Valutazione dell`azione antibatterica del lisozima del

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Valutazione dell’azione antibatterica
del lisozima del latte d’asina.
Considerazioni igienico - sanitarie
13
z
F. CONTE1, M. FOTI1, M. MALVISI2, C. GIACOPELLO1, R. PICCININI2
1
2
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria, Università degli Studi di Messina
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Università degli Studi di Milano
RIASSUNTO
Il latte di asina ha un contenuto di lisozima (LZ) pressoché sovrapponibile a quello del latte equino che, a sua volta, mostra valori 6000 volte superiori rispetto al latte bovino. Il LZ è attivo su batteri Gram positivi e su alcune specie Gram negative. L’attività dell’enzima, nel latte d’asina, è molto accentuata e, secondo alcuni ricercatori, le basse cariche batteriche di tale alimento sono da attribuire agli alti livelli di detta sostanza, sebbene le notizie sull’argomento siano piuttosto esigue. Pertanto, il presente studio ha l’obiettivo di valutare l’attività antibatterica del lisozima di tre campioni di latte di asina di massa su 42 ceppi
batterici isolati da latte di asina e bovino. L’attività dell’enzima è stata misurata con il kit EnzCheck Lysozyme Assay. La sua efficacia antibatterica è stata testata con piastre da microtitolazione, mediante il test della Minima Concentrazione Inibente
(MIC). Un campione ha mostrato attività inibente solo su un ceppo di Pseudomonas sp (MIC del LZ = 5800 U/ml); il secondo campione non ha avuto alcun effetto inibente sui ceppi batterici esaminati (MIC > 2740 U/ml); l’ultimo campione inibiva
il 50% dei ceppi di Staphylococcus aureus da latte d’asina (MIC = 3400 U/ml). Al contrario, tutti i ceppi isolati da latte bovino
hanno mostrato resistenza al LZ.
In conclusione, gli autori sottolineano la necessità di una valutazione scientifica maggiormente approfondita sull’attività antibatterica del LZ del latte d’asina, vista l’importanza che essa potrebbe acquisire sia in ambito di sanità veterinaria, quanto per
la sicurezza dei giovani consumatori di latte d’asina, intolleranti ad alcune proteine del latte di specie animali più comuni, ed
annoverati tra i soggetti “a rischio”.
PAROLE CHIAVE
Latte d’asina, lisozima, antibatterico, sicurezza alimentare.
INTRODUZIONE
La presenza di lisozima è indicata, già nel 1924, nel latte di
diverse specie animali ed anche in quello umano; successivamente, nel 1961, esso viene isolato dal latte di vari animali
(asina, cavalla, cagna, gatta, ratto, coniglia, scrofa, lama,
scimmia)1. Il secreto di vacca, pecora, capra e cavia conterrebbe tracce di enzima; ma esso può anche non essere presente; non si menziona il latte bovino o si riferisce la presenza di basse e variabili quantità della sostanza. Per il latte umano, sono documentati valori pari a 400 mg/l ed a ciò conseguirebbe il significativo ruolo di protezione per il neonato2.
Il lisozima del latte umano possiede diverse funzioni, considerate rilevanti per il lattante, sotto il profilo nutrizionale: attività litica per varie specie batteriche; azione antibatterica a
livello enterico, che contribuisce alla protezione del giovane
organismo. È stata dimostrata, infatti, la capacità del lisozima di passare nelle feci del neonato; l’enzima limita la perdita di peso dei prematuri e consentirebbe di prevenirne le infezioni gastriche. Infine, il coinvolgimento dell’enzima nel
turnover delle glicoproteine e dei proteoglicani, è ritenuta
una funzione essenziale nell’organismo animale3.
Autore per la corrispondenza:
Francesca Conte ([email protected]).
Riguardo l’attività antibatterica del LZ, nota da tempo nei
confronti di numerose specie batteriche, essa sembra dipendere dall’attività catalitica dell’enzima, sebbene, nell’ultimo
ventennio, sia indicato un meccanismo d’azione non enzimatico, connesso ad una sua modificazione conformazionale4.
