L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE: STRUTTURA E FUNZIONE1 ANNA MARIA SOLDI CAPITOLO PRIMO LE OPPOSIZIONI ESECUTIVE IN GENERALE SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La funzione e la struttura delle opposizioni esecutive. - 3. Il principio di tassatività delle opposizioni esecutive. - 4. Le classificazioni delle opposizioni esecutive e la distinzione tra opposizioni preventive ed opposizioni successive. 5. Le opposizioni esecutive e la disciplina della mediazione obbligatoria delle controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 1. Premessa Il codice di rito del 1865 non conteneva un titolo dedicato alle opposizioni nel processo esecutivo anche se numerose norme inserite nella disciplina della esecuzione mobiliare ed immobiliare consentivano al debitore di contestare l’esecuzione sotto il profilo della esistenza ed entità del credito ovvero della nullità del processo2. 1 Il testo è tratto da SOLDI “Manuale dell’esecuzione forzata”, Padova, 2012 (terza edizione) ed è stato aggiornato con la giurisprudenza successiva alla sua pubblicazione (aggiornata al 30 agosto 2012). 2 Si occupavano della materia nell’espropriazione mobiliare gli artt. 579, 580, 645, 649, 655 dai quali poteva ricavarsi che: 1) l’opposizione a precetto non aveva di regola carattere sospensivo; 2) l’opposizione agli atti successivi non poteva portare alla sospensione della vendita se non quando ordinata dalla autorità competente; 3) qualunque opposizione anche per nullità non era più proponibile dopo la vendita o l’assegnazione; 4) le sentenze che rigettavano le eccezioni di nullità non erano appellabili salvo che la nullità riguardasse il titolo esecutivo. La materia dell’espropriazione immobiliare era trattata dagli artt. 660, 695, 696, 697, 702 dai quali poteva ricavarsi che: 1) l’opposizione tempestiva a precetto sospendeva l’esecuzione solo se proposta nei trenta giorni dalla sua notificazione; 2) le eccezioni di nullità del giudizio di espropriazione, individuate dall’art. 702 c.p.c., dovevano proporsi a pena di decadenza almeno quindici giorni prima dell’udienza fissata per l’incanto; 3) nel caso di accoglimento dell’eccezione di nullità occorreva che la procedura riprendesse dall’ultimo atto invalido; 4) erano appellabili le sentenze che rigettavano le eccezioni di nullità. 2 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Mancava però una sistemazione complessiva della materia nonché l’elaborazione di un sistema che distinguesse i rimedi oppositori in base al contenuto delle contestazioni proponibili3. Un tentativo in questo senso venne posto in essere dalla dottrina4 e dalla giurisprudenza5 e gli esiti di queste elaborazioni furono recepite dal legislatore del 1940. Le opposizioni sono oggi disciplinate nel titolo quinto del libro terzo del codice di procedura civile che disciplina l’opposizione alla esecuzione, l’opposizione agli atti esecutivi e l’opposizione di terzo all’esecuzione. Il titolo quinto è ripartito in due capi e la distinzione è connessa alla individuazione dei soggetti muniti della legittimazione attiva. Il capo primo è, infatti, intitolato alle “opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all’esecuzione” mentre il capo secondo è intitolato alle “opposizioni di terzi”. La disciplina del capo primo è poi ripartita in tre sezioni dedicate rispettivamente, la prima alle “opposizioni all’esecuzione” (artt. 615 e 616), la seconda alle “opposizioni agli atti esecutivi” (artt. 617 e 618), e la terza alle “opposizioni in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza” (artt. 618 bis c.p.c.). La disciplina del capo secondo è per intero destinata a regolare le “opposizioni dei terzi” (artt. 619 - 622). Va comunque precisato che la distinzione che il codice compie tra le opposizioni esecutive facendo leva sul criterio della legittimazione attiva ha un carattere puramente programmatico, o per meglio dire descrittivo o orientativo6, nel senso cioè che non impedisce il riconoscimento della legittimazione a soggetti diversi da quelli individuati dal legislatore come “opponenti tipici”7. Il complesso delle disposizioni che regolano la materia in esame è stato innovato dalle recenti riforme sul processo. Le novità introdotte non hanno inciso sulla collocazione sistematica delle norme che resta quella sin qui ricostruita, ma hanno operato trasformazioni degne di nota su alcuni punti cardine della disciplina. In primo luogo è stata recepita dal legislatore la cosiddetta concezione “bifasica” delle opposizioni elaborata in via interpretativa dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Il procedimento si articola in due fasi: 3 Per un esame del panorama normativo antecedente e delle questioni interpretative cfr. ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 3 ss.. 4 CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile. Processo di esecuzione, III, Padova, 1933, 174 che ha operato la distinzione tra opposizioni di merito aventi ad oggetto l’accertamento negativo, totale o parziale, del debito e della sua esigibilità e le opposizioni di ordine che mirano all’accertamento delle nullità del processo esecutivo. L’Autore faceva, però rientrare nelle opposizioni di merito che preludono alla opposizione alla esecuzione prevista dall’art. 615 c.p.c. anche la deduzione della mancanza del titolo esecutivo e l’impignorabilità dei beni. In senso diverso SATTA, L’esecuzione forzata, Milano, 1937, 108 ss. e 395 ss. il quale, pur recependo la distinzione tra opposizione di merito e d’ordine fa rientrare nella prima la contestazione relativa al difetto del titolo esecutivo e l’impignorabilità dei beni. 5 Per un’indicazione della giurisprudenza che operava una classificazione delle opposizioni cfr. MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, V, Torino, 1932, 368 e ss.. 6 In questo senso MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 433. 7 La dottrina e la giurisprudenza, come si illustrerà in seguito, hanno manifestato una tendenza sempre maggiore ad ampliare la categoria dei soggetti legittimati a proporre le opposizioni esecutive trasformandole in uno strumento di tutela utilizzabile da tutti i potenziali interessati. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE – 3 la prima si svolge dinanzi al giudice della esecuzione ed è finalizzata solo alla decisione sulla istanza di sospensione ed alla adozione dei provvedimenti sulla competenza – la seconda, a carattere eventuale, determina l’instaurazione del giudizio di cognizione vero e proprio. Le novità sul rito sono poi completate dalla previsione espressa dell’inappellabilità delle sentenze emesse in relazione, non più solo alla opposizione agli atti, ma a tutte le opposizioni esecutive introdotte dopo l’inizio dell’esecuzione. La riforma ha, inoltre, attribuito al giudice investito dell’opposizione all’esecuzione precedente all’inizio dell’esecuzione8 un potere sospensivo che, in considerazione del momento in cui viene esercitato, può avere ad oggetto, non già il processo, non ancora pendente, ma l’efficacia del titolo esecutivo. Ed, ancora, il legislatore della novella ha inciso sul termine perentorio di decadenza previsto per la proposizione delle opposizioni agli atti esecutivi portandolo da cinque a venti giorni. Profonde sono infine le modifiche introdotte con riferimento all’istituto della sospensione del procedimento esecutivo delle quali meglio si dirà nel prosieguo. Merita, infine, rilevare che secondo l’interpretazione affermatasi prima della riforma apparteneva alla categoria delle opposizioni esecutive in senso lato anche la controversia distributiva regolata dall’art. 512 c.p.c. quantunque la norma fosse inserita tra quelle dedicate all’espropriazione forzata in generale9. La riforma del 2005-2006 ha, però, radicalmente trasformato la fisionomia dell’art. 512 c.p.c.: la controversia distributiva, secondo la nuova formulazione della norma, non si traduce necessariamente in un incidente cognitivo; l’art. 512 c.p.c. stabilisce, infatti, che la contestazione svolta dal debitore o dai creditori viene risolta dal giudice dell’esecuzione con un provvedimento avente la forma dell’ordinanza la quale può essere impugnata dagli interessati con l’opposizione agli atti esecutivi. È di tutta evidenza, quindi, che la controversia distributiva può essere ricondotta al genus delle opposizioni esecutive solo nel caso in cui le parti non prestino acquiescenza al provvedimento giudiziale a carattere esecutivo che dirime la lite, ma ne contestino il contenuto ai sensi dell’art. 617 c.p.c.. Va da sé, peraltro, che essa non costituisce, come si riteneva in precedenza, un terzo tipo di opposizione (la c.d. “opposizione distributiva”), ma rientra nell’ambito della opposizione agli atti esecutivi. 2. La funzione e la struttura delle opposizioni esecutive 8 9 Per l’illustrazione dei rapporti tra opposizioni preventive e successive cfr. cap. 2 - 3. MANDRIOLI, op. cit., 433. 4 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Le opposizioni esecutive trovano la loro principale ragion d’essere nel principio della efficacia incondizionata del titolo esecutivo10. Tale principio è quello in forza del quale il processo di esecuzione può essere avviato e portato a compimento dagli organi giurisdizionali a ciò preposti alla sola condizione che il diritto che si intende soddisfare trovi evidenza in un documento che, in quanto riconducibile al catalogo dei titoli esecutivi previsto dall’art. 474 c.p.c., gli attribuisca una certezza giuridica sufficiente a consentire la sua attuazione pratica senza la necessità di verifiche ed accertamenti ulteriori. Ma se il titolo esecutivo è dotato della efficacia che lo connota perché reca la rappresentazione della realtà giuridica esistente al momento in cui viene formato, occorre tenere presente che il diritto consacrato nel titolo può subire nel tempo una modificazione per fatti successivi; né d’altro canto può ignorarsi che le attività svolte dagli organi giurisdizionali preposti alla sua attuazione potrebbero essere compiute in violazione dello schema dettato dalla legge e, dunque, in modo illegittimo. Ebbene le opposizioni hanno proprio la funzione di ovviare al pericolo che il diritto risultante dal titolo possa essere attuato senza tenere conto degli accadimenti che abbiano inciso sulla sua esistenza o anche solo sulla sua portata ovvero che il procedimento di esecuzione si svolga sulla base di atti illegittimi. In ragione della funzione che assolvono, le opposizioni esecutive sono strutturalmente autonome, ma nel contempo funzionalmente collegate al processo di esecuzione. Sono strutturalmente autonome in quanto, pur trovando occasione nello svolgimento del processo, si svolgono non nella sede esecutiva, ma in quella di cognizione e danno luogo ad un accertamento destinato a chiudersi con una sentenza idonea al giudicato; sono funzionalmente collegate al processo esecutivo poiché, da un lato, non possono essere introdotte prima che l’esecuzione sia stata promossa, o anche solo preannunciata con la notificazione del precetto, ma non dopo che essa si sia conclusa e, dall’altro, l’eventuale loro accoglimento impedisce la proseguibilità dell’azione esecutiva. Per trarre le conclusioni di quanto sin qui esposto può peraltro affermarsi che nel giudizio di opposizione si decide “se” il processo esecutivo possa proseguire nonostante la contestazione della esistenza di un diritto ad agire esecutivamente e “come” esso possa svolgersi dal punto di vista formale11. 3. Il principio di tassatività delle opposizioni esecutive La materia delle opposizioni esecutive è regolata dal principio della tassatività, nel senso cioè che nel nostro sistema normativo non esistono altre opposizioni oltre 10 LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 1936, 182; MANDRIOLI, op. cit., 433; VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giur. sist. dir. proc. civ., a cura di PROTO PISANI, Torino, 1993, 234. 11 Tale terminologia utilizzata per la prima volta da CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 812 è stata ripresa dalla giurisprudenza sin dagli anni settanta ed è ormai utilizzata nel linguaggio comune. Cfr. per una prima applicazione di tali concetti in giurisprudenza Cass. 12 luglio 1974, n. 2108; Cass. 9 novembre 1973, n. 2957; Cass. 11 luglio 1975, n. 2765. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 5 a quelle regolate dagli artt. 615 ss. c.p.c. eccezion fatta, seppure nei limiti innanzi esposti, per quella prevista dall’art. 512 c.p.c.. Il principio della tassatività di cui si è detto ha trovato pieno riconoscimento sia in dottrina che in giurisprudenza12. In particolare, non rientrano nella categoria in esame alcuni procedimenti a carattere incidentale che si innestano sul processo e che comportano accertamenti a carattere cognitivo13. In questa ottica si esclude14 che siano assimilabili alle opposizioni esecutive l’istituto della limitazione dei mezzi espropriativi previsto dall’art. 483 c.p.c. ovvero gli istituti della riduzione o conversione del pignoramento, contemplati rispettivamente dall’art. 496 e dall’art. 495 c.p.c.. Sebbene possa indurre in errore la formulazione dell’art. 483 c.p.c. nella parte in cui ammette la “opposizione del debitore”, deve ritenersi che tutti i subprocedimenti cui si è fatto cenno non possano ascriversi alla categoria delle opposizioni esecutive perché non attengono al “se” o al “come” dell’esecuzione, ma costituiscono incidenti del processo esecutivo preordinati al più corretto ed efficace sviluppo del processo (la conversione consente la sostituzione ai beni pignorati di una somma di denaro sufficiente alla soddisfazione dei creditori concorrenti, mentre la limitazione dei mezzi espropriativi o la riduzione del pignoramento hanno la funzione di verificare il corretto esercizio dell’azione esecutiva scongiurandone gli eccessi). Per completezza e ad ulteriore conferma di quanto sin qui esposto si rileva che nella giurisprudenza di legittimità si è ritenuto che non possa essere proposta contestualmente una opposizione esecutiva ed una istanza di riduzione del pignoramento atteso che quest’ultima è estranea all’oggetto delle contestazioni proponibili ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.15. Non è assimilabile alle opposizioni esecutive neppure il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo regolato dall’art. 548 c.p.c.. Quest’ultimo costituisce 12 Cfr. Cass. 11 giugno 2003, n. 9394 che ha avuto modo di precisare che non è configurabile un tertium genus oltre ai rimedi della opposizione all’esecuzione e della opposizione agli atti esecutivi. Questi ultimi devono considerarsi “tipici” e “completi” per il sistema processuale della tutela oppositiva in executivis. 13 Per un esame sul punto cfr. MARTINETTO, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963; VERDE, Intervento e prova del credito nel processo di espropriazione forzata, Milano, 1968; MONTESANO, La cognizione sul concorso dei creditori nella esecuzione ordinaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, 561 e ss.. Nel sistema normativo antecedente alle recenti riforme del processo civile si riteneva che il giudice dovesse procedere ad una cognizione sommaria dei crediti degli intervenuti senza titolo esecutivo nel corso dei subprocedimenti di conversione e riduzione. La limitazione dei soggetti legittimati ad intervenire nel processo senza titolo esecutivo, introdotta dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, dal punto di vista funzionale era destinata ad escludere la necessità della cognizione sommaria dei crediti nelle fasi che precedono la distribuzione. Il sistema delineato da detta legge n. 80 del 2005 è stato, però, in parte rimodellato dalla legge 27 dicembre 2005, n. 263. Sta di fatto che oggi risulta quantomeno dubbio che l’obiettivo di cui si è detto sia stato raggiunto. 