l`opposizione a precetto e all`esecuzione: struttura e funzione

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L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE:
STRUTTURA E FUNZIONE1
ANNA MARIA SOLDI
CAPITOLO PRIMO
LE OPPOSIZIONI ESECUTIVE IN GENERALE
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La funzione e la struttura delle opposizioni esecutive. - 3. Il
principio di tassatività delle opposizioni esecutive. - 4. Le classificazioni delle opposizioni esecutive e la distinzione tra opposizioni preventive ed opposizioni successive. 5. Le opposizioni esecutive e la disciplina della mediazione obbligatoria delle controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28
1. Premessa
Il codice di rito del 1865 non conteneva un titolo dedicato alle opposizioni nel
processo esecutivo anche se numerose norme inserite nella disciplina della esecuzione mobiliare ed immobiliare consentivano al debitore di contestare l’esecuzione sotto
il profilo della esistenza ed entità del credito ovvero della nullità del processo2.
1
Il testo è tratto da SOLDI “Manuale dell’esecuzione forzata”, Padova, 2012 (terza edizione) ed è
stato aggiornato con la giurisprudenza successiva alla sua pubblicazione (aggiornata al 30 agosto
2012).
2
Si occupavano della materia nell’espropriazione mobiliare gli artt. 579, 580, 645, 649, 655 dai quali
poteva ricavarsi che: 1) l’opposizione a precetto non aveva di regola carattere sospensivo; 2)
l’opposizione agli atti successivi non poteva portare alla sospensione della vendita se non quando ordinata dalla autorità competente; 3) qualunque opposizione anche per nullità non era più proponibile
dopo la vendita o l’assegnazione; 4) le sentenze che rigettavano le eccezioni di nullità non erano appellabili salvo che la nullità riguardasse il titolo esecutivo.
La materia dell’espropriazione immobiliare era trattata dagli artt. 660, 695, 696, 697, 702 dai quali
poteva ricavarsi che: 1) l’opposizione tempestiva a precetto sospendeva l’esecuzione solo se proposta
nei trenta giorni dalla sua notificazione; 2) le eccezioni di nullità del giudizio di espropriazione, individuate dall’art. 702 c.p.c., dovevano proporsi a pena di decadenza almeno quindici giorni prima
dell’udienza fissata per l’incanto; 3) nel caso di accoglimento dell’eccezione di nullità occorreva che
la procedura riprendesse dall’ultimo atto invalido; 4) erano appellabili le sentenze che rigettavano le
eccezioni di nullità.
2
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Mancava però una sistemazione complessiva della materia nonché
l’elaborazione di un sistema che distinguesse i rimedi oppositori in base al contenuto delle contestazioni proponibili3.
Un tentativo in questo senso venne posto in essere dalla dottrina4 e dalla giurisprudenza5 e gli esiti di queste elaborazioni furono recepite dal legislatore del 1940.
Le opposizioni sono oggi disciplinate nel titolo quinto del libro terzo del codice di procedura civile che disciplina l’opposizione alla esecuzione, l’opposizione
agli atti esecutivi e l’opposizione di terzo all’esecuzione.
Il titolo quinto è ripartito in due capi e la distinzione è connessa alla individuazione dei soggetti muniti della legittimazione attiva.
Il capo primo è, infatti, intitolato alle “opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all’esecuzione” mentre il capo secondo è intitolato alle “opposizioni di
terzi”. La disciplina del capo primo è poi ripartita in tre sezioni dedicate rispettivamente, la prima alle “opposizioni all’esecuzione” (artt. 615 e 616), la seconda
alle “opposizioni agli atti esecutivi” (artt. 617 e 618), e la terza alle “opposizioni in
materia di lavoro, di previdenza e di assistenza” (artt. 618 bis c.p.c.). La disciplina
del capo secondo è per intero destinata a regolare le “opposizioni dei terzi” (artt.
619 - 622).
Va comunque precisato che la distinzione che il codice compie tra le opposizioni esecutive facendo leva sul criterio della legittimazione attiva ha un carattere
puramente programmatico, o per meglio dire descrittivo o orientativo6, nel senso
cioè che non impedisce il riconoscimento della legittimazione a soggetti diversi da
quelli individuati dal legislatore come “opponenti tipici”7.
Il complesso delle disposizioni che regolano la materia in esame è stato innovato dalle recenti riforme sul processo. Le novità introdotte non hanno inciso sulla
collocazione sistematica delle norme che resta quella sin qui ricostruita, ma hanno
operato trasformazioni degne di nota su alcuni punti cardine della disciplina.
In primo luogo è stata recepita dal legislatore la cosiddetta concezione “bifasica” delle opposizioni elaborata in via interpretativa dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Il procedimento si articola in due fasi:
3
Per un esame del panorama normativo antecedente e delle questioni interpretative cfr. ORIANI,
L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 3 ss..
4
CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile. Processo di esecuzione, III, Padova, 1933, 174
che ha operato la distinzione tra opposizioni di merito aventi ad oggetto l’accertamento negativo, totale o parziale, del debito e della sua esigibilità e le opposizioni di ordine che mirano all’accertamento
delle nullità del processo esecutivo. L’Autore faceva, però rientrare nelle opposizioni di merito che
preludono alla opposizione alla esecuzione prevista dall’art. 615 c.p.c. anche la deduzione della mancanza del titolo esecutivo e l’impignorabilità dei beni.
In senso diverso SATTA, L’esecuzione forzata, Milano, 1937, 108 ss. e 395 ss. il quale, pur recependo
la distinzione tra opposizione di merito e d’ordine fa rientrare nella prima la contestazione relativa al
difetto del titolo esecutivo e l’impignorabilità dei beni.
5
Per un’indicazione della giurisprudenza che operava una classificazione delle opposizioni cfr.
MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, V, Torino, 1932, 368 e ss..
6
In questo senso MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980,
433.
7
La dottrina e la giurisprudenza, come si illustrerà in seguito, hanno manifestato una tendenza sempre
maggiore ad ampliare la categoria dei soggetti legittimati a proporre le opposizioni esecutive trasformandole in uno strumento di tutela utilizzabile da tutti i potenziali interessati.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
–
3
la prima si svolge dinanzi al giudice della esecuzione ed è finalizzata solo alla
decisione sulla istanza di sospensione ed alla adozione dei provvedimenti sulla
competenza
– la seconda, a carattere eventuale, determina l’instaurazione del giudizio di cognizione vero e proprio.
Le novità sul rito sono poi completate dalla previsione espressa
dell’inappellabilità delle sentenze emesse in relazione, non più solo alla opposizione agli atti, ma a tutte le opposizioni esecutive introdotte dopo l’inizio
dell’esecuzione.
La riforma ha, inoltre, attribuito al giudice investito dell’opposizione
all’esecuzione precedente all’inizio dell’esecuzione8 un potere sospensivo che, in
considerazione del momento in cui viene esercitato, può avere ad oggetto, non già
il processo, non ancora pendente, ma l’efficacia del titolo esecutivo.
Ed, ancora, il legislatore della novella ha inciso sul termine perentorio di decadenza previsto per la proposizione delle opposizioni agli atti esecutivi portandolo
da cinque a venti giorni.
Profonde sono infine le modifiche introdotte con riferimento all’istituto della
sospensione del procedimento esecutivo delle quali meglio si dirà nel prosieguo.
Merita, infine, rilevare che secondo l’interpretazione affermatasi prima della
riforma apparteneva alla categoria delle opposizioni esecutive in senso lato anche
la controversia distributiva regolata dall’art. 512 c.p.c. quantunque la norma fosse
inserita tra quelle dedicate all’espropriazione forzata in generale9.
La riforma del 2005-2006 ha, però, radicalmente trasformato la fisionomia
dell’art. 512 c.p.c.: la controversia distributiva, secondo la nuova formulazione della
norma, non si traduce necessariamente in un incidente cognitivo; l’art. 512 c.p.c. stabilisce, infatti, che la contestazione svolta dal debitore o dai creditori viene risolta dal
giudice dell’esecuzione con un provvedimento avente la forma dell’ordinanza la quale può essere impugnata dagli interessati con l’opposizione agli atti esecutivi.
È di tutta evidenza, quindi, che la controversia distributiva può essere ricondotta al genus delle opposizioni esecutive solo nel caso in cui le parti non prestino
acquiescenza al provvedimento giudiziale a carattere esecutivo che dirime la lite,
ma ne contestino il contenuto ai sensi dell’art. 617 c.p.c.. Va da sé, peraltro, che essa non costituisce, come si riteneva in precedenza, un terzo tipo di opposizione (la
c.d. “opposizione distributiva”), ma rientra nell’ambito della opposizione agli atti
esecutivi.
2. La funzione e la struttura delle opposizioni esecutive
8
9
Per l’illustrazione dei rapporti tra opposizioni preventive e successive cfr. cap. 2 - 3.
MANDRIOLI, op. cit., 433.
4
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Le opposizioni esecutive trovano la loro principale ragion d’essere nel principio della efficacia incondizionata del titolo esecutivo10.
Tale principio è quello in forza del quale il processo di esecuzione può essere
avviato e portato a compimento dagli organi giurisdizionali a ciò preposti alla sola
condizione che il diritto che si intende soddisfare trovi evidenza in un documento
che, in quanto riconducibile al catalogo dei titoli esecutivi previsto dall’art. 474
c.p.c., gli attribuisca una certezza giuridica sufficiente a consentire la sua attuazione pratica senza la necessità di verifiche ed accertamenti ulteriori.
Ma se il titolo esecutivo è dotato della efficacia che lo connota perché reca la
rappresentazione della realtà giuridica esistente al momento in cui viene formato,
occorre tenere presente che il diritto consacrato nel titolo può subire nel tempo
una modificazione per fatti successivi; né d’altro canto può ignorarsi che le attività svolte dagli organi giurisdizionali preposti alla sua attuazione potrebbero essere compiute in violazione dello schema dettato dalla legge e, dunque, in modo illegittimo.
Ebbene le opposizioni hanno proprio la funzione di ovviare al pericolo che il
diritto risultante dal titolo possa essere attuato senza tenere conto degli accadimenti
che abbiano inciso sulla sua esistenza o anche solo sulla sua portata ovvero che il
procedimento di esecuzione si svolga sulla base di atti illegittimi.
In ragione della funzione che assolvono, le opposizioni esecutive sono strutturalmente autonome, ma nel contempo funzionalmente collegate al processo di esecuzione. Sono strutturalmente autonome in quanto, pur trovando occasione nello
svolgimento del processo, si svolgono non nella sede esecutiva, ma in quella di cognizione e danno luogo ad un accertamento destinato a chiudersi con una sentenza
idonea al giudicato; sono funzionalmente collegate al processo esecutivo poiché, da
un lato, non possono essere introdotte prima che l’esecuzione sia stata promossa, o
anche solo preannunciata con la notificazione del precetto, ma non dopo che essa si
sia conclusa e, dall’altro, l’eventuale loro accoglimento impedisce la proseguibilità
dell’azione esecutiva.
Per trarre le conclusioni di quanto sin qui esposto può peraltro affermarsi che
nel giudizio di opposizione si decide “se” il processo esecutivo possa proseguire
nonostante la contestazione della esistenza di un diritto ad agire esecutivamente e
“come” esso possa svolgersi dal punto di vista formale11.
3. Il principio di tassatività delle opposizioni esecutive
La materia delle opposizioni esecutive è regolata dal principio della tassatività,
nel senso cioè che nel nostro sistema normativo non esistono altre opposizioni oltre
10
LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 1936, 182; MANDRIOLI, op.
cit., 433; VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giur. sist. dir. proc. civ., a cura di
PROTO PISANI, Torino, 1993, 234.
11
Tale terminologia utilizzata per la prima volta da CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 812 è stata ripresa dalla giurisprudenza sin dagli anni settanta ed è ormai utilizzata nel linguaggio comune. Cfr. per una prima applicazione di tali concetti in giurisprudenza Cass.
12 luglio 1974, n. 2108; Cass. 9 novembre 1973, n. 2957; Cass. 11 luglio 1975, n. 2765.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
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a quelle regolate dagli artt. 615 ss. c.p.c. eccezion fatta, seppure nei limiti innanzi
esposti, per quella prevista dall’art. 512 c.p.c..
Il principio della tassatività di cui si è detto ha trovato pieno riconoscimento
sia in dottrina che in giurisprudenza12.
In particolare, non rientrano nella categoria in esame alcuni procedimenti a carattere incidentale che si innestano sul processo e che comportano accertamenti a
carattere cognitivo13.
In questa ottica si esclude14 che siano assimilabili alle opposizioni esecutive
l’istituto della limitazione dei mezzi espropriativi previsto dall’art. 483 c.p.c. ovvero gli istituti della riduzione o conversione del pignoramento, contemplati rispettivamente dall’art. 496 e dall’art. 495 c.p.c..
Sebbene possa indurre in errore la formulazione dell’art. 483 c.p.c. nella parte
in cui ammette la “opposizione del debitore”, deve ritenersi che tutti i subprocedimenti cui si è fatto cenno non possano ascriversi alla categoria delle opposizioni esecutive perché non attengono al “se” o al “come” dell’esecuzione, ma costituiscono incidenti del processo esecutivo preordinati al più corretto ed efficace
sviluppo del processo (la conversione consente la sostituzione ai beni pignorati di
una somma di denaro sufficiente alla soddisfazione dei creditori concorrenti, mentre la limitazione dei mezzi espropriativi o la riduzione del pignoramento hanno la
funzione di verificare il corretto esercizio dell’azione esecutiva scongiurandone gli
eccessi).
Per completezza e ad ulteriore conferma di quanto sin qui esposto si rileva che
nella giurisprudenza di legittimità si è ritenuto che non possa essere proposta contestualmente una opposizione esecutiva ed una istanza di riduzione del pignoramento atteso che quest’ultima è estranea all’oggetto delle contestazioni proponibili
ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.15.
Non è assimilabile alle opposizioni esecutive neppure il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo regolato dall’art. 548 c.p.c.. Quest’ultimo costituisce
12
Cfr. Cass. 11 giugno 2003, n. 9394 che ha avuto modo di precisare che non è configurabile un tertium genus oltre ai rimedi della opposizione all’esecuzione e della opposizione agli atti esecutivi.
Questi ultimi devono considerarsi “tipici” e “completi” per il sistema processuale della tutela oppositiva in executivis.
13
Per un esame sul punto cfr. MARTINETTO, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963;
VERDE, Intervento e prova del credito nel processo di espropriazione forzata, Milano, 1968;
MONTESANO, La cognizione sul concorso dei creditori nella esecuzione ordinaria, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1968, 561 e ss.. Nel sistema normativo antecedente alle recenti riforme del processo civile
si riteneva che il giudice dovesse procedere ad una cognizione sommaria dei crediti degli intervenuti
senza titolo esecutivo nel corso dei subprocedimenti di conversione e riduzione. La limitazione dei
soggetti legittimati ad intervenire nel processo senza titolo esecutivo, introdotta dalla legge 14 maggio
2005 n. 80, dal punto di vista funzionale era destinata ad escludere la necessità della cognizione
sommaria dei crediti nelle fasi che precedono la distribuzione. Il sistema delineato da detta legge n. 80
del 2005 è stato, però, in parte rimodellato dalla legge 27 dicembre 2005, n. 263. Sta di fatto che oggi
risulta quantomeno dubbio che l’obiettivo di cui si è detto sia stato raggiunto.
14
In questo senso MANDRIOLI, op. cit., 433.
15
Cass. 16 gennaio 2003, n. 563; Cass. 14 luglio 2003, n. 10998. La giurisprudenza con tali pronunce
afferma che non è viziata per la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato la sentenza con cui
il giudice della opposizione ometta di provvedere sulla istanza di riduzione del pignoramento avanzata dall’opponente con il ricorso introduttivo.
6
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
un incidente cognitivo che si innesta nel processo esecutivo, ma si differenzia dalle
opposizioni perché non concerne il “se” ed il “come” della esecuzione; si tratta, invece, di un accertamento pregiudiziale alla proseguibilità della espropriazione presso terzi della quale definisce l’oggetto.
4. Le classificazioni delle opposizioni esecutive e la distinzione tra opposizioni
preventive ed opposizioni successive
Le opposizioni esecutive possono essere proposte dal momento in cui colui
che si afferma titolare del diritto portato dal titolo renda palese l’intenzione di procedere alla sua attuazione pratica e durante tutto il corso del processo esecutivo sino alla sua conclusione. Per tradurre in termini pratici tale concetto può dunque affermarsi che le opposizioni sono ammissibili a decorrere dal momento in cui
l’esecuzione viene preannunciata con la notificazione del precetto e sino alla definizione del procedimento esecutivo.
Le opposizioni proposte dalla data della notificazione del precetto e sino
all’avvio del processo esecutivo si dicono “preventive”, mentre quelle introdotte a
partire dal compimento del primo atto di esecuzione si dicono “successive”.
Per una più agevole distinzione tra opposizioni preventive e successive è,
quindi, rilevante rammentare per brevi cenni quale sia il momento che segna l’inizio della esecuzione nei tre processi espropriativi e nelle due esecuzioni in forma
specifica.
L’espropriazione forzata prende le mosse dal pignoramento; in particolare
l’espropriazione immobiliare ha inizio con la notificazione dell’atto di pignoramento immobiliare (anche se di esso non sia stata ancora curata la trascrizione),
l’espropriazione presso terzi con la notificazione dell’atto di pignoramento al debitore ed al terzo pignorato (la notificazione al terzo pignorato determina la pendenza
della esecuzione anche se l’atto non sia stato ancora notificato al debitore), infine
l’espropriazione mobiliare presso il debitore con il compimento, a cura dell’ufficiale giudiziario, delle attività previste dall’art. 513 c.p.c. in quanto riprodotte in un
processo verbale che dia conto dei beni mobili prescelti e sottoposti a vincolo (la
procedura esecutiva è pendente ad esempio anche se l’ufficiale giudiziario abbia
operato la scelta dei beni da pignorare, ma abbia rinviato il completamento delle
sue attività onde procedere alla stima del compendio con l’assistenza di uno stimatore).
Quanto alla esecuzione in forma specifica di cui agli artt. 605 ss. deve ritenersi
che l’esecuzione per rilascio prenda le mosse dalla notificazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, del preavviso recante indicazione della data in cui è stato fissato
il primo accesso (come si desume dal testo novellato dell’art. 608 c.p.c.) e quella
per consegna inizi dalla redazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, del verbale che
descrive le attività compiute (tale verbale è infatti, il primo atto che segue la notificazione del titolo esecutivo e del precetto).
La pendenza della procedura per l’esecuzione degli obblighi di fare o di non
fare consegue, infine, alla presentazione a cura del creditore del ricorso ex art. 612
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
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c.p.c. con il quale viene formulata la richiesta di determinare le modalità per dare
attuazione al comando contenuto nel titolo esecutivo.
Tornando all’esame delle opposizioni va rilevato che possono essere introdotte
in via preventiva le opposizioni alla esecuzione ed agli atti esecutivi: colui che si
veda minacciato dell’inizio dell’esecuzione può tentare di scongiurare l’avvio del
processo ai suoi danni contestando il “se” della promuovenda esecuzione (e cioè
l’esistenza o la portata del diritto che il preteso creditore intende far valere) o il
“come” degli atti preparatori già compiuti (e cioè l’idoneità formale del titolo esecutivo e del precetto nonché delle relative notificazioni).
Nella fase che precede l’inizio della esecuzione non è invece ammissibile alcuna contestazione sulla pignorabilità dei beni ovvero sulla loro appartenenza a
terzi atteso che il compendio pignorato non è stato ancora individuato.
Una volta avviato il processo esecutivo il panorama di riferimento muta e la
legittimazione a proporre le opposizioni esecutive viene estesa a tutti i potenziali
interessati.
Appartengono alla categoria delle opposizioni esecutive “successive” non solo
l’opposizione alla esecuzione, che in pendenza del processo può avere ad oggetto
anche le contestazioni sulla pignorabilità dei beni, e l’opposizione agli atti esecutivi, ma anche l’opposizione di terzo all’esecuzione.
È, infatti, possibile, dopo l’inizio della procedura esecutiva, che i terzi che pretendano di essere titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene lamentino l’illegittimità della esecuzione per i profili che attengono alla scelta del
suo oggetto.
La distinzione tra opposizioni preventive ed opposizioni successive ha rilevanza, non solo a fini classificatori, ma per l’incidenza che la fase processuale di introduzione riveste per ciò che concerne il rito.
Si anticipa sin da ora che le opposizioni preventive debbono essere introdotte
con citazione o ricorso (a seconda della materia che ne costituisce oggetto) dinanzi
al giudice territorialmente competente ai sensi dell’art. 480 c.p.c.. Le opposizioni
esecutive successive, al contrario, vanno proposte, per la prima fase, con ricorso al
giudice della esecuzione, funzionalmente competente ad assumere i provvedimenti
sulla sospensione e la competenza. Per ciò che concerne la seconda fase la causa di
merito va proposta dinanzi al giudice competente per materia.
La distinzione tra opposizione preventiva e successiva rileva, inoltre, per il regime di sospensione come sarà illustrato in seguito.
Si è già detto in premessa che le controversie distributive costituiscono una categoria peculiare di opposizioni esecutive. Esse, proprio in ragione della fase processuale in cui si collocano, sono opposizioni successive.
5. Le opposizioni esecutive e la disciplina della mediazione obbligatoria delle
controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28
Il d.lgs 4 marzo 2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” disciplina il procedimento di mediazione e lo configura
come condizione di procedibilità delle domande con le quali si introduca una con-
8
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
troversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie,
patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Lo stesso testo di legge stabilisce, poi, che il medesimo procedimento (di mediazione) possa essere esperito anche, in via facoltativa, quando il giudice, ritenutane l’opportunità nel corso di svolgimento del processo, inviti le parti a procedere
alla mediazione e queste ultime aderiscano al suo invito.
È, però, bene precisare che l’art. 5 co. 4 del decreto legislativo esclude che la
mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) possa essere esperita nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione,
fino alla pronuncia delle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento
del rito di cui all’art. 667 c.p.c., nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia
dei provvedimenti di cui all’art. 703 co. 3 c.p.c., nei procedimenti in camera di
consiglio, nell’azione civile esercitata nel processo penale, nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata.
La ratio della previsione normativa che circoscrive l’ambito applicativo del
procedimento di mediazione, è evidente: il legislatore ha inteso garantire la sollecita introduzione ed il celere svolgimento dei processi in tutti i casi in cui la peculiarità della loro funzione o la “sommarietà” del rito prescelto siano incompatibili con
un temporaneo differimento dei tempi di accesso al processo (condizione di procedibilità) o con una sospensione del processo, quando già pendente.
Riguardo alle opposizioni esecutive deve preliminarmente evidenziarsi che il
procedimento di mediazione è previsto per le sole controversie civili e commerciali
e non è, perciò, compatibile con il processo esecutivo che non ha la funzione di dirimere una controversia ma di attuare il dictum scaturente da un titolo esecutivo
giudiziale o stragiudiziale.
È, dunque, perfettamente coerente a tale indicazione l’art. 5 co. 4 del d.lgs n.
28 del 2010 nella parte in cui si limita a precisare la inapplicabilità alle sole opposizioni esecutive che, come è noto, configurano processi di cognizione nonché agli
altri giudizi incidentali aventi la medesima natura.
Fatta tale premessa, può allora conclusivamente affermarsi che le opposizioni
previste dagli artt. 615 617 e 619 c.p.c., sia “preventive” che “successive”, possano
essere introdotte16 senza alcun preventivo accesso al procedimento di mediazione.
Parimenti, deve escludersi che la mediazione possa essere “proposta” alle parti
dal giudice investito dell’opposizione esecutiva in fase contenziosa anche quando
la natura della causa, lo stato dell’istruzione o il comportamento delle parti potrebbero indurre a ritenere percorribile la via della “composizione”.
16
Per le opposizioni preventive che si introducono con citazione (o con ricorso, se trova applicazione
il rito del lavoro) la soluzione indicata è di agevole comprensione. Giova, però, chiarire, con riferimento alle opposizioni successive, che l’eventuale condizione di procedibilità potrebbe riguardare
esclusivamente la fase di merito e, dunque, quella introdotta dagli “interessati”, ai sensi degli artt. 616
e 618 c.p.c , dopo la definizione con ordinanza della fase endoesecutiva svoltasi dinanzi al giudice
dell’esecuzione.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
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Muovendo da questa premessa, è, dunque, di tutta evidenza che, per le opposizioni esecutive in genere, resta aperta esclusivamente la via della conciliazione
giudiziale che può essere tentata quando la causa di merito sia stata già introdotta
(e possa, conseguentemente ritenersi pendente il processo) su richiesta delle parti o
anche di ufficio (come previsto dall’art. 183 co. 3 nonché dall’art. 185 co. 1 c.p.c.).
Le conclusioni cui si è pervenuti non possono d’altro canto essere smentite
neppure laddove la controversia proposta con l’opposizione esecutiva (ai sensi degli artt. 615, 617, 619) concerna, come talvolta si verifica, controversie relative ai
diritti reali ovvero concernenti la materia bancaria.
L’espressa previsione di inapplicabilità del decreto legislativo, non solo alle
opposizioni esecutive, ma anche agli altri giudizi incidentali allo svolgimento
dell’esecuzione forzata è legata alla esigenza di una pervenire ad una conclusione
rapida di processi la cui funzione è strettamente connessa alle procedure esecutive
ed il cui esito è destinato ad incidere sulla proseguibilità del processo esecutivo; è,
quindi, evidente che la incompatibilità delle opposizioni esecutive con il procedimento di mediazione dipende dallo scopo del giudizio (incidentale e funzionale alla
procedura esecutiva). Il legislatore ha ritenuto questa finalità preminente rispetto
alle esigenze connesse con la natura e l’oggetto delle questioni prospettate.
Conforta tale conclusione anche la circostanza che, proprio al fine di garantirne la sollecita definizione, tutte le opposizioni esecutive, sia preventive che successive, siano sottratte alla sospensione feriale dei termini e che, in via interpretativa,
l’art. 92 della legge sull’ordinamento giudiziario sia ritenuto applicabile, in via estensiva, anche a tutti gli altri giudizi di cognizione incidentali al processo esecutivo quali l’accertamento dell’obbligo del terzo, la divisione ex art. 600 c.p.c. nonché
le controversie distributive di cui all’art. 512 c.p.c..
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OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
CAPITOLO SECONDO
L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
SOMMARIO: 1. La natura e l’ambito applicativo dell’opposizione all’esecuzione. - 2. L’opposizione all’esecuzione e le sue tipologie in relazione ai motivi su cui si fonda. - 3. La contestazione dell’azione esecutiva per difetto originario del titolo esecutivo: 3.1. Il vizio genetico del titolo esecutivo. 3.2. Il vizio genetico del titolo esecutivo giudiziale. 3.3. Il vizio genetico del titolo esecutivo stragiudiziale. 3.4. La non riconducibilità del documento al catalogo di cui all’art. 474 c.p.c. 3.5. Il difetto funzionale del titolo esecutivo per la mancata
individuazione del creditore o del debitore ovvero per l’incertezza, illiquidità o inesigibilità
del diritto. 3.6. Il difetto di legittimazione attiva del creditore ed il difetto di legittimazione
passiva del debitore. 3.7. L’utilizzazione del titolo esecutivo per far valere un diritto diverso da quello che il titolo è idoneo ad attuare nelle forme dell’esecuzione forzata. 3.8.
L’eccessività della pretesa creditoria come quantificata nel precetto, l’intimazione ad eseguire una prestazione non prevista dal titolo o incoercibile. - 4. La contestazione circa la
caducazione del titolo esecutivo per fatto sopravvenuto: 4.1. La caducazione del titolo esecutivo giudiziale. 4.2. La caducazione del titolo esecutivo stragiudiziale. 4.3. L’irrilevanza
della riviviscenza del titolo esecutivo caducato. - 5. La contestazione circa l’estinzione del
diritto di credito per fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo. - 6. La contestazione circa la direzione in cui è stata esercitata l’azione esecutiva: l’impignorabilità. - 7. I
rapporti tra i motivi di opposizione all’esecuzione ed i poteri di rilievo officioso del giudice
dell’esecuzione e del giudice dell’opposizione. - 8. Il rapporto tra l’opposizione
all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi. - 9. La legittimazione attiva
all’opposizione all’esecuzione. - 10. La legittimazione passiva e il litisconsorzio necessario.
- 11. L’interesse ad agire. - 12. Il termine iniziale ed il termine finale per la proposizione
dell’opposizione all’esecuzione e la distinzione tra opposizione preventiva e successiva: 12.
1. Il dies a quo: la notificazione del precetto. 12.2 Il dies ad quem: la conclusione del procedimento esecutivo ovvero l’introduzione della fase distributiva. - 13. L’oggetto del giudizio di opposizione ed il suo possibile ampliamento: 13.1. Premessa. 13.2. L’ammissibilità
della domanda riconvenzionale del convenuto. 13.3. L’ammissibilità del cumulo di domande dell’opponente. 13.4. La domanda di restituzione di quanto illegittimamente riscosso in
base al titolo esecutivo. 13.5. L’ammissibilità dei poteri officiosi del giudice
dell’opposizione. - 14. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione e gli altri
giudizi: 14.1 Il rapporto con il giudizio di merito avente ad oggetto il titolo esecutivo giudiziale. 14.2 Il rapporto con il giudizio di opposizione agli atti esecutivi. - 14 bis. Il rapporto
tra il giudizio di opposizione all’esecuzione ed il processo esecutivo - 15. La decisione
dell’opposizione all’esecuzione: 15.1. La natura della decisione. 15.2. Il contenuto della
decisione e l’estensione del giudicato 15.3. Gli spazi di efficacia della sentenza di accoglimento dell’opposizione prima del passaggio in giudicato
1. La natura e l’ambito applicativo dell’opposizione all’esecuzione
L’art. 615 c.p.c. individua l’oggetto dell’opposizione all’esecuzione nella contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata, diritto che consiste nel
complesso dei poteri processuali che consentono l’avvio e lo sviluppo del processo
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
11
di esecuzione e che costituiscono esercizio di quella situazione soggettiva che è
l’“azione esecutiva”17.
L’oggetto dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c. è dunque la contestazione del diritto ad esercitare azione esecutiva.
In virtù dell’utilizzo della locuzione “contestazione del diritto a procedere esecutivamente”, tanto generica da risultare omnicomprensiva, rientrano, quindi,
nella categoria dell’opposizione all’esecuzione tutte le questioni inerenti all’esercizio dell’azione esecutiva, dalla negazione della esistenza originaria del titolo esecutivo alla affermazione della sua successiva caducazione, dalla negazione della
perdurante esistenza del diritto di credito che trova evidenza nel titolo, alla contestazione della legittimità dell’esercizio della azione nella direzione (oggettiva o
soggettiva) in cui esso è avvenuto18.
Tutte le contestazioni che riguardano la legittimità degli atti esecutivi in cui si
estrinseca l’esercizio dell’azione esecutiva non rientrano nella previsione dell’art.
615 c.p.c., ma nella categoria dell’opposizione disciplinata dagli artt. 617 e 618
c.p.c. Va da sé che, indipendentemente dal motivo su cui si fonda la deduzione della illegittimità dell’esecuzione, l’opposizione regolata dall’art. 615 c.p.c. presuppone che la domanda abbia un contenuto minimo costituito dall’accertamento “della
insussistenza attuale (non importa se originaria o sopravvenuta) del diritto di procedere sul fondamento di quel determinato titolo e con la direzione oggettiva o
soggettiva”19 prescelta e determinata, nella fase di preannuncio con il precetto e,
successivamente, con il primo atto esecutivo.
Deve rilevarsi che in dottrina taluni sostengono che l’opposizione all’esecuzione costituisca un’azione di accertamento negativo circa l’esistenza del diritto20,
mentre altri ritengono che essa abbia natura costitutiva21. Qualunque sia la tesi cui
si voglia accedere, merita qui rilevare che tutti gli interpreti concordano sul fatto
che l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione comporti l’invalidazione degli
atti esecutivi sino a quel momento compiuti e la dichiarazione di insussistenza dei
poteri processuali in cui sia era espresso l’esercizio dell’azione.
2. L’opposizione all’esecuzione e le sue tipologie in relazione ai motivi su cui si
fonda
17
MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 434.
Per la illustrazione di tale classificazione cfr. MANDRIOLI, Opposizione, cit., 433 nonché
VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 242 ss..
19
In questo senso testualmente MANDRIOLI, Opposizione, cit., 438.
20
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 337; MANDRIOLI, Opposizione, cit., 439; ID., L’azione esecutiva. Contributo alla teoria unitaria dell’azione e del processo, Milano, 1955, 372 ss..
Milano, 1955, 419; CASTORO, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 779
21
LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 188; GARBAGNATI, voce
Opposizione all’esecuzione, in Novissimo dig. it., XI, 1965, 1070.
18
12
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
In dottrina si sono elaborate quattro macrocategorie cui ricondurre i motivi in
cui può articolarsi la contestazione del diritto ad agire esecutivamente, ovvero del
“se” dell’esecuzione.
Tali motivi, che costituiscono le ragioni (o la causa petendi) della domanda,
ove considerati nel loro complesso, delimitano il perimetro del potere di cognizione
del giudice investito dell’opposizione all’esecuzione.
Stando a tale classificazione, l’opposizione prevista dallo schema delineato
dall’art. 615 c.p.c. può fondarsi, tanto sulla negazione della “esistenza” originaria
del titolo esecutivo, che sulla affermazione della “caducazione” di quest’ultimo per
fatto successivo.
L’opposizione all’esecuzione può inoltre essere proposta per negare non
l’esistenza del titolo esecutivo, ma quella del diritto di credito in esso incorporato
nei casi in cui si assuma la sua estinzione per vicenda sopravvenuta.
Può, infine, essere qualificata ai sensi dell’art. 615 c.p.c. anche la contestazione che abbia ad oggetto l’illegittimità dell’azione esecutiva nella direzione concreta
in cui essa è stata esercitata.
3. La contestazione dell’azione esecutiva per difetto originario del titolo
esecutivo
3.1. Il vizio genetico del titolo esecutivo
Il difetto originario del titolo esecutivo può essere assoluto o relativo.
Il titolo esecutivo manca in senso assoluto quando si assuma la sua inesistenza
per vizio genetico ovvero si affermi che il documento che incorpora il diritto non
ha valenza esecutiva ai sensi dell’art. 474 c.p.c..
Il titolo esecutivo manca in senso solo relativo quando l’azione esecutiva, pur
formalmente perfetta, si rivela illegittima per le modalità concrete in cui è stata esercitata come accade quando si intenda dare attuazione ad un diritto diverso da
quello azionabile esecutivamente in forza del titolo utilizzato, quando si profili un
difetto di legittimazione attiva o passiva delle parti che si affermano titolari del
rapporto sostanziale ovvero, infine, quando si lamenti l’eccessività delle somme
richieste con il precetto.
L’opposizione all’esecuzione concerne il difetto originario del titolo esecutivo
prima di tutto quando si assuma che esso non è mai venuto ad esistenza per vizi inerenti al suo processo di formazione.
È, però di tutta evidenza che i difetti di “costruzione” si atteggiano in modo
differente a seconda che quest’ultimo abbia natura giudiziale o stragiudiziale.
3.2. Il vizio genetico del titolo esecutivo giudiziale
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
13
Se il titolo è giudiziale ricorre l’ipotesi del difetto originario quando il vizio di
formazione sia così grave da poter essere configurato come causa di “inesistenza”
o di “nullità insanabile”22. Un vizio di tale natura è, infatti, rilevabile, non solo con
l’impugnazione del provvedimento giurisdizionale nei termini prescritti dalla legge, ma anche mediante l’actio nullitatis o l’opposizione all’esecuzione (quest’ultima esperibile solo sul presupposto che l’esecuzione sia stata iniziata o anche solo
preannunciata).
Diversamente non si ha difetto originario del titolo esecutivo quando il provvedimento giurisdizionale sia affetto da una nullità non insanabile né assimilabile
alla inesistenza perché un vizio di tal fatta, traducendosi in motivo di gravame, può
essere denunciato solo con l’impugnazione e rilevato esclusivamente dal giudice
del merito23.
La sentenza è certamente inesistente nel caso, contemplato dall’art. 161 co. 1
c.p.c., in cui manchi della sottoscrizione del giudice, anche se si è ritenuto che
l’omessa sottoscrizione configuri un vizio di inesistenza solo se denoti la mancata
partecipazione del giudice alla decisione24. La giurisprudenza e la dottrina, in via
interpretativa, hanno esteso l’ipotesi di inesistenza della sentenza anche al caso in
cui questa non sia stata pubblicata25, sia stata emessa nei confronti di soggetto inesistente ad esempio perché deceduto prima della proposizione della domanda26 o
sia stata pronunciata da organo privo dello ius judicandi27. Al contrario, non è inesistente la sentenza deliberata nonostante il potere di decidere fosse sospeso in
pendenza del regolamento di giurisdizione28.
Anche il decreto ingiuntivo esecutivo può essere inesistente, ma tale ipotesi si
profila quando manchi o sia inesistente la sua notificazione29.
22
Cass. 8 maggio 1973, n. 1245; nel senso indicato (i titoli giudiziali non possono essere contestati
nel loro contenuto, per errori di merito o di rito, se non quando siano affetti da vizi riconducibili alla
categoria dell’inesistenza), di recente, Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850; Cass. 13 marzo 2012, n. 3979.
23
Cfr. Cass. 8 gennaio 1974, n. 43. In generale è stato affermato dalla dottrina che il principio della
conversione dei motivi di nullità in mezzi di gravame opera anche per i provvedimenti soggetti soltanto al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. e, dunque, pure con riguardo alle sentenze inappellabili ed ai provvedimenti a contenuto decisorio che non siano soggetti ad altro mezzo impugnatorio. In
questo senso MANDRIOLI, L’assorbimento dell’azione civile di nullità e l’art. 111 della Costituzione,
Milano, 1967, 95 ss..
24
Cass. 8 marzo 1977, n. 952; Cass. 15 ottobre 1980, n. 5540.
25
Cass. 4 gennaio 1977, n. 9.
26
In questo senso Cass. 11 febbraio 1977, n. 610; Trib. Napoli 3 febbraio 1978, in Dir. e giur., 1979,
892 con nota adesiva di DEL VECCHIO.
27
Cass. 12 giugno 1971, n. 1819 con cui si è ritenuto che fosse inesistente un provvedimento emesso
dal giudice dell’esecuzione immobiliare avente contenuto di sentenza. Tale orientamento sembra però
superato dalla giurisprudenza più recente che ritiene eventualmente appellabili i provvedimenti del
giudice dell’esecuzione aventi contenuto decisorio.
28
Cass. 25 maggio 1979, n. 301; Trib. Bari 28 dicembre 1979, in Giur. it., 1982, I, 2, 67 con nota di
GARBAGNATI e 283 ss. con nota di VACCARELLA.
29
Cfr. in proposito Cass. 14 giugno 1999, n. 5882 con cui si afferma che, se l’esecuzione forzata è
fondata su un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione, l’intimato ha due rimedi ove intenda far valere la invalidità della notificazione. Se deduce che la notificazione è avvenuta, ma sostiene che essa è stata irregolare, deve proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ai
sensi dell’art. 650 c.p.c. dinanzi al giudice che lo ha emesso; l’intimato può invece proporre opposizione all’esecuzione se nega che nei suoi confronti sia stata eseguita una operazione giuridicamente
14
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Va invece esclusa la deducibilità con l’opposizione all’esecuzione dell’inefficacia del decreto ingiuntivo per nullità della sua notificazione ovvero per altri vizi
intrinseci del provvedimento (connessi alla violazione delle norme sulla competenza, legittimazione delle parti, regolare instaurazione del contraddittorio).
La nullità della notificazione può, infatti, essere dedotta con l’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ai sensi e nei termini previsti dall’art. 650 c.p.c. 30 mentre
le ulteriori contestazioni circa l’erronea formazione del provvedimento sono proponibili con l’opposizione ordinaria al decreto nelle forme e nei termini previsti
dall’art. 645 c.p.c..
Secondo la dottrina, al di là delle ipotesi sin qui esaminate, può essere rilevata
con l’opposizione all’esecuzione qualunque ragione di invalidità di un provvedimento giurisdizionale, anche non assimilabile alla inesistenza quando, a causa della
peculiare fase processuale in cui detto provvedimento sia stato emesso, il vizio non
possa essere rilevato con gli ordinari strumenti di gravame.
In giurisprudenza il principio è stato affermato con riferimento al caso di insussistenza delle condizioni che legittimano la dichiarazione di esecutorietà ex art.
647 c.p.c. del decreto ingiuntivo sia pur prevedendo, insieme alla possibilità di
proporre l’opposizione all’esecuzione, anche la possibilità di far valere tale vizio
anche con l’opposizione tempestiva (art. 645 c.p.c.) o tardiva (art. 650 c.p.c.) al decreto ingiuntivo31.
Prima della riforma introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 si riteneva che,
in caso di esecuzione promossa sulla base di un lodo arbitrale rituale, la violazione
delle norme che avrebbero dovuto essere applicate dal giudice ai fini della dichiarazione di esecutività, dovesse essere fatta valere con l’opposizione all’esecuzione;
con il medesimo rimedio doveva essere contestata la nullità del decreto di esecutorietà del lodo arbitrale emesso sulla base del semplice deposito del lodo e senza equalificabile come notificazione ed eccepisce conseguentemente la inesistenza del titolo esecutivo.
Nello stesso senso Cass. 7 luglio 2009, n. 15892 e Cass. 20 luglio 2011, n. 15904.
Nel senso che può essere proposta opposizione all’esecuzione per inesistenza originaria del titolo esecutivo solo quando si assuma che la notificazione del decreto ingiuntivo è inesistente cfr. Cass. 12
gennaio 1984, n. 248; Cass. 6 maggio 1993, n. 5231 ammette, nel caso di inesistenza della notificazione, l’alternatività tra l’opposizione all’esecuzione e l’ actio nullitatis.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile l’opposizione all’esecuzione
proposta dal destinatario della notifica del decreto ingiuntivo nel caso in cui il decreto è stato notificato ad un omonimo del suo effettivo destinatario ed è divenuto definitivo per mancata opposizione, cfr.
Cass. 11 luglio 2011, n. 17802.