L’azione, spesso battericida, è prevalente nei riguardi di alcune specie batteriche Gram-positive, rispetto a quelle Gramnegative; inoltre, tale sostanza è in grado di inattivare alcuni
virus. Il LZ avrebbe, altresì, attività immunomodulante, antinfiammatoria e antitumorale, ma sono scarse le conoscenze sulla relazione tra struttura biologica e funzione5.
Nel settore lattiero-caseario, l’attività antibatterica del LZ è
ancora oggetto di controversie: ad esempio, è riportata la
mancanza di efficacia nei riguardi di batteri propionici, di
batteri lattici etero-fermentanti e coliformi, con riferimento
ai microrganismi responsabili di alcuni difetti dei prodotti,
per i quali è noto il suo impiego per fini tecnologici. Per
quanto riguarda i batteri lattici, la maggior parte di essi manifesta una naturale resistenza al lisozima; mentre i ceppi
sensibili potrebbero essere in grado di acquisirla, pur mantenendo le proprietà acidificanti. Infatti, si selezionano ceppi più resistenti al lisozima anche all’interno delle specie che
sembrano presentare minore resistenza (il tipico esempio è
costituito da Lactobacillus helveticus); la resistenza viene acquisita anche quando i ceppi sono ripetutamente trapiantati in presenza dell’enzima. Inoltre, è stato dimostrato come
il grado di sensibilità al lisozima possa variare da specie a
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specie e da ceppo a ceppo, per diverse specie di batteri lattici e derivanti da sieroinnesti di formaggio Grana, tra cui anche L. helveticus 6.
Gli studi riguardanti il LZ del latte di asina risultano più recenti, rispetto a quanto noto per l’enzima presente nel prodotto di altre specie animali.
La quantità di tale componente in questo alimento è molto
più elevata, rispetto a quella indicata per il secreto di cavalla,
ma anche a quella presente nel latte materno, come confermato dagli studi che, per il latte umano, di cavalla e di asina,
evidenziano concentrazioni pari a 0,50, 1,10 e 1 mg/ml, rispettivamente7. Nel latte d’asina, alcuni autori riportano valori medi di enzima di 3750,0 ± 250,0 mg/l, a fronte del valore riferito per il latte vaccino (0,09 mg/ml)8. Inoltre, i livelli di lisozima sembrano ridursi nel corso della lattazione degli animali9,10,11.
Mentre l’attività antibatterica del lisozima, nei confronti di
differenti microrganismi, è stata oggetto di studi numerosi
ed ampi e che riguardano matrici di diversa natura, i report
sull’attività antibatterica del latte d’asina risultano oltremodo esigui; in particolare, mancano le indicazioni sugli eventuali effetti protettivi del LZ per il consumatore, già osservati nel latte materno. Tale aspetto, se approfondito, potrebbe
chiarire se l’enzima d’asina può avere effetti positivi nei soggetti, specie in età infantile, colpiti da intolleranza ad alcune
proteine del latte di varie specie animali (o da intolleranze
multiple), per i quali il trattamento con latte d’asina costituisce, ormai frequentemente, un’alternativa alle formulazioni
commerciali.
Alcune ricerche di Conte et al. (2006), considerando le variazioni dell’attività del LZ di latte d’asina in corso di lattazione, sottolineano il potenziale immunologico ed antibatterico
di detta sostanza. Gli autori segnalano valori dell’attività enzimatica costantemente elevati in tutti i soggetti (tra 4352,22
e 5607,85 U/ml, mentre nel latte vaccino essi variano tra 0 e
15 U/ml); inoltre, il LZ mostra notevole stabilità nel tempo,
in differenti condizioni, al contrario di quanto avvenga per il
LZ bovino12. Secondo quanto riportato da Zhang et al.
(2008), il latte d’asina possiede una maggiore attività antibatterica, rispetto al prodotto di altre specie, e la concentrazione di enzima raggiunge valori di 4000 mg/l, anche se esso
svolge un’azione inibente solo su Salmonella choleraesuis e
Shigella dysenteriae 13. Infine, altri ricercatori riferiscono che
il lisozima del latte d’asina sarebbe utile a prevenire le infezioni intestinali nei soggetti in età infantile7.