14 In questo senso MANDRIOLI, op. cit., 433. 15 Cass. 16 gennaio 2003, n. 563; Cass. 14 luglio 2003, n. 10998. La giurisprudenza con tali pronunce afferma che non è viziata per la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato la sentenza con cui il giudice della opposizione ometta di provvedere sulla istanza di riduzione del pignoramento avanzata dall’opponente con il ricorso introduttivo. 6 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE un incidente cognitivo che si innesta nel processo esecutivo, ma si differenzia dalle opposizioni perché non concerne il “se” ed il “come” della esecuzione; si tratta, invece, di un accertamento pregiudiziale alla proseguibilità della espropriazione presso terzi della quale definisce l’oggetto. 4. Le classificazioni delle opposizioni esecutive e la distinzione tra opposizioni preventive ed opposizioni successive Le opposizioni esecutive possono essere proposte dal momento in cui colui che si afferma titolare del diritto portato dal titolo renda palese l’intenzione di procedere alla sua attuazione pratica e durante tutto il corso del processo esecutivo sino alla sua conclusione. Per tradurre in termini pratici tale concetto può dunque affermarsi che le opposizioni sono ammissibili a decorrere dal momento in cui l’esecuzione viene preannunciata con la notificazione del precetto e sino alla definizione del procedimento esecutivo. Le opposizioni proposte dalla data della notificazione del precetto e sino all’avvio del processo esecutivo si dicono “preventive”, mentre quelle introdotte a partire dal compimento del primo atto di esecuzione si dicono “successive”. Per una più agevole distinzione tra opposizioni preventive e successive è, quindi, rilevante rammentare per brevi cenni quale sia il momento che segna l’inizio della esecuzione nei tre processi espropriativi e nelle due esecuzioni in forma specifica. L’espropriazione forzata prende le mosse dal pignoramento; in particolare l’espropriazione immobiliare ha inizio con la notificazione dell’atto di pignoramento immobiliare (anche se di esso non sia stata ancora curata la trascrizione), l’espropriazione presso terzi con la notificazione dell’atto di pignoramento al debitore ed al terzo pignorato (la notificazione al terzo pignorato determina la pendenza della esecuzione anche se l’atto non sia stato ancora notificato al debitore), infine l’espropriazione mobiliare presso il debitore con il compimento, a cura dell’ufficiale giudiziario, delle attività previste dall’art. 513 c.p.c. in quanto riprodotte in un processo verbale che dia conto dei beni mobili prescelti e sottoposti a vincolo (la procedura esecutiva è pendente ad esempio anche se l’ufficiale giudiziario abbia operato la scelta dei beni da pignorare, ma abbia rinviato il completamento delle sue attività onde procedere alla stima del compendio con l’assistenza di uno stimatore). Quanto alla esecuzione in forma specifica di cui agli artt. 605 ss. deve ritenersi che l’esecuzione per rilascio prenda le mosse dalla notificazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, del preavviso recante indicazione della data in cui è stato fissato il primo accesso (come si desume dal testo novellato dell’art. 608 c.p.c.) e quella per consegna inizi dalla redazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, del verbale che descrive le attività compiute (tale verbale è infatti, il primo atto che segue la notificazione del titolo esecutivo e del precetto). La pendenza della procedura per l’esecuzione degli obblighi di fare o di non fare consegue, infine, alla presentazione a cura del creditore del ricorso ex art. 612 CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 7 c.p.c. con il quale viene formulata la richiesta di determinare le modalità per dare attuazione al comando contenuto nel titolo esecutivo. Tornando all’esame delle opposizioni va rilevato che possono essere introdotte in via preventiva le opposizioni alla esecuzione ed agli atti esecutivi: colui che si veda minacciato dell’inizio dell’esecuzione può tentare di scongiurare l’avvio del processo ai suoi danni contestando il “se” della promuovenda esecuzione (e cioè l’esistenza o la portata del diritto che il preteso creditore intende far valere) o il “come” degli atti preparatori già compiuti (e cioè l’idoneità formale del titolo esecutivo e del precetto nonché delle relative notificazioni). Nella fase che precede l’inizio della esecuzione non è invece ammissibile alcuna contestazione sulla pignorabilità dei beni ovvero sulla loro appartenenza a terzi atteso che il compendio pignorato non è stato ancora individuato. Una volta avviato il processo esecutivo il panorama di riferimento muta e la legittimazione a proporre le opposizioni esecutive viene estesa a tutti i potenziali interessati. Appartengono alla categoria delle opposizioni esecutive “successive” non solo l’opposizione alla esecuzione, che in pendenza del processo può avere ad oggetto anche le contestazioni sulla pignorabilità dei beni, e l’opposizione agli atti esecutivi, ma anche l’opposizione di terzo all’esecuzione. È, infatti, possibile, dopo l’inizio della procedura esecutiva, che i terzi che pretendano di essere titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene lamentino l’illegittimità della esecuzione per i profili che attengono alla scelta del suo oggetto. La distinzione tra opposizioni preventive ed opposizioni successive ha rilevanza, non solo a fini classificatori, ma per l’incidenza che la fase processuale di introduzione riveste per ciò che concerne il rito. Si anticipa sin da ora che le opposizioni preventive debbono essere introdotte con citazione o ricorso (a seconda della materia che ne costituisce oggetto) dinanzi al giudice territorialmente competente ai sensi dell’art. 480 c.p.c.. Le opposizioni esecutive successive, al contrario, vanno proposte, per la prima fase, con ricorso al giudice della esecuzione, funzionalmente competente ad assumere i provvedimenti sulla sospensione e la competenza. Per ciò che concerne la seconda fase la causa di merito va proposta dinanzi al giudice competente per materia. La distinzione tra opposizione preventiva e successiva rileva, inoltre, per il regime di sospensione come sarà illustrato in seguito. Si è già detto in premessa che le controversie distributive costituiscono una categoria peculiare di opposizioni esecutive. Esse, proprio in ragione della fase processuale in cui si collocano, sono opposizioni successive. 5. Le opposizioni esecutive e la disciplina della mediazione obbligatoria delle controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 Il d.lgs 4 marzo 2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” disciplina il procedimento di mediazione e lo configura come condizione di procedibilità delle domande con le quali si introduca una con- 8 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE troversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Lo stesso testo di legge stabilisce, poi, che il medesimo procedimento (di mediazione) possa essere esperito anche, in via facoltativa, quando il giudice, ritenutane l’opportunità nel corso di svolgimento del processo, inviti le parti a procedere alla mediazione e queste ultime aderiscano al suo invito. È, però, bene precisare che l’art. 5 co. 4 del decreto legislativo esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) possa essere esperita nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia delle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’art. 667 c.p.c., nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703 co. 3 c.p.c., nei procedimenti in camera di consiglio, nell’azione civile esercitata nel processo penale, nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata. La ratio della previsione normativa che circoscrive l’ambito applicativo del procedimento di mediazione, è evidente: il legislatore ha inteso garantire la sollecita introduzione ed il celere svolgimento dei processi in tutti i casi in cui la peculiarità della loro funzione o la “sommarietà” del rito prescelto siano incompatibili con un temporaneo differimento dei tempi di accesso al processo (condizione di procedibilità) o con una sospensione del processo, quando già pendente. Riguardo alle opposizioni esecutive deve preliminarmente evidenziarsi che il procedimento di mediazione è previsto per le sole controversie civili e commerciali e non è, perciò, compatibile con il processo esecutivo che non ha la funzione di dirimere una controversia ma di attuare il dictum scaturente da un titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale. È, dunque, perfettamente coerente a tale indicazione l’art. 5 co. 4 del d.lgs n. 28 del 2010 nella parte in cui si limita a precisare la inapplicabilità alle sole opposizioni esecutive che, come è noto, configurano processi di cognizione nonché agli altri giudizi incidentali aventi la medesima natura. Fatta tale premessa, può allora conclusivamente affermarsi che le opposizioni previste dagli artt. 615 617 e 619 c.p.c., sia “preventive” che “successive”, possano essere introdotte16 senza alcun preventivo accesso al procedimento di mediazione. Parimenti, deve escludersi che la mediazione possa essere “proposta” alle parti dal giudice investito dell’opposizione esecutiva in fase contenziosa anche quando la natura della causa, lo stato dell’istruzione o il comportamento delle parti potrebbero indurre a ritenere percorribile la via della “composizione”. 16 Per le opposizioni preventive che si introducono con citazione (o con ricorso, se trova applicazione il rito del lavoro) la soluzione indicata è di agevole comprensione. Giova, però, chiarire, con riferimento alle opposizioni successive, che l’eventuale condizione di procedibilità potrebbe riguardare esclusivamente la fase di merito e, dunque, quella introdotta dagli “interessati”, ai sensi degli artt. 616 e 618 c.p.c , dopo la definizione con ordinanza della fase endoesecutiva svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 9 Muovendo da questa premessa, è, dunque, di tutta evidenza che, per le opposizioni esecutive in genere, resta aperta esclusivamente la via della conciliazione giudiziale che può essere tentata quando la causa di merito sia stata già introdotta (e possa, conseguentemente ritenersi pendente il processo) su richiesta delle parti o anche di ufficio (come previsto dall’art. 183 co. 3 nonché dall’art. 185 co. 1 c.p.c.). Le conclusioni cui si è pervenuti non possono d’altro canto essere smentite neppure laddove la controversia proposta con l’opposizione esecutiva (ai sensi degli artt. 615, 617, 619) concerna, come talvolta si verifica, controversie relative ai diritti reali ovvero concernenti la materia bancaria. L’espressa previsione di inapplicabilità del decreto legislativo, non solo alle opposizioni esecutive, ma anche agli altri giudizi incidentali allo svolgimento dell’esecuzione forzata è legata alla esigenza di una pervenire ad una conclusione rapida di processi la cui funzione è strettamente connessa alle procedure esecutive ed il cui esito è destinato ad incidere sulla proseguibilità del processo esecutivo; è, quindi, evidente che la incompatibilità delle opposizioni esecutive con il procedimento di mediazione dipende dallo scopo del giudizio (incidentale e funzionale alla procedura esecutiva). Il legislatore ha ritenuto questa finalità preminente rispetto alle esigenze connesse con la natura e l’oggetto delle questioni prospettate. Conforta tale conclusione anche la circostanza che, proprio al fine di garantirne la sollecita definizione, tutte le opposizioni esecutive, sia preventive che successive, siano sottratte alla sospensione feriale dei termini e che, in via interpretativa, l’art. 92 della legge sull’ordinamento giudiziario sia ritenuto applicabile, in via estensiva, anche a tutti gli altri giudizi di cognizione incidentali al processo esecutivo quali l’accertamento dell’obbligo del terzo, la divisione ex art. 600 c.p.c. nonché le controversie distributive di cui all’art. 512 c.p.c.. 10 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE CAPITOLO SECONDO L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE SOMMARIO: 1. La natura e l’ambito applicativo dell’opposizione all’esecuzione. - 2. L’opposizione all’esecuzione e le sue tipologie in relazione ai motivi su cui si fonda. - 3. La contestazione dell’azione esecutiva per difetto originario del titolo esecutivo: 3.1. Il vizio genetico del titolo esecutivo. 3.2. Il vizio genetico del titolo esecutivo giudiziale. 3.3. Il vizio genetico del titolo esecutivo stragiudiziale. 3.4. La non riconducibilità del documento al catalogo di cui all’art. 474 c.p.c. 3.5. Il difetto funzionale del titolo esecutivo per la mancata individuazione del creditore o del debitore ovvero per l’incertezza, illiquidità o inesigibilità del diritto. 3.6. Il difetto di legittimazione attiva del creditore ed il difetto di legittimazione passiva del debitore. 3.7. L’utilizzazione del titolo esecutivo per far valere un diritto diverso da quello che il titolo è idoneo ad attuare nelle forme dell’esecuzione forzata. 3.8. L’eccessività della pretesa creditoria come quantificata nel precetto, l’intimazione ad eseguire una prestazione non prevista dal titolo o incoercibile. - 4. La contestazione circa la caducazione del titolo esecutivo per fatto sopravvenuto: 4.1. La caducazione del titolo esecutivo giudiziale. 4.2. La caducazione del titolo esecutivo stragiudiziale. 4.3. L’irrilevanza della riviviscenza del titolo esecutivo caducato. - 5. La contestazione circa l’estinzione del diritto di credito per fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo. - 6. La contestazione circa la direzione in cui è stata esercitata l’azione esecutiva: l’impignorabilità. - 7. I rapporti tra i motivi di opposizione all’esecuzione ed i poteri di rilievo officioso del giudice dell’esecuzione e del giudice dell’opposizione. - 8. Il rapporto tra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi. - 9. La legittimazione attiva all’opposizione all’esecuzione. - 10. La legittimazione passiva e il litisconsorzio necessario. - 11. L’interesse ad agire. - 12. Il termine iniziale ed il termine finale per la proposizione dell’opposizione all’esecuzione e la distinzione tra opposizione preventiva e successiva: 12. 1. Il dies a quo: la notificazione del precetto. 12.2 Il dies ad quem: la conclusione del procedimento esecutivo ovvero l’introduzione della fase distributiva. - 13. L’oggetto del giudizio di opposizione ed il suo possibile ampliamento: 13.1. Premessa. 13.2. L’ammissibilità della domanda riconvenzionale del convenuto. 13.3. L’ammissibilità del cumulo di domande dell’opponente. 13.4. La domanda di restituzione di quanto illegittimamente riscosso in base al titolo esecutivo. 13.5. L’ammissibilità dei poteri officiosi del giudice dell’opposizione. - 14. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione e gli altri giudizi: 14.1 Il rapporto con il giudizio di merito avente ad oggetto il titolo esecutivo giudiziale. 14.2 Il rapporto con il giudizio di opposizione agli atti esecutivi. - 14 bis. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione ed il processo esecutivo - 15. La decisione dell’opposizione all’esecuzione: 15.1. La natura della decisione. 