1 Premessa Le Tesi su Feuerbach di Marx, pubblicate postume da

GENTILE SU MARX E QUINDI SU FEUERBACH E HEGEL
Premessa
Le Tesi su Feuerbach di Marx, pubblicate postume da Engels nel 1888 furono tradotte per la prima
volta in italiano da Giovanni Gentile (La filosofia della prassi 1899), il quale vedeva in esse,
giustamente, un documento fondamentale della filosofia marxiana, intendendo il termine “filosofia”
in senso forte come speculazione ancorata alla logica e alla dialettica.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento, in pieno clima positivista, si tendeva invece ad esaltare di Marx
le ricerche storico-empiriche, come se fossero separabili dalla radice filosofica e a trascurare o
addirittura negare quest’ultima.
Gentile compie un’operazione inversa, riportando Marx nel pantheon della filosofia per provare a
superarlo dialetticamente. Non è un caso che l’esordio di Gentile in filosofia avvenga
confrontandosi con Marx e mettendo a fuoco perfettamente la centralità della prassi nella filosofia
marxiana. Del resto, è ormai assodato che l’attualismo (ossia l’indirizzo filosofico gentiliano) è una
filosofia della prassi, dove però la prassi è ricondotta dalla sensibilità all’atto puro del pensiero e
dove l’attore determinante è lo Stato e non una classe sociale.
Non è un neppure un caso che gli scritti di Gentile su Marx siano stati apprezzati da Lenin e che
tutto Gentile abbia avuto un influenza determinante su Gramsci. Gentile vide nel fascismo la
realizzazione della prassi rivoluzionaria. Lenin teorizzò e realizzò una rivoluzione guidata da
intellettuali (in condizioni lontanissime da quelle prospettate da Marx per l’accadere della
rivoluzione) e che sbocca in uno stato totalitario. Fascismo e bolscevismo si interpretarono come
avanguardie rivoluzionarie e superamenti del marxismo. Furono anche forme di incomprensione
totale del marxismo o veramente il marxismo fu sconfessato anche dall’irrompere storico di
filosofie come l’attualismo e il leninismo, che poi si realizzano nel fascismo e nel bolscevismo?
Non è però questo il tema centrale dell’articolo e mi scuso per la digressione. Qui si vuole solo
sintetizzare lo scritto gentiliano che si svolge secondo questa linea: Marx fu un filosofo. E lo fu
grazie ad Hegel. Provò a rovesciare l’hegelismo, contraddicendosi.
Questo lavoro ha un valore prettamente didattico. Il suo scopo è quello di consentire agli studenti di
connettere in una sintesi speculativa il passaggio da Hegel a Feuerbach a Marx. Servirsi di Gentile è
ovvio, perché è uno di quei filosofi e storici della filosofia che crede che l’idea si svolga attraverso
il pensiero filosofico e che quindi ci sia un nesso di necessità dialettica tra le varie filosofie. Egli va
al cuore delle dottrine senza perdersi in quisquilie e le “forza” dentro uno schema logico
comprensivo. Del resto questo è tipico della scienza e della speculazione.
La stessa sintesi dell’opera di Gentile qui proposta non vuole essere pedante, ma essenziale. Le
citazioni sono tratte da Giovanni Gentile, La filosofia di Marx, Le Lettere, Firenze 2003 (ristampa
dell’edizione del 1937).
LA FILOSOFIA DELLA PRASSI
Distinzione tra materialismo tradizionale e materialismo dialettico
Il materialismo tradizionale (settecentesco, ma anche antico) pensa che la materia determina
l’uomo, ma dimentica che non esistono individui isolati, prodotti da un ambiente. L’uomo nasce da
sempre in una società, che è plasmata dall’uomo stesso. Dunque, la “materia” che condiziona
l’uomo è la “società” (non direttamente la natura), e la società è a sua volta plasmata dallo stesso
1
uomo. Questo è quello che si chiama un rapporto dialettico dove i due termini opposti non possono
intendersi l’uno senza l’altro e fra i quali interviene un’azione reciproca che cresce su se stessa.
Gentile dunque evidenzia come Marx nel suo attacco all’intellettualismo di Feuerbach rimette al
centro il soggetto nella sua ineliminabile relazione con l’oggetto (e anzi produzione dell’oggetto).
Questa priorità dell’azione del soggetto per Gentile è presente in tutto l’idealismo: da Socrate e
Platone a Vico, dove Vico chiarisce che la verità si scopre facendola.
“Cambia in Marx il principio dell’operare, e, invece delle modificazioni della mente, sono radice
della storia i bisogni dell’individuo, come essere sociale” (74).
Ma tali bisogni non sono astrattamente insiti in una natura umana data una volta per tutte, bensì, a
loro volta, il prodotto di una prassi precedente. Questo, per Gentile, coincide con la processualità
tipica dell’idealismo hegeliano, dove lo spirito si fa, e, se vogliamo, con l’idea fichtiana e di tutto il
volontarismo secondo cui esse sequitur operari.