Efficacia ed utilità pratica del lisozima del latte di equide, comunque, rimangono ancora da chiarire e da definire in modo più puntuale. Al momento, ad esempio, non è noto il potenziale antibatterico dell’enzima; tale aspetto, invece, necessiterebbe di approfondimenti adeguati, tenuto conto dei potenziali risvolti di natura sanitaria per gli animali lattiferi ma,
in prevalenza, per gli aspetti igienico - sanitari riguardanti il
consumatore.
Quest’ultima indicazione è motivata, per lo più, dal ruolo
fondamentale che l’alimento ha assunto da tempo per alcune categorie di infanti, quale sostituto del latte delle specie
animali più comuni, come già indicato in precedenza.
Sulla base di quanto premesso, in questa sede si intendono
riferire i risultati di uno studio sull’attività del lisozima del
latte di asina nei confronti di alcune specie batteriche, che
potrebbero rivestire un certo interesse in ambito di sanità
umana e veterinaria. Sono stati scelti microrganismi isolati
da latte di vacca e di asina, nel tentativo di effettuare un confronto sulla reattività di ceppi di diversa origine, ma pur
sempre derivanti da animali lattiferi.
MATERIALI E METODI
Il latte d’asina usato per lo studio è stato prelevato presso alcuni allevamenti di animali di Razza Ragusana presenti in Sicilia. L’attività antibatterica del lisozima di 3 campioni di latte di massa è stata testata su 42 ceppi di batteri Gram-positivi e Gram-negativi, isolati presso i nostri laboratori da latte
d’asina e di vacca, prelevati in diversi distretti geografici dell’Isola. In Tabella 1 è specificata l’origine delle specie batteriche, unitamente alla loro denominazione ed al numero di
ceppi batterici identificati.
Per l’isolamento di Staphylococcus aureus (Sa) dal latte di asina si è fatto ricorso alla semina in Baird Parker Agar (Oxoid,
UK), seguita da incubazione a +37°C per 24-48 h. Il latte degli animali affetti da mastite è stato seminato su agar-sangue
(5% di sangue bovino; Oxoid, UK). Tutti i ceppi sono stati
caratterizzati mediante gli usuali test biochimici d’indagine e
Staphylococcus spp. sono stati identificati mediante sistema
biochimico miniaturizzato (API Staph, Bio - Merieux, Italia); i batteri Gram negativi, invece, con sistema API 20E (Bio
- Merieux, Italia).
Ai fini della valutazione dell’attività del lisozima dei campioni
di latte, questi sono stati preliminarmente centrifugati a 20,000
g per 30 minuti; il siero ottenuto è stato, quindi, sterilizzato per
filtrazione (∅ pori 0,22 nm) e congelato a -20°C fino all’effettuazione delle prove di sensibilità dei ceppi batterici.
L’attività del LZ è stata valutata mediante metodica fluorimetrica, con il kit EnzCheck Lysozyme Assay (Invitrogen,
USA), ed espressa in U/ml. Il test comprende una sospensione di Micrococcus lysodeikticus (Ml) come substrato, le cui
pareti cellulari sono marcate con fluoresceina. Poiché questo
microrganismo è particolarmente sensibile all’attività litica
del lisozima, la quantità di enzima nel campione viene rilevata misurando l’intensità della fluorescenza, che è direttamente proporzionale alla lisi cellulare. Detto incremento è
stato misurato con fluorimetro a micropiastre (Fluoroskan
Ascent, Thermolabsystem, FL).
L’azione antibatterica del LZ è stata testata mediante la determinazione della Minima Concentrazione Inibente (MIC);
quest’ultima è stata calcolata ricorrendo al metodo delle diluizioni in brodo, mediante piastre per microtitolazione, utilizzando il siero di latte puro e diluito serialmente in base 2,
con brodo Mueller Hinton (Oxoid, UK).
Tabella 1 - Ceppi batterici testati e relativa origine.
Origine
Latte di asine
Latte di asina
con mastite clinica
Latte di bovine
con mastite subclinica
Latte di bovine
con mastite clinica
Totale ceppi
Specie batterica
N. ceppi
Staphylococcus aureus
15
Pseudomonas sp.