30
Nel senso dell’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione nel caso di nullità della notificazione del decreto ingiuntivo cfr. Cass. 25 febbraio 1994, n. 1935 con cui si afferma che la nullità della
notificazione del decreto ingiuntivo può essere fatta valere solo con l’opposizione tardiva ex art. 650
c.p.c. dinanzi al giudice che lo ha emesso. Con la stessa sentenza viene chiarito che l’opposizione
all’esecuzione non può essere proposta neppure per richiamare le ragioni poste a fondamento dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo anche ai soli fini di ottenere una sospensione dell’esecuzione (ed oggi una sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo) posto che il potere sospensivo può
essere esercitato dal solo giudice del merito ex art. 623 c.p.c.. In giurisprudenza si è anche affermato
che l’opposizione a precetto può essere convertita in opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art.
650 c.p.c. se solo attraverso il precetto l’intimato abbia avuto conoscenza del decreto ingiuntivo, cfr.
Cass. 1 dicembre 2010, n. 24398.
31
Cass. 30 settembre 2009, n. 19119. La sentenza rileva che non sono previsti mezzi di impugnazione
specifici avverso il decreto ex art. 647 c.p.c.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
15
spressa domanda di exequatur32. Tale soluzione non sembra tuttavia più attuale alla
luce del nuovo testo dell’art. 825 c.p.c. che oggi prevede la reclamabilità dinanzi
alla corte di appello del decreto che concede o nega l’esecutorietà del lodo arbitrale
nel termine di trenta giorni dalla sua comunicazione. Nell’attuale sistema normativo sembra quindi che i vizi relativi al procedimento diretto alla dichiarazione di esecutorietà del titolo vadano denunciati solo nell’ambito del procedimento di reclamo a ciò preposto e non possano più essere rilevati con l’opposizione all’esecuzione33.
3.3. Il vizio genetico del titolo esecutivo stragiudiziale
Le contestazioni sul difetto di formazione dei titoli esecutivi di tipo stragiudiziale sono invece più ampie perché non incontrano il limite della litispendenza o
del giudicato.
Rientrano nella categoria in esame le contestazioni con cui si assuma che la
cambiale è priva dei suoi requisiti essenziali o irregolare nel bollo o redatta su modulo estero34, che l’assegno sia postdatato35, che il protesto cambiario non sia stato
compiuto o diretto personalmente dal notaio che lo ha sottoscritto, nel caso in cui la
questione sia rilevante dovendosi esercitare l’azione di regresso nei confronti del
girante36. Un vizio per difetto di costruzione è profilabile anche nel caso di abusivo
riempimento del titolo di credito per violazione della relativa convenzione37 o di
falsità della sottoscrizione38. Può essere ritenuto inesistente pure il titolo di credito
che sia stato oggetto di un sequestro penale. Non è, infatti, possibile procedere esecutivamente in forza della sola copia autentica di quest’ultimo se non nel caso eccezionale in cui la copia sia stata rilasciata ai sensi dell’art. 343 c.p.p.39.
Per ciò che concerne l’atto pubblico esso è inesistente per vizio genetico se sia
stato formato da un soggetto che non riveste la qualità di pubblico ufficiale ovvero
che, pur essendo pubblico ufficiale, sia incompetente o incapace (artt. 2701 c.c.)40.
Viziata nella fase della costruzione, e dunque inesistente come titolo esecutivo,
è parimenti la scrittura privata autenticata se alla autenticazione abbia proceduto un
soggetto non legittimato41.
32
Così Cass. 11 febbraio 1995, n. 1553; Cass. 29 maggio 2001, n. 7268.
In questo senso ARIETA – DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile
a cura di MONTESANO – ARIETA, Padova, 2007, 1701.
34
Cass. 18 luglio 1977, n. 3212.
35
Cass. 21 gennaio 1985, n. 191; Cass. 30 agosto 1996, n. 7985.
36
Cass. 19 gennaio 1977, n. 263.
37
Cass. 28 aprile 1981, n. 2586.
38
Pret. Sorrento 22 gennaio 1977, in Foro nap., 1977, I, 258.
39
Cass. 18 luglio 1980, n. 4696.
40
Così MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435.
41
È controverso se le scritture private possano essere autenticate solo dal notaio ed in quali casi possono essere autenticate anche da altri pubblici ufficiali. In generale è bene chiarire che il notaio ha una
potestà certificatoria generale riconosciutagli dall’art. 72 l. notarile per cui si è rilevato che è assolutamente raro che una scrittura privata recante l’assunzione di un’obbligazione possa essere valida33
16
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Sia per l’atto pubblico che per la scrittura privata autenticata, stante il loro carattere negoziale, è configurabile un difetto originario del titolo conseguente alla
invalidità dell’atto per nullità 42.
3.4. La non riconducibilità del documento al catalogo di cui all’art. 474 c.p.c.
È ascrivibile alla categoria in esame la contestazione con cui si assuma che il
documento – titolo è venuto ad esistenza, ma non ha valenza esecutiva.
Un documento ha valenza esecutiva solo quando corrisponda ad uno schematipo delineato dalla legge e riconducibile all’elencazione contenuta nell’art. 474
c.p.c.
mente autenticata da un’autorità diversa. Ed, invero, la maggior parte dei funzionari amministrativi
può svolgere una potestà certificatoria solo relativamente ad attività di accertamento di infrazioni
amministrative e di ricezione di istanze rivolte alla pubblica amministrazione. Sono, invece, pubblici
ufficiali competenti alla autenticazione delle sottoscrizioni, anche se sprovvisti di una potestà certificatoria generale, il segretario comunale e quello provinciale ai quali è riservato il potere di autenticare
scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente (art. 97 co. 4, lett. c), t.u. enti locali n. 267
del 2000) ma non i funzionari comunali o loro delegati cui la legge conferisce esclusivamente un generico potere di autenticazione in calce ad istanze o dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà (art.
21 d.p.r. n. 445 del 2000). Non hanno, invece, il potere di certificare le sottoscrizioni apposte in calce
ad atti di autonomia privata di natura negoziale né il cancelliere del Tribunale né il delegato del Sindaco. Ed ancora, taluno ha sostenuto che un potere certificatorio delle sottoscrizioni apposte in calce
ad una scrittura privata viene riconosciuto anche al difensore dall’art. 185 c.p.c., disposizione
quest’ultima che consente alle parti nell’ambito del processo di cognizione di farsi rappresentare da
un procuratore generale o speciale munito di procura conferita, oltreché con atto pubblico, anche con
scrittura autenticata anche dal difensore nel caso in cui venga disposta la loro comparizione personale
ai fini dell’interrogatorio libero. Pare preferibile, tuttavia, propendere per la tesi negativa atteso che il
potere certificatorio riconosciuto nel caso anzidetto al difensore esula del tutto dall’esercizio
dell’attività esecutiva. Con tutta evidenza, può, quindi, conclusivamente affermarsi che lo spazio riservato alla formazione di scritture private recanti un’autenticazione delle sottoscrizioni ad opera di
pubblico ufficiale diverso dal notaio è residuale.
Va, inoltre, chiarito che la scrittura privata autenticata deve ritenersi priva di efficacia esecutiva
per vizio genetico anche quando sia stata formata prima dell’1 marzo 2006 e dunque in epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma del processo civile. Parte della dottrina sostiene che la scrittura privata con firma autentica o l’atto pubblico non sono atti processuali e che deve essere fatta applicazione della regola tempus regit actum solo quando questi ultimi vengano utilizzati nello svolgimento di un’attività processuale. Per individuare la legge applicabile, dunque, occorre tenere presente,
non il momento in cui il documento viene formato, poiché l’attività di formazione è esterna al processo, ma l’epoca in cui quel documento viene impiegato in funzione del processo. E, posto che la scrittura privata o l’atto pubblico assumono valenza processuale solo quando di essi si faccia impiego in
vista dell’esecuzione forzata, per valutare quale sia la norma del codice di rito applicabile, nella specie, dovrà tenersi conto dell’epoca in cui si procede alla notificazione dell’atto pubblico in forma esecutiva ovvero alla notificazione del precetto recante la trascrizione integrale della scrittura privata autenticata. Tale ricostruzione è stata, però, criticata da altra parte della dottrina la quale, richiamando un
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che il principio della immediata
applicazione della legge processuale debba essere contemperato con l’esigenza di tutela delle parti che
non possono trovarsi esposte al rischio che un determinato atto possa produrre effetti diversi ed ulteriori
rispetto a quelli che esso avrebbe potuto produrre al momento della sua formazione.
42
In questo senso cfr. VACCARELLA, op. cit.,, 249.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
17
Venendo all’esame dei casi concreti, va precisato che tra le sentenze sono
provvisoriamente esecutive ai sensi dell’art. 282 c.p.c. solamente quelle di condanna. La giurisprudenza ha, infatti, in più occasioni affermato che solo le sentenze di
condanna postulano il concetto di esecuzione intesa come adeguamento della realtà
al decisum 43 anche se in dottrina non mancano posizioni di segno contrario 44.
Sembra che pertanto debba escludersi l’anticipazione provvisoria degli effetti delle
sentenze di mero accertamento45 o costitutive.
Nell’attuale panorama normativo è prevalente la tesi secondo cui siano idonee
a promuovere l’esecuzione anche le statuizioni di condanna pure quando esse abbiano carattere dipendente46 o accessorio47 rispetto ad un capo decisorio principale
di natura costitutiva o di accertamento48 ancora passato in giudicato.
43
Così Cass. 6 febbraio 1999, n. 1037. La Cassazione con la pronuncia indicata ha negato che la
provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado resa in accoglimento di una azione proposta ai
sensi dell’art. 2932 c.c. dal promissorio acquirente di un immobile potesse risultare ostativa
all’esercizio, da parte del curatore del promettente venditore, della facoltà di recedere dal contratto
preliminare in base al disposto dell’art. 72 l. fall..
44
Per la tesi del riconoscimento della provvisoria esecuzione alla sola sentenza di condanna si è espressa la dottrina tradizionale tra cui CHIOVENDA, Istituzioni del diritto processuale civile, I, Napoli,
1960, 219 nonché ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1957, 274. Nel senso della estensione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado di contenuto costitutivo
CARPI, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, 59 ss.. Dopo la riforma operata dalla
legge n. 353 del 1990 la tesi della anticipazione dell’efficacia di ogni sentenze rispetto al momento
della sua irrevocabilità TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 2002, 187;
PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 195 ss..
Per un ampio esame dei casi di anticipazione degli effetti delle sentenze costitutive rispetto al momento del loro passaggio in giudicato si veda IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecutività delle sentenze costitutive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 47 ss.. Secondo l’Autore è la legge stessa in alcuni
casi a prevedere espressamente l’efficacia della sentenza costitutiva come ad esempio il disposto
dell’art. 421 c.c. che fa decorrere gli effetti della interdizione o della inabilitazione dal giorno della
pubblicazione della relativa sentenza.
45
Cfr. Cass. 5 settembre 1994, n. 7650 con la quale si afferma che la sentenza che si limiti a dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria consacrando la immediata successione del coerede nella
sola titolarità del diritto di proprietà senza nulla disporre in ordine al rilascio, ha un contenuto meramente dichiarativo e non può considerarsi titolo esecutivo.
46
Il susseguirsi di interpretazioni divergenti ha indotto la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass.
Sez. un. 20 febbraio 2012, n. 4059) a pronunciarsi, di recente, definendo un proprio orientamento sulla questione; la Corte, pronunciandosi su una sentenza recante l’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di compravendita inadempiuto, ha affermato
che tale sentenza non può produrre gli effetti del contratto definitivo prima del suo passaggio in giudicato. Secondo la Cassazione, ove si riconoscesse la provvisoria esecutività delle statuizioni condannatorie conseguenziali inerenti l’adempimento degli obblighi (di natura sostanziale) conseguenti al
trasferimento della proprietà quali, ad esempio, l’obbligo di rilascio (o il pagamento del prezzo) si
perverrebbe ad una soluzione iniqua tenuto conto del fatto che dette statuizioni, anche se di contenuto
condannatorio, e, dunque, astrattamente riconducibili alla previsione dell’art. 282 c.p.c., si pongono in
relazione di stretta sinallagmaticità con il dictum principale.
Dalla pronuncia delle sezioni unite è dato, quindi, far derivare una serie di corollari di indubbio rilievo. Innanzitutto, la disciplina dell’esecuzione provvisoria delle pronunce giudiziali sancita dall’art.
282 c.p.c. opera esclusivamente con riguardo alle sentenze di condanna, e non anche con riferimento
a quelle costitutive (tra le quali si ascrive ad esempio la pronuncia ex art. 2932 c.c.), senza che ciò si
ponga in contrasto con gli artt. 111 e 24 Cost.; l’applicabilità dell’art. 282 c.p.c. è predicabile esclusivamente con riferimento ai capi condannatori anche conseguenziali alle pronunce di accertamento o
18
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Superando un contrasto precedente, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che siano idonee a fondare l’esecuzione forzata tutti i capi delle sentenze di primo grado aventi portata condannatoria ed, in particolare:
– il capo di condanna relativo alle spese di giudizio49;
– le statuizioni di condanna consequenziali alla pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., dispositive dell'adempimento delle prestazioni a
carico delle parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, compresa la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo50;
Si è anche ritenuto che abbia efficacia esecutiva una sentenza (di condanna
implicita) costitutiva di una servitù allorché contenga tutti gli elementi identificativi in concreto della servitù sia pure con rinvio ad una consulenza tecnica di ufficio
espletata nel corso del giudizio atteso che l’esigenza di esecuzione scaturisce dalla
stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere51.
La non esecutività del titolo giudiziale può anche avere carattere temporaneo
come si verifica ad esempio nel caso in cui il giudice della cognizione abbia subordinato l’efficacia esecutiva del provvedimento giudiziale alla prestazione della
cauzione. In un’ipotesi siffatta il soggetto passivo del processo può contestare la
legittimità dell’esecuzione per l’inefficacia del titolo52.
costitutive, sempreché la efficacia esecutiva anticipata di questi ultimi non realizzi una lesione del
sinallagma contrattuale.
Allo stato attuale può, dunque, conclusivamente affermarsi che, secondo l’orientamento più recente
della giurisprudenza, l’art. 282 c.p.c. è pacificamente applicabile alle sentenze di condanna ovvero
alle statuizioni di condanna conseguenziali a pronunce costitutive ma, in quest’ultimo caso, solo a
seguito di verifica in concreto della funzione del capo recante la condanna rispetto alla pronuncia
considerata nel suo complesso. Per esemplificare, pare potersi sostenere che non sia provvisoriamente
esecutivo, ai sensi dell’art. 282 c.p.c., il capo della sentenza con la quale, disposto lo scioglimento
della comunione con assegnazione del bene al condividente che ne abbia fatto richiesta, si pone a carico di quest’ultimo l’obbligo di pagare un conguaglio. Diversamente, dovrebbe, invece, ritenersi
provvisoriamente esecutiva la statuizione di condanna al pagamento di somma di denaro conseguente
all’accoglimento della domanda di revocatoria fallimentare. In questa ottica e, uniformandosi proprio
alla pronuncia delle Sezioni Unite cui si richiama, la Corte di Cassazione ha ritenuto provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell’art. 282 c.p.c., anche la sentenza che dispone la risoluzione di un decreto di
trasferimento emesso in una esecuzione forzata immobiliare limitatamente al capo recante la condanna alle restituzioni atteso che, in tal caso, l’effetto costitutivo è regolato dallo stesso legislatore sostanziale con effetto retroattivo e non è collegato alla sentenza.Va, infine, precisato che, pure avendo
riguardo alla sentenza delle Sezioni Unite, il capo di condanna al pagamento delle spese, poiché non
può mai porsi in rapporto di sinallagmaticità con il dictum principale, avendo esso natura accessoria o
dipendente, è sempre provvisoriamente esecutivo anche quando acceda a pronunce, di accertamento o
costitutive, non ancora passate in giudicato.
47
È il caso della statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali conseguente ad una
pronuncia di accertamento o costitutiva non ancora passata in giudicato.
48
Tale tesi, oltreché avallata dalla giurisprudenza, è stata affermata in tempi recenti da CONSOLO,
Commento sub art. 282 c.p.c., in Commentario alla riforma c.p.c. a cura di CONSOLO – LUISO –
SASSANI, Milano, 1996, 263 ss.; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1676.
49
Cass. 10 novembre 2004, n. 21367.
50
Cass. 3 settembre 2007, n. 18512.
51
Cass. 26 gennaio 2005, n. 1619.
52
Cass. 30 gennaio 1995, n. 1099 che configura l’opposizione del debitore come opposizione
all’esecuzione quando si debba far valere la mancata prestazione della cauzione.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
19
Con riferimento ai titoli stragiudiziali può contestarsi ad esempio che una scrittura privata autenticata, pur riconducibile al catalogo descritto dall’art. 474 c.p.c.,
abbia valenza esecutiva perché formata in epoca antecedente alla data di entrata in
vigore della novella.
3.5. Il difetto funzionale del titolo esecutivo per la mancata individuazione del creditore o del debitore ovvero per l’incertezza, illiquidità o inesigibilità del diritto
Il difetto originario del titolo esecutivo può anche essere funzionale o, meglio,
connesso al fatto che quest’ultimo non rechi tutti gli elementi necessari a rendere
possibile l’esercizio dell’azione.
Per dar avvio all’esecuzione forzata non basta l’esistenza di un titolo esecutivo, ma, stando alla formulazione dell’art. 474 c.p.c., occorre che il credito consacrato nel documento che ha valenza esecutiva sia certo, liquido ed esigibile53. In
buona sostanza per consentire al creditore, non solo di affermare l’esistenza del diritto, ma anche di dare ad esso attuazione con l’esercizio dell’azione esecutiva, bisogna che il diritto medesimo abbia le predette caratteristiche.
Il diritto è certo innanzitutto quando è “determinato” e cioè nei casi in cui la
pretesa creditoria “emerga esattamente e compiutamente nel suo contenuto e nei
suoi limiti dal relativo provvedimento giurisdizionale o dall’atto negoziale”54.
Il diritto è certo anche quando risulta “determinabile”. Ma a tale proposito occorre evidenziare che la nozione di determinabilità è stata oggetto di vivace dibattito.
Secondo l’opinione consolidatasi negli ultimi anni il diritto di credito potrebbe
ritenersi certo anche quando sia (facilmente) determinabile, sempreché ciò possa
avvenire alla stregua dei soli elementi in esso indicati atteso che il titolo esecutivo
deve essere “autosufficiente”55.
53
Così Cass. 11 aprile 1975, n. 1375.
Così Cass. 25 febbraio 1983, n. 1455.
55
Cass. 9 marzo 1995, n. 2760; Cass. 18 luglio 1997, n. 6611; Cass. 21 novembre 2006, n. 24649.
Cass. 23 aprile 2009, n. 9695 ha messo a punto l’intero quadro interpretativo affermando che il diritto
di credito è certo e liquido e, dunque, rende possibile l’avvio dell’espropriazione forzata ai sensi
dell’art. 474 co. 1 c.p.c. quando sia determinato o determinabile in virtù degli elementi forniti dal titolo stesso e non anche quando alla quantificazione possa pervenirsi utilizzando elementi estranei al
titolo esecutivo, anche se acquisiti al processo all’esito del quale è stata pronunciata la sentenza di
condanna. Più precisamente con la sentenza menzionata la Suprema Corte ha sostenuto che alla interpretazione più restrittiva induce la considerazione che il processo esecutivo è caratterizzato da un contraddittorio ridotto poiché vi è una sola parte che agisce e l’altra che subisce. La particolare condizione di soggezione in cui versa il debitore può, però, giustificarsi a condizione che l’azione esecutiva
promossa nei suoi confronti venga esercitata entro limiti certi e definiti. Tale posizione è stata confermata da ultimo anche da Cass. 5 febbraio 2011, n. 2816 talché l’orientamento riportato ad oggi appare consolidato. In senso contrario Cass. 11 giugno 1990, n. 5656 che aveva ritenuto certo e liquido
il credito anche quando determinabile alla stregua di elementi acquisiti al processo ma non menzionati
dal titolo giudiziale neppure in motivazione (nella fattispecie si era ritenuto certo e liquido un credito
di lavoro determinabile in virtù di buste paga acquisite al processo ma non menzionate dalla sentenza
di condanna).
54
20
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Muovendo da tale premessa, non sarebbe possibile agire esecutivamente in virtù di un contratto di apertura di credito con il quale un soggetto mette a disposizione dell’altro una determinata somma di denaro concedendogli di utilizzarla in base
alle sue esigenze con obbligo di restituzione alla scadenza. Invero, quand’anche il
contratto di apertura di credito fosse stipulato per atto pubblico, se si aderisce alla
tesi della autosufficienza del titolo, esso non consentirebbe di dar luogo ad esecuzione forzata. Il documento, infatti, identifica solo la misura della somma messa a
disposizione dell’obbligato, ma non è in grado di attestare l’importo effettivamente
utilizzato dal beneficiario poiché a tal fine sarebbe necessario ricorrere ad un estratto conto della singola posizione bancario che evidenzi da un lato i prelevamenti e
dall’altro le rimesse.
A differenza della apertura di credito, costituisce, invece, titolo esecutivo il
contratto di mutuo che è il negozio con il quale un soggetto eroga a favore di un
altro una determinata somma di denaro che il beneficiario si obbliga a restituire secondo determinati tempi e modalità. In quest’ultimo caso, infatti, per agire esecutivamente il mutuante può limitarsi ad affermare l’inadempimento del mutuatario atteso che l’obbligazione di quest’ultimo è esattamente definita dal documento contrattuale56.
Nonostante una recente pronuncia della Suprema Corte che ha ribaltato il precedente orientamento57, se si aderisce alla tesi favorevole alla autosufficienza del
titolo esecutivo, dovrebbe ritenersi che, pur rivestendo la forma necessaria (provvedimento giudiziario recante una condanna), non costituisce titolo idoneo a promuovere l’espropriazione forzata la pronuncia giudiziale recante la regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi in sede di separazione o divorzio, limitatamente alla parte in cui pone a carico del genitore non affidatario l’obbligo di contribuire al rimborso delle “spese straordinarie” sostenute dall’altro genitore per le
esigenze della prole58. In tal caso, infatti, l’obbligazione di rimborso non è determinata o determinabile ma deve essere documentata attraverso la produzione di ricevute attestanti l’esborso, talché, stante il principio della autosufficienza del titolo, il
diritto di credito non sarebbe “certo” quantomeno nei termini innanzi esposti. In tal
caso, quindi il preteso creditore dovrebbe munirsi di un titolo esecutivo “esaustivo”
(richiedendo, ad esempio, un decreto ingiuntivo in virtù della prova scritta delle
spese sostenute59).
56
Deve invece escludersi la natura di titolo esecutivo per i contratti condizionati di mutuo (Cass. 19
luglio 1979, n. 4293) e per i contratti condizionati di finanziamento (Cass. 18 gennaio 1983, n. 477).
57
Si era espressa nel senso indicato nel testo e cioè escludendo che possa essere idoneo a promuovere
l’espropriazione forzata un provvedimento giurisdizionale in materia di separazione e divorzio relativamente alle spese straordinarie genericamente intese Cass. 28 gennaio 2008, n. 1758 nonché per la
giurisprudenza di merito Trib. Piacenza 2 febbraio 2010, in Giur. merito, 2011, 992, con nota adesiva
di GIUSTI.
58
Non vi è dubbio, invece, che i provvedimenti in oggetto siano titolo esecutivo idoneo a promuovere
l’espropriazione forzata relativamente all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento la
cui misura è esattamente determinata.
59
Trib. Piacenza 2 febbraio 2010, in Giur. merito, 2011, 992, con nota adesiva di GIUSTI, che, nel valutare l’eccezione di inammissibilità del ricorso monitorio proposto per richiedere l’ingiunzione al
rimborso delle “spese straordinarie” ha ritenuto che la richiesta di decreto ingiuntivo è ammissibile
poiché il provvedimento giurisdizionale che pone a carico di un coniuge il rimborso delle “spese stra-
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
21
Il credito, oltreché certo, deve essere liquido. Il requisito della liquidità nella
sostanza è, però, sostanzialmente sovrapponibile a quello della certezza.
Il credito è, dunque, liquido quando determinato o determinabile. Muovendo
dalla tesi favorevole alla autosufficienza del titolo esecutivo la giurisprudenza ha
ha ritenuto che, nel caso di sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento
di differenze retributive, il credito potrà dirsi liquido se i parametri numerici necessari alla sua determinazione siano ricavabili dalla stessa pronuncia giudiziale mentre ha ritenuto illiquido il credito ove esso possa essere quantificato solo acquisendo aliunde gli elementi di calcolo60. In questa prospettiva, non sarebbe titolo esecutivo idoneo a fondare l’avvio del processo di espropriazione la sentenza di condanna generica61 o la sentenza di condanna al pagamento di una somma illiquida62 o
ancora la sentenza condizionata63.
Il quadro interpretativo sin qui ricostruito, che, come anticipato, si era ormai
consolidato, è stato ribaltato da una recentissima una pronuncia della Cassazione a
Sezioni Unite64 .
La Suprema Corte ha superato il principio della necessaria “autosufficienza”
del titolo esecutivo prospettando che un diritto di credito deve ritenersi certo e liquido quando “determinabile” in virtù dei documenti ritualmente acquisiti al processo in tal modo consentendo, di fatto, una integrazione extratestuale della sentenza.
Tale posizione non appare, tuttavia, condivisibile per una serie di considerazioni.
ordinarie” sostenute per la prole, mancando del requisito della certezza, non è titolo esecutivo ai sensi
dell’art. 474 co. 1 c.p.c.. in un caso siffatto, avendo il creditore la necessità di munirsi i altro titolo
esecutivo ben può invocare la tutela monitoria.
60
Cfr. Cass. 9 marzo 1995, n. 2760; Cass. 6 giugno 2003, n. 9132; Cass. 29 ottobre 2003 n. 16259
nonché, di recente, Cass. 2 aprile 2009, n. 8067.
61
Cass. 18 luglio 1997, n. 6611 ha affermato che la sentenza di condanna è generica quando il diritto
è incerto e cioè non determinato né determinabile alla stregua degli elementi indicati nella pronuncia.
Con riferimento agli obblighi di fare o non fare Cass. sez. un. 15 gennaio 1987, n. 245 ha affermato
che la pronuncia di condanna al ripristino di una preesistente situazione dei luoghi non richiede, ai
fini del comando giurisdizionale e della sua concreta idoneità a costituire titolo esecutivo, l’individuazione e descrizione delle opere essendo sufficiente che dal contesto complessivo della decisione
sia evincibile la situazione preesistente che occorre ripristinare implicando la condanna la rimozione
di tutto ciò che altera quella situazione. Con riguardo alle obbligazioni pecuniarie Cass. 9 marzo
1995, n. 2760 ha affermato che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento in favore
del lavoratore di un determinato numero di mensilità costituisce titolo esecutivo per la realizzazione
del credito quando, nonostante la omessa indicazione del dato numerico, l’ammontare complessivo
della somma sia quantificabile con un mero calcolo matematico anche se il diritto di credito può dirsi
certo e liquido solo quando possa essere quantificato in base ad elementi che possono essere tratti dal
contenuto del titolo e non siano esterni ad esso (il titolo non può essere portato in esecuzione per il
liquidità del credito quando la condanna abbia ad esempio ad oggetto un certo numero di retribuzioni
individuate con rinvio alla retribuzione legislativamente e contrattualmente dovuta in base alla qualifica del lavoratore).
62
Cfr. Cass. 9 marzo 1995, n. 2760.
63
Cass. 27 novembre 1979, n. 6239 prevede che la sentenza di condanna la cui efficacia sia subordinata alla constatazione della omessa esecuzione di una costruzione nel termine stabilito è una sentenza condizionata avente valore di titolo esecutivo ma può essere azionata solo se emerga che la costruzione non è stata realizzata.
64
Cfr. Cass. sez. un. 2 luglio 2012, n. 11066.
22
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
In primo luogo va precisato che il processo esecutivo dovrebbe essere finalizzato alla attuazione forzosa di un diritto “definito” che il debitore subisce in una
situazione di soggezione e senza la necessità di costituirsi per esercitare le proprie
facoltà difensive, salva la proposizione delle opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c..
In secondo luogo giova evidenziare che, quand’anche si volesse accedere alla tesi
favorevole alla integrazione extratestuale del titolo esecutivo, tale integrazione dovrebbe essere consentita limitatamente ad atti del processo di cognizione specificamente individuati e richiamati nel provvedimento giudiziale. Una diversa ricostruzione, favorevole alla ricostruzione ex post dell’accertamento già svolto dal
giudice di merito, invero, sarebbe foriera di una “cognizione endoesecutiva” del
tutto contraria ai principi generali in materia di esecuzione forzata.
Va da ultimo precisato che il credito è esigibile, infine, quando non sia soggetto a termine, a condizione ovvero ad altro limite che concerna le modalità del suo
esercizio. Ecco allora che l’azione esecutiva non potrà essere esercitata, sebbene il
diritto di credito trovi riconoscimento in un documento avente valenza esecutiva, se
la prestazione non deve essere adempiuta prima di un certo termine (si pensi
all’intimazione della licenza per finita locazione quando essa abbia ad oggetto un
contratto non ancora scaduto) ovvero al caso in cui il pagamento del corrispettivo
previsto da un determinato contratto stipulato per atto pubblico sia subordinato al
verificarsi di una condizione sospensiva ovvero all’ipotesi in cui la validità della
pattuizione contrattuale contenuta in un documento costituente titolo esecutivo sia
venuta meno per il verificarsi di un evento previsto dalle parti come condizione risolutiva. Egualmente non è esigibile il diritto se esso non può essere esercitato prima del compimento di una controprestazione. Ed ancora non è esigibile il credito
nel caso in cui il debitore sia facoltizzato ad una prestazione alternativa e non abbia
ancora esercitato la sua scelta.
3.6. Il difetto di legittimazione attiva del creditore ed il difetto di legittimazione
passiva del debitore
Si è già anticipato che il difetto del titolo esecutivo può essere non solo assoluto, ma anche relativo.
Si ha un difetto di tipo relativo quando l’azione esecutiva potrebbe essere correttamente svolta in forza del titolo che si pretende di utilizzare poiché esso è perfetto nella struttura, rientra nel catalogo dei titoli esecutivi, consacra l’esistenza di
un diritto avente i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, reca precisa indicazione delle parti del rapporto sostanziale, ma, ciò nonostante, il suo esercizio si
rivela illegittimo perché compiuto in una direzione errata.
Il difetto del titolo in senso relativo può essere innanzitutto soggettivo. Esempi
tipici in tal senso sono quelli in cui si contesta il diritto a procedere esecutivamente
del soggetto attivo negando che questi sia il successore del creditore indicato dal
titolo ovvero quelli in cui si contesti la qualità di erede dell’espropriato.
Va peraltro messo in evidenza che la vicenda successoria che interessa il rapporto sostanziale può verificarsi sia prima della instaurazione del processo che durante il suo svolgimento.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
23
Per esemplificare, chi subisce l’esecuzione potrebbe contestare che colui che
pretende di esercitare l’azione esecutiva sia effettivamente l’avente causa, a titolo
particolare o universale, del creditore identificato nel titolo; parimenti il soggetto
passivo del processo ha la facoltà di eccepire che l’esecuzione sia stata erroneamente promossa ai suoi danni nonostante egli non abbia assunto la qualità di erede
per aver rinunciato alla eredità del de cuius 65.
Il difetto di legittimazione attiva e passiva è configurabile anche quando non si
contesti una vicenda successoria nella titolarità del rapporto sostanziale, ma si neghi che l’efficacia del titolo possa essere estesa in danno di soggetti in esso non
nominati e che non hanno partecipato al giudizio nel quale lo stesso si è formato.
La giurisprudenza ha ritenuto che il titolo esecutivo formatosi in un giudizio anche
monitorio tra il creditore di una società di persone e la società stessa possa essere
efficace anche contro il socio illimitatamente responsabile della società stessa tenuto conto del fatto che dalla obbligazione sociale deriva una responsabilità di detto
socio. Nello stesso modo, la giurisprudenza ha ammesso che il titolo esecutivo
formato contro una associazione non riconosciuta possa essere azionato contro gli
associati. Analogamente, sempre la giurisprudenza, ha ritenuto che il titolo esecutivo formatosi in un giudizio tra il creditore del condominio ed il condominio medesimo possa essere azionato anche in danno dei singoli condomini stante la loro qualità di soggetti solidalmente responsabili per le obbligazioni condominiali66.
65
Per l’esame di una fattispecie riconducibile al caso prospettato cfr. Cass. 26 luglio 2012, n. 13206
che si occupa di una opposizione all’esecuzione proposta dall’erede per contestare la facoltà del creditore di agire esecutivamente nei suoi confronti sull’intero patrimonio avendo egli accettato l’eredità
con beneficio di inventario.
66
La giurisprudenza ha ammesso che il titolo esecutivo formato contro una società di persone possa
legittimare l’esercizio dell’azione esecutiva anche contro il socio illimitatamente responsabile poiché
dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e ricorre
una situazione non dissimile da quella prevista dall’art. 477 c.p.c. ( in tal senso Cass. 14 giugno 1999
n. 5884; Cass. 17 gennaio 2003 n. 613; Cass. 6 ottobre 2004 n. 19946; Cass. 16 gennaio 2009, n.
1040; Cass. 3 marzo 2011, n. 5136 che afferma il principio secondo cui il creditore sociale non può
pretendere il pagamento dal socio se non dopo l’escussione del patrimonio sociale e precisa, dunque,
che la possibilità di aggredire il patrimonio individuale del socio è subordinata alla prova della infruttuosità dell’esecuzione sui beni della società, non essendo sufficiente, a tal fine, la prova che la società sia stata posta in liquidazione o dichiarata fallita; Cass. 24 marzo 2011, n. 6734 con cui la giurisprudenza, confermando un orientamento ormai consolidato, ha ritenuto che ciascun socio sia legittimato ad impugnare autonomamente il titolo giudiziale pronunciato ai danni della sola società di persone; Cass. 23 maggio 2011, n. 11311). Tuttavia, poiché i soci di una società di persona sono illimitatamente responsabili delle obbligazioni sociali solo in via sussidiaria, condizione per il legittimo esercizio dell’azione esecutiva ai loro danni in virtù di un titolo formato ai danni della società di persone è
la incapienza del patrimonio sociale della quale il creditore deve fornire la prova nel caso di contestazione del socio ritenuto debitore e sottoposto ad esecuzione (Cass. 5 marzo 2011, n. 5136).
In applicazione dello stesso principio si è ritenuto che la sentenza emessa nei confronti del condominio potesse legittimare l’avvio del processo esecutivo in danno di ogni singolo condomino, anche se
nei limiti della quota millesimale di proprietà di quest’ultimo (Cass. sez. un. 8 aprile 2008, n. 9148).
Di recente Cass. 29 dicembre 2011, n. 29754 ha ammesso che il titolo esecutivo formato contro una
associazione non riconosciuta possa legittimare l’azione esecutiva ai danni degli associati che, tuttavia, rispondono delle obbligazioni assunte dalla associazione, nei limiti del fondo comune o senza
limiti ma, in quest’ultimo caso, quando hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Il creditore, una volta che il destinatario abbia proposto opposizione all’esecuzione, deve fornire prova della
sussistenza delle condizioni per procedere esecutivamente in suo danno.
24
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
In un caso e nell’altro è possibile che il soggetto aggredito con l’esecuzione
(sia esso il socio ovvero il condomino) proponga l’opposizione ai sensi dell’art.
615 c.p.c. per contestare la sussistenza dei presupposti per l’estensione dell’efficacia del titolo.
Un difetto di legittimazione passiva può riscontrarsi anche quando sia aggredito esecutivamente il bene di un terzo al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 602
c.p.c. poiché in tali casi l’istante non è titolare dell’azione esecutiva nella direzione
in cui essa è stata esercitata.
Di recente la giurisprudenza ha escluso che possa ritenersi carente di legittimazione attiva il coniuge separato o divorziato che sia indicato nel titolo esecutivo
come beneficiario dell’assegno di mantenimento destinato alle esigenze della prole
per il solo fatto che i figli siano divenuti maggiorenni; una modifica della legittimazione presuppone, infatti, la revisione delle disposizioni patrimoniali contenute
nel titolo67.
3.7. L’utilizzazione del titolo esecutivo per far valere un diritto diverso da quello
che il titolo è idoneo ad attuare nelle forme dell’esecuzione forzata
Si ha un difetto relativo del titolo esecutivo dal punto di vista oggettivo quando
quest’ultimo venga utilizzato per far valere un diritto del quale esso non consenta
l’attuazione forzata.
Colui nei cui confronti venga promossa l’esecuzione può, ad esempio, contestare la legittimità dell’esercizio dell’azione esecutiva per consegna o rilascio perché avvenuto in forza di una scrittura privata autenticata che, ai sensi del combinato disposto del co. 2 n. 2 e del co. 3 dell’art. 474 c.p.c., costituisce titolo esecutivo
per le sole obbligazioni di pagamento di somme di denaro. Nello stesso modo può
essere contestato anche l’avvio di un’esecuzione di obblighi di fare o di non fare,
sulla base di un titolo di tipo stragiudiziale.
Nessun dubbio sussiste, invece, sul fatto che l’esecuzione in forma specifica
possa essere promossa in base a qualunque titolo di formazione giudiziale, ivi
compreso il verbale di conciliazione previsto dall’art. 185 disp. att. c.p.c.. Induce a
tale interpretazione l’attuale formulazione dell’art. 474 co. 2 n. 1 e co. 3 c.p.c., nella parte in cui assimila alle sentenze ed ai provvedimenti giurisdizionali anche gli
“altri atti” cui la legge attribuisce efficacia esecutiva tra i quali sono compresi i
verbali di conciliazione giudiziale e sancisce la idoneità di tutti i titoli di formazione giudiziale a fondare l’esecuzione forzata in una qualunque delle forme previste
dal codice68.
67
Cass. 16 giugno 2011, n. 13184.
L’inserimento degli “altri atti cui la legge attribuisce efficacia esecutiva” tra i quali il verbale di
conciliazione giudiziale nella categoria dei titoli di formazione giudiziale è stato operato dal legislatore della riforma del 2006 che, per tale aspetto, ha recepito l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con la sentenza 12 luglio 2002 n. 336, nel dichiarare non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 612 c.p.c., aveva affermato come, in base a quest’ultima norma,
fosse possibile promuovere l’esecuzione per obblighi di fare o di non fare anche sulla base di verbale
di conciliazione giudiziale.
68
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
25
Non è invece d’ostacolo all’esercizio dell’azione esecutiva il fatto che il titolo
esecutivo utilizzato sia posto a fondamento di altra esecuzione. Tale contestazione,
pur astrattamente riconducibile al rimedio oppositorio di cui all’art. 615 c.p.c. 69,
non è accoglibile poiché il creditore può promuovere sulla base di un unico titolo
esecutivo molteplici processi sino a che la sua pretesa non sia stata integralmente
soddisfatta. Resta però salva in questo caso per il debitore la possibilità di invocare
la limitazione del mezzo di espropriazione che, come già esposto, esula dall’ambito
delle opposizioni esecutive.
3.8. L’eccessività della pretesa creditoria come quantificata nel precetto,
l’intimazione ad eseguire una prestazione non prevista dal titolo o incoercibile
In via interpretativa si ritiene che il titolo esecutivo sia mancante in senso relativo e dal punto di vista oggettivo quando il creditore abbia intimato con il precetto
il pagamento di una somma superiore a quella che avrebbe potuto richiedere in base al titolo esecutivo70. In ipotesi siffatte la giurisprudenza ha riconosciuto che il
giudice investito dell’opposizione all’esecuzione possa dichiarare l’illegittimità del
precetto non nella sua interezza, ma limitatamente alle sole somme per le quali la
pretesa si riveli illegittima 71.
In questa ottica è possibile proporre opposizione all’esecuzione per contestare
lo schema di calcolo seguito dall’intimante ad esempio con riguardo alla rivalutazione della somma capitale liquidata dal giudice72 o al calcolo degli interessi per
ciò che concerne il tasso applicabile o la decorrenza73 o alla misura delle spese legali successive alla emanazione della sentenza74. Ed ancora è possibile contestare,
ai sensi dell’art. 615 c.p.c., l’inserimento tra le somme precettate dell’intero importo delle spese di registrazione del titolo, a fronte di una statuizione di compensazione totale o parziale delle spese di lite75, ovvero la richiesta di rimborso delle
spese e competenze relative ad un precedente precetto ove quest’ultimo sia divenuto inefficace ai sensi dell’art. 481 c.p.c. perché non posto a fondamento di
un’esecuzione76. Analogamente è possibile contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente quando con il precetto sia stato intimato il compimento di una
prestazione non suscettibile di esecuzione forzata perché incoercibile. La giuri69
Cass. 9 aprile 1992, n. 4375.
Cass. 11 ottobre 1974, n. 2768; Cass. 7 gennaio 1980, n. 94; Cass. 29 dicembre 1993, n. 12950.
71
Cfr. Cass. 14 novembre 2011, n. 23704 secondo cui l’opposizione all’esecuzione può essere integralmente accolta solo quando il debitore dimostri di aver integralmente onorato il debito per capitale,
interessi e spese.
72
Cass. 25 maggio 1981, n. 3443.
73
Cass. 14 dicembre 1992, n. 13171 con la quale è stato affermato che se un decreto ingiuntivo non
specifica la decorrenza degli interessi sul capitale essi non possono farsi decorrere da un momento
antecedente a quello della notificazione della domanda giudiziale.
74
Cass. 7 dicembre 2000, n. 15533.
75
Cass. 26 febbraio 1998, n. 2123.
76
Cass. 17 agosto 1965, n. 1963. In generale vige la regola secondo cui le spese relative ad un precedente precetto non debbono essere rimborsate quando quest’ultimo sia divenuto inefficace ai sensi
dell’art. 481 c.p.c..
70
26
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
sprudenza ha ritenuto che l’atto di precetto deve ritenersi invalido quando, ad esempio, con esso venga intimata la reintegrazione del lavoratore illegittimamente
licenziato, atteso che l’esecuzione specifica è possibile per le obbligazioni di fare
di natura fungibile, mentre la reintegrazione suddetta comporta non soltanto la
riammissione del lavoratore in azienda (e cioè un comportamento riconducibile ad
un pati), ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo – funzionale consistente nell’impartire al
dipendente le opportune direttive nell’ambito di una relazione di necessaria collaborazione77.
4. La contestazione circa la caducazione del titolo esecutivo per fatto sopravvenuto
4.1. La caducazione del titolo esecutivo giudiziale
Si sono sin qui esaminate le ipotesi di contestazione circa il “se” dell’esecuzione concernenti l’illegittimità dell’azione per difetto originario del titolo esecutivo.