Secondo questa linea di pensiero non esiste una conoscenza “data”, ma essa è sempre prodotta o
riprodotta. La stessa natura umana è un continuo prodotto di una prassi educativa su di essa.
Il materialismo tradizionale pensa che l’oggetto intuito sensibilmente sia un dato che sta di fronte al
soggetto che l’acquisisce. E Feuerbach sarebbe tornato al materialismo tradizionale. Per fondare il
proprio materialismo in modo dialettico e storico, Marx deve tornare ad Hegel e all’idealismo nel
quale “la vita del soggetto è nella sua relazione intrinseca con l’oggetto e viceversa” (76-77).
“Quando si conosce, si costruisce, si fa l’oggetto, e quando si fa o si costruisce un oggetto, lo si
conosce; dunque l’oggetto è un prodotto del soggetto; e, poiché soggetto non c’è senza oggetto,
bisogna soggiungere che il soggetto, a mano a mano che vien facendo o costruendo l’oggetto, vien
facendo o costruendo se stesso; i momenti della progressiva formazione del soggetto corrispondono
ai diversi momenti della progressiva formazione dell’oggetto” (77).
“Il pensiero è reale, perché e in quanto pone l’oggetto. O il pensiero è, e pensa; o non pensa, e non è
pensiero. Se pensa, fa. Dunque la realtà, l’oggettività del pensiero, è una conseguenza della sua
natura stessa” (82).
Il materialismo marxista supera l’antico materialismo, perché ricompone ovunque la scissione
soggetto-oggetto e la ricompone proprio nella “prassi”.
Prendiamo le teorie educative che dicono che il soggetto è influenzato dalla società (oggetto) e che
dunque occorre incidere sull’oggetto, se si vuole cambiare il soggetto. Ma l’oggetto, a sua volta, è il
prodotto di soggetti che a loro volta erano i prodotti di una società: dunque non è in alcun modo
possibile separare il soggetto dall’oggetto: essi vanno compresi nella loro relazione dialettica. Marx
dice “prassi che si rovescia” (Tesi su Feuerbach, 3).
Qui intanto Gentile riconduce il marxismo a un umanismo, cioè a quelle filosofie (dalla sofistica a
Socrate al platonismo ecc.) che ritengono che l’umano non si possa spiegare a partire dalla natura,
ma debba essere spiegato con l’umano (lasciamo per ora da parte la questione se l’umano sia
pensiero o sensibilità… è certamente società!). Nell’Ottocento la borghesia positivista pensa invece
che l’uomo si spieghi con la natura, che è immutabile, e poiché la scienza della natura è detenuta
dalla classe borghese, ciò significa che il potere della classe borghese sull’uomo in generale si
percepisce come perpetuo e ineliminabile.
2
Ciò che importa notare nel marxismo è che non è l’idea il motore della storia, non il pensiero, ma la
materia, intesa come sensazione e bisogno, cioè relazione immediata e inconscia di soggetto e
oggetto, di cui il pensiero è l’ultima raffinata manifestazione, non l’originaria.
Non esistono gli individui astratti che poi, occasionalmente creano la società: l’individuo è sempre
in società. Non esiste un’astratta natura umana presente come universale nel singolo individuo che
la pensa. Ma l’uomo crea dialetticamente la propria natura. Non esiste un’essenza religiosa
separabile dallo svolgersi della prassi religiosa. Non esiste un’essenza del cristianesimo pensata
come originale fuori del farsi concreto delle chiese, che a loro volta sono prodotte da prassi estranee
al momento religioso, innestate invece nell’economico, nella sensibilità.
Queste correzioni marxiane di Feuerbach riconducono Marx ad Hegel. Con la differenza che
l’autore della storia non è l’idea, ma la materia (intesa, ormai è chiaro, come prassi), ovvero della
sensibilità creatrice di bisogni e di strumenti per soddisfare ad essi, non nel chiuso dell’esperienza
individuale ma nella dialettica individuo-società.
“La prassi è sempre la ragione della realtà concreta; e poiché essa media tra individuo e società,
questa e quello sono originari come essa” (91).
Se si pone l’individuo come essere, la società è la sua negazione (non essere), la prassi è il divenire.
Se si pone la società come essere, l’individuo è la sua negazione (non essere), la prassi è il divenire.
In verità, è la prassi ad essere contemporaneamente individuo e società e dunque divenire.
“Questa realtà quindi che è l’individuo sociale, al di là del quale la storia non può retrocedere, è il
risultato della contraddizione che si risolve, per la legge dialettica della sua natura. E senza il
concetto della prassi dialettica, questo fatto della società, o degli individui sociali, non si
spiegherebbe” (91).