1
Staphylococcus aureus
16
Escherichia coli
5
Klebsiella pneumoniae
5
42
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I ceppi batterici da esaminare sono stati preliminarmente seminati su agar sangue di bovino al 5% in piastra ed incubati
overnight a +37°C. Per l’allestimento della prova, sono stati
distribuiti 200 µl di ciascun campione di siero di latte, in triplo, nella prima fila di pozzetti della piastra per microtitolazione e 100 µl di brodo MH in tutti gli altri pozzetti. Il siero
di latte è stato poi diluito serialmente, procedendo dalla prima fila di pozzetti fino all’ultima. Le piastre così preparate
sono state poste ad una temperatura di +4°C. Quindi, sono
stati allestiti gli inoculi batterici: alcune colonie sono state
poste in brodo Mueller-Hinton ad una torbidità pari allo
standard 0,5 McFarland (108 UFC/ml), valutata mediante
spettrofotometro (Spectramax, Molecular Devices, USA), e
le sospensioni così ottenute sono state diluite in modo da
avere una concentrazione finale, in ogni pozzetto della piastra, pari a 105 UFC/ml. Infine, è stato distribuito l’inoculo
batterico (10 µl) in tutti i pozzetti della piastra, lasciando un
controllo di sterilità per ogni campione di siero di latte; è seguita l’incubazione a +37°C per 18-20 h.
15
stesso. D’altra parte, questo microrganismo vanta numerosi
e complessi fattori di patogenicità, in grado di modularne
ampiamente la virulenza, come noto da tempo in campo
umano e come dimostrato anche nella bovina da latte14.
Bisogna, infine, sottolineare come i due campioni di latte con
contenuti di LZ più elevato, non abbiano dimostrato uguale
attività nei confronti dei ceppi batterici di asina esaminati.
Questo risultato potrebbe essere dipendente da modificazioni conformazionali del LZ del latte d’asina, o dalla presenza
di altre sostanze ad attività antibatterica, come ipotizzato da
Zhang et al. (2008), che dimostrano come la carica batterica
totale (CBT), studiata a valori iniziali di 104 UFC/ml, non si
modifichi in modo significativo dopo incubazione per 96 h a
+4°C16. La medesima considerazione è espressa da vari ricercatori italiani, con riferimento ad una CBT pressoché sovrapponibile al valore appena citato: ciò è attribuito prevalentemente all’elevato valore medio di lisozima, caratteristico dell’alimento8,15,16.
CONCLUSIONI
RISULTATI
L’attività del lisozima del primo campione di siero di latte è
risultata pari a 5800 U/ml; per il secondo campione essa era
di 2740 U/ml e per l’ultimo il valore corrispondeva a 3400
U/ml. Circa i risultati delle MIC, si è osservato quanto segue:
i) il primo campione di siero ha inibito soltanto la crescita di
Pseudomonas sp, quando esso è stato impiegato puro (MIC
del LZ = 5800 U/ml); ii) il secondo campione non ha esibito
attività antibatterica per alcuno dei ceppi batterici testati
(MIC del LZ >2740 U/ml); iii) il terzo campione ha inibito
la crescita del 50% dei ceppi di Sa, isolati da latte di asina, solo quando esso non è stato diluito (MIC = 3400 U/ml). Nessun ceppo isolato da latte di bovine affette da mastite è risultato sensibile al LZ.
DISCUSSIONE
I ceppi batterici testati durante il presente studio hanno mostrato una diversa sensibilità all’attività del LZ, indipendentemente dalla tipologia e dalla loro origine. Infatti tutti i ceppi di Sa di derivazione bovina hanno evidenziato una completa resistenza a tutti i campioni di latte esaminati, come
pure i batteri Gram-negativi. Da tale considerazione va
astratta la reazione di Pseudomonas sp, che è apparso sensibile a valori di LZ pari a 5800 U/ml.
Un discorso a parte va fatto per i ceppi di Sa isolati da latte
d’asina, il 50% dei quali è stato inibito dal terzo campione
di latte, ad una concentrazione di LZ pari a 3400 U/ml. La
differente sensibilità di tali ceppi all’azione del LZ indica
una diversa reattività specie-specifica nei riguardi dell’attività di questo enzima. La resistenza della restante percentuale dei ceppi di Sa isolati da latte d’asina è in accordo con
quanto ottenuto da Zhang et al (2008), i quali hanno osservato come Sa non fosse sensibile all’azione del lisozima da
latte d’asina13.
