Applicazioni dell’ingegneria genetica Geni che determinano l’identità fiorale Lettura |Lettura I geni coinvolti nella conversione di un meristema vegetativo in un meristema fiorale e quelli che determinano l’identità degli organi fiorali sono stati studiati in dettaglio nella pianta di Arabidopsis tramite l’isolamento di mutanti con fiori anomali. I nomi dei geni riflettono l’aspetto della pianta o dei fiori mutanti. Ad esempio il mutante foglioso (leafy) di Arabidopsis ha fiori verdi con verticilli di strutture tipo sepali o tipo carpelli. Un altro mutante, chiamato apetala-2, non ha petali, come suggerisce il nome. I suoi organi fiorali consistono di verticilli di carpelli e stami. Il mutante agamous produce solo sepali e petali e non produce carpelli o stami. Gli scienziati hanno prodotto e caratterizzato un grande numero di piante mutanti e ne hanno isolato i geni mutati (inattivati). Le proteine codificate da tali geni sono quasi invariabilmente fattori di trascrizione che risiedono nel nucleo e giocano un ruolo nell’attività di specifici geni. In alcuni casi la proteina codificata da un gene attiva un altro gene; in altri casi la proteina reprime un altro gene. Studiando un gran numero di questi geni e determinando in quali cellule ciascun gene si esprime, gli scienziati hanno potuto costruire un modello per la determinazione dell’identità di un organo fiorale: il modello ABC per la specificazione degli organi fiorali. Questo modello prevede che l’identità dei quattro cerchi concentrici sia determinata dall’attività di geni che funzionano in tre “campi” (vedi figura). Il campo A corrisponde in prospettiva ai sepali e ai petali, il campo B ai petali e agli stami, e il campo C agli stami e ai carpelli. Studiando i mutanti fiorali, gli scienziati possono determinare in quale campo un gene sia attivo. Ad esempio, il gene agamous deve essere attivo nel campo C perché quando non funziona correttamente i fiori non hanno stami né carpelli. Il modello suggerisce che se sono attivi solo i geni della funzione A, i primordi diventano sepali. Se sono attivi i geni delle funzioni A e B allora i primordi diventano petali. Se sono attivi i geni delle funzioni B e C i primordi diventano stami; se sono attivi solo i geni della funzione C i primordi diventano carpelli. Insieme ad alcune ulteriori as1/7 LETTURA © Mondadori Education sunzioni, questo schema spiega come giovani primordi che si as­somigliano molto al microscopio, sviluppino ugualmente la loro propria identità. Controllo dell’identità d’organo attraverso l’espressione sovrapposta di tre classi (A, B e C) di geni Gli organi fiorali sono organizzati in verticilli dall’esterno all’interno: sepali, steli, stami e carpelli. Le cellule che esprimono solo i geni A diventano sepali. Le cellule che esprimono i geni A e B diventano petali. Le cellule che esprimono i geni B e C diventano stami e le cellule che esprimono solo i geni C diventano carpelli. Le piante in cui tutti e tre i tipi di geni sono inattivati da mutazioni producono “fiori” in cui tutti gli organi sembrano foglioline. Sulla base delle dell’isolamento di nuovi mutanti del fiore in Arabidopsis ed in altre specie, il modello classico ABC è stato rielaborato ed esteso fino a formularne uno nuovo, noto come modello ABCE che comprende una nuova funzione, quella E, connessa alla classe E di geni che specificano proteine attive come cofattori nello sviluppo di sepali, petali, stami e carpelli, con le classi di proteine A, B, e C. 2/7 LETTURA © Mondadori Education Applicazioni dell’ingegneria genetica Lettura Progetti di chimica verde |Lettura La “chimica verde” (green chemistry), definita come la progettazione di prodotti e processi chimici che riducono o eliminano l’uso o la formazione di sostanze pericolose, nasce negli USA negli anni ‘90; rappresenta un nuovo modo di concepire la chimica per renderla ecosostenibile. Essa si propone la progettazione, la creazione e l’impiego di prodotti chimici realizzati mediante riduzione o eliminazione dell’uso e della produzione di sostanze nocive. L’attività di ricerca permette di ideare un nuovo approccio alla chimica e di creare processi industriali innovativi. La chimica verde utilizza come materie prime composti rinnovabili (biomasse) per quanto tecnicamente ed economicamente fattibile, a differenza dell’industria chimica tradizionale che impiega risorse fossili quali: petrolio, metano e carbone; inoltre si avvale di processi biotecnologici, ovvero «dei processi di sintesi che imitano la natura». La selezione delle piante e le biotecnologie avanzate permettono di accrescere la disponibilità di prodotti agricoli e favoriscono l’affermarsi di nuovi metodi di produzione per ottenere sostanze ad uso farmaceutico, diagnostico, zootecnico; consentono, inoltre, di creare nuovi microrganismi ed enzimi da usare nelle attività produttive e nuove colture industriali indirizzate alla produzione di specifiche sostanze chimiche. Le molecole naturalmente presenti nelle biomasse agricole e forestali sono caratterizzate da un’ampia gamma di gruppi funzionali capaci di soddisfare qualsiasi tipo di esigenza industriale. Inoltre la loro diversità e complessità presente in natura riveste una enorme potenzialità di sviluppo della ricerca del terzo millennio. Attualmente i processi biotecnologici non risultano pienamente utilizzati; infatti, meno del 10% delle circa 400.000 specie di piante analizzate dalla botanica, sono state sperimentate per impieghi alimentari o chimici, e soltanto un centinaio sono oggetto di coltivazione. I settori chimici potenzialmente interessati sono quindi molto numerosi e gli impieghi riguardano principalmente le seguenti classi di molecole di origine vegetale: 1) Amido. L’amido, è’ la molecola vegetale tra le più utilizzate in assoluto ed è presente come tale principalmente nei cereali, nelle leguminose e nelle patate. L’amido è formato da due polisaccaridi quali l’amilosio, a catena lineare e l’amilopectina a catena ramificata. La loro separazione si può ottenere per estrazione acquosa delle biomasse, e successivamente utilizzato nella produzione di numerosi derivati essenzialmente in seguito alla loro polimerizzazione. Per esempio, tra i principali bio-prodotti derivati dalla fermentazione del glucosio si annoverano: acido lattico, acido succinico, acido 3-idrossipropionico, acido itaconico, acido glutamico. Dall’impiego di questi acidi e dai loro derivati è ottenibile una miriade di prodotti commerciali quali ad esempio: polimeri biodegradabili, poliesteri, poliuretani, plastificanti di resine cellulosiche e viniliche, erbicidi, solventi per produzione 3/7 LETTURA © Mondadori Education di medicinali, cosmetici, prodotti alimentari, fluidi decongelanti e antigelo;trattamento di pellicole, fibre tessili e resine, adesivi, carta, pellame, detergenti, precursori di prodotti chimici per l’agricoltura, intermedi nell’industria agrochimica e farmaceutica e composti chimici ad uso industriale. 2) Trigliceridi. I trigliceridi rappresentano un’altra classe di molecole particolarmente interessanti. Costituenti prioritari degli oli, delle cere e dei grassi, la loro reattività è dovuta alla presenza di gruppi funzionali di tipo esterico, facilmente trasformabili in funzioni acido od alcool, oltre che di diversi livelli di insaturazione lungo la catena. Gli usi industriali non alimentari degli oli vegetali sono infatti la materia prima per la formazione di un’ampia miriade di prodotti, tra i quali si annoverano: biodiesel, lubrificanti, surfactanti, pellicole, medicinali, cosmetici, saponi, detergenti, adesivi e plastiche. Il miglioramento della qualità delle componenti degli oli è un traguardo primario dei genetisti; in particolare, gli oli alimentari sono stati migliorati, oltre che con tecniche genetiche convenzionali, anche con interventi di ingegneria genetica che hanno consentito di produrre oli edibili con pregiate proprietà nutrizionali. È anche evidente che una più profonda conoscenza delle vie metaboliche attive entro le cellule vegetali permetterà in un prossimo futuro d’ampliare e modificare in maniera più mirata, la qualità degli oli vegetali accrescendone le possibili applicazioni industriali. 3) Cellulosa ed emicellulosa Cellulosa ed emicellulosa rappresentano la parte prevalente della biomassa delle colture tradizionali (mediamente 40-45% cellulosa e 20-25% emicellulosa). La cellulosa è composta da polimeri lineari di glucosio, mentre l’emicellulosa è un complesso di zuccheri a 5 atomi di carbonio, con prevalenza di xilosio e arabinosio. L’obiettivo primario è trasformare questa biomassa complessa in zuccheri semplici. Oltre alla produzione di etanolo dal glucosio contenuto nella cellulosa, che sembra l’obiettivo più ravvicinato, sia il glucosio che gli zuccheri a 5 atomi dell’emicellulosa possono essere utilizzati come composti di base – building blocks – per la produzione di acidi organici e successive trasformazioni chimico-fisiche ed enzimatiche e/o successive sintesi organiche di prodotti ad alto valore aggiunto. 4) Costituenti minori. Comprende una gamma di migliaia composti minori delle produzioni ma che, proprio per la enorme differenziazione di caratteristiche e siti funzionali, si prestano ad un’ampia gamma di utilizzazioni. Tra tutte è sufficiente considerare che per la sola glicerina, molecola residua del processo di transmetilazione per la produzione di biodiesel e che per la sua semplicità si presta ad innumerevoli trasformazioni, si contano ad oggi migliaia di diverse utilizzazioni. Dai composti biologicamente attivi, ai tannini, dai composti antiossidanti, alle gomme le potenzialità di questo settore sono ancora tutte da definire pur essendo destinate a ricoprire un ruolo sempre più importante con il miglioramento delle tecniche estrattive industriali fisiche chimiche ed enzimatiche che consentano la separazione dei diversi componenti della pianta con processi economicamente e ambientalmente compatibili. 4/7 LETTURA © Mondadori Education Applicazioni dell’ingegneria genetica Piante transgeniche: il plasmide Ti di Agrobacterium tumefaciens Lettura |Lettura Gli agricoltori hanno geneticamente modificato le piante per decenni. Oggi, tuttavia, è possibile modificare direttamente il DNA delle piante inserendo con rapidità geni di specie differenti tramite le tecnologie del DNA ricombinante. In realtà, le piante transgeniche possono essere prodotte con dif-rerenti procedure. Un metodo ampiamente usato è la trasformazione mediata da Agrobacterium tumefacietis. Questo batterio del suolo ha evoluto un sistema di ingegneria genetica naturale: contiene un segmento di DNA che viene trasferito dal batterio alle cellule vegetali. Un aspetto importante delle cellule vegetali è la loro totipotenza, cioè la capacità di una singola cellula di produrre tutte le cellule differenziate della pianta adulta. Molte delle cellule differenziate sono in grado di “sdifferenziarsi” allo stato embrionale, per poi ridifferenziarsi nuovamente in altri tipi cellulari. Non c’è quindi una distinzione tra le cellule della linea germinale e quelle somatiche, come accade negli animali superiori. La totipotenza delle cellule vegetali è il vantaggio principale per l’ingegneria genetica, in quanto consente di rigenerare intere piante a partire da singole cellule somatiche modificate. A. tumefaciens è l’agente responsabile della malattia della galla del colletto nelle piante dicotiledoni. Si tratta di galle o tumori che spesso si formano nel colletto (giunzione tra radice e stelo) delle piante infettate. Il colletto della pianta è generalmente localizzato sulla superficie del suolo ed è il punto più vulnerabile per eventuali ferite (ad esempio abrasioni causate da terriccio trasportato da un forte vento) e più sensibile alle infezioni da parte di un batterio del suolo, quale A. tumefaciens. Questo può infettare una pianta e indurre un tumore in qualsiasi parte ferita. Dopo l’infezione si verificano due eventi fondamentali: (1) le cellule della pianta cominciano a proliferare e a formare un tumore e (2) cominciano a sintetizzare un derivato dell’arginina, detto opina. Le opine sintetizzate sono generalmente o la nopalina o l’octopina, in base al ceppo di A. tumefaciens. Queste opine vengono catabolizzate e utilizzate come fonte energetica dai batteri infettanti. I ceppi di Agrobacterium tumefaciens che inducono la sintesi di nopalina possono crescere su nopalina, ma non su octopina, e viceversa. Chiaramente, si è evoluta una relazione interessante tra i ceppi di A. tumefaciens e le piante ospiti. Il batterio è in grado di sfruttare le risorse metaboliche della pianta ospite per sintetizzare le opine, che non sembrano offrire un evidente beneficio alla pianta, ma che sono fonte di sostentamento per il batterio. La capacità di A. tumefaciens di indurre il tumore nelle piante è codificata da un gene localizzato su un grande plasmide (circa 200.000 coppie di basi), detto plasmide Ti per la sua capacità di indurre il tumore (Tumor-inducing). Due componenti del plasmide Ti, il T-DNA e la regione vir, sono essenziali per la trasformazione delle cellule vegetali. Durante il processo di trasformazione, il T-DNA (DNA Trasferito) viene escisso dal plasmide Ti, trasferito alla cellula vegetale e integrato (inserito covalentemente) nel DNA. I dati disponibili 5/7 LETTURA © Mondadori Education dimostrano che l’integrazione del T-DNA si verifica in siti casuali dei cromosomi e che talvolta nella stessa cellula si producono eventi di integrazione multipla. Il T-DNA dei plasmidi Ti di tipo nopalina è un segmento di 23.000 coppie di basi contenente 13 geni conosciuti; il DNA di quelli di tipo octopina è rappresentato da due segmenti di­stinti di T-DNA. Per brevità saranno oggetto di discussione solo i plasmidi Ti di tipo nopalina. La struttura di un tipico plasmide Ti di tipo nopalina è il­lustrata nella FIGURA 1. Alcuni geni del T-DNA codifi­cano enzimi che catalizzano la sintesi di fitormoni (l’auxina-acido indolacetico e la citochina adenosin-isopentile). Questi fitormoni sono responsabili della crescita tumorale delle cel­ lule della galla del colletto. Il segmento di T-DNA è fian­cheggiato da due ripetizioni imperfette di 25 coppie di basi, una delle quali deve essere presente in cis per l’escissione e il trasferimento del TDNA. La delezione della sequenza fian­cheggiante di destra blocca completamente il trasferimento del T-DNA alla cellula vegetale. Figura 1. Struttura del plasmide Ti nopalina pTi C58, con alcune componenti in evidenza. Il plasmide Ti è lungo 210 kb. I simboli usati sono: ori, origine di replicazione; Tum, geni responsabili della formazione del tumore; Nos, geni coinvolti nella biosintesi della nopalina; Noc, geni coinvolti nel catabolismo della nopalina; vir, geni della virulenza, necessari per il trasferimento del T-DNA. In alto sono mostrate le sequenze delle coppie di nucleotidi alle estremità di sinistra e di destra; gli asterischi indicano le quattro coppie di basi che differiscono tra le due sequenze fiancheggianti. La regione vir (virulenza) del plasmide Ti contiene i geni necessari al processo di trasferimento del T-DNA. Questi geni codificano gli enzimi necessari per l’escissione, il trasfe­rimento e l’integrazione del T-DNA durante il processo di trasformazione. I geni vir possono sopperire alle funzioni ne­cessarie per il trasferimento del T-DNA indifferentemente sia in cis che in trans; in A. tumefaciens del terreno questi geni sono espressi a livelli molto bassi. Tuttavia, il contatto del batterio con una pianta ferita o un essudato di tale pianta in­duce un aumento dell’espressione dei geni vir, questo proces­so di induzione è molto lento per il batterio e richiede da 10 a 15 ore per raggiungere il livello massimo di espressione. Composti fenolici, come l’acetosiringone, agiscono da indut­tori dei geni vir, e la velocità di trasformazione può essere in­crementata aggiungendo la sostanza alle cellule vegetali ino­culate con Agrobacterium. La trasformazione delle cellule ve­getali ad opera dei plasmide Ti di A. tumefaciens avviene come illustrato nella FIGURA 2. Figura 2. Trasformazione di cellule vegetali con Agrobacterium tumefaciens che contiene un plasmide Ti selvatico. Le cel­lule del tumore contengono il segmento di T-DNA del plasmide Ti integrato nel DNA cromoso­mico. 6/7 LETTURA © Mondadori Education Dal momento che il T-DNA del plasmide Ti di A. tume­faciens viene trasferito alle cellule vegetali e integrato nei cro­mosomi della pianta, è sembrato ovvio ricorrere a questo batterio per l’ingegneria genetica vegetale. I geni estranei possono essere inseriti nel T-DNA e trasferiti alla pianta con l’intera molecola. Questo sistema funziona molto bene; il problema è che le cellule vegetali trasformate con T-DNA selvatico perdono il controllo della divisione cellulare con­sentendo l’insorgenza di tumori; questo aspetto rende i pla­smidi Ti selvatici incompatibili con gli scopi della maggior parte degli esperimenti di trasferimento genico. Fortunata­mente, questo problema è stato risolto in seguito all’identificazione dei geni del T-DNA responsabili della formazione del tumore. La delezione di uno o più di questi geni rende il plasmide Ti innocuo, ma sfortunata­mente la mancanza di questi geni crea difficoltà a identificare le cellule vegetali che hanno ricevuto il T-DNA innocuo. Quindi, è necessario ricorrere a un sistema utile per identifi­care le cellule trasformate con il plasmide Ti innocuo - ideale è un buon gene marcatore di selezione localizzato al­l’interno della regione di T-DNA. Un affidabile marcatore di selezione è un gene che con­ferisca la resistenza a un farmaco, a un antibiotico o a un al­tro agente che blocca la crescita delle cellule vegetali nor­mali. L’agente selettivo dovrebbe inibire la crescita delle cellule vegetali o portarle lentamente alla morte; infatti, le sostanze che uccidono rapidamente le cellule determinano il rilascio di composti fenolici e di altre sostanze che risultano tossiche per la crescita delle altre cellule, rese resistenti al­l’agente. L’antibiotico kanamicina è stato l’agente selettivo maggiormente utilizzato nelle piante. Il gene kanR del trasposone Tn5 di E. coli, largamente usato come marcatore di selezione nelle piante, codifica l’enzima neomicina fosfotransferasi di tipo II (NPTII), uno dei nume­rosi enzimi procariotici che detossificano tramite fosforilazione gli antibiotici aminoglicosidici della famiglia delle kanamicine. Ma le sequenze promotrici e i segnali di terminazione della trascrizione sono differenti nei batteri e nelle piante, quindi il gene nativo kanR di Tn5 non può essere usato. La se­quenza codificante NPTII deve essere provvista di un promo­tore vegetale (al 5’ della sequenza codificante) e di segnali di terminazione e di poliadenilazione vegetali (al 3’ della sequen­za codificante). Questi costrutti di sequenze codificanti di tipo procariotico fiancheggiate da sequenze regolative eucariotiche so­no detti geni marcatori chimerici selezionabili. Le sequenze regolative di numerosi geni vegetali sono state impiegate per costruire geni marcatori chimerici. Un gene marcatore di selezione ampiamente utilizzato contiene il promotore 35S (dimensioni del trascritto) del virus del mosaico del cavolfiore (CaMV), la sequenza codificante NPTII e la sequenza di terminazione del gene della nopalina sintasi (nos) del plasmide Ti; questo gene chimerico viene in­dicato di solito come 35S/NPTII/nos. Nei vettori Ti co­struiti per il trasferimento di geni nelle piante le informa­zioni geniche responsabili della crescita tumorale sono state sostituite da un marcatore chimerico di selezione come 35S/NPTII/nos. Attualmente diversi plasmidi Ti molto sofi­sticati sono comunemente usati per il trasferimento di geni nelle piante. (Da D.P. Snustad, M.J. Simmons, Principi di Genetica, Quarta edizione. Edises S.r.l., Napoli) 7/7 LETTURA © Mondadori Education