) e S1 si ottiene sostituendo t a z in tutte le presenze libere di z nella successione S2;
Fml(x) sta per
esiste φ∈For, tale x = ġ(φ), oppure φ = ⌐x¬;
LAss(x) sta per
esiste una formula φ che è un esempio di un assioma logico A1) – A5) e x =
ġ(φ);
Ass(x) sta per
esiste una formula φ che è un esempio di un assioma proprio della teoria e x =
ġ(φ);
Di(x) sta per
esiste una successione di formule Φ = φ1, φ2, …, φs di formule tale che sia una
dimostrazione e ġ(Φ) = x.
Come si vede attraverso queste funzioni e relazioni numeriche, che non fanno comunemente parte
della consueta aritmetica, si riescono ad esprimere aspetti morfologici e sintattici importanti di una
qualunque teoria espressa con un alfabeto numerabile e con un insieme di assiomi decidibile.
D’ora in poi, invece di dire: ‘calcolare effettivamente’, ‘processo costruttivo’, ‘con un numero finito
di passi’, eccetera, si dirà ricorsivo (primitivo).
L’aritmetica si offre quindi come strumento in cui si possono tradurre tutti questi aspetti di una qualunque teoria soddisfacente le condizioni dette.
9.1.2.3. L’aritmetica formalizzata. Peano ha dato una presentazione assiomatica dell’Aritmetica.
Facendo un passo ulteriore, è possibile presentare in modo formalizzato l’aritmetica. Si ottiene in
questo modo una teoria del primo ordine, P, in onore di Peano. La cosa può essere fatta in più modi.
3 La relazione ternaria MP si considera qui applicata a generiche successioni di simboli, non esclusivamente a formule; lo stesso di-
casi per la successiva relazione binaria Gen.
299
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
Per rendere abbastanza semplice il tutto si considera il seguente linguaggio (o meglio la parte propria del linguaggio): {0} ∪ {f 10, f 20, f 21}∪ {=}. Si tratta quindi di un alfabeto numerabile, con una
sola costante individuale, un unico simbolo funzionale unario, due simboli funzionali binari e un unico simbolo predicativo binario, l’uguaglianza. Per tradizione, il simbolo funzionale unario si scrive S, e i due simboli funzionali binari si scrivono +, ⋅, ma non premessi, bensì tra i termini.
La costruzione dei termini e delle formule segue le consuete procedure.
Gli assiomi sono i seguenti
P1
∀x∀y∀z(x = y → (x = z → y = z))
P2
∀x∀y(x = y → S(x) = S(y))
P3
∀x(¬(0 = S(x)))
P4
∀x∀y(S(x) = S(y) → x = y)
P5
∀x(x + 0 = x)
P6
∀x∀y(x + S(y) = S(x + y))
P7
∀x(x⋅0 = 0)
P8
∀x∀y(x⋅S(y) = S(x⋅y) + x)
P9φ(x)
Per ogni formula φ(x),
(φ(0) → (∀x(φ(x) → φ(S(x))) → ∀x(φ(x)))).
Si tratta quindi di una teoria con un insieme infinito numerabile di assiomi, ma tali assiomi sono decidibili. Essa rientra, quindi, nel novero delle teorie che possono ‘tradursi’ nell’Aritmetica. Siamo
dunque in presenza di una sorta di circolo vizioso, ed è appunto questo che Gödel sfrutta per mettere in luce il fenomeno della incompletezza.
Si noti inoltre che per ogni numero naturale n, si può costruire un termine del linguaggio di P corrispondente ad esso. Basta porre 0 per la costante 0, 1 per S(0) = S(0), 2 per S(S(0)) = S(S(0)) = S(1),
ed in generale, usando un’abbreviazione ‘esponenziale’, n = S(n)(0). Tali termini prendono il nome
di numerali 4.
Un commento sugli assiomi: i primi due sono assiomi che permettono di dire che si tratta di una teoria con uguaglianza, in quanto sostitutiva rispetto all’uguaglianza stessa e rispetto al successivo. In
realtà la sostitutività della uguaglianza rispetto alla addizione ed alla moltiplicazione si ottiene per
teorema, in base alle definizioni ricorsive dell’addizione (P5 e P6) e della moltiplicazione (P7 e
P8). La coppia P3 e P4 costringe l’interpretazione del simbolo funzionale S ad essere un funzione
4 Solitamente in Aritmetica si distingue tra cifra, numero e numerale. Le cifre sono quelle usate nella ordinaria numerazione a base
dieci, ma si potrebbe estendere il concetto ad una numerazione a base qualunque (maggiore di uno). I numeri sono gli oggetti di cui si
occupa l’Aritmetica; i numerali sono le successione finite di cifre che in un sistema di numerazione (di una base qualunque) rappresentano i numeri. I numeri si possono rappresentare anche senza cifre (vedi i numeri romani, egizi, ecc.). Nel sistema P il concetto di
numerale è comunque associato ad una successione di segni dell’alfabeto, ma non avendo ‘cifre’ non sono quelli consueti
dell’Aritmetica.
300
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
del dominio di interpretazione in sé una funzione iniettiva e non suriettiva, quindi il dominio è un
insieme infinito in quanto l’immagine di tale funzione è un sottinsieme proprio del dominio in corrispondenza biunivoca col dominio stesso.
L’ultima richiesta è uno schema di assiomi, uno per ogni formula del linguaggio con (almeno) una
variabile individuale libera. Si tratta della versione al primo ordine del principio di induzione.
Rispetto ai più consueti postulati di Peano, il primo, cioè il fatto che 0 sia un numero naturale è implicito nella scelta del linguaggio. Lo stesso avviene per il secondo che afferma che il successivo di
un numero naturale è ancora un numero naturale, richiesta ‘assorbita’ dal considerare la presenza
del simbolo funzionale unario S. P5 e P6 traducono perfettamente le richieste del terzo e quarto postulato di Peano. Il principio di induzione viene tradotto con una affermazione limitativa al primo
ordine e per questo, per evitare difficoltà, è meglio mettere esplicitamente assiomi per l’addizione e
la moltiplicazione.
Applicando la gödelizzazione a P, si potrebbero fare delle scelte che rendano più piccoli i numeri
associati ai simboli del linguaggio, ma ciò non è rilevante.
È invece importante riflettere che ad ogni numero naturale n è associato un numerale n che è un
termine del linguaggio di P, quindi ad esso corrisponde un numero ġ(n). Il fenomeno
dell’autoriferimento della teoria P in se stessa inizia a questo punto, in quanto si può definire una
funzione, che è ricorsiva primitiva, Num che associa al numero naturale n, ġ(n), quindi Num(n) =
ġ(n). Con questo ingrediente si possono ora considerare le relazioni aritmetiche ricorsive primitive:
Bw(u,v,x,y) sta per
esiste una formula φ(z) ed esiste una variabile individuale z, libera in φ(z), con
u = ġ(φ(z)) e v = ġ(z), inoltre esiste una dimostrazione Φ in P di φ(x), formula
quest’ultima ottenuta sostituendo il numerale x al posto della variabile individuale z, ed infine y = ġ(Φ);
W1(u,y) sta per
esiste φ(x1) formula con libera la variabile x1, u = ġ(φ(x1)) ed esiste una dimostrazione Φ di φ(u) e y = ġ(Φ);
W2(u,y) sta per
esiste φ(x1) formula con libera la variabile x1, u = ġ(φ(x1)) ed esiste una dimostrazione Φ di (¬φ(u)) e y = ġ(Φ).
Con questi complessi strumenti aritmetici Gödel riesce a dimostrare che ogni funzione aritmetica
(n-aria) f è ricorsiva primitiva se e solo se esiste una formula φ(x1,…,xn,y) di P tale che per ogni
k1,…,kn, m∈N, f(k1,..,kn) = m se e solo se ├P φ(k1,…,kn,m). Una proprietà analoga vale per le relazioni numeriche: sia A una relazione tale che A ⊆ N r, allora A è relazione ricorsiva primitiva se e
solo se esiste una formula ψ(y1,…,yr) di P tale che per ogni h1,…,hr∈N, ⟨h1,…,hr⟩∈A se e solo se
├P ψ(h1,…,hr).
301
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
Questo risultato è sorprendente in quanto fornisce una descrizione completa delle proprietà di funzioni e relazioni che si riescono a descrivere mediante la teoria formalizzata P. Sono ben pochi i casi
di teorie formalizzate che riescono così bene a descrivere ciò che avviene delle loro interpretazioni.
Gödel osserva inoltre che esistono altre relazioni numeriche che non sono ricorsive primitive, in
particolare quella che lui indica con la formula Bew(x), che sta per ∃y(W1(x,y)) interpretabile come
il fatto che esista una formula φ(z) contenente una variabile individuale libera tale che x = ġ(φ(z)) e
che esista una dimostrazione Φ di essa tale che y = ġ(Φ), aprendo così il campo a nuovi sviluppi e
generalizzazioni della teoria delle funzioni ricorsive.
9.1.2.4. Il fenomeno della incompletezza. Sia K una qualunque teoria del primo ordine, con lo stesso
alfabeto di P. Si dice che K è ω-coerente allorché per ogni formula φ(x), se per ogni n∈N, ├K φ(n),
allora non si può dimostrare ├K ∃x(¬φ(x)). Questa condizione è un rafforzamento della richiesta di
coerenza. È però una richiesta che offre punti di criticità, in quanto fa intervenire i numeri naturali
non formali, ma quelli del metalinguaggio, richiedendo infinite dimostrazioni.
La dimostrazione originale di Gödel del teorema di incompletezza utilizza la nozione di ω-coerenza.
Nel 1936 Rosser in Extension of some theorems of Gödel and Church, Journal of symbolic Logic,
1, 87 – 91, riesce ad eliminare la nozione di ω-coerenza.
In base ad un risultato di Gödel indicato sopra, la relazione numerica W1(p,q) è ricorsiva primitiva,
quindi esiste una formula di P, Ω1(x,y) tale che, rispettivamente, per ogni coppia ordinata di numeri
naturali ⟨n,m⟩, si ha W1(n,m) se e solo se ├P Ω1(n,m) e non si ha W1(n,m) se e solo se ├P
(¬Ω1(n,m)). Ora si consideri la formula
(G1)
(¬(∃x2(Ω1(x1,x2))))
e sia ġ(¬(∃x2(Ω1(x1,x2)))) = m. Si ottiene ora l’enunciato
(G2)
(¬(∃x2(Ω1(m,x2))))
Si osservi che, per definizione di W1, per ogni coppia ordinata di numeri naturali ⟨p,q⟩ si ha W1(p,q)
se e solo se esiste una formula φ(x1) con libera la variabile x1, p = ġ(φ(x1)) ed esiste una dimostrazione Φ di φ(p) e q = ġ(Φ). Ma m = ġ(G1) e G1 è una formula contenente libera la variabile x1, quindi, in particolare W1(m,q) se e solo se q = ġ(Φ), ove Φ è una dimostrazione in P di ¬(∃x2(Ω1(m,x2))).
Si giunge così al primo teorema di incompletezza di Gödel: Se P è coerente, allora G2 non è dimostabile in P; se P è ω-coerente, allora (¬G2) non è dimostrabile in P.
Si può interpretare in modo ‘standard’ vale a dire nella consueta intuizione dei numeri naturali, la
formula G2. Siccome Ω1 esprime la relazione W1 in P, G2 afferma che non esiste una dimostrazione
di G1, quindi che W1(m,q) è falsa per ogni q∈N, ma da qui, che G2 non è dimostrabile. Dunque G2 è
una sorta di ‘paradosso del mentitore’, solo che invece di dire ‘io mento’, afferma, in non sono di302
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
mostrabile. Ma la presenza di un enunciato non dimostrabile comporta la coerenza della teoria. Allora se la teoria dei numeri naturali è coerente, G2 è vera, ma non è dimostrabile; se la teoria dei
numeri naturali non è coerente, allora ogni enunciato è dimostrabile e quindi lo è anche G2, che afferma di non esserlo. La differenza con il paradosso citato è che si sta parlando non di vero o falso,
nozioni semantiche, ma di dimostrabile o non dimostrabile, nozioni sintattiche.
Rosser riesce a togliere la condizione di ω-coerenza con una formula più complessa, in cui utilizza
anche la relazione numerica W2 e, di conseguenza la formula Ω2 di P. Prende
(R1)
∀x2(Ω1(x1,x2) → ∃x3(x3 < x2 ∧ Ω2(x1,x3)))
formula contenente libera solo la variabile x1, e se n = ġ(R1), si considera l’enunciato
(R2)
∀x2(Ω1(n,x2) → ∃x3(x3 < x2 ∧ Ω2(n,x3)))
Intuitivamente R2 afferma che per ogni numero naturale, se esso è il numero di Gödel di una dimostrazione di R1, allora esiste un numero più piccolo che è una dimostrazione di (¬R1). Con queste
modifiche si prova che se P è coerente allora sia R2 che ¬(R2) sono indimostrabili in P (Teorema di
Gödel – Rosser).
Potrebbe risultare ‘strano’ richiedere come ipotesi la coerenza della teoria P che formalizza la consueta Aritmetica e quindi dovrebbe avere un modello ‘assicurato’. Ma l’esistenza di questo modello,
su cui ‘tutti’ sono d’accordo, alla luce del teorema di completezza, richiede di assumere ipotesi semantiche che fanno intervenire gli insiemi, perdendo, di fatto, l’aspetto finitistico che invece è peculiare in questa indagine. Quindi tra il supporre che esista un modello per P, o meglio ancora che
‘quello’ che noi tutti pensiamo sia modello di P, e che P sia coerente, la seconda opzione è quella
che richiede meno.
9.1.2.5. Il secondo teorema di incompletezza. Con questo secondo teorema si vuole provare che, assunta la coerenza della teoria P, tale coerenza non è dimostrabile direttamente. Anche in questo caso l’assumere una proprietà di coerenza di P può sembrare ancora più strano di prima. Ma se P non
fosse coerente allora ogni enunciato sarebbe dimostrabile, facendo ‘svanire’ il problema di trovare
una dimostrazione diretta della coerenza, ed assieme ad esso problema rischierebbe di svanire
l’intera Matematica.
Vediamo come procede Gödel. Essendo possibile definire una relazione numerica ricorsiva primitiva Bw (si veda 9.1.2.3.) che esprime la dimostrabilità, essa è a sua volta associata ad una formula di
P che la rappresenta, nel senso detto in precedenza. Lavorando opportunamente su di essa si giunge
ad una relazione numerica binaria ricorsiva primitiva
Dim(x,y) sta per
esiste una formula φ tale che ġ(φ) = x ed esiste una dimostrazione Φ di φ tale
che ġ(Φ) = y.
303
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
Ad essa corrisponde la formula ∆(x,y) tale che per ogni coppia di numeri naturali n, m, si ha
Dim(n,m) se e solo se ├P ∆(n,m). Analogamente alla funzione ricorsiva primitiva Neg corrisponde
una formula Ψ(x,y) tale che per ogni coppia di numeri naturali h, k, Neg(h) = k se e solo se
├P Ψ(h,k). Con questi ingredienti si può costruire la formula
CoerP: (¬(∃x1∃x2∃x3∃x4(∆(x1,x3) ∧ ∆(x2,x4) ∧ Ψ(x1,x2))))
cioè l’enunciato che afferma che non esistono due (formule) aventi numero di Gödel x1 e x2 dimostrabili tali che la seconda sia la negazione della prima. Quindi è possibile esprimere in modo diretto la coerenza della Aritmetica formalizzata P, ma nel caso che l’Aritmetica stessa sia coerente, allora la formula CoerP è vera.
Gödel osserva che tutte le considerazioni presentate per provare il primo teorema, permettono di
concludere che ├P (CoerP → G2) in quanto la formula esprime il fatto che se la teoria è coerente allora da essa discende la formula indimostrabile G2. Se quindi nella Aritmetica ci fosse una dimostrazione diretta di CoerP, da essa si deriverebbe una dimostrazione di G2, cioè G2 sarebbe una formula dimostrabile, quindi vera in ogni interpretazioni che sia modello dell’Aritmetica e ivi falsa.
Gödel conclude dicendo:
«In questo articolo ci siamo occupati solo del sistema P, limitandoci ad indicare applicazioni ad altri sistemi. I
risultati verranno formulati e dimostrati nella loro piena generalità in una seconda parte che sarà pubblicata tra
poco. In quell’occasione, inoltre la dimostrazione del Teorema XI, qui solo accennata, verrà data in dettaglio»(da Gödel, 1931).
In una ripubblicazione del testo, Gödel aggiunge una nota, datata 28 agosto 1963:
«In seguito ad ulteriori risultati, in particolare al fatto che, grazie al lavoro di A.M. Turing, si
Alan Turing
(1912 – 1954)
può ora dare una definizione rigorosa ed adeguata al di là di ogni dubbio, del concetto generale
di sistema formale, è oggi possibile una versione del tutto generale dei teoremi VI e XI. In altre
parole si può dimostrare rigorosamente che in ogni sistema formale coerente che contenga una
certa quantità di teoria finitaria dei numeri, esistono proposizioni aritmetiche indecidibili, e inoltre, che la coerenza di ognuno di questi sistemi non può essere dimostrata all’interno del sistema
stesso. » (da Shanker, 1991) 5
Questa chiara affermazione della valenza dimostrativa di quanto provato è in apparente contrasto
con quanto Gödel stesso afferma a commento del suo Teorema XI (il secondo teorema)
«Tutta la dimostrazione del Teorema XI si può trasferire, parola per parola al sistema di assiomi M della teoria
degli insiemi e a quello della matematica classica A, e anche in questo caso, porta al risultato: Non esiste una
dimostrazione di coerenza di M, o di A, che possa essere formalizzata in M o in A rispettivamente, nell’ipotesi
che M o A siano coerenti. Vorrei osservare espressamente che il Teorema XI (e i risultati corrispondenti per M e
A) non contraddicono il punto di vista formalista di Hilbert. Questa posizione infatti presuppone soltanto
l’esistenza di una dimostrazione di coerenza in cui si usino solo mezzi finitari, e si può supporre che esistano dimostrazioni finitarie che non possono essere espresse nel formalismo di P (o di M o di A)» (da Gödel, 1931)
Qui il nostro, mostra una certa cautela nei confronti di Hilbert, cautela d’altronde giustificabile dato
che si trovava a 24/25 anni a ‘demolire’ un progetto di grande portata, proposto da uno dei massimi
matematici di ogni tempo, contornato da una cerchia di discepoli di riconosciuto valore.
5 Shanker S.G. (Ed.). (1991). Il teorema di Gödel – Una messa a fuoco. Padova: Franco Muzzio Editore
304
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
Può anche darsi che mancando una chiara individuazione di cosa volesse dire ‘finitistico’ il nostro
non volesse presentare affermazioni contestabili.
Le teorie cui fa riferimento sono la teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel-Skolem, e l’articolo di
Von Neumann del 1927 sulla teoria della dimostrazione di Hilbert.
La posizione di cautela appare anche in uno scritto, sempre del 1931, Diskussion zur Grundlegung
der Mathematik Nachtrag, Erkenntnis, 2, 200 – 205, in cui Gödel scrive:
«Per un sistema formale nel quale siano formalizzate tutte le forme di ragionamento finitiste (ossia quelle intuizionisticamente accettabili) sarebbe dunque assolutamente impossibile una dimostrazione finitista di non contraddittorietà come quella cercata dai formalisti. Se però uno dei sistemi finora costruiti (per esempio i Principia
Matematica) sia davvero così potente (o se un sistema di tale potenza esista) appare problematico.» (da Borga
& Palladino, 1997).
La dimostrazione di Gödel non può essere interpretata come l’impossibilità assoluta di una dimostrazione diretta della coerenza della Aritmetica formalizzata, ma mostra solo che con le tecniche
proposte (funzioni ricorsive primitive) tale dimostrazione non è possibile, vista anche l’incertezza
sui contorni del finitismo hilbertiano. E di fatto altra ricerca, che continua ancora oggi, è sulla possibilità di metodi anche parzialmente non formalizzabili nell’Aritmetica formalizzata, mediante i
quali raggiungere lo scopo.
Ma la ‘bontà’ della sua proposta è ribadita a chiare lettere nella nota aggiunta
nel 1963.
La ‘sorpresa’ dell’incompletezza fu anche maggiore per il fatto che Presburger. (1929) Über die Vollständigkeit eines gewissen Systeme der Arithmetik
ganzer Zahlen im welchem die Addition als einzige Operation hervortritt.
Mojžesz Pressburger
(1904 – 1943)
Comptes rendues 1er Cong. Math. Pays Slaves, 192 – 201. Pressburger dimostrava che l’Aritmetica ‘scolastica’, che si può presentare come un sotto-
sistema di P, in cui si elimini il simbolo funzionale per la moltiplicazione e gli assiomi P7 e P8 che
ne danno la definizione ricorsiva, è un sistema decidibile e completo. In questa teoria la moltiplicazione è definita tramite l’addizione ripetuta.
Una notazione didattica: c’è differenza tra la moltiplicazione definita ricorsivamente e come addizione ripetuta, come mostra il fatto che una teoria è incompleta e l’altra è completa.
9.1.2.6. La comunicazione della incompletezza 6. La tesi di dottorato, presentata nell’autunno del
1929, contenente il teorema di completezza, viene discussa il 6 febbraio 1930. Dopo la tesi il matematico di Brno si mette a preparare il lavoro per l’abilitazione e scopre il fenomeno della incompletezza dell’aritmetica formalizzata. In un convegno svoltosi a Königsberg sulla epistemologia delle
scienze esatte, all’inizio di settembre 1930, Gödel presenta il 6 di settembre una comunicazione di
6 Per questo argomento si utilizza il testo di Shanker (1991).
305
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
venti minuti che illustra la dimostrazione del teorema di completezza, non ancora pubblicata su rivista. Il giorno successivo, ebbe luogo una sorta di discussione, presieduta da Hahn sui fondamenti
della Matematica, come una delle ultime sedute del convegno e di cui si ha una trascrizione abbreviata apparsa in Erkenntnis 2 (1931), 135 – 151. In tale occasione Gödel, probabilmente su invito di
Hahn, diede notizia in modo quasi casuale, della scoperta dell’incompletezza. Il nostro, al di fuori
delle conoscenze viennesi, era un perfetto sconosciuto. Dal verbale della seduta, sembra chiaro che
la notizia fosse del tutto inaspettata. Non appare neppure che su quanto detto da Gödel ci fosse una
reazione e questo può suonare strano, dato che alla seduta erano presenti Carnap e Hahn che avevano già avuto notizia del risultato in una riunione del Circolo di Vienna, nel quale Gödel era stato introdotto da Hahn. Nella sintesi globale del convegno non si fa menzione di questo intervento di Gödel. Si è avanzata l’ipotesi che l’annuncio fatto fosse una novità anche per il relatore di tesi. Confrontando il lavoro con il Nachlass di Gödel, un suo brogliaccio personale che lo accompagno per
molti anni e in cui si sono ritrovati vari risultati importanti non pubblicati, si vede che la stesura originale del lavoro sull’incompletezza prevedeva una parte esplicativa che poi è stata cancellata, alterazione che non si sa se fu suggerita da qualche matematico. Forse Hahn stesso non aveva colto fino
in fondo la novità e l’importanza della scoperta di Gödel, o forse aspettava di vedere la dimostrazione completa di quanto affermato. Sappiamo però che pochi giorni prima del congresso di Königsberg, il 26 agosto, Gödel aveva confidato a Carnap la scoperta in un incontro al caffè e Carnap sul
suo diario riporta:
«Scoperta di Gödel: incompletezza del sistema PM; difficoltà della dimostrazione di coerenza» (da Shanker,
1991)
Tre giorni più tardi, nello stesso caffè, di nuovo, Gödel di nuovo parla con Carnap della sua scoperta. Stupisce allora il silenzio di Carnap nella discussione di Königsberg, ed anzi il fatto che durante
il congresso abbia sostenuto la coerenza come criterio di adeguatezza per le teorie formali. Una possibile interpretazione di questi fatti è che anche Carnap non avesse compreso fino in fondo la novità
e la portata delle proposte del matematico più giovane, oppure che aspettasse di vedere nei dettagli
una dimostrazione, che come si è cercato di delineare è, al tempo stesso, innovativa negli strumenti
e estremamente complessa nello svolgimento.
Infatti, sempre dal diario di Carnap alla data del 7 febbraio 1931, dopo la stampa del lavoro di Gödel, si trova questo appunto:
«Venuto Gödel. Circa il suo lavoro io dico che è estremamente difficile capirlo» (da Shanker,
1991).
Le cose poi cambiarono, dato che Popper disse:
«Il lavoro sulle proposizioni formalmente indecidibili fu avvertito come un terremoto, in particolare anche da Carnap» (da
Karl Popper
(1902 – 1994)
Shanker, 1991)
306
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
Tra i partecipanti alla discussione sui fondamenti, Von Neumann apprezzò immediatamente la proposta di Gödel, tanto da prenderlo in disparte al termine della seduta stessa e di chiedergli insistentemente i particolari. Il 20 novembre scrisse a Gödel per annunciargli un corollario dei suoi risultati,
la non dimostrabilità della coerenza:
«Se c’è una dimostrazione finitista, allora questa può essere formalizzata. La dimostrazione di Gödel implica
quindi l’impossibilità di una dimostrazione di non contraddittorietà» (da Borga & Palladino, 1997).
Ma Gödel aveva già scoperto il suo ‘secondo teorema’ ed inoltre osservava in una seduta del Circolo di Vienna, che il ragionamento di Von Neumann aveva, a suo dire, un punto debole. Risponde a
Von Neumann avvertendolo che il 17 novembre ha già inviato alla redazione di Monatshefte für
Mathematik und Physik, l’articolo Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica
und verwandter Systeme I, che apparirà nel primo volume della rivista dell’anno 1931, con la dimostrazione dello stesso teorema.
Ancora prima che nel gennaio del 1931 apparisse il lavoro, si stava spargendo la voce della scoperta
fatta. Ad esempio Bernays scrive a Gödel il 24 dicembre 1930 richiedendogli copia delle bozze del
lavoro. Il nostro rispose prontamente e ricevette da Bernays il 18 gennaio 1931 ricevuta dell’invio
effettuato. Frattanto, il 15 gennaio 1931, Gödel forniva un’ampia spiegazione del suo lavoro in una
seduta del Circolo di Vienna.
Vi furono anche reazioni assai vivaci. Da una parte Zermelo criticò aspramente quanto detto dal
giovane matematico, accusandolo di ‘Skolemismo’ cioè la possibilità di ricondurre una qualunque
teoria a modelli numerabili. Il tentativo di Gödel era quindi da rigettare in quanto si applicavano limitazioni finitistiche non a tutti gli enunciati, ma solo a quelli dimostrabili. Tuttavia non contestò la
correttezza della dimostrazione di Gödel, ma, eventualmente, le idee ad essa soggiacenti.
Nel giugno del 1931 lo scritto sulla incompletezza fu presentato alla Università di
Vienna come prova per ottenere l’abilitazione, titolo che venne rilasciato il giorno
Paul Finsler
(1894 – 1970)
11 marzo 1933, circa due anni dopo. Nello stesso giorno Finsler, che insegnava a
Zurigo, chiese copia dell’articolo, in quanto interessato per i possibili punti di con-
tatto con un suo articolo del 1926. Alla lettura, riconosceva a Gödel una presentazione formale più
precisa, ma che in fondo i risultati del giovane matematico erano strettamente connessi ai suoi. Gödel comprese la sfida che la lettera proponeva e procuratosi il lavoro di Finsler mostrò che il procedimento che ivi veniva proposta non era rappresentabile nel suo sistema ed inoltre che la presentazione di Finsler non avrebbe potuto essere espressa in un qualsiasi sistema formalizzato, e le sue
scoperte avevano ben poco da fare con quelle del nostro. D’altra parte il docente di Zurigo aveva
sostenuto anche altrove l’idea che i sistemi formali fossero artificiosamente restrittivi, e come tali
da evitare.
307
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
Il sostegno più importante alla affermazione dell’importanza del suo risultato, Gödel lo ebbe proprio dalla scuola di Hilbert, tanto che la dimostrazione (dettagliata) dei risultati di incompletezza ed
anche del Teorema XI, vennero pubblicati nel 1939 nel secondo volume delle Grundlagen der Mathematik di Hilbert e Bernays. E con lo ‘imprimatur’ di Hilbert, le posizioni di dubbio nei confronti
di quanto provato, vennero messe a tacere definitivamente.
Per quanto riguarda i formalisti di ‘stretta osservanza’ dopo la pubblicazione del lavoro di Gödel
cessarono, quasi completamente i tentativi di provare in modo diretto la coerenza della Analisi.
9.1.3. Conseguenze della incompletezza. La seconda parte del lavoro di Gödel, preannunciata
dall’autore stesso come “imminente” non venne mai pubblicata. Questo fu forse conseguenza del
fatto che la sua proposta venne accettata in vasti strati della cultura del tempo e che non sentisse più
l’esigenza di ‘limare’ gli strumenti per un risultato che ormai faceva discutere, ma era anche visto
come uno dei maggiori risultati matematici finora ottenuti.
Il 14 marzo 1951, Von Neumann presiedendo la cerimonia di conferimento della medaglia Einstein
a Gödel pronunciava le seguenti parole:
«Il risultato di Kurt Gödel nella logica moderna è unico e monumentale – in realtà è più di un monumento, è una
pietra miliare che resterà visibile da lontano nello spazio e nel tempo. » (da Shanker, 1991)
Nel 1936, Turing, Church, Kleene, con le loro proposte diverse e
coincidenti, estesero la teoria delle funzioni ricorsive, mostrando
così, da una parte, le limitazioni insite nella proposta di Gödel,
ma la sostanziale bontà dell’idea che le funzioni ricorsive fossero
Alonzo Church
(1903 – 1995)
la controparte formale delle varie possibili intuizioni della calcolabilità.
Stephen Kleene
(1909 – 1994)
In un altro ambito, quello degli studiosi di teoria dei numeri, la costruzione degli enunciati indecidibili vennero ‘snobbati’ perché costruzioni ‘artificiose’. La situazione mutò drasticamente nel 1970
quando Yuri Matijasevic risolse, negativamente, il 10° problema di Hilbert relativo ai metodi risolutivi delle equazioni diofantee, basandosi sulla teoria delle funzioni ricorsive e nel 1977, quando Jeff
Paris e Leo Harrigton riuscirono a provare che una congettura di Ramsey sui numeri naturali non è
dimostrabile nell’Aritmetica di Peano in quanto la sua dimostrazione implicherebbe la coerenza
dell’Aritmetica stessa.
Un’osservazione che è presente nell’articolo sulla incompletezza è che la situazione mostrata per la
teoria formale P si può ripetere, dice Gödel, anche per altre teorie, in particolare per la teoria degli
insiemi. Zermelo aveva detto, si veda 7.1.2.1., che non era ancora riuscito a provare che i suoi assiomi erano coerenti, anche se questo aspetto era della massima importanza. Dopo il teorema di incompletezza, sappiamo che tale ricerca non poteva concludersi positivamente.
308
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
Come conseguenza dei risultati di Gödel si sono analizzate varie teorie per vedere quali presentassero il fenomeno di incompletezza. Sicuramente le teorie nelle quali sono esprimibili i numeri naturali
e si possono provare come teoremi gli assiomi di P, se hanno insieme di assiomi propri decidibile,
permettono di rifare all’interno le funzioni ricorsive e di provare quindi l’incompletezza in base alla
stessa dimostrazione di Gödel. Ma se si vuole fare la Matematica ‘standard’ è difficile rinunciare
all’uguaglianza, ai numeri naturali ed alle proprietà fondamentali di essi.
Un dubbio potrebbe venire dal fatto che l’incompletezza sia dovuta dalla presenza, come assiomi o
come teoremi, degli infiniti esempi derivati dal principio di induzione. Ma così non è.
Nel 1950 Raphael Robinson presenta una teoria che ha gli stessi simboli di P, che ha 14 assiomi,
non schemi, i seguenti:
1.
∀x1(x1 = x1)
2.
∀x1∀x2(x1 = x2 → x2 = x1)
3.
∀x1∀x2∀x3(x1 = x2 →(x2 = x3 → x1 = x3))
4.
∀x1∀x2( x1 = x2 → S(x1) = S(x2))
5.
∀x1∀x2∀x3(x1 = x2 → (x1+x3 = x2+x3 ∧ x3+x1 = x3+x2))
6.
∀x1∀x2∀x3(x1 = x2 → (x1·x3 = x2·x3 ∧ x3·x1 = x3·x2))
7.
∀x1∀x2(S(x1) = S(x2) → x1 = x2)
8.
∀x1(¬ 0 = S(x1))
9.
∀x1(¬ 0 = x1→ ∃x2(x1 = S(x2)))
10.
∀x1(x1+0 = x1)
11.
∀x1∀x2(x1+S(x2) = S(x1+x2))
12.
∀x1(x1·0 = 0)
13.
∀x1∀x2(x1·S(x2) = (x1·x2) + x1))
14.
∀x1∀x2∀x3∀x4∀x5∀x6((x2 = (x1·x3) + x4 ∧ x4 < x1 ∧ x2 = (x1·x6) + x5 ∧ x5 < x1) → x4 = x5)
Raphael Robinson
(1911 – 1995)
La teoria con questi assiomi viene indicata con la sigla Q. Essa è una teoria con uguaglianza, sottoteoria propria di P, in cui però non si può dimostrare che ogni numero è pari oppure è dispari, tuttavia in essa ogni funzione / relazione ricorsiva primitiva è rappresentabile mediante formule di Q. Ne
segue che se la teoria Q è coerente, allora c’è un enunciato indecidibile. In un certo senso questa
proposta di R. Robinson è il ‘termometro’ per la incompletezza. Ogni teoria decidibile che estende
Q è detta ‘sufficientemente potente’ e presenta il fenomeno della incompletezza. Tali aspetti non
sono limitati alle teorie del primo ordine, ma si possono estendere anche agli ordini superiori. In
questo modo sembra definitivamente tramontata la speranza di una assiomatizzazione coerente e
completa della Matematica.
309
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
Vediamo un’altra conseguenza del teorema di Gödel. Prima dobbiamo ricordare una proprietà generale. Se data una teoria T, un enunciato φ è tale che (¬φ) non è dimostrabile in T, allora la teoria T è
coerente, per la presenza di un enunciato non dimostrabile, e si ha che anche la teoria (T∪{φ}) è coerente. Ciò dipende dal fatto che se la seconda teoria fosse contraddittoria, allora si potrebbe provare in essa un assurdo, che indichiamo genericamente con ⊥. Per il teorema di deduzione sarebbe allora dimostrabile a partire da T l’enunciato (φ → ⊥) che equivale alla dimostrabilità in T di (¬φ),
contro l’ipotesi.
Si supponga ora che la teoria P0 = P sia coerente e si ponga φ0 = R2. Per il teorema di Gödel-Rosser,
l’enunciato è tale che (¬φ0) non è dimostrabile a partire da P, ma anche l’enunciato (¬(¬φ0)), che è
logicamente equivalente a R2 non è dimostrabile. Sia allora P1 = (P0∪{φ0}) è una teoria coerente ed
anche P2 = (P0∪{(¬φ0)}) è una teoria coerente. Si tratta in entrambi i casi di estensioni di P, con lo
stesso linguaggio di P e un insieme decidibile di assiomi quindi presentano il fenomeno della incompletezza. Rifacendo in queste nuove teorie la dimostrazione di Gödel, necessaria in quanto sono
cambiati alcune relazioni numeriche, in particolare Ass, si ottiene per la prima un enunciato φ1 tale
che sia esso che la sua negazione sono non dimostrabili a partire da P1, e nel secondo caso un altro
enunciato φ2 tale che sia esso che la sua negazione sono non dimostrabili a partire da P2. Si costruiscono allora le quattro teorie coerenti P11 = (P1∪{φ1}), P12 = (P1∪{(¬φ1)}), P21 = (P2∪{φ2}) e P22
= (P2∪{(¬φ2)}). Si applica ulteriormente il teorema di Gödel a ciascuna delle teorie indicate ottenendo nel primo caso una formula φ11, nel secondo caso una formula φ12, nel terzo una formula φ21
e nel quarto una formula φ22, ciascuna delle quali indecidibile per la teoria con la stessa numerazione. Di qui si producono 8 teorie P111, P112, P121, P122, P211, P212, P221, P222 e dovrebbe essere chiaro
di che teorie si tratti, vale a dire di quali sono gli assiomi aggiuntivi che ne fanno un’estensione coerente di P. Si continua in questo modo ottenendo un insieme infinito di teorie, tutte coerenti, decidibili e tutte sullo stesso linguaggio, ma essendo gli indici di tali teorie date da arbitrarie successione
s: N* → {1,2} delle cifre 1 e 2, è immediato concludere che vi è una infinità più che numerabile di
tali teorie.
Ciascuna di queste teorie coerenti ha modelli infiniti, essendo estensione di P, quindi (Teorema di
Löwenheim – Skolem) ha modello numerabile. Prese due teorie diverse ottenute col processo visto
sopra, esse avranno almeno una cifra diversa negli indici. Se la prima differenza è al posto k, allora il modello per l’una non sarà modello per l’altra, in quanto essi saranno diversi perché in uno sarà vera, tra le altre, una certa formula φ e
nell’altro sarà vera la negazione di φ. Quindi i modelli non possono essere isoAndrzej Ehrenfeucht
(n. 1932)
morfi. Si è così provato il teorema di Ehrenfeucht: Se P è coerente, esistono
310
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
almeno 2ℵ0 modelli di P su insiemi di cardinalità ℵ0, non isomorfi.
Questo risultato, ‘sistema’ negativamente una volta per tutte la pretesa di ‘caratterizzare’ attraverso
la teoria formale i modelli (numerabili) dell’Aritmetica. Dal punto di vista cognitivo è però una sorta di ‘smacco’ sulla nostra pretesa di essere in grado di risolvere qualunque problema matematico,
visto che già trattando la Matematica che scolasticamente abbiamo trattata per prima, siamo in così
grandi difficoltà.
Un altro risultato, trovato per altra strada, ma che si può ottenere dalla scoperta dell’incompletezza
è contenuto nel fondamentale lavoro Tarski, A. (1936). Der Wahrheitsbegriff in den formalisiert
Sprachen, Studia philosophica, 1, 261 – 405. Si consideri ‘il’ modello di P, ed in esso l’insieme V
dei numeri di Gödel delle formule che sono vere in tale modello. L’insieme V non è aritmetico, cioè
non esiste una formula ν(x) del linguaggio di P tale che n∈V se e solo se ├P ν(n). La dimostrazione
è per assurdo. Si suppone che V sia aritmetico, e sia K la teoria del primo ordine con lo stesso linguaggio di P che estende P con tutte le formule vere nel modello standard. K sarebbe una teoria coerente, decidibile e, banalmente, l’insieme dei teoremi di K includerebbe tutte le formule vere nel
modello standard. Ma presenterebbe anche il fenomeno di incompletezza, quindi ci sarebbe una
formula che sarebbe vera e non dimostrabile in K e al contempo un teorema di K.
Questo ed altri risultati hanno posto l’attenzione sulla differenza tra i concetti di vero e di dimostrabile. La loro ‘coincidenza’ è legata alla presunzione del modello ‘unico’ o ‘canonico’, prerogativa
di ben poche teorie del primo ordine, sicuramente non dell’Aritmetica e di tutte quelle ‘sufficientemente potenti’.
La ‘mancata’ seconda parte del lavoro sull’incompletezza, cioè la dimostrazione rigorosa del secondo teorema di Gödel, compare prima nel secondo volume, edito nel 1939, di Hilbert, D. & Bernays, P. icie poi è presentata in termini ben più analitici e criticata in Feferman S. (1960) Arithmetization of Metamathematics, Fundamenta Mathematicae, 49, 35 – 92. In questo articolo, Feferman
mette in luce che in ogni teoria sufficientemente potente possono esservi contemporaneamente più
formule che esprimono uno stesso concetto metamatematico. Allora alcuni risultati possono essere
conseguenza delle scelte fatte tra le formule che esprimono tutte lo stesso concetto. Nella dimostrazione del secondo teorema di Gödel la proprietà di non contraddittorietà è proprio una di queste. Si
pone, pertanto, il problema di scegliere tra le formule, e Feferman definisce, seppure in modo convenzionale, come fare una scelta che potrebbe chiamarsi canonica. Con questa i risultati di Gödel
vengono dimostrati in modo preciso, ma Feferman mostra che cambiando opportunamente scelta,
non si ottiene più la dimostrazione del secondo teorema di Gödel.
9,2. Alcuni altri risultati di Gödel.
311
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
La produzione scientifica di Gödel è impressionante.
Nel 1931 compaiono a stampa 8 suoi lavori (alcuni sono recensioni di lavori altrui); 16 nel 1932; 14
nel 1933. Tra i lavori di quest’ultimo anno, vi è anche l’opera in cui presenta la traduzione
dell’Aritmetica classica in quella intuizionista (1933), di cui si è già detto in 8.3.3. Grazie alla presenza di tale traduzione apparve chiaro che, per quanto riguardava l’Aritmetica, intuizionismo e finitismo erano modi di pensare diversi, ed era più restrittivo il secondo.
Continua con questo ritmo fino al 1936. Poi si assiste ad una interruzione, ma sono gli anni del trasferimento negli Stati Uniti.
9.2.1. Ipotesi del continuo e assioma di scelta. Nel triennio 1938 – 1940 Gödel produce ‘solo’ quattro lavori sul problema della coerenza dell’assioma di scelta e dell’ipotesi generalizzata del continuo relativamente alla teoria degli insiemi. I primi tre sono o semplici annunci dei risultati, o lavori
scritti in modo molto stringato. L’ultimo The consistency of the axiom of choice and of generalized
continuum hypothesis with the axioms of set theory, Annals of Mathematics Studies, Vol. 3, Princeton: Princeton University Press è una monografia che raccoglie gli appunti di uno studente frequntante un corso tenuto da Gödel sull’argomento del titolo.
Nel 1878 Cantor poneva il problema di vedere se esistono sottinsiemi infiniti dell’insieme dei numeri reali aventi cardinalità intermedia tra la cardinalità numerabile dell’insieme
dei numeri naturali e quella del continuo. La sua congettura era che insiemi di
questo tipo non potevano esistere, anzi riteneva di avere trovato la dimostrazione
di ciò. L’importanza della cosa è testimoniata dal fatto che Hilbert pone come
Wacław Sierpinski
(1882 – 1969)
primo problema della lista del Congresso di Parigi, quello di dimostrare la congettura. Nel 1934 Sierpinski con un suo saggio sull’ipotesi del continuo mette in
luce le conseguenze dell’accettazione dell’ipotesi del continuo in vari ambiti ma-
tematici e principalmente in Analisi funzionale.
Accanto a questo problema, dopo i lavori di Zermelo e le apparenti contraddizioni
(la decomposizione paradossale della sfera che si avvale di risultati di Hausdorff e
dimostrata da Banach e Tarski, 1924) che venivano provocate dalla accettazione
dell’assioma di scelta, nonché la posizione dei matematici francesi sul tema, aveStefan Banach
(1892 – 1945)
vano mal disposto molti matematici, nei riguardi di questo principio insiemistico..
L’assioma di scelta con la sua natura intrinsecamente infinitaria veniva visto come
un’indebita generalizzazione di procedimenti attuabili al finito. La critica intuizio-
312
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
nista era, su questo argomento, molto dura e le sue giustificate perplessità venivano condivise anche
da non intuizionisti. D’altra parte l’assioma di scelta trovava applicazioni importanti in Algebra,
Analisi e Topologia.
La situazione era quindi quella di una ben controversa attenzione per l’assioma di scelta generale e
di più fiducia nella accettazione della ipotesi del continuo.
Anche su questa ipotesi è bene intendersi. Ci sono vari modi di formulare l’ipotesi del continuo:
uno fa riferimento ai numeri cardinali ed uno non fa riferimento ad essi e per distinguerli il primo è
detto la ‫א‬-ipotesi.
L’ipotesi del continuo come ‫א‬-ipotesi è l’affermazione che ℵ1 = 2ℵ0 . Il secondo modo fa riferimento
a sottinsiemi e funzioni: Sia A un insieme equipotente a N. Per ogni insieme B ⊆ P(A) tale che esiste una funzione iniettiva f: A → B, si ha che B è equipotente a A oppure B è equipotente a P(A). Il
nome di ‘ipotesi del continuo’ dipende dal fatto che il problema si è generato nell’ambito dei numeri reali, il continuo. E siccome si può trovare abbastanza semplicemente una biezione tra R e P(N),
il ruolo della ipotesi è quello di proporre di sapere come sono i sottinsiemi infiniti di R.
L’ipotesi generalizzata del continuo è allora esprimibile come ‫א‬-ipotesi, cioè per ogni ordinale α,
ℵα +1 = 2ℵα
.Nell’altra forma si ha che se A un insieme infinito. Per ogni insieme B ⊆ P(A) tale che
esiste una funzione iniettiva f: A → B, si ha che B è equipotente a A oppure B è equipotente a P(A).
Gödel dà un contributo matematico importante mostrando che l’assioma di scelta e l’ipotesi generalizzata del continuo sono entrambe compatibili con la teoria degli insiemi (NBG), vale a dire se con
l’aggiunta di questi principi come assiomi si ottenesse una contraddizione, questa sarebbe ottenibile
anche dalla sola teoria degli insiemi.
9.2.2. Relativizzazione. Ma il suo contributo, con una tecnica innovativa di dimostrazione, procede
ben oltre e va la cuore di un problema sempre presente sulla natura della Matematica: la Matematica
è una attività umana, opera dello spirito creativo dell’uomo, o è una scienza naturale che illustra le
prerogative di una realtà non concreta, ma esterna all’uomo stesso?
Su questo tema Gödel ha esplicitamente sposato la seconda interpretazione, giungendo persino ad
ipotizzare la presenza di un organo della mente, una specie di occhio interno, in contatto con la realtà iperurania e in grado di vederla nei dettagli.
Per raggiungere i suoi scopi dimostrativi, egli riprende l’idea di gerarchia degli insiemi suggerita da
Zermelo nel 1930 su Fundamenta Mathematicae, i tipi cumulativi, generati a partire dal vuoto con
il passaggio alle parti (nel caso di ordinali successivi) o all’unione di tutti i tipi precedenti, nel caso
in cui l’ordinale indice sia un ordinale limite. La presenza dell’insieme potenza comporta un salto di
313
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
cardinalità, come ha mostrato Cantor.
L’idea è quella di ‘ritagliare’ all’interno dell’universo degli insiemi, un nuovo universo. Il passo induttivo necessario per ricavare il nuovo tipo di gerarchia consiste nel considerare solo i sottinsiemi
definibili, utilizzando il linguaggio. Per spiegare meglio, si supponga che A sia l’elemento α-esimo
della nuova gerarchia, allora si considerano le formule della teoria degli insiemi in cui figurano A e
gli elementi di A. In questo modo, se A è finito, gli insiemi definibili sono tutti e soli i sottinsiemi di
A, riottenendo P(A). Se A è infinito, non si ‘cresce’ troppo, perché l’insieme delle formule che così
vengono costruite ha la cardinalità di A e pertanto anche gli elementi di P(A) che sono definibili, nel
senso detto, costituiscono un insieme D(A) di cardinalità uguale ad A, si tratta quindi di un sottinsieme proprio di P(A). Si mostra che tra gli elementi di (A∪D(A)) ci sono tutti e soli gli ordinali che
sono presenti anche in (A∪P(A)).
Tali insiemi ‘definibili’ non devono essere identificati con quelli proposti dal predicativismo o dal
costruttivismo, anche se conservano ‘echi’ di queste posizioni sui fondamenti della Matematica.
Questa è l’idea, ma bisogna precisarla collocandosi all’interno di una teoria assiomatica degli insiemi per procedere in modo ‘controllato’ al confronto tra modelli della teoria degli insiemi stessi.
La proposta di Gödel confluisce nella teoria NBG. Grazie al teorema della finita assiomatizzabilità,
di NBG, cfr. 7.2.2.3., invece di considerare ‘generiche’ formule che descrivono elementi, da cui per
astrazione si ottengono gli insiemi voluti, è possibile applicare solo i casi considerati nel teorema di
assiomatizzazione finita, introducendo così 8 operazioni fondamentali, usate da Gödel per generare
i nuovi insiemi a partire dai precedenti, quindi gli elementi di D(A) sono i sottinsiemi di ottenuti iterando le operazioni fondamentali su A. Si costruisce una nuova gerarchia avente per indici gli ordinali, con le clausole

 L0 = ∅

 Lα +1 = (Lα ∪ D ( Lα ) )
L =
Lβ
 λ βU
∈λ

Si pone poi L= U Lα . Gli elementi di L si dicono insiemi costruibili. Evidentemente si ha L ⊆ V. Ed
Ord (α )
anzi si tratta, dal punto di vista di V di una inclusione propria. A questo punto Gödel introduce una
nuova tecnica che è quella della relativizzazione ad una formula (ad una classe). In modo che sarebbe da specificare meglio, tramite la relativizzazione alla formula ψ(x), con una variabile libera, si
sostituiscono alle formule del tipo ∀x(φ(x)) le formule ∀x(ψ(x) → φ(x)) e alle formule del tipo
∃x(φ(x)) quelle del tipo ∃x(ψ(x) ∧ φ(x)). Se A è la classe che per astrazione è l’estensione della formula ψ(x), ci si riferisce alla relativizzazione alla classe, sostituendo ψ(x) con x∈A. In alcuni testi
314
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
con la scrittura ψ φ o con A φ si indica la relativizzazione alla formula (alla classe). Un caso molto
particolare è dato dalla formula ψ(x): x = x, cui corrisponde la classe V. La relativizzazione a questa
formula (classe) non ha effetti in quanto sono logicamente equivalenti ∀x(φ(x)) e ∀x(x = x → φ(x)),
come pure sono logicamente equivalenti ∃x(φ(x)) e ∃x(x = x ∧ φ(x)).
Complessivamente, nei quattro lavori sull’argomento, Gödel mostra che partendo dalla teoria NBG
senza richiedere l’assioma di scelta, è possibile costruire un modello interno, L, tale che in esso sono dimostrabili i teoremi che si ottengono relativizzando a tale classe L gli assiomi di NBG (senza
la scelta), ed è inoltre dimostrabile L V=L.
La relativizzazione a L di On (classe degli ordinali) è ancora On.
9.2.3. Costruibili. La formula V = L comporterebbe che tutti gli insiemi, elementi di V, siano costruibili. Si ha quindi che nel modello interno costruito su L, deve ritenersi vero anche l’assioma V =
L. Gödel dimostra che in NBG senza scelta, da V = L discendono sia l’assioma di scelta che
l’ipotesi generalizzata del continuo e da questa l’assioma di scelta. Pertanto ammettendo la coerenza
di NBG senza scelta, e quindi per il teorema di completezza, l’esistenza di un modello di NBG senza scelta, all’interno di esso si può ‘ritagliare’ un modello di NBG in cui vale V = L. È la stessa situazione del modello di Klein per la geometria iperbolica, costruito a partire da un modello della
geometria euclidea. Se quindi la teoria NBG con scelta e ipotesi generalizzata del continuo non fosse coerente, una contraddizione in essa sarebbe riconducibile alla teoria di partenza.
Pertanto, anche a fronte di posizioni contrarie ad esso e a sue conseguenze paradossali, e soprattutto
a causa del suo carattere non costruttivo, l’assioma di scelta non si può liquidare come fonte di contraddizione. Questo può tranquillizzare i vari ‘utilizzatori’ dell’assioma in molti campi. Dopo il lavoro di Gödel non si hanno più sospetti sulla ‘legittimità’ dell’assioma di scelta, ma lo stesso si distinguono (in modo forse non pienamente corretto) gli argomenti costruttivi (senza assioma di scelta) da quelli non costruttivi (che utilizzano l’assioma di scelta).
Ma veniamo alla discussione se la Matematica si scopre o si inventa. Nella seconda posizione epistemologica, è implicito l’uso di un linguaggio mediante il quale comunicare le scoperte. Ora una
posizione strettamente linguistica si mostra facilmente essere insostenibile se si vuole ricatturare la
Matematica ‘standard’ perché con enti puramente linguistici non si va al di là del numerabile. Restano quindi esclusi troppi concetti matematici. La proposta dei costruibili di Gödel è un buon compromesso, anzi la soddisfazione in L dell’assioma V = L Si può interpretare come la corroborazione
dell’ipotesi che la matematica si possa svolgere solo sui costruibili, quindi in modo metaforicamente un po’ tirato, che la matematica si può inventare.
Questo detto da uno dei massimi pensatori realisti del XX secolo può suscitare sorpresa, e, al con315
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
tempo, ammirazione per la onestà intellettuale di portare argomenti a favore di un approccio epistemologico non intimamente condiviso.
9.2.4. Oltre il modello di Gödel. Dopo la dimostrazione della coerenza relativa degli assiomi di
scelta e dell’ipotesi generalizzata del continuo con la teoria degli insiemi, restavano ancora aperti i
quesiti dei rapporti di questi principi tra di loro e con gli assiomi della teoria degli insiemi e con altri principi che venivano presentati e che stavano dimostrando la loro rilevanza in ambiti matematici. Era, di fatto, ancora aperto il problema n.1 proposto da Hilbert nella famosa lista di Parigi. Lo
stesso Gödel pare avesse sostenuto che di fatto l’ipotesi del continuo fosse indecidibile, sulla scorta
di certe affermazioni presentate nel 1947 in What is Cantor’s Continuum Problem,
American Mathematical Monthly, 54, 515 – 525. Altri commentatori forniscono
però opinioni contrarie a questa ‘premonizione’.
Nel 1963 Cohen dimostra l’indipendenza dell’assioma di scelta e dell’ipotesi del
Paul Cohen
(1934 – 2007)
continuo dalla teoria degli insiemi, sulla base di una nuova tecnica, il forcing. Si
tratta di una via dimostrativa assai complessa, che utilizza anche considerazioni to-
pologiche e quasi sempre in bilico su possibili autoriferimenti. Nel 1966 Cohen scrive un trattato in
cui presenta il problema nei dettagli: Set Theory and Continuum Hypothesis, New York: W.A. Benjamin. In esso fa una presentazione comparata anche dei risultati di Gödel. Cohen stesso fa in questo testo un riassunto, con le parole:
«Con ZF indichiamo i soliti assiomi senza lo AS. Abbiamo già mostrato (si tratta dei risultati ottenuti da Gödel)
che V = L → IGC e V = L → AS. Noi dimostreremo anche che IGC → AS, per cui avremo V = L → IGC → AS.
In questo capitolo mostreremo che le frecce non possono essere rovesciate, cioè AS non è derivabile da ZF, ZF +
AS non implica IGC e ZF + IGC non implica V = L.» (da Borga & Palladino)
La tecnica del forcing è molto versatile perché è usata per provare anche l’indipendenza di altre ipotesi. Inoltre è stata applicata al di fuori della teoria degli insiemi.
Una modalità diversa di provare l’indipendenza è quella sviluppata sulla base dei risultati di Rasiowa e Sikorski da parte di vari matematici, in particolare Scott. Si considera lo stesso universo degli insiemi V che può essere presentato con la teoria NBG o con la
costruzione dei tipi cumulativi in ZF. Si costruisce un nuovo modello interpretando
la nozione di appartenenza che si prende sempre una relazione binaria tra insiemi
(o insiemi e classi), ma che assume valori in una algebra di Boole. Quindi si ha una
generalizzazione della relazione di appartenenza. Nel caso ordinario, dati due in-
Dana Scott
(n. 1932)
siemi o il primo appartiene al secondo oppure il primo non appartiene al secondo;
ma ciò può considerarsi come un caso particolare in cui l’algebra di Boole dei valori
dell’appartenenza 2. Si prova che per ogni algebra di Boole le proprietà descritte dagli assiomi di
ZF assumono il valore massimo dell’algebra di Boole, quindi sono vere nel nuovo modello. Sce316
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica
Anno Accademico 2009/2010
gliendo opportunamente l’algebra di Boole si prova che nel modello è vero l’assioma di scelta oppure, con un’altra algebra, non è vero l’assioma di scelta. Lo stesso per l’ipotesi del continuo.
Ma le tecniche del forcing hanno portato allo sviluppo dei grandi cardinali, cioè cardinali di insiemi
che sono ‘molto in alto’ nella gerarchia cumulativa. L’esistenza dei grandi cardinali non può essere
dimostrata all’interno della teoria ZF. Tuttavia l’esistenza dei grandi cardinali si è mostrata una ipotesi molto proficua perché grazie ad essi si possono provare ulteriori teoremi relativi ai numeri naturali ed ai numeri reali ed in generale a tutte le strutture che occupano i livelli più bassi della gerarchia cumulativa.
Lo sviluppo della teoria degli insiemi con assiomi di grandi cardinali ha portato ad esempio alla nozione di cardinale regolare, uno che non può essere ottenuto come somma di un insieme di cardinali
minori di lui e tale insieme con cardinale minore di lui. Questa è una proprietà banale di ‫א‬0, perché i
cardinali minori di ‫א‬0 sono finiti; allora preso un qualunque insieme finito di cardinali finiti, la
somma di tali cardinali è ancora un cardinale finito, quindi minore di ‫א‬0. Un cardinale regolare κ
maggiore di ‫א‬0 si dice fortemente inaccessibile, quando per ogni cardinale τ < κ, si ha anche 2τ < κ.
Se κ è fortemente inaccessibile, allora Vκ è un modello di ZF + scelta, quindi non è possibile provare l’esistenza di un cardinale fortemente inaccessibile in ZF, perché contradirrebbe
il teorema di incompletezza.
Una nozione connessa con un noto teorema di Ulam sulle misure additive su tutti i
sottinsiemi di R è quella di cardinale misurabile. Un cardinale κ si dice misurabile
se esiste una misura su κ cioè una funzione m da P(κ) in {0,1} tale che m(κ) =1 e
Stanislaw Ulam
(1909 – 1984)
per ogni τ < κ è m({τ}) = 0 ed inoltre è additiva. Tarski ha dimostrato nel 1960 che
un cardinale κ misurabile è un cardinale fortemente inaccessibile e che ha un in-
sieme ancora di cardinalità κ di cardinali fortemente inaccessibili minori di lui. Se si ammette
l’esistenza di un cardinale misurabile esistono insiemi di numeri naturali che non sono costruibili,
facendo cadere l’assioma V = L; inoltre l’assioma che garantisce l’esistenza di un cardinale misurabile è compatibile sia con l’ipotesi generalizzata del continuo, sia con la sua negazione.
Nel già citato lavoro del 1947, Gödel ha suggerito che l’aggiunta di nuovi assiomi forti di infinito
potrebbe decidere dello ‘statuto’ dell’ipotesi del continuo e della scelta.
Oggi si assiste nei vari campi della Matematica ad una generale disattenzione dei problemi fondazionali relativi alla teoria degli insiemi. Solo in alcuni casi e per particolari esigenze ci si trova di
fronte a richieste specifiche. Per lo più si è diffusa un convinzione che ZF + scelta permetta di fare
tutto ciò che serve per svolgere la Matematica. Così i problemi aperti, ad esempio su cosa sia la cardinalità del continuo vengono lasciati aperti, quasi con la certezza che poi si sistemeranno adeguatamente, senza scardinare i risultati che ne fanno uso. Questa non approfondita concezione episte317
Capitolo 9
Gödel e la sua opera.
mologica viene detta platonismo insiemistico. Di fatto si tratta di un riduzionismo che converte i vari campi della matematica in un tutto omogeneo trasformando ogni concetto in una possibile versione insiemistica.
9.2.5. Un’opera sulla teoria della dimostrazione. Un ultimo lavoro di grande rilevanza è del 1958,
Über eine bisher noch nicht benützte Erweiterung des finiten Standpunktes, Dialectica 12, 280 –
287, in cui riprende il punto di vista finitista. Ci si riferisce a questo lavoro parlando della interpretazione di Dialectica, dal nome della rivista su cui è apparso.
L’idea fondamentale è quella di associare ad ogni formula derivabile in una teoria, ad esempio in P,
un’altra formula ∀y1…∀ym∃z1…∃zr(φ) dove φ non contiene quantificatori. Si noti che gli esistenziali vengono dopo gli universali, quindi sono esistenziali condizionati. Le variabili stanno per funzionali ricorsivi di tipo finito (cioè definibili con i tradizionali schemi). Si tratta di funzionali in
quanto hanno per argomenti funzionali e assumono per valori ancora funzionali di tipo finito. Il
modo di associare queste formule a quelle del sistema assiomatico di partenza si realizza considerando ogni passo della derivazione della formula. Le derivazioni ricorsive dei funzionali riflettono
le applicazioni delle regole di derivazioni logiche utilizzate nella dimostrazione. Così questa interpretazione si può considerare la garanzia che mediante funzionali ricorsivi si possono scegliere gli
individui che, in modo opportuno, soddisfano le quantificazioni universali ed esistenziali della formula tradotta, fornendo un significato costruttivo alle formule aritmetiche.
Così per provare la coerenza del sistema formale assiomatico di partenza, basta dimostrare che esistono i funzionali necessari nella teoria dei funzionali utilizzati per ‘interpretare’ le formule.
Nel caso di P, non bastano la ricursione e l’induzione ordinarie, ma servono principi che vanno oltre
l’induzione su ω. Da un risultato di Gentzen, gli strumenti aritmetici che possono costruire i funzionali necessari per la coerenza di P sono dati dall’induzione fino a ε0.
Con questa interpretazione Gödel voleva investigare se e quanto la nozione di dimostrazione intuizionista fosse costruttiva, avente in questo modo un metodo indiretto per vedere quali formule fossero teoremi intuizionisti. Siccome l’intuizionismo è privo di contraddizioni, questo procedimento
darebbe una conferma della coerenza della teoria in ‘osservazione’ mediante questa interpretazione.
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