Ora, Gentile sostiene che questa prassi è dialettica, ha un fine interno a sé stessa, dunque è “logica”,
allora può essere studiata a priori e si possono prevederne gli sviluppi. Dunque è la chiave di una
filosofia della storia. La prassi è in Marx ciò che è l’idea per Hegel.
Dal punto di vista gentiliano ammettere questo significa sostenere che quella di Marx è una vera e
propria filosofia.
Confronto con l’interpretazione crociana di Marx
Secondo Croce, non lo è. Il materialismo sarebbe solo un pro-memoria metodologico che serve allo
storico e gli suggerisce di vedere, quando studia un problema, se per caso le cause di esso non siano
da rintracciare in fenomeni economico-sociali. Per Gentile Croce riduce Marx a Machiavelli.
Secondo Gentile, invece, Marx intende spiegare ogni problema storico come dipendente da una x
economica e ciò equivale ad una intuizione filosofica a priori.
Si ribatte che Marx si tenne alle cose, all’empiria e che in questo consiste il suo rovesciamento
dell’hegelismo. Ma ribatte Gentile:
“Ora, io avrei qualche dubbio su tale definizione della sua forma mentis. Anzi mi parrebbe che tutte
le produzioni del suo ingegno dimostrano una tendenza speculativa da disgradarne ogni più ostinato
metafisico” (97).
3
Per cercare di far comprendere l’originaria propensione speculativa di Marx, Gentile si ricollega ad
un passo dell’opera di Croce Per l’interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, dove
lo stesso croce parla del Capitale di Marx come ricerca astratta, poi ad una lettera del giovane Marx
al padre, dove sono illustrati i suoi interessi squisitamente filosofici, la prefazione della Critica
dell’economia politica, le stesse Tesi su Feuerbach. “Certo, il perpetuo ritornello di quei frammenti
è di dover sostituire all’astratto il concreto. Ma qual è l’astratto a cui Marx dà la caccia? È l’astratto
criticato anche da Hegel, termine dell’intelletto astratto; l’astratto in un senso filosofico che
contrasta con l’accezione volgare della parola. Comunemente, concreti sono gl’individui singoli
separatamente considerati, ciascuno a sé, in quanto ci rappresentano la effettiva, sensibile realtà. E
questi individui sono l’astratto di Amrx e di Hegel. L’intelletto astratto è la facoltà del sapere
immediato, che s’appunta cioè nei particolari come tali, facendo astrazione dal loro nesso, in cui
sono concreti. Grado superato dalla riflessione filosofica, o pensiero speculativo, il quale per natura
sua, non trascura i particolari, ma li solleva nel tutto, dove essi hanno il loro nesso. Il nesso, il
generale, che per la riflessione volgare e scientifica è trascendente, nell’intuizione filosofica diviene
immanente; e dall’astratto si trapassa al concreto, la trascendenza importando nient’altro che
astrattezza” (99-100).
Gentile smarca Marx dall’abbraccio positivista riconducendolo ad Hegel.
A questo punto propone una distinzione tra il concetto di legge in senso filosofico e in senso
scientifico moderno. Nel primo caso la legge è a priori, è immanente alle cose; nel secondo caso
non si tratta di una vera e propria legge, ma di una generalizzazione a posteriori, che può essere
smentita dalle cose. Ora, il materialismo storico per Gentile vuole essere una legge del primo tipo,
non una semplice generalizzazione induttiva, una legge di tendenza. È chiaro che la determinazione
di tale legge avviene a posteriori, perché si tratta di fatti economici, ma la concezione della legge è a
priori e non dipende dai singoli fatti ecnomici.
Poiché non vi è storia senza prassi e poiché la prassi è la connessione originaria di individuo e
società, allora la dialettica della storia è un a priori anche se si riscontra nei fatti empirici indagati a
posteriori.
Di fronte a Marx che sostiene che la storia è lotta di classi: “Croce dice che ‘la storia è lotta di
classi: 1° quando ci sono le classi; 2° quando hanno interessi antagonistici; 3° quando hanno
coscienza di questo antagonismo’. Anche qui io sono d’avviso che Marx protesterebbe contro tale
interpretazione della sua dottrina: 1° perché non c’è storia, secondo lui, senza classi; 2° perché la
divisione in classi porta seco interessi antagonistici; 3° perché la coscienza dell’antagonismo non
può mancare dove c’è antagonismo” (104).
La dialettica storica a priori viene poi estesa da Gentile, collegandosi alla terza tesi su Feuerbach, ad
un campo a lui congeniale, quello educativo, Anche in ambito educativo è ineliminabile una
concezione dialettica tra educante ed educato.
La lotta di classe non è un fatto accidentale, che ora possa riscontrarsi e ora no, è invece la chiave
della storia. È possibile che le classi non abbiano coscienza del loro essere classi, di sfruttatori o di
sfruttati? No, dal momento che non è la coscienza a fare la classe, ma invece è la classe a
determinare la coscienza.