È però ben possibile che il creditore avesse diritto ad agire esecutivamente nel
momento in cui ha proceduto alla notificazione dell’atto di precetto ovvero ha
promosso il processo di esecuzione, ma che tale diritto sia venuto meno perché il
titolo azionato è stato caducato per causa sopravvenuta.
La vicenda può riguardare tanto il titolo di formazione giudiziale che quello
avente natura stragiudiziale e consente la proposizione dell’opposizione prevista
dall’art. 615 c.p.c..
In ossequio al principio secondo cui nulla esecutio sine titulo ai fini della legittimità dell’esecuzione forzata occorre che il titolo esecutivo sussista non solo nel
momento in cui l’esecuzione è minacciata o intrapresa, ma durante tutto il suo
svolgimento78.
Il titolo giudiziale può venir meno nel corso del processo di esecuzione quando
sia riformato integralmente in sede di gravame, senza che rilevi il fatto che
l’impugnazione sia accolta per motivi di merito o di rito.
Il titolo stragiudiziale invece non è interessato da una vicenda analoga anche
se può essere posto nel nulla quando sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia
dell’atto negoziale in cui esso consiste.
Per ciò che concerne i titoli giudiziali una prima ipotesi di caducazione si riscontra nel caso in cui la sentenza di primo grado sia integralmente riformata in
appello. La caducazione della sentenza di primo grado comporta, infatti, l’ineffi77
Il principio della incoercibilità dell’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato era stato affermato già da Cass. 13 aprile 1985, n. 2458 e poi ripetutamente ribadito da Cass. 11
gennaio 1990, n. 46; Cass. 19 novembre 1996, n. 10109; Cass. 14 luglio 1997, n. 6381; Cass. 6 maggio 1999, n. 4543.
78
Cass. 9 gennaio 2002, n. 210, Cass. 31 marzo 2007 n. 8061 che precisa anche come la successiva
caducazione del titolo esecutivo non può avere valenza retroattiva per inferirne la invalidità di una
procedura legittimamente iniziata e portata a definitivo compimento
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
27
cacia di tutti gli atti esecutivi già compiuti. Tale effetto si produce anche se la sentenza di riforma non sia ancora passata in giudicato.
Una siffatta conclusione si fonda sulla nuova formulazione dell’art. 336 c.p.c.
che ha eliminato il collegamento tra l’effetto rescindente della sentenza di appello
ed il passaggio in giudicato di quest’ultima.
Ulteriore applicazione dello stesso principio si riscontra nella ipotesi in cui il
decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sia revocato con la sentenza con cui
viene accolta l’opposizione, proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c..
Gli interpreti si sono domandati se l’effetto caducatorio nell’ipotesi di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo sia automatico o invece subordinato
al passaggio in giudicato della sentenza che decide sull’opposizione la quale per
sua natura non è provvisoriamente esecutiva. La soluzione preferibile appare quella
di ritenere che l’inefficacia degli atti esecutivi prescinda dalla irrevocabilità della
sentenza. Può, infatti, ritenersi che la sentenza di accertamento negativo pronunciata all’esito dell’opposizione ex art. 645 c.p.c. supera il precedente accertamento
sommario ponendolo nel nulla. Tale conclusione è stata fatta propria dalla giurisprudenza con riferimento ad un’ipotesi in cui la sentenza di opposizione a decreto
ingiuntivo aveva disposto la revoca per motivi di rito79; non vi sono, tuttavia, ragioni che ostino a tale conclusione nel caso in cui la revoca del decreto ingiuntivo
sia stata pronunciata per motivi di merito.
È comunque opportuno evidenziare che il diritto ad agire esecutivamente del
creditore non viene meno quando il titolo esecutivo giudiziale non sia stato posto
nel nulla, ma solo modificato.
L’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche quando si assuma non
che è stato caducato non il titolo di formazione giudiziale, ma ne è stata sospesa la
sua esecutività. In un’ipotesi siffatta non vi sono dubbi che il soggetto passivo del
processo possa reagire alla iniziativa del creditore utilizzando il rimedio previsto
dall’art. 615 c.p.c. poiché la contestazione ha comunque ad oggetto l’an dell’esecuzione. La particolarità del caso è però costituita dal fatto che l’eventuale sospensione dell’esecuzione deve essere disposta ai sensi dell’art. 623 c.p.c. e che la
sentenza pronunciata sull’opposizione non potrà dichiarare l’inesistenza definitiva,
ma solo temporanea del diritto del creditore ad agire esecutivamente80.
79
Così Cass. 28 maggio 1999 n. 5192.
In una ipotesi come quella esaminata potrebbe addirittura sospendersi il giudizio instaurato ai sensi
dell’art. 615 c.p.c. in attesa della conclusione del processo di merito nell’ambito del quale è stata sospesa la esecutività del provvedimento giudiziale utilizzato come titolo esecutivo. L’eventuale accoglimento del gravame realizzerebbe in modo definitivo la caducazione del titolo esecutivo e consentirebbe di accogliere la domanda dichiarando la illegittimità degli atti esecutivi sino ad allora compiuti.
Non ha invece rilevanza nel giudizio di merito la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, come
ribadito da una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 3 settembre 2007 n. 18512): “allorquando l'esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo giudiziale che, al momento di tale inizio abbia
efficacia esecutiva e venga proposta opposizione all'esecuzione, la successiva sopravvenienza della
sospensione della sua efficacia esecutiva da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato impugnato, non ha alcuna incidenza sull'oggetto del giudizio di opposizione, che concerne l'accertamento
negativo della sussistenza del diritto di procedere all'esecuzione al momento in cui l'esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell'esecuzione nell'ambito del processo esecutivo perché disponga direttamente la sospensione dell'esecuzione”.
80
28
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
L’esecuzione forzata è, infatti, indifferente dinanzi a determinati fenomeni che
possono definirsi di mera trasformazione del titolo esecutivo. Può, cioè, verificarsi
che il processo esecutivo sia stato promosso sulla base di una sentenza o di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivi.
L’eventuale parziale accoglimento dell’appello proposto avverso la sentenza
emessa in primo grado cui segua la pronuncia di una condanna ad un importo ridotto ovvero l’eventuale parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo,
cui segua la pronuncia di una condanna diversa nel quantum rispetto all’ingiunzione originaria, non ha effetto sulla procedura esecutiva. L’esecuzione forzata
prosegue cioè per la realizzazione del credito nei limiti dell’importo riconosciuto in
sede di gravame 81. Certo non è escluso che il soggetto passivo del processo possa
contestare il diritto del creditore dal punto di vista quantitativo assumendo che il
credito si è ridotto, ma giova precisare che una contestazione di contenuto siffatto
può essere avanzata solo quando l’interesse a contrastare l’azione divenga certo ed
attuale come si verifica, ad esempio, nel caso in cui sia stato pagato il residuo dovuto ed il creditore intenda proseguire oltre nella espropriazione, ovvero quando il
creditore precisi la propria pretesa alla luce del primo titolo esecutivo senza tenere
conto delle vicende successive ai fini dei subprocedimenti di conversione o riduzione del pignoramento. Parimenti la procedura esecutiva prosegue senza soluzione
di continuità pure nell’ipotesi in cui il titolo esecutivo mantenga seppure in parte la
sua efficacia esecutiva, ma mutino esclusivamente le ragioni giuridiche della sua
esecutività82. Basti pensare ad un’esecuzione forzata avviata in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva e proseguita, una volta venuta meno la sua provvisoria esecutività, ad esempio, perché sospesa dal giudice dell’appello, facendo valere
l’efficacia di cosa giudicata di alcuni capi della originaria pronuncia non impugnati
e perciò passati in cosa giudicata83.
Può ancora verificarsi che la procedura esecutiva avviata sulla base di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva prosegua in forza di essa sebbene
l’impugnazione proposta in appello sia stata rigettata nel merito e la sentenza di secondo grado costituisca il nuovo titolo esecutivo.
Non è invece possibile la prosecuzione della procedura esecutiva nel caso in
cui l’opposizione all’esecuzione sia stata accolta, ma la stessa sentenza abbia accolto anche la domanda riconvenzionale proposta dal creditore. In questo caso è necessario intraprendere una nuova esecuzione84.
4.2. La caducazione del titolo esecutivo stragiudiziale
Si è già anticipato che anche il titolo esecutivo di formazione stragiudiziale potrebbe essere interessato da una vicenda caducatoria successiva al preannuncio o
all’avvio del processo esecutivo. Tale evenienza può verificarsi ad esempio quan81
Così Cass. 7 aprile 1986 n. 2406; Cass. 30 luglio 1997 n. 71111.
Così CAMPESE, L’espropriazione forzata immobiliare, Milano, 2006, p. 56.
83
Così Cass. 4 agosto 1987 n. 6705; Cass. 30 luglio 1986 n. 4889.
84
Cass. 20 aprile 2007, n. 9494.
82
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
29
do, nel corso del processo di esecuzione, sia stata accolta la domanda di annullamento, simulazione, rescissione o risoluzione del negozio stipulato nella forma
dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata ed azionato quale titolo esecutivo. Va da sé, comunque, che l’effetto caducatorio dell’atto negoziale stipulato
per atto pubblico o scrittura privata autenticata non consegue alla emanazione della
pronuncia che dichiari l’annullamento o accolga la domanda di rescissione, simulazione o risoluzione, ma solo al suo passaggio in giudicato poiché in tutti i casi esposti la sentenza non è di condanna, ma di accertamento o costitutiva.
4.3. L’irrilevanza della riviviscenza del titolo esecutivo caducato
In ossequio al principio secondo cui nulla executio sine titulo la mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo non è superabile e non può essere sanata. Ne deriva che è irrilevante il fatto che il titolo esecutivo mancante al momento
dell’avvio del processo di esecuzione sia venuto ad esistenza successivamente85.
Del pari irrilevante è la circostanza che il titolo esecutivo caducato nel corso del
processo riviva. Si pensi all’ipotesi in cui l’esecuzione forzata sia promossa in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva e che essa sia stata riformata in appello. La caducazione degli atti esecutivi per effetto della pronuncia del giudice del
gravame si produce automaticamente e resta irrilevante la possibilità che nell’eventuale giudizio per cassazione la sentenza di riforma pronunciata in appello
sia stata annullata con o senza rinvio86.
Per trarre le fila del discorso sin qui svolto può dunque affermarsi che con
l’opposizione esecutiva prevista dall’art. 615 c.p.c. è possibile contestare che il
creditore non ha il diritto di proseguire nell’esercizio dell’azione esecutiva perché
il titolo in forza del quale egli ha agito è stato caducato in modo definitivo nel corso del processo. Un’analoga contestazione non è invece accoglibile ove si sostenga
che il titolo esecutivo sia stato solo trasformato nel quantum.
Infine si deve evidenziare che quando con l’opposizione all’esecuzione si assuma che il titolo esecutivo azionato dal creditore procedente è venuto meno per
una vicenda caducatoria verificatasi nel corso del processo, all’accoglimento della
domanda consegue la declaratoria di inefficacia del primo atto esecutivo e di quelli
che sul presupposto di esso siano stati posti in essere.
La vicenda assume tuttavia connotazioni diverse se il processo esecutivo si
svolge nelle forme della espropriazione forzata e l’opposizione all’esecuzione non
abbia ad oggetto la posizione del creditore pignorante, ma quella di un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo.
È noto che l’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c. può essere proposta anche
per contestare il diritto ad agire esecutivamente del creditore intervenuto titolato,
ma è di tutta evidenza che la caducazione del titolo esecutivo da quest’ultimo fatto
valere non può determinare l’inefficacia del pignoramento e degli atti esecutivi
85
86
Cfr. Cass. 6 agosto 2002 n. 11769. In questo senso, di recente, Cass. 13 marzo 2012, n. 3979.
Cfr. Cass. 13 maggio 2002 n. 6911.
30
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
compiuti ad istanza del pignorante atteso che questi ultimi hanno una loro autonomia strutturale e funzionale che li rende indifferenti rispetto all’esito del giudizio.
5. La contestazione circa l’estinzione del diritto di credito per fatti successivi
alla formazione del titolo esecutivo
L’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche per affermare che il
titolo esecutivo, pur correttamente formatosi, non ha più motivo d’essere perché il
diritto di cui riconosce l’esistenza è venuto meno. Tale tipologia di opposizione
tende, quindi, a contrastare il contenuto sostanziale del titolo ed a realizzare, in via
principale e non incidentale, un accertamento negativo circa l’esistenza del credito
da esso consacrato. È chiaro però che se una contestazione di tale tenore non incontra limiti per i titoli di formazione stragiudiziale, la situazione si presenta più complessa per quelli di formazione giudiziale in relazione ai quali la proponibilità
dell’opposizione è limitata dalla situazione processuale del giudizio in cui si sono
formati.
Nell’esaminare l’ampia casistica che l’esperienza applicativa ha consentito di
elaborare sulle questioni inerenti alla contestazione del contenuto sostanziale del
titolo, occorre quindi distinguere i titoli giudiziali da quelli stragiudiziali.
Con riguardo al titolo giudiziale la giurisprudenza ha affermato che in sede di
opposizione all’esecuzione la pretesa fatta valere dal creditore può essere neutralizzata soltanto proponendo questioni che abbiano ad oggetto fatti modificativi o estintivi (pagamento, compensazione, novazione, transazione, compensazione, impossibilità sopravvenuta etc.) del rapporto sostanziale verificatisi successivamente
alla sua formazione87.
In modo speculare, l’opposizione all’esecuzione non è fondata quando si basi
sulla prospettazione di fatti modificativi o estintivi del diritto accaduti prima o durante la fase di formazione del titolo e che, in relazione al tempo in cui sono venuti in
essere, avrebbero potuto essere fatti valere nel giudizio di merito. Le questioni aventi
ad oggetto i fatti anteriori o coevi al processo sono, infatti, coperte dal giudicato senza che rilevi la circostanza che esse siano state sollevate o che il loro esame sia restato precluso per l’inerzia della parte che avrebbe avuto interesse a prospettarle.
L’opposizione all’esecuzione è, quindi, ammissibile e fondata ogniqualvolta
concerna deduzioni sulla esistenza del rapporto sostanziale il cui esame non era riservato alla cognizione del giudice dinanzi al quale il titolo si è formato o, per meglio dire, in tutti i casi in cui tenda ad un accertamento che, neppure astrattamente,
può risultare in contrasto con quello contenuto nel provvedimento giudiziale su cui
si fonda il processo di esecuzione.
Proposta l’opposizione all’esecuzione il giudice, dunque, prima di procedere
all’esame nel merito delle contestazioni ha il potere-dovere di verificare in modo
87
Cass. 5 dicembre 1988, n. 6605; Cass. 2 aprile 1997, n. 2870; Cass. 28 agosto 1999, n. 9061; Cass.
25 settembre 2000, n. 12664; Cass. 9 novembre 2001, n. 13872. Di recente, in questo senso, Cass. 24
febbraio 2011, n. 4505 con riferimento ad un’ordinanza di assegnazione del credito emessa all’esito di
un procedimento di espropriazione presso terzi nonché Cass. 13 marzo 2012, n. 3979.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
31
autonomo, e cioè indipendentemente dalle eccezioni svolte dall’opposto, se essa sia
ammissibile e cioè se i fatti dedotti possano, per la loro consistenza e per il tempo
del loro accadimento, superare il giudicato.
Giova peraltro evidenziare che i criteri innanzi illustrati sono applicabili in relazione a qualunque titolo giudiziale che sia idoneo a divenire irrevocabile e dunque, non solo alle sentenze, ma anche ai decreti ingiuntivi ed in generale a tutti i
provvedimento giurisdizionali che sono soggetti ad impugnazione e che ove non
gravati divengono irrevocabili.
È inoltre appena il caso di rilevare che l’anteriorità al giudicato dei fatti che
incidono sul rapporto sostanziale va valutata in relazione all’ultimo momento utile
per farli valere nella sede cognitiva ragion per cui essa tale anteriorità deve essere
riscontrata caso per caso tenendo conto dei termini preclusivi applicabili in relazione al rito che regola lo svolgimento del processo di formazione del titolo.
Fatte queste premesse e per richiamare le principali applicazioni compiute dalla giurisprudenza in materia si rammenta che l’opposizione all’esecuzione è stata
ritenuta inammissibile se proposta per contrastare il processo di formazione del titolo ed assumere, ad esempio, il difetto di giurisdizione del giudice che lo ha emesso88, ovvero per lamentare l’ingiustizia della decisione assunta e contestare le valutazioni compiute dal giudice del merito89. In entrambi i casi evidenziati, invero,
l’esame dei vizi della decisione è riservato in modo esclusivo al giudice
dell’impugnazione. Parimenti l’opposizione all’esecuzione è inammissibile ove si
neghi l’esistenza del diritto fatto valere dal creditore assumendo che esso si sia estinto per un pagamento90 o una transazione91 quando tali vicende estintive si siano
verificate prima del giudicato ovvero ancora se si deduca che il diritto di credito
non poteva essere azionato a causa della conclusione tra le parti di un patto sulla
non eseguibilità della sentenza concluso prima della emanazione di quest’ultima92.
Ed ancora, facendo applicazione dei principi sin qui menzionati, la giurisprudenza ha ritenuto che la compensazione non rileva come fattispecie estintiva quando il controcredito vantato dal debitore sia sorto prima della definitiva formazione
del titolo o per meglio dire quando l’eccezione avrebbe potuto essere proposta nel
corso del giudizio di merito93, senza che rilevi il fatto che il credito sia divenuto liquido ed esigibile solo dopo il giudicato, dal momento che in sede di cognizione si
poteva sollecitare il giudice ad esercitare il potere riconosciutogli dall’art. 1243 co.
2 c.c.94.
88
Cfr. Cass. 6 febbraio 1978, n. 526 con riferimento ad una sentenza emessa dal giudice ordinario.
Cfr. Cass. 15 aprile 1992, n. 4633 con cui, ad esempio, si è ritenuto che non si può eccepire per la
prima volta nel giudizio di opposizione all’esecuzione fondata su un titolo giudiziale pronunciato senza limiti nei confronti dell’erede la circostanza che l’erede medesimo aveva accettato l’eredità del de
cuius con beneficio di inventario e dunque aveva una responsabilità limitata per i debiti di
quest’ultimo.
90
Cass. 5 febbraio 1973, n. 366.
91
Cass. 16 giugno 1987, n. 5294.
92
Cass. 15 giugno 1964, n. 1519.
93
Cass. 28 aprile 1969, n. 2865; Cass. 25 marzo 1999, n. 2822.
94
Cass. 27 ottobre 1959, n. 3115; Cass. 28 luglio 1969, n., 2869.
89
32
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
La giurisprudenza di legittimità ha precisato, inoltre, che nel caso in cui venga
proposta eccezione di compensazione giudiziale, sebbene l’accertamento
dell’esistenza del credito opposto in compensazione possa essere compiuto dal giudice investito della opposizione, siffatto accertamento è, tuttavia, precluso quando
il controcredito sia già oggetto di un separato giudizio in corso e quest’ultimo accertamento non sia divenuto definitivo95.
L’onere di proporre l’eccezione di compensazione nel processo di formazione
del titolo opera, dunque, non solo per la compensazione legale, ma anche per quella
giudiziale. Nessuna preclusione alla eccezione di compensazione sussiste invece
quando il controcredito non esisteva prima della conclusione del giudizio perché
esso è venuto in essere con la pronuncia giudiziale, come si verifica ad esempio per
il credito scaturente dalla liquidazione delle spese di lite96.
Diversamente, a parere della giurisprudenza, il giudice investito dell’opposizione all’esecuzione può accertare l’inesistenza del diritto in tutti i casi in cui
l’adempimento o in genere la vicenda estintiva diversa dal pagamento, costituita ad
esempio dalla transazione o dalla compensazione, sia sopravvenuta al giudicato.
Deve rilevarsi comunque che il divieto di proporre opposizione all’esecuzione
per fatti anteriori al giudicato può essere eccezionalmente esclusa solo in relazione
a quei fatti cui la stessa sentenza abbia espressamente riconosciuto l’idoneità a modificare la concreta quantificazione dell’obbligo del debitore97.
Occorre, peraltro, puntualizzare che l’opposizione all’esecuzione è sempre
ammissibile quando si fondi solo su un’interpretazione del giudicato diversa da
quella prospettata dal creditore al momento del preannuncio o dell’esercizio
dell’azione esecutiva, poiché, in un’ipotesi siffatta, la delibazione del giudice investito della causa proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c. non si estende all’accertamento della esistenza di fatti che siano stati estranei al thema decidendum sottoposto alla cognizione del giudice del merito98.
Come si è già anticipato in premessa, se si ha riguardo ai titoli stragiudiziali il
giudice dell’opposizione all’esecuzione ha una cognizione piena sull’accertamento
circa il rapporto sostanziale e la perdurante esistenza del diritto. In buona sostanza
cioè “il debitore può giustificare la sua azione con tutti quei fatti in base ai quali
egli avrebbe potuto resistere alla domanda del creditore se questi avesse promosso
un processo di condanna anziché iniziare direttamente l’esecuzione”99.
È pertanto possibile che colui che intenda contrastare la pretesa esecutiva fatta
valere dal creditore deduca in ogni momento l’estinzione del credito ovvero
l’invalidità della fattispecie negoziale in cui consiste il titolo. La dottrina riconduce
a tale categoria, ad esempio, l’eccezione circa l’abusivo riempimento del titolo di
credito nonostante l’estinzione della pretesa creditoria per la quale il titolo era stato
95
Cass. 12 aprile 2011, n. 8338.
Cass. sez. un. 6 ottobre 1962, n. 2865; Cass. 6 luglio 1977, n. 2990; Cass. 20 febbraio 1978, n. 821.
97
Cass. 26 giugno 1978, n. 3150 con riferimento ad una fattispecie con cui il promittente, a seguito
della risoluzione del preliminare di vendita, era stato condannato alla restituzione di parte delle somme ricevute.
98
Cass. 16 febbraio 1977, n. 709.
99
Così testualmente LIEBMAN, op. cit., 337 – 338.
96
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
33
rilasciato100 e comunque tutte le ipotesi di estinzione o modificazione della entità
del credito successiva alla formazione del titolo conseguente a pagamento, transazione, novazione, compensazione etc..
6. La contestazione circa la direzione in cui è stata esercitata l’azione esecutiva: l’impignorabilità
L’art. 615 c.p.c. prevede che l’opposizione all’esecuzione possa essere proposta sia prima che dopo l’avvio del processo per contestare il diritto del creditore a
procedere all’esecuzione forzata e che il medesimo rimedio possa essere utilizzato
anche per contestare la pignorabilità dei beni una volta che, promosso il processo
esecutivo nella forma della espropriazione forzata, se ne sia individuato l’oggetto
mediante il pignoramento.
La scelta normativa di ricondurre la contestazione circa la pignorabilità dei beni nell’alveo dei motivi che fondano l’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c. costituisce l’esito di un lungo percorso interpretativo sviluppatosi nella vigenza del
codice del 1865 che tuttavia non ha trovato concorde tutta la dottrina. Secondo alcuni “la menzione particolare dell’opposizione che riguarda la pignorabilità dei beni è almeno superflua se non proprio nociva”101 in quanto l’impignorabilità altro
non è che il diritto a procedere all’esecuzione su determinati beni, diritto che non
sussisterebbe se il pignoramento non avesse provveduto alla loro individuazione102.
Secondo altra tesi l’aver chiarito che le contestazioni sulla pignorabilità dei beni
rientrano nell’opposizione all’esecuzione è invece quanto mai opportuna atteso che
l’art. 615 co. 1 c.p.c. si riferisce all’esecuzione in genere e non alla espropriazione
forzata ed era necessario procedere ad un inquadramento sistematico della questione relativa alla pignorabilità dei beni poiché questa “non attinge alle condizioni di
esistenza dell’azione satisfattiva propriamente detta sebbene alle condizioni dell’azione espropriativa” che, come noto, della prima costituisce solo una delle possibili espressioni103.
Ma, a parte la querelle sulla opportunità o meno della scelta operata dal legislatore, ciò che rileva in questa sede è affermare che la contestazione circa la pignorabilità dei beni deve essere ricondotta al rimedio oppositorio di cui all’art. 615
c.p.c. poiché essa nella sostanza attiene alla negazione del diritto del creditore a
procedere in executivis in conseguenza della modalità con cui quest’ultimo ha esercitato l’azione104. La contestazione circa la pignorabilità dei beni per le ragioni innanzi esposte costituisce, dunque, l’estremo limite della contestazione del “se” del100
MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435.
CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 99.
102
SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1965, I,, 462.
103
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit. 336.
104
Così in dottrina MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435. In giurisprudenza cfr. Cass. 24 novembre
2000, n. 15198 con cui viene affermato che “La controversia relativa alla pignorabilità dei beni costituisce oggetto di una opposizione all’esecuzione, secondo l’espressa previsione dell’art. 615 c.p.c.,
co. 2, dal momento che la pignorabilità non è altro che la negazione del diritto di procedere ad esecuzione su determinati beni”.
101
34
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
l’esecuzione ed anzi si pone ai confini della contestazione sul “come” dell’esecuzione medesima105.
Fatte queste premesse di tipo concettuale, va rilevato che con l’opposizione
all’esecuzione è possibile contestare il pignoramento di beni o crediti impignorabili
in modo assoluto ovvero in modo relativo; in quest’ultimo caso il pignoramento
può essere effettuato solo nel rispetto di precisi limiti quantitativi o in presenza di
specifiche condizioni di carattere spazio-temporale.
In generale va poi evidenziato che l’impignorabilità può essere collegata alla
particolare natura del bene ovvero derivare dalla sussistenza di particolari situazioni giuridiche connesse al bene stesso.
Le cause di impignorabilità connesse alle caratteristiche proprio del bene previste dal codice di procedura civile sono, per i beni mobili, quelle indicate dagli
artt. 514, 515 e 516 c.p.c., mentre per i crediti, quelle evidenziate dall’art. 545
c.p.c..
Varie sono d’altro canto le ipotesi di impignorabilità previste dal codice civile
(quali i casi di impignorabilità previsti per i beni demaniali o per quelli facenti parte del patrimonio indisponibile) o dalle leggi speciali.
Una ipotesi particolare di impignorabilità del bene è costituita dalla destinazione del bene appartenente a uno Stato estero all’adempimento delle sue funzioni
pubbliche106.
Quanto ai beni immobili costituisce un’ipotesi di impignorabilità non collegata
alla natura del bene, ma a vicende di tipo processuale, quella sancita dall’art. 2911
c.c. che può profilarsi nell’ipotesi in cui il creditore, che agisca per la soddisfazione
di un credito garantito da ipoteca, abbia pignorato uno o più beni immobili, ma non
quello sul quale la garanzia ipotecaria è stata iscritta.
Parimenti costituisce un’ipotesi impignorabilità avente una fonte di carattere
negoziale quella che consegue al fatto che un determinato bene sia stato destinato
alla costituzione di un fondo patrimoniale per soddisfare le esigenze della famiglia.
Le molteplici ipotesi di impignorabilità ricavabili dall’intero sistema normativo sono state illustrate in precedenza; in questa sede si devono, invece, esaminare
alcune questioni che definiscono l’oggetto dell’opposizione all’esecuzione per il
profilo in esame.
Giova innanzitutto rilevare che l’impignorabilità dei beni e dei crediti può essere contestata con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione sia quando abbia carattere assoluto che quando abbia carattere relativo107. Per esemplificare l’opposizione all’esecuzione può essere proposta, non solo per dolersi del fatto che con il
pignoramento sono state sottoposte ad esecuzione cose sacre (assolutamente impignorabili ai sensi dell’art. 514 n. 1 c.p.c.), ma anche per contestare che i frutti non
105
Così MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435.
Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041.
107
In questo senso ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 346; MANDRIOLI, Opposizione, cit., 438. In senso contrario SATTA, op. cit., 252; TARZIA, Indicazione del bene da pignorare, in Giur. it., 1964, I, 2, 315 i quali sostengono che le ipotesi di impignorabilità relativa previste
dall’art. 515 c.p.c. stabiliscono solo un modus procedendi.
106
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
35
ancora raccolti o separati dal suolo sono stati pignorati senza rispettare le particolari condizioni di tempo indicate dall’art. 516 c.p.c..
Ed ancora è opportuno evidenziare che l’opposizione all’esecuzione per
l’impignorabilità dei beni può essere proposta dal soggetto nei cui confronti sia stata promossa l’esecuzione. Una contestazione di tale contenuto non può essere mossa né dal terzo reclamante che pretenda di essere titolare del diritto di proprietà o di
altro diritto reale sui beni staggiti e che per tutelare le proprie ragioni abbia introdotto l’opposizione prevista dall’art. 619 c.p.c.108, né dal terzo pignorato nella ipotesi in cui l’espropriazione si sia svolta nelle forme previste dall’art. 543 c.p.c..
Rilevante è poi stabilire quale sia il momento ultimo per contestare la pignorabilità dei beni. In generale l’opposizione all’esecuzione può essere promossa a partire dall’avvio del processo esecutivo e sino alla sua conclusione, ma la validità di
tale criterio va messa a punto quando il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c. venga
impiegato per muovere contestazioni sulla idoneità dei beni pignorati ad essere sottoposti ad esecuzione. Non si può dimenticare, infatti, che sia la vendita che
l’assegnazione forzate hanno un proprio regime di stabilità. La giurisprudenza ha
preso posizione a tale proposito solo con riferimento alla ipotesi di espropriazione
presso terzi affermando che, quando il processo esecutivo sia stato instaurato nelle
forme di cui all’art. 543 c.p.c., la contestazione sulla pignorabilità dei beni è ammissibile fino alla adozione della ordinanza di assegnazione del credito.
Sempre la giurisprudenza sembra escludere che la questione sulla impignorabilità del credito trasferito possa essere dedotta impugnando ai sensi dell’art. 617
c.p.c. l’ordinanza di assegnazione. La proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi sarebbe, infatti, ammissibile solo per contestare la legittimità dell’assegnazione
quando essa sia stata adottata sul presupposto di un rigetto implicito o esplicito della eccezione di impignorabilità dei beni; in sostanza l’opposizione ex art. 617 c.p.c.
agli atti esecutivi sarebbe ammissibile solo quando l’atto esecutivo abbia assunto
contenuto decisorio. Tale orientamento, tuttavia, è stato revocato in dubbio con alcune pronunce recenti109.
108
Cass. 24 marzo 1980, n. 1961 con cui si è affermato che il terzo che pretenda di essere titolare del
diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene pignorato e che abbia proposto l’opposizione prevista dall’art. 619 c.p.c. non è legittimato a far valere la impignorabilità del bene stesso. Tale impignorabilità, d’altro canto, avuto riguardo ai limiti oggettivi del giudizio di cui all’art. 619 c.p.c., che ha ad
oggetto la legittimità del pignoramento con solo riguardo alla non appartenenza del compendio al debitore, e non anche sotto il diverso profilo della sottrazione di determinati beni all’azione esecutiva
del creditore procedente, non può neppure essere rilevata di ufficio dal giudice. La sentenza sembra
inoltre postulare che la questione della pignorabilità potrebbe essere rilevata di ufficio dal giudice ma
come meglio si illustrerà in seguito questa soluzione non pare univoca.
109
La questione prospettata merita di essere meglio approfondita facendo i conti con gli orientamenti
giurisprudenziali più recenti.
Per lungo tempo la Suprema Corte (Cass. 18 settembre 1972, n. 2755; Cass. 8 settembre 1986, n.
5491; Cass. 28 giugno 1989, n. 3138; Cass. 5 luglio 1989, n. 3208; Cass. 29 settembre 1997, n. 9541;
Cass. 3 febbraio 1998, n. 1091; Cass. 29 gennaio 1999, n. 786; Cass. 28 giugno 2000, n. 8813; Cass. 4
gennaio 2000, n. 14; Cass. 30 marzo 2001, n. 4746; Cass. 8 agosto 2002, n. 12030; Cass. 22 giugno
2007, n. 14574; Cass. 9 marzo 20011, n. 5529) ha ritenuto che l’ordinanza di assegnazione del credito
sarebbe impugnabile con l’appello tutte le volte in cui essa sia stata pronunciata previa risoluzione di
una questione che, avendo ad oggetto la pignorabilità dei beni ovvero l’esistenza del diritto a procedere esecutivamente del creditore, avrebbe dovuto essere risolta con sentenza. La Cassazione, cioè, ha
36
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Certo non può negarsi che nel processo di espropriazione presso terzi
l’ordinanza di assegnazione del credito sia il provvedimento che nel contempo
chiude la fase liquidativa e quella distributiva, ma sembra difficile ipotizzare che la
questione sulla pignorabilità possa essere dedotta per la prima volta dopo che i beni
pignorati siano stati oggetto di vendita o di assegnazione forzata. Accedendo a questa tesi, invero, resterebbe pregiudicato in modo definitivo l’interesse a conservare
la stabilità degli acquisti compiuti nel corso dell’esecuzione.
È dubbio se la contestazione circa la pignorabilità dei beni o dei crediti possa
essere rilevata di ufficio dal giudice ovvero debba necessariamente essere dedotta
dal soggetto passivo dell’esecuzione.
In un primo tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva affermato che l’impignorabilità dei beni mobili e dei crediti è stabilita non già per ragioni
di interesse pubblico, e perciò con norme imperative, bensì nell’esclusivo interesse
ritenuto necessario l’appello tutte le volte in cui l’ordinanza di assegnazione contenga la delibazione
di motivi che, riconducibili ad un’opposizione alla esecuzione, non potevano essere superati dal giudice con un’ordinanza ma con una sentenza e, quindi, tutte le volte in cui viene emessa previa valutazione e decisione circa l’esistenza dei diritti delle parti. Tuttavia, a seguito della riforma del 2006, che
aveva dichiarato inimpugnabile la sentenza emessa in relazione ai giudizi di opposizione alla esecuzione, tale orientamento doveva ritenersi superato. Anche ammettendo che l’ordinanza di assegnazione, avesse implicitamente o esplicitamente deciso questioni che avrebbero dovuto essere risolte con
sentenza resa ai sensi dell’art. 615 c.p.c., tale sentenza non sarebbe stata appellabile ma ricorribile per
cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha, però, nuovamente modificato il quadro normativo poiché, novellando l’art. 616 c.p.c., ha ripristinato il regime impugnatorio
ordinario per le pronunce rese all’esito dei giudizi di opposizione all’esecuzione e di terzo
all’esecuzione che tornano ad essere soggette ad appello talché l’orientamento della giurisprudenza in
punto di appellabilità della ordinanza di assegnazione potrebbe riacquistare la sua attualità. Deve però
segnalarsi che, di recente, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 14 luglio 2011, n.
15588), pronunciandosi con riferimento ad un’ordinanza di assegnazione di un credito pignorato presso terzi, richiamando un orientamento già espresso in materia di ordinanza determinativa delle modalità di esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c., ha prospettato la possibilità che il provvedimento del
giudice dell’esecuzione si inserisca nella sequenza procedimentale della opposizione all’esecuzione,
come riformulata dalla legge n. 80 del 2006, che si articola in due momenti dei quali il primo, endoesecutivo, destinato a chiudersi con un provvedimento del giudice dell’esecuzione e l’altro, solo eventuale, avente natura contenziosa, regolato dall’art. 616 c.p.c.. Accedendo a quest’ultima impostazione
si è, dunque, ritenuto che l’ordinanza di assegnazione, nella parte in cui risolve una questione di merito (che avrebbe dovuto essere proposta con una opposizione all’esecuzione e decisa secondo il disposto degli artt. 615 ss. c.p.c.) non abbia il contenuto di sentenza ma equivalga ad una ordinanza ex art.
624 c.p.c. e debba, dunque, essere seguita dalla introduzione della causa di merito ex art. 616 c.p.c..
Quanto sin qui esposto consente, quindi, di ritenere che ad oggi prevale la tesi secondo cui
l’ordinanza di assegnazione del credito non è appellabile.
Non è, invece, pacifico se tale ordinanza possa essere impugnata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. per contestare la pignorabilità del credito.
A tale proposito, va segnalato che la giurisprudenza ha talora riconosciuto l’ammissibilità del rimedio
in esame nel caso della impignorabilità del credito assegnato anche quando la questione non fosse
stata già dedotta nel corso del processo (Cass. 20 febbraio 2006, n. 3655; Cass. 18 gennaio 2000, n.
496) mentre, in altri casi, ha escluso la possibilità di far rivivere attraverso l’opposizione agli atti esecutivi quelle contestazioni che avrebbero dovuto essere tempestivamente svolte durante lo svolgimento del processo nelle forme dell’opposizione all’esecuzione (Cass. 23 febbraio 2011, n. 4505 nonché
Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507 e Cass. 19 maggio 2003, n. 7761).
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
37
del debitore110. Negli anni più recenti ha, invece, ritenuto che quando
l’impignorabilità della pensione assolve ad una funzione solidaristica e, mirando a
garantire l’eguaglianza sostanziale e di protezione dei cittadini, tutela un interesse
di carattere generale, può essere rilevata di ufficio dal giudice111. Nella motivazione
della pronuncia richiamata la Corte di Cassazione ha comunque precisato che sono
ispirate da ragioni di interesse pubblico, non solo le cause di impignorabilità della
pensione cui si riferiva la fattispecie in esame, ma anche quelle relative agli emolumenti retributivi in generale112.
Per completezza, va segnalato che, di recente, la Suprema Corte113, muovendo
dalla premessa secondo cui il giudice, laddove debba essere tutelato un interesse
pubblicistico, può rilevare l’impignorabilità, è pervenuta alla conclusione che tale
potere deve essere riconosciuto al giudice dell’esecuzione nel caso in cui sia stata
promossa una espropriazione presso terzi ai danni del Comune sottoponendo ad esecuzione le somme di pertinenza del debitore giacenti presso il tesoriere. Muovendo da tale considerazione ha, dunque, affermato114 che, nell’ipotesi da ultimo
esaminata, il terzo tesoriere, quale ausiliario del giudice, ha l’onere di dichiarare
l’esistenza del vincolo di destinazione e di specificare tutte le circostanze utili alla
verifica circa la sua effettiva sussistenza sì da rendere possibile la verifica officiosa
del giudice dell’esecuzione. Più precisamente, quindi, il tesoriere, anche quando il
debitore non compaia ed ometta di svolgere le proprie difese, deve evidenziare
quali siano state le delibere di impegno adottate dal comune e specificare la natura
e la successione cronologica delle movimentazioni bancarie successive, al fine di
rendere agevole la verifica circa il corretto operato della pubblica amministrazione
debitrice.
Avvalendosi delle indicazioni del terzo il giudice, se ritiene che ricorra in concreto l’impignorabilità, deve rigettare l’istanza di assegnazione del creditore mentre
se, al contrario, ritiene che l’impignorabilità non ricorra, interpretata la dichiarazione del terzo, deve assegnare il credito nei limiti della dichiarazione positiva del
tesoriere ed il suo provvedimento, in entrambe le ipotesi, potrà essere impugnato ai
sensi dell’art. 617 c.p.c.115.
Va, però, rammentato che, per lungo tempo la giurisprudenza aveva ritenuto
che, nei casi in cui il debitore rilevi l’impignorabilità senza proporre opposizione
ed il giudice proceda alla assegnazione risolvendo implicitamente o esplicitamente
la questione posta dall’esecutato, il provvedimento conclusivo del processo sarebbe
soggetto ad appello116.
110
Cass. 8 luglio 1978, n. 3432.
Cass. 11 giugno 1999, n. 5761.
112
La Corte di Cassazione con la sentenza richiamata nella nota precedente ha precisato che
l’orientamento espresso da Cass. 8 luglio 1978, n. 3432 non può essere condiviso con riferimento ai
crediti per stipendi, pensioni ed altre indennità.
113
Cass. 16 settembre 2008, n. 23727; Cass. 27 maggio 2009, n. 12259.
114
Cass. 16 settembre 2008, n. 23727; Cass. 27 maggio 2009, n. 12259.
115
Cass. 16 settembre 2008, n. 23727; Cass. 27 maggio 2009, n. 12259.
116
Cfr. nota 109.
111
38
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
7. I rapporti tra i motivi di opposizione all’esecuzione ed i poteri di rilievo officioso del giudice dell’esecuzione e del giudice dell’opposizione
L’opposizione all’esecuzione è lo strumento attribuito dall’ordinamento al debitore per contestare il diritto della parte istante ad agire esecutivamente.
Molte delle contestazioni proponibili con il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c.
possono però essere rilevate di ufficio dal giudice, eventualmente su sollecitazione
della parte interessata117.
Il giudice, in ossequio al principio secondo cui nulla executio sine titulo, ha,
infatti, un ruolo di controllo sulla esistenza delle condizioni dell’azione esecutiva
ed è tenuto a verificare che il titolo esecutivo esista al momento dell’avvio del processo e permanga durante tutto il corso del suo svolgimento e sino alla sua definizione.
Tra le ipotesi di inesistenza del titolo che il giudice può rilevare vi sono innanzitutto quelle che sono ascrivibili alle categorie al difetto originario o sopravvenuto
del titolo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione può dichiarare improcedibile
l’esecuzione perché il titolo esecutivo su cui si fonda è affetto da un vizio genetico,
come ad esempio nel caso in cui l’assegno bancario sia privo di data118 o la scrittura privata rechi una sottoscrizione autenticata al di fuori dei casi previsti dalle legge. Un medesimo potere può essere riconosciuto al giudice dell’esecuzione quando
riscontri che il credito consacrato dal titolo esecutivo manchi dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità come può verificarsi se l’atto pubblico in forza del
quale il processo esecutivo è stato promosso abbia ad oggetto un contratto di anticipazione bancaria ovvero accerti che il titolo non consente di individuare la parte
obbligata alla prestazione.
Nello stesso modo il giudice dell’esecuzione, nel corso del processo, può rilevare d’ufficio che il titolo esecutivo è stato caducato per una vicenda sopravvenuta
alla sua formazione e che gli atti esecutivi nel frattempo compiuti sono divenuti inefficaci. Tale evenienza si verifica ad esempio quando, al di fuori di un giudizio di
opposizione all’esecuzione, sia prodotta prova documentale del fatto che il decreto
ingiuntivo o la sentenza (in forza dei quali è stata esercitata l’azione esecutiva) siano stati il primo revocato e la seconda riformata in appello.
È altresì di tutta evidenza che il giudice dell’esecuzione possa rilevare che sia
venuta meno l’efficacia esecutiva del titolo nonostante questo non sia ancora stato
caducato. In questi casi, invero, l’art. 623 c.p.c. prevede che il processo debba essere sospeso anche al di fuori di un’opposizione del debitore119.
117
Così Cass. 3 agosto 1984, n. 4616 che riconosce un potere di rilievo officioso del giudice in tutti i
casi in cui il titolo esecutivo sia inesistente come si verifica qualora la sentenza sia priva della sottoscrizione del giudice ovvero sia stata pronunciata in danno di un soggetto deceduto prima della notificazione dell’atto introduttivo. Per un esame della questione cfr. VIGORITO, Le opposizioni esecutive,
Milano, 2002, 13.
118
Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337.
119
Cass. 6 ottobre 1992, n. 11342.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
39
Quanto alla impignorabilità dei beni il giudice ha un potere di rilievo officioso
nelle sole ipotesi in cui la giurisprudenza ha ritenuto che la limitazione alla pignorabilità sia prevista a tutela di un interesse pubblicistico120.
Sembra invece potersi escludere la rilevabilità d’ufficio in tutti i casi in cui si
deduca che non è venuto meno il titolo esecutivo, ma esclusivamente il diritto di credito da esso consacrato per fatto sopravvenuto. La deduzione del verificasi dei fatti
estintivi o modificativi della pretesa sostanziale fatta valere dal creditore esula dal
controllo rimesso al giudice che riguarda esclusivamente l’esistenza delle condizioni
per l’esercizio dell’azione esecutiva e non anche al contenuto del titolo medesimo. In
questa ottica è dunque escluso che il giudice possa rilevare l’estinzione del credito
per la cui soddisfazione sia stata promossa la procedura esecutiva quando gli sia fornita prova del pagamento o di qualunque altra causa estintiva del diritto.
Tutte le considerazioni sin qui svolte possono essere utilizzate anche al fine di
stabilire che rapporto sussista tra il potere officioso del giudice dell’opposizione ed
i motivi di opposizione.
Su tale punto si registra un contrasto giurisprudenziale che riguarda la stessa
Corte di Cassazione.
Secondo una parte della giurisprudenza nel giudizio di opposizione
all’esecuzione l’opponente ricopre la posizione di attore in senso sostanziale e processuale ed i motivi posti a fondamento delle contestazioni sulla sussistenza del diritto ad agire del creditore si configurano come ragioni della domanda. In questo
quadro, ed in ossequio al principio della domanda ed a quello della corrispondenza
tra il chiesto ed il pronunciato, l’opponente nel corso del giudizio non potrebbe
proporre eccezioni diverse da quelle originariamente prospettate (a meno che esse
non costituiscano lo svolgimento delle prospettazioni iniziali) né il giudice avrebbe
la possibilità di accogliere l’opposizione per motivi diversi da quelli espressi nel
ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili di ufficio121.
Altra parte della giurisprudenza sostiene, invece, che, qualunque sia il tenore
delle contestazioni svolte con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., il giudice potrebbe
accogliere la domanda e dichiarare la insussistenza del diritto del creditore a proce-
120
Cfr. paragrafo. 6.
Cass. 7 marzo 2003, n. 3477. Nello stesso senso Cass. 7 marzo 2002, n. 3316 e di recente Cass. 28
luglio 2011, n. 16541. Si segnala, in particolare, Cass. 20 gennaio 2011, n. 1328 secondo cui è tardiva
la domanda con cui l’opponente, al momento della precisazione delle conclusioni, eccepisce
l’impignorabilità dei crediti staggiti invocando l’applicazione di una normativa già vigente momento
della proposizione della domanda. Nel rigettare il ricorso la Suprema Corte ha evidenziato che, nella
opposizione all’esecuzione, l’opponente ha la veste sostanziale e processuale di attore; che la richiesta
di accertare l’inesistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione esecutiva configura il petitum;
che le “eccezioni” svolte dall’opponente per contrastare la domanda esecutiva del creditore costituiscono la “causa petendi” (o ragioni della domanda) ed essendo i fatti individuatori del diritto, non
possono essere modificate nel corso del giudizio. Con riferimento a quest’ultima pronuncia va, però,
segnalato che la Suprema Corte non ha escluso la possibilità di decidere la causa sulla base di una
questione decisiva rilevabile di ufficio ma ha rigettato il ricorso per la inammissibilità della domanda
che si profilava “nuova” rispetto a quella originariamente formulata.
121
40
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
dere esecutivamente, rilevando, anche di ufficio, la mancanza del titolo esecutivo la
cui esistenza costituisce una condizione necessaria per l’esercizio dell’azione122.
Questo secondo orientamento sembra quello preferibile. Ciò in quanto occorre
riconoscere al giudice dell’opposizione gli stessi poteri riservati a quello
dell’esecuzione. Così come il giudice dell’esecuzione ha il compito di controllare
l’esistenza del titolo esecutivo, anche al giudice dell’opposizione deve riconoscersi
un ruolo di verifica analogo. Diversamente opinando, infatti, l’esito del giudizio di
opposizione dipenderebbe dall’esercizio dei poteri officiosi del giudice
dell’esecuzione. Più precisamente, cioè, nel giudizio di opposizione la caducazione
del titolo esecutivo potrebbe assumere rilievo solo se nel frattempo sia stata rilevata
e dichiarata dal giudice dell’esecuzione123.
Il fondamento teorico dell’indirizzo giurisprudenziale cui si è prestata adesione
può, peraltro, essere ricondotto anche al principio secondo cui il giudice della cognizione ha il compito di rilevare le cause di nullità che affliggono gli atti negoziali
quando l’esistenza e la validità di questi ultimi costituisca il presupposto per
l’accoglimento della domanda formulata.
La questione si pone in termini diversi se l’efficacia del titolo esecutivo risulta
solo sospesa e non vi sia stata, quindi, la caducazione del titolo stesso. In tal caso
la parte opponente conserva l’interesse ad una pronuncia sulla opposizione all’esecuzione; questo principio è stato affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale “allorquando l'esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo giudiziale, che al momento di tale inizio abbia efficacia esecutiva e venga
proposta opposizione all'esecuzione, la successiva sopravvenienza della sospensione della sua efficacia esecutiva da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato
impugnato, non ha alcuna incidenza sull'oggetto del giudizio di opposizione, che
concerne l'accertamento negativo della sussistenza del diritto di procedere all'esecuzione al momento in cui l'esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell'esecuzione nell'ambito del processo esecutivo perché disponga direttamente la sospensione dell'esecuzione”124.
122
Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337 (con riferimento ad una fattispecie in cui il titolo esecutivo era costituito da un assegno privo di data che dunque non aveva valenza ai sensi dell’art. 474 c.p.c.) nonché
Cass. 9 luglio 2001, n. 9293 e Cass. 29 novembre 2004, n. 22430 e, più di recente, Cass. 19 maggio
2011, n. 11021 e Cass. 13 luglio 2011, n. 15363; Cass. 28 luglio 2011, n. 16610 (che, nell’aderire
all’orientamento secondo cui è possibile accogliere l’opposizione all’esecuzione rilevando
l’inesistenza del titolo esecutivo, ribadisce la necessità di rispettare comunque il principio della domanda); Cass. 13 marzo 2012, n. 3977. Va, peraltro, segnalato che secondo Cass. 13 marzo 2012, n.
3977, quando la opposizione sia accolta non per i motivi dedotti dall’opponente con la domanda formulata, ma per il rilievo di ufficio della inesistenza del titolo esecutivo per fatto sopravvenuto (caducazione), le spese non possono essere poste a carico dell’opponente poiché l’opposizione è, comunque, fondata ed egli non è, quindi, la parte soccombente. Va ancora segnalato per i profili di interesse
Cass. 28 luglio 2011, n. 16541 secondo cui, pur dovendosi aderire al principio secondo cui è necessario che il giudice rilevi l’inesistenza del titolo esecutivo, occorre che tale principio venga contemperato con il rispetto del principio della domanda: non è, pertanto, possibile accogliere l’opposizione per
una questione rilevata di ufficio, quando la questione in oggetto avrebbe potuto essere dedotta in via
di eccezione dallo stesso opponente con la domanda originariamente svolta.
123
ORIANI, Opposizione all’esecuzione, in Digesto civ., XIII, Torino, 1995, 500; ARIETA – DE SANTIS,
op. cit., 1664.
124
Cass. 3 settembre 2007 n. 18152.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
41
8. Il rapporto tra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi
Si è già detto che l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. ha ad oggetto le doglianze concernenti il “se” dell’esecuzione che possono articolarsi nella contestazione del diritto della parte istante a procedere in executivis per difetto originario o
sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero nella contestazione circa la pignorabilità
dei beni.
L’opposizione agli atti esecutivi ha ad oggetto, invece, le doglianze circa il
“come” dell’esecuzione, cioè tutte le contestazioni con cui si lamentano la regolarità degli atti preliminari all’esercizio dell’azione esecutiva o di quelli interni al processo.
Ove si intenda elaborare un criterio distintivo, può affermarsi che è riconducibile all’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. ogni questione che non concerna
l’idoneità della azione esecutiva, ma il modo in cui quest’ultima viene esercitata125.
Portando alle estreme conseguenze tale ragionamento, può affermarsi che, ove
accolta, l’opposizione all’esecuzione culmina in una decisione che non consente di
proseguire il processo esecutivo e, comunque, di intraprenderne uno identico, mentre quella agli atti esecutivi porta una pronuncia che non incide sulla reiterabilità di
un’esecuzione analoga126.
In dottrina si è più volte osservato che, pur impiegando il criterio sin qui esposto, non sempre risulta agevole distinguere tra opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi a causa di difficoltà che derivano nella fase dinamica di
svolgimento del processo esecutivo. Ogniqualvolta il giudice dell’esecuzione adotti
un provvedimento assumendo una posizione sulla legittimità o meno della azione
esecutiva (ad esempio rilevando di ufficio l’impignorabilità di un credito o
l’inesistenza del titolo) la parte interessata alla prosecuzione del processo avrà
l’onere di impugnare quest’ultimo ai sensi dell’art. 617 c.p.c. per far sì che
l’esecuzione possa proseguire. È di tutta evidenza allora che vi sono ampi spazi in
cui la questione relativa al “se” dell’esecuzione, ove risolta esplicitamente dal giudice dell’esecuzione, possa tradursi nel vizio di legittimità-opportunità di un atto
esecutivo127.
Le osservazioni che precedono consentono, dunque, di concludere nel senso che
i due rimedi oppositori, apparentemente tanto diversi, possono avere punti anche ampi di interferenza. Non è, tuttavia, agevole stabilire di quali rimedi dispongano le parti del processo nel caso in cui il giudice dell’esecuzione rilevi di ufficio con un suo
125
Per l’esame dei criteri distintivi delle due opposizioni in esame cfr. Cass. 3 agosto 2005, n. 16262;
Cass. 6 aprile 2006, n. 8112; Cass. 13 novembre 2009, n. 24047.
126
In questo senso VITTORIA, Il controllo sugli atti del processo di esecuzione forzata: l’opposizione
agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec. forz., 2000, 370.
127
ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 156 ss.; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1656
ss.. In questo senso di recente cfr. Cass. 23 febbraio 2009, n. 4334 che ha confermato come il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione dichiari la sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo
debba essere impugnato con l’opposizione prevista dall’art. 617 c.p.c. che costituisce il rimedio esperibile contro il provvedimento di “blocco” dell’esecuzione.
42
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
provvedimento l’inesistenza delle condizioni processuali per l’esercizio dell’azione
esecutiva (per esemplificare, tornando all’esempio già svolto, rilevando la carenza
del titolo esecutivo o l’impignorabilità dei beni). È pacifico che il creditore possa reagire con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. ad un siffatto provvedimento per impedire
che il processo esecutivo si concluda con un nulla di fatto. Ma non è chiaro se il debitore possa nel contempo proporre l’opposizione ex art. 615 c.p.c. per contestare da
parte sua il diritto dell’istante a procedere esecutivamente, sebbene tale diritto, benché mediato dall’apprezzamento del giudice dell’esecuzione, sia già sub iudice. La
soluzione preferibile sembra quella che consente la proponibilità di entrambi i rimedi, non tanto o non solo perché la sentenza di opposizione agli atti pone nel nulla il
provvedimento del giudice dell’esecuzione, senza tuttavia accertare l’illegittimità
dell’azione esecutiva, quanto piuttosto perché l’opposizione all’esecuzione non è
preclusa sino a quando non sia esaurito il processo esecutivo.
Corre l’obbligo di precisare che la distinzione tra opposizione all’esecuzione
ed opposizione agli atti esecutivi non riveste solo rilevanza teorica, ma produce
conseguenze pratiche degne di nota.
Mentre l’opposizione all’esecuzione può essere proposta in ogni momento e
sino alla conclusione del processo esecutivo, l’introduzione di quella prevista
dall’art. 617 c.p.c. è preclusa quando sia decorso il termine perentorio di venti
giorni dalla conoscenza legale dell’atto che si assume illegittimo.
La qualificazione della domanda è dunque essenziale prima di tutto per stabilire se occorra anche valutare la sua tempestività prima di procedere all’esame nel
merito delle questioni prospettate. La qualificazione della domanda è stata d’altro
canto ritenuta essenziale anche al fine di individuare il regime impugnatorio applicabile alla decisione.
Prima delle recenti riforme del processo civile, invero, la sentenza emessa ai
sensi dell’art. 617 c.p.c. era dichiarata espressamente non impugnabile dall’art. 618
c.p.c., a differenza di quella pronunciata ai sensi dell’art. 615 c.p.c. che, in difetto
di previsione espressa, era soggetta all’appello. Ciò stante, in via interpretativa la
giurisprudenza, facendo applicazione del criterio secondo cui l’identificazione del
mezzo di impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta
in applicazione del “principio della apparenza”, aveva ritenuto che per individuare
lo strumento di gravame esperibile avverso la sentenza che definisce il giudizio di
opposizione occorreva aver riguardo alla qualificazione dell’azione proposta
dall’organo giudicante, indipendentemente dalla sua esattezza128. Tale orientamento era stato, però, messo a punto con un’ulteriore precisazione: la qualificazione del
giudice a quo è vincolante solo se questi abbia effettivamente compiuto una valutazione sul punto; diversamente, quando si sia limitato ad un’affermazione generica
128
Cass. 4 agosto 2005, n. 16379; Cass. 1 febbraio 2010, n. 2261. La giurisprudenza aveva conseguentemente affermato che nel caso in cui il giudice avesse qualificato l’azione come opposizione
all’esecuzione per taluni motivi e come opposizione agli atti esecutivi per altri motivi la decisione
sarebbe stata impugnabile per il capo recante la pronuncia emessa ai sensi dell’art. 617 c.p.c. con il
ricorso straordinario per cassazione e per il capo recante la decisione emessa ai sensi dell’art. 615
c.p.c. con l’appello. In quest’ultimo senso cfr. Cass. 13 dicembre 2005, n. 27445, Cass. 31 maggio
2010, n. 13203.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
43
ovvero quando abbia omesso di pronunciarsi, l’onere di qualificare l’azione ricade
sul giudice ad quem129.
9. La legittimazione attiva all’opposizione all’esecuzione
In linea di principio la legittimazione attiva a proporre l’opposizione all’esecuzione spetta al soggetto nei cui confronti l’esecuzione sia stata minacciata o
promossa e, dunque, di regola, al debitore esecutato, senza che rilevi il fatto che si
tratti del soggetto obbligato ad eseguire la prestazione in base alle risultanze del titolo esecutivo, ovvero del suo successore a titolo particolare o universale o, infine,
dell’obbligato solidale come si verifica, ad esempio, quando l’esecuzione in forza
di un titolo formato contro la società sia intrapresa ai danni del socio illimitatamente responsabile130 ovvero quando in forza di un titolo formato contro il condominio
l’esecuzione sia promossa ai danni del singolo condomino limitatamente alla obbligazione gravante sulla sua quota di proprietà131.
In applicazione dei principi suesposti si è ritenuto che possa proporre l’opposizione all’esecuzione anche il tutore quando la legittimazione spetti all’interdetto.
L’esecutato non può tuttavia proporre opposizione all’esecuzione per dedurre
che il bene pignorato è di proprietà altrui poiché si tratta di eccezione riservata al
terzo rivendicante132.
La legittimazione attiva in relazione al rimedio in esame spetta anche al terzo
proprietario del bene espropriato o espropriando nei casi in cui l’esecuzione sia stata
promossa (o debba essere promossa e sia stata solamente preannunciata con la notificazione del precetto) ai sensi dell’art. 602 ss. c.p.c.133.
129
Per la affermazione secondo cui quando la sentenza di primo grado non reca alcuna qualificazione
dell’azione tale compito ricade sul giudice ad quem cfr. Cass. 8 marzo 2001, n. 3400; Cass. 23 giugno
1997, n. 5580; Cass. 23 agosto 1997, n. 7929; Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507; Cass. 13 ottobre 2009,
n. 21683. Si è espressa nel senso che la qualificazione del giudice a quo è vincolante solo quando non
si risolva in una affermazione del tutto generica Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507. Nello stesso senso
Cass. 12 dicembre 2009, n. 26919.
130
Per le vicende che riguardano la responsabilità solidale del socio illimitatamente responsabile per
le obbligazioni derivanti da titolo formato nei confronti della società di persone, cfr. Cass. 14 giugno
1999, n. 5884; Cass. 8 agosto 1997, n. 7353 e, più di recente, Cass. 16 gennaio 2009, n. 1040. In questo caso si parla di efficacia espansiva del titolo esecutivo. Il socio può proporre opposizione
all’esecuzione per negare la esistenza del presupposto fattuale che consente di ritenerlo obbligato per
il debito altrui. È comunque fuor di dubbio che l’opposizione all’esecuzione possa essere proposta
anche per contrastare l’esercizio dell’azione esecutiva per tutti i motivi sussumibili nella categoria
dell’opposizione all’esecuzione. Cfr. par. 3.6.
131
Nel caso del condomino il titolo esecutivo può formarsi a carico del condominio e l’azione esecutiva può essere esercitata a carico del singolo condomino ma, come ha precisato la Corte di Cassazione a sezioni unite modificando un precedente orientamento (cfr. Cass. sez. un. 8 aprile 2008, n.
9148), il creditore può agire esecutivamente per il solo credito corrispondente alla quota millesimale
di proprietà del singolo condomino. Cfr. par. 3.6.
132
Cass. 8 ottobre 1965, n. 2109.
133
Il terzo proprietario del bene può, infatti, proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. sia dopo la notificazione del precetto che dopo l’avvio dell’esecuzione quando intenda contestare la applicazione de-
44
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
È dubbio se la legittimazione attiva possa essere riconosciuta al terzo che non sia
proprietario, ma solo promissario acquirente del bene ipotecato e sottoposto ad esecuzione per il debito altrui atteso che egli non è ancora titolare di una posizione giuridicamente tutelabile134.
In dottrina si è ritenuto che il creditore possa proporre l’opposizione in esame
in via surrogatoria nel caso di inerzia dell’esecutato135.
Quanto al terzo acquirente del bene pignorato, dopo un primo risalente orientamento che riconosceva a quest’ultimo la legittimazione ad introdurre
un’opposizione ex art. 615 c.p.c.136, la giurisprudenza ha ritenuto che il terzo acquirente di un bene già pignorato può dolersi della illegittimità dell’esecuzione solo
con l’opposizione prevista dall’art. 619 c.p.c. lamentando la inesistenza originaria o
la nullità assoluta del vincolo pignoratizio onde sottrarre il bene alla espropriazione
137
.
La legittimazione attiva, nei termini di cui si discute ed in relazione all’esecuzione per consegna o rilascio, spetta inoltre al terzo detentore del bene ancorché
si tratti di persona nominativamente diversa da quella individuata come soggetto
obbligato in base al titolo, atteso che il detentore è l’unico soggetto che realmente
può soddisfare la pretesa dell’istante alla restituzione del bene. Va però precisato
che la contestazione del terzo detentore può essere accolta solo quando questi affermi di essere titolare di un titolo autonomo e non pregiudicato dal contenuto del
titolo esecutivo138. Per esemplificare, se il locatore ha ottenuto una sentenza di condanna al rilascio nei confronti del conduttore, il terzo che detiene l’immobile può
opporsi all’esecuzione se affermi di essere titolare di un diritto autonomo che non
deriva dalla locazione e, come tale, non è pregiudicato dalla pronuncia giudiziale,
mentre ha a disposizione il solo rimedio previsto dall’art. 404 c.p.c. se, al contrario,
il suo diritto derivi da quello del conduttore139. Ed ancora il terzo conduttore
dell’immobile può opporsi alla procedura esecutiva per rilascio intrapresa in forza
di un decreto di trasferimento di immobile solo a condizione che il suo diritto derivi da un contratto personale di godimento opponibile al processo di esecuzione140 o
gli artt. 602 ss. c.p.c.. Cfr. Cass. 15 dicembre 1972, n. 3614; Cass. 9 dicembre 1974, n. 4130 con riferimento ad una fattispecie in cui il terzo assuma di non essere proprietario del bene ipotecato a garanzia di un debito altrui.
134
Cass. 1 settembre 1995, n. 9219.
135
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 141.
136
Cass. 4 settembre 1985, n. 4612 ha affermato che il terzo acquirente può proporre l’opposizione
all’esecuzione per lamentare la impignorabilità del bene o, ma in questo secondo caso solo in via surrogatoria del debitore esecutato, per dedurre la inesistenza del diritto a procedere esecutivamente dei creditori. Si rammenta, però, che Cass. 14 aprile 2000, n. 4856 ha ritenuto che il terzo acquirente quando propone l’opposizione all’esecuzione agisce in proprio e non in surroga del debitore esecutato.
137
Cfr. Cass. 26 luglio 2004, n. 14003 e, più di recente, Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703 e Cass. 28
giugno 2010, n. 15400 nonché, da ultimo, Cass. 8 febbraio 2012, n. 1752.
138
Cass. 22 novembre 2000, n. 15083; 4 febbraio 2005, n. 2279. In senso contrario per la esclusione
della legittimazione attiva a soggetti diversi dai destinatari dell’ordine impartito con il titolo esecutivo
un orientamento isolato e risalente: Cass. 24 giugno 1969, n. 2268; Cass. 25 gennaio 1978, n. 339.
139
Cass. 28 aprile 2006, n. 9964.
140
Cass. 30 marzo 1993, n. 3860; Cass. 2 aprile 1997, n. 2869.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
45
perché stipulato con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione o perché anteriore
al pignoramento.
La giurisprudenza, muovendo dalla premessa secondo cui il terzo pignorato non
è parte dell’espropriazione ma mero ausiliario del giudice, ha escluso che sia legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione141 e l’opposizione agli atti esecutivi142.
Poiché il terzo pignorato non è parte del processo esecutivo, non può essere ritenuto litisconsorte necessario nei giudizi di opposizione all’esecuzione ovvero di
opposizione agli atti esecutivi nei quali la controversia resta limitata ai creditori ed
al debitore143 anche se conserva la possibilità di intervenirvi volontariamente ai
sensi dell’art. 105 c.p.c. quando vi abbia interesse144.
La giurisprudenza in tempi relativamente recenti ha però stabilito che il terzo
deve partecipare ai processi di opposizione all’esecuzione e di opposizione agli atti
esecutivi quando si contesti la validità o la legittimità del pignoramento, e sempreché si controverta di vicende che possano comportare la sua liberazione dal vincolo
imposto con l’intimazione145. In questa ottica può profilarsi, ad esempio, la partecipazione necessaria del terzo al giudizio nel caso in cui egli abbia pagato il debitore
prima della notificazione del pignoramento ed intenda prendere parte al processo
introdotto con l’opposizione agli atti esecutivi, dal creditore procedente che abbia
impugnato l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione ha respinto l’ordinanza di
assegnazione. In siffatta ipotesi, invero, egli avrebbe la possibilità di difendere
l’atto giudiziale evitando di pagare una seconda volta il creditore del proprio debitore146.
In applicazione dei medesimi principi, il terzo è comunque litisconsorte necessario del giudizio introdotto ex art. 617 c.p.c. avverso ogni provvedimento con cui
sia dichiarata l’inefficacia del pignoramento, atteso che la conferma del predetto
atto incide sull’esistenza o meno del suo obbligo147.
141
Così Cass. 2 agosto 1997, n. 7170; Cass. 21 gennaio 2000, n. 687; Cass. 6 luglio 2001, n. 9215.
Non è di contrario avviso all’orientamento esposto neppure Cass. 7 febbraio 2000, n. 1339. Con
quest’ultima sentenza si è ammessa la legittimazione del terzo pignorato a proporre opposizione
all’esecuzione avverso il processo esecutivo promosso in forza dell’ordinanza di assegnazione del
credito e dunque instaurato direttamente in suo danno quale soggetto passivo dell’esecuzione.
142
In questo senso Cass. 17 agosto 1990, n. 8370; Cass. 24 novembre 1980, n. 6245 nonché Cass. 5
marzo 2009, n. 5342.
143
Cfr. Cass. 13 gennaio 1983, n. 249; Cass. 29 novembre 1996, n. 10650; Cass. 1 febbraio 1988, n.
905 nonché Cass. 19 maggio 2009, n. 11585.
144
Cfr. Cass. 4 dicembre 1981, n. 6431; Cass. 13 gennaio 1983, n. 249 nonché Cass. 5 marzo 2009, n.
5342.
145
Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527; 1 febbraio 1988, n. 905; Cass. 26 marzo 1990, n. 2423; 1 ottobre
1997, n. 9571; Cass. 18 aprile 2003, n. 6275; Cass. 23 aprile 2003, n. 6432; Cass. 22 maggio 2006, n.
14106; Cass. 16 maggio 2006, n. 11360. In particolare, Cass. 22 maggio 2006, n. 11928 ha ritenuto
che il terzo pignorato sia parte necessaria di un giudizio di opposizione agli atti istaurato dal creditore
avverso il provvedimento con cui il giudice, preso atto della sua dichiarazione con cui aveva affermato di aver estinto il credito prima della notifica del pignoramento, abbia respinto l’istanza di assegnazione. Nello stesso senso più di recente: Cass. 5 marzo 2009, n. 5342.
146
Quella esaminata è la fattispecie cui si riferisce la pronuncia emessa da Cass. 22 dicembre 1987, n.
9527.
147
Cfr. tali argomenti si desumono dalle fattispecie cui si riferiscono le sentenze citate e precisamente
Cass. 26 marzo 1990, n. 2423 nonché Cass. 18 aprile 2003, n. 6275.
46
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Va da ultimo rammentato che nel caso in cui sono proposte due opposizioni
separatamente contro la stessa esecuzione da due soggetti legittimati, in quanto
condebitori solidali, i due giudizi possono essere riuniti ma danno vita a cause
scindibili, qualora nessuno degli opponenti abbia svolto domanda per ottenere che
l’accertamento sia vincolante nei rapporti interni148.
10. La legittimazione passiva e il litisconsorzio necessario
Quando venga proposta un’opposizione all’esecuzione, la legittimazione passiva spetta certamente al creditore che ha proceduto al pignoramento.
È invece discutibile se legittimati passivamente siano tutti i creditori intervenuti149 ovvero solamente quelli muniti del titolo esecutivo.
La giurisprudenza e la dottrina, prima delle recenti riforme del processo civile,
sembravano orientate nel senso di riconoscere la legittimazione passiva ai soli intervenuti titolati, quantomeno durante tutto lo svolgimento della espropriazione e
prima che si giungesse alla fase della distribuzione150.
Tale posizione era peraltro in netta antitesi con quella seguita con riguardo
all’opposizione agli atti esecutivi rispetto alla quale si ritiene debbano partecipare
tutti i creditori del procedimento esecutivo senza che rilevi il possesso o meno del
titolo nonché gli eventuali interessati151.
Questi orientamenti non sembra possano essere modificati dopo la riforma anche se la questione ha perso gran parte della sua rilevanza viste le limitazioni introdotte circa l’ammissibilità degli interventi senza titolo esecutivo.
Quando l’esecuzione si sia svolta ai danni del terzo proprietario nelle forme
previste dagli artt. 602 ss. c.p.c. e l’opposizione all’esecuzione sia stata proposta da
quest’ultimo, la legittimazione passiva, oltreché ai creditori, deve essere riconosciuta anche al debitore originario atteso che l’accertamento circa l’esistenza o meno del diritto a procedere esecutivamente non può che essere accertato anche nei
confronti di colui che è obbligato alla prestazione152.
Ed ancora, va segnalato che la giurisprudenza, ritenendo che il terzo pignorato
sia ausiliario del giudice e non parte del processo esecutivo, ha escluso che
148
Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688. La Corte di Cassazione ha chiarito che in questo caso ove le domande siano rigettate e la decisione sia stata impugnata tempestivamente da uno degli opponenti e
tardivamente dall’altro quest’ultimo non può invocare il beneficio dell’impugnazione incidentale tardiva di cui all’art. 334 c.p.c.
149
E’ pacifico che si faccia riferimento ai creditori intervenuti al momento in cui l’opposizione è instaurata, cfr. Cass. 5 settembre 2011, n, 18110.
150
In giurisprudenza Cass. 8 maggio 1991, n. 5146 con cui si afferma che la legittimazione passiva
nei giudizi di opposizione all’esecuzione spetta ai soli creditori muniti del titolo esecutivo che abbiano compiuto atti propulsivi. In dottrina, nel senso della giurisprudenza MANDRIOLI, Opposizione, cit.,
445; vedi anche OLIVIERI, L’opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2003, 245 il quale ritiene
che la legittimazione passiva una volta che sia giunta la fase della distribuzione spetta a tutti i creditori intervenuti anche non titolati. Cfr. anche Cass. 20 giugno 2011, n. 13476 che afferma la legittimazione passiva anche dei creditori non titolati nel caso in cui l’opposizione all’esecuzione miri alla declaratoria di estinzione del processo esecutivo.
151
Cass. 8 maggio 1991, n. 5146.
152
Cass. 11 maggio 1994, n. 4607; Cass. 22 marzo 2011, n. 6546; Cass. 31 agosto 2011, n. 17875;
Cass. 5 settembre 2011, n. 18113; Cass. 9 novembre 2011, n. 23284; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1192.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
47
quest’ultimo sia litisconsorte necessario nei giudizi di opposizione all’esecuzione
ovvero di opposizione agli atti esecutivi nei quali la controversia resta limitata ai
creditori ed al debitore153 anche se conserva la possibilità di intervenirvi volontariamente ai sensi dell’art. 105 c.p.c. quando vi abbia interesse154.
In tempi recenti si è, però, riconosciuta al terzo la facoltà di partecipare ai processi di opposizione all’esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi quando si
contesti la validità o la legittimità del pignoramento, e sempreché si controverta di
vicende che possano comportare la sua liberazione dal vincolo imposto con
l’intimazione155. In questa ottica può profilarsi, ad esempio, la partecipazione necessaria del terzo al giudizio nel caso in cui egli abbia pagato il debitore prima della notificazione del pignoramento ed intenda prendere parte al processo introdotto
con l’opposizione agli atti esecutivi, dal creditore procedente che abbia impugnato
l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione ha respinto l’ordinanza di assegnazione. In siffatta ipotesi, invero, egli avrebbe la possibilità di difendere l’atto giudiziale evitando di pagare una seconda volta il creditore del proprio debitore156.
In applicazione dei medesimi principi, il terzo è comunque litisconsorte necessario del giudizio introdotto ex art. 617 c.p.c. avverso ogni provvedimento con cui
sia dichiarata l’inefficacia del pignoramento, atteso che la conferma del predetto
atto incide sull’esistenza o meno del suo obbligo157.
Va infine evidenziato che se l’opposizione all’esecuzione è proposta da uno
solo dei condebitori in solido, non è necessaria, conformemente alla struttura giuridica della obbligazione solidale, la partecipazione al giudizio degli altri condebitori
in solido158.
In generale e per completezza va rammentato che quando venga proposta
un’opposizione all’esecuzione e non siano stati citati in giudizio tutti i soggetti cui
spetta la legittimazione passiva e che debbono ritenersi litisconsorti necessari del
processo, occorre disporre l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti ai
sensi dell’art. 102 c.p.c.. La sentenza emessa a contraddittorio non integro è, infatti,
inutiliter data159.
153
Cfr. Cass. 13 gennaio 1983, n. 249; Cass. 29 novembre 1996, n. 10650; Cass. 1 febbraio 1988, n.
905 nonché Cass. 19 maggio 2009, n. 11585.
154
Cfr. Cass. 4 dicembre 1981, n. 6431; Cass. 13 gennaio 1983, n. 249 nonché Cass. 5 marzo 2009, n.
5342.
155
Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527; 1 febbraio 1988, n. 905; Cass. 26 marzo 1990, n. 2423; 1 ottobre
1997, n. 9571; Cass. 18 aprile 2003, n. 6275; Cass. 23 aprile 2003, n. 6432; Cass. 22 maggio 2006, n.
14106; Cass. 16 maggio 2006, n. 11360. In particolare, Cass. 22 maggio 2006, n. 11928 ha ritenuto
che il terzo pignorato sia parte necessaria di un giudizio di opposizione agli atti istaurato dal creditore
avverso il provvedimento con cui il giudice, preso atto della sua dichiarazione con cui aveva affermato di aver estinto il credito prima della notifica del pignoramento, abbia respinto l’istanza di assegnazione. Nello stesso senso più di recente: Cass. 5 marzo 2009, n. 5342.
156
Quella esaminata è la fattispecie cui si riferisce la pronuncia emessa da Cass. 22 dicembre 1987, n.
9527.
157
Cfr. tali argomenti si desumono dalle fattispecie cui si riferiscono le sentenze citate e precisamente
Cass. 26 marzo 1990, n. 2423 nonché Cass. 18 aprile 2003, n. 6275.
158
Cass. 25 ottobre 1993, n. 10591.
159
Cass. 9 novembre 2011, n. 23284; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1192 secondo cui la mancata partecipazione al processo di un litisconsorte necessario può essere rilevata anche di ufficio, in ogni stato e
48
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
11. L’interesse ad agire
Al pari che negli altri giudizi di cognizione ordinaria anche nel caso di opposizione all’esecuzione va verificata la sussistenza dei presupposti processuali e delle
condizioni dell’azione.
In ossequio ai principi generali, l’interesse ad agire anche nell’opposizione
all’esecuzione deve essere concreto ed attuale e può ritenersi sussistente in tutti i
casi in cui si ravvisi l’esigenza per l’opponente di conseguire un risultato giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice.
Il processo, quindi, non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e
concreto che essa intenda in tal modo perseguire160.
Con riguardo a tale profilo ad esempio è carente di interesse ad agire il debitore nel caso in cui abbia alienato il bene prima del pignoramento161. Non è, invece,
carente di interesse ad agire il debitore anche quando il processo esecutivo si sia
estinto, semprechè si sia contestato il diritto a procedere ad esecuzione forzata in
rapporto alla esistenza o del titolo esecutivo o del credito162 poiché l’esecuzione potrebbe essere nuovamente intrapresa.
12. Il termine iniziale ed il termine finale per la proposizione dell’opposizione
all’esecuzione e la distinzione tra opposizione preventiva e successiva
12.1. Il dies a quo: la notificazione del precetto
Dalla formulazione dell’art. 615 co. 1 c.p.c. emerge che l’opposizione
all’esecuzione può essere proposta solo a decorrere dalla notificazione dell’atto di
precetto.
Tale notificazione preannuncia l’avvio del processo esecutivo mentre non assolve ad una funzione analoga la notificazione del titolo in forma esecutiva163.
grado del processo, ed impone la declaratoria di nullità della pronuncia con rimessione al primo giudice.
160
In tal senso, di recente, Cass. 28 giugno 2010 in materia di opposizione agli atti esecutivi
(“L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la
parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile
senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che
essa intenda in tal modo perseguire”)
161
Cass. 15 marzo 2006, n. 5684.
162
Cass. 16 novembre 2005, n. 23084; Cass. 22 marzo 2011, n. 6546.
163
In questo senso VACCARELLA, op. cit., 261; CASTORO, op. cit., 787.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
49
12.2. Il dies ad quem: la conclusione del procedimento esecutivo ovvero
l’introduzione della fase distributiva
L’opposizione all’esecuzione può essere proposta dalla notificazione dell’atto
di precetto e, nel caso in cui il processo esecutivo venga promosso, durante il corso
del procedimento sino alla sua conclusione.
La dottrina ha rilevato che, nel caso delle esecuzioni dirette o in forma specifica, lo spazio temporale che intercorre tra il momento dell’avvio e quello della conclusione del procedimento è così ravvicinato da rendere anche dubbia la concreta
proponibilità del rimedio in esame. Sembra quindi potersi affermare che l’opposizione all’esecuzione è esperibile solo quando vi sia uno spazio tra l’inizio e la fine
del processo164.
Il discorso è invece più complesso per quanto riguarda l’espropriazione forzata
perché il processo di regola si articola in due fasi successive delle quali, la prima
liquidativa, e la seconda distributiva. Riguardo a tale ultimo processo la dottrina e
la giurisprudenza concordano sul fatto che l’opposizione all’esecuzione sia esperibile anche dopo la vendita o l’assegnazione sempreché si debba far luogo alla ripartizione tra i creditori del ricavato della vendita165 e dunque ad una distribuzione
in senso proprio. È appena il caso di rilevare, infatti, che l’unico rimedio esperibile
resta quello dell’opposizione all’esecuzione quando l’espropriazione si sia svolta
nell’interesse di un unico creditore a favore del quale deve essere operata
l’attribuzione delle somme disponibili166.
Il principio secondo cui l’opposizione all’esecuzione è proponibile anche nella
fase distributiva subisce una deroga solo apparente quando il processo si sia svolto
nelle forme della espropriazione presso terzi e si sia concluso con un’ordinanza di
assegnazione del credito. La giurisprudenza afferma che in tale ipotesi l’opposizione all’esecuzione è proponibile solo fino alla adozione della ordinanza di assegnazione167, ma ciò si giustifica considerando che tale ultimo provvedimento pone
fine all’esecuzione in quanto realizza nel contempo il trasferimento del credito e la
distribuzione tra i creditori concorrenti168.
Quando il processo espropriativo preveda lo svolgimento di una fase di distribuzione (e cioè se vi siano più creditori concorrenti e non debba procedersi alla assegnazione del credito), secondo la giurisprudenza consolidatasi prima della riforma del processo esecutivo, sarebbe astrattamente configurabile un concorso tra
l’opposizione all’esecuzione e la controversia distributiva prevista dall’art. 512
164
MANDRIOLI, Opposizione, cit., 445; VACCARELLA, op. cit., 262.
MANDRIOLI, Opposizione, cit., 445; VACCARELLA, op. cit.,, 262.
166
Cass. 23 giugno 1972, n. 2114.
167
Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507.
168
Posto che l’ordinanza di assegnazione chiude il processo, le contestazioni che avrebbero potuto
essere proposte in precedenza con l’opposizione all’esecuzione non possono legittimare
l’impugnazione della ordinanza di assegnazione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.. Quest’ultimo rimedio è
infatti proponibile solo per far valere vizi propri dell’atto ovvero nel caso residuale in cui la ordinanza
di assegnazione abbia un contenuto decisorio poiché è stata emessa dal giudice dell’esecuzione nonostante il debitore avesse dedotto la impignorabilità del credito assegnando e dunque sulla base di un
rigetto implicito o esplicito della contestazione sulla pignorabilità dei beni.
165
50
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
c.p.c. che vengono configurati come rimedi processuali alternativi; la differenza tra
i due tipi di opposizione riguarda l’oggetto delle contestazioni che, per
l’opposizione ex art. 615 c.p.c. è il diritto a procedere all’esecuzione forzata, mentre, per l’opposizione “distributiva”, è il diritto dei creditori di partecipare alla distribuzione dell’attivo169.
La riforma del 2006 ha, tuttavia, mutato il quadro di riferimento avendo profondamente modificato la controversia distributiva.
Vigenti le norme introdotte dalla legge n. 52 del 2006 ma prima dell’ulteriore
novella del 2009 sembrava prevalente l’orientamento secondo cui la nuova controversia distributiva, nonostante la “sommarizzazione” del rito, potesse dar luogo ad
un incidente cognitivo idoneo a fare stato sulla sussistenza dei diritti170. Tale conclusione si fondava soprattutto sul fatto che la legge n. 52 del 2006 aveva uniformato il regime di impugnazione delle sentenze rese sulle opposizioni esecutive
qualificandole tutte come inimpugnabili.
La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha, tuttavia, novellato l’art. 616 c.p.c. ripristinando, per le sentenze rese a definizione dei giudizi di opposizione alla esecuzione
e di terzo all’esecuzione, il regime impugnatorio ordinario. Tali sentenze sono oggi
appellabili e soggette a ricorso per cassazione, a differenza di quelle emesse in relazione alle cause introdotte ai sensi dell’art. 617 c.p.c., che restano inimpugnabili.
In questo modo è venuta meno la equiparazione normativa tra la disciplina
dell’opposizione all’esecuzione e la disciplina della opposizione agli atti esecutivi e
si è ripristinata la distinzione funzionale tra i due rimedi, il primo finalizzato ad
un accertamento, con efficacia di giudicato, sulla esistenza o la misura dei crediti, il
secondo finalizzato ad un accertamento sulla regolarità degli atti del procedimento
esecutivo.
Questa modifica porta ora a preferire l’interpretazione che attribuisce anche alla opposizione prevista dal combinato disposto degli artt. 512 e 617 c.p.c. una valenza endoprocessuale.
Non sembra, infatti, che un giudizio, come quello previsto da tali norme, che si
conclude con sentenza inimpugnabile, possa essere in tutto equiparato alla opposizione alla esecuzione (definita con pronuncia appellabile) e ritenuto conseguentemente idoneo ad accertare, con efficacia generale, l’an e il quantum dei crediti.
Pare, dunque, preferibile la tesi secondo cui la controversia distributiva, nel
caso in cui l’ordinanza del giudice dell’esecuzione venga impugnata con
l’opposizione agli atti, si concluda con una sentenza che produce effetti esclusivamente endoprocedimentali, nel senso che incide sulla distribuzione delle somme
169
Cass. 23 aprile 2001, n. 5961 con cui si afferma che “nella fase di distribuzione quando non si discute più dell’ an exequandum, ma soltanto sulla esistenza e sulla entità dei crediti, al fine di regolare
il concorso ed allo scopo eventuale del debitore di ottenere il residuo della somma ricavata (art. 510
co. 3 c.p.c.), è di tutta evidenza che l’opposizione proposta – che in dottrina si dice, in felice sintesi,
ordinata ormai alla legge del credito e non alla legge del titolo – è quella di cui alla norma dell’art.
512 c.p.c..”
170
Così in SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2008, 408 (1° edizione).
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
51
così come operata nel singolo procedimento esecutivo, ma non accerta, con efficacia di giudicato, la esistenza o la misura dei crediti171.
Ma, se si muove dalla premessa che l’opposizione distributiva ha ad oggetto il
cosiddetto diritto al concorso e viene definita con sentenza avente efficacia solo
endoprocedimentale, appare ragionevole ritenere che la opposizione alla esecuzione, idonea a far stato sulla sussistenza delle pretese sostanziali dei creditori con efficacia extraprocedimentale, costituisca ancora oggi un rimedio concorrente con
quello previsto dall’art. 512 c.p.c.. Non può, infatti, negarsi al soggetto che vi abbia
interesse il diritto a contestare la sussistenza e l’ammontare dei crediti nella fase
distributiva utilizzando il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c. al fine di ottenere la
emissione di una sentenza che sia idonea a determinare, anche al di fuori del procedimento esecutivo in cui si inserisce, i diritti delle parti.
13. L’oggetto del giudizio di opposizione ed il suo possibile ampliamento
13.1. Premessa
Il thema decidendum dell’opposizione all’esecuzione è delimitato dal petitum,
che di regola si traduce nella domanda di accertamento della insussistenza (totale o
parziale172) del diritto del creditore a procedere esecutivamente, nonché dalla causa
petendi consistente nella esplicitazione delle ragioni della domanda ovvero dei motivi sulla base dei quali si contesta l’esercizio dell’azione esecutiva173.
171
In senso contrario all’opinione favorita nel testo, di recente, FABIANI, Le controversie distributive.
L’oggetto del procedimento e l’impugnazione dell’ordinanza del giudice, in Riv. esec. forz., 2010,
575 ss.. L’Autore afferma che il problema si pone esclusivamente quando, in virtù delle contestazioni
svolte in fase distributiva, venga contestata l’esistenza o la misura dei crediti. Solo in quest’ultima
ipotesi, invero, diviene rilevante se la decisione della controversia possa ritenersi idonea a fare stato
nei rapporti tra le parti o, se, al contrario, abbia incidenza esclusivamente sulla redazione del piano di
riparto predisposto nel processo in seno al quale debba farsi luogo alla distribuzione tanto da poter
essere messa in discussione in altra sede. Diversamente, nessun problema pongono le contestazioni
concernenti l’accantonamento o i criteri di graduazione dei crediti atteso che, in tali diverse fattispecie, l’incidenza della decisione è inevitabilmente circoscritta al processo esecutivo in corso. Muovendo da questa premessa e definito l’ambito di rilevanza della questione, l’Autore giunge alla conclusione che la controversia distributiva, anche a seguito delle novelle del 2006 e del 2009, è definita con
una decisione idonea a far stato tra le parti circa l’esistenza o la misura dei crediti. A tale proposito
egli sostiene che l’ordinanza risolutiva della controversia ex art. 512 c.p.c. si atteggia a provvedimento sommario idoneo a divenire irrevocabile, quando non opposto, alla stessa stregua di un decreto ingiuntivo non opposto; che, in ogni caso, anche la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. avverso detta ordinanza è in tutto equivalente a quella resa all’esito di un giudizio impugnatorio talché è
idonea al giudicato sui diritti.
172
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte affermato (da ultimo Cass. 29 febbraio
2008, n. 5515) che l'eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l'intero ma
ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l'intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell'opposizione in ordine alla quantità
del credito.
173
In tal senso Cass. 20 gennaio 2011, n. 1328 che, muovendo dalla prospettazione secondo cui ciascuna contestazione introduce una diversa causa petendi, sostiene che non è possibile, nel corso del
52
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Alla luce delle osservazioni che precedono può dunque affermarsi che il giudizio instaurato ai sensi dell’art. 615 c.p.c. ha un oggetto sostanzialmente predefinito
perché modulabile solo attraverso il contenuto della contestazione sul diritto del
creditore procedente.
Va però evidenziato che la giurisprudenza in più occasioni ha ammesso
l’estensione dell’oggetto dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c., ad istanza
sia dell’opposto che dell’opponente, ed ha riconosciuto al giudice investito della
decisione un potere di rilievo officioso negli stessi casi in cui un potere di contenuto analogo viene riconosciuto al giudice dell’esecuzione.
Nel prosieguo si procederà ad illustrare gli orientamenti assunti sul punto dalla
giurisprudenza consolidatasi prima delle recenti riforme sul processo.
13.2. L’ammissibilità della domanda riconvenzionale del convenuto
La giurisprudenza di legittimità ha ammesso che il creditore opposto (convenuto in giudizio) possa proporre una domanda riconvenzionale, senza che rilevi il
fatto che l’opposizione all’esecuzione sia stata proposta in via preventiva o successiva.
Bisogna tuttavia chiarire che non vi è una domanda riconvenzionale se il creditore opposto chieda l’accertamento dei fatti negati dall’opponente e diretti a dimostrare la validità del titolo esecutivo in forza del quale ha esercitato l’azione174, ma
solamente se il creditore opposto chieda la condanna del debitore opponente per un
titolo diverso che si aggiunga al primo e consenta di proseguire l’esecuzione già
intrapresa anche per la soddisfazione di altro credito175, o per un titolo diverso che
si sostituisca a quello già azionato e ritenuto inidoneo, sì da poter intraprendere
un’esecuzione diversa da quella originariamente avviata176.
In particolare, si è ritenuto che, nel caso in cui l’opponente lamenti
l’illegittimità dell’esecuzione fondata su un decreto ingiuntivo inesistente perché
mai notificato, l’opposto possa richiedere in via riconvenzionale la condanna del
debitore per la medesima somma portata dal decreto ingiuntivo177. Nello stesso
modo ove l’esecuzione sia stata intrapresa in forza di titolo di credito ed il debitore
giudizio di opposizione all’esecuzione, prospettare nuove contestazioni poiché, diversamente opinando, si giungerebbe ad ammettere la proponibilità di domande nuove come tali inammissibili alla luce
dell’attuale codice di rito.
174
Cass. 13 settembre 1997, n. 9081. Così anche Cass. 20 marzo 2012, n. 4380 secondo cui non è necessario proporre una domanda riconvenzionale laddove l’opponente si limita a contrastare
l’opposizione dell’opponente prospettando le ragioni che giustificano l’esercizio dell’azione esecutiva
( nella fattispecie esaminata il creditore aveva agito esecutivamente in danno di un soggetto sul presupposto che questi fosse socio di fatto della società debitrice; dinanzi alla opposizione proposta dal
debitore, che negava la qualità di socio di fatto affermando di essere stato mero collaboratore della
debitrice, la società opposta si era costituita svolgendo domanda riconvenzionale ma di fatto prospettando fatti idonei a definire la portata soggettiva del titolo esecutivo).
175
Cass. 14 febbraio 1996, n. 1107.
176
Cass. 14 febbraio 1996, n. 1107; Cass. 29 marzo 2006, n. 7225; Cass. 20 aprile 2007 n. 9494;
Cass. 20 marzo 2012, n. 4380 nonché Cass. 31 luglio 2012, n. 13679.
177
Cass. 2 aprile 1980, n. 2140; .
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
53
abbia validamente eccepito l’improponibilità dell’azione cambiaria (ad esempio per
prescrizione), il creditore potrebbe far valere il credito sottostante e chiedere in via
riconvenzionale la condanna dell’opponente al pagamento della somma per la quale il titolo di credito era stato emesso178.
Va però precisato che nei due casi illustrati la formazione del secondo titolo
esecutivo, in accoglimento della domanda riconvenzionale, non impedisce la dichiarazione di illegittimità della prima esecuzione anche se consente l’avvio di un
diverso processo sulla base del titolo costituito dalla sentenza di accoglimento della
domanda riconvenzionale.
Secondo la giurisprudenza, peraltro, la domanda riconvenzionale potrebbe anche essere limitata ad un accertamento prodromico alla formazione di altro titolo
esecutivo da richiedere in diversa sede. Ove il debitore opponente abbia contestato
il diritto del creditore ad agire nei suoi confronti eccependo un difetto di legittimazione passiva, si è, infatti, ammesso che il creditore possa chiedere di accertare che
il rapporto tra debitore ed opponente dà luogo, se non a legittimazione passiva rispetto all’azione esecutiva, quantomeno ad un’obbligazione verso la parte istante in
vista di una possibile futura condanna179. Da tale orientamento, inteso nel suo complesso, può dunque dedursi che la domanda riconvenzionale è ammissibile anche
nel giudizio di opposizione all’esecuzione, nei termini e nei limiti previsti dall’art.
36 c.p.c., in tutti i casi in cui essa dipenda dal titolo dedotto in giudizio
dall’attore180.
Per completezza, giova precisare che secondo la giurisprudenza più risalente,
la causa di opposizione all’esecuzione non sarebbe soggetta alla sospensione feriale
anche quando l’opposto abbia proposto domanda riconvenzionale181; in tempi recenti la Suprema Corte, modificando il precedente orientamento, ha, però, ritenuto
che la causa di opposizione all’esecuzione nel corso della quale sia stata proposta
una domanda riconvenzionale con la quale sia stata chiesta la pronuncia di una
condanna che tenga luogo del titolo esecutivo ritenuto illegittimo, resta soggetta
alla sospensione feriale dei termini allorchè l’opposizione sia stata rigettata e la
domanda riconvenzionale (il cui esame era subordinato alla accertata illegittimità
dell’azione esecutiva) non sia stata esaminata182.
13.3. L’ammissibilità del cumulo di domande dell’opponente
La giurisprudenza con alcune pronunce risalenti ha riconosciuto all’opponente
la facoltà di ampliare l’oggetto del giudizio di opposizione con la proposizione di
domande che esulano dalla contestazione inerente la esistenza e la validità del titolo esecutivo a condizione che la controparte accetti il contraddittorio su tali nuove
domande. In particolare, con una prima pronuncia, la Suprema Corte ha ritenuto
178
Cass. 26 marzo 1975, n. 1150.
Cass. 17 marzo 1995, n. 3118.
180
In tal senso VIGORITO, op. cit., 19.
181
Così Cass. 19 gennaio 1977, n. 258.
182
Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688.
179
54
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
che l’opponente, proposta un’opposizione all’esecuzione per eccepire l’estinzione
del credito posto a fondamento del processo esecutivo per compensazione con un
proprio controcredito di misura superiore, potesse chiedere la condanna
dell’opposto al pagamento a suo favore della differenza183, consentendo tuttavia
all’opposto di rifiutare il contraddittorio sull’ulteriore domanda.
Tale orientamento è stato ribadito in tempi recenti in una fattispecie analoga a
quella illustrata (opposizione del debitore fondata su un’eccezione di compensazione con contestuale domanda di condanna dell’opposto al pagamento in suo favore della differenza) 184; con questa seconda pronuncia la Corte di Cassazione ha
confermato che l’ampliamento dell’oggetto del giudizio a cura dell’opponente è
ammissibile senza far più cenno alla necessità dell’accettazione del contraddittorio
da parte del convenuto.
Quest’ultima ultima sentenza sembra del tutto in linea con i principi ispiratori
del codice di rito che sottrae alla disponibilità delle parti e rimette alla valutazione
officiosa del giudice ogni questione sulla ammissibilità delle domande.
Alla luce dei principi di economia processuale, sembra potersi ritenere che
l’opponente abbia la facoltà di proporre un’opposizione all’esecuzione ed altra domanda a questa connessa ovvero più domande, in applicazione del criterio del cumulo sancito dall’art. 104 c.p.c., salva, in quest’ultimo caso, la possibilità di disporre la separazione delle cause se lo svolgimento contestuale di esse renda concreto il pericolo di ritardare la definizione dell’opposizione all’esecuzione185.
13.4. La domanda di restituzione di quanto illegittimamente riscosso in base al titolo esecutivo
Si discute sulla proponibilità nel giudizio di opposizione all’esecuzione della
domanda alla restituzione di quanto illegittimamente riscosso nel corso di
un’esecuzione promossa in forza di titolo esecutivo caducato per fatto sopravvenuto.
È noto che con riferimento ai titoli di formazione giudiziale la domanda restitutoria possa e debba essere preferibilmente proposta nel corso del giudizio di cognizione, in primo grado, in appello186 o in sede di rinvio187, senza la necessità di
rispettare i limiti preclusivi dettati in punto di domande nuove e fino alla udienza di
precisazione delle conclusioni.
Resta però da stabilire cosa accada se non sia stato possibile avanzare la domanda restitutoria nella sede di merito. È certo che in un’ipotesi siffatta essa possa
183
Cass. 20 aprile 1963, n. 971; Cass. 19 marzo 1979, n. 1602, in Foro it., 1979, I, 2905 con nota critica di PROTO PISANI.
184
Cass. 23 luglio 2003, n. 1449.
185
Nel senso della ammissibilità del cumulo di domande previsto dall’art. 104 c.p.c. si è espressa la
giurisprudenza di merito. cfr. Trib. Ragusa, 11 marzo 1982, in CED merito, PD 254783.
186
Cass. 16 giugno 1998, n. 6002; Cass. 24 maggio 2004, n. 9917; Cass. 3 ottobre 2005, n. 19299
187
Cass. 3 agosto 2002, n. 11650; Trib. Roma, 28 giugno 2001, in Giur. rom., 2002, 156; Trib. Milano 22 maggio 2001 in Riv. crit. dir. lav., 2001, 929 con nota di MARTINA.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
55
essere avanzata in via autonoma188, ma alla luce della giurisprudenza più recente189,
e secondo il parere espresso dalla dottrina190, può essere proposta anche nel giudizio di opposizione all’esecuzione.
13.5. L’ammissibilità dei poteri officiosi del giudice dell’opposizione
Si è già evidenziato che, secondo parte della giurisprudenza, il giudice dell’opposizione può decidere la causa di opposizione all’esecuzione anche per motivi
diversi da quelli che costituiscono le ragioni della domanda formulata dall’opponente, sempreché tale rilievo officioso sia esercitato nei limiti in cui esso viene
consentito al giudice dell’esecuzione.
In particolare, è stato affermato che, qualunque sia il tenore delle contestazioni
svolte con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., il giudice potrebbe accogliere la domanda e dichiarare l’insussistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente
rilevando di ufficio la mancanza del titolo esecutivo la cui presenza costituisce una
condizione necessaria per l’esercizio dell’azione191. Ma si registra anche un orientamento di segno contrario secondo cui, in ossequio al principio della domanda,
l’opponente nel corso del giudizio non potrebbe proporre eccezioni diverse da
quelle originariamente prospettate (a meno che esse non costituiscano lo svolgimento delle prospettazioni iniziali) né il giudice avrebbe la possibilità di accogliere
l’opposizione per motivi diversi da quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili di ufficio192.
Traendo spunto da quanto esposto può conclusivamente affermarsi che se, come si propende, si presta adesione al primo dei due orientamenti esposti deve addivenirsi alla conclusione che l’oggetto del giudizio può ampliarsi, di fatto, anche attraverso l’esercizio dei poteri officiosi del giudice.
14. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione e gli altri giudizi
14.1. Il rapporto con il giudizio di merito avente ad oggetto il titolo esecutivo giudiziale
188
Cass. 3 ottobre 2005, n. 19296.
In senso positivo e cioè per la ammissibilità della domanda restitutoria nel giudizio di opposizione
all’esecuzione si era espressa Cass. 19 ottobre 1966, n. 2558 con riferimento ad una fattispecie di contemporanea pendenza di una opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e di un
giudizio di opposizione ad un’ esecuzione intrapresa sulla base di quest’ultimo; in senso negativo si è
poi espressa Cass. 20 settembre 2002, n. 13757, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 878 con nota di
MARZOLINI. Da ultimo, nel senso della ammissibilità Cass. 25 giugno 2003, n. 10132 nonché Cass. 24
febbraio 2011, n. 4505.
190
ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 251 – 252.
191
Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337. Nella fattispecie esaminata il titolo esecutivo era costituito da un
assegno privo di data che dunque non aveva la valenza di titolo esecutivo.
192
Cass. 7 marzo 2003, n. 3477. Nello stesso senso Cass. 7 marzo 2002, n. 3316.
189
56
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
La giurisprudenza con varie pronunce ha escluso la litispendenza tra il giudizio
di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva ed il giudizio di appello pendente avverso la sentenza di primo grado su cui si fonda il precetto, ovvero in forza
della quale è stato promosso il processo esecutivo, poiché con il rimedio di cui
all’art. 615 c.p.c. non si pone (né può porsi)193 in discussione l’esattezza del titolo
giudiziale194.
La medesima soluzione è stata fornita con riguardo ai rapporti tra il giudizio di
opposizione all’esecuzione e quello di opposizione al decreto ingiuntivo195.
Tra il giudizio di merito sul titolo giudiziale e quello di opposizione all’esecuzione non sussiste neppure un rapporto di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.196.
14.2. Il rapporto con il giudizio di opposizione agli atti esecutivi
Non sussiste litispendenza neppure nei rapporti tra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi perché fra le due cause non esiste una identità di petitum e di causa petendi197.
Non è però escluso che con uno stesso atto introduttivo possano essere contestualmente proposte una domanda di opposizione all’esecuzione ed una domanda
di opposizione agli atti esecutivi198. In una ipotesi siffatta restano però fermi gli ordinari criteri di competenza, atteso che per l’opposizione all’esecuzione vige il
principio della competenza per valore, mentre la decisione dell’opposizione agli
atti esecutivi spetta sempre al Tribunale.
La giurisprudenza ha chiarito che, qualora vi sia un cumulo soggettivo tra una
opposizione agli atti esecutivi, di competenza “ratione materiae” del Tribunale ed
una opposizione all’esecuzione di competenza, “ratione valoris” del giudice di pace, sussiste la competenza del Tribunale su tutte le domande, in applicazione
dell’art. 10 co. 2 e dell’art. 104 c.p.c., sempreché l’ufficio del giudice di pace competente per valore ricada nel circondario del Tribunale del giudice
dell’esecuzione199.
In ogni caso, qualora si sia operato il cumulo di domande tra opposizione
all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, occorre che il giudice si pronunci
su entrambe.
193
L’opposizione all’esecuzione con cui si lamenti la esattezza del titolo giudiziale va rigettata, perché inammissibile, poiché è precluso al giudice investito della decisione di compiere un accertamento
su questioni il cui esame è riservato alle sedi di merito.
194
Cass. 22 gennaio 1994, n. 619; Cass. 3 settembre 2005, n. 17743.
195
Cass. 16 aprile 1999, n. 3792.
196
In tal senso Cass. 5 agosto 2005, n. 16601 e Cass. 13 giugno 2008 n. 15909 che escludono espressamente il rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di merito sul titolo giudiziale e quello di opposizione all’esecuzione; nello stesso senso Cass. 24 maggio 2002, n. 7631 e di recente Cass. 4 agosto
2011 n. 16998 che precisa l’insussistenza del rapporto di pregiudizialità anche nel caso di impugnazione della sentenza che costituisce titolo esecutivo. In senso contrario, e cioè per la sussistenza della
pregiudizialità, cfr. Cass. 13 marzo 1978, 1244.
197
Cass. 9 aprile 2001, n. 5273.
198
Cass. 19 aprile 1982, n. 2438; Cass. 18 aprile 2001, n. 5685.
199
Cass. 13 luglio 2010, n. 16355; Cass. 6 maggio 2011, n. 9988.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
57
La giurisprudenza ha chiarito che, qualora vi sia un cumulo soggettivo tra una
opposizione agli atti esecutivi, di competenza “ratione materiae” del Tribunale ed
una opposizione all’esecuzione di competenza, “ratione valoris” del giudice di pace, sussiste la competenza del Tribunale su tutte le domande, in applicazione
dell’art. 10 co. 2 e dell’art. 104 c.p.c., sempreché l’ufficio del giudice di pace competente per valore ricada nel circondario del Tribunale del giudice
dell’esecuzione200.
Questo principio non si applica nel caso in cui anche la competenza del giudice di pace sia determinata dalla materia; in tal caso i giudizi debbono essere separati201.
L’accoglimento dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. o in alternativa l’accoglimento dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. non consente al giudice di ritenere assorbita l’altra domanda sulla quale occorre, invece, che emetta una specifica pronuncia202.
14 bis. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione ed il processo
esecutivo
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza203 l’estinzione del
processo esecutivo, disposta quando sia già pendente il giudizio di opposizione
all’esecuzione, non consente di ritenere cessata la materia del contendere poiché
l’interesse alla decisione circa la sussistenza del diritto del creditore ad agire esecutivamente in forza del titolo esecutivo da questi azionato nei confronti del debitore
opponente permane. Più precisamente, il debitore opponente ha interesse a conseguire una decisione che accerti se l’eventuale futuro esercizio dell’azione esecutiva
sia o meno legittimo.
Per contro, l’estinzione del processo esecutivo comporta la cessazione della
materia del contendere in relazione alla opposizione agli atti esecutivi atteso che
viene meno l’interesse alla decisione circa la regolarità formale di atti esecutivi divenuti inefficaci.
15. La decisione dell’opposizione all’esecuzione
15.1. La natura della decisione
Il giudizio di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva si conclude
con una sentenza.
200
Cass. 13 luglio 2010, n. 16355; Cass. 6 maggio 2011, n. 9988.
201
Cass. 21 marzo 2011, n. 6463.
202
Cass. 28 aprile 1971, n. 1253; Cass. 2 marzo 1976, n. 690; Cass. 5 febbraio 1973, n. 366.
203
Cass. 16 novembre 2005, n. 23084 nonché Cass. 22 marzo 2011, n. 6546.
58
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Poiché i due tipi di opposizione hanno analogo oggetto la decisione ha un analogo contenuto minimo costituito dall’accertamento circa l’esistenza o l’inesistenza
del diritto del creditore a procedere esecutivamente.
Essa potrebbe tuttavia recare anche statuizioni ulteriori e cioè dichiarare
l’inefficacia degli atti esecutivi posti in essere, ad esempio, in difetto di titolo esecutivo ovvero imporre al giudice dell’esecuzione, se questa è ancora in corso, di
rimuovere ex tunc con suoi provvedimenti l’efficacia degli atti che abbiano leso i
diritti o intaccato il patrimonio di chi ha subito l’esecuzione, salvo che quest’ultima
non abbia fatto sorgere diritti irreversibili di terzi204.
In dottrina, vi è stato un contrasto interpretativo sulla natura della sentenza
emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c. Alcuni autori sostengono che l’opposizione
all’esecuzione costituisca una azione di accertamento negativo circa la esistenza
del diritto205 mentre altri affermano che la azione e la decisione avrebbero natura
costitutiva 206.
Si è già rammentato come la giurisprudenza abbia ritenuto dirimente ai fini
della individuazione del mezzo di gravame esperibile avverso la sentenza che decide una opposizione esecutiva, la qualificazione della azione compiuta dal giudice
di primo grado.
Tale orientamento, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 26 febbraio
2006 n. 52, aveva perso gran parte della sua attualità atteso che non solo le sentenze che definiscono i giudizi di opposizione agli atti esecutivi, ma anche quelle emesse in relazione ai giudizi di opposizione all’esecuzione, ovvero di terzo
all’esecuzione erano espressamente dichiarate non impugnabili.
A seguito della riforma del 2009, che ha riformulato l’art. 616 c.p.c., la sentenza che definisce l’opposizione all’esecuzione o l’opposizione di terzo all’esecuzione è soggetta ad appello mentre resta inimpugnabile la sola pronuncia emessa in
relazione alla opposizione prevista dall’art. 617 c.p.c..
Oggi torna, dunque, ad essere rilevante l’orientamento di cui si è detto che, ai
fini della individuazione del mezzo di gravame, attribuisce rilievo alla qualificazione dell’azione compiuta dal giudice di primo grado.
15.2. Il contenuto della decisione e l’estensione del giudicato
I motivi per i quali è possibile contestare l’“an” dell’esecuzione sono molteplici tanto che nel procedere alla loro illustrazione si è operata una classificazione
per categorie. Il contenuto della decisione sull’opposizione ex art. 615 c.p.c. può, di
conseguenza, essere molto vario e presentare diverse articolazioni che astrattamente incidono sulla estensione del giudicato.
204
ORIANI, Opposizione all’esecuzione, cit., 606.
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 337; MANDRIOLI, Opposizione, cit.,
439; ID., L’azione esecutiva, Milano, 1955, 419; CASTORO, op. cit., 2006, 779; PUNZI, Il processo civile (sistema e problematiche), Torino, 2008, 243.
206
LIEBMAN, op. cit., 188; GARBAGNATI, op. cit., 1070.
205
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
59
La dottrina ha sottolineato che, nei casi in cui l’opposizione all’esecuzione sia
fondata sulla contestazione del difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo essa ha ad oggetto, non la esistenza del diritto di credito, ma situazioni di tipo
processuale207. In ipotesi siffatte, dunque, il giudicato ha ad oggetto una vicenda di
tipo formale che conduce alla affermazione della inesistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente in forza di quel titolo ma non coinvolge la pretesa
sostanziale.
Diverso è invece il caso in cui si utilizzi il rimedio oppositivo previsto dall’art.
615 c.p.c. per contestare la esistenza del diritto che trova evidenza nel titolo esecutivo (giudiziale, ma soprattutto stragiudiziale). Si rammenta, infatti, che colui che
subisce l’esecuzione ha la facoltà di dolersi dell’illegittimo esercizio dell’azione
esecutiva deducendo che la pretesa fatta valere dal creditore è venuta meno per il
verificarsi di fatti modificativi ed estintivi del rapporto sostanziale208. Appare di
tutta evidenza che nell’ipotesi da ultimo esaminata l’opposizione all’esecuzione ha
ad oggetto la esistenza attuale del diritto.
Occorre, quindi, interrogarsi sulla estensione dell’indagine compiuta dal giudice investito del giudizio e sulla conseguente portata del giudicato. È di centrale importanza stabilire se la delibazione circa la legittimità o meno dell’esercizio
dell’azione esecutiva presupponga anche il pregiudiziale accertamento di merito
sulla sussistenza del diritto di credito.
La dottrina su tale punto è divisa. Taluni interpreti sostengono che la sentenza
emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c., nei casi che quivi si stanno esaminando, reca un
accertamento pieno sul rapporto sostanziale soprattutto quando l’azione sia fondata
su un titolo esecutivo di tipo stragiudiziale, atteso che in ipotesi siffatta il giudizio
oppositivo assume la portata di un processo a cognizione piena sul diritto soggettivo controverso209. Muovendo da questa ottica era, quindi, apparsa del tutto ingiustificata la scelta operata dal legislatore del 2006 di rendere non impugnabili le decisioni pronunciate ai sensi dell’art. 615 c.p.c.210.
207
Le ipotesi di inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale
attengono all’esistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione esecutiva tanto che si è osservato
come esse possano essere rilevate con il rimedio oppositivo previsto dall’art. 615 c.p.c., ma anche di
ufficio dal giudice. Si tratta per meglio intenderci di situazioni che incidono sulla esercitabilità
dell’azione esecutiva per motivi di carattere formale e non sostanziale. Basti pensare che accertare la
inesistenza del diritto a procedere esecutivamente del creditore perché l’atto pubblico non è rogato da
un pubblico ufficiale ovvero perché la sentenza non è sottoscritta dal giudice ed è perciò inesistente,
non vale ad escludere il rapporto sostanziale tra le parti che può e deve essere accertato in altra sede.
In questo senso cfr. ROMANO, op. cit., 498.
208
La contestazione sulla sussistenza del diritto che trova evidenza nel titolo esecutivo stragiudiziale
può essere svolta senza limiti. Una contestazione di analogo contenuto riferita al titolo esecutivo giudiziale trova invece evidenti limiti nel giudicato. Per l’esame dei rapporti tra l’opposizione
all’esecuzione per il verificarsi dei fatti estintivi o modificativi del rapporto sostanziale con riguardo
ai titoli giudiziali cfr. par. 4.
209
ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24.2.2006), n.
52, in Riv. esec. forz., 2006, 498; ID., L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 140 ss.;
LIEBMAN, op. cit., 183 ss..
210
La questione è, però, ormai superata a seguito della riforma del 2009 che ha reintrodotto il regime
impugnatorio ordinario per le sentenze emesse ai sensi dell’art. 615 c.p.c..
60
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Altri interpreti sostengono che l’opposizione all’esecuzione non mira ad accertare la esistenza del diritto obbligatorio consacrato dal titolo esecutivo, ma la esercitabilità dell’azione esecutiva a cura del creditore istante. Diversamente opinando,
se il giudizio in esame avesse ad oggetto la esistenza del rapporto sostanziale tra le
parti, non avrebbe avuto senso riconoscere al creditore opposto la facoltà di proporre una domanda riconvenzionale chiedendo la condanna del debitore opponente per
un titolo diverso da quello azionato e posto a fondamento del processo esecutivo211.
Muovendo da tale prospettazione la sentenza resa sull’opposizione all’esecuzione,
dunque, non avrebbe di regola una efficacia extraprocessuale di giudicato, ma una
valenza endoprocessuale, alla stregua delle pronunce su questioni preliminari di
merito e non potrebbe precludere la proposizione di nuove opposizioni fondate su
motivi diversi rispetto a quelli precedentemente dedotti212.
I sostenitori della tesi da ultimo illustrata avevano ritenuto coerente e condivisibile la modificazione del regime impugnatorio della sentenza emessa ex art. 615
c.p.c. introdotta dalla riforma del 2006 213.
Deve, infine, evidenziarsi che in dottrina era stata avanzata anche una terza soluzione. Si era sostenuto, in particolare, che la sentenza che definiva il giudizio di
opposizione all’esecuzione proposta in via “preventiva” avrebbe dato luogo ad un
giudicato sulla esistenza della azione esecutiva, mentre la sentenza che definiva il
giudizio di opposizione all’esecuzione proposta in via “successiva” avrebbe avuto
una valenza endoprocedimentale e, dunque, non avrebbe potuto essere invocata in
un processo esecutivo diverso da quello in relazione al quale era stata emessa. La
ricostruzione da ultimo esposta traeva spunto dal fatto che l’art. 616 c.p.c., nella
formulazione introdotta dalla riforma del 2006, dichiarava espressamente inimpugnabili le sole sentenze pronunciate sull’opposizione all’esecuzione successiva, lasciando ipotizzare che fosse restato inalterato il regime impugnatorio della deci211
VACCARELLA, op. cit., 80, spec. nota 21 il quale afferma che la esistenza del credito non è una causa pregiudiziale necessaria ma lo diventa soltanto a seguito di una esplicita domanda riconvenzionale
dell’opposto; nello stesso senso VILLANI, In tema di rapporti fra opposizione all’esecuzione ed opposizione a decreto ingiuntivo, in Riv. dir. proc., 1982, 132 ss..
212
ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1763.
213
Così ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1765. Ma, come chiarito nel testo, la riforma del 2009 ha superato ogni questione ripristinando, per le sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 615 c.p.c. nonché ai
sensi dell’art. 619 c.p.c., il regime impugnatorio ordinario. Giova, comunque, segnalare, per completezza, che già prima della riforma del 2009 taluno aveva sostenuto che il regime di unificata inimpugnabilità sancito nel 2006 in relazione a tutte le sentenze rese all’esito delle opposizioni esecutive,
poteva ritenersi coerente a condizione che si fosse esclusa dall’oggetto decisorio delle opposizioni
predette qualsivoglia situazione soggettiva di diritto sostanziale. In tal senso, MONTANARI, Considerazioni sui così definibili effetti riflessi della riforma delle opposizioni esecutive di cui agli artt. 615 e
619 c.p.c., in studi in onore di Carmine Punzi, III, Torino, 623 ss., note 9 – 10 nonché OLIVIERI, Ancora qualche (brevissima) considerazione sulle nuove norme del procedimento cautelare uniforme (e
sulla reclamabilità dell’inibitoria ex art. 283 c.p.c. e sull’opposizione all’esecuzione), in
www.judicium.it. In tempi più recenti, entrata ormai in vigore la riforma del 2009, sempre
MONTANARI, Il cantiere sempre aperto delle opposizioni esecutive, in Riv. esec. forz., 2010, 397 ss.,
confermando le opinioni in precedenza espresse, pur affermando di non aver nulla da obiettare sul
ritorno al passato, ha ribadito che il sistema delle opposizioni esecutive ben poteva mantenere il suo
equilibrio, nonostante la generale inappellabilità delle sentenze, a condizione che si fosse esclusa
l’ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione per le doglianze di merito.
CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE
61
sione pronunciata sull’opposizione all’esecuzione preventiva (ancora soggetta ad
appello)214. A seguito della riforma del 2009, che ha ripristinato per le sentenze
emesse ai sensi dell’art. 615 c.p.c. il regime impugnatorio ordinario, l’orientamento
di ultimo esposto va probabilmente rivisitato.
La giurisprudenza sembra aver preso posizione nel senso della valenza extraprocessuale della pronuncia emessa sull’opposizione all’esecuzione215. Induce indirettamente alla convinzione che la giurisprudenza attribuisca alla decisione in esame natura e carattere extraprocessuale anche il fatto che essa abbia più volte affermato come l’estinzione del processo esecutivo non determina la cessazione della
materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse in relazione alle opposizioni introdotte ai sensi dell’art. 615 c.p.c.216, salvo che la controversia abbia ad
oggetto la questione della impignorabilità dei beni ed il pignoramento sia caduto su
somme di denaro o beni fungibili217.
Va da ultimo segnalato che di recente la Corte Costituzionale aveva dichiarato
inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 616 ultimo periodo c.p.c. che
aveva qualificato “non impugnabile” la sentenza che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione)218.
Come si è esposto la questione sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale
è oggi superata poiché, stante la nuova formulazione dell’art. 616 c.p.c. dopo la
214
SALETTI, Simmetrie ed asimmetrie nel sistema delle opposizioni esecutive, in Riv. dir. proc., 2007,
885 ss.. L’Autore muove dal presupposto che la sentenza che definisce l’opposizione all’esecuzione
preventiva è a tutt’oggi appellabile poiché l’art. 616 c.p.c. non è invocabile per tale fattispecie. Attraverso una serie di argomenti che valorizzano anche la diversa ampiezza dei poteri cautelari previsti
dagli artt. 615 co. 1 c.p.c. e 624 c.p.c. arriva allora a concludere che il legislatore ha inteso consapevolmente differenziare il regime impugnatorio delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione
all’esecuzione preventiva o successiva.
215
Cfr. Cass. 5 ottobre 1978, n. 4452 con cui si afferma che “la sentenza che accoglie l’opposizione
all’esecuzione con la quale si è contestato il diritto della parte istante ad esecuzione forzata non soltanto ha incidenza processuale, poiché non si limita a dichiarare la nullità del precetto e degli atti esecutivi, ma accerta la inesistenza nella realtà giuridica sostanziale dell’azione esecutiva in corso di esercizio o preannunciata”. Sulla base di tale principio di diritto si è ritenuto che debba essere revocata
ex art. 395 n. 5 c.p.c. la sentenza passata in giudicato la quale abbia successivamente dichiarato che la
mancata efficacia di titolo esecutivo della sentenza posta a base dell’esecuzione forzata dipendeva da
una mera omissione emendata con la procedura di correzione degli errori materiali.
216
La cessazione della materia del contendere va, invece, dichiarata se si tratti di opposizione agli atti
esecutivi.
217
Cass. 16 novembre 2005, n. 23084.
218
Corte Cost. 13 marzo 2008, n. 53. Con tale pronuncia la Consulta ha dichiarato inammissibili le
questioni di costituzionalità dell’art. 616 ultimo comma c.p.c. sottoposte al suo vaglio. La sentenza in
esame, secondo quanto si ricava dalla motivazione, sembra, comunque, lasciare spazio ad una riproposizione della questione sotto altro profilo. Da un lato la Corte ha, infatti, osservato che la equiparazione del regime impugnatorio dell’opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione) e
dell’opposizione agli atti esecutivi non è di per sé irragionevole (perché non è detto che essa si fonda
sulla medesima ratio) e dall’altro lato ha evidenziato come la scelta di sancire la inappellabilità delle
sentenze che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione e di terzo all’esecuzione si atteggiano
in termini differenti a seconda che l’azione esecutiva sia stata esercitata in virtù di titolo giudiziale
(“…il giudizio di opposizione all’esecuzione può concernere anche ipotesi in cui questa si fonda su
titoli giudiziali, e addirittura su sentenza passata in giudicato, titoli riguardo ai quali non si ravvisano
le addotte cause di irragionevolezza dell’inappellabilità della sentenza che decide sull’opposizione
all’esecuzione..”) o stragiudiziale.
62
OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
riforma del 2009, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è soggetta ad appello.
15.3. Gli spazi di efficacia della sentenza di accoglimento dell’opposizione prima
del passaggio in giudicato
In linea generale può sostenersi che la sentenza che accoglie l’opposizione
all’esecuzione non produce effetti immediati se non dopo il suo passaggio in giudicato219.
Sembra tuttavia condivisibile la tesi secondo cui la sentenza di primo grado
che accoglie l’opposizione contenga, non soltanto un accertamento, ma anche una
sorta di “inibitoria” alla prosecuzione del processo esecutivo. Da ciò deriverebbe
che gli organi esecutivi non potrebbero proseguire nelle attività in cui si articola il
processo di esecuzione poiché in tal modo violerebbero un comando contenuto in
una sentenza, anche se ancora soggetta ad impugnazione220.
Quando il giudice dell’opposizione all’esecuzione preventiva o successiva abbia dichiarato la inesistenza del diritto a procedere esecutivamente del creditore e
tale sentenza venga prodotta al giudice dell’esecuzione quest’ultimo non dovrebbe
proseguire nel compimento delle attività esecutive sino al passaggio in giudicato
della pronuncia.
219
220
In questo senso ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1760; OLIVIERI, op. cit. 251.
CONSOLO, op. cit., 264.
CAPITOLO TERZO
L’OPPOSIZIONE PREVENTIVA ALL’ESECUZIONE
SOMMARIO: 1. L’ambito applicativo dell’opposizione “preventiva” alla esecuzione (art. 615
co. 1 c.p.c.). - 2. I criteri per l’individuazione del giudice competente: 2.1. La competenza per materia o valore. 2.2. La competenza per materia per le opposizioni in materia di crediti di lavoro, previdenza ed assistenza. 2.3. La competenza per territorio. 3. La composizione monocratica del Tribunale. - 4. I tratti caratteristici del procedimento e le novità introdotte dalla riforma. - 5. La forma dell’atto introduttivo. - 6. La
notificazione dell’atto introduttivo. - 7. Le regole applicabili allo svolgimento del giudizio. - 8. La procura alle liti. - 9. Il rapporto tra i giudizi di opposizione alla esecuzione preventiva o successiva. - 10. La sospensione feriale dei termini. - 11. La decisione
e l’impugnazione della sentenza.
1. L’ambito applicativo dell’opposizione “preventiva” alla esecuzione (art. 615
co. 1 c.p.c.)
L’art. 615 co. 1 c.p.c. disciplina l’opposizione “preventiva” all’esecuzione; si
utilizza questa definizione per indicare l’opposizione proposta dopo la notifica
dell’atto di precetto, ma prima dell’inizio del pignoramento per contestare il diritto
a procedere ad esecuzione forzata del soggetto che ha chiesto la notifica dell’atto di
precetto.
L’art. 615 co. 2 e l’art. 616 c.p.c. disciplinano la c.d. opposizione “successiva”
all’esecuzione, quella che si propone dopo l’inizio dell’azione esecutiva.
Come si è visto, per diritto a procedere alla esecuzione forzata si intende il
complesso dei poteri processuali che consentono l’avvio e lo sviluppo del processo
di esecuzione e che costituiscono esercizio di quella situazione soggettiva che è
l’“azione esecutiva”221 e l’oggetto dell’opposizione è dunque la contestazione del
diritto ad esercitare azione esecutiva.
Prima dell’inizio dell’esecuzione l’opposizione si propone al giudice competente per materia o valore nelle forme previste per il giudizio di cognizione. Si applica, quindi, il rito del lavoro per le azioni esecutive che si fondano su crediti di
lavoro o locazioni, il rito societario per le azioni esecutive che riguardano la materia regolata dal d.lgs. n. 5 del 2003, il rito ordinario per tutte le altre materie222.
221
MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 434.
Per le opposizioni alla esecuzione in materia di contratti agrari deve ritenersi applicabile la relativa
disciplina (Cass. 30 maggio 2001, n. 7399).
222
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
65
Dopo l’inizio dell’esecuzione, l’opposizione con la quale si contesta il diritto a
procedere esecutivamente e quella relativa alla pignorabilità del bene possono proporsi con ricorso al giudice dell’esecuzione.
I due tipi di giudizi, rientrano nella stessa categoria generale e hanno identità
oggettiva e soggettiva, ma si differenziano riguardo al rito da applicare.
2. I criteri per l’individuazione del giudice competente
2.1. La competenza per materia o valore
Ai sensi dell’art. 615 co. 1 c.p.c. l’opposizione al precetto introdotta ai sensi
dell’art. 615 co. 1 c.p.c. si propone “davanti al giudice competente per materia o
valore e per territorio ai sensi dell’art. 27”.
Ciò premesso, va precisato che, al di fuori dei casi di competenza per materia
di cui meglio si dirà in seguito, l’individuazione del giudice competente a conoscere dell’opposizione a precetto deve essere operata in base al criterio del valore determinato a norma dell’art. 17 c.p.c., e cioè tenendo conto dell’intero importo del
credito per cui si procede. La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che non rileva, ai
fini della determinazione del valore della causa, che la contestazione del diritto di
credito sia riferita solo ad una parte delle somme precettate dovendosi comunque
considerare l’intero importo di cui si è intimato il pagamento e per il quale si è esercitata l’azione esecutiva223.
In applicazione degli anzidetti principi, ed alla luce dell’art. 7 c.p.c., nella formulazione conseguente alla riforma del 2009, la competenza a decidere dell’opposizione alla esecuzione preventiva spetta al giudice di pace, se il credito per
cui si procede non è superiore ad euro 5.000,00, mentre spetta al Tribunale negli
altri casi.
Si deve far ricorso agli ordinari criteri di competenza per materia e per valore
anche quando l’opposizione alla esecuzione sia relativa ad un precetto per obblighi
di fare. A tale proposito la giurisprudenza ha affermato che l’art. 17 c.p.c. trova applicazione relativamente all’obbligo di fare atteso che quest’ultimo è sempre quantificabile in denaro ai sensi del combinato disposto degli artt. 14 e 17 c.p.c.224.
Le stesse considerazioni possono essere svolte per ciò che concerne
l’opposizione avverso un precetto con cui sia stato intimata la consegna di cose o il
223
Cass. 30 maggio 1967, n. 1213; Cass. 26 luglio 1967, n. 1989; Cass. 9 gennaio 1973, n. 22; Cass.
25 ottobre 1993, n. 10591; Cass. 1 ottobre 1998, n. 9755; Cass. 28 novembre 2011, n. 25188.
224
Cfr. Cass. 22 gennaio 1963, n. 1673 con cui si riteneva inapplicabile all’opposizione
all’esecuzione preventiva per obblighi di fare l’art. 16 c.p.c. considerandosi invocabili gli ordinari
criteri di competenza stabiliti dall’art. 615 co. 1 c.p.c.. Va però precisato che il dubbio circa
l’applicabilità dell’art. 16 c.p.c. non è più prospettabile poiché tale norma, a seguito della istituzione
del giudice unico, è stata abrogata. Si sono pronunciate per l’applicabilità dei criteri di competenza
per valore anche all’opposizione preventiva in relazione ad un precetto per obblighi di fare: Cass. 17
marzo 1973, n. 761; Cass. 12 settembre 1978, n. 4124; Cass. 14 ottobre 1982, n. 5335; Cass. 14 agosto 1990, n. 8268.
66
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
rilascio di immobili a meno che non si rientri nella ipotesi di competenza per materia prevista dall’art. 618 bis c.p.c..
Si applica il criterio della competenza per valore (e, dunque, si ha riguardo
all’importo del credito precettato) anche quando l’opposizione all’esecuzione sia
proposta in relazione ad un atto di precetto fondato su un provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c., senza che assuma rilievo la circostanza che la materia della
separazione e del divorzio sia riservata al Tribunale225 atteso che il giudizio di opposizione prescinde dall’esame delle questioni di merito ed è limitato alla valutazione delle condizioni per procedere all’esercizio dell’azione esecutiva.
Si prescinde dai criteri di valore quando la questione cui si riferisce
l’opposizione sia riservata alla competenza per materia di un determinato giudice.
È questo il caso dell’opposizione alla esecuzione relativa ad un precetto fondato su
una sentenza che condanni al rilascio del fondo rustico226 ovvero al pagamento di
un’indennità per i miglioramenti e le addizione del fondo rustico oggetto di contratto agrario227, questioni tutte riservate alla competenza per materia delle sezioni specializzate agrarie.
Nonostante sia riservata al Tribunale la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in caso di separazione e divorzio, deve ritenersi che in caso di
esecuzione, promossa in virtù di un titolo recante l’obbligo al pagamento
dell’assegno di mantenimento, l’opposizione vada proposta al giudice competente
per valore non configurandosi una competenza per materia del Tribunale, atteso
che le contestazioni non attengono al contenuto dei provvedimenti ma alla sussistenza del diritto ad agire esecutivamente228.
2.2. La competenza per materia per le opposizioni in materia di crediti di lavoro,
previdenza ed assistenza
Non vi sono dubbi sul fatto che costituisca un’ipotesi di competenza per materia anche quella sancita dall’art. 618 bis c.p.c. a tenore del quale le opposizioni alla
esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili per le materie trattate nei capi I e
II del titolo IV del libro II.
In base alla predetta disposizione, ed a seguito della istituzione del giudice unico, sono, dunque, devolute alla competenza per materia del Tribunale in funzione
del giudice del lavoro229 e debbono conseguentemente essere trattate con il rito del
lavoro le opposizioni alla esecuzione (e quelle agli atti esecutivi) che trovino fondamento in atti di precetto intimati sulla base di titoli esecutivi formati in relazione
a crediti di lavoro, previdenza ed assistenza. Nonostante un iniziale orientamento
225
Così Cass. 24 aprile 2009, n. 9784 nonché Trib. Piacenza, 20 gennaio 2011, in Giur. merito, 2011,
1010.
226
Cass. 4 ottobre 1990, n. 9815.
227
Cass. 7 dicembre 2000, n. 15523.
228
Cass. 22 agosto 2006, n. 18240, Cass. 17 luglio 2009, n. 16793.
229
Nel senso che l’art. 618 bis c.p.c. individua una competenza per materia del giudice del lavoro:
Cass. 10 ottobre 1977, n. 4314; Cass. 8 giugno 1979, n. 3272.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
67
contrario espresso dalla giurisprudenza di merito230, si ritiene che l’art. 618 bis
c.p.c. sia applicabile anche alle opposizioni alla esecuzione preventive per rilascio
conseguenti a locazione e comodato di immobili urbani o affitto di aziende, atteso
che anche l’art. 447 bis c.p.c., che regola la materia delle locazioni, è inserito nei
capi I e II del titolo IV del codice cui rinvia l’art. 618 bis c.p.c.231.
2.3. La competenza per territorio
Anche con riferimento alla competenza per territorio l’art. 615 co. 1 c.p.c. rinvia all’art. 27 c.p.c. che, in generale, individua come giudice competente a conoscere delle opposizioni esecutive il giudice della esecuzione ma, per ciò che concerne l’opposizione ex art. 615 c.p.c., fa salva l’applicabilità dell’art. 480 co. 3
c.p.c.
È a quest’ultima norma che occorre, dunque, aver riguardo per individuare il
giudice territorialmente competente a conoscere del giudizio all’esame.
L’art. 480 c.p.c. stabilisce che: “…In mancanza le opposizione al precetto si
propongono davanti al giudice del luogo ove il precetto è stato notificato”.
Da detta disposizione si ricava a contrario che competente a conoscere delle
opposizioni al precetto è l’ufficio giudiziario del luogo in cui il creditore ha dichiarato la residenza o eletto domicilio poiché ivi si trovano beni del debitore da sottoporre ad esecuzione. Ciò sta a dire che il legislatore ha operato una scelta in punto
di competenza ispirata all’obiettivo di realizzare una coincidenza quantomeno tendenziale tra il foro del giudice dell’opposizione a precetto ed il foro del giudice
dell’esecuzione, puntando sulla collaborazione del creditore.
La soluzione fornita dall’art. 480 co. 3 c.p.c. presenta, tuttavia, non pochi problemi applicativi. Può, infatti, verificarsi che il creditore ometta di dichiarare la residenza o di eleggere il domicilio ovvero che quest’ultimo dichiari la residenza o
elegga il domicilio in un comune in cui non si trovano beni del debitore da sottoporre ad esecuzione. Orbene, la norma in esame risolve espressamente la sola ipotesi della omissione del creditore stabilendo che, se colui che redige l’atto di precetto non provvede a dichiarare la residenza o ad eleggere il domicilio, diverrà operativo un foro di competenza che potremmo definire sussidiario e le opposizioni a
precetto dovranno essere proposte dinanzi al giudice del luogo in cui il precetto è
stato notificato, vale a dire nel luogo di residenza del debitore. Ma nessuna soluzione sembra desumibile dal sistema normativo con riferimento alla ipotesi in cui
la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio non siano conformi al dettato
dell’art. 480 co. 3 c.p.c., perché eseguite indicando un luogo diverso da quello in
cui si trovano beni del debitore da sottoporre ad esecuzione.
Il vuoto legislativo sul punto è stato però colmato in chiave interpretativa dalla
Corte Costituzionale. Secondo la Consulta l’elezione di domicilio (o la dichiarazione di residenza) compiuta dal creditore nell’atto di precetto è idonea a radicare
230
Pret. Monza 1 luglio 1995, in Giur. it., 1996, 30.
In giurisprudenza Pret. Bologna 28 luglio 1996, in Giust. civ., 1996, 3021. In dottrina: VIGORITO,
Le opposizioni esecutive, Milano, 2002, 457.
231
68
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
la competenza del giudice dell’opposizione a precetto solo quando nel luogo prescelto dal creditore istante si trovino effettivamente cose del debitore da sottoporre
ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 26 c.p.c.; diversamente la competenza a conoscere dell’opposizione a precetto appartiene al giudice del luogo ove è stato notificato l’atto; nel giudizio così radicato sarà, perciò, onere del creditore che vi abbia
interesse dimostrare che nel comune da lui prescelto attraverso l’elezione di domicilio sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore232. Alla pronuncia della Corte Costituzionale ha pienamente aderito la giurisprudenza di legittimità.
In buona sostanza il debitore che intenda proporre un’opposizione esecutiva
preventiva (indicata dall’art. 480 co. 3 c.p.c. come opposizione a precetto) dovrà
introdurre la causa dinanzi all’ufficio giudiziario del luogo in cui il creditore abbia
dichiarato la residenza o eletto il domicilio, sempreché in detto luogo si trovino beni del debitore da espropriare233. Diversamente, se l’atto di precetto non contiene la
dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio ovvero il debitore ritenga che la
dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio siano inesatte perché eseguite
in un comune in cui non si trovano beni a lui appartenenti e suscettibili di essere
aggrediti esecutivamente, l’opposizione esecutiva di tipo preventivo andrà proposta, in applicazione del foro territoriale sussidiario, dinanzi al giudice del luogo in
cui il precetto è stato notificato234. Il creditore in quest’ultima ipotesi conserva la
possibilità di dimostrare che la sua dichiarazione o elezione erano state effettuate in
un luogo ove l’esecuzione poteva iniziare235 e, nel caso in cui riesca a fornire prova
in questo senso, il giudice dell’opposizione a precetto dovrà ritenersi competente.
L’utilizzazione del foro di competenza sussidiario spetta, comunque, solo al
debitore, ragion per cui se il debitore propone la causa di opposizione preventiva
dinanzi al giudice del luogo della elezione di domicilio, il creditore non ha la facoltà di eccepire l’incompetenza territoriale della autorità giudiziaria adita perché la
dichiarazione o elezione contenute nel precetto sono vincolanti nei suoi riguardi236.
Resta da stabilire se il richiamo contenuto nell’art. 618 bis c.p.c. alle controversie individuali di lavoro sia limitato alle disposizioni che regolano la competenza per materia (oltreché al rito), ovvero si estenda anche alle regole circa la competenza per territorio. Dopo un contrasto, la giurisprudenza237 sembra aver risolto in
232
In tal senso Corte Cost. 12 giugno 1973, n. 84, in Foro It., 1973, I, p. 2023 con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 co. 3 c.p.c. in relazione
all’art. 27 c.p.c. – sollevata con riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione – nella parte in cui, secondo il giudice remittente, la prima norma consentirebbe alla parte istante di dislocare il luogo della
dichiarazione di residenza o della elezione di domicilio nel luogo che reputa più opportuno, anche se
ivi non si trovano beni del debitore su cui promuovere l’esecuzione forzata.
233
Cfr. Cass. 26 maggio 1994, n. 5183; Cass. 18 ottobre 1993, n. 1027; Cass. 23 maggio 1986, n.
3463; Cass. 3 novembre 1982, n. 5782.
234
Cass. 29 maggio 2003, n. 8632; Cass. 13 luglio 2004, n. 12976.
235
Così Cass. 23 luglio 1997, n. 6880; Cass. 16 luglio 1999, n. 7505; Cass. 9 settembre 1998, n. 8923;
Cass. 14 giugno 2002, n. 8588; Cass. 11 aprile 2008, n. 9670.
236
Cfr. Cass. 24 ottobre 1986, n. 6234.
237
Prima della pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite di cui alla nota seguente (Cass.
sez. un. 18 gennaio 2005, n. 841) si erano pronunciate nel senso dell’applicabilità dei criteri di competenza territoriale dettati dall’art. 480 co. 3 c.p.c. Cass. 15 giugno 2001, n. 8110 e Cass. 15 giugno
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
69
modo definitivo la questione affermando che la competenza territoriale a decidere
l’opposizione alla esecuzione preventiva nelle materie indicate dagli artt. 409 e 442
c.p.c. si determina applicando i criteri dettati dagli artt. 413 e 444 c.p.c., poiché
l’art. 618 bis co. 1 c.p.c. rinvia alle norme previste per le controversie individuali di
lavoro, ma, a differenza del successivo co. 2, non prevede una riserva a favore del
giudice della esecuzione238.
3. La composizione monocratica del Tribunale
Quando la competenza sull’opposizione alla esecuzione spetta al Tribunale
questo decide in composizione monocratica.
L’art. 88 l. 26 novembre 1990, n. 353, sostituendo l’art. 48 del r.d. 30 gennaio
1941, n. 12, ha, infatti, attribuito la decisione della generalità delle controversie in
materia civile al giudice istruttore ed al giudice della esecuzione in funzione di
giudice unico, riservando la decisione collegiale ad alcune ipotesi specifiche tassativamente indicate tra le quali non è compresa l’opposizione alla esecuzione.
4. I tratti caratteristici del procedimento e le novità introdotte dalla riforma
L’opposizione alla esecuzione può essere proposta dopo la notificazione del
precetto e prima dell’inizio della esecuzione ovvero durante lo svolgimento di
quest’ultima.
Si è già detto che nei casi in cui venga introdotta prima dell’inizio del processo
esecutivo, essa si dice preventiva, o pre-esecutiva, perché vale a contestare il “se”
di un’esecuzione solamente preannunciata.
L’opposizione alla esecuzione preventiva dà luogo ad un ordinario processo di
cognizione e, di regola, si introduce con citazione anche perché, nonostante il suo
scopo sia quello di accertare l’inesistenza del diritto della parte istante a procedere
2001, n. 8094. In senso opposto, e cioè a favore dell’applicabilità dei criteri di competenza dettati
dall’art. 413 c.p.c. e non di quelli indicati dall’art. 480 co. 3 c.p.c. si era, invece, espressa Cass. 23
marzo 1991, n. 3147.
238
Così Cass. sez. un. 18 gennaio 2005, n. 841. Tale pronuncia ha precisato che la competenza territoriale a decidere un’opposizione all’esecuzione preventiva, preannunciata in base a titolo giudiziale
emesso in relazione ad un rapporto di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c., spetta esclusivamente al giudice nella
cui circoscrizione si trova, o si trovava al momento della cessazione del rapporto, il domicilio del lavoratore, come stabilito dall’art. 413 co. 4 c.p.c.. Infatti, in caso di rapporto di lavoro già cessato al
momento dell’instaurazione dell’opposizione, deve escludersi la possibilità di ricorrere al domicilio
del lavoratore al tempo della introduzione del giudizio per evitare a quest’ultimo la scelta del giudice
competente. L’orientamento della Corte di Cassazione a sezioni unite è stato, poi, confermato da
Cass. 29 settembre 2009, n. 20891 e da Cass. 11 febbraio 2010, n. 3230. In dottrina, da ultimo,
CAMPAGNA, Le opposizioni in AA. VV., La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69
a cura di DEMARCHI, Bologna, 2009, 1243 ss.
Nello stesso senso della Cassazione a sezioni unite in dottrina: LUISO, Il regime della competenza nelle opposizioni alla esecuzione ed agli atti esecutivi secondo l’art.. 618 bis c.p.c., in Riv. dir. proc.,
1975, 142 ss.; VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 270 e 271; ORIANI,
Opposizione all’esecuzione, in Digesto civ., XIII, Torino, 1995, 500; 585 ss., spec. 629.
70
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
in executivis, manca la necessità di un collegamento funzionale con il processo esecutivo non ancora instaurato.
La connessione con l’instauranda esecuzione rileva, infatti, solo in parte per i
profili attinenti alla competenza per territorio, stante il richiamo operato dall’art.
615 co. 1 c.p.c. all’art. 480 co. 3 c.p.c..
In generale, si rileva che le recenti riforme del processo civile non hanno modificato la disciplina delle opposizioni alla esecuzione pre-esecutive per ciò che
concerne il rito ad esse applicabile.
Degna di nota è però l’attribuzione al giudice investito dell’opposizione prevista
dall’art. 615 co. 1 c.p.c. del potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo esecutivo in modo da inibire l’inizio della esecuzione preannunciata con il precetto.
5. La forma dell’atto introduttivo
Di regola l’opposizione alla esecuzione di tipo preventivo deve essere introdotta con atto di citazione. Essa si propone con ricorso solo quando la natura della
controversia lo richieda in ragione del rito applicabile.
La forma del ricorso deve, pertanto, essere impiegata innanzitutto in tutti i casi
previsti dall’art. 618 bis c.p.c., e cioè quando l’opposizione a precetto riguardi titoli
esecutivi emessi in relazione a controversie di lavoro, previdenza ed assistenza obbligatorie ovvero a controversie di locazione, comodato e affitto di azienda, trattandosi di giudizi che debbono essere trattati secondo il rito del lavoro.
Va peraltro precisato che se l’opposizione viene proposta con ricorso e non
con citazione, l’errore di forma non inficia l’atto introduttivo se questo, una volta
notificato con il decreto del giudice recante la fissazione dell’udienza, abbia raggiunto lo scopo239.
Deve, pertanto, ritenersi che il giudice, presa visione del ricorso, sia tenuto a
provvedere alla fissazione della udienza di comparizione delle parti anche se rilevi
che l’introduzione della causa doveva avvenire con citazione240.
Non sembra vi siano ragioni ostative alla proponibilità dell’opposizione alla
esecuzione preventiva nelle forme previste per il procedimento sommario non cautelare introdotto dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 e regolato dagli artt. 702 bis e ss.
c.p.c.241.
Il giudizio sommario costituisce un modello processuale alternativo alla cognizione avente applicazione generale. Con il rito sommario, cioè, può essere invocata la tutela giurisdizionale in qualunque forma (sono, infatti, ammissibili le domande di condanna, accertamento e costitutive), purché la controversia debba essere decisa dal Tribunale in composizione monocratica. Ciò significa che restano escluse le controversie che rientrano nella competenza del giudice di Pace ovvero
239
Cass. 1 agosto 1994, n. 7173.
ARIETA – DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile a cura di
MONTESANO – ARIETA, Padova, 2007, 1730.
241
Cfr. BUCCI – SOLDI, Le nuove riforme del processo civile 2009, Padova, 2009, 155 e ss..
240
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
71
del Tribunale in composizione collegiale. È invece controverso se tale procedimento sia applicabile anche alle cause che debbano essere trattate con il rito del lavoro.
La decisione emanata con ordinanza all’esito del giudizio sommario è soggetta
ad appello e la fase impugnatoria si svolge in deroga alle regole ordinarie poiché è
possibile l’espletamento di una istruttoria piena (articolata con la produzione di documenti e la richiesta di nuovi mezzi di prova non richiesti in primo grado ), purché
rilevante ai fini della decisione.
In questo quadro può affermarsi che tale giudizio risulta compatibile con le
opposizioni esecutive nella misura in cui esse danno luogo ad ordinari processi di
cognizione aventi ad oggetto una domanda di accertamento.
Non sembra, tuttavia, che il rito sommario possa essere esperito in relazione
alle controversie destinate a concludersi con decisione inappellabile ma soggetta a
ricorso straordinario per cassazione poiché l’appello, regolato dall’articolo 702
quater c.p.c., costituisce il punto di equilibrio del modello processuale alternativo
in quanto consente, come esposto, la cognizione piena non realizzata in primo grado.
Ed allora, muovendo da tali considerazioni, sembra potersi sostenere che il
procedimento in esame sia compatibile con la opposizione alla esecuzione, atteso
che la riforma del 2009, modificando l’articolo 616 c.p.c., ha ripristinato per
quest’ultima il regime impugnatorio pregresso reintroducendo l’appello.
Come meglio si vedrà in seguito, è quantomeno dubbia la proponibilità delle
opposizioni agli atti esecutivi nelle forme di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c..
6. La notificazione dell’atto introduttivo
Il legislatore si è occupato anche di regolare la modalità di notificazione
dell’atto introduttivo dell’opposizione a precetto introducendo una sanzione di tipo
procedurale per emendare il comportamento del creditore non collaborativo che
ometta di completare il precetto con la dichiarazione di residenza o l’elezione di
domicilio.
Ai sensi dell’art. 480 co. 3 c.p.c. ultimo periodo, quando la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio sono state omesse, le opposizioni si propongono
dinanzi al giudice in cui il precetto è stato notificato e “le notificazioni alla parte
istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso”.
Dal contenuto di detta previsione, anche questa volta a contrario, si deduce
che, di regola, l’atto introduttivo dell’opposizione esecutiva preventiva deve essere
notificato al creditore nel luogo ove questi ha dichiarato la residenza o eletto il domicilio.
Sempre dalla predetta disposizione emerge invece che nei casi in cui il creditore abbia omesso di procedere alla dichiarazione di residenza o elezione di domicilio, costringendo il debitore ad utilizzare il foro territoriale sussidiario ed a proporre la causa di opposizione dinanzi all’ufficio giudiziario del luogo ove il precetto è
stato notificato, la notificazione dell’atto introduttivo dell’opposizione, in deroga ai
principi generali, può essere eseguita presso la cancelleria del giudice.
72
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Il tenore letterale dell’art. 480 co. 3 c.p.c. per la parte concernente la notificazione è stato interpretato in senso ampio dalla giurisprudenza.
La Corte di Cassazione, partendo dal presupposto che l’elezione di domicilio
(o la dichiarazione di residenza) fatta nel comune in cui non si trovano beni del debitore da espropriare è senza effetto ai fini della competenza, ha affermato che il
debitore, quando disattenda l’elezione di domicilio del creditore ed utilizzi il foro
sussidiario introducendo l’opposizione a precetto dinanzi al giudice del luogo di
notificazione del precetto, può notificare l’atto introduttivo del giudizio al creditore
mediante deposito nella cancelleria del giudice242.
Tale orientamento della giurisprudenza non è stato, però avallato dalla Corte
Costituzionale243 la quale con una recente pronuncia interpretativa di rigetto, ha affermato che la notificazione in cancelleria dell’atto introduttivo dell’opposizione a
precetto può essere compiuta nei soli casi in cui il creditore abbia omesso di dichiarare la residenza o l’elezione di domicilio, e ciò in quanto solo la totale inerzia del
creditore giustifica l’applicazione della sanzione procedurale voluta dal legislatore
e garantisce il diritto di difesa del creditore.
È invero ragionevole esigere che il creditore vigili presso la cancelleria del
giudice del luogo di notificazione del precetto per verificare se gli siano stati notificati atti introduttivi di cause di opposizione nella sola ipotesi in cui sia rimasto
inerte, ma non anche quando abbia dichiarato la residenza o eletto il domicilio.
In sostanza la notificazione dell’atto introduttivo dell’opposizione a precetto
potrà essere compiuto presso la cancelleria del giudice solo se il creditore non abbia eletto il domicilio o dichiarato la residenza nel precetto e sempreché opti per
l’utilizzazione di tale modalità notificatoria. Appare, infatti, di tutta evidenza che la
notificazione in cancelleria costituisca una facoltà per il debitore – attore che ben
potrebbe notificare l’atto introduttivo secondo le regola generali.
La notificazione in cancelleria è invece preclusa in tutti gli altri casi e, dunque,
non può essere eseguita quando il debitore disattenda la dichiarazione di residenza
o l’elezione di domicilio ritenendo che nel luogo indicato non vi siano beni da sottoporre ad esecuzione244. Ove il giudice dell’opposizione a precetto verifichi che al
di fuori delle ipotesi anzidette la notificazione sia stata eseguita in cancelleria non
potrà che dichiararne la nullità imponendone la rinnovazione ai sensi dell’art. 291
c.p.c..
Per il disposto dell’art. 481 co. 2 c.p.c. la proposizione dell’opposizione preventiva all’esecuzione (così come avviene per l’opposizione agli atti esecutivi e per
l’opposizione di terzo all’esecuzione) comporta la sospensione del termine di novanta giorni dalla notifica del precetto, previsto per l’inizio dell’azione esecutiva.
7. Le regole applicabili allo svolgimento del giudizio
242
Cfr. Cass. 27 luglio 2001, n. 12976; Cass. 29 maggio 2003, n. 8632; Cass. 13 luglio 2004, n.
12976. Nel senso espresso dalla giurisprudenza anche CASTORO, op. cit., 73.
243
Così la Corte Costituzionale con la sentenza 14 – 29 dicembre 2005 n. 480, in Riv. esec. forz.,
2006, 2, p. 367, con nota adesiva di RAGANATI.
244
Cass. 28 maggio 2009, n. 12540.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
73
Il giudizio di opposizione alla esecuzione proposto in via preventiva è disciplinato dalle comuni regole sul processo di cognizione.
Ciò significa che il convenuto deve costituirsi in giudizio ai sensi dell’art. 166
c.p.c. con comparsa di costituzione e risposta. La costituzione deve essere tempestiva per non incorrere nelle decadenze previste dall’art. 167 c.p.c. quando, ad esempio, intenda proporre domanda riconvenzionale che, nei termini sopra esposti245, deve ritenersi ammissibile.
Al giudizio in esame si applica invece il rito del lavoro nei casi previsti
dall’art. 618 bis c.p.c. e cioè quando l’opposizione sia relativa ad un precetto emesso in relazione a controversie di lavoro assistenza e previdenza ovvero di rilascio
conseguente a locazione, comodato o affitto di azienda.
Se la controversia è relativa ad uno dei rapporti di cui all’art. 1 d.lgs. n. 5 del
2003 l’opposizione a precetto si propone con citazione di fronte al giudice competente ai sensi dell’art. 615 co. 1 c.p.c., ma il procedimento si svolge secondo il rito
speciale previsto per le controversie commerciali, finanziarie o bancarie246.
Ove la opposizione venga proposta nelle forme del procedimento sommario
non cautelare, essa è regolata dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c..
Infine occorre rilevare che l’art. 5 co. 4 lett. d) del decreto legislativo 4 marzo
2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) dello stesso art. 5 possa essere esperita nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata247.
Infine occorre rilevare che l’art. 5 co. 4 lett. d) del decreto legislativo 4 marzo
2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) dello stesso art. 5 possa essere esperita nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata tra i
quali rientra l’opposizione preventiva all’esecuzione248.
8. La procura alle liti
Poiché l’opposizione alla esecuzione pre-esecutiva costituisce un ordinario
giudizio di cognizione sia l’atto introduttivo redatto dall’opponente che la comparsa di costituzione e risposta dell’opposto debbono essere sottoscritti a pena di inesistenza da un procuratore legalmente esercente.
Secondo la giurisprudenza la procura rilasciata al difensore ed apposta
sull’atto di precetto con cui viene conferito il potere di compiere tutte le attività necessarie per far conseguire alla parte rappresentata la soddisfazione del credito abi245
Cfr. cap. 2, par. 13.2.
MENCHINI – MOTTO, Le opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in
AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, 175.
247
Cfr. cap. 1, par. 5.
248
Cfr. cap. 1, par. 5.
246
74
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
lita lo stesso difensore a compiere gli atti del procedimento esecutivo nonché a difendere la parte negli eventuali giudizi di opposizione sia per il primo grado che
per l’appello249.
La stessa regola vale per il debitore che abbia conferito al difensore una procura a rappresentarlo nel processo esecutivo. Tale procura, in difetto di esplicita limitazione, vale a rappresentarlo anche negli eventuali giudizi di opposizione250.
La procura sia nella prima ipotesi che nella seconda deve essere conferita per
lo specifico procedimento di cui trattasi per cui non rileva la procura a margine di
un precetto diverso da quelli cui si riferisce l’opposizione ovvero la procura rilasciata dal debitore per un’esecuzione diversa da quella cui concerne l’opposizione.
Giova, ancora, menzionare che l’articolo 83 c.p.c., a seguito delle modifiche
introdotte dalla riforma del 2009, consente al nuovo difensore dell’attore opponente o del convenuto opposto di costituirsi in giudizio depositando una comparsa di
costituzione recante, a margine o in calce, la procura speciale alle liti. In tal caso il
legislatore si è limitato a “normativizzare” una prassi ormai consolidata. È, infatti,
noto che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo ammesso che la procura possa
essere rilasciata su un atto diverso da quelli tassativamente indicati dall’articolo 83
c.p.c. quando si tratti di nominare un nuovo difensore nel corso del giudizio251.
9. Il rapporto tra i giudizi di opposizione alla esecuzione preventiva o successiva
La giurisprudenza non ha seguito un orientamento univoco sulla questione relativa ai rapporti tra la causa di opposizione al precetto e la causa di opposizione al
pignoramento promosso sulla base dello stesso precetto. Con alcune pronunce, anche recenti252, ha affermato che i due giudizi sopraindicati sono identici per coincidenza di petitum e la causa petendi 253 e che tra essi è dunque configurabile la litispendenza, ma non sono mancati arresti in senso contrario254.
Anche accedendo alla tesi favorevole alla configurabilità di una litispendenza
tra le cause innanzi indicate, essa non potrebbe produrre gli effetti previsti dall’art.
39 c.p.c. quando i giudizi pendano in gradi diversi. Onde evitare il pericolo di un
contrasto tra giudicati nella ipotesi da ultimo esaminata occorre, pertanto, fare applicazione dell’art. 295 c.p.c. e cioè sospendere l’opposizione successivamente introdotta in attesa della definizione con sentenza della prima causa255.
249
Cass. 2 marzo 2001, n. 3089.
Cass. 15 dicembre 1980, n. 6497.
251
Cass. 2 giugno 1999, n. 5393.
252
Nel senso della configurabilità di rapporto di litispendenza di recente Cass. 20 luglio 2010, n.
17037.
253
Cass. 24 ottobre 1986, n. 6235; Cass. 18 gennaio 1988, n. 335; Cass. 16 giugno 2000, n. 8214.
254
Negano la litispendenza tra i due giudizi citati; Cass. 4 marzo 1999, n. 1831; Cass. 18 giugno
2001, n. 8222. Va evidenziato come risulti evidente che, se si nega la litispendenza, il rapporto tra i
due giudizi non può che essere di continenza poiché il petitum della causa di opposizione alla esecuzione successiva è più ampio di quello dell’opposizione alla esecuzione preventiva.
255
Cass. 16 giugno 2000, n. 8214.
250
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
75
10. La sospensione feriale dei termini
Come si ricava dalla espressa previsione dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario richiamato dall’art. 3 l. 7 ottobre 1969, n. 742, la sospensione feriale dei termini processuali non si applica ai giudizi di opposizione alla esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi preventivi e successivi nonché all’opposizione di terzo
alla esecuzione256.
Siffatta esclusione non è prevista nell’interesse del debitore esecutato, ma è finalizzata a garantire una sollecita definizione delle cause relative alle opposizioni
esecutive anche ove l’esecuzione sia stata conclusa257 per cui opera anche quando
sia cessata la materia del contendere e la causa di opposizione debba proseguire ai
soli fini del regolamento delle spese processuali258.
A tale proposito va ancora segnalato che, secondo la giurisprudenza, la sospensione feriale dei termini opera anche quando il creditore abbia proposto domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere una pronuncia di condanna che tenga
luogo del titolo esecutivo, la cui esistenza sia stata contestata dal debitore, sempreché la domanda riconvenzionale non sia stata neppure esaminata a causa del rigetto
dell’opposizione259.
In via interpretativa si è ritenuto che la regola che sancisce l’inapplicabilità
della sospensione dei termini processuali si estenda anche alle controversie distributive260, al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo261 nonché al giudizio di
divisione endoesecutivo, promosso ai sensi dell’art. 601 c.p.c.262.
256
Cass. 19 giungo 1996, n. 5674; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12768; Cass. 26 aprile 2000, n. 5345;
Cass. 25 giugno 2003, n. 10132; Cass. 12 luglio 2011, n. 15342. Per la specifica affermazione secondo cui non sono soggette a sospensione feriale dei termini anche le opposizioni al precetto Cass. 19
marzo 2010, n. 6672; Cass. 27 aprile 2010, n. 9998; Cass. 6 maggio 2010, n. 10972; Cass. 23 settembre 2010, n. 20101; Cass. 12 luglio 2011, n. 15345. Tuttavia, in dottrina non mancano opinioni di segno contrario. CAPPONI, Opposizione a precetto e sospensione feriale dei termini, in Riv. esec. forz.,
2010, 422 ss. il sostiene che non vi sarebbe motivo per ritenere sottratti alla sospensione feriale dei
termini tanto le opposizioni agli atti esecutivi (stante la previsione letterale dell’art. 92
dell’ordinamento giudiziario che fa riferimento alle opposizioni all’esecuzione) quanto le opposizioni
a precetto poiché queste ultime, non incidendo sul processo esecutivo, sarebbero estranee alla ratio
del citato art. 92.
257
Cass. 20 marzo 2006, n. 6103; Cass. 15 marzo 2006, n. 5684.
258
Cass. 25 giugno 2003, n. 10132; Cass. 23 gennaio 1998, n. 658.
259
Cass. 4 ottobre 2010, n. 20595; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688.
260
Cass. 24 gennaio 2006, n. 1331 nonché, sempre con riferimento al testo dell’art. 512 previgente
(anteriore alla novella del 2005 – 2006) Cass. sez. un.. 6 maggio 2010, n. 10617. Si osserva, comunque, che la questione oggi è priva di rilievo in quanto le controversia distributive confluiscono nella
fase contenziosa solo quando l’ordinanza del giudice della esecuzione che le risolva sia impugnata ai
sensi dell’art. 617 c.p.c.. La sospensione feriale è, perciò, inapplicabile in virtù della norma che la esclude per le opposizioni agli atti esecutivi.
261
Cass. 6 giugno 2008, n. 15010;Cass. ord. 10 marzo 2010, n. 5778; Cass. ord. 5 marzo 2010, n.
5451.
262
Cass. 28 gennaio 2010, n. 1801 che, facendo leva sul principio della eadem ratio, approda alla
conclusione indicata, in virtù di interpretazione estensiva e non analogica), sostenendo che anche tali
divisioni provocano una stasi del processo esecutivo.
76
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Il principio secondo cui le opposizioni esecutive non sono sottoposte a sospensione durante il periodo feriale deve intendersi riferito all’intero corso del procedimento, sicché esso ha indiscutibilmente riferimento anche ai tempi per proporre ricorso per cassazione263.
11. La decisione e l’impugnazione della sentenza
Si è già esaminato il possibile contenuto della sentenza emessa all’esito di un
giudizio di opposizione all’esecuzione che consiste nell’accertamento dell’esistenza o inesistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente264.
L’art. 615 co. 1 c.p.c., che regola l’opposizione alla esecuzione preventiva,
nulla dispone circa il regime di impugnabilità della decisione.
A seguito della riforma sul processo civile del 2006, l’art. 616 c.p.c. stabiliva
che la sentenza con cui veniva definito il giudizio di opposizione alla esecuzione
successiva era inimpugnabile.
In detto quadro si erano prospettate due soluzioni.
Per un verso, valorizzando il tenore letterale delle norme, si era ritenuto che
l’unica interpretazione percorribile fosse quella secondo cui la sentenza che definiva un giudizio di opposizione alla esecuzione preventiva (non essendo regolata
dall’art. 616 c.p.c., che si riferisce alla sola opposizione all’esecuzione successiva)
dovesse ritenersi appellabile e soggetta, pertanto, ad un doppio grado di impugnazione265.
Per altro verso si era sostenuto che, accedendo ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 615 co. 1 c.p.c., sarebbe stato irragionevole differenziare il
regime impugnatorio di una sentenza in base alla sola circostanza che l’azione fosse stata proposta quando il processo esecutivo era già pendente. In tale ottica si era,
pertanto, concluso per la inimpugnabilità anche della decisione resa sull’opposizione alla esecuzione preventiva266.
263
Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041.
Cfr. cap. 2, par. 15.
265
PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, in Foro it., 2006, V, 213 ss.;
RECCHIONI, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità “attenuata” ed estinzione del “pignoramento”, in Riv. dir. proc., 2006, 659; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2006, 177;
(BUCCI) – SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2007, 405; BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv.
esec. forz., 2006, 672; SALETTI, Simmetrie ed asimmetrie nel sistema delle opposizioni esecutive, in
Riv. dir. proc., 2007, 888 ss..
266
ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24.2.2006), n.
52, in Riv. esec. forz., 2006, 492; BALENA – (BOVE), Le riforme più recenti del processo civile, Bari,
2006, 287; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, Padova, 2006, I, 414; FINOCCHIARO,
Camera di consiglio per le opposizioni, in Guida dir., 2006, fasc. 10, 38 ss.; PILLONI,
Sull’“inimpugnabilità” della sentenza che conclude l’incidente oppositivo, in Riv. eserc. forz., 2006,
866; MENCHINI – MOTTO, op. cit., 184; ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 258 ss.; PUNZI, Il processo civile (sistema e
problematiche), IV, Torino, 2008, 240.
264
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
77
L’adesione ad una o all’altra tesi aveva provocato notevoli dubbi anche in punto di regime transitorio267.
La questione oggi è definitivamente risolta poiché la legge 18 giugno 2009 n.
69 ha novellato l’art. 616 c.p.c. eliminando l’inciso che sanciva la inimpugnabilità
delle sentenze pronunciate in relazione alla opposizione di cui all’art. 615 c.p.c..
Nell’attuale panorama normativo, pertanto, i giudizi di opposizione alla esecuzione preventiva o successiva si concludono con sentenza appellabile e soggetta ad
un doppio grado di impugnazione.
267
Cfr. cap. 2, par. 15.
78
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
CAPITOLO QUINTO
L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
SOMMARIO: 1. Il regime normativo pregresso e le posizioni interpretative. - 2. Le novità introdotte dalla riforma del 2006. - 3. Le opzioni interpretative circa i rapporti tra le due fasi.
- 4. Lo svolgimento del procedimento dinanzi al giudice dell’esecuzione: 4.1. I caratteri del
procedimento e la sua natura. 4.2. La competenza funzionale del giudice dell’esecuzione.
4.3. La forma dell’atto introduttivo e la sua notificazione. 4.4. Il rito applicabile e
l’iscrizione della causa a ruolo. 4.5. I possibili esiti della udienza dinanzi al giudice
dell’esecuzione. 4.6. Il provvedimento del giudice dell’esecuzione ed il suo duplice contenuto inerente alla sospensione e la competenza. – 4.7. L’omessa fissazione del termine per
l’introduzione della causa di merito. - 5. L’introduzione del giudizio di merito: 5.1. Le regole sulla competenza 5.2. La forma dell’atto introduttivo, la sua notificazione,
l’abbreviazione dei termini a comparire, l’iscrizione a ruolo, il fascicolo d’ufficio. 5.3. Le
parti legittimate all’introduzione della causa di merito. 5.4. La posizione processuale delle
parti nella causa di merito. 5.5. L’ampliamento dell’oggetto dell’opposizione a cura
dell’opponente o dell’opposto. 5.6. Gli effetti processuali e sostanziali della domanda di
opposizione all’esecuzione. 5.7. Il mancato rispetto del termine perentorio per
l’introduzione della causa di merito. - 6. Il rito applicabile. - 7. Il rapporto tra il giudizio di
opposizione all’esecuzione preventiva o successiva o tra plurime opposizioni all’esecuzione
successiva. 8. La sospensione feriale dei termini. 9. La decisione e l’impugnazione della
sentenza. 10. Il regime transitorio.
1. Il regime normativo pregresso e le posizioni interpretative
Prima delle recenti riforme del processo civile il codice di rito prevedeva che
l’opposizione all’esecuzione successiva dovesse essere introdotta con ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione il quale, secondo quanto previsto dall’art. 616
c.p.c., assunti i provvedimenti sulla sospensione, aveva due alternative: procedeva
alla istruzione se si riteneva competente alla decisione della causa di merito, ovvero in alternativa, ritenuta la propria incompetenza, rimetteva le parti dinanzi ad altro ufficio giudiziario (competente per valore), concedendo termine perentorio per
la riassunzione del giudizio.
Completava la disciplina l’art. 185 disp. att. c.p.c. secondo cui “all’udienza di
comparizione dinanzi al giudice dell’esecuzione fissata a norma degli articoli 616,
618 e 619 del codice si applica la disposizione dell’art. 183 del codice”.
L’interpretazione delle norme testè richiamate si è però rivelata alquanto difficile soprattutto a seguito della novella di cui alla legge n. 353 del 1990 che ha modificato l’art. 183 c.p.c. ed introdotto l’art. 180 c.p.c..
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
79
Di qui l’elaborazione di due diverse tesi interpretative268.
Secondo un primo orientamento il procedimento di opposizione all’esecuzione
“successiva” aveva una struttura unitaria o per meglio dire monofasica poiché iniziava con la proposizione del ricorso che andava integrato, quanto al contenuto, ai
sensi dell’art. 163 c.p.c., notificato alla controparte nel rispetto dei termini di cui
all’art. 163 bis c.p.c. ed iscritto a ruolo269. Il procedimento si articolava, quindi, in
un’udienza di prima comparizione, disciplinata dall’art. 180 c.p.c. nel corso della
quale il giudice assumeva i provvedimenti sulla sospensione e valutava la propria
competenza; proseguiva, quindi, con la fissazione della udienza di trattazione prevista dall’art. 183 c.p.c. ove il giudice dell’esecuzione si fosse ritenuto competente.
Tale posizione aveva ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale270.
Secondo una diversa posizione interpretativa l’opposizione all’esecuzione
“successiva” era caratterizzata da una struttura bifasica. Si riteneva che il ricorso
introduttivo (a prescindere dalla integrazione del suo contenuto, ritenuta non necessaria) dovesse essere notificato alla controparte anche senza il rispetto dei termini
di cui all’art. 163 bis c.p.c.; detto ricorso, invero, introduceva una fase preliminare
rispetto al giudizio di merito, interna alla procedura esecutiva, riservata al giudice
dell’esecuzione e finalizzata esclusivamente alla assunzione dei provvedimenti sulla sospensione e sulla competenza. La seconda fase, nettamente distinta dalla prima, iniziava nel termine concesso dal giudice dell’esecuzione con l’integrazione
degli atti e l’iscrizione a ruolo se la competenza apparteneva al suo stesso ufficio
giudiziario o con la riassunzione della causa quando competente a decidere fosse
un ufficio giudiziario diverso da quello investito del processo esecutivo. Essa si
svolgeva per intero secondo un ordinario giudizio di cognizione anche se retto
dall’originario ricorso introduttivo, eventualmente integrato quanto al contenuto
secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione271. L’orientamento favorevole
alla concezione bifasica era stato quello preferito dalla giurisprudenza272.
2. Le novità introdotte dalla riforma del 2006
Il legislatore della riforma del 2006 ha inteso risolvere il contrasto interpretativo sulla disciplina dell’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione e sui rapporti tra
268
Per un’illustrazione delle diverse opzioni interpretative, VIGORITO, Le opposizioni esecutive, Milano, 2002, 22 ss..
269
La necessità dell’iscrizione a ruolo era stata esclusa dalla giurisprudenza di Cassazione: Cass. 19
dicembre 19898, n. 5684; la giurisprudenza di merito riteneva necessaria, sia pur con modalità diverse, l’iscrizione della causa a ruolo; per una illustrazione delle prassi, VIGORITO, op. cit., 22 ss.
270
Cfr. Corte Cost. 5 novembre 1996, n. 388 che, nel rigettare l’eccezione di incostituzionalità
dell’art. 185 disp. att. c.p.c., aveva accolto questa interpretazione ed aveva affermato che il difetto di
coordinamento tra la norma impugnata e gli artt. 180 e 183 c.p.c. potesse essere superato con la fissazione di un'udienza di comparizione nel rispetto dei termini stabiliti nel processo di cognizione. Solo
nel caso in cui ciò si fosse rivelato impossibile, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto limitarsi a
decidere sulla istanza di sospensione rinviando alle successive udienze per gli adempimenti previsti
dagli artt. 180 e 183 c.p.c..
271
In tal senso MONTANARO Opposizioni esecutive proposte nel corso dell’esecuzione e disciplina del
processo ordinario di cognizione in Riv. esec. forz., 2004, 497 ss..
272
In questo senso cfr. Cass. sez. un. 21 luglio 1998, n. 7128.
80
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
le due fasi del giudizio di opposizione riformulando tanto l’art. 185 disp. att. c.p.c.
che gli artt. 616 e 618 c.p.c., ma non sembra aver centrato in pieno l’obiettivo poiché a tutt’oggi l’interpretazione delle norme sull’introduzione delle opposizioni
all’esecuzione successiva non è univoca.
L’esame delle disposizioni novellate consente di indicare con brevi cenni i
principi che regolano la materia in esame:
− la fase introduttiva del giudizio è restata immutata; l’opponente cioè deve depositare il ricorso in opposizione nella cancelleria del giudice dell’esecuzione
che, con decreto in calce al ricorso, fissa l’udienza di comparizione delle parti
e stabilisce il termine perentorio in cui deve farsi luogo alla notificazione;
− ai sensi dell’art. 185 disp. att. c.p.c., l’udienza di comparizione fissata dal giudice dell’esecuzione a seguito dell’introduzione di un’opposizione esecutiva
successiva (e, dunque, la sola fase preliminare) si svolge secondo le norme sul
procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.;
− secondo la previsione dell’art. 616 c.p.c., terminata la fase prevista per
l’emissione dei provvedimenti sulla sospensione e per le determinazioni sulla
competenza, il giudice dell’esecuzione fissa un termine perentorio per l’inizio
del giudizio di merito, da proporsi secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, ove ritenga che competente sia lo stesso ufficio giudiziario cui appartiene; in alternativa fissa un termine perentorio per la riassunzione
della causa dinanzi all’ufficio giudiziario competente;
− visto il riferimento esplicito al concetto di giudizio di merito può ritenersi che
la causa introdotta nei termini e modi suindicati debba svolgersi secondo le regole del processo di cognizione;
− la sentenza che definisce la causa di merito, per espressa previsione dell’art.
616 c.p.c., è non impugnabile.
3. Le opzioni interpretative circa i rapporti tra le due fasi
Alla luce di quanto sin qui delineato sui tratti caratterizzanti della riforma
sembra potersi affermare che il legislatore del 2006 abbia inteso delineare il procedimento secondo la concezione bifasica.
La tecnica normativa utilizzata non si è rivelata, però, impeccabile come dimostra il fatto che, nonostante la novella, sono proseguiti i contrasti interpretativi273.
Tra i primi commentatori vi è chi ha sostenuto che la riforma ha introdotto una
vera e propria “rivoluzione” in tema di giudizi di opposizione che oggi dovrebbero
svolgersi tutti in camera di consiglio e andrebbero definiti con sentenza non impugnabile274.
273
In questo senso ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e
624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 245 il quale, riferendosi alla legge n. 52 del 2006, afferma che “si
tratta di una legge che, attraverso disposizioni eccessivamente sintetiche, malamente formulate e male
coordinate, introduce importantissimi, e sovente discutibili, mutamenti del tessuto normativo, senza
che un minimo dibattito abbia preceduto la sua approvazione”.
274
In questo senso CAPPONI, L’intervento dei creditori dopo le tre riforme della XIV legislatura, in
Riv. esec. forz., 2006, 22. Per completezza, si rammenta che il “nuovo” regime di inimpugnabilità del-
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
81
Altri interpreti hanno affermato che l’opposizione esecutiva successiva, anche
a seguito delle modifiche normative citate, conserverebbe una struttura monofasica.
Il giudizio di opposizione sarebbe cioè introdotto e sorretto durante tutto il suo
svolgimento dal ricorso introduttivo e si articolerebbe in due fasi della quali, la
prima, celebrata dinanzi al giudice dell’esecuzione, sarebbe caratterizzata da una
cognizione sommaria, mentre la seconda, celebrata dal giudice dell’opposizione, si
svolgerebbe “secondo il modulo della cognizione piena ed esauriente”275. Tale ricostruzione troverebbe il suo fondamento in alcuni dati normativi, primo fra tutti il
fatto che, a norma dell’art. 615 co. 2 c.p.c., la causa di opposizione si dice “proposta” con il ricorso introduttivo. Ma a medesime conclusioni farebbe propendere la
stessa formulazione dell’art. 616 c.p.c. nella parte in cui, illustrando le forme di introduzione della causa di merito, utilizza il concetto di “riassunzione” con riguardo
all’ipotesi della incompetenza dell’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice
dell’esecuzione, come ad evidenziare la necessità di proseguire un giudizio già
pendente276. Conforterebbe, inoltre, per la tesi della struttura monofasica l’art. 184
disp. att. c.p.c.277 a tenore del quale il ricorso introduttivo recante la richiesta di sospensione deve contenere i requisiti di cui all’art. 163 n. 4 e 5 c.p.c.278.
Come si è già anticipato, è però preferibile ritenere che la riforma abbia inteso
sancire normativamente la struttura bifasica delle opposizioni esecutive successive279 elaborata in via interpretativa nel vigore del pregresso sistema normativo.
le sentenze rese in relazione alle opposizioni esecutive ha avuto vita breve poiché, a seguito della riforma del 2009, è stato ripristinato il regime ordinario di impugnabilità tanto per le sentenze emesse
ai sensi dell’art. 615 c.p.c. che per quelle emesse ai sensi dell’art. 619 c.p.c..
275
Per l’esame delle posizioni assunte in questo senso dalla dottrina cfr. anche ROMANO, La nuova
opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24.2.2006, n. 52), in Riv. esec. forz.,
2006, 494; PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, in Foro it., 2006, V, 212,
spec. 213 – 214; TOTA, Commento agli artt. 616 – 185 disp. att., in Commentario alle riforme del
processo civile, a cura di BRIGUGLIO – CAPPONI, Padova, 2007, 574 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2009, IV, 196, nota 27; BOVE – (BALENA), Le riforme più recenti del processo
civile, Bari, 2006, 289 ss.; VERDE, La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile (Appendice di aggiornamento a VERDE – CAPPONI, Profili del processo civile, III, Processo di esecuzione e
procedimenti speciali), Napoli, 2006, 38; LUISO – SASSANI, La riforma del processo civile, Milano,
2006, 197; CANAVESE, Commento all’art. 616 c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile, a cura
di CHIARLONI, I, Bologna, 2007, 1089 ss.; MENCHINI – MOTTO, Le opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in AA. VV. Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006,
175 ss.; CAPPONI, Il processo esecutivo, Bologna, 2008, 181; CONSOLO, Spiegazioni di diritto procssuale civile. I. Le tutele: di merito, sommarie d esecutive, Padova, 2008, 422; CAMPAGNA, Le opposizioni in AA. VV., La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69 a cura di DEMARCHI,
Bologna, 2009, 1221 ss.
276
MENCHINI – MOTTO, op. cit., 175 - 178.
277
In questo senso TOTA, op. cit., 573 nota 6.
278
Tale norma per la verità ha mantenuto la sua formulazione originaria poiché non è stata modificata
dalle recenti riforme. Da ciò taluni interpreti hanno tratto argomento per affermare che il ricorso presentato al giudice dell’esecuzione determina già la pendenza dell’opposizione esecutiva successiva.
279
In questo senso BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni
all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2006, 674 – 675; (BUCCI)- SOLDI, Le recenti
riforme del processo civile, cit., 402 ss.; RECCHIONI, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità
“attenuata” ed estinzione del “pignoramento”, in Riv. dir. proc., 2006, 656 ss.; AMADEI, Le opposizioni e la sospensione del processo esecutivo, in AA. VV., Il nuovo processo di esecuzione, a cura di
CECCHELLA, Milano, 2006, 193; BRUSCHETTA, La riforma del processo civile, 2006, 40 ss.;
82
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Di fatto il legislatore ha operato una netta cesura tra la prima fase del procedimento dell’opposizione esecutiva (che, introdotto con il ricorso depositato
dall’opponente, si svolge dinanzi al giudice dell’esecuzione e si conclude con i
provvedimenti sulla sospensione e sulla competenza, e la seconda fase che dà luogo al processo di cognizione vero e proprio, la cui introduzione è peraltro eventuale
e rimessa alla iniziativa successiva degli interessati.
Conforta tali conclusioni il fatto che il procedimento incidentale celebrato dinanzi al giudice dell’esecuzione è regolato dalle norme sul procedimento camerale
e non da quelle sul processo di cognizione.
Ma una netta cesura tra le due fasi in cui si articola l’opposizione emerge soprattutto dall’art. 616 c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice dell’esecuzione, se ritiene competente l’ufficio giudiziario cui appartiene, fissa un termine
perentorio per la “introduzione della causa di merito”, “previa iscrizione a ruolo”.
L’utilizzazione di tali locuzioni induce a ritenere che l’intenzione del legislatore sia stata quella di collocare ante causam la fase incidentale introdotta con ricorso
dinanzi al giudice dell’esecuzione.
Certo, l’art. 616 c.p.c. crea non pochi equivoci quando stabilisce che, nel caso
in cui la competenza a decidere della causa di opposizione appartenga ad ufficio
giudiziario diverso da quello dinanzi al quale pende il processo esecutivo, debba
provvedersi non alla “introduzione”, ma alla “riassunzione” della causa. Invero, il
concetto di “riassunzione” presuppone la pregressa pendenza di un giudizio ed appare in sé inconciliabile con quello di “introduzione”. Tuttavia, in un contesto siffatto ove il tenore letterale delle disposizioni non soccorre poiché non consente interpretazioni univoche, sembra potersi sostenere che il riferimento ad un’ipotesi di
riassunzione sia più la conseguenza di un refuso (derivante dalla inesatta riformulazione dell’art. 616 c.p.c. che nella stesura antecedente alla riforma prevedeva la
riassunzione nel caso di incompetenza del giudice dell’esecuzione) che una scelta
consapevole.
Diversamente opinando, e cioè attribuendo rilievo centrale e dirimente all’utilizzo del termine “riassunzione”, si finirebbe per negare qualsiasi significato alla
modificazione dell’art. 616 prima parte c.p.c.. Né sembra condivisibile la tesi secondo cui il legislatore abbia prescritto l’introduzione della causa di merito dinanzi
all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell’esecuzione al solo scopo di
sottolineare la necessità che il giudizio fosse deciso con sentenza da un giudice
persona fisica diverso da quello investito del processo esecutivo280, poiché, se questa fosse stata la finalità, non era necessario far riferimento alla causa di merito e
soprattutto prescrivere una nuova iscrizione a ruolo di un processo di cognizione
già pendente.
Ciò non toglie che alla luce della indicazione dell’art. 616 c.p.c. possa prevedersi una riorganizzazione degli uffici giudiziari che preveda l’assegnazione della
causa di opposizione nella fase di merito ad un giudice diverso da quello che dirige
l’esecuzione; questa resta comunque un’indicazione non cogente, ma di mera opBATTAGLIAMADEI, Sub artt. 615 – 619 c.p.c. e 185 disp. att., in AA. VV., La riforma del processo civile,1 a cura di CIPRIANI - MONTELEONE, Padova, 2007, 425.
280
TOTA, op. cit., 572.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
83
portunità281, soluzione questa adottata, anche se limitatamente alle opposizioni agli
atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. con l’introduzione dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c.282.
Per completezza, giova evidenziare che in tempi recenti vi è chi283, condividendo nelle premesse la tesi favorevole alla struttura monofasica delle opposizioni
esecutive, e muovendo, quindi, dalla premessa secondo cui tali opposizioni debbono ritenersi introdotte con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice
dell’esecuzione, ha, tuttavia, sostenuto che la fase svolgentesi dinanzi al giudice
dell’esecuzione e finalizzata alla decisione sull’istanza di sospensiva dovrebbe essere collocata extra causam e, dunque, non in corso di causa (come ritengono i sostenitori della tesi monofasica) né ante causam (come affermano i sostenitori della
tesi bifasica). Più precisamente, il ricorso presentato ai sensi dell’art. 615 co. 2
c.p.c. sancirebbe l’abbinamento di due distinte istanze giudiziali delle quali, la prima diretta al giudice dell’esecuzione e recante la richiesta “immediata ed incondizionata” dell’inibitoria, e la seconda recante la vera domanda contenziosa formulata dall’opponente in via “condizionale”. Più precisamente, secondo tale opinione,
la domanda contenziosa diventerebbe attuale solo allorché l’opponente o le altre
parti legittimate, non prestando acquiescenza al provvedimento reso sulla istanza di
sospensione, dovessero decidere di introdurre o riassumere la causa di merito. Pertanto, in questa prospettiva, la sola introduzione o riassunzione della causa determinerebbe la pendenza del giudizio, anche se con effetti retroattivi alla proposizione del primo ricorso (introduttivo).
4. Lo svolgimento del procedimento dinanzi al giudice dell’esecuzione
4.1. I caratteri del procedimento e la sua natura
Da quanto sopra esposto può allora affermarsi che le opposizioni esecutive
successive si svolgono in due fasi.
Il ricorso depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione ai sensi
dell’art. 615 co. 2 c.p.c. introduce la prima fase che si articola in un procedimento
incidentale interno al processo esecutivo regolato, per espressa previsione dell’art.
185 disp. att. c.p.c. dagli artt. 737 ss. c.p.c. sul rito camerale (e non dalle norme del
processo di cognizione), e destinato a concludersi con un’ordinanza dal duplice
contenuto, che reca i provvedimenti sulla istanza di sospensione e nel contempo
statuisce sulla competenza a conoscere della causa di merito.
281
A tale proposito si rinvia ancora una volta a TOTA, op. cit., 573, nota 4, in cui chiarisce come il
rischio di un non imparziale esercizio dell’attività giurisdizionale da parte del giudice dell’esecuzione
che abbia assunto i provvedimenti sulla sospensione se può ipotizzarsi per le opposizioni ex art. 617
non può configurarsi per le opposizioni di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c.. In tal senso anche ROMANO,
op. cit., 493, nota 17.
282
Cfr. in questo capitolo, par. 5.2.
283
MONTANARI, Il cantiere sempre aperto delle opposizioni esecutive, in Riv. esec. forz., 2010, 411.
84
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Chiusa la prima fase non è ineludibile l’avvio di quella successiva che può, ma
non deve, essere introdotta dai soggetti interessati284.
Ove instaurata, la seconda fase dà inizio alla causa di merito vera e propria, si
svolge secondo le norme del codice di procedura civile che regolano il processo di
cognizione, e si conclude con sentenza.
4.2. La competenza funzionale del giudice dell’esecuzione
Dal combinato disposto degli artt. 615 co. 2 c.p.c. e 616 c.p.c. si desume con
chiarezza che, anche a seguito delle recenti riforme del processo civile, competente
a conoscere delle opposizioni esecutive successive per ciò che concerne la prima
fase a carattere endoprocedimentale è il solo giudice investito dell’esecuzione.
La competenza del giudice dell’esecuzione per ciò che concerne l’esame della
istanza di sospensione e l’assunzione dei provvedimenti sulla competenza è di tipo
funzionale e perciò non derogabile.
4.3. La forma dell’atto introduttivo e la sua notificazione
La prima fase in cui si articola lo svolgimento delle opposizioni esecutive successive, qualunque sia il contenuto delle contestazioni, deve essere introdotta con
ricorso depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione.
Circa il contenuto, l’art. 184 disp. att. c.p.c. dispone che il ricorso, oltre alle
indicazioni di cui all’art. 125 c.p.c., deve recare quelle previste dall’art. 163 n. 3 e 4
c.p.c.
Ciò sta a dire che nel ricorso occorre fare menzione dell’ufficio giudiziario,
delle parti e dell’oggetto del processo, nonché evidenziare la causa petendi ed indicare mezzi di prova anche di tipo documentale. Il ricorso, redatto con le modalità
suindicate, va sottoscritto da un difensore munito di procura alle liti ovvero dalla
parte, se questa è autorizzata a stare in giudizio personalmente.
Circa la forma, si è dibattuto se il ricorso, oltre che scritto, possa essere anche
presentato in udienza mediante comparsa di costituzione o dichiarazione orale. Parte della dottrina si è mostrata contraria alla ipotesi della formulazione orale285, ma
la giurisprudenza286 e la dottrina più recente287 hanno ritenuto ammissibile anche il
ricorso proposto oralmente in udienza.
284
Certo il fatto che si decida di introdurre o meno la causa di merito, che come si è detto è facoltativa, non è sempre senza conseguenze poiché il legislatore ha previsto che il provvedimento di sospensione della procedura esecutiva assunto ai sensi dell’art. 624 c.p.c. può “stabilizzarsi”.
285
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 346; CASTORO, Il processo
esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 791.
286
Cfr. Cass. 3 gennaio 1967, n. 1; Cass. 7 luglio 1973, n. 1955; Cass. 10 febbraio 1972, n. 352; Cass.
1 marzo 1994, n. 2019; Cass. sez. un. 15 ottobre 1998, n. 10187. Nello stesso senso Trib. Bari 27 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 712.
287
MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 448.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
85
Fatta questa premessa occorre stabilire se gli approdi interpretativi del passato
possano ritenersi validi nell’attuale panorama normativo anche se le modifiche introdotte dalle recenti riforme hanno ridefinito le modalità di introduzione delle opposizioni esecutive successive e delineato il ricorso rivolto al giudice dell’esecuzione, non come l’atto introduttivo di un giudizio di merito, ma come un’istanza
finalizzata a provocare la decisione sulla sospensione. Degno di nota ai fini della
problematica in esame è d’altra parte anche il fatto che il legislatore del 2006 abbia
preso una posizione netta nel senso di riconoscere natura propriamente cautelare
all’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 624 c.p.c.288.
Non vi sono ragioni per escludere che anche oggi il ricorso possa rivestire la
forma orale, purché esso rechi un’indicazione delle ragioni della domanda tale da
consentire al giudice di decidere sulla istanza di sospensione compiendo una valutazione prognostica sulla presumibile fondatezza della domanda di merito. Tale
conclusione sembra perfettamente coerente con la costruzione del ricorso come istanza al giudice e non può essere sconfessata dal fatto che il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 624 c.p.c. ha carattere cautelare poiché, come meglio si vedrà in
seguito, nella materia in esame non trova integrale applicazione il procedimento
cautelare uniforme e la forma orale può reputarsi comunque idonea al raggiungimento dello scopo289.
Il ricorso scritto deve essere depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione il quale provvede con decreto alla fissazione dell’udienza di comparizione delle parti assegnando al ricorrente un termine perentorio per la notificazione.
Secondo la pregressa giurisprudenza di legittimità la notificazione nei confronti dei creditori opposti non può essere eseguita ai sensi dell’art. 489 c.p.c., e cioè
presso il domicilio eletto dal procedente nel pignoramento (ovvero nel ricorso presentato ai sensi dell’art. 612 c.p.c. e, nel caso di esecuzione per rilascio nel preavviso) ovvero dagli intervenuti nei rispettivi ricorsi per intervento, ma occorre che
venga compiuta ai sensi dell’art. 138 ss. c.p.c. e, quindi, nel domicilio personale di
ciascuno dei destinatari290. Tale assunto si fondava sul fatto che il ricorso introduceva un giudizio di cognizione, come tale estraneo al processo esecutivo.
L’orientamento anzidetto nell’attuale sistema normativo può però essere ripensato atteso che il ricorso è estraneo alla causa di merito ed introduce un procedimento interno all’esecuzione. Se si condivide tale affermazione può allora ritenersi
che il ricorso proposto ex art. 615 co. 2 c.p.c. ed il pedissequo decreto debbano essere notificati a tutte le parti del procedimento esecutivo nei luoghi in cui queste
abbiano eletto domicilio e, più precisamente, ai creditori in conformità al disposto
dell’art. 489 c.p.c.291 ed al debitore ai sensi dell’art. 492 co. 2 c.p.c.292. Qualora il
288
Ciò si desume dalla scelta di campo operata dal legislatore del 2006 che ha previsto la reclamabilità del provvedimento sulla sospensione ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c..
289
La tesi indicata nel testo è confermata con riferimento alla disciplina attuale da Trib. Bari 27 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 712.
290
Cass. 9 febbraio 1977, n. 583; Cass. 26 aprile 1983, n. 2872; Cass. 27 novembre 1996, n. 10519.
291
In questo senso, vigente l’attuale disciplina, Trib. Bari 27 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 712.
292
Il debitore non è mai il legittimato passivo del giudizio di opposizione all’esecuzione se non quando essa si sia svolta nei confronti del terzo proprietario; solo in quest’ultimo caso, invero, il debitore
86
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
ricorso sia presentato in forma orale le contestazioni in cui si articola debbono essere trascritte nel verbale di udienza che va notificato alle parti non presenti a cura
dell’istante nel termine perentorio concesso dal giudice dell’esecuzione. Il contraddittorio è invece automaticamente instaurato, senza che occorra alcuna notificazione, nei confronti delle parti presenti che siano rappresentate dal difensore293.
La mancata notificazione del ricorso introduttivo ovvero la notificazione di esso oltre il termine perentorio concesso, comporta l’inammissibilità dell’opposizione, rilevabile di ufficio dal giudice294, che non può essere sanata neppure nel caso in cui la parte opposta, cui il ricorso non sia stato notificato o sia stato notificato
oltre il termine, si costituisca con comparsa.
Il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione fissa la comparizione delle
parti (o, nel caso di proposizione del ricorso oralmente in udienza, l’ordinanza con
la quale viene rinviata l’udienza per consentire la notifica del verbale alle parti non
presenti) può disporre anche la sospensione dell’esecuzione, ove sia necessario
provvedere con urgenza, riservando poi al successivo provvedimento, da adottare
nel contraddittorio tra le parti la conferma, modifica o revoca della decisione assunta “inaudita altera parte”.
In questo caso la sospensione ha natura provvisoria ed ha l’esclusiva funzione
di assicurare gli effetti del provvedimento successivo.
Il presupposto per l’adozione del provvedimento prima della instaurazione del
contraddittorio è costituito dalla sussistenza di gravi motivi di urgenza consistenti
nel rischio che il successivo provvedimento di sospensione non sia in grado di evitare il pregiudizio lamentato dall’opponente.
4.4. Il rito applicabile e l’iscrizione della causa a ruolo
Il legislatore per disciplinare lo svolgimento dell’udienza prevista dall’art. 615
co. 2 c.p.c. dinanzi al giudice dell’esecuzione ha richiamato specificamente il procedimento in camera di consiglio.
Nell’interpretazione della norma si è posto il problema di stabilire se il suddetto richiamo riguardi l’intero complesso delle disposizioni dettate dagli artt. 737 ss.
c.p.c. o la sola disciplina della udienza.
Induce a quest’ultima soluzione prima di tutto l’argomento letterale poiché
l’art. 185 disp. att. c.p.c. prevede che “all’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione … si applicano” le disposizioni suddette, ed in secondo luogo
il fatto che gli artt. 737 ss. c.p.c. dettano una regolamentazione quasi del tutto incompatibile con le norme dettate in merito alle opposizioni esecutive.
non è destinatario del pignoramento e, dunque, dell’invito all’elezione di domicilio ai sensi dell’art.
492 c.p.c.. La considerazione svolta circa l’applicabilità dell’art. 492 co. 2 c.p.c. assume rilievo per le
opposizioni esecutive previste dagli artt. 617 e 619 c.p.c..
293
Cass. 16 gennaio 2003, n. 571.
294
Cass. 13 gennaio 1981, n. 292; Cass. 27 luglio 1984, n. 4472.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
87
Per entrare nello specifico, vari sono i profili per i quali il richiamo non può
operare295:
− il ricorso introduttivo dell’opposizione esecutiva è regolato dall’art. 184 delle
disposizioni di attuazione del c.p.c. che ha un contenuto più specifico (“I ricorsi previsti negli articoli 615 co. 2 e 619 del codice, oltre le indicazioni volute dall’art. 125 del codice, debbono contenere quelle di cui ai nn. 4 e 5
dell’art. 163 del codice”) dell’art. 737 c.p.c. nella parte in cui si riferisce
all’introduzione del procedimento camerale (“I provvedimenti che debbono
essere pronunciati in camera di consiglio si chiedono con ricorso al giudice
competente”);
− le norme sui procedimenti camerali prevedono che il provvedimento adottato
sia un decreto mentre gli artt. 618 e 625 c.p.c. stabiliscono che il provvedimento di sospensione dell’opposizione (o “i provvedimenti indilazionabili”) si adotti con ordinanza, salvo che non si debba provvedere con decreto (ma in tal
caso il provvedimento è adottato prima dell’udienza e deve essere, poi, confermato con ordinanza);
− la competenza per i provvedimenti in camera di consiglio è collegiale mentre
quelli in materia di sospensione dell’esecuzione sono adottati dal giudice
dell’esecuzione;
− il decreto emesso in una procedura camerale è reclamabile ai sensi dell’art.
739 c.p.c., mentre l’ordinanza in materia di sospensione esecutiva è reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. con le conseguenti differenze in punto
di competenza;
− le ordinanze di sospensione dell’esecuzione hanno efficacia immediata mentre
i decreti emessi in sede camerale divengono idonei a produrre effetti solo in
caso di mancata proposizione del reclamo, salvo che il giudice, ravvisata
l’urgenza, non disponga diversamente optando per l’esecutività anticipata della
decisione.
Sembra allora ipotizzabile che l’art. 185 disp. att. c.p.c. nella parte in cui richiama gli artt. 737 ss. c.p.c., intenda, per un verso affermare in positivo che alle
udienze dinanzi al giudice dell’esecuzione in sede di opposizione si debba applicare il principio del contraddittorio296 la cui osservanza non è necessaria, come principio generale, nelle procedure esecutive; per altro verso, il rinvio mira a confermare che il giudice dell’esecuzione possa procedere ad “assumere informazioni” (in
conformità al dettato dell’art. 738 co. 3 c.p.c.) e non a compiere gli “atti di istruzione ritenuti indispensabili”, come invece previsto dall’art. 669 sexies c.p.c. sul
procedimento cautelare uniforme297.
Ma a parte tale profili, probabilmente il richiamo alle norme sul procedimento
camerale assolve soprattutto alla funzione di precisare come dinanzi al giudice
295
Ha rilevato la quasi totale incompatibilità della disciplina dei procedimenti camerali alle opposizioni esecutive PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, in Foro it., 2006, V,
212, spec. 213 – 214.
296
Come ha più volte ritenuto la Corte di Cassazione in materia di procedimenti camerali, tra le altre
cfr. Cass. 14 gennaio 1977 n., 170; Cass. 7 febbraio 1996, n. 986.
297
Così MENCHINI- MOTTO, op. cit., 177.
88
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
dell’esecuzione non si applichino le disposizioni stabilite per l’ordinario giudizio di
cognizione (ed, in particolare, il rinnovato art. 183 c.p.c.) secondo quanto previsto
in passato dall’art. 185 disp. att. c.p.c.298 ed a rimarcare il fatto che l’opposizione
esecutiva nella prima fase nulla ha a che vedere con la causa di merito.
Il fatto che il rinvio alle norme di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. sia più formale che
sostanziale consente pure di affermare che, al momento della presentazione del ricorso, il ricorrente non debba versare né il contributo unico previsto per i procedimenti camerali, né, tantomeno, quello per il giudizio di cognizione299.
4.5. I possibili esiti della udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione
Alla udienza di comparizione, ove nessuno compaia il giudice dell’esecuzione,
se risulta versata agli atti la copia notificata del ricorso300, dichiara improcedibile
l’istanza di sospensione e chiude il subprocedimento instaurato ad istanza del ricorrente senza disporre il rinvio ai sensi dell’art. 181 c.p.c. che, come previsto nel caso
in cui nessuna delle parti sia comparsa alla prima udienza di comparizione del giudizio di cognizione, è finalizzato a cancellare la causa dal ruolo, stante
l’inapplicabilità delle disposizioni che regolano quest’ultimo301.
Se una o più parti siano presenti, il giudice verifica l’integrità del contraddittorio e, se accerta che il ricorso non è stato notificato a taluno di coloro che debbono
ritenersi legittimati passivi, concede altro termine, anch’esso perentorio, per provvedere all’incombente.
Sembra comunque che l’ordine di integrazione del contraddittorio, quando adottato dal giudice dell’esecuzione, non trovi fondamento nell’art. 102 c.p.c., inapplicabile perché dettato per il processo di cognizione, ma si giustifichi in virtù del
principio generale che impone di assumere la decisione sentiti tutti gli interessati.
Va da sé che, nel caso in cui il ricorrente non provveda a notificare il ricorso
alle parti indicate dal giudice nel termine concesso in seconda battuta, non troveranno applicazione le conseguenze previste dagli artt. 102 e 307 c.p.c., ma, l’unico
esito possibile sarà la declaratoria di improcedibilità della istanza di sospensione.
Nell’ipotesi fisiologica in cui il contraddittorio sia stato regolarmente instaurato dall’opponente e le parti siano comparse all’udienza fissata, il giudice decide nel
merito sulla istanza di sospensione e statuisce sulla competenza con un provvedimento che ha la forma dell’ordinanza.
298
È questo il parere pressoché unanime della dottrina. Cfr. MENCHINI- MOTTO, op. cit., 177; ARIETA
– DE SANTIS, op. cit., 1738 ss. c.p.c.; TOTA, op. cit. 582; BARRECA, op. cit., 675.
299
Così BARRECA, op. cit., 675.
300
Se il ricorso non è stato notificato ovvero è stato notificato senza rispettare i termini fissati dal giudice l’opposizione è inammissibile e ciò può essere rilevato d’ufficio dal giudice. Cfr. cap. 4, par. 4.5.
301
BARRECA, op. cit., 674. Con riferimento alla normativa vigente prima della riforma del 2006 la
Corte di Cassazione ha ritenuto, invece, applicabile la disciplina prevista dall’art. 181 c.p.c. (cfr. Cass.
22 febbraio 2010, n. 4190) e, con una successiva pronuncia, ha affermato che in caso di mancata
comparizione delle parti il giudice dell’esecuzione deve dichiarare estinto il procedimento subordinatamente alla scadenza del termine per l’eventuale inizio del giudizio di merito, che deve essere comunque fissato (Cass. 31 agosto 2011, n. 17860).
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
89
4.6. Il provvedimento del giudice dell’esecuzione ed il suo duplice contenuto inerente la sospensione e la competenza
Il giudice dell’esecuzione, se con il ricorso introduttivo è stata proposta
un’opposizione all’esecuzione, decide sulla istanza di sospensione ai sensi dell’art.
624 c.p.c..
Il provvedimento sulla sospensione, sia di contenuto positivo che negativo, è
soggetto a reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c..
Con l’ordinanza con cui accoglie o rigetta l’istanza di sospensione il giudice
dell’esecuzione statuisce sulla competenza.
Come si è visto, l’art. 616 c.p.c. stabilisce che se la competenza a decidere la
causa appartiene allo stesso ufficio giudiziario di cui fa parte questi fissa un termine
perentorio per l’introduzione del giudizio di merito mentre, in caso contrario, se competente sia un altro ufficio giudiziario, fissa un termine perentorio per la riassunzione.
Si è già detto302 che, solo impropriamente, il legislatore della riforma ha utilizzato il termine “riassunzione” nella ipotesi in cui la causa di merito vada instaurato
dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello presso il quale pende il processo
esecutivo. Il concetto di riassunzione, secondo l’accezione del codice, si riferisce ai
casi in cui un processo già pendente debba essere proseguito e, conseguentemente,
non si attaglia alla ricostruzione delle norme sin qui propugnata ed alla tesi secondo cui il giudizio di cognizione sull’opposizione viene instaurato solo una volta che
sia stata definita la fase gestita dal giudice del processo esecutivo. Per tirare le fila
del discorso, dunque, la causa di merito, sia che la competenza appartenga all’ufficio giudiziario del giudice dell’esecuzione sia che appartenga ad altro ufficio giudiziario, viene introdotta quando il giudice abbia definito il subprocedimento instaurato dinanzi a sé.
Resta da stabilire se i provvedimenti assunti dal giudice dell’esecuzione sulla
competenza siano impugnabili.
Sembra che a tale proposito possa confermarsi l’orientamento adottato nel vigore delle vecchie norme dalla giurisprudenza che, dopo un iniziale contrasto, aveva ritenuto come il provvedimento assunto sulla competenza dal giudice
dell’esecuzione ai sensi dell’art. 616 c.p.c. (che poteva disporre la prosecuzione del
giudizio dinanzi a sé o, in alternativa, rimettere le parti dinanzi ad altro giudice
competente) costituisca un atto ordinatorio di direzione del processo esecutivo privo di contenuto decisorio, a prescindere dal fatto che le parti avessero o meno manifestato un contrasto in relazione alla individuazione del giudice competente alla
decisione303. Può dunque sostenersi che anche a seguito delle recenti riforme
l’indicazione circa l’ufficio giudiziario competente a decidere la causa di merito
non sia impugnabile con regolamento di competenza304.
302
Cfr. in questo capitolo, par. 3.
Cass. sez. un. 21 luglio 1998, n. 7128 e più di recente Cass. 10 novembre 2003, n. 16868.
304
Sostengono che la tesi espressa da Cass. 21 luglio 1998 n. 7128 sia ancora attuale anche a seguito
della riforma ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1741 ss. c.p.c.; MENCHINI – MOTTO, op. cit., 177 – 178.
303
90
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
La “indicazione” ha la funzione di dirigere l’operato delle parti interessate.
Ciò tuttavia non esclude che queste ultime nel corso del giudizio possano proporre le eccezioni sulla incompetenza ai sensi dell’art. 38 c.p.c. così come non è
escluso che il giudice dell’opposizione possa dichiararsi incompetente305.
È controverso se il provvedimento recante la decisione sulla istanza di sospensione debba regolare le spese processuali. Si deve propendere per la soluzione favorevole alla regolamentazione sulle spese se si ritiene che il provvedimento in oggetto vada inquadrato tra i cautelari anticipatori pronunciati ante causam. Diversamente, ove esso si ascriva tra i cautelari di tipo conservativo devesi aderire alla soluzione di segno opposto.
4.7. L’omessa fissazione del termine per l’introduzione della causa di merito.
Il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza che accoglie o rigetta l’istanza di
sospensione dell’esecuzione deve fissare il termine perentorio per l’introduzione
della causa di merito.
Resta, tuttavia, da stabilire quali siano le conseguenze dell’omessa fissazione
del termine suddetto.
Secondo la giurisprudenza più recente306, in tal caso, le parti hanno una duplice
possibilità. Possono chiedere che, ai sensi dell’art. 289 c.p.c., l’ordinanza emessa ai
sensi dell’art. 624 c.p.c. venga integrata con l’indicazione del termine perentorio.
In alternativa è, tuttavia, ipotizzabile che l’interessato introduca, comunque, la causa di merito atteso che tale facoltà non può essere esclusa sino alla prescrizione del
diritto all’esercizio dell’azione né può configurarsi una decadenza non essendo stato fissato alcun termine e non potendo tale termine ricavarsi da altre disposizioni
del codice di rito307.
5. L’introduzione del giudizio di merito
5.1. Le regole sulla competenza
Come si è visto, l’art. 616 c.p.c. contempla l’ipotesi in cui la competenza a conoscere della causa di opposizione all’esecuzione appartenga ad un ufficio giudi-
L’orientamento indicato dalla dottrina è stato, poi, fatto proprio anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 21 aprile 2010, n. 9511; Cass. 30 giugno 2010 n. 15629) che ha riaffermato,
anche dopo la riformulazione dell’art. 616 c.p.c., l’inammissibilità del regolamento di competenza.
305
In tal senso: Cass. 21 aprile 2010, n. 9511; Cass. 30 giugno 2010 n. 15629.
306
Cfr. Cass. 13 luglio 2011, n. 15343 nonché Cass. 11 luglio 2011, n. 15227; Cass. 23 marzo, 2012,
n. 4760.
307
Nel caso in cui il termine perentorio per l’introduzione della causa di merito sia stato indicato dal
giudice è possibile l’introduzione del giudizio con un atto di qualsiasi parte interessata ma l’atto di
citazione (o il ricorso, nel caso di rito del lavoro) devono, comunque, essere notificati (o depositati)
nel termine; in tal senso, Cass. 19 gennaio 2011.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
91
ziario diverso da quello del giudice dell’esecuzione e stabilisce che, in un’ipotesi
siffatta, la causa di merito vada “riassunta” dinanzi al giudice competente.
Alla luce di detta disposizione occorre stabilire sotto quali profili possa configurarsi un’incompetenza dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende il processo
esecutivo che, a seguito della istituzione del giudice unico e della soppressione
dell’ufficio del pretore, si svolge sempre dinanzi al Tribunale.
Prima di tutto giova rilevare che non vi sono ragioni per escludere un riparto di
competenza per valore in senso verticale tra il Tribunale (cui sempre appartiene il
giudice dell’esecuzione) ed il giudice di pace. Tale riparto avviene in base alla entità del credito per cui si procede.
A seguito della riforma del 2009, ed ai sensi della nuova formulazione dell’art.
7 c.p.c., la causa di merito rientra nella competenza del giudice di pace se il credito
per il quale i creditori agiscono esecutivamente non supera euro 5.000,00, mentre
rientra nella competenza del tribunale se tale credito supera il predetto importo.
Non è chiaro, invece, se sia configurabile anche un riparto di competenza in
senso orizzontale, e cioè per territorio, tra l’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice dell’esecuzione ed altro ufficio giudiziario.
La giurisprudenza, già prima delle recenti riforme sul processo, era orientata a
ritenere che la competenza a decidere delle cause di opposizione all’esecuzione
successive per crediti di lavoro, eccezion fatta per la prima fase, dovesse essere attribuita all’ufficio giudiziario competente per materia e per territorio ai sensi degli
artt. 413 e 444 c.p.c. e non all’ufficio giudiziario individuato dall’art. 27 co. 1
c.p.c.308.
Tale soluzione, adottata solo in via interpretativa, è stata recepita dalla riforma.
L’attuale formulazione dell’art. 618 bis co. 2 c.p.c. nella parte in cui stabilisce che
la competenza del giudice dell’esecuzione resta ferma “nei limiti dei provvedimenti
assunti con ordinanza”, ribadisce la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione quanto alla gestione della fase preliminare dell’opposizione e, dunque, limitatamente alla assunzione dei provvedimenti sospensivi da adottare con
l’ordinanza prevista dall’art. 616 co. 2 c.p.c.. Tale precisazione, in difetto di indicazioni ulteriori, consente pertanto di affermare che per il resto trovano applicazione i comuni criteri di competenza309.
In buona sostanza nel caso di opposizione all’esecuzione successiva fondata su
crediti di lavoro, o analoghi, il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza emessa ai
sensi degli artt. 624 e 616 co. 2 c.p.c., se verifica, in applicazione dei criteri forniti
dagli artt. 413 e 444 c.p.c., che è territorialmente competente a conoscere
dell’opposizione un Tribunale diverso da quello cui appartiene, fissa un termine perentorio per l’introduzione (“riassunzione”) della causa di merito dinanzi a
quest’ultimo.
Si rileva che la soluzione offerta dal legislatore è stata criticata da parte della
dottrina la quale ha sostenuto che sarebbe inopportuno ipotizzare che il processo
esecutivo e la causa di merito sull’opposizione si svolgano dinanzi ad uffici giudi-
308
309
Cass. 4 aprile 1998, n. 3514; Cass. 18 aprile 2003, n. 6337.
Così ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1726. Nello stesso senso Cass. 14 marzo 2008, n. 6882.
92
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
ziari diversi ed ha suggerito l’accoglimento di una lettura alternativa dell’art. 618
bis c.p.c.310.
Deve, infine, rilevarsi che la Corte di Cassazione ha escluso l’ammissibilità del
regolamento di giurisdizione in relazione alle opposizioni esecutive avendo affermato che: “A seguito della formulazione dell'art. 367 cod. proc. civ., così come introdotta dall'art. 61 della l. n. 353 del 1990, il disposto dell'art. 41 cod. proc. civ.
deve essere interpretato nel senso dell'inammissibilità del regolamento di giurisdizione proposto in pendenza di un processo di esecuzione, dovendo l'ambito di applicazione del detto rimedio processuale ritenersi circoscritto entro i confini del
processo di cognizione, rispetto al quale soltanto è possibile riconoscere l'esistenza
di un giudice istruttore e di un collegio, mentre nel processo esecutivo esiste solo
un giudice dell'esecuzione; conseguentemente, neppure nei giudizi di opposizione
che si inseriscono nel corso dell'esecuzione risulta ammissibile il suddetto regolamento giacché la decisione che può essere chiesta con l'istanza atterrebbe, in astratto, solo alla giurisdizione a conoscere dell'opposizione, che, peraltro, non può che
spettare al giudice ordinario una volta che il processo esecutivo sia iniziato dinanzi
a lui.”311
5.2. La forma dell’atto introduttivo, la sua notificazione, l’abbreviazione dei termini a comparire, l’iscrizione a ruolo, il fascicolo d’ufficio
Il giudizio di merito si introduce con atto di citazione se la causa deve essere
trattata secondo le regole del processo di cognizione 312.
Esso va proposto con ricorso ove il rito applicabile sia quello del lavoro e,
dunque, nei casi in cui l’esecuzione si fondi su un titolo avente ad oggetto controversie in materia di lavoro, previdenza ed assistenza obbligatorie ovvero in tema di
locazione313.
Occorre rilevare che l’art. 5 co. 4 lett. d) del decreto legislativo 4 marzo 2010,
n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali”
esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo
comma (facoltativa) dello stesso art. 5 possa essere esperita nei procedimenti di
opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata tra i quali
rientra l’opposizione successiva all’esecuzione314.
310
MENCHINI – MOTTO, op. cit., 180 – 181.
Cass. sez. un. 13 dicembre 2007, n. 26109.
312
Cass. 19 gennaio 2011 nella quale si precisa che “se la causa è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio
fissato dal giudice, mentre l’eventuale concessione di un ulteriore termine per tale notifica o una
nuova citazione ad iniziativa spontanea della parte sono ammissibili solo a condizione che, in relazione all’udienza di comparizione indicata dal giudice o indicata nel nuovo atto di citazione, venga
rispettato il termine perentorio a suo tempo fissato dal giudice dell’esecuzione”.
313
Cfr. Cass. 19 gennaio 2011; la causa di merito non può più essere introdotta secondo il rito societario che è stato abrogato dall’art.55 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
314
Cfr. cap. 1, par. 5.
311
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
93
Non sembra vi siano ragioni ostative alla proponibilità della causa di merito, in
cui si articola l’opposizione alla esecuzione successiva, secondo le forme previste
per il procedimento sommario non cautelare introdotto dalla legge 18 giugno 2009
n. 69 e regolato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c.315.
Il giudizio sommario costituisce un modello processuale alternativo alla cognizione, avente applicazione generale316. Con il rito sommario, cioè, può essere
invocata la tutela giurisdizionale in qualunque direzione (sono, infatti, ammissibili
le domande di condanna, accertamento e costitutive), purché la controversia debba
essere decisa dal Tribunale in composizione monocratica. Ciò significa che restano
escluse le controversie che rientrano nella competenza del giudice di Pace ovvero
del Tribunale in composizione collegiale. È invece controverso se tale procedimento sia applicabile anche alle cause che debbano essere trattate con il rito del lavoro.
Quando la causa di merito venga introdotta, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., nelle
forme del rito sommario, essa deve essere proposta con ricorso, come previsto
dall’art. 702 bis c.p.c..
Tanto l’atto di citazione quanto il ricorso, quest’ultimo unitamente al decreto
di fissazione dell’udienza adottato dal giudice, debbono essere notificati ai sensi
dell’art. 138 ss. c.p.c. in conformità all’orientamento della giurisprudenza che non
ritiene invocabile, per i giudizi di opposizione, l’art. 489 c.p.c. e, dunque,
l’elezione di domicilio compiuta ai fini del procedimento esecutivo nell’ambito del
processo di esecuzione317.
Il giudizio di merito va introdotto nel termine perentorio stabilito ai sensi
dell’art. 616 c.p.c. il che sta a dire che, entro e non oltre il tempo fissato dal giudice
dell’esecuzione, la parte attrice deve provvedere a notificare l’atto di citazione ad
almeno una delle parti opposte, sì da radicare il rapporto processuale, ovvero a depositare il ricorso introduttivo.
Se l’introduzione del giudizio di merito sia compiuta con citazione, al convenuto deve essere concesso un termine a comparire non inferiore a quello stabilito
dall’art. 163 bis c.p.c., ridotto della metà. Il mancato rispetto di tale termine comporta l’applicazione delle comuni sanzioni processuali previste dall’art. 164 c.p.c..
Ove il giudizio di merito venga introdotto con ricorso secondo il rito del lavoro, ovvero con ricorso ai sensi degli artt. 702 bis e ss. c.p.c., il termine a comparire
per il convenuto, previsto rispettivamente dagli artt. 415 c.p.c. per il processo del
lavoro, e dall’art. 702 bis c.p.c. per il rito sommario, deve essere ridotto della metà.
Anche nelle ipotesi da ultimo esaminate la violazione del termine ridotto a
comparire deve ritenersi soggetta alla sanzione processuale prevista dall’art. 164
c.p.c..
L’art. 616 c.p.c. impone alla parte attrice di provvedere all’iscrizione della
causa a ruolo. Tale iscrizione della causa a ruolo segue e non precede l’introduzione del giudizio quando esso viene introdotto con citazione318, mentre è conte315
Cfr. cap. 3, par. 5.
Cfr. (BUCCI) – SOLDI, Le nuove riforme del processo civile 2009, Padova, 2009, 155 e ss..
317
Per l’esame della tesi circa la applicabilità dell’art. 489 c.p.c. nella fase processuale che si svolge
dinanzi al giudice dell’esecuzione, cfr. in questo capitolo, par. 4.3.
318
Da più parti si è, pertanto, sottolineata la incongruenza della formulazione dell’art. 616 c.p.c. nella
parte in cui prevede una “previa iscrizione a ruolo” della causa di merito.
316
94
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
stuale al deposito del ricorso quando l’atto introduttivo debba essere redatto in tale
ultima forma.
La giurisprudenza ha ritenuto che, se il giudice dell’esecuzione è competente
anche per il giudizio di opposizione, può disporre l’acquisizione del fascicolo
dell’esecuzione 319.
Per il disposto dell’art. 186 disp. att. c.p.c., il giudice competente per l’opposizione può richiedere al cancelliere del giudice dell’esecuzione la trasmissione del
ricorso in opposizione, di copia del processo verbale dell’udienza di comparizione
e dei documenti allegati relativi alla causa di opposizione.
Per completezza si segnala che l’art. 186 bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla
legge 18 giugno 2009, n. 69, ha un ambito applicativo circoscritto alla opposizione
agli atti esecutivi. Ne consegue che la causa di merito introdotta ai sensi dell’art.
616 c.p.c. (in relazione alla opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c.) può essere assegnata per la trattazione al giudice persona fisica che ha la direzione del processo
esecutivo e che ha adottato i provvedimenti sulla istanza di sospensione di cui
all’art. 624 c.p.c..
5.3. Le parti legittimate all’introduzione della causa di merito
A norma dell’art. 616 c.p.c. “qualunque parte interessata” ha la facoltà di introdurre il giudizio di merito nel termine perentorio concesso dal giudice dell’esecuzione e ciò, senza che rilevi il fatto che la competenza a decidere sull’opposizione spetti o meno all’ufficio giudiziario presso il quale pende il processo esecutivo.
L’art. 624 co. 3 c.p.c. dispone che il provvedimento di sospensione dell’esecuzione non può stabilizzarsi e condurre all’estinzione del processo di esecuzione
in tutti i casi in cui sia stato introdotto il giudizio di merito.
Alla luce del tenore letterale delle disposizioni richiamate deve pertanto ritenersi che il giudizio di opposizione all’esecuzione possa essere promosso ad istanza, non solo dell’opponente che abbia provveduto a depositare il ricorso introduttivo presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, ma anche a cura degli opposti.
L’introduzione del giudizio di merito, chiunque sia l’istante, deve avvenire nel
termine perentorio stabilito dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 616 c.p.c..
Tali conclusioni trovano sostanzialmente concorde tutta la dottrina320.
319
Cass. 4 settembre 1985 n. 4612.
In questo senso ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1747; MENCHINI - MOTTO, op. cit., 183; TOTA, op.
cit., 576 – 577; ROMANO, op. cit., 493; in senso parzialmente contrario BARRECA, op. cit., 677 ss. la
quale ritiene che all’introduzione della causa di merito possa, di regola, provvedere il solo ricorrente.
La legittimazione dovrebbe invece essere estesa anche agli opposti solo quando, in presenza di un
provvedimento di sospensione dell’esecuzione, il ricorrente abbia invocato la “estinzione del pignoramento” ai sensi dell’art. 624 co. 3 c.p.c.. Solo in quest’ultimo caso le parti opposte avrebbero la
possibilità di curare direttamente l’introduzione del giudizio come può evincersi dal tenore letterale
dell’art. 624 co. 3 c.p.c. nella parte in cui stabilisce che il giudice dispone l’estinzione del pignoramento oggetto della procedura esecutiva sospesa quando non sia stato indotto il giudizio di merito
“fermo restando in tal caso il possibile promuovimento a cura di ogni altro interessato”.
320
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
95
Le posizioni degli interpreti si divaricano, invece, con riferimento alle questioni attinenti l’oggetto della causa di merito e la posizione processuale delle parti in
conseguenza del fatto che, a tutt’oggi, è controverso quale sia il momento al quale
far risalire la pendenza del giudizio di opposizione e gli effetti sostanziali e processuali della domanda ad esso relativa.
Come si è anticipato321, parte della dottrina assume che il legislatore del 2006
abbia “normativizzato” la cosiddetta concezione monofasica delle opposizioni esecutive successive e ritiene conseguentemente che l’opposizione ad esecuzione iniziata debba considerarsi pendente sin dal deposito del ricorso al giudice
dell’esecuzione322. L’intero giudizio, sia per la fase sommaria regolata dalle norme
sui procedimenti camerali che per quella di merito vera e propria, disciplinata delle
disposizioni sul processo di cognizione, sarebbe, quindi, retto dal ricorso originario
e dalla domanda giudiziale in esso formulata. Ragionando in un’ottica siffatta, una
volta conclusa la fase dedicata alla adozione dei provvedimenti sulla sospensione323
e, curata l’introduzione del giudizio di merito, quest’ultimo dovrebbe concludersi
con una decisione sulla domanda giudiziale dell’opponente ovverosia sui motivi
per cui quest’ultimo aveva articolato la contestazione del diritto dei creditori a procedere esecutivamente.
Né tale ricostruzione potrebbe essere smentita nel caso in cui l’iniziativa processuale all’avvio della fase cognitiva vera e propria fosse stata assunta, non dal
ricorrente, ma da uno degli opposti poiché l’introduzione della causa a cognizione
piena, anche quando avvenuta a cura di questi ultimi, sarebbe solo funzionale a
provocare una pronuncia giudiziale con sentenza sul ricorso dell’opponente.
È di tutta evidenza, però, che la prospettiva muta se si muove dall’assunto contrario e si afferma che le opposizioni esecutive successive, a seguito delle recenti
riforme, hanno assunto carattere bifasico324 e si articolano in una prima fase procedimentale, interna al processo esecutivo, introdotta con ricorso al giudice dell’esecuzione e finalizzata alla adozione dei provvedimenti di cui all’art. 624 c.p.c., ed
una seconda fase, coincidente con il processo di merito vero e proprio, che prende
le mosse da un atto introduttivo predisposto a cura della parte che provvede alla sua
instaurazione325. Stando a questa seconda prospettazione, che è quella cui si è ade-
Tutte le interpretazioni che si sono riportate debbono ritenersi ormai superate a seguito della legge 18
giugno 2009, n. 69 che ha riformulato l’art. 624 c.p.c.. Tale disposizione, oggi in modo inequivoco,
prevede che la sospensione del processo esecutivo si “stabilizza” e conduce alla estinzione del processo sospeso in tutti i casi in cui le parti, legittimate alla introduzione della causa di merito ai sensi
dell’art. 616 c.p.c., non vi provvedano nel termine perentorio assegnato dal giudice dell’esecuzione.
321
Cfr. in questo capitolo, par. 3.
322
Per l’indicazione dei sostenitori della struttura monofasica cfr. nota 275.
323
Che non si collocherebbe ante causam, ma avrebbe carattere incidentale nell’ambito del processo
di cognizione piena.
324
Per l’indicazione dei sostenitori della struttura bifasica cfr. nota 279.
Sembra aderire a tale impostazione anche ORIANI, op. cit., 250 il quale sostiene che la causa di merito
è retta dall’atto introduttivo con cui essa viene instaurata nel temine perentorio concesso dal giudice
dell’esecuzione.
325
Per l’esposizione del principio secondo cui legittimati all’introduzione del giudizio di merito sarebbero, non solo il ricorrente, ma anche gli opposti, cfr. in questo capitolo, par. 5.3.
96
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
rito326, il giudizio di opposizione sarebbe pendente solo a decorrere dall’inizio della
seconda fase e, precisamente, dalla notificazione della citazione ovvero, nel caso di
applicazione del rito del lavoro, dal deposito del ricorso.
Tale assunto impone però alcune riflessioni in primo luogo con riguardo alla
posizione processuale delle parti nel corso del giudizio oppositivo.
Se, infatti, la situazione resta sostanzialmente inalterata quando l’introduzione
della causa avvenga ad iniziativa dell’opponente e, dunque, sulla falsariga del ricorso introduttivo (salvo l’ampliamento dei motivi di contestazione nei termini di
cui si dirà al paragrafo successivo), la prospettiva muta nell’ipotesi contraria. Ove
l’atto introduttivo del giudizio di cognizione sia predisposto da uno degli opposti
esso inevitabilmente dovrà avere ad oggetto la formulazione di una domanda di accertamento negativo della fondatezza dei motivi di opposizione dedotti dal ricorrente.
5.4. La posizione processuale delle parti nella causa di merito
Se la causa di merito è instaurata a cura di colui che ha proposto l’opposizione
vi è una identità tra la posizione formale e quella sostanziale delle parti nel passaggio dalla prima fase incidentale a quella contenziosa successiva.
Più complessa è la situazione nel caso in cui il giudizio sia introdotto da un
soggetto diverso dall’opponente che ha predisposto il ricorso al giudice dell’esecuzione poiché in tale ultima ipotesi l’atto introduttivo inevitabilmente avrà ad oggetto una domanda giudiziale di accertamento della infondatezza dell’opposizione
per i motivi dedotti dall’opponente327. Nel caso ipotizzato, l’originario opponente
sarà attore in senso sostanziale, ma convenuto in senso formale mentre, al contrario, la parte opposta che ha provveduto ad introdurre la causa di merito rivestirà il
ruolo di convenuto in senso sostanziale, pur figurando come attore in senso formale.
Tale capovolgimento delle posizioni processuali, nonostante le apparenze, non
pare, però, che possa incidere sulla ripartizione dell’onere della prova. Ove il creditore opposto chieda di accertare l’infondatezza dell’opposizione per i motivi da
questo dedotti non deve fornire prova della insussistenza dei fatti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale ma basta che affermi l’esistenza del suo diritto ed a
tal fine è sufficiente che si riporti alle risultanze del titolo esecutivo che di tale di326
Per l’esame delle opzioni interpretative e degli argomenti a favore della struttura bifasica. Cfr. in
questo capitolo, par. 3.
327
In tal senso RECCHIONI, op. cit., 653 il quale evidenzia come il legislatore della riforma abbia ricostruito i rapporti tra il provvedimento sulla sospensione dell’esecuzione ed il giudizio di opposizione
successivo ispirandosi al modello dei cautelari anticipatori e del principio della “strumentalità attenuata”. In sostanza, cioè, secondo il procedimento cautelare uniforme, in presenza di un provvedimento cautelare di tipo anticipatorio, non solo il beneficiario della cautela, ma anche l’intimato, possono introdurre il giudizio di merito. Ove il giudizio di merito venga instaurato ad istanza
dell’intimato esso viene ricondotto dalla dottrina nell’alveo dell’azione di accertamento negativo (del
diritto già protetto in via cautelare). In sostanza, cioè, l’intimato introdurrebbe una causa avente ad
oggetto (in senso tecnico) l’opposto logico e contrario di quello che avrebbe potuto introdurre il beneficiario della cautela.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
97
ritto accerta la sussistenza. Per esemplificare, se l’opponente deduce l’inesistenza
originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo, o afferma che il diritto fatto valere è
venuto meno per fatti estintivi o modificativi, come, ad esempio, un pagamento, il
creditore attore può limitarsi ad affermare che la sua pretesa è stata fatta valere legittimamente nel processo esecutivo in quanto dimostrata dal documento - titolo.
Non si potrebbe, infatti, esigere dal creditore che abbia introdotto il giudizio di merito di fornire la prova della mancata caducazione del titolo o del venir meno del
diritto per adempimento poiché, ragionando in tale direzione, lo si costringerebbe
alla prova di un fatto negativo.
Leggermente diversa si profila la prospettiva quando le contestazioni abbiano
ad oggetto la pignorabilità dei beni ovvero il difetto di legittimazione attiva o passiva del creditore o del debitore. Anche per ciò che concerne tali ultime ipotesi deve, però, rilevarsi che il problema è più apparente che reale, poiché il creditore che
agisca con una domanda di accertamento negativo è tenuto a fornire prova della esistenza delle condizioni che lo abilitano all’esercizio dell’azione esecutiva negli
stessi casi in cui sarebbe tenuto a farlo ove fosse stato convenuto in giudizio
dall’opponente. Se l’opponente assume il difetto di legittimazione attiva del creditore, negando, ad esempio, la successione nella titolarità del diritto, spetta a chi esercita l’azione esecutiva fornire la prova della modificazione soggettiva nella titolarità del rapporto sostanziale, così come se l’opponente contesta la legittimazione
passiva dell’espropriato, sarà onere del creditore dedurre le ragioni per cui ha indirizzato l’azione esecutiva nei confronti di quel determinato soggetto.
Nello stesso modo ove si deduca l’impignorabilità dei beni è, di regola, compito del creditore dimostrare che ricorrono i presupposti giuridico fattuali che consentono l’esercizio dell’azione esecutiva sull’oggetto prescelto, eccezion fatta per
le ipotesi in cui l’impignorabilità sia in re ipsa.
5.5. L’ampliamento dell’oggetto dell’opposizione a cura dell’opponente o dell’opposto
È opportuno domandarsi se nei casi in cui l’opponente introduce la causa di
merito possa ampliare l’oggetto del giudizio articolando ulteriori motivi di contestazione.
La questione non è di facile soluzione, ma la tesi preferibile è quella secondo
cui l’ampliamento nei termini suddetti è possibile poiché la domanda giudiziale
viene formulata per la prima volta con l’atto introduttivo della causa di merito e
non risulta definita dal ricorso proposto al giudice dell’esecuzione.
In buona sostanza, dunque, l’opponente può proporre l’opposizione
all’esecuzione per i motivi già indicati nell’originario ricorso ma non gli è preclusa
la formulazione di ulteriori domande, in applicazione del principio sancito dall’art.
104 c.p.c.328. Chiaro è, però, che con riferimento alle ulteriori contestazioni non
328
Per i riferimento agli orientamenti giurisprudenziali che ammettono il cumulo delle domande
nell’opposizione all’esecuzione cfr. cap. 2, par. 13.
98
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
formulate nel ricorso ed introdotte per la prima volta nel giudizio di merito, non è
possibile chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione.
Per esempio, se con l’originario ricorso il debitore opponente abbia contestato
il diritto del creditore a procedere esecutivamente deducendo il pagamento e
l’istanza di sospensione sia stata rigettata sotto tale profilo, con l’atto introduttivo
del giudizio di merito l’opponente può prospettare che il diritto fatto valere dal creditore si sia estinto per compensazione; tuttavia, con riguardo a questa ultima eccezione, che si profila “nuova” rispetto al thema decidendum delineato nella fase
dell’opposizione svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione, non può invocarsi la
sospensione, ai sensi dell’art. 624 c.p.c.. Ove il debitore volesse richiedere la sospensione con riferimento a tale ulteriore motivo, dovrebbe, quindi, instaurare
l’opposizione secondo lo schema procedimentale previsto dall’art. 616 c.p.c. proponendo ricorso al giudice del processo esecutivo in modo da provocarne una decisione sulla domanda cautelare.
Per altro verso, si già visto329 che la giurisprudenza ritiene ammissibili le domande riconvenzionali del creditore opposto in un giudizio di opposizione
all’esecuzione. Tale orientamento può essere confermato anche nel panorama normativo attuale. Nessun problema si profila quando il giudizio di merito venga introdotto a cura dell’opponente già ricorrente poiché la situazione è analoga a quella
del passato. Il creditore che vi abbia interesse, nella ipotesi configurata, può proporre domanda riconvenzionale nei termini indicati dalla giurisprudenza al momento della sua costituzione in giudizio con comparsa in conformità a quanto previsto
dall’art. 166 c.p.c.
Ma la prospettiva dell’ampliamento dell’oggetto del giudizio a cura del creditore
non può essere negata neppure nel caso in cui questi abbia assunto l’iniziativa di
promuovere la causa di merito assumendo la posizione di attore in senso formale.
Si è già detto che il creditore, quando diviene attore, deve formulare una domanda giudiziale di accertamento negativo della infondatezza dei motivi di contestazione articolati dall’opponente con il ricorso. Ma nulla osta al fatto che questi
con il medesimo atto introduttivo proponga anche una domanda di contenuto analogo a quella che avrebbe potuto avanzare in via riconvenzionale chiedendo ad esempio, in mero subordine e con riferimento all’ipotesi di rigetto della domanda
proposta in via principale (accertamento negativo della fondatezza delle doglianze
articolate nel ricorso), la condanna del debitore per un titolo diverso330.
Questa ricostruzione che, a seguito della riforma del 2006, prestava il fianco a
critica in considerazione del nuovo regime impugnatorio previsto per le opposizioni esecutive, oggi è del tutto condivisibile e merita adesione. A seguito della legge
18 giugno 2009, n. 69, invero, la sentenza che definisce il giudizio di opposizione
all’esecuzione è soggetta ad appello ragion per cui anche la ipotetica decisione assunta sulle ulteriori domande proposte dall’opponente (in applicazione del criterio
sul cumulo) o dall’opposto (in via riconvenzionale) non è neppure astrattamente
idonea a pregiudicare i diritti di difesa delle parti331.
329
Cfr. cap. 2, par. 13.2.
RECCHIONI, op. cit., 655.
331
Con riferimento all’esame di tale questione cfr. RECCHIONI, op. cit., 658.
330
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
99
5.6. Gli effetti processuali e sostanziali della domanda di opposizione all’esecuzione
La ricostruzione del sistema di introduzione dell’opposizione successiva all’esecuzione pone un ulteriore problema cui occorre prestare attenzione.
Se si accede alla tesi prospettata nel testo, il giudizio di merito sull’opposizione risulta pendente solo a decorrere dall’introduzione della causa cui le parti
provvedono una volta definita la prima fase del procedimento gestita dal giudice
dell’esecuzione e destinata alla decisione sulla sospensione e sulla competenza.
Anche aderendo a tale prospettiva, sembra, però, fuor di dubbio che gli effetti
processuali della domanda decorrano dalla notificazione del ricorso depositato
presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione così come gli effetti sostanziali
della domanda vadano ricollegati alla notificazione del ricorso suddetto.
La tempestività dell’opposizione agli atti esecutivi dovrà, quindi, essere esaminata tenendo conto della data di deposito del ricorso originario, mentre l’interruzione della prescrizione dovrà essere ricondotta alla data di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 185 disp. att. c.p.c., poiché a tali fini non può farsi riferimento alla data di notificazione della citazione nel
termine perentorio previsto dal giudice dell’esecuzione sebbene essa segni la pendenza del giudizio332.
Il legislatore ha inteso, infatti, articolare lo schema procedimentale di introduzione dell’opposizione esecutiva successiva mutuando i principi della strumentalità
attenuata cui è improntata la disciplina dei provvedimenti cautelari di tipo anticipatorio. Ma, se questa è la prospettiva, non può negarsi che l’originario ricorso introduttivo, sebbene collocato ante causam, produca effetti processuali e sostanziali
analoghi a quelli della domanda di merito.
5.7. Il mancato rispetto del termine perentorio per l’introduzione della causa di
merito
Se si aderisce alla tesi esposta nel testo secondo cui la causa di merito viene introdotta quando sia stata definita la fase incidentale finalizzata alla adozione dei
provvedimenti sulla sospensione, è consequenziale ritenere che, ove alla instaurazione si provveda dopo la scadenza del termine perentorio fissato dal giudice
dell’esecuzione, l’opposizione vada dichiarata inammissibile333.
Il giudice dell’opposizione ha, dunque, l’onere di verificare la tempestività
dell’introduzione quando prenda visione del ricorso, se la causa venga introdotta in
tale forma perché regolata dal rito del lavoro, ovvero nel corso della prima udienza
di comparizione delle parti, quando il rapporto processuale sia stato instaurato con
citazione.
332
333
In tal senso RECCHIONI, op. cit., 652.
BARRECA, op. cit., 679.
100
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Per completezza si rileva che quanti aderiscono alla tesi secondo cui il giudizio
di opposizione è pendente sin dal deposito del ricorso introduttivo dinanzi al giudice dell’esecuzione affermano che la mancata introduzione o riassunzione nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione comporta l’applicazione
dell’art. 307 c.p.c. e l’estinzione della causa 334.
Va, fine, precisato che l’opposizione non può essere dichiarata inammissibile e
non è comunque predicabile la soluzione dell’estinzione del giudizio ex art. 307
c.p.c. in tutti i casi in cui il giudice dell’esecuzione non abbia concesso il termine
perentorio per la sua introduzione335.
6. Il rito applicabile
Il rito applicabile alla causa di merito è di regola quello previsto per il processo di cognizione.
Trova applicazione il rito del lavoro quando l’opposizione all’esecuzione abbia
ad oggetto crediti di lavoro, assistenza o previdenza obbligatoria.
Giova, inoltre, segnalare che, a norma dell’art. 616 c.p.c., i termini a comparire
previsti dall’art. 163 bis c.p.c. o da altre disposizioni di legge, ivi compresi quelli di
cui all’art. 415 c.p.c., sono ridotti della metà. In tale prospettiva sembra doversi ritenere che siano dimezzati anche i termini per la costituzione dell’attore e del convenuto. A tale conclusione si perviene considerando che, tanto l’art. 165 c.p.c. che
l’art. 166 c.p.c., prevedono l’abbreviazione dei termini previsti per la costituzione
nelle ipotesi di abbreviazione dei termini a comparire.
Certo è pur vero che gli artt. 415 e 416 c.p.c., dettati per il rito del lavoro, non
dettano prescrizioni analoghe a quelle di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c.. Si ritiene,
tuttavia, che alla abbreviazione dei termini a comparire consegua il dimezzamento
dei termini di costituzione del convenuto, in funzione del bilanciamento degli interessi delle parti contrapposte. Tale principio è stato affermato dalla giurisprudenza
di legittimità in materia di opposizione a decreto ingiuntivo336.
Va, infine, precisato che la causa di merito è regolata dagli artt. 702 bis e ss.
c.p.c. quando sia introdotta nelle forme del rito sommario337.
334
Propende per l’applicazione dell’art. 307 co. 3 c.p.c. TOTA, op. cit., 576; ROMANO, op. cit., 494,
nota 18; MENCHINI – MOTTO, op. cit., 183; AMADEI, op. cit., 195.
335
Cfr. in questo capitolo, par. 4.6.bis
336
Cfr. Cass. 15 marzo 2001, n. 3752. Con tale pronuncia la Cassazione ha affermato che, dalla mancata riproduzione nel testo dell’art. 645 c.p.c. (come modificato dalla novella del 1950), di
un’espressa prescrizione di dimezzamento dei termini di costituzione del convenuto, non è dato evincere che il legislatore non abbia voluto disporre in ogni caso la riduzione dei termini. Il legislatore
avrebbe, infatti, inteso lasciare che tale riduzione si verifichi o meno, secondo che l’opponente si avvalga o non della facoltà di assegnare un termine di comparizione ridotto. In sostanza, quindi, in ogni
caso di abbreviazione del termine a comparire (disposto per decreto presidenziale ai sensi dell’art.
163 bis c.p.c. o ai sensi dell’art. 645 cpv. c.p.c. per l'esercizio di una facoltà discrezionale attribuita
dalla legge), la riduzione del termine a comparire comporta il dimezzamento dei termini di costituzione delle parti, in conformità a quanto previsto dagli artt. 165 e 166 c.p.c. poiché ciò garantisce
l’esigenza di bilanciamento degli interessi delle parti contrapposte.
337
Cfr. in questa parte ed in questo capitolo, par. 5.2.
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
101
7. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva o tra plurime opposizioni all’esecuzione successiva
La giurisprudenza non ha seguito un orientamento univoco sulla questione relativa ai rapporti tra la causa di opposizione al precetto e la causa di opposizione al
pignoramento promosso sulla base dello stesso precetto. Con alcune pronunce, anche recenti338, ha affermato che i due giudizi sopraindicati sono identici per petitum e causa petendi 339 e che tra essi è dunque configurabile la litispendenza, ma
non sono mancati arresti in senso contrario340.
Anche accedendo alla tesi favorevole alla configurabilità di una litispendenza
tra le cause innanzi indicate, essa non potrebbe produrre gli effetti previsti dall’art.
39 c.p.c. quando i giudizi pendano in gradi diversi. Onde evitare il pericolo di un
contrasto tra giudicato nella ipotesi da ultimo esaminata occorre, pertanto, fare applicazione dell’art. 295 c.p.c. e cioè sospendere l’opposizione successivamente introdotta in attesa della definizione con sentenza della prima causa341.
Va da ultimo precisato che la giurisprudenza ha escluso la litispendenza tra
due giudizi di opposizione all’esecuzione promossi con riferimento a distinti processi esecutivi ancorché intrapresi sulla base del medesimo titolo giudiziale342.
8. La sospensione feriale dei termini
Come si ricava dalla espressa previsione dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario richiamato dall’art. 3 l. 7 ottobre 1969, n. 742, la sospensione feriale dei termini processuali non si applica ai giudizi di opposizione alla esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi preventivi e successivi nonché all’opposizione di terzo
alla esecuzione343.
338
Nel senso della configurabilità di rapporto di litispendenza, di recente, Cass. 20 luglio 2010, n.
17037.
339
Cass. 24 ottobre 1986, n. 6235; Cass. 18 gennaio 1988, n. 335; Cass. 16 giugno 2000, n. 8214.
340
Negano la litispendenza tra i due giudizi citati; Cass. 4 marzo 1999, n. 1831; Cass. 18 giugno
2001, n. 8222. Va evidenziato come risulti evidente che, se si nega la litispendenza, il rapporto tra i
due giudizi non può che essere di continenza poiché il petitum della causa di opposizione alla esecuzione successiva è più ampio di quello dell’opposizione alla esecuzione preventiva.
341
Cass. 16 giugno 2000, n. 8214.
342
Cass. 8 maggio 1993, n. 5305.
343
Cass. 19 giungo 1996, n. 5674; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12768; Cass. 26 aprile 2000, n. 5345;
Cass. 25 giugno 2003, n. 10132. Per la specifica affermazione secondo cui non sono soggette a sospensione feriale dei termini anche le opposizioni al precetto Cass. 19 marzo 2010, n. 6672; Cass. 27
aprile 2010, n. 9998; Cass. 6 maggio 2010, n. 10972; Cass. 23 settembre 2010, n. 20101. Tuttavia, in
dottrina non mancano opinioni di segno contrario. CAPPONI, Opposizione a precetto e sospensione
feriale dei termini, in Riv. esec. forz., 2010, 422 ss. il sostiene che non vi sarebbe motivo per ritenere
sottratti alla sospensione feriale dei termini tanto le opposizioni agli atti esecutivi (stante la previsione
letterale dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario che fa riferimento alle opposizioni all’esecuzione)
quanto le opposizioni a precetto poiché queste ultime, non incidendo sul processo esecutivo, sarebbero estranee alla ratio del citato art. 92.
102
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Siffatta esclusione non è prevista nell’interesse del debitore esecutato, ma è finalizzata a garantire una sollecita definizione delle cause relative alle opposizioni
esecutive anche ove l’esecuzione sia stata conclusa344 per cui opera anche quando
sia cessata la materia del contendere e la causa di opposizione debba proseguire ai
soli fini del regolamento delle spese processuali345.
A tale proposito va ancora segnalato che, secondo la giurisprudenza, la sospensione feriale dei termini opera anche quando il creditore abbia proposto domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere una pronuncia di condanna che tenga
luogo del titolo esecutivo, la cui esistenza sia stata contestata dal debitore, semprechè la domanda riconvenzionale non sia stata neppure esaminata a causa del rigetto
dell’opposizione346.
In via interpretativa si è ritenuto che la regola che sancisce l’inapplicabilità
della sospensione dei termini processuali si estenda anche alle controversie distributive347, al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo348 nonché al giudizio di
divisione endoesecutivo, promosso ai sensi dell’art. 601 c.p.c.349.
Il principio secondo cui le opposizioni esecutive non sono sottoposte a sospensione durante il periodo feriale deve intendersi riferito all’intero corso del procedimento, sicché esso ha indiscutibilmente riferimento anche ai tempi per proporre ricorso per cassazione350.
In difetto di una specifica previsione si ritengono, invece, soggetti alla sospensione tutti i termini del procedimento esecutivo351.
9. La decisione e l’impugnazione della sentenza
A seguito della riforma sul processo civile del 2006, l’art. 616 c.p.c. disponeva
che l’opposizione all’esecuzione successiva è decisa con sentenza inimpugnabile352.
Tale previsione, che in virtù del richiamo operato dall’art. 619 c.p.c. all’art.
616 c.p.c., era applicabile anche all’opposizione di terzo all’esecuzione, aveva uni344
Cass. 20 marzo 2006, n. 6103; Cass. 15 marzo 2006, n. 5684.
Cass. 25 giugno 2003, n. 10132; Cass. 23 gennaio 1998, n. 658.
346
Cass. 4 ottobre 2010, n. 20595; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688.
347
Cass. 24 gennaio 2006, n. 1331 nonché, sempre con riferimento al testo dell’art. 512 previgente
(anteriore alla novella del 2005 – 2006) Cass. sez. un.. 6 maggio 2010, n. 10617. Si osserva, comunque, che la questione oggi è priva di rilievo in quanto le controversia distributive confluiscono nella
fase contenziosa solo quando l’ordinanza del giudice della esecuzione che le risolva sia impugnata ai
sensi dell’art. 617 c.p.c.. La sospensione feriale è, perciò, inapplicabile in virtù della norma che la esclude per le opposizioni agli atti esecutivi.
348
Cass. 6 giugno 2008, n. 15010; Cass. ord. 10 marzo 2010, n. 5778; Cass. ord. 5 marzo 2010, n.
5451.
349
Cass. 28 gennaio 2010, n. 1801 che, facendo leva sul principio della eadem ratio, approda alla
conclusione indicata, in virtù di interpretazione estensiva e non analogica), sostenendo che anche tali
divisioni provocano una stasi del processo esecutivo.
350
Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041.
351
Cass. 29 luglio 1986, n. 4841.
352
Con riferimento alla decisione emessa sull’opposizione all’esecuzione cfr. cap. 2, par. 15.
345
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
103
formato il regime impugnatorio delle opposizioni di merito successive353 a quello
già previsto per le opposizioni di forma, preventive e successive che da sempre,
stante il disposto dell’art. 618 c.p.c., sono definite con sentenza inimpugnabile.
In detto panorama normativo tutte le pronunce giudiziali che definivano le opposizioni esecutive successive354 (e le opposizioni agli atti esecutivi proposte in via
preventiva) dovevano ritenersi soggette al solo ricorso in cassazione per violazione
di legge, ex art. 111 co. 7 Cost.355.
Su questo punto la riforma del 2006 aveva, però, suscitato notevoli perplessità
tanto che, da più parti, si era prospettata la tesi che l’art. 616 c.p.c. non fosse conforme ai principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost.356.
In particolare si era sostenuto che, se la sottrazione della sentenza all’appello
poteva essere ammessa nel caso dell’opposizione agli atti esecutivi, una analoga
soluzione non si giustificava per l’opposizione all’esecuzione, soprattutto con riguardo ai casi in cui le contestazioni del diritto dei creditori ad agire esecutivamente fossero fondate su ragioni di merito tanto da avere un oggetto, in tutto analogo a
quello di un ordinario processo di cognizione, e preordinato all’accertamento del
diritto sostanziale documentato dal titolo esecutivo.
Nonostante l’ampio dibattito, di recente, la Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 616 co. 1 ultimo periodo
c.p.c. che ha qualificato “non impugnabile” la sentenza che definisce il giudizio di
opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione)357.
353
Per l’esame dell’opposizione all’esecuzione preventiva cfr. cap. 3.
Cass. 3 agosto 2011, n. 17349 ha precisato che il regime di inimpugnabilità si applicava anche alle
cause di opposizione successive all’esecuzione ed agli atti esecutivi regolate dall’art. 618 bis perché
relative alle materie trattate con il rito del lavoro.
355
Giova rammentare che il ricorso straordinario è oggi espressamente riconosciuto dall’art. 360 co. 4
c.p.c. (come aggiunto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) e può essere proposto per gli stessi motivi
previsti per il ricorso ordinario. Contrariamente a quanto ritenuto in via interpretativa dalla giurisprudenza (Cass. 17 marzo 1998, n. 2848; Cass. 9 aprile 1999, n. 3470; Cass. 30 giugno 2005, n. 13978)
è, dunque, possibile impugnare la sentenza con ricorso straordinario facendo valere per ogni aspetto il
vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c..
356
Così TOTA, op. cit., 583; ROMANO, op. cit., 498; RECCHIONI, op. cit., 658 ss. il quale afferma che la
soluzione adottata dal legislatore non è conforme a Costituzione se si ritiene che nel giudizio di opposizione all’esecuzione rientri l’accertamento della esistenza del diritto di credito.
357
Corte Cost. 13 marzo 2008, n. 53. Con tale pronuncia la Consulta ha dichiarato inammissibili le
questioni di costituzionalità dell’art. 616 ultimo comma c.p.c. sottoposte al suo vaglio. La sentenza in
esame, secondo quanto si ricava dalla motivazione, sembra, comunque, lasciare spazio ad una riproposizione della questione sotto altro profilo. Da un lato la Corte ha, infatti, osservato che
l’equiparazione del regime impugnatorio dell’opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione) e
dell’opposizione agli atti esecutivi non è di per sé irragionevole (perché non è detto che essa si fondi
sulla medesima ratio) e dall’altro lato ha evidenziato come la scelta di sancire l’inappellabilità delle
sentenza che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione e di terzo all’esecuzione si atteggiano
in termini differenti a seconda che l’azione esecutiva sia stata esercitata in virtù di titolo giudiziale
(“…il giudizio di opposizione all’esecuzione può concernere anche ipotesi in cui questa si fonda su
titoli giudiziali, e addirittura su sentenza passata in giudicato, titoli riguardo ai quali non si ravvisano
le addotte cause di irragionevolezza dell’inappellabilità della sentenza che decide sull’opposizione
all’esecuzione..”) o stragiudiziale.
354
104
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
Tutte le problematiche di cui si è detto sono state, però, superate dalla legge 18
giugno 209, n. 69 che, novellando l’art. 616 c.p.c., ha eliminato la previsione secondo cui “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”.
La pronuncia giudiziale che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione
(nonché quello di opposizione di terzo all’esecuzione, stante il rinvio operato
dall’art. 619 c.p.c. all’at. 616 c.p.c.) torna ad essere soggetta al regime impugnatorio ordinario ed è, dunque, impugnabile in secondo grado con l’appello ed in terzo
grado con il ricorso per cassazione.
Non può, infine, revocarsi in dubbio che le sentenze di cui si è detto siano
soggette anche a regolamento di competenza.
Sono, quindi, ormai superate le elaborazioni della dottrina che, accedendo ad
una interpretazione estensiva dell’art. 187 c.p.c., era favorevole ad ammettere la
proponibilità del regolamento di competenza anche in relazione alle sentenze emesse nei giudizi sulla opposizione alla esecuzione e di terzo all’esecuzione358.
10. Il regime transitorio
La legge 28 febbraio 2006 n. 52 ha novellato l’art. 616 c.p.c. nella parte in cui
regola la introduzione della opposizione all’esecuzione proposta ad esecuzione iniziata.
Detta legge non recava alcuna disposizione transitoria ed all’art. 22 si limitava
a fissare per il 1° marzo 2006 la data della sua entrata in vigore.
In virtù del principio del tempus regit actum si era dunque ritenuto che le modifiche da essa introdotte trovassero applicazione, non solo ai processi instaurati a
decorrere dal 1° marzo 2006, ma anche a quelli che alla predetta data fossero già
pendenti e che la nuova disciplina relativa alla introduzione del giudizio di opposizione previsto dall’art. 615 c.p.c. riguardasse tutti i giudizi nei quali, depositato il
ricorso in cancelleria anche prima dell’1 marzo 2006, non si fosse ancora tenuta la
prima udienza di comparizione dinanzi al giudice dell’esecuzione359.
Successivamente, anche la legge 18 giugno 2009 n. 69 ha parzialmente innovato, in modo diretto o indiretto, la disciplina delle opposizioni esecutive.
Il legislatore del 2009 ha modificato per molteplici aspetti le disposizioni dettate dal libro primo e dal libro secondo del codice di rito che risultano applicabili
anche alle opposizioni esecutive (che sono ascrivibili tra i processi di cognizione
ordinaria) ed ha, poi, novellato l’art. 616 c.p.c. eliminando la previsione secondo
cui “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”.
Anche la riforma del 2009 rende, quindi, necessario l’esame del regime transitorio.
358
BOVE – (BALENA), op. cit., 287; ROMANO, op. cit., 497, nota 34; CANAVESE, op. cit., 1101;
MENCHINI - MOTTO, op. cit., 183 ss.; TOTA, op. cit., 582; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1767 – 1768.
359
Così CAPPONI, L’entrata in vigore, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di
CAPPONI – BRIGUGLIO, Padova, 2007, 715; TOTA, op. cit., 586 – 587 nonché MENCHINI – MOTTO, op.
cit., 184 ss..
CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE
105
A tale proposito va segnalato che, ai sensi dell’art. 58 della legge 18 giugno
2009, n. 69, le disposizioni che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (comma 1). Sempre l’art. 59 stabilisce,
tuttavia, che la disposizione dettata dall’art. 616 c.p.c., che ripristina il regime impugnatorio ordinario delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione
all’esecuzione, è immediatamente invocabile.
Ciò comporta che le novità introdotte dall’ultima riforma, eccezion fatta per
il regime di impugnazione della sentenza, risulteranno applicabili alle opposizioni
esecutive (regolate dagli artt. 615, 616, 617, 618 e 619 ss. c.p.c.) e, più precisamente, per quel che qui interessa, alle opposizioni all’esecuzione, quando tali opposizioni siano state proposte a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 18
giugno 2009 n. 69 ( e cioè dal 4 luglio 2009).
Si tratta, però, di stabilire se ai fini della applicazione della nuova normativa
sia necessario aver riguardo alla data in cui il ricorso introduttivo sia stato depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione ovvero alla data in cui venga
introdotta la causa di merito nel termine perentorio assegnato dal giudice
dell’esecuzione. Ove si accedesse alla seconda tesi, invero, le disposizioni di cui
alla legge 18 giugno 2009, n. 69 sarebbero invocabili anche quando il ricorso introduttivo sia stato depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione in
data antecedente al 4 luglio 2009.
La risposta a tale quesito presuppone il richiamo alle considerazioni già
svolte sulla natura “monofasica” o “bifasica” della opposizione esecutiva proposta
a processo di esecuzione iniziato.
Se si accede alla tesi bifasica cui si è prestata adesione il giudizio di cognizione risulta pendente dalla data di introduzione della causa di merito, talché le
norme dettate dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 risultano applicabili nelle ipotesi
in cui, definita la fase dinanzi al giudice dell’esecuzione ed assegnato il termine perentorio, l’atto di citazione sia stato notificato alla controparte o il ricorso (nei casi
previsti dall’art. 618 bis c.p.c.) depositato a decorrere dal 4 luglio 2009.
Quanto al regime di impugnazione delle sentenze che definiscono i giudizi di
opposizione all’esecuzione, stante il disposto dell’art. 59 della legge 18 giugno
2009, n. 69, deve ritenersi che siano appellabili quando pubblicate a decorrere dal 4
luglio 2009.
Restano, dunque, inimpugnabili tutte le pronunce, emesse ai sensi del combinato disposto degli artt. 615 e 616 c.p.c., che siano state pubblicate sino al 3 luglio
2009.
106
L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE
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