La diversa reattività di Sa, emersa nel presente studio, può essere ricondotta a vari fattori, quali la differente origine dei
ceppi o le loro particolarità intrinseche, che possono averne
influenzato la particolare reazione nei confronti dell’enzima
In sede conclusiva, si ritiene opportuno dare rilievo ad alcune riflessioni che concernono: i) l’opportunità di rielaborare, con maggiore nitidezza e determinazione, alcune teorie
sull’attività antibatterica del LZ del latte di asina, con studi
che siano mirati anche a definire i livelli fisiologici di LZ entro un range di valori meno ampio, rispetto a quanto segnalato in letteratura; ii) la necessità di studiare le proprietà
conformazionali e le eventuali specificità del LZ del latte d’asina; iii) una maggiore cautela nell’esprimere un giudizio incondizionato sulla relazione tra gli elevati livelli di tale componente del latte d’asina e le ridotte cariche batteriche dello
stesso prodotto. È utile rammentare, infatti, come l’applicazione delle corrette pratiche igieniche di mungitura costituisca un fattore fondamentale nel contesto del management
aziendale, per ridurre al massimo la carica batterica del latte
crudo. Nell’asina, peraltro, la particolare posizione anatomica delle mammelle ne rende piuttosto difficoltoso l’insudiciamento e, conseguentemente, si potrebbe presumere che i
livelli di microrganismi nel latte siano più moderati; iii) l’acquisizione di conoscenze concernenti l’esistenza di eventuali
fattori che rendono peculiare l’attività antibatterica ed immunomodulante del latte d’asina.
Sulla base dei risultati ottenuti, e di quanto appena considerato, al momento, non sarebbe prudente riconoscere al
LZ del latte d’asina un’incontrovertibile attività antibatterica. Quest’idea ha invece consentito, fino ad oggi, anche
un’utilizzazione abbastanza “serena” del latte crudo, o appena riscaldato.
Il potenziamento dei controlli, sia lungo la filiera di produzione del latte d’asina, quanto in fase di utilizzazione, è da ritenersi un requisito imperativo; infatti, al fine di mantenere
un’ineccepibile qualità igienico-sanitaria dell’alimento, ogni
sforzo dovrà essere concentrato sul controllo integrato della
“filiera corta” del latte d’asina. La principale motivazione di
tale approccio è individuabile nella particolare destinazione
del prodotto, quasi esclusiva del trattamento dieto - terapeutico di soggetti giovanissimi, inclusi tra le “fasce deboli” dei
consumatori. Tale appartenenza impone una doverosa applicazione di un sistema di sicurezza alimentare, maggiormente fortificato rispetto alla norma.
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❚ Assessment of antibacterial
activity of donkey milk lysozyme.
Safety and hygiene issues
SUMMARY
Donkey milk contains as much lysozyme (LZ) as equine milk
(6000 times higher than bovine milk). LZ shows antibacterial activity against Gram-positive and some Gram-negative
bacteria. LZ activity in donkey milk is very high and some
authors supposed that donkey resistance to mammary infection is probably due to high amount of LZ.
There is scarce literature on this topic; the aim of the present
study is thus to evaluate the antibacterial activity of 3 different
donkey bulk milk (DBM) samples, on a total of 42 bacterial
strains. The microorganisms were isolated from donkey and
bovine milk. Lysozyme activity was evaluated by EnzCheck Lysozyme Assay Kit; the milk antibacterial activity was tested by
Minimal Inhibitory Concentration (MIC) method, in microtiter plates. The first milk sample inhibited only one Pseudomonas sp strain (MIC of LZ = 5800 U/ml); the second sample
had no antibacterial effect (MIC > 2740 U/ml), whereas the
third sample prevented the growth of 50% of Staphylococcus
aureus strains from DBM (MIC = 3400 U/ml). LZ showed no
activity against bovine strains. Finally, the authors underline
the importance of further studies for a deeper understanding
of LZ antimicrobial activity, both for veterinary health purposes and to protect a vulnerable group of consumers, such as infants affected by intolerance to some milk proteins.
KEY WORDS
Donkey milk, lysozyme, antibacterial activity, food security.
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