Forse la più insidiosa critica del Croce potrebbe sembrare quella secondo cui se il marxismo è
scienza e se invita all’agire pratico rivoluzionario sulla base di una conoscenza intellettiva, allora
ecco contraddetta la tesi marxiana che il motore della storia è il fatto economico e che la coscienza
ne è solo un riflesso. In questo caso, invece, il motore sarebbe l’intelletto scientifico, e la prassiuna
4
conseguenza della coscienza. Ma, ancora una volta, Croce cade nell’astrazione intellettualistica,
secondo cui è possibile separare e contrapporre soggetto e oggetto, coscienza e società. “Quando
l’oggetto è opera del soggetto, il fare coincide col conoscere” (109) e il conoscere coincide col fare.
Confronto con Sorel
A questo punto Gentile fa i conti con Sorel, il quale pure propone nell’opera La necessità e il
fatalismo nel marxismo una lettura “debole” del marxismo: le generalizzazioni di Marx servono per
la propaganda, ma non hanno un valore scientifico a mo’ delle leggi della fisica. E del resto,
secondo Sorel, ammettere una scientificità assoluta in sociologia significherebbe cadere nel
fatalismo e nel determinismo.
Gentile ritiene che né determinismo né fatalismo possano attagliarsi al marxismo, perché tali
concezioni prevedono una trascendenza esterna che regoli il corso delle cose a prescindere dalla
libertà umana. In Marx, come in Hegel, invece, vi è coincidenza tra libertà e necessità. La necessità
sta nella dialettica immanente tra soggetto e oggetto. Ciò che sembra smentire la legge dialettica è il
cosiddetto accidentale ed è anche il motivo per cui l’empirismo non può mai giungere a vera
scienza, poiché tiene troppo in conto qualunque accidentalità.
Quando Marx dice ne La miseria della filosofia che “il mulino mosso a braccia vi darà la società a
regime feudale, il mulino a vapore vi darà invece il capitalismo industriale” (112-113), questa è una
esemplificazione di una legge che vuole essere assoluta e non conta nulla il fatto che vi possano
essere mulini mossi a braccia in svariati tipi di sistemi economici, come vuole il Sorel.
“Che importa per rispetto alla filosofia della storia, che nel sec. XVIII rifiorisca, a ritroso dei tempi,
il tomismo? Non già che la scolastica sia una filosofia dei tempi moderni, dopo Bacone e Cartesio;
ma solo che v’ha gente la quale non intende il proprio tempo, nega la storia e vive nel medio evo,
pur nel secolo decimo nono” (114)
È interessante notare come Gentile richiami in gioco il ruolo della causalità finale; infatti, il bisogno
che determina il mio agire è un fine che attrae e che viene liberamente perseguito, adattando le leggi
della natura alla soddisfazione di un dato scopo.
“La necessità quindi in Marx si concilia, come in Hegel, con la libertà; in quanto proviene dallo
sviluppo spontaneo dell’attività originaria, secondo la propria natura” (118).
Marxismo teorico e marxismo pratico
Gentile passa ad illustrare brevemente il rapporto tra marxismo teorico e marxismo pratico, di cui
sono esponenti per antonomasia, rispettivamente, Labriola e Sorel. Entrambi non sono negatori del
vero marxismo, ma continuatori in senso differente.
L’essere (lotta di classi) produce la coscienza (marxismo teorico), ma il marxismo teorico,
negandosi, cioè ridivenendo prassi, agisce sulla società (prassi che si rovescia); a sua volta la
società produrrà una sempre maggiore consapevolezza della teoria marxista (Labriola). Vi sono
autori che devono trasformare il marxismo da scienza in propaganda (negazione della negazione)
perché il marxismo torni al proletario e lo faccia agire in vista di un fine, che peraltro la società
stessa sta perseguendo. La contraddizione dialettica, già presente in Marx, filosofo e rivoluzionario,
si estende necessariamente ai suoi seguaci, dei quali alcuni propendono per il percorso teorico che
dalla società porta alla coscienza, altri alla negazione della coscienza per tornare ad agire nella
società.
5
“Marx non fu un rivoluzionario che fece ricorso alla filosofia solo per giustificare filosoficamente le
proprie teorie rivoluzionarie; ma fu anche un vero e proprio filosofo che per particolari studi e per le
condizioni dei tempi diventò rivoluzionario” (119).
Confronto con Labriola e Engels
Prima di esporre la propria compiuta critica alla filosofia della prassi, Gentile si confronta ancora
con Labriola ed Engels, che accomuna in una visione “positivista” di Marx, la quale, come abbiamo
visto, è da escludere radicalmente (altrimenti si ricaccia il marxismo fuori dalla filosofia tra le
scienze sociali, ma questo per Gentile è insostenibile).
Labriola guarda più all’Engels dell’Antidühring che alle dottrine di Marx, ed Engels non ha inteso
pienamente il senso filosofico di Marx. Labriola sostiene che il marxismo è una “filosofia
immanente alle cose su cui filosofeggia” (Socialisme et Philosophie, 1899), ma per Gentile ciò è
proprio in senso lato di ogni filosofia e in senso proprio della filosofia hegeliana, dove la realtà
stessa è filosofia dispiegata: “Se le cose sono razionali, è chiaro che in esse è immanente una
filosofia” (127).
Il limite di Engels, e anche di Labriola, è di avere inteso l’hegelismo come una specie di
platonismo, come se l’Idea hegeliana fosse trascendente rispetto alle cose. In nota Gentile riporta un
passo dell’Antidühring (p.9 ed.3, Stuttgart 1894), che è illuminante: “Hegel era idealista, cioè, per
lui le idee della sua testa non erano già le immagini più o meno astratte delle cose e degli
avvenimenti reali, ma al contrario per lui le cose e il loro sviluppo erano solo le immagini attuate
dell’Idea la quale esiste già prima del mondo, in qualche luogo” (128).
Marx, invece, non ignora che Hegel ha superato la contrapposizione tra pensiero e realtà e il suo
rovesciamento dialettico deve essere inteso diversamente da come fu inteso da Engels e Labriola.
Né Marx fu un positivista che fa una filosofia dei fenomeni che si presentano accidentalmente:
“Anche Marx […] si riferiva a una realtà essenziale, a una realtà che è al di là dei fenomeni; e le
cose, di cui diceva di aver trovato la dialettica, non eran già tutte le cose, necessarie o accidentali, di
cui la storia ci schiera innanzi l’infinita schiera fenomenica; ma eran le cose nella loro intima e,
dicasi pure, metafisica sostanza, determinata materialisticamente nella vita economica. Certo,
sfugge dalla rete a grandi maglie di questa realtà metafisica, tanta e tanta parte della fenomenica;
ma questa che sfugge non è razionale, e non è quindi vera realtà, avrebbe detto Hegel; essa non è
economica, e quindi non è reale realtà, osserverebbe Marx. Perciò egli poteva dire che la storia è
essenzialmente materialistica; e ciò che nella storia non è materiale, dire ideologia e non fatto”
(130-131).
Dunque, Gentile riconduce Hegel a Marx e lo sottrae all’abbraccio positivistico. Hegel e Marx
sono identici per quanto riguarda la dialettica, sono diversi per quanto riguarda il motore
dialettico. Per Hegel è l’idea, per Marx è la materia. Nell’ultima parte del saggio, il filosofo
siciliano proverà a dimostrare che è contraddittorio porre la materia come motore dialettico, e
quindi occorrerà superare Marx tornando ad Hegel, anzi a Fichte, perché è lì che va realmente a
parare l’attualismo come vera filosofia della prassi.
Non si può non sottolineare che in questa posizione vi è l’idea che la rivoluzione sia fatta da élites
di intellettuali, in qualunque condizione storica materiale, dal momento che è l’idea che guida il
processo e non la materia. Da un punto di vista storico il Novecento ha dato piena ragione a
Gentile: le rivoluzioni novecentesche – bolscevismo, fascismo, nazismo, gandhismo, fino alla
“rivoluzione” teo-con – sono andate tutte allo stesso modo, guidate da élites in grado di fare la
6
storia come realizzazione di un’idea. Che poi queste rivoluzioni fossero qualcosa di molto diverso
da ciò che intendeva Marx, è un altro paio di maniche. Qui è importante sottolineare che Gentile,
che comprende Marx e lo supera, è rivoluzionario. E sa come va la storia…Marx, invece, lasciato
alla dialettica “materialista”, finisce per forza di cose in ostaggio del capitale, la vera forza
materiale della storia, ovvero finisce in socialdemocrazia via via sempre più pallida ed esangue…
Infine, è chiaro come per Gentile solo in logica ci sono vere leggi necessarie e universali, mentre le
scienze empiriche sono condannate a leggi di tendenza sempre rivedibili. Perciò, cadono già a
priori tutte le obiezioni alla Popper su hegelismo, marxismo ecc. come pseudoscienze che
forzerebbero i fenomeni ad entrare dentro un quadro teorico precostituito. Hegelismo e marxismo
non hanno mai preteso di essere scienze in senso empirico. Esse sono filosofie, e non filosofie
disincarnate, anzi!, giacché esse “fanno” la storia. I critici alla Popper non sanno che cosa sia
filosofia in senso forte. Credono che non abbia utilità, anzi la ritengono perniciosa. Ma non si
rendono conto che lo stesso sviluppo empirico delle scienze è guidato da grandi metafisiche e che
sono le grandi metafisiche che fanno la storia in senso dialettico.
È sorprendente come Engels e Labriola non si avvedano che la “metafisica” che loro combattono, è
la stessa metafisica combattuta da Hegel e da Marx, la metafisica propria degli empiristi, che isola i
dati del concreto, li astrae, e poi su di essi elabora una nuova astrazione metafisica. “Gli alberi, dice
con una bella immagine Engels, impediscono di veder la foresta” (136). Ma è proprio quello che già
sosteneva Hegel, completamente frainteso da Engels, secondo Gentile, il quale riporta un
fondamentale passo della Logica hegeliana: “Al principio exclusi tertii, che è il principio proprio
dell’intelletto astratto, dovrebbesi sostituire il principio: tutte le cose sono contraddittorie. Non vi
ha infatti, né in cielo né in terra, né nel mondo dello spirito, né in quello della natura, nulla a cui
possa applicarsi il ‘questo’ o ‘quello’ dell’intelletto come tale. Tutto ciò che è, è un essere concreto,
e contiene quindi la differenza e l’opposizione”. (136-137. Hegel, Logica, CXIX.1.2).
Il punto è che Engels e Labriola vedrebbero che la dialettica è ormai saldamente insediata nelle
stesse scienze empiriche (evoluzionismo darwiniano, ad esempio) e che, infine, il marxismo
costituirebbe la vera scienza empirica e dialettica che disintegra ogni forma di filosofia astratta. Ma
su questo punto Gentile è in netto contrasto, perché l’annientamento della filosofia e la sua
riduzione a scienza empirica, eliminando la contraddizione, ritorna alla tanto vituperata astrazione.
Così in biologia l’uomo si afferma come ultima specie della scala biologica senza sopprimere quelle
sottostanti, e nella vita politica, lo Stato si impone sulla famiglia senza annientarla:
“Non è in una scienza in cui la filosofia sia immanente, la soluzione della contraddizione tra scienze
particolari e la filosofia; ma in una forma di filosofia in cui i risultati delle singole scienze siano
inverati; cioè in una filosofia della natura, nel senso più lato del termine o meglio in ciò che Hegel
diceva un’enciclopedia filosofica” (140-141).
La critica che Labriola e Engels muovono a Hegel e a tutto l’idealismo, è quella di scarsa attenzione
per l’empiria. Qui Gentile ha buon gioco nello svelare un fraintendimento, purtroppo molto radicato
e duro a morire. E lo fa, addirittura, citando Schelling. Non siamo noi che conosciamo la natura a
priori, è la natura che è a priori un tutto organico. La nostra conoscenza non può fare a meno dell’a
posteriori dell’esperienza, e anzi, tutta la conoscenza, non può che essere “empirica”, ma non deve
fermarsi all’empirico, deve risalire tramite esso ai nessi necessari e riconoscerli come a priori. Da
un punto di vista della teoria della conoscenza non si può conoscere la “categoria” se non nel suo
utilizzo empirico. Da un punto di vista metafisico, la “categoria” non può non essere “prima”, a
prescindere dall’utilizzo empirico, altrimenti non potrebbe nemmeno categorizzare il dato.
7
Gentile riprende Spaventa, di cui lamenta il declino nella cultura italiana. Un passo dello stesso
Spaventa risulta illuminante: “Di certo senza l’esperienza non si può avere nessuna notizia delle
cose. Ma ciò che l’esperienza non dà, né può dare, è il nesso, la relazione o il sistema di tutte le
cose. Questo sistema, nel quale consiste la vera realtà – giacché nessuna cosa è reale, se non nel
sistema universale delle cose – è… l’oggetto della filosofia. I dati dell’esperienza sono molteplici,
sciolti, isolati, sconnessi, e ricevono l’unità – e quindi il vero significato – soltanto dal pensiero
speculativo. E in ciò – in questa sua relazione con l’esperienza – consiste la originalità (priorità) del
pensiero; giacché non altro che il pensiero è e può essere quella unità, in cui sola tutte le cose sono
reali. Quindi, non l’esperienza, come pare a prima vista e si giudica comunemente, è la ragione del
pensiero; ma questo è, invece, la ragione di quella. L’esperienza è soltanto la base temporanea – il
punto di partenza negativo – del pensiero;” (146-147; Spaventa, Principii di filosofia, 1867, pp. 9697).
Ciò che dà unità e sistematicità al pensiero marxiano è l’idea che tutto è materia (intesa come
prassi). Questo concetto è riscontrato nei fatti empirici analizzati, ma non è, esso stesso, un fatto. La
categoria non può essere vuota nel suo utilizzo (categoria come tale), è bensì vuota come concetto,
altrimenti Kant non avrebbe potuto parlare nell’Analitica trascendentale di questi reine Begriffe.
“La categoria come tale è nel fatto; la categoria-concetto è nella scienza” (151).
Il marxismo, dal punto di vista filosofico è un monismo. Ogni volta che Marx nel Capitale mostra
fatti empirici di carattere economico che spiegano altri fatti economici, sociali, artistici, religiosi,
mostra in azione il concetto che “tutto è materia”, ma non per questo tale concetto non è isolabile e
concepibile come la vera parte logico-filosofica della filosofia marxiana, né Il Capitale è l’unica
opera dove vi sia una perfetta integrazione tra il concetto e il fatto.
Infine, un ulteriore accostamentro tra marxismo ed hegelismo è proposto da Gentile ragionando
circa la questione dell’ottimismo marxista. Conviene dare la parola stessa all’autore: “Una volta il
male degli schiavi era il bene dei padroni; poi il male dei vassalli fu il bene dei signori; quindi il
male dei proletari è stato il bene dei capitalisti; tempo verrà che questa contraddizione del male che
è bene, e del bene che è male, sarà risoluta… nel bene di tutti; il quale però, non opponendosi al
male, non sarà più veramente il bene, bensì l’unità del bene e del male. Ma il trionfo del comunismo
non sarà già opera dell’eterna giustizia. «Quella benefica signora non ismuoverà una sola delle
pietre dell’edificio capitalistico». Nel male presente i materialisti trovano appunto le molle
dell’avvenire; e questo attendono dalla ribellione degli oppressi, non dalla bontà degli oppressori.
Che vuol dire tutto ciò? Che ciò che è, deve essere; il reale è essenzialmente razionale, proprio
come diceva Hegel. L’opposizione di bene e male resterà una contraddizione dell’intelletto astratto,
che il pensiero speculativo risolve, superandola, come ogni altra contraddizione. Il bene e il male
non esistono nella realtà essenziale; ma, come dice Marx, sono ideologie. Materialismo storico ed
hegelismo allo stesso modo, adunque, sorpassano in teoria il punto di vista pessimistico e
l’ottimistico. Ma in fatto sono ambedue sistemi prettamente ottimisti. Ciò che è dev’essere; la realtà
è razionale. Ma intanto questa realtà, in quanto storia, rappresenta il fatale cammino dello Spirito
del mondo verso la libertà di tutti, in Hegel; o l’ascensione dell’uomo «dalla immediatezza del
vivere (animale) alla libertà perfetta (che è il comunismo)» (Labriola, op. cit., pp. 83-84)” (154155).
Critica della filosofia della prassi
Ridotto il marxismo ad una forma speculare di hegelismo, Gentile prova a confutare l’assunto
logico che la prassi sia materia, perché sull’idea che tutto sia prassi, è d’accordo anche il filosofo
siciliano; il contrasto sta nel comprendere qual è il principio della prassi. “Hegel diceva che l’idea,
lo spirito è operoso; e che il suo sviluppo dialettico è la ragione del divenire della realtà. Marx non
fa altro che sostituire allo spirito il corpo, all’idea il senso: e ai prodotti dello spirito, in cui
8
consisteva per Hegel la vera realtà (e che per Marx diventano ideologie), i fatti economici, che sono
i prodotti dell’attività sensitiva umana, nella ricerca della soddisfazione di tutti quei bisogni
materiali, cui Feuerbach aveva ridotto l’essenza dell’uomo” (156-157).
Secondo Marx dalla sensibilità si formano tutti i gradi superiori dell’intelletto e della ragione;
occorre allora comprendere che cosa sia la sensibilità. Da un punto di vista meramente psicologico e
fenomenologico si può anche accettare che il senso sia creatore. Sappiamo infatti che le vibrazioni
della materia sono trasformate dal senso in colore o suono. Dunque, il colore o il suono sono un
prodotto del senso, il quale ha una sua capacità creativa. La psicologia può fermarsi qui e dire che il
senso fa il colore, del fatto fisico non si interessa. Ma non è questo il punto. Il punto è che se il
marxismo vuole essere filosofia, e per di più un materialismo, deve rispondere a questa domanda:
che ruolo svolge la materia nel produrre il colore, nel produrre il suono? Nell’idealismo (a cui
Gentile, come noto, ascrive anche Kant) questo passaggio dall’aposteriori all’apriori è chiaro, la
materia dà il dato sensibile e consente alla categoria di rivelarsi, ma quando la categoria si accende,
sollecitata dal dato sensibile, si scopre che è essa a dominare e a fare la realtà: “L’idealismo
osserva, che i concetti, le leggi razionali dominano la realtà; e così non vi sono corpi chimici che si
sottraggano ai rapporti matematici delle rispettive formule, né c’è lupo o cavallo che non sia
quadrupede o mammifero […]. Dunque la realtà stessa è come costruita dalla ragione, che vi si
appalesa immanente” (159). L’intelletto è il positivo, la materia il negativo; lo spirito è la dialettica
inscindibile di soggetto e oggetto. Ora, Marx deve mostrare invece che la materia è il positivo.
Altrimenti si arriverebbe al paradosso di un materialismo che sostiene che per materia occorre
intendere la sensazione e che tutto ciò che è posto al di là della sensazione è solo astrazione e
dunque occorre negare la materia. Un materialismo che neghi la materia non si è mai visto. Non lo
fa nemmeno l’idealismo!
Si noti che qui Gentile muove una critica analoga a quella che Lenin muove agli empiriocriticisti e
in particolare ai marxisti empiriocriticisti, i quali sostenevano che la sensazione sia
intrascendibile.
Marx potrebbe dire che quella materia di cui si parla come fornitrice del dato è un’astrazione, che
l’unica realtà è il sensibile stesso e che questo è da considerare “materia”.
Il marxismo, in verità, vorrebbe essere un’antimetafisica e un umanismo radicali. Per il marxista
non si può uscire fuori dell’umano e ogni forma di metafisica è preclusa. Per il metafisico
tradizionale Dio e il mondo sono prima e al di là dell’umano; per il metafisico idealista le
categorie logiche proprie dell’umano sono considerate quel divino logico che è in sé e per sé, che si
aliena e che ritorna a sé. In fondo, anche per l’idealismo non si esce fuori dell’umano, solo che in
esso si divinizza una parte dell’umano, propriamente il pensiero, la logica, a cui si subordina
l’umano in carne e ossa. Per il marxista non è possibile uscire fuori dell’umano, ma il motore di
ogni cosa è sempre il senso, che è anche materia, il quale sviluppandosi a seconda dei bisogni e del
loro soddisfacimento in un contesto economico, produce poi tutto ciò che è ulteriore.
Ora, per Gentile, Marx dimentica il suo stesso punto di partenza, ovvero che la sensazione si dà
sempre in una relazione intraumana, sociale, che è al di là della sensazione stessa. Nella società di
sensibile ci sono solo gli individui, ma la società stessa è un organismo, è un nesso, è una relazione,
è vincolo etico, è razionalità. Il punto centrale è che per Gentile la sensazione, da sola, non può
spiegare la società, come non può spiegare nulla. Ad esempio, la sensazione coglie due individui,
ma che ne sa della relazione che intercorre tra di essi? La sensazione non può che fermarsi agli
individui e pertanto è perfettamente conseguente che nel materialismo classico si neghi la società, si
pervenga all’idea della società come accozzaglia di individui astratti, che è proprio quello che Marx
intende superare con la sua idea di prassi.
9
“Il materialismo non può vedere nell’uomo se non l’animale (naturalismo); ma Marx in forza del
suo concetto della prassi è costretto a vedere nell’uomo qualcosa di più che il puro animale, a
vederci per l’appunto… l’uomo, vale a dire l’animale sì, ma l’animale per natura sua politico,
secondo la vecchia espressione aristotelica” (161)
Qui, però, ed è il punto centrale della critica di Gentile a Marx, il filosofo siciliano sostiene che la
sensibilità o è ciò che intende l’idealismo (ovvero da sempre unità di forma e materia e che anche
nella sensibilità ciò che ordina, che crea, al di là dell’impulso è la forma); oppure si deve intendere
la sensibilità nel senso empirista classico, come traccia, come impressione. Ma l’empirismo sfocia
per forza di cose nel materialismo astratto, nel nominalismo, (nelle sue forme più avvertite nello
scetticismo), nell’individualismo, nel liberismo, nell’anarchismo, che sono proprio quei limiti che il
materialismo marxista ha smascherato nel materialismo classico e in Feuerbach e che intende
superare. Solo che si esclude una possibile diversa analisi della sensibilità, propriamente
marxiana. Occorre dunque approfondire questo punto: esiste in Marx un’analisi della sensazione
che vada al di là di quella idealista (pensare alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel) e al tempo
stesso di quella empirista?
In ogni caso, la posizione di Gentile è chiara. Marx è valido contro ogni forma di intellettualismo
astratto e la sua è una vera e propria filosofia, perché è dialettica. Il concetto di prassi è un
concetto centrale e fondamentale. L’errore di Marx sta nell’individuare nel senso (e nell’economia
come conseguenza) il motore della prassi, mentre per Gentile è lo spirito ad essere operoso. Il
senso o è il grado più basso dello spirito che si ricomprende (e quindi, in sé non è nulla) o è il
senso degli animali, incapace di costituire alcunché di logico, di razionale.
“La radice della contraddizione, che spunta per ogni verso nel materialismo di Marx, è nell’assoluto
difetto di ogni critica relativa al concetto della prassi applicata alla realtà sensibile, o alla materia,
che presso di lui si equivalgono. Marx non pare si sia curato menomamente di vedere in che modo
la prassi si potesse accoppiare alla materia, in quanto unica realtà; mentre tutta la storia antecedente
della filosofia doveva ammonirlo dell’inconciliabilità dei due principii; di quella forma (= prassi)
con quel contenuto (=materia)”. (163)
10