15.2. Il contenuto della decisione e l’estensione del giudicato 15.3. Gli spazi di efficacia della sentenza di accoglimento dell’opposizione prima del passaggio in giudicato 1. La natura e l’ambito applicativo dell’opposizione all’esecuzione L’art. 615 c.p.c. individua l’oggetto dell’opposizione all’esecuzione nella contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata, diritto che consiste nel complesso dei poteri processuali che consentono l’avvio e lo sviluppo del processo CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 11 di esecuzione e che costituiscono esercizio di quella situazione soggettiva che è l’“azione esecutiva”17. L’oggetto dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c. è dunque la contestazione del diritto ad esercitare azione esecutiva. In virtù dell’utilizzo della locuzione “contestazione del diritto a procedere esecutivamente”, tanto generica da risultare omnicomprensiva, rientrano, quindi, nella categoria dell’opposizione all’esecuzione tutte le questioni inerenti all’esercizio dell’azione esecutiva, dalla negazione della esistenza originaria del titolo esecutivo alla affermazione della sua successiva caducazione, dalla negazione della perdurante esistenza del diritto di credito che trova evidenza nel titolo, alla contestazione della legittimità dell’esercizio della azione nella direzione (oggettiva o soggettiva) in cui esso è avvenuto18. Tutte le contestazioni che riguardano la legittimità degli atti esecutivi in cui si estrinseca l’esercizio dell’azione esecutiva non rientrano nella previsione dell’art. 615 c.p.c., ma nella categoria dell’opposizione disciplinata dagli artt. 617 e 618 c.p.c. Va da sé che, indipendentemente dal motivo su cui si fonda la deduzione della illegittimità dell’esecuzione, l’opposizione regolata dall’art. 615 c.p.c. presuppone che la domanda abbia un contenuto minimo costituito dall’accertamento “della insussistenza attuale (non importa se originaria o sopravvenuta) del diritto di procedere sul fondamento di quel determinato titolo e con la direzione oggettiva o soggettiva”19 prescelta e determinata, nella fase di preannuncio con il precetto e, successivamente, con il primo atto esecutivo. Deve rilevarsi che in dottrina taluni sostengono che l’opposizione all’esecuzione costituisca un’azione di accertamento negativo circa l’esistenza del diritto20, mentre altri ritengono che essa abbia natura costitutiva21. Qualunque sia la tesi cui si voglia accedere, merita qui rilevare che tutti gli interpreti concordano sul fatto che l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione comporti l’invalidazione degli atti esecutivi sino a quel momento compiuti e la dichiarazione di insussistenza dei poteri processuali in cui sia era espresso l’esercizio dell’azione. 2. L’opposizione all’esecuzione e le sue tipologie in relazione ai motivi su cui si fonda 17 MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 434. Per la illustrazione di tale classificazione cfr. MANDRIOLI, Opposizione, cit., 433 nonché VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 242 ss.. 19 In questo senso testualmente MANDRIOLI, Opposizione, cit., 438. 20 ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 337; MANDRIOLI, Opposizione, cit., 439; ID., L’azione esecutiva. Contributo alla teoria unitaria dell’azione e del processo, Milano, 1955, 372 ss.. Milano, 1955, 419; CASTORO, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 779 21 LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 188; GARBAGNATI, voce Opposizione all’esecuzione, in Novissimo dig. it., XI, 1965, 1070. 18 12 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE In dottrina si sono elaborate quattro macrocategorie cui ricondurre i motivi in cui può articolarsi la contestazione del diritto ad agire esecutivamente, ovvero del “se” dell’esecuzione. Tali motivi, che costituiscono le ragioni (o la causa petendi) della domanda, ove considerati nel loro complesso, delimitano il perimetro del potere di cognizione del giudice investito dell’opposizione all’esecuzione. Stando a tale classificazione, l’opposizione prevista dallo schema delineato dall’art. 615 c.p.c. può fondarsi, tanto sulla negazione della “esistenza” originaria del titolo esecutivo, che sulla affermazione della “caducazione” di quest’ultimo per fatto successivo. L’opposizione all’esecuzione può inoltre essere proposta per negare non l’esistenza del titolo esecutivo, ma quella del diritto di credito in esso incorporato nei casi in cui si assuma la sua estinzione per vicenda sopravvenuta. Può, infine, essere qualificata ai sensi dell’art. 615 c.p.c. anche la contestazione che abbia ad oggetto l’illegittimità dell’azione esecutiva nella direzione concreta in cui essa è stata esercitata. 3. La contestazione dell’azione esecutiva per difetto originario del titolo esecutivo 3.1. Il vizio genetico del titolo esecutivo Il difetto originario del titolo esecutivo può essere assoluto o relativo. Il titolo esecutivo manca in senso assoluto quando si assuma la sua inesistenza per vizio genetico ovvero si affermi che il documento che incorpora il diritto non ha valenza esecutiva ai sensi dell’art. 474 c.p.c.. Il titolo esecutivo manca in senso solo relativo quando l’azione esecutiva, pur formalmente perfetta, si rivela illegittima per le modalità concrete in cui è stata esercitata come accade quando si intenda dare attuazione ad un diritto diverso da quello azionabile esecutivamente in forza del titolo utilizzato, quando si profili un difetto di legittimazione attiva o passiva delle parti che si affermano titolari del rapporto sostanziale ovvero, infine, quando si lamenti l’eccessività delle somme richieste con il precetto. L’opposizione all’esecuzione concerne il difetto originario del titolo esecutivo prima di tutto quando si assuma che esso non è mai venuto ad esistenza per vizi inerenti al suo processo di formazione. È, però di tutta evidenza che i difetti di “costruzione” si atteggiano in modo differente a seconda che quest’ultimo abbia natura giudiziale o stragiudiziale. 3.2. Il vizio genetico del titolo esecutivo giudiziale CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 13 Se il titolo è giudiziale ricorre l’ipotesi del difetto originario quando il vizio di formazione sia così grave da poter essere configurato come causa di “inesistenza” o di “nullità insanabile”22. Un vizio di tale natura è, infatti, rilevabile, non solo con l’impugnazione del provvedimento giurisdizionale nei termini prescritti dalla legge, ma anche mediante l’actio nullitatis o l’opposizione all’esecuzione (quest’ultima esperibile solo sul presupposto che l’esecuzione sia stata iniziata o anche solo preannunciata). Diversamente non si ha difetto originario del titolo esecutivo quando il provvedimento giurisdizionale sia affetto da una nullità non insanabile né assimilabile alla inesistenza perché un vizio di tal fatta, traducendosi in motivo di gravame, può essere denunciato solo con l’impugnazione e rilevato esclusivamente dal giudice del merito23. La sentenza è certamente inesistente nel caso, contemplato dall’art. 161 co. 1 c.p.c., in cui manchi della sottoscrizione del giudice, anche se si è ritenuto che l’omessa sottoscrizione configuri un vizio di inesistenza solo se denoti la mancata partecipazione del giudice alla decisione24. La giurisprudenza e la dottrina, in via interpretativa, hanno esteso l’ipotesi di inesistenza della sentenza anche al caso in cui questa non sia stata pubblicata25, sia stata emessa nei confronti di soggetto inesistente ad esempio perché deceduto prima della proposizione della domanda26 o sia stata pronunciata da organo privo dello ius judicandi27. Al contrario, non è inesistente la sentenza deliberata nonostante il potere di decidere fosse sospeso in pendenza del regolamento di giurisdizione28. Anche il decreto ingiuntivo esecutivo può essere inesistente, ma tale ipotesi si profila quando manchi o sia inesistente la sua notificazione29. 22 Cass. 8 maggio 1973, n. 1245; nel senso indicato (i titoli giudiziali non possono essere contestati nel loro contenuto, per errori di merito o di rito, se non quando siano affetti da vizi riconducibili alla categoria dell’inesistenza), di recente, Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850; Cass. 13 marzo 2012, n. 3979. 23 Cfr. Cass. 8 gennaio 1974, n. 43. In generale è stato affermato dalla dottrina che il principio della conversione dei motivi di nullità in mezzi di gravame opera anche per i provvedimenti soggetti soltanto al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. e, dunque, pure con riguardo alle sentenze inappellabili ed ai provvedimenti a contenuto decisorio che non siano soggetti ad altro mezzo impugnatorio. In questo senso MANDRIOLI, L’assorbimento dell’azione civile di nullità e l’art. 111 della Costituzione, Milano, 1967, 95 ss.. 24 Cass. 8 marzo 1977, n. 952; Cass. 15 ottobre 1980, n. 5540. 25 Cass. 4 gennaio 1977, n. 9. 26 In questo senso Cass. 11 febbraio 1977, n. 610; Trib. Napoli 3 febbraio 1978, in Dir. e giur., 1979, 892 con nota adesiva di DEL VECCHIO. 27 Cass. 12 giugno 1971, n. 1819 con cui si è ritenuto che fosse inesistente un provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione immobiliare avente contenuto di sentenza. Tale orientamento sembra però superato dalla giurisprudenza più recente che ritiene eventualmente appellabili i provvedimenti del giudice dell’esecuzione aventi contenuto decisorio. 28 Cass. 25 maggio 1979, n. 301; Trib. Bari 28 dicembre 1979, in Giur. it., 1982, I, 2, 67 con nota di GARBAGNATI e 283 ss. con nota di VACCARELLA. 29 Cfr. in proposito Cass. 14 giugno 1999, n. 5882 con cui si afferma che, se l’esecuzione forzata è fondata su un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione, l’intimato ha due rimedi ove intenda far valere la invalidità della notificazione. Se deduce che la notificazione è avvenuta, ma sostiene che essa è stata irregolare, deve proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. dinanzi al giudice che lo ha emesso; l’intimato può invece proporre opposizione all’esecuzione se nega che nei suoi confronti sia stata eseguita una operazione giuridicamente 14 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Va invece esclusa la deducibilità con l’opposizione all’esecuzione dell’inefficacia del decreto ingiuntivo per nullità della sua notificazione ovvero per altri vizi intrinseci del provvedimento (connessi alla violazione delle norme sulla competenza, legittimazione delle parti, regolare instaurazione del contraddittorio). La nullità della notificazione può, infatti, essere dedotta con l’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ai sensi e nei termini previsti dall’art. 650 c.p.c. 30 mentre le ulteriori contestazioni circa l’erronea formazione del provvedimento sono proponibili con l’opposizione ordinaria al decreto nelle forme e nei termini previsti dall’art. 645 c.p.c.. Secondo la dottrina, al di là delle ipotesi sin qui esaminate, può essere rilevata con l’opposizione all’esecuzione qualunque ragione di invalidità di un provvedimento giurisdizionale, anche non assimilabile alla inesistenza quando, a causa della peculiare fase processuale in cui detto provvedimento sia stato emesso, il vizio non possa essere rilevato con gli ordinari strumenti di gravame. In giurisprudenza il principio è stato affermato con riferimento al caso di insussistenza delle condizioni che legittimano la dichiarazione di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. del decreto ingiuntivo sia pur prevedendo, insieme alla possibilità di proporre l’opposizione all’esecuzione, anche la possibilità di far valere tale vizio anche con l’opposizione tempestiva (art. 645 c.p.c.) o tardiva (art. 650 c.p.c.) al decreto ingiuntivo31. Prima della riforma introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 si riteneva che, in caso di esecuzione promossa sulla base di un lodo arbitrale rituale, la violazione delle norme che avrebbero dovuto essere applicate dal giudice ai fini della dichiarazione di esecutività, dovesse essere fatta valere con l’opposizione all’esecuzione; con il medesimo rimedio doveva essere contestata la nullità del decreto di esecutorietà del lodo arbitrale emesso sulla base del semplice deposito del lodo e senza equalificabile come notificazione ed eccepisce conseguentemente la inesistenza del titolo esecutivo. Nello stesso senso Cass. 7 luglio 2009, n. 15892 e Cass. 20 luglio 2011, n. 15904. Nel senso che può essere proposta opposizione all’esecuzione per inesistenza originaria del titolo esecutivo solo quando si assuma che la notificazione del decreto ingiuntivo è inesistente cfr. Cass. 12 gennaio 1984, n. 248; Cass. 6 maggio 1993, n. 5231 ammette, nel caso di inesistenza della notificazione, l’alternatività tra l’opposizione all’esecuzione e l’ actio nullitatis. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile l’opposizione all’esecuzione proposta dal destinatario della notifica del decreto ingiuntivo nel caso in cui il decreto è stato notificato ad un omonimo del suo effettivo destinatario ed è divenuto definitivo per mancata opposizione, cfr. Cass. 11 luglio 2011, n. 17802. 30 Nel senso dell’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione nel caso di nullità della notificazione del decreto ingiuntivo cfr. Cass. 25 febbraio 1994, n. 1935 con cui si afferma che la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo può essere fatta valere solo con l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. dinanzi al giudice che lo ha emesso. Con la stessa sentenza viene chiarito che l’opposizione all’esecuzione non può essere proposta neppure per richiamare le ragioni poste a fondamento dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo anche ai soli fini di ottenere una sospensione dell’esecuzione (ed oggi una sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo) posto che il potere sospensivo può essere esercitato dal solo giudice del merito ex art. 623 c.p.c.. In giurisprudenza si è anche affermato che l’opposizione a precetto può essere convertita in opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. se solo attraverso il precetto l’intimato abbia avuto conoscenza del decreto ingiuntivo, cfr. Cass. 1 dicembre 2010, n. 24398. 31 Cass. 30 settembre 2009, n. 19119. La sentenza rileva che non sono previsti mezzi di impugnazione specifici avverso il decreto ex art. 647 c.p.c. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 15 spressa domanda di exequatur32. Tale soluzione non sembra tuttavia più attuale alla luce del nuovo testo dell’art. 825 c.p.c. che oggi prevede la reclamabilità dinanzi alla corte di appello del decreto che concede o nega l’esecutorietà del lodo arbitrale nel termine di trenta giorni dalla sua comunicazione. Nell’attuale sistema normativo sembra quindi che i vizi relativi al procedimento diretto alla dichiarazione di esecutorietà del titolo vadano denunciati solo nell’ambito del procedimento di reclamo a ciò preposto e non possano più essere rilevati con l’opposizione all’esecuzione33. 3.3. Il vizio genetico del titolo esecutivo stragiudiziale Le contestazioni sul difetto di formazione dei titoli esecutivi di tipo stragiudiziale sono invece più ampie perché non incontrano il limite della litispendenza o del giudicato. Rientrano nella categoria in esame le contestazioni con cui si assuma che la cambiale è priva dei suoi requisiti essenziali o irregolare nel bollo o redatta su modulo estero34, che l’assegno sia postdatato35, che il protesto cambiario non sia stato compiuto o diretto personalmente dal notaio che lo ha sottoscritto, nel caso in cui la questione sia rilevante dovendosi esercitare l’azione di regresso nei confronti del girante36. Un vizio per difetto di costruzione è profilabile anche nel caso di abusivo riempimento del titolo di credito per violazione della relativa convenzione37 o di falsità della sottoscrizione38. Può essere ritenuto inesistente pure il titolo di credito che sia stato oggetto di un sequestro penale. Non è, infatti, possibile procedere esecutivamente in forza della sola copia autentica di quest’ultimo se non nel caso eccezionale in cui la copia sia stata rilasciata ai sensi dell’art. 343 c.p.p.39. Per ciò che concerne l’atto pubblico esso è inesistente per vizio genetico se sia stato formato da un soggetto che non riveste la qualità di pubblico ufficiale ovvero che, pur essendo pubblico ufficiale, sia incompetente o incapace (artt. 2701 c.c.)40. Viziata nella fase della costruzione, e dunque inesistente come titolo esecutivo, è parimenti la scrittura privata autenticata se alla autenticazione abbia proceduto un soggetto non legittimato41. 