Eventi, convegni e congressi
Maria Gloria Attolini
L’università di Aberdeen ha accolto dall’1 al 4 settembre 2008 il 21° Simposio Internazionale ICFMH Food Micro2008,
evento a cui hanno partecipato circa 950 delegati provenienti da 50 paesi, appartenenti al mondo della ricerca universitaria, della ricerca applicata (tra cui la SSICA) e ad alcune industrie alimentari.
Sono stati affrontati argomenti di natura microbiologica riguardanti i principali microrganismi alimentari, svariate tipologie di alimenti (alimenti fermentati, alimenti freschi, RTE, ittici), tecnologie di trasformazione (alta pressione idrostatica, campi elettrici pulsati, irraggiamento), modelli predittivi per controllare lo sviluppo dei patogeni alimentari.
In particolare sono stati presentati studi su batteri, miceti, virus, sul controllo della produzione di tossine, sull’impiego
di antimicrobici naturali (biocine), sull’utilizzo di tecniche molecolari per la determinazione dei microrganismi negli alimenti, sui biosensori per la determinazione di patogeni. Food Micro 2008 si è occupata specificamente di questi temi
con 15 presentazioni plenarie a invito, 35 sessioni parallele in aree specialistiche e 211 presentazioni orali.
Alle presentazioni orali è stata affiancata una sessione poster con 654 lavori.
Il titolo del simposio Evolving Microbial Food Quality and Safety sottolinea una doppia sfida: se da una parte i problemi della sicurezza alimentare sono oggetto di studi sempre più mirati e di una vasta copertura mediatica, oltre che
di vivacissima attenzione da parte del commercio internazionale, è importante d’altro canto che chi si occupa di
sicurezza e salute del consumatore tenga d’occhio, nel perseguire i suoi obiettivi, la salvaguardia della qualità degli
alimenti con il raggiungimento di standard sempre più elevati.
Data la vastità delle sessioni e degli argomenti trattati, nella stesura di questa relazione è stato necessario operare una
scelta in base a problemi ritenuti emergenti dai ricercatori e dai vari operatori nel campo della sicurezza alimentare.
Temi trattati
• Foodborne Pathogens: Listeria, VTEC, Campylobacter, Salmonella & Viruses
• Fish Microbiology – Spoilage and Safety
• Food Safety and Quality: Ready to Eat Foods, Fermented Foods, Ethnic Foods
• Food Mycology
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Food Attribution, Risk Assessment, Predictive Modelling, Dose Response Modelling
Food Allergies and Food Micro Toxicology
Biological Toxins
Control of Pathogens: Bacteriocins, Phage Control
Advanced Methods: Rapid Detection, Molecular Typing, Transcriptomics
Hot Topics
Larry Beuchat, Professore al Centre for Food Safety, University of Georgia, ha trattato il tema Microbiological Safety of Fresh
Vegetables and Fruits, importante per l’industria conserviera soprattutto per quanto concerne i prodotti della quarta gamma.
Le patologie legate al consumo di vegetali freschi, afferma Beuchat, non sono storia recente. Già cento anni fa la letteratura
scientifica riportava casi di febbre tifoide associata al consumo di ortaggi coltivati in suolo contaminato. Tuttavia, la frequenza
di epidemie documentate di infezioni legate a tale consumo è notevolmente aumentata negli ultimi decenni.
Un esempio: se nel 1996 il 4,3% delle epidemie e il 45,4% delle malattie erano associate al consumo di vegetali freschi, nel 2006
le cifre relative alle epidemie si sono alzate considerevolmente: il 33,3% contro il 42,7% delle malattie.
A questo aumento hanno indubbiamente contribuito cambiamenti nelle pratiche agronomiche, di trasformazione, conservazione, confezionamento, distribuzione, commercializzazione e consumo dei prodotti; naturalmente, la suscettibilità alle
infezioni di origine alimentare è connessa a fattori quali la natura del patogeno, il livello di contaminazione degli alimenti, la
matrice alimentare, lo stato immunitario dell’ospite.
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Fra i patogeni emergenti: i virus enterici umani, parassiti intracellulari obbligati, a trasmissione oro-fecale: il virus
dell’epatite A, il rotavirus, i norovirus.
Vi è poi il Mycobacterium avium spp. paratubercolosis che causa la malattia di Johne nel bestiame ed è implicato
come possibile causa del morbo di Crohn nell’uomo. Tra le possibili fonti, il latte.
Ancora, Trypanosoma cruzi e Triatoma infestans, associati a varie epidemie di origine alimentare e alla malattia di
Chagas.
Una volta insediatisi sulla superficie o nei tessuti sottostanti la superficie di frutta e ortaggi, i batteri, i virus e i parassiti in
grado di causare patologie nell’uomo possono sopravvivere per diversi mesi.
Il rischio di contrarre malattie causate da patogeni di origine alimentare può essere ridotto impedendo la contaminazione oppure mediante trattamento chimico o fisico della materia prima. Tuttavia, non sempre si può raggiungere un
rischio zero riguardo alla sicurezza senza compromettere le proprietà organolettiche della materia prima, soprattutto
per la difficoltà dei trattamenti a raggiungere quei punti in cui i patogeni possono essere presenti nei tessuti. La cuticola idrofobica sulla superficie dei prodotti, le diverse morfologie superficiali, il differenziale di temperatura, meccanismi
di abrasione, danneggiamenti provocati da insetti e infezioni fungine dei tessuti creano dei meccanismi mediante i
quali cellule dei patogeni possono attaccarsi ai vegetali e infiltrarli, risultando così protette rispetto ai trattamenti di
decontaminazione.
Vi sono poi prove sempre più certe che i batteri in grado di causare malattie nell’uomo possono comportarsi da epifiti
nei tessuti vegetali, il che crea loro una sorta di protezione nei confronti delle tradizionali applicazioni dei sanitizzanti
superficiali.
Internalizzazione dei patogeni
Le diapositive sono state cortesemente concesse per la pubblicazione da Larry Beuchat.
In conclusione, risulta di estrema importanza rispettare Buone Pratiche Agricole che riducano al minimo il rischio di
contaminazione dei tessuti interni dei vegetali destinati al consumo da parte di patogeni di origine alimentare provenienti da fonti quali animali, terra, acque irrigue, acque di scarico.
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Marco Gobetti, Professore alla Facoltà di Agricoltura dell’Università di Bari, ha trattato il tema Functional Micro-organisms for Functional Food Quality.
Gli alimenti funzionali, afferma Gobetti, continuano ad essere oggetto di grande attenzione all’interno della comunità
scientifica e per il consumatore. In breve, l’espressione “alimento funzionale” si riferisce ad un alimento che fornisce
benefici in termini di salute così come nutrienti.
Questo termine può essere applicato a diverse categorie di prodotti: alimenti naturali, alimenti arricchiti (con aggiunta
di un componente bioattivo), alimenti fortificati-modificati (in cui è stata modificata la natura di uno o più componenti), alimenti in cui è stata modificata la biodisponibilità di uno o più elementi. Nonostante esempi controversi (es.
vitamina E e beta-carotene) si accompagnino ad esempi positivi (fibra dietetica e steroli delle piante), i microrganismi
funzionali e i benefici che essi apportano in termini di salute possono rappresentare un binomio a elevato potenziale
per tutte le categorie di alimenti funzionali.
Per quanto riguarda i probiotici, negli ultimi anni si è assistito a un’evoluzione dal concetto di alimento con effetti positivi (anche se non chiaramente definiti) sul benessere a quello di alimenti funzionali. Non solo i latti fermentati e, più
in generale, i prodotti lattiero-caseari sono attualmente impiegati come veicolo di probiotici; vi è anzi una forte spinta
verso alimenti e bevande probiotiche non a base di latte.
In condizioni ambientali ottimali, i microrganismi funzionali possono anche contribuire alla funzionalità degli alimenti
attraverso il loro patrimonio enzimatico e alla liberazione di metaboliti.
Composti bioattivi (es. peptidi e acido gamma-amino-butirrico) possono essere liberati durante la lavorazione degli
alimenti oltre la soglia fisiologica ed esercitare vari benefici in termini di salute in vivo (es: angiotensina 1). I microrganismi funzionali e/o i loro enzimi sono ancora più usati nelle nuove strategie per diminuire il fenomeno di allergie e
intolleranze alimentari (es: intolleranza al glutine).
Microrganismi
CAMPYLOBACTER
A FoodMicro si è parlato molto di Campylobacter, un importante patogeno alimentare che attualmente comprende
17 specie delle quali 14 sono state isolate dall’uomo. Storicamente, più del 99% dei ceppi di Campylobacter isolati e
identificati in casi di malattie umane erano C. jejuni subsp. jejuni o C. coli.
Tom Humphrey, professore di Batteriologia Zoonotica Veterinaria dell’University of Bristol, nella relazione Campylobacter: Important and Misunderstood Zoonotic Pathogens afferma che, secondo una stima dell’WHO, circa l’1% della
popolazione dell’Europa Occidentale sarà infettata ogni anno da questo batterio.
Solo nel Regno Unito questo significa 600.000 casi all’anno. Dati ottenuti da indagini del tipo caso-controllo e forniti da
osservatori, nonché da studi di tipizzazione molecolare, indicano che circa il 50-70% delle infezioni umane nel Regno
Unito sono causate direttamente o indirettamente da pollame contaminato. Un migliore controllo del Campylobacter
nella produzione di pollame comporterebbe significativi vantaggi a livello di benefici sulla salute pubblica. Si è visto
infatti che una maggiore biosicurezza applicata negli allevamenti sta riducendo la prevalenza di capi positivi al Campylobacter in attesa di una prima parziale e quindi completa de-popolazione.
Si sta anche chiarendo sempre più che, lungi dall’essere quei batteri altamente sensibili quali sono oggi ritenuti, Campylobacter spp. rispondono e interagiscono con ambienti extraintestinali secondo modalità che ne aumentano la
sopravvivenza e il potenziale infettivo.
È quindi importante approfondire diversi aspetti dell’interazione del Campylobacter con il suo ospite più importante, il
pollo, e verificare se questi batteri sono commensali nei polli del commercio discutendo in che misura lo stato di stress
dell’ospite e le risposte immunitarie innate possono modificare il comportamento e la virulenza di questi importanti
patogeni zoonotici.
LISTERIA
Importanti episodi di listeriosi di origine alimentare, afferma Sophia Kathariou della North Carolina State University, hanno
coinvolto gruppi clonali ben definiti (“cloni epidemici”) di Listeria monocytogenes sierotipo 4b. Il clone epidemico I
(ECI) è stato responsabile di numerose epidemie in America del Nord e in Europa. Il clone epidemico II è stato implicato
in due epidemie multistato negli Stati Uniti (1998-99 e 2002), entrambe legate al consumo di piatti pronti a base di carne
contaminati. I due cloni continuano ad essere presenti in casi sporadici di listeriosi. La sequenziazione genomica dei
ceppi ECI (F2365) ed ECII (H7858) ha reso molto più facile l’identificazione di caratteristiche genomiche uniche per questi cloni. Ulteriori informazioni sono state ottenute dall’analisi di regioni cromosomiali clone-specifiche e di plasmidi.
I ceppi ECII ospitano plasmidi di grande dimensione (ca. 55-80 kb) che codificano una resistenza al cadmio. Inoltre si
è osservato che una nuova serie di geni media la resistenza ai disinfettanti a base di ammonio quaternario e al cloruro
di benzalconio, ampiamente impiegati in protocolli di routine per la disinfezione d’impianti per la trasformazione degli
alimenti.
I ceppi del clone epidemico II presentano anche una resistenza dipendente dalla temperatura a fagi isolati da ambienti in cui avviene la trasformazione degli alimenti.
L’analisi genetica indica che questa resistenza è mediata dai geni in un’isola genomica specifica di questo clone
epidemico.
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Altri flash su Listeria monocytogenes
• Questo patogeno è particolarmente studiato vista la sua ubiquità.
• Gli RTE sono i principali alimenti implicati in listeriosi. Sono stati effettuati challenge test in diversi prodotti stoccati a diverse
temperature di refrigerazione e di abuso (10°C) inoculati con diverse concentrazioni, per definire la shelf-life massima e
l’andamento del patogeno.
• Studi sono stati effettuati su prodotti della pesca (gamberetti) in funzione di 11 parametri (diversi acidi, temperatura, pH,
nitrito, CO2, aw) interagenti tra di loro: è stato ricavato un modello predittivo di crescita del patogeno.
• È stata condotta un’indagine sull’efficacia del SDS (sodio dodecilsolfato), un detergente anionico impiegato su superfici e
sull’aggiunta di argento a superfici (convejor belt) per inattivare il ceppo.
• Sono stati valutati l’azione di batteriocine prodotte da Lactobacillus plantarum e l’impiego di batteriofagi per il controllo di
L. monocytogenes.
Come Salmonella ed E. coli possono contaminare le foglie d’insalata – Gadi Frankel, Imperial College, London
Foglie d’insalata contaminate sono risultate essere un importante veicolo per la trasmissione di patogeni enterici all’uomo.
Alcuni recenti episodi di tossinfezione alimentare sono stati associati al consumo di insalata o vegetali contaminati, più precisamente prodotti di quarta gamma. Per esempio, negli USA recenti episodi con E. coli sono stati riportati al consumo di
spinaci contaminati pre-lavati in sacchetto e nel 2007 si sono verificate in Inghilterra infezioni con Salmonella enterica serovar
Senftenberg in seguito al consumo di basilico contaminato.
Questi episodi hanno spinto il Prof. Frankel e la sua equipe a studiare i meccanismi utilizzati da questi batteri per aderire alla
superficie delle foglie d’insalata. È stato trovato che i ceppi O157 e non-O157 EHEC aderiscono alle foglie attraverso un sistema di secrezione filamentosa del tipo III; invece, alcuni serovar di Salmonella enterica fra cui Senftenberg e Typhimurium
aderiscono alle foglie di basilico e insalata soprattutto attraverso i flagelli. I ceppi mutanti carenti del gene FliC (che codifica
per l´antigene flagellare H7) aderivano a livelli ridotti.
Questi risultati mostrano che il patogeno enterico usa “fattori di virulenza” simili per colonizzare la mucosa intestinale e l’epidermide delle foglie.
E. coli patogeni
E. coli enteroemorragici sono importanti patogeni alimentari che causano diarrea emorragica e la sindrome emolitica uremica. Ad essi appartengono i sierogruppi O26, O103, O111, O145 e O157. Sono stati isolati in animali, ma non tutti gli isolati sono
risultati patogeni per l’uomo. In USA sono stati trovati in spinaci lavati, contaminati da acque irrigue. La carne macinata è
risultata talvolta contaminata da questo patogeno. L’E. coli O157:H7 è stato riscontrato anche in latte crudo e in formaggi.
Quattrocento sierotipi di E. coli sono risultati verocitossici (VTEC): E. coli O157:H7 era il sierotipo più diffuso associato con i ceppi
VTEC in alimenti e acqua. Anche ceppi non-O157 sono risultati responsabili di gastroenteriti. Molti ceppi VTEC di significato
clinico non sono ancora stati classificati.
È importante quindi poter usufruire di un sistema veloce per determinare il patogeno negli alimenti: il sistema rapido, automatizzato, quantitativo RT-PCR è impiegato per l’isolamento dei diversi sierogruppi e in particolare dell’O157:H7.
Virus
Lee-Ann Jaykus, North Carolina State University. Foodborne Viruses: Current and Emerging Risks
Ci sono molti virus che, trasmessi per via alimentare, sono in grado di causare malattie all’uomo.
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Gli alimenti maggiormente a rischio sono l’acqua, i molluschi e crostacei, i piatti pronti per il consumo.
Da un punto di vista epidemiologico, i virus più significativi sono il virus dell’epatite A, il rotavirus, i norovirus.
Il virus dell’epatite A è geneticamente stabile. I virus NoV e il virus dell’epatite E sono geneticamente piuttosto diversi.
Queste caratteristiche hanno stimolato interesse nella capacità di questi virus a evolversi verso forme più virulente per
mutazione naturale e/o ricombinazione e ad essere trasmessi dagli animali all’uomo (diffusione zoonotica).
Le diapositive sono state cortesemente concesse per la pubblicazione da Lee-Ann Jaykus.
Sabah Bidawid, Health Canada (Survival and Elimination of Viruses from Food Preparation Surfaces and Foods) ha parlato della
grande capacità dei virus di adattarsi all’ambiente sopportando importanti variazioni ambientali (pH, temperatura, umidità)
nelle pratiche di trasformazione degli alimenti e di magazzinaggio. In conseguenza, questi virus possono diffondersi non solo
attraverso gli alimenti, ma anche attraverso l’acqua, l’aria, la pelle, i guanti, rimanendo vitali per ore sulle mani e perfino per
settimane o mesi negli alimenti e su superfici inanimate. Derrate fresche e piatti pronti per il consumo sono stati coinvolti in più di
metà delle epidemie di origine alimentare fra il 1990 e il 2003, il che sottolinea la necessità di applicare politiche di sicurezza più
severe, pratiche di manipolazione più sicure e tecnologie più efficaci.
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Attualmente si stanno sperimentando vari trattamenti di disinfezione su alimenti e fomiti, fra cui la ionizzazione e l’irraggiamento gamma, l’inattivazione con UV, il trattamento con composti a base di cloro e con acido peracetico, composti a base di
ammoniaca, bicarbonato di sodio, combinazione di alte pressioni e temperature ecc…
Si stanno anche studiando l’efficacia dell’uso di guanti nella prevenzione della trasmissione virale, l’effetto della temperatura
nell’eliminazione del virus dell’epatite A da molluschi e crostacei e l’attività virucida dei comuni disinfettanti nei confronti del
Calicivirus Felino,del Murine Norovirus e del Norovirus umano.
Le diapositive sono state cortesemente concesse per la pubblicazione da Sabah Bidawid.
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Modelli predittivi
Sono stati illustrati alcuni modelli quali:
• MRV (Microbial Responses Viewer) ottenuto da ComBase (database utilizzato da USDA, FSA, ecc.). Il modello si basa
su: area di crescita e no di microrganismi, crescita intesa come rapporto di crescita. La risposta è considerata positiva quando la crescita osservata indica un incremento di concentrazione batterica > 1,5 Log. Inoltre la crescita è
definita come valore positivo dello specifico rapporto di crescita, legato ai parametri temperatura, pH e a w. Diciannove generi di microrganismi con dati di crescita e no sono stati estratti da tutti i dati in ComBase comprendenti 29
generi di microrganismi; 17 dei 19 microrganismi sono stati poi modellati in funzione dei parametri temperatura, pH
e aw. L’impiego di questo database può essere applicato agli alimenti durante i processi di produzione e di distribuzione.
• Un modello matematico di modellazione predittiva per la microbiologia alimentare: SWOT (Strength, Weaknesses,
Opportunities and Threats), da parte di J. Ferrer, Università di Barcellona, Dip. di Fisica e Ingegneria nucleare.
• Un modello predittivo dinamico che descrive l’effetto della temperatura refrigerata e il coefficiente di trasferimento
di calore convettivo sulla crescita batterica.
• Lo sviluppo e la validazione dell’indicatore tempo-temperatura di accrescimento microbico nel controllo della vita
refrigerata di alimenti.
• Un modello d’inattivazione di spore di Bacillus subtilis in funzione della temperatura e della ”shear stress” rotazionale.
• Un modello per quantificare l’effetto dell’a w e della temperatura sulla crescita di due ceppi di Aspergillus carbonarius e sulla produzione di OTA in tre terreni di coltura.
• Un modello predittivo di sviluppo di Listeria monocytogenes e Listeria innocua in funzione dell’entità dell’inoculo, del
pH, dell’a w e della temperatura.
Metodi rapidi molecolari
Multipathogen Detection Strategies Using Biosensors (Arun Bhunia)
L’applicazione di una piattaforma con un unico sensore per la determinazione di patogeni multipli in modo economicamente conveniente è altamente desiderabile.
Il gruppo di lavoro del Prof. Bhunia del Center for Food Safety Engineering sta mettendo a punto diversi tipi di biosensori.
Un biosensore è un sistema costituito, in generale, da un mediatore biologico e da un trasduttore. Il primo ha la funzione di rilevare la presenza della sostanza cercata, detta “analita” (per esempio un pesticida) nel campione in esame;
il trasduttore, invece, genera un opportuno segnale (elettrico, ottico, etc.) in seguito all’interazione tra l’analita ed il
mediatore biologico. Questo segnale, opportunamente elaborato, permette di ottenere un’informazione qualitativa/
quantitativa sulla presenza dell’analita nel campione.
L’analisi mediante biosensori richiede lo sviluppo di specifici “protocolli biologici”, cioè di procedure per consentire
un’efficace interazione tra l’analita ed il mediatore biologico.
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Biosensori a fibre ottiche
Il biosensore a fibre ottiche è stato uno dei primi biosensori ottici disponibili in commercio per la determinazione dei patogeni di origine
alimentare e per patogeni importanti nell’area della biosicurezza.
Il sensore a fibre ottiche impiega anticorpi specifici marcati con un composto fluorescente in formato sandwich.
Infatti, il principio alla base del sensore a fibre ottiche è che quando la luce si propaga attraverso il cuore della fibra ottica (guida
d’onda), si genera un campo evanescente esterno alla superficie della waveguide. Quando analiti marcati con una sostanza fluorescente come patogeni o tossine legati alla superficie della waveguide sono eccitati dall’onda evanescente generata da un laser
(635 nm) ed emettono un segnale fluorescente, il segnale torna indietro attraverso la waveguide nella modalità high order ed è
riconosciuto dal rivelatore a fluorescenza in tempo reale.
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Il RAPTOR è un biosensore a fibra ottica automatizzato che è stato recentemente impiegato in test per determinare L. monocytogenes con metodi d’immobilizzazione di anticorpi su guide d’onda.
Dai risultati di questi saggi si è concluso che la qualità degli anticorpi è l’elemento chiave per migliorare la sensibilità.
Questo sensore è stato impiegato anche per la determinazione rapida di Campylobacter jejuni e tossine, fra cui micotossine
(ocratossina A, fumonisina B, aflatossina b 1 e DON).
Il sensore a diffusione della luce è un metodo non invasivo che non richiede marcatura per la determinazione di colonie batteriche.
Questa tecnologia differenzia i campioni in base all’indice di rifrazione, alla dimensione, alla forma e alla composizione. Quando una luce da una fonte di luce monocromatica polarizzata brilla su un campione (ad esempio, batteri), la
luce diffusa forma modelli distinti che possono essere impiegati per la determinazione di batteri. Tuttavia, lo stadio, il
substrato e la temperatura di accrescimento, l’aerazione e la diluizione finale del terreno in cui sono sospesi i microbi
possono influire sulla riproducibilità del metodo.
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Le diapositive sono state cortesemente concesse per la pubblicazione da Arun Bhunia.
Processing Technology
Nella sessione Processing Technology gli interventi di maggior interesse hanno riguardato le tecnologie innovative per
la stabilizzazione degli alimenti, con particolare attenzione alla diminuzione del danno termico, alla conservazione
delle proprietà nutrizionali e, indubbiamente, agli aspetti di sicurezza microbiologica.
Tra le tecnologie emergenti più utilizzate, sono stati presentati lavori sull’utilizzo delle alte pressioni idrostatiche (ampiamente studiate alla SSICA), al riscaldamento ohmico e alla tecnologia dei campi elettrici pulsati (PEF), tutte disponibili
per prove presso la SSICA.
L’intervento presentato dal gruppo di Margaret Patterson e Alan Mckay, dell’Agri-Food and Bioscience Institute di
Belfast, dal titolo Microbiological quality of pressure treated foods during extended chilled storage si è concentrato
sull’utilizzo di alte pressioni per l’inattivazione di microrganismi in succhi vegetali (melone, ananas), pesce (polpa di
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granchio cotta) e carne di pollo, effettuando trattamenti a 400 e 600 MPa e valutando poi la stabilità a diverse temperature di refrigerazione sia convenzionale sia di abuso.
L’intervento di Henry Jaeger dell’Università di Tecnologia di Berlino ha riguardato l’utilizzo della tecnologia PEF (Pulsed
Electric Field) per il trattamento di succhi vegetali al fine di ottenere un’inattivazione sia microbiologica sia enzimatica
studiando il meccanismo di azione e la sinergia dei campi elettrici pulsati e della temperatura di trattamento sulle
membrane cellulari.
L’intervento di Ioannis Savvaidis dell’University of Ioannina (Grecia) ha illustrato l’utilizzo delle radiazioni per la sanificazione di alimenti di origine animale e vegetale. Il risultato dell’applicazione di questa tecnologia ha portato all’estensione della shelf-life da 9 a 28 giorni per pesce fresco (pagello) confezionato sotto vuoto.
Nella sezione dedicata ai poster, di particolare interesse un lavoro dell’Istituto di Tecnologia di Izmir, Turchia, che ha
valutato l’effetto del trattamento di riscaldamento convenzionale e ohmico per inattivare spore di Alicyclobacillus
acidoterrestris in succo di mela concentrato. Il lavoro ha dimostrato l’efficacia della tecnologia ohmica nel trattamento termico e nel minor danno per effetto cottura del prodotto trattato.
La SSICA è stata presente a Food Micro con un poster, sintesi di lavori effettuati sul trattamento di patogeni in HHP.
L’applicazione agli alimenti del trattamento ad alta pressione idrostatica è una realtà consolidata. Questa tecnologia
è rivolta al trattamento dei prodotti vegetali naturalmente acidi o acidificati, della carne fresca e trasformata e dei
prodotti ittici. I vantaggi ottenuti con questo processo sono legati al fatto che si ottengono inattivazioni microbiche
ed enzimatiche riuscendo a conservare, per taluni prodotti, le caratteristiche organolettiche tipiche dell’alimento non
trattato.
Al fine di meglio esplorare le diverse potenzialità delle tecnologie HHP, SSICA si è dotata nel 1993 di un impianto pilota
ad alta pressione idrostatica; sono state così affrontate problematiche afferenti all’inattivazione microbiologica ed
enzimatica sia in vitro sia in diversi substrati alimentari e sono stati studiati aspetti legati al mantenimento delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali dei prodotti.
Per quanto concerne l’aspetto microbiologico l’attenzione è stata rivolta ai principali patogeni alimentari e ai microrganismi di alterazione; i risultati delle ricerche effettuate sono stati riportati sulla rivista dell’Istituto Industria Conserve
e presentati a diversi convegni. La SSICA si è distinta quale centro europeo sulle alte pressioni e, in collaborazione con
ditte costruttrici (ABB, Flow, ed ora Avure Technologies), ha fornito un valido contributo all’applicazione di questa tecnologia, nata originariamente nel settore meccanico e delle ceramiche.
Tra i patogeni studiati sono stati individuati i parametri tempo, livello di pressione e temperatura di trattamento di
Escherichia coli patogeni in vitro ed in carne cruda bovina macinata, di Listeria monocytogenes in vitro e in prosciutto
crudo, di Salmonella spp. in vitro, di spore di ceppi proteolitici e no di Clostridium botulinum, di spore di Bacillus cereus
in vitro.
Recentemente è stata anche saggiata l’applicazione di questa tecnologia per inattivare il virus di epatite A in mitili.
Sono stati inoltre studiati altri sporigeni quali Bacillus subtilis, clostridi butirrici, Clostridium sporogenes (elaborando un
modello matematico e il calcolo dell’effetto sterilizzante nei trattamenti termici ad alta pressione).
Sono stati trattati diversi alimenti a base frutta (succhi, nettari, in pezzi), molluschi e pesce refrigerato, piatti pronti al
consumo (piatti pronti, affettati vari) per verificare l’applicazione del trattamento iperbarico e per aumentare la vita
commerciale dei prodotti.
La delegazione della SSICA: Dott.ssa Maria Gloria Attolini, Dott. Andrea Brutti, Dott. Secondo Gola
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