La questione tibetana risoluzione del conflitto1 e le proposte di di Carla Gianotti* (28 marzo 2008) 1. La questione tibetana I gravi fatti verificatisi recentemente a Lhasa e allargatisi ben presto in tutto il Tibet – il Tibet cosiddetto politico dove vivono circa 6 milioni di tibetani e il Tibet etnografico che comprende le regioni tibetane del Khams e dell’Amdo, corrispondenti alle regioni cinesi del Gansu, del Qinghai, del Sichuan e dello Yunnan, in cui vivono circa un milione e 750.000 tibetani hanno portato la questione tibetana sotto i riflettori dei grandi media. Diciamo subito che non è sempre esistita una questione tibetana. Il Tibet inizia a diventare una questione, un problema cioè non più eludibile agli occhi della politica europea e stutunitense a partire dal 1959, anno in cui in seguito allo scoppio di una rivolta tibetana contro l’occupazione cinese del Tibet ( occupazione iniziata nel 1950), S.S. il XIV Dalai Lama del Tibet, il capo del governo tibetano, e uno stretto numero di alti dignitari, fuggirà in India, dove troverà asilo politico. La cittadina di Dharamsala nell’Himachal Pradesh a circa 200 km a nord di Nuova Delhi diventerà da quel momento in poi la residenza ufficiale del governo tibetano in esilio. E, sia detto per inciso, il governo tibetano in esilio a Dharamsala è oggi un governo di tipo democratico. I poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono in mano a un Parlamento composto da 46 membri, di cui 43 democra1 Il presente testo rappresenta l’abbreviazione di un intervento della sottoscritta alla tavola rotonda Tibet: uno spazio di riflessione sui fatti di Lhasa, svoltasi presso il Centro Studi Domenico Sereno Regis di Torino ( 27 marzo 2008). ticamente eletti. Il Dalai Lama, poi, può essere rimosso dall’incarico di capo dello stato tibetano con i 2/3 dei voti del Parlamento stesso. Fino al 1950 il Tibet e la Cina sono esistiti quali due stati indipendenti e sovrani, ciascuno con una propria particolare fisionomia politica, con cultura, lingua e religione proprie. Nel corso della storia non sono mancati rapporti di aperta conflittualità tra i due stati. Durante i circa due secoli di vita dell’antica dinastia tibetana dello Yarlung (dal 635 all’842 d.C.) assistiamo a uno stato di tensione quasi permanente tra l’impero tibetano e la Cina lungo il confine sinotibetano. Nel corso di una di queste incursioni, durante il regno del re tibetano Khri song lde btsan (755-797 d.C.), l’esercito tibetano giunge ad occupare per un breve periodo Ch’ ang-an, la capitale del potente impero dei T’ang, Con la caduta della monarchia tibetana dello Yarlung e la mancanza di un forte potere centrale che caratterizzerà il Tibet nei secoli seguenti ( fino al XIII secolo), la Cina si disinteresserà per alcuni secoli di uno stato che, a causa della sua debolezza interna, non è più in grado di rappresentare una seria minaccia ai suoi confini occidentali. 2. La politica moderata del Dalai Lama La proposta in cinque punti (1987) Alcuni momenti salienti della politica di moderazione del Dalai Lama nei confronti del governo cinese possono essere così elencati: 21 settembre 1987 Il Dalai Lama pronuncia la sua prima dichiarazione politica di fronte al Comitato per i Diritti Umani della Camera degli Stati Uniti. In tale occasione egli presenta una proposta in 5 punti per risolvere la questione del Tibet2. I concetti principali sono i seguenti: 2 Five Point Peace Plan in www. dalailama.com/page.121.htm 2 1. Trasformare il Tibet in un’area di pace che avrebbe incluso il Tibet etnografico e richiesto il ritiro di tutte le truppe cinesi e degli insediamenti miltari. 2. Revocare la politica di trasferimento della popolazione che, disse, minacciava la stessa esistenza dei tibetani come popolo. 3. Rispettare i fondamentali diritti umani del popolo tibetano e le libertà democratiche – il Dalai Lama sostenne che <<privati dei diritti democratici fondamentali e delle libertà, [ i tibetani ] vivono sotto un’amministrazione coloniale in cui tutto il potere effettivo è controllato dai funzionari cinesi del Partito Comunista e dall’esercito>>. 4. Ristabilire e proteggere l’ambiente naturale del Tibet e abbandonare l’impiego del Tibet da parte della Cina per la produzione di armi nucleari e per lo scarico di scorie radioattive. 5. Dare inizio a serie trattative sul futuro status del Tibet e sui rapporti fra i tibetani e i popolo cinesi. ( M. C. GOLDSTEIN, Il dragone e la montagna. La Cina, il Tibet e il Dalai Lama, Baldini&Castoldi, 1988, tr. dall’originale inglese, pp. 104-105). 15 giugno 1988 Il Dalai Lama pronuncia un discorso al Parlamento Europeo di Strasburgo, dove detta le sue condizioni per il suo ritorno in Tibet, e dove per la prima volta si pronuncia a favore dell’autonomia del Tibet. ottobre 2007 In occasione dell’assegnazione al Dalai Lama della Medaglia d’oro del Congresso degli Stati Uniti, S.S. Dalai Lama pronunciò ancora una volta un discorso improntato a grande moderazione politica. 3 Egli riconobbe innanzitutto il ruolo-guida della Cina, così come dell’India sulla scena mondiale, affermando però al contempo la sua immensa preoccupazione per il massiccio aumento della popolazione cinese in Tibet. E, come più volte espresso in precedenza a partire dal discorso tenuto al Parlamento di Strasburgo nel 1988, egli riconfermò la sua richiesta di autonomia per il Tibet e non di indipendenza. Sottolineò inoltre in termini perentori che non si sarebbe servito dell’ottenimento dell’autonomia quale base per una futura richiesta dell’indipendenza e che si impegnava a non accettare alcuna carica politica nel Tibet Autonomo. Il Dalai Lama chiese infine alla Cina di riconoscere i gravi problemi che esistono in Tibet. 3. I diversi aspetti della questione tibetana La questione tibetana presenta diversi aspetti: a. la grave situazione dei tibetani in Tibet Il popolo tibetano sta scomparendo in Tibet come popolo con una sua lingua, cultura e religione. ( genocidio culturale). b. la politica cinese in Tibet Si tratta di una politica integralista, la quale mira, almeno a partire dal 1987, a una colonizzazione intransigente e massiccia, in ossequio al dogma nazionalista su cui si fonda per larga parte il potere del governo cinese. Sarebbero ormai più di 7 milioni i cinesi Hui e Han stabilitisi in Tibet, di contro a circa 6 milioni di tibetani in Tibet ( circa 130.000, poi, è il numero degli esuli tibetani in Nepal, India, Sikkim, Europa e Stati Uniti). La politica di colonizzazione cinese in Tibet non è dissimile dalla politica perseguita dalla Cina nella regione dello Xinjanj, anche qui iniziata a partire dal 1949. Nello Xinjang, il cosiddetto Tibet islamico, una regione estesa come due volte la Francia, vivono 9 milioni di uiguri, popolo turcofono e musulmano, che rappresenta la minoranza più numerosa di tutta la Cina. 4 c. le accuse della Cina al Dalai Lama La Cina accusa il Dalai Lama di essere un lupo travestito da agnello e di essere a capo di una cricca secessionista. La Cina accusa ripetutamente il Dalai Lama di non essere disposto al dialogo e di puntare unicamente alla completa indipendenza del Tibet. Occorre richiedere al governo cinese le prove documentate della politica separatista del Dalai Lama. Nel 1979 Deng Xiaoping aveva affermato che, fatta eccezione per l’indipendenza, tutti i diversi temi riguardanti il Tibet avrebbero potuto essere negoziati e discussi con il governo tibetano. d. il ruolo dell’Europa e degli Stati Uniti La politica dell’Europa e degli Stati Uniti ha compiuto grandi gesti di solidarietà nei confronti del popolo tibetano e del suo leader spirituale e politico, ma è rimasta assolutamente innocua a livello politico. La linea politica seguita da Europa e Stati Uniti, quella che viene ormai definita la sindrome del falso amico nei confronti del popolo tibetano, non ha fatto avanzare sino ad oggi di un passo la questione tibetana verso la sua risoluzione. Kelsang Gyaltsen, ambasciatore del Governo Tibetano in esilio che vive in Svizzera da diversi anni, in una sua recente intervista apparsa sul quotidiano La Repubblica, chiede che gli europei facciano pressioni sui loro governi, affinché questi facciano a loro volta pressione sul governo cinese. Egli domanda che venga inaugurato da parte dei governi europei una politica di nonconnivenza politico-economica con il governo cinese, rilevando al contempo il grande divario tra la solidarietà della gente verso la causa tibetana e la politica perseguita dai governi europei. Kelsang Gyaltsen chiede pertanto ai governi europei di farsi promotori dell’invio di una delegazione ufficiale in Tibet al fine di fare luce su quanto sta accadendo - così come è stato chiesto pochi giorni fa dalla Presedente della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, in visita ufficiale al Dalai Lama. 5 4. Conclusioni Che cosa si può dunque auspicare a breve termine? 1. la valutazione del margine di azione politica che si vogliono attribuire le democrazie dell’Europa, degli Stati Uniti e dell’India verso la Cina. 2. la riflessione politica da parte dell’Europa e degli Stati Uniti sulla modalità di relazione con una potenza economica come la Cina destinata a crescere in modo esponenziale e a diventare la prima potenza economica mondiale in un futuro nemmeno tanto prossimo - che è al tempo stesso una dittatura. 3. l’avvio di un dialogo tra Tibet e Cina supportato dalla mediazione politica dell’Europa e degli Stati Uniti. **** Carla Gianotti: tibetologa e studiosa di buddhismo indo-tibetano, ha pubblicato diversi articoli relativi a temi della spiritualità femminile nella tradizione indo-tibetana. Tiene corsi e seminari relativi al buddhismo indo-tibetano e alla dimensione femminile nel buddhismo in istituti di cultura orientale (CESMEO di Torino, CELSO, Genova), in centri di Dharma (Firenze, Pomaia) e atenei (Torino, Firenze, Roma). E’ membro Ordinario dell’Is.I.A.O. (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, Roma) e socia ordinaria del CIRSDE (Centro Ricerche e Studi delle Donne). E’ iscritta al Corso di Formazione Triennale per Istruttori di Meditazione del Maestro Mario Thanavaro. 6 7