32 Così Cass. 11 febbraio 1995, n. 1553; Cass. 29 maggio 2001, n. 7268. In questo senso ARIETA – DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile a cura di MONTESANO – ARIETA, Padova, 2007, 1701. 34 Cass. 18 luglio 1977, n. 3212. 35 Cass. 21 gennaio 1985, n. 191; Cass. 30 agosto 1996, n. 7985. 36 Cass. 19 gennaio 1977, n. 263. 37 Cass. 28 aprile 1981, n. 2586. 38 Pret. Sorrento 22 gennaio 1977, in Foro nap., 1977, I, 258. 39 Cass. 18 luglio 1980, n. 4696. 40 Così MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435. 41 È controverso se le scritture private possano essere autenticate solo dal notaio ed in quali casi possono essere autenticate anche da altri pubblici ufficiali. In generale è bene chiarire che il notaio ha una potestà certificatoria generale riconosciutagli dall’art. 72 l. notarile per cui si è rilevato che è assolutamente raro che una scrittura privata recante l’assunzione di un’obbligazione possa essere valida33 16 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Sia per l’atto pubblico che per la scrittura privata autenticata, stante il loro carattere negoziale, è configurabile un difetto originario del titolo conseguente alla invalidità dell’atto per nullità 42. 3.4. La non riconducibilità del documento al catalogo di cui all’art. 474 c.p.c. È ascrivibile alla categoria in esame la contestazione con cui si assuma che il documento – titolo è venuto ad esistenza, ma non ha valenza esecutiva. Un documento ha valenza esecutiva solo quando corrisponda ad uno schematipo delineato dalla legge e riconducibile all’elencazione contenuta nell’art. 474 c.p.c. mente autenticata da un’autorità diversa. Ed, invero, la maggior parte dei funzionari amministrativi può svolgere una potestà certificatoria solo relativamente ad attività di accertamento di infrazioni amministrative e di ricezione di istanze rivolte alla pubblica amministrazione. Sono, invece, pubblici ufficiali competenti alla autenticazione delle sottoscrizioni, anche se sprovvisti di una potestà certificatoria generale, il segretario comunale e quello provinciale ai quali è riservato il potere di autenticare scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente (art. 97 co. 4, lett. c), t.u. enti locali n. 267 del 2000) ma non i funzionari comunali o loro delegati cui la legge conferisce esclusivamente un generico potere di autenticazione in calce ad istanze o dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà (art. 21 d.p.r. n. 445 del 2000). Non hanno, invece, il potere di certificare le sottoscrizioni apposte in calce ad atti di autonomia privata di natura negoziale né il cancelliere del Tribunale né il delegato del Sindaco. Ed ancora, taluno ha sostenuto che un potere certificatorio delle sottoscrizioni apposte in calce ad una scrittura privata viene riconosciuto anche al difensore dall’art. 185 c.p.c., disposizione quest’ultima che consente alle parti nell’ambito del processo di cognizione di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale munito di procura conferita, oltreché con atto pubblico, anche con scrittura autenticata anche dal difensore nel caso in cui venga disposta la loro comparizione personale ai fini dell’interrogatorio libero. Pare preferibile, tuttavia, propendere per la tesi negativa atteso che il potere certificatorio riconosciuto nel caso anzidetto al difensore esula del tutto dall’esercizio dell’attività esecutiva. Con tutta evidenza, può, quindi, conclusivamente affermarsi che lo spazio riservato alla formazione di scritture private recanti un’autenticazione delle sottoscrizioni ad opera di pubblico ufficiale diverso dal notaio è residuale. Va, inoltre, chiarito che la scrittura privata autenticata deve ritenersi priva di efficacia esecutiva per vizio genetico anche quando sia stata formata prima dell’1 marzo 2006 e dunque in epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma del processo civile. Parte della dottrina sostiene che la scrittura privata con firma autentica o l’atto pubblico non sono atti processuali e che deve essere fatta applicazione della regola tempus regit actum solo quando questi ultimi vengano utilizzati nello svolgimento di un’attività processuale. Per individuare la legge applicabile, dunque, occorre tenere presente, non il momento in cui il documento viene formato, poiché l’attività di formazione è esterna al processo, ma l’epoca in cui quel documento viene impiegato in funzione del processo. E, posto che la scrittura privata o l’atto pubblico assumono valenza processuale solo quando di essi si faccia impiego in vista dell’esecuzione forzata, per valutare quale sia la norma del codice di rito applicabile, nella specie, dovrà tenersi conto dell’epoca in cui si procede alla notificazione dell’atto pubblico in forma esecutiva ovvero alla notificazione del precetto recante la trascrizione integrale della scrittura privata autenticata. Tale ricostruzione è stata, però, criticata da altra parte della dottrina la quale, richiamando un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che il principio della immediata applicazione della legge processuale debba essere contemperato con l’esigenza di tutela delle parti che non possono trovarsi esposte al rischio che un determinato atto possa produrre effetti diversi ed ulteriori rispetto a quelli che esso avrebbe potuto produrre al momento della sua formazione. 42 In questo senso cfr. VACCARELLA, op. cit.,, 249. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 17 Venendo all’esame dei casi concreti, va precisato che tra le sentenze sono provvisoriamente esecutive ai sensi dell’art. 282 c.p.c. solamente quelle di condanna. La giurisprudenza ha, infatti, in più occasioni affermato che solo le sentenze di condanna postulano il concetto di esecuzione intesa come adeguamento della realtà al decisum 43 anche se in dottrina non mancano posizioni di segno contrario 44. Sembra che pertanto debba escludersi l’anticipazione provvisoria degli effetti delle sentenze di mero accertamento45 o costitutive. Nell’attuale panorama normativo è prevalente la tesi secondo cui siano idonee a promuovere l’esecuzione anche le statuizioni di condanna pure quando esse abbiano carattere dipendente46 o accessorio47 rispetto ad un capo decisorio principale di natura costitutiva o di accertamento48 ancora passato in giudicato. 43 Così Cass. 6 febbraio 1999, n. 1037. La Cassazione con la pronuncia indicata ha negato che la provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado resa in accoglimento di una azione proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. dal promissorio acquirente di un immobile potesse risultare ostativa all’esercizio, da parte del curatore del promettente venditore, della facoltà di recedere dal contratto preliminare in base al disposto dell’art. 72 l. fall.. 44 Per la tesi del riconoscimento della provvisoria esecuzione alla sola sentenza di condanna si è espressa la dottrina tradizionale tra cui CHIOVENDA, Istituzioni del diritto processuale civile, I, Napoli, 1960, 219 nonché ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1957, 274. Nel senso della estensione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado di contenuto costitutivo CARPI, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, 59 ss.. Dopo la riforma operata dalla legge n. 353 del 1990 la tesi della anticipazione dell’efficacia di ogni sentenze rispetto al momento della sua irrevocabilità TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 2002, 187; PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 195 ss.. Per un ampio esame dei casi di anticipazione degli effetti delle sentenze costitutive rispetto al momento del loro passaggio in giudicato si veda IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecutività delle sentenze costitutive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 47 ss.. Secondo l’Autore è la legge stessa in alcuni casi a prevedere espressamente l’efficacia della sentenza costitutiva come ad esempio il disposto dell’art. 421 c.c. che fa decorrere gli effetti della interdizione o della inabilitazione dal giorno della pubblicazione della relativa sentenza. 45 Cfr. Cass. 5 settembre 1994, n. 7650 con la quale si afferma che la sentenza che si limiti a dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria consacrando la immediata successione del coerede nella sola titolarità del diritto di proprietà senza nulla disporre in ordine al rilascio, ha un contenuto meramente dichiarativo e non può considerarsi titolo esecutivo. 46 Il susseguirsi di interpretazioni divergenti ha indotto la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. Sez. un. 20 febbraio 2012, n. 4059) a pronunciarsi, di recente, definendo un proprio orientamento sulla questione; la Corte, pronunciandosi su una sentenza recante l’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di compravendita inadempiuto, ha affermato che tale sentenza non può produrre gli effetti del contratto definitivo prima del suo passaggio in giudicato. Secondo la Cassazione, ove si riconoscesse la provvisoria esecutività delle statuizioni condannatorie conseguenziali inerenti l’adempimento degli obblighi (di natura sostanziale) conseguenti al trasferimento della proprietà quali, ad esempio, l’obbligo di rilascio (o il pagamento del prezzo) si perverrebbe ad una soluzione iniqua tenuto conto del fatto che dette statuizioni, anche se di contenuto condannatorio, e, dunque, astrattamente riconducibili alla previsione dell’art. 282 c.p.c., si pongono in relazione di stretta sinallagmaticità con il dictum principale. Dalla pronuncia delle sezioni unite è dato, quindi, far derivare una serie di corollari di indubbio rilievo. Innanzitutto, la disciplina dell’esecuzione provvisoria delle pronunce giudiziali sancita dall’art. 282 c.p.c. opera esclusivamente con riguardo alle sentenze di condanna, e non anche con riferimento a quelle costitutive (tra le quali si ascrive ad esempio la pronuncia ex art. 2932 c.c.), senza che ciò si ponga in contrasto con gli artt. 111 e 24 Cost.; l’applicabilità dell’art. 282 c.p.c. è predicabile esclusivamente con riferimento ai capi condannatori anche conseguenziali alle pronunce di accertamento o 18 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Superando un contrasto precedente, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che siano idonee a fondare l’esecuzione forzata tutti i capi delle sentenze di primo grado aventi portata condannatoria ed, in particolare: – il capo di condanna relativo alle spese di giudizio49; – le statuizioni di condanna consequenziali alla pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., dispositive dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, compresa la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo50; Si è anche ritenuto che abbia efficacia esecutiva una sentenza (di condanna implicita) costitutiva di una servitù allorché contenga tutti gli elementi identificativi in concreto della servitù sia pure con rinvio ad una consulenza tecnica di ufficio espletata nel corso del giudizio atteso che l’esigenza di esecuzione scaturisce dalla stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere51. La non esecutività del titolo giudiziale può anche avere carattere temporaneo come si verifica ad esempio nel caso in cui il giudice della cognizione abbia subordinato l’efficacia esecutiva del provvedimento giudiziale alla prestazione della cauzione. In un’ipotesi siffatta il soggetto passivo del processo può contestare la legittimità dell’esecuzione per l’inefficacia del titolo52. costitutive, sempreché la efficacia esecutiva anticipata di questi ultimi non realizzi una lesione del sinallagma contrattuale. Allo stato attuale può, dunque, conclusivamente affermarsi che, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza, l’art. 282 c.p.c. è pacificamente applicabile alle sentenze di condanna ovvero alle statuizioni di condanna conseguenziali a pronunce costitutive ma, in quest’ultimo caso, solo a seguito di verifica in concreto della funzione del capo recante la condanna rispetto alla pronuncia considerata nel suo complesso. Per esemplificare, pare potersi sostenere che non sia provvisoriamente esecutivo, ai sensi dell’art. 282 c.p.c., il capo della sentenza con la quale, disposto lo scioglimento della comunione con assegnazione del bene al condividente che ne abbia fatto richiesta, si pone a carico di quest’ultimo l’obbligo di pagare un conguaglio. Diversamente, dovrebbe, invece, ritenersi provvisoriamente esecutiva la statuizione di condanna al pagamento di somma di denaro conseguente all’accoglimento della domanda di revocatoria fallimentare. In questa ottica e, uniformandosi proprio alla pronuncia delle Sezioni Unite cui si richiama, la Corte di Cassazione ha ritenuto provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell’art. 282 c.p.c., anche la sentenza che dispone la risoluzione di un decreto di trasferimento emesso in una esecuzione forzata immobiliare limitatamente al capo recante la condanna alle restituzioni atteso che, in tal caso, l’effetto costitutivo è regolato dallo stesso legislatore sostanziale con effetto retroattivo e non è collegato alla sentenza.Va, infine, precisato che, pure avendo riguardo alla sentenza delle Sezioni Unite, il capo di condanna al pagamento delle spese, poiché non può mai porsi in rapporto di sinallagmaticità con il dictum principale, avendo esso natura accessoria o dipendente, è sempre provvisoriamente esecutivo anche quando acceda a pronunce, di accertamento o costitutive, non ancora passate in giudicato. 47 È il caso della statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali conseguente ad una pronuncia di accertamento o costitutiva non ancora passata in giudicato. 48 Tale tesi, oltreché avallata dalla giurisprudenza, è stata affermata in tempi recenti da CONSOLO, Commento sub art. 282 c.p.c., in Commentario alla riforma c.p.c. a cura di CONSOLO – LUISO – SASSANI, Milano, 1996, 263 ss.; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1676. 49 Cass. 10 novembre 2004, n. 21367. 50 Cass. 3 settembre 2007, n. 18512. 51 Cass. 26 gennaio 2005, n. 1619. 52 Cass. 30 gennaio 1995, n. 1099 che configura l’opposizione del debitore come opposizione all’esecuzione quando si debba far valere la mancata prestazione della cauzione. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 19 Con riferimento ai titoli stragiudiziali può contestarsi ad esempio che una scrittura privata autenticata, pur riconducibile al catalogo descritto dall’art. 474 c.p.c., abbia valenza esecutiva perché formata in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della novella. 3.5. Il difetto funzionale del titolo esecutivo per la mancata individuazione del creditore o del debitore ovvero per l’incertezza, illiquidità o inesigibilità del diritto Il difetto originario del titolo esecutivo può anche essere funzionale o, meglio, connesso al fatto che quest’ultimo non rechi tutti gli elementi necessari a rendere possibile l’esercizio dell’azione. Per dar avvio all’esecuzione forzata non basta l’esistenza di un titolo esecutivo, ma, stando alla formulazione dell’art. 474 c.p.c., occorre che il credito consacrato nel documento che ha valenza esecutiva sia certo, liquido ed esigibile53. In buona sostanza per consentire al creditore, non solo di affermare l’esistenza del diritto, ma anche di dare ad esso attuazione con l’esercizio dell’azione esecutiva, bisogna che il diritto medesimo abbia le predette caratteristiche. Il diritto è certo innanzitutto quando è “determinato” e cioè nei casi in cui la pretesa creditoria “emerga esattamente e compiutamente nel suo contenuto e nei suoi limiti dal relativo provvedimento giurisdizionale o dall’atto negoziale”54. Il diritto è certo anche quando risulta “determinabile”. Ma a tale proposito occorre evidenziare che la nozione di determinabilità è stata oggetto di vivace dibattito. Secondo l’opinione consolidatasi negli ultimi anni il diritto di credito potrebbe ritenersi certo anche quando sia (facilmente) determinabile, sempreché ciò possa avvenire alla stregua dei soli elementi in esso indicati atteso che il titolo esecutivo deve essere “autosufficiente”55. 53 Così Cass. 11 aprile 1975, n. 1375. Così Cass. 25 febbraio 1983, n. 1455. 55 Cass. 9 marzo 1995, n. 2760; Cass. 18 luglio 1997, n. 6611; Cass. 21 novembre 2006, n. 24649. Cass. 23 aprile 2009, n. 9695 ha messo a punto l’intero quadro interpretativo affermando che il diritto di credito è certo e liquido e, dunque, rende possibile l’avvio dell’espropriazione forzata ai sensi dell’art. 474 co. 1 c.p.c. quando sia determinato o determinabile in virtù degli elementi forniti dal titolo stesso e non anche quando alla quantificazione possa pervenirsi utilizzando elementi estranei al titolo esecutivo, anche se acquisiti al processo all’esito del quale è stata pronunciata la sentenza di condanna. Più precisamente con la sentenza menzionata la Suprema Corte ha sostenuto che alla interpretazione più restrittiva induce la considerazione che il processo esecutivo è caratterizzato da un contraddittorio ridotto poiché vi è una sola parte che agisce e l’altra che subisce. La particolare condizione di soggezione in cui versa il debitore può, però, giustificarsi a condizione che l’azione esecutiva promossa nei suoi confronti venga esercitata entro limiti certi e definiti. Tale posizione è stata confermata da ultimo anche da Cass. 5 febbraio 2011, n. 2816 talché l’orientamento riportato ad oggi appare consolidato. In senso contrario Cass. 11 giugno 1990, n. 5656 che aveva ritenuto certo e liquido il credito anche quando determinabile alla stregua di elementi acquisiti al processo ma non menzionati dal titolo giudiziale neppure in motivazione (nella fattispecie si era ritenuto certo e liquido un credito di lavoro determinabile in virtù di buste paga acquisite al processo ma non menzionate dalla sentenza di condanna). 54 20 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Muovendo da tale premessa, non sarebbe possibile agire esecutivamente in virtù di un contratto di apertura di credito con il quale un soggetto mette a disposizione dell’altro una determinata somma di denaro concedendogli di utilizzarla in base alle sue esigenze con obbligo di restituzione alla scadenza. Invero, quand’anche il contratto di apertura di credito fosse stipulato per atto pubblico, se si aderisce alla tesi della autosufficienza del titolo, esso non consentirebbe di dar luogo ad esecuzione forzata. Il documento, infatti, identifica solo la misura della somma messa a disposizione dell’obbligato, ma non è in grado di attestare l’importo effettivamente utilizzato dal beneficiario poiché a tal fine sarebbe necessario ricorrere ad un estratto conto della singola posizione bancario che evidenzi da un lato i prelevamenti e dall’altro le rimesse. A differenza della apertura di credito, costituisce, invece, titolo esecutivo il contratto di mutuo che è il negozio con il quale un soggetto eroga a favore di un altro una determinata somma di denaro che il beneficiario si obbliga a restituire secondo determinati tempi e modalità. In quest’ultimo caso, infatti, per agire esecutivamente il mutuante può limitarsi ad affermare l’inadempimento del mutuatario atteso che l’obbligazione di quest’ultimo è esattamente definita dal documento contrattuale56. Nonostante una recente pronuncia della Suprema Corte che ha ribaltato il precedente orientamento57, se si aderisce alla tesi favorevole alla autosufficienza del titolo esecutivo, dovrebbe ritenersi che, pur rivestendo la forma necessaria (provvedimento giudiziario recante una condanna), non costituisce titolo idoneo a promuovere l’espropriazione forzata la pronuncia giudiziale recante la regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi in sede di separazione o divorzio, limitatamente alla parte in cui pone a carico del genitore non affidatario l’obbligo di contribuire al rimborso delle “spese straordinarie” sostenute dall’altro genitore per le esigenze della prole58. In tal caso, infatti, l’obbligazione di rimborso non è determinata o determinabile ma deve essere documentata attraverso la produzione di ricevute attestanti l’esborso, talché, stante il principio della autosufficienza del titolo, il diritto di credito non sarebbe “certo” quantomeno nei termini innanzi esposti. In tal caso, quindi il preteso creditore dovrebbe munirsi di un titolo esecutivo “esaustivo” (richiedendo, ad esempio, un decreto ingiuntivo in virtù della prova scritta delle spese sostenute59). 56 Deve invece escludersi la natura di titolo esecutivo per i contratti condizionati di mutuo (Cass. 19 luglio 1979, n. 4293) e per i contratti condizionati di finanziamento (Cass. 18 gennaio 1983, n. 477). 57 Si era espressa nel senso indicato nel testo e cioè escludendo che possa essere idoneo a promuovere l’espropriazione forzata un provvedimento giurisdizionale in materia di separazione e divorzio relativamente alle spese straordinarie genericamente intese Cass. 28 gennaio 2008, n. 1758 nonché per la giurisprudenza di merito Trib. Piacenza 2 febbraio 2010, in Giur. merito, 2011, 992, con nota adesiva di GIUSTI. 58 Non vi è dubbio, invece, che i provvedimenti in oggetto siano titolo esecutivo idoneo a promuovere l’espropriazione forzata relativamente all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento la cui misura è esattamente determinata. 59 Trib. Piacenza 2 febbraio 2010, in Giur. merito, 2011, 992, con nota adesiva di GIUSTI, che, nel valutare l’eccezione di inammissibilità del ricorso monitorio proposto per richiedere l’ingiunzione al rimborso delle “spese straordinarie” ha ritenuto che la richiesta di decreto ingiuntivo è ammissibile poiché il provvedimento giurisdizionale che pone a carico di un coniuge il rimborso delle “spese stra- CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 21 Il credito, oltreché certo, deve essere liquido. Il requisito della liquidità nella sostanza è, però, sostanzialmente sovrapponibile a quello della certezza. Il credito è, dunque, liquido quando determinato o determinabile. Muovendo dalla tesi favorevole alla autosufficienza del titolo esecutivo la giurisprudenza ha ha ritenuto che, nel caso di sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di differenze retributive, il credito potrà dirsi liquido se i parametri numerici necessari alla sua determinazione siano ricavabili dalla stessa pronuncia giudiziale mentre ha ritenuto illiquido il credito ove esso possa essere quantificato solo acquisendo aliunde gli elementi di calcolo60. In questa prospettiva, non sarebbe titolo esecutivo idoneo a fondare l’avvio del processo di espropriazione la sentenza di condanna generica61 o la sentenza di condanna al pagamento di una somma illiquida62 o ancora la sentenza condizionata63. Il quadro interpretativo sin qui ricostruito, che, come anticipato, si era ormai consolidato, è stato ribaltato da una recentissima una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite64 . La Suprema Corte ha superato il principio della necessaria “autosufficienza” del titolo esecutivo prospettando che un diritto di credito deve ritenersi certo e liquido quando “determinabile” in virtù dei documenti ritualmente acquisiti al processo in tal modo consentendo, di fatto, una integrazione extratestuale della sentenza. Tale posizione non appare, tuttavia, condivisibile per una serie di considerazioni. ordinarie” sostenute per la prole, mancando del requisito della certezza, non è titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 co. 1 c.p.c.. in un caso siffatto, avendo il creditore la necessità di munirsi i altro titolo esecutivo ben può invocare la tutela monitoria. 60 Cfr. Cass. 9 marzo 1995, n. 2760; Cass. 6 giugno 2003, n. 9132; Cass. 29 ottobre 2003 n. 16259 nonché, di recente, Cass. 2 aprile 2009, n. 8067. 61 Cass. 18 luglio 1997, n. 6611 ha affermato che la sentenza di condanna è generica quando il diritto è incerto e cioè non determinato né determinabile alla stregua degli elementi indicati nella pronuncia. Con riferimento agli obblighi di fare o non fare Cass. sez. un. 15 gennaio 1987, n. 245 ha affermato che la pronuncia di condanna al ripristino di una preesistente situazione dei luoghi non richiede, ai fini del comando giurisdizionale e della sua concreta idoneità a costituire titolo esecutivo, l’individuazione e descrizione delle opere essendo sufficiente che dal contesto complessivo della decisione sia evincibile la situazione preesistente che occorre ripristinare implicando la condanna la rimozione di tutto ciò che altera quella situazione. Con riguardo alle obbligazioni pecuniarie Cass. 9 marzo 1995, n. 2760 ha affermato che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento in favore del lavoratore di un determinato numero di mensilità costituisce titolo esecutivo per la realizzazione del credito quando, nonostante la omessa indicazione del dato numerico, l’ammontare complessivo della somma sia quantificabile con un mero calcolo matematico anche se il diritto di credito può dirsi certo e liquido solo quando possa essere quantificato in base ad elementi che possono essere tratti dal contenuto del titolo e non siano esterni ad esso (il titolo non può essere portato in esecuzione per il liquidità del credito quando la condanna abbia ad esempio ad oggetto un certo numero di retribuzioni individuate con rinvio alla retribuzione legislativamente e contrattualmente dovuta in base alla qualifica del lavoratore). 62 Cfr. Cass. 9 marzo 1995, n. 2760. 63 Cass. 27 novembre 1979, n. 6239 prevede che la sentenza di condanna la cui efficacia sia subordinata alla constatazione della omessa esecuzione di una costruzione nel termine stabilito è una sentenza condizionata avente valore di titolo esecutivo ma può essere azionata solo se emerga che la costruzione non è stata realizzata. 64 Cfr. Cass. sez. un. 2 luglio 2012, n. 11066. 22 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE In primo luogo va precisato che il processo esecutivo dovrebbe essere finalizzato alla attuazione forzosa di un diritto “definito” che il debitore subisce in una situazione di soggezione e senza la necessità di costituirsi per esercitare le proprie facoltà difensive, salva la proposizione delle opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c.. In secondo luogo giova evidenziare che, quand’anche si volesse accedere alla tesi favorevole alla integrazione extratestuale del titolo esecutivo, tale integrazione dovrebbe essere consentita limitatamente ad atti del processo di cognizione specificamente individuati e richiamati nel provvedimento giudiziale. Una diversa ricostruzione, favorevole alla ricostruzione ex post dell’accertamento già svolto dal giudice di merito, invero, sarebbe foriera di una “cognizione endoesecutiva” del tutto contraria ai principi generali in materia di esecuzione forzata. Va da ultimo precisato che il credito è esigibile, infine, quando non sia soggetto a termine, a condizione ovvero ad altro limite che concerna le modalità del suo esercizio. Ecco allora che l’azione esecutiva non potrà essere esercitata, sebbene il diritto di credito trovi riconoscimento in un documento avente valenza esecutiva, se la prestazione non deve essere adempiuta prima di un certo termine (si pensi all’intimazione della licenza per finita locazione quando essa abbia ad oggetto un contratto non ancora scaduto) ovvero al caso in cui il pagamento del corrispettivo previsto da un determinato contratto stipulato per atto pubblico sia subordinato al verificarsi di una condizione sospensiva ovvero all’ipotesi in cui la validità della pattuizione contrattuale contenuta in un documento costituente titolo esecutivo sia venuta meno per il verificarsi di un evento previsto dalle parti come condizione risolutiva. Egualmente non è esigibile il diritto se esso non può essere esercitato prima del compimento di una controprestazione. Ed ancora non è esigibile il credito nel caso in cui il debitore sia facoltizzato ad una prestazione alternativa e non abbia ancora esercitato la sua scelta. 3.6. Il difetto di legittimazione attiva del creditore ed il difetto di legittimazione passiva del debitore Si è già anticipato che il difetto del titolo esecutivo può essere non solo assoluto, ma anche relativo. Si ha un difetto di tipo relativo quando l’azione esecutiva potrebbe essere correttamente svolta in forza del titolo che si pretende di utilizzare poiché esso è perfetto nella struttura, rientra nel catalogo dei titoli esecutivi, consacra l’esistenza di un diritto avente i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, reca precisa indicazione delle parti del rapporto sostanziale, ma, ciò nonostante, il suo esercizio si rivela illegittimo perché compiuto in una direzione errata. Il difetto del titolo in senso relativo può essere innanzitutto soggettivo. Esempi tipici in tal senso sono quelli in cui si contesta il diritto a procedere esecutivamente del soggetto attivo negando che questi sia il successore del creditore indicato dal titolo ovvero quelli in cui si contesti la qualità di erede dell’espropriato. Va peraltro messo in evidenza che la vicenda successoria che interessa il rapporto sostanziale può verificarsi sia prima della instaurazione del processo che durante il suo svolgimento. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 23 Per esemplificare, chi subisce l’esecuzione potrebbe contestare che colui che pretende di esercitare l’azione esecutiva sia effettivamente l’avente causa, a titolo particolare o universale, del creditore identificato nel titolo; parimenti il soggetto passivo del processo ha la facoltà di eccepire che l’esecuzione sia stata erroneamente promossa ai suoi danni nonostante egli non abbia assunto la qualità di erede per aver rinunciato alla eredità del de cuius 65. Il difetto di legittimazione attiva e passiva è configurabile anche quando non si contesti una vicenda successoria nella titolarità del rapporto sostanziale, ma si neghi che l’efficacia del titolo possa essere estesa in danno di soggetti in esso non nominati e che non hanno partecipato al giudizio nel quale lo stesso si è formato. La giurisprudenza ha ritenuto che il titolo esecutivo formatosi in un giudizio anche monitorio tra il creditore di una società di persone e la società stessa possa essere efficace anche contro il socio illimitatamente responsabile della società stessa tenuto conto del fatto che dalla obbligazione sociale deriva una responsabilità di detto socio. Nello stesso modo, la giurisprudenza ha ammesso che il titolo esecutivo formato contro una associazione non riconosciuta possa essere azionato contro gli associati. Analogamente, sempre la giurisprudenza, ha ritenuto che il titolo esecutivo formatosi in un giudizio tra il creditore del condominio ed il condominio medesimo possa essere azionato anche in danno dei singoli condomini stante la loro qualità di soggetti solidalmente responsabili per le obbligazioni condominiali66. 65 Per l’esame di una fattispecie riconducibile al caso prospettato cfr. Cass. 26 luglio 2012, n. 13206 che si occupa di una opposizione all’esecuzione proposta dall’erede per contestare la facoltà del creditore di agire esecutivamente nei suoi confronti sull’intero patrimonio avendo egli accettato l’eredità con beneficio di inventario. 66 La giurisprudenza ha ammesso che il titolo esecutivo formato contro una società di persone possa legittimare l’esercizio dell’azione esecutiva anche contro il socio illimitatamente responsabile poiché dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e ricorre una situazione non dissimile da quella prevista dall’art. 477 c.p.c. ( in tal senso Cass. 14 giugno 1999 n. 5884; Cass. 17 gennaio 2003 n. 613; Cass. 6 ottobre 2004 n. 19946; Cass. 16 gennaio 2009, n. 1040; Cass. 3 marzo 2011, n. 5136 che afferma il principio secondo cui il creditore sociale non può pretendere il pagamento dal socio se non dopo l’escussione del patrimonio sociale e precisa, dunque, che la possibilità di aggredire il patrimonio individuale del socio è subordinata alla prova della infruttuosità dell’esecuzione sui beni della società, non essendo sufficiente, a tal fine, la prova che la società sia stata posta in liquidazione o dichiarata fallita; Cass. 24 marzo 2011, n. 6734 con cui la giurisprudenza, confermando un orientamento ormai consolidato, ha ritenuto che ciascun socio sia legittimato ad impugnare autonomamente il titolo giudiziale pronunciato ai danni della sola società di persone; Cass. 23 maggio 2011, n. 11311). Tuttavia, poiché i soci di una società di persona sono illimitatamente responsabili delle obbligazioni sociali solo in via sussidiaria, condizione per il legittimo esercizio dell’azione esecutiva ai loro danni in virtù di un titolo formato ai danni della società di persone è la incapienza del patrimonio sociale della quale il creditore deve fornire la prova nel caso di contestazione del socio ritenuto debitore e sottoposto ad esecuzione (Cass. 5 marzo 2011, n. 5136). In applicazione dello stesso principio si è ritenuto che la sentenza emessa nei confronti del condominio potesse legittimare l’avvio del processo esecutivo in danno di ogni singolo condomino, anche se nei limiti della quota millesimale di proprietà di quest’ultimo (Cass. sez. un. 8 aprile 2008, n. 9148). Di recente Cass. 29 dicembre 2011, n. 29754 ha ammesso che il titolo esecutivo formato contro una associazione non riconosciuta possa legittimare l’azione esecutiva ai danni degli associati che, tuttavia, rispondono delle obbligazioni assunte dalla associazione, nei limiti del fondo comune o senza limiti ma, in quest’ultimo caso, quando hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Il creditore, una volta che il destinatario abbia proposto opposizione all’esecuzione, deve fornire prova della sussistenza delle condizioni per procedere esecutivamente in suo danno. 24 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE In un caso e nell’altro è possibile che il soggetto aggredito con l’esecuzione (sia esso il socio ovvero il condomino) proponga l’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. per contestare la sussistenza dei presupposti per l’estensione dell’efficacia del titolo. Un difetto di legittimazione passiva può riscontrarsi anche quando sia aggredito esecutivamente il bene di un terzo al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 602 c.p.c. poiché in tali casi l’istante non è titolare dell’azione esecutiva nella direzione in cui essa è stata esercitata. Di recente la giurisprudenza ha escluso che possa ritenersi carente di legittimazione attiva il coniuge separato o divorziato che sia indicato nel titolo esecutivo come beneficiario dell’assegno di mantenimento destinato alle esigenze della prole per il solo fatto che i figli siano divenuti maggiorenni; una modifica della legittimazione presuppone, infatti, la revisione delle disposizioni patrimoniali contenute nel titolo67. 3.7. L’utilizzazione del titolo esecutivo per far valere un diritto diverso da quello che il titolo è idoneo ad attuare nelle forme dell’esecuzione forzata Si ha un difetto relativo del titolo esecutivo dal punto di vista oggettivo quando quest’ultimo venga utilizzato per far valere un diritto del quale esso non consenta l’attuazione forzata. Colui nei cui confronti venga promossa l’esecuzione può, ad esempio, contestare la legittimità dell’esercizio dell’azione esecutiva per consegna o rilascio perché avvenuto in forza di una scrittura privata autenticata che, ai sensi del combinato disposto del co. 2 n. 2 e del co. 3 dell’art. 474 c.p.c., costituisce titolo esecutivo per le sole obbligazioni di pagamento di somme di denaro. Nello stesso modo può essere contestato anche l’avvio di un’esecuzione di obblighi di fare o di non fare, sulla base di un titolo di tipo stragiudiziale. Nessun dubbio sussiste, invece, sul fatto che l’esecuzione in forma specifica possa essere promossa in base a qualunque titolo di formazione giudiziale, ivi compreso il verbale di conciliazione previsto dall’art. 185 disp. att. c.p.c.. Induce a tale interpretazione l’attuale formulazione dell’art. 474 co. 2 n. 1 e co. 3 c.p.c., nella parte in cui assimila alle sentenze ed ai provvedimenti giurisdizionali anche gli “altri atti” cui la legge attribuisce efficacia esecutiva tra i quali sono compresi i verbali di conciliazione giudiziale e sancisce la idoneità di tutti i titoli di formazione giudiziale a fondare l’esecuzione forzata in una qualunque delle forme previste dal codice68. 67 Cass. 16 giugno 2011, n. 13184. L’inserimento degli “altri atti cui la legge attribuisce efficacia esecutiva” tra i quali il verbale di conciliazione giudiziale nella categoria dei titoli di formazione giudiziale è stato operato dal legislatore della riforma del 2006 che, per tale aspetto, ha recepito l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con la sentenza 12 luglio 2002 n. 336, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 c.p.c., aveva affermato come, in base a quest’ultima norma, fosse possibile promuovere l’esecuzione per obblighi di fare o di non fare anche sulla base di verbale di conciliazione giudiziale. 68 CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 25 Non è invece d’ostacolo all’esercizio dell’azione esecutiva il fatto che il titolo esecutivo utilizzato sia posto a fondamento di altra esecuzione. Tale contestazione, pur astrattamente riconducibile al rimedio oppositorio di cui all’art. 615 c.p.c. 69, non è accoglibile poiché il creditore può promuovere sulla base di un unico titolo esecutivo molteplici processi sino a che la sua pretesa non sia stata integralmente soddisfatta. Resta però salva in questo caso per il debitore la possibilità di invocare la limitazione del mezzo di espropriazione che, come già esposto, esula dall’ambito delle opposizioni esecutive. 3.8. L’eccessività della pretesa creditoria come quantificata nel precetto, l’intimazione ad eseguire una prestazione non prevista dal titolo o incoercibile In via interpretativa si ritiene che il titolo esecutivo sia mancante in senso relativo e dal punto di vista oggettivo quando il creditore abbia intimato con il precetto il pagamento di una somma superiore a quella che avrebbe potuto richiedere in base al titolo esecutivo70. In ipotesi siffatte la giurisprudenza ha riconosciuto che il giudice investito dell’opposizione all’esecuzione possa dichiarare l’illegittimità del precetto non nella sua interezza, ma limitatamente alle sole somme per le quali la pretesa si riveli illegittima 71. In questa ottica è possibile proporre opposizione all’esecuzione per contestare lo schema di calcolo seguito dall’intimante ad esempio con riguardo alla rivalutazione della somma capitale liquidata dal giudice72 o al calcolo degli interessi per ciò che concerne il tasso applicabile o la decorrenza73 o alla misura delle spese legali successive alla emanazione della sentenza74. Ed ancora è possibile contestare, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., l’inserimento tra le somme precettate dell’intero importo delle spese di registrazione del titolo, a fronte di una statuizione di compensazione totale o parziale delle spese di lite75, ovvero la richiesta di rimborso delle spese e competenze relative ad un precedente precetto ove quest’ultimo sia divenuto inefficace ai sensi dell’art. 481 c.p.c. perché non posto a fondamento di un’esecuzione76. Analogamente è possibile contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente quando con il precetto sia stato intimato il compimento di una prestazione non suscettibile di esecuzione forzata perché incoercibile. La giuri69 Cass. 9 aprile 1992, n. 4375. Cass. 11 ottobre 1974, n. 2768; Cass. 7 gennaio 1980, n. 94; Cass. 29 dicembre 1993, n. 12950. 71 Cfr. Cass. 14 novembre 2011, n. 23704 secondo cui l’opposizione all’esecuzione può essere integralmente accolta solo quando il debitore dimostri di aver integralmente onorato il debito per capitale, interessi e spese. 72 Cass. 25 maggio 1981, n. 3443. 73 Cass. 14 dicembre 1992, n. 13171 con la quale è stato affermato che se un decreto ingiuntivo non specifica la decorrenza degli interessi sul capitale essi non possono farsi decorrere da un momento antecedente a quello della notificazione della domanda giudiziale. 74 Cass. 7 dicembre 2000, n. 15533. 75 Cass. 26 febbraio 1998, n. 2123. 76 Cass. 17 agosto 1965, n. 1963. In generale vige la regola secondo cui le spese relative ad un precedente precetto non debbono essere rimborsate quando quest’ultimo sia divenuto inefficace ai sensi dell’art. 481 c.p.c.. 70 26 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE sprudenza ha ritenuto che l’atto di precetto deve ritenersi invalido quando, ad esempio, con esso venga intimata la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che l’esecuzione specifica è possibile per le obbligazioni di fare di natura fungibile, mentre la reintegrazione suddetta comporta non soltanto la riammissione del lavoratore in azienda (e cioè un comportamento riconducibile ad un pati), ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo – funzionale consistente nell’impartire al dipendente le opportune direttive nell’ambito di una relazione di necessaria collaborazione77. 4. La contestazione circa la caducazione del titolo esecutivo per fatto sopravvenuto 4.1. La caducazione del titolo esecutivo giudiziale Si sono sin qui esaminate le ipotesi di contestazione circa il “se” dell’esecuzione concernenti l’illegittimità dell’azione per difetto originario del titolo esecutivo. È però ben possibile che il creditore avesse diritto ad agire esecutivamente nel momento in cui ha proceduto alla notificazione dell’atto di precetto ovvero ha promosso il processo di esecuzione, ma che tale diritto sia venuto meno perché il titolo azionato è stato caducato per causa sopravvenuta. La vicenda può riguardare tanto il titolo di formazione giudiziale che quello avente natura stragiudiziale e consente la proposizione dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c.. In ossequio al principio secondo cui nulla esecutio sine titulo ai fini della legittimità dell’esecuzione forzata occorre che il titolo esecutivo sussista non solo nel momento in cui l’esecuzione è minacciata o intrapresa, ma durante tutto il suo svolgimento78. Il titolo giudiziale può venir meno nel corso del processo di esecuzione quando sia riformato integralmente in sede di gravame, senza che rilevi il fatto che l’impugnazione sia accolta per motivi di merito o di rito. Il titolo stragiudiziale invece non è interessato da una vicenda analoga anche se può essere posto nel nulla quando sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia dell’atto negoziale in cui esso consiste. Per ciò che concerne i titoli giudiziali una prima ipotesi di caducazione si riscontra nel caso in cui la sentenza di primo grado sia integralmente riformata in appello. La caducazione della sentenza di primo grado comporta, infatti, l’ineffi77 Il principio della incoercibilità dell’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato era stato affermato già da Cass. 13 aprile 1985, n. 2458 e poi ripetutamente ribadito da Cass. 11 gennaio 1990, n. 46; Cass. 19 novembre 1996, n. 10109; Cass. 14 luglio 1997, n. 6381; Cass. 6 maggio 1999, n. 4543. 78 Cass. 9 gennaio 2002, n. 210, Cass. 31 marzo 2007 n. 8061 che precisa anche come la successiva caducazione del titolo esecutivo non può avere valenza retroattiva per inferirne la invalidità di una procedura legittimamente iniziata e portata a definitivo compimento CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 27 cacia di tutti gli atti esecutivi già compiuti. Tale effetto si produce anche se la sentenza di riforma non sia ancora passata in giudicato. Una siffatta conclusione si fonda sulla nuova formulazione dell’art. 336 c.p.c. che ha eliminato il collegamento tra l’effetto rescindente della sentenza di appello ed il passaggio in giudicato di quest’ultima. Ulteriore applicazione dello stesso principio si riscontra nella ipotesi in cui il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sia revocato con la sentenza con cui viene accolta l’opposizione, proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c.. Gli interpreti si sono domandati se l’effetto caducatorio nell’ipotesi di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo sia automatico o invece subordinato al passaggio in giudicato della sentenza che decide sull’opposizione la quale per sua natura non è provvisoriamente esecutiva. La soluzione preferibile appare quella di ritenere che l’inefficacia degli atti esecutivi prescinda dalla irrevocabilità della sentenza. Può, infatti, ritenersi che la sentenza di accertamento negativo pronunciata all’esito dell’opposizione ex art. 645 c.p.c. supera il precedente accertamento sommario ponendolo nel nulla. Tale conclusione è stata fatta propria dalla giurisprudenza con riferimento ad un’ipotesi in cui la sentenza di opposizione a decreto ingiuntivo aveva disposto la revoca per motivi di rito79; non vi sono, tuttavia, ragioni che ostino a tale conclusione nel caso in cui la revoca del decreto ingiuntivo sia stata pronunciata per motivi di merito. È comunque opportuno evidenziare che il diritto ad agire esecutivamente del creditore non viene meno quando il titolo esecutivo giudiziale non sia stato posto nel nulla, ma solo modificato. L’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche quando si assuma non che è stato caducato non il titolo di formazione giudiziale, ma ne è stata sospesa la sua esecutività. In un’ipotesi siffatta non vi sono dubbi che il soggetto passivo del processo possa reagire alla iniziativa del creditore utilizzando il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c. poiché la contestazione ha comunque ad oggetto l’an dell’esecuzione. La particolarità del caso è però costituita dal fatto che l’eventuale sospensione dell’esecuzione deve essere disposta ai sensi dell’art. 623 c.p.c. e che la sentenza pronunciata sull’opposizione non potrà dichiarare l’inesistenza definitiva, ma solo temporanea del diritto del creditore ad agire esecutivamente80. 79 Così Cass. 28 maggio 1999 n. 5192. In una ipotesi come quella esaminata potrebbe addirittura sospendersi il giudizio instaurato ai sensi dell’art. 615 c.p.c. in attesa della conclusione del processo di merito nell’ambito del quale è stata sospesa la esecutività del provvedimento giudiziale utilizzato come titolo esecutivo. L’eventuale accoglimento del gravame realizzerebbe in modo definitivo la caducazione del titolo esecutivo e consentirebbe di accogliere la domanda dichiarando la illegittimità degli atti esecutivi sino ad allora compiuti. Non ha invece rilevanza nel giudizio di merito la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, come ribadito da una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 3 settembre 2007 n. 18512): “allorquando l'esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo giudiziale che, al momento di tale inizio abbia efficacia esecutiva e venga proposta opposizione all'esecuzione, la successiva sopravvenienza della sospensione della sua efficacia esecutiva da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato impugnato, non ha alcuna incidenza sull'oggetto del giudizio di opposizione, che concerne l'accertamento negativo della sussistenza del diritto di procedere all'esecuzione al momento in cui l'esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell'esecuzione nell'ambito del processo esecutivo perché disponga direttamente la sospensione dell'esecuzione”. 80 28 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE L’esecuzione forzata è, infatti, indifferente dinanzi a determinati fenomeni che possono definirsi di mera trasformazione del titolo esecutivo. Può, cioè, verificarsi che il processo esecutivo sia stato promosso sulla base di una sentenza o di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivi. L’eventuale parziale accoglimento dell’appello proposto avverso la sentenza emessa in primo grado cui segua la pronuncia di una condanna ad un importo ridotto ovvero l’eventuale parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, cui segua la pronuncia di una condanna diversa nel quantum rispetto all’ingiunzione originaria, non ha effetto sulla procedura esecutiva. L’esecuzione forzata prosegue cioè per la realizzazione del credito nei limiti dell’importo riconosciuto in sede di gravame 81. Certo non è escluso che il soggetto passivo del processo possa contestare il diritto del creditore dal punto di vista quantitativo assumendo che il credito si è ridotto, ma giova precisare che una contestazione di contenuto siffatto può essere avanzata solo quando l’interesse a contrastare l’azione divenga certo ed attuale come si verifica, ad esempio, nel caso in cui sia stato pagato il residuo dovuto ed il creditore intenda proseguire oltre nella espropriazione, ovvero quando il creditore precisi la propria pretesa alla luce del primo titolo esecutivo senza tenere conto delle vicende successive ai fini dei subprocedimenti di conversione o riduzione del pignoramento. Parimenti la procedura esecutiva prosegue senza soluzione di continuità pure nell’ipotesi in cui il titolo esecutivo mantenga seppure in parte la sua efficacia esecutiva, ma mutino esclusivamente le ragioni giuridiche della sua esecutività82. Basti pensare ad un’esecuzione forzata avviata in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva e proseguita, una volta venuta meno la sua provvisoria esecutività, ad esempio, perché sospesa dal giudice dell’appello, facendo valere l’efficacia di cosa giudicata di alcuni capi della originaria pronuncia non impugnati e perciò passati in cosa giudicata83. Può ancora verificarsi che la procedura esecutiva avviata sulla base di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva prosegua in forza di essa sebbene l’impugnazione proposta in appello sia stata rigettata nel merito e la sentenza di secondo grado costituisca il nuovo titolo esecutivo. Non è invece possibile la prosecuzione della procedura esecutiva nel caso in cui l’opposizione all’esecuzione sia stata accolta, ma la stessa sentenza abbia accolto anche la domanda riconvenzionale proposta dal creditore. In questo caso è necessario intraprendere una nuova esecuzione84. 4.2. La caducazione del titolo esecutivo stragiudiziale Si è già anticipato che anche il titolo esecutivo di formazione stragiudiziale potrebbe essere interessato da una vicenda caducatoria successiva al preannuncio o all’avvio del processo esecutivo. Tale evenienza può verificarsi ad esempio quan81 Così Cass. 7 aprile 1986 n. 2406; Cass. 30 luglio 1997 n. 71111. Così CAMPESE, L’espropriazione forzata immobiliare, Milano, 2006, p. 56. 83 Così Cass. 4 agosto 1987 n. 6705; Cass. 30 luglio 1986 n. 4889. 84 Cass. 20 aprile 2007, n. 9494. 82 CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 29 do, nel corso del processo di esecuzione, sia stata accolta la domanda di annullamento, simulazione, rescissione o risoluzione del negozio stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata ed azionato quale titolo esecutivo. Va da sé, comunque, che l’effetto caducatorio dell’atto negoziale stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata non consegue alla emanazione della pronuncia che dichiari l’annullamento o accolga la domanda di rescissione, simulazione o risoluzione, ma solo al suo passaggio in giudicato poiché in tutti i casi esposti la sentenza non è di condanna, ma di accertamento o costitutiva. 4.3. L’irrilevanza della riviviscenza del titolo esecutivo caducato In ossequio al principio secondo cui nulla executio sine titulo la mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo non è superabile e non può essere sanata. Ne deriva che è irrilevante il fatto che il titolo esecutivo mancante al momento dell’avvio del processo di esecuzione sia venuto ad esistenza successivamente85. Del pari irrilevante è la circostanza che il titolo esecutivo caducato nel corso del processo riviva. Si pensi all’ipotesi in cui l’esecuzione forzata sia promossa in forza di una sentenza provvisoriamente esecutiva e che essa sia stata riformata in appello. La caducazione degli atti esecutivi per effetto della pronuncia del giudice del gravame si produce automaticamente e resta irrilevante la possibilità che nell’eventuale giudizio per cassazione la sentenza di riforma pronunciata in appello sia stata annullata con o senza rinvio86. Per trarre le fila del discorso sin qui svolto può dunque affermarsi che con l’opposizione esecutiva prevista dall’art. 615 c.p.c. è possibile contestare che il creditore non ha il diritto di proseguire nell’esercizio dell’azione esecutiva perché il titolo in forza del quale egli ha agito è stato caducato in modo definitivo nel corso del processo. Un’analoga contestazione non è invece accoglibile ove si sostenga che il titolo esecutivo sia stato solo trasformato nel quantum. Infine si deve evidenziare che quando con l’opposizione all’esecuzione si assuma che il titolo esecutivo azionato dal creditore procedente è venuto meno per una vicenda caducatoria verificatasi nel corso del processo, all’accoglimento della domanda consegue la declaratoria di inefficacia del primo atto esecutivo e di quelli che sul presupposto di esso siano stati posti in essere. La vicenda assume tuttavia connotazioni diverse se il processo esecutivo si svolge nelle forme della espropriazione forzata e l’opposizione all’esecuzione non abbia ad oggetto la posizione del creditore pignorante, ma quella di un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo. È noto che l’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c. può essere proposta anche per contestare il diritto ad agire esecutivamente del creditore intervenuto titolato, ma è di tutta evidenza che la caducazione del titolo esecutivo da quest’ultimo fatto valere non può determinare l’inefficacia del pignoramento e degli atti esecutivi 85 86 Cfr. Cass. 6 agosto 2002 n. 11769. In questo senso, di recente, Cass. 13 marzo 2012, n. 3979. Cfr. Cass. 13 maggio 2002 n. 6911. 30 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE compiuti ad istanza del pignorante atteso che questi ultimi hanno una loro autonomia strutturale e funzionale che li rende indifferenti rispetto all’esito del giudizio. 5. La contestazione circa l’estinzione del diritto di credito per fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo L’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche per affermare che il titolo esecutivo, pur correttamente formatosi, non ha più motivo d’essere perché il diritto di cui riconosce l’esistenza è venuto meno. Tale tipologia di opposizione tende, quindi, a contrastare il contenuto sostanziale del titolo ed a realizzare, in via principale e non incidentale, un accertamento negativo circa l’esistenza del credito da esso consacrato. È chiaro però che se una contestazione di tale tenore non incontra limiti per i titoli di formazione stragiudiziale, la situazione si presenta più complessa per quelli di formazione giudiziale in relazione ai quali la proponibilità dell’opposizione è limitata dalla situazione processuale del giudizio in cui si sono formati. Nell’esaminare l’ampia casistica che l’esperienza applicativa ha consentito di elaborare sulle questioni inerenti alla contestazione del contenuto sostanziale del titolo, occorre quindi distinguere i titoli giudiziali da quelli stragiudiziali. Con riguardo al titolo giudiziale la giurisprudenza ha affermato che in sede di opposizione all’esecuzione la pretesa fatta valere dal creditore può essere neutralizzata soltanto proponendo questioni che abbiano ad oggetto fatti modificativi o estintivi (pagamento, compensazione, novazione, transazione, compensazione, impossibilità sopravvenuta etc.) del rapporto sostanziale verificatisi successivamente alla sua formazione87. In modo speculare, l’opposizione all’esecuzione non è fondata quando si basi sulla prospettazione di fatti modificativi o estintivi del diritto accaduti prima o durante la fase di formazione del titolo e che, in relazione al tempo in cui sono venuti in essere, avrebbero potuto essere fatti valere nel giudizio di merito. Le questioni aventi ad oggetto i fatti anteriori o coevi al processo sono, infatti, coperte dal giudicato senza che rilevi la circostanza che esse siano state sollevate o che il loro esame sia restato precluso per l’inerzia della parte che avrebbe avuto interesse a prospettarle. L’opposizione all’esecuzione è, quindi, ammissibile e fondata ogniqualvolta concerna deduzioni sulla esistenza del rapporto sostanziale il cui esame non era riservato alla cognizione del giudice dinanzi al quale il titolo si è formato o, per meglio dire, in tutti i casi in cui tenda ad un accertamento che, neppure astrattamente, può risultare in contrasto con quello contenuto nel provvedimento giudiziale su cui si fonda il processo di esecuzione. Proposta l’opposizione all’esecuzione il giudice, dunque, prima di procedere all’esame nel merito delle contestazioni ha il potere-dovere di verificare in modo 87 Cass. 5 dicembre 1988, n. 6605; Cass. 2 aprile 1997, n. 2870; Cass. 28 agosto 1999, n. 9061; Cass. 25 settembre 2000, n. 12664; Cass. 9 novembre 2001, n. 13872. Di recente, in questo senso, Cass. 24 febbraio 2011, n. 4505 con riferimento ad un’ordinanza di assegnazione del credito emessa all’esito di un procedimento di espropriazione presso terzi nonché Cass. 13 marzo 2012, n. 3979. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 31 autonomo, e cioè indipendentemente dalle eccezioni svolte dall’opposto, se essa sia ammissibile e cioè se i fatti dedotti possano, per la loro consistenza e per il tempo del loro accadimento, superare il giudicato. Giova peraltro evidenziare che i criteri innanzi illustrati sono applicabili in relazione a qualunque titolo giudiziale che sia idoneo a divenire irrevocabile e dunque, non solo alle sentenze, ma anche ai decreti ingiuntivi ed in generale a tutti i provvedimento giurisdizionali che sono soggetti ad impugnazione e che ove non gravati divengono irrevocabili. È inoltre appena il caso di rilevare che l’anteriorità al giudicato dei fatti che incidono sul rapporto sostanziale va valutata in relazione all’ultimo momento utile per farli valere nella sede cognitiva ragion per cui essa tale anteriorità deve essere riscontrata caso per caso tenendo conto dei termini preclusivi applicabili in relazione al rito che regola lo svolgimento del processo di formazione del titolo. Fatte queste premesse e per richiamare le principali applicazioni compiute dalla giurisprudenza in materia si rammenta che l’opposizione all’esecuzione è stata ritenuta inammissibile se proposta per contrastare il processo di formazione del titolo ed assumere, ad esempio, il difetto di giurisdizione del giudice che lo ha emesso88, ovvero per lamentare l’ingiustizia della decisione assunta e contestare le valutazioni compiute dal giudice del merito89. In entrambi i casi evidenziati, invero, l’esame dei vizi della decisione è riservato in modo esclusivo al giudice dell’impugnazione. Parimenti l’opposizione all’esecuzione è inammissibile ove si neghi l’esistenza del diritto fatto valere dal creditore assumendo che esso si sia estinto per un pagamento90 o una transazione91 quando tali vicende estintive si siano verificate prima del giudicato ovvero ancora se si deduca che il diritto di credito non poteva essere azionato a causa della conclusione tra le parti di un patto sulla non eseguibilità della sentenza concluso prima della emanazione di quest’ultima92. Ed ancora, facendo applicazione dei principi sin qui menzionati, la giurisprudenza ha ritenuto che la compensazione non rileva come fattispecie estintiva quando il controcredito vantato dal debitore sia sorto prima della definitiva formazione del titolo o per meglio dire quando l’eccezione avrebbe potuto essere proposta nel corso del giudizio di merito93, senza che rilevi il fatto che il credito sia divenuto liquido ed esigibile solo dopo il giudicato, dal momento che in sede di cognizione si poteva sollecitare il giudice ad esercitare il potere riconosciutogli dall’art. 1243 co. 2 c.c.94. 88 Cfr. Cass. 6 febbraio 1978, n. 526 con riferimento ad una sentenza emessa dal giudice ordinario. Cfr. Cass. 15 aprile 1992, n. 4633 con cui, ad esempio, si è ritenuto che non si può eccepire per la prima volta nel giudizio di opposizione all’esecuzione fondata su un titolo giudiziale pronunciato senza limiti nei confronti dell’erede la circostanza che l’erede medesimo aveva accettato l’eredità del de cuius con beneficio di inventario e dunque aveva una responsabilità limitata per i debiti di quest’ultimo. 90 Cass. 5 febbraio 1973, n. 366. 91 Cass. 16 giugno 1987, n. 5294. 92 Cass. 15 giugno 1964, n. 1519. 93 Cass. 28 aprile 1969, n. 2865; Cass. 25 marzo 1999, n. 2822. 94 Cass. 27 ottobre 1959, n. 3115; Cass. 28 luglio 1969, n., 2869. 89 32 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE La giurisprudenza di legittimità ha precisato, inoltre, che nel caso in cui venga proposta eccezione di compensazione giudiziale, sebbene l’accertamento dell’esistenza del credito opposto in compensazione possa essere compiuto dal giudice investito della opposizione, siffatto accertamento è, tuttavia, precluso quando il controcredito sia già oggetto di un separato giudizio in corso e quest’ultimo accertamento non sia divenuto definitivo95. L’onere di proporre l’eccezione di compensazione nel processo di formazione del titolo opera, dunque, non solo per la compensazione legale, ma anche per quella giudiziale. Nessuna preclusione alla eccezione di compensazione sussiste invece quando il controcredito non esisteva prima della conclusione del giudizio perché esso è venuto in essere con la pronuncia giudiziale, come si verifica ad esempio per il credito scaturente dalla liquidazione delle spese di lite96. Diversamente, a parere della giurisprudenza, il giudice investito dell’opposizione all’esecuzione può accertare l’inesistenza del diritto in tutti i casi in cui l’adempimento o in genere la vicenda estintiva diversa dal pagamento, costituita ad esempio dalla transazione o dalla compensazione, sia sopravvenuta al giudicato. Deve rilevarsi comunque che il divieto di proporre opposizione all’esecuzione per fatti anteriori al giudicato può essere eccezionalmente esclusa solo in relazione a quei fatti cui la stessa sentenza abbia espressamente riconosciuto l’idoneità a modificare la concreta quantificazione dell’obbligo del debitore97. Occorre, peraltro, puntualizzare che l’opposizione all’esecuzione è sempre ammissibile quando si fondi solo su un’interpretazione del giudicato diversa da quella prospettata dal creditore al momento del preannuncio o dell’esercizio dell’azione esecutiva, poiché, in un’ipotesi siffatta, la delibazione del giudice investito della causa proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c. non si estende all’accertamento della esistenza di fatti che siano stati estranei al thema decidendum sottoposto alla cognizione del giudice del merito98. Come si è già anticipato in premessa, se si ha riguardo ai titoli stragiudiziali il giudice dell’opposizione all’esecuzione ha una cognizione piena sull’accertamento circa il rapporto sostanziale e la perdurante esistenza del diritto. In buona sostanza cioè “il debitore può giustificare la sua azione con tutti quei fatti in base ai quali egli avrebbe potuto resistere alla domanda del creditore se questi avesse promosso un processo di condanna anziché iniziare direttamente l’esecuzione”99. È pertanto possibile che colui che intenda contrastare la pretesa esecutiva fatta valere dal creditore deduca in ogni momento l’estinzione del credito ovvero l’invalidità della fattispecie negoziale in cui consiste il titolo. La dottrina riconduce a tale categoria, ad esempio, l’eccezione circa l’abusivo riempimento del titolo di credito nonostante l’estinzione della pretesa creditoria per la quale il titolo era stato 95 Cass. 12 aprile 2011, n. 8338. Cass. sez. un. 6 ottobre 1962, n. 2865; Cass. 6 luglio 1977, n. 2990; Cass. 20 febbraio 1978, n. 821. 97 Cass. 26 giugno 1978, n. 3150 con riferimento ad una fattispecie con cui il promittente, a seguito della risoluzione del preliminare di vendita, era stato condannato alla restituzione di parte delle somme ricevute. 98 Cass. 16 febbraio 1977, n. 709. 99 Così testualmente LIEBMAN, op. cit., 337 – 338. 96 CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 33 rilasciato100 e comunque tutte le ipotesi di estinzione o modificazione della entità del credito successiva alla formazione del titolo conseguente a pagamento, transazione, novazione, compensazione etc.. 6. La contestazione circa la direzione in cui è stata esercitata l’azione esecutiva: l’impignorabilità L’art. 615 c.p.c. prevede che l’opposizione all’esecuzione possa essere proposta sia prima che dopo l’avvio del processo per contestare il diritto del creditore a procedere all’esecuzione forzata e che il medesimo rimedio possa essere utilizzato anche per contestare la pignorabilità dei beni una volta che, promosso il processo esecutivo nella forma della espropriazione forzata, se ne sia individuato l’oggetto mediante il pignoramento. La scelta normativa di ricondurre la contestazione circa la pignorabilità dei beni nell’alveo dei motivi che fondano l’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c. costituisce l’esito di un lungo percorso interpretativo sviluppatosi nella vigenza del codice del 1865 che tuttavia non ha trovato concorde tutta la dottrina. Secondo alcuni “la menzione particolare dell’opposizione che riguarda la pignorabilità dei beni è almeno superflua se non proprio nociva”101 in quanto l’impignorabilità altro non è che il diritto a procedere all’esecuzione su determinati beni, diritto che non sussisterebbe se il pignoramento non avesse provveduto alla loro individuazione102. Secondo altra tesi l’aver chiarito che le contestazioni sulla pignorabilità dei beni rientrano nell’opposizione all’esecuzione è invece quanto mai opportuna atteso che l’art. 615 co. 1 c.p.c. si riferisce all’esecuzione in genere e non alla espropriazione forzata ed era necessario procedere ad un inquadramento sistematico della questione relativa alla pignorabilità dei beni poiché questa “non attinge alle condizioni di esistenza dell’azione satisfattiva propriamente detta sebbene alle condizioni dell’azione espropriativa” che, come noto, della prima costituisce solo una delle possibili espressioni103. Ma, a parte la querelle sulla opportunità o meno della scelta operata dal legislatore, ciò che rileva in questa sede è affermare che la contestazione circa la pignorabilità dei beni deve essere ricondotta al rimedio oppositorio di cui all’art. 615 c.p.c. poiché essa nella sostanza attiene alla negazione del diritto del creditore a procedere in executivis in conseguenza della modalità con cui quest’ultimo ha esercitato l’azione104. La contestazione circa la pignorabilità dei beni per le ragioni innanzi esposte costituisce, dunque, l’estremo limite della contestazione del “se” del100 MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435. CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 99. 102 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1965, I,, 462. 103 ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit. 336. 104 Così in dottrina MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435. In giurisprudenza cfr. Cass. 24 novembre 2000, n. 15198 con cui viene affermato che “La controversia relativa alla pignorabilità dei beni costituisce oggetto di una opposizione all’esecuzione, secondo l’espressa previsione dell’art. 615 c.p.c., co. 2, dal momento che la pignorabilità non è altro che la negazione del diritto di procedere ad esecuzione su determinati beni”. 101 34 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE l’esecuzione ed anzi si pone ai confini della contestazione sul “come” dell’esecuzione medesima105. Fatte queste premesse di tipo concettuale, va rilevato che con l’opposizione all’esecuzione è possibile contestare il pignoramento di beni o crediti impignorabili in modo assoluto ovvero in modo relativo; in quest’ultimo caso il pignoramento può essere effettuato solo nel rispetto di precisi limiti quantitativi o in presenza di specifiche condizioni di carattere spazio-temporale. In generale va poi evidenziato che l’impignorabilità può essere collegata alla particolare natura del bene ovvero derivare dalla sussistenza di particolari situazioni giuridiche connesse al bene stesso. Le cause di impignorabilità connesse alle caratteristiche proprio del bene previste dal codice di procedura civile sono, per i beni mobili, quelle indicate dagli artt. 514, 515 e 516 c.p.c., mentre per i crediti, quelle evidenziate dall’art. 545 c.p.c.. Varie sono d’altro canto le ipotesi di impignorabilità previste dal codice civile (quali i casi di impignorabilità previsti per i beni demaniali o per quelli facenti parte del patrimonio indisponibile) o dalle leggi speciali. Una ipotesi particolare di impignorabilità del bene è costituita dalla destinazione del bene appartenente a uno Stato estero all’adempimento delle sue funzioni pubbliche106. Quanto ai beni immobili costituisce un’ipotesi di impignorabilità non collegata alla natura del bene, ma a vicende di tipo processuale, quella sancita dall’art. 2911 c.c. che può profilarsi nell’ipotesi in cui il creditore, che agisca per la soddisfazione di un credito garantito da ipoteca, abbia pignorato uno o più beni immobili, ma non quello sul quale la garanzia ipotecaria è stata iscritta. Parimenti costituisce un’ipotesi impignorabilità avente una fonte di carattere negoziale quella che consegue al fatto che un determinato bene sia stato destinato alla costituzione di un fondo patrimoniale per soddisfare le esigenze della famiglia. Le molteplici ipotesi di impignorabilità ricavabili dall’intero sistema normativo sono state illustrate in precedenza; in questa sede si devono, invece, esaminare alcune questioni che definiscono l’oggetto dell’opposizione all’esecuzione per il profilo in esame. Giova innanzitutto rilevare che l’impignorabilità dei beni e dei crediti può essere contestata con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione sia quando abbia carattere assoluto che quando abbia carattere relativo107. Per esemplificare l’opposizione all’esecuzione può essere proposta, non solo per dolersi del fatto che con il pignoramento sono state sottoposte ad esecuzione cose sacre (assolutamente impignorabili ai sensi dell’art. 514 n. 1 c.p.c.), ma anche per contestare che i frutti non 105 Così MANDRIOLI, Opposizione, cit., 435. Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041. 107 In questo senso ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 346; MANDRIOLI, Opposizione, cit., 438. In senso contrario SATTA, op. cit., 252; TARZIA, Indicazione del bene da pignorare, in Giur. it., 1964, I, 2, 315 i quali sostengono che le ipotesi di impignorabilità relativa previste dall’art. 515 c.p.c. stabiliscono solo un modus procedendi. 106 CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 35 ancora raccolti o separati dal suolo sono stati pignorati senza rispettare le particolari condizioni di tempo indicate dall’art. 516 c.p.c.. Ed ancora è opportuno evidenziare che l’opposizione all’esecuzione per l’impignorabilità dei beni può essere proposta dal soggetto nei cui confronti sia stata promossa l’esecuzione. Una contestazione di tale contenuto non può essere mossa né dal terzo reclamante che pretenda di essere titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni staggiti e che per tutelare le proprie ragioni abbia introdotto l’opposizione prevista dall’art. 619 c.p.c.108, né dal terzo pignorato nella ipotesi in cui l’espropriazione si sia svolta nelle forme previste dall’art. 543 c.p.c.. Rilevante è poi stabilire quale sia il momento ultimo per contestare la pignorabilità dei beni. In generale l’opposizione all’esecuzione può essere promossa a partire dall’avvio del processo esecutivo e sino alla sua conclusione, ma la validità di tale criterio va messa a punto quando il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c. venga impiegato per muovere contestazioni sulla idoneità dei beni pignorati ad essere sottoposti ad esecuzione. Non si può dimenticare, infatti, che sia la vendita che l’assegnazione forzate hanno un proprio regime di stabilità. La giurisprudenza ha preso posizione a tale proposito solo con riferimento alla ipotesi di espropriazione presso terzi affermando che, quando il processo esecutivo sia stato instaurato nelle forme di cui all’art. 543 c.p.c., la contestazione sulla pignorabilità dei beni è ammissibile fino alla adozione della ordinanza di assegnazione del credito. Sempre la giurisprudenza sembra escludere che la questione sulla impignorabilità del credito trasferito possa essere dedotta impugnando ai sensi dell’art. 617 c.p.c. l’ordinanza di assegnazione. La proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi sarebbe, infatti, ammissibile solo per contestare la legittimità dell’assegnazione quando essa sia stata adottata sul presupposto di un rigetto implicito o esplicito della eccezione di impignorabilità dei beni; in sostanza l’opposizione ex art. 617 c.p.c. agli atti esecutivi sarebbe ammissibile solo quando l’atto esecutivo abbia assunto contenuto decisorio. Tale orientamento, tuttavia, è stato revocato in dubbio con alcune pronunce recenti109. 108 Cass. 24 marzo 1980, n. 1961 con cui si è affermato che il terzo che pretenda di essere titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene pignorato e che abbia proposto l’opposizione prevista dall’art. 619 c.p.c. non è legittimato a far valere la impignorabilità del bene stesso. Tale impignorabilità, d’altro canto, avuto riguardo ai limiti oggettivi del giudizio di cui all’art. 619 c.p.c., che ha ad oggetto la legittimità del pignoramento con solo riguardo alla non appartenenza del compendio al debitore, e non anche sotto il diverso profilo della sottrazione di determinati beni all’azione esecutiva del creditore procedente, non può neppure essere rilevata di ufficio dal giudice. La sentenza sembra inoltre postulare che la questione della pignorabilità potrebbe essere rilevata di ufficio dal giudice ma come meglio si illustrerà in seguito questa soluzione non pare univoca. 109 La questione prospettata merita di essere meglio approfondita facendo i conti con gli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Per lungo tempo la Suprema Corte (Cass. 18 settembre 1972, n. 2755; Cass. 8 settembre 1986, n. 5491; Cass. 28 giugno 1989, n. 3138; Cass. 5 luglio 1989, n. 3208; Cass. 29 settembre 1997, n. 9541; Cass. 3 febbraio 1998, n. 1091; Cass. 29 gennaio 1999, n. 786; Cass. 28 giugno 2000, n. 8813; Cass. 4 gennaio 2000, n. 14; Cass. 30 marzo 2001, n. 4746; Cass. 8 agosto 2002, n. 12030; Cass. 22 giugno 2007, n. 14574; Cass. 9 marzo 20011, n. 5529) ha ritenuto che l’ordinanza di assegnazione del credito sarebbe impugnabile con l’appello tutte le volte in cui essa sia stata pronunciata previa risoluzione di una questione che, avendo ad oggetto la pignorabilità dei beni ovvero l’esistenza del diritto a procedere esecutivamente del creditore, avrebbe dovuto essere risolta con sentenza. La Cassazione, cioè, ha 36 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Certo non può negarsi che nel processo di espropriazione presso terzi l’ordinanza di assegnazione del credito sia il provvedimento che nel contempo chiude la fase liquidativa e quella distributiva, ma sembra difficile ipotizzare che la questione sulla pignorabilità possa essere dedotta per la prima volta dopo che i beni pignorati siano stati oggetto di vendita o di assegnazione forzata. Accedendo a questa tesi, invero, resterebbe pregiudicato in modo definitivo l’interesse a conservare la stabilità degli acquisti compiuti nel corso dell’esecuzione. È dubbio se la contestazione circa la pignorabilità dei beni o dei crediti possa essere rilevata di ufficio dal giudice ovvero debba necessariamente essere dedotta dal soggetto passivo dell’esecuzione. In un primo tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva affermato che l’impignorabilità dei beni mobili e dei crediti è stabilita non già per ragioni di interesse pubblico, e perciò con norme imperative, bensì nell’esclusivo interesse ritenuto necessario l’appello tutte le volte in cui l’ordinanza di assegnazione contenga la delibazione di motivi che, riconducibili ad un’opposizione alla esecuzione, non potevano essere superati dal giudice con un’ordinanza ma con una sentenza e, quindi, tutte le volte in cui viene emessa previa valutazione e decisione circa l’esistenza dei diritti delle parti. Tuttavia, a seguito della riforma del 2006, che aveva dichiarato inimpugnabile la sentenza emessa in relazione ai giudizi di opposizione alla esecuzione, tale orientamento doveva ritenersi superato. Anche ammettendo che l’ordinanza di assegnazione, avesse implicitamente o esplicitamente deciso questioni che avrebbero dovuto essere risolte con sentenza resa ai sensi dell’art. 615 c.p.c., tale sentenza non sarebbe stata appellabile ma ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha, però, nuovamente modificato il quadro normativo poiché, novellando l’art. 616 c.p.c., ha ripristinato il regime impugnatorio ordinario per le pronunce rese all’esito dei giudizi di opposizione all’esecuzione e di terzo all’esecuzione che tornano ad essere soggette ad appello talché l’orientamento della giurisprudenza in punto di appellabilità della ordinanza di assegnazione potrebbe riacquistare la sua attualità. Deve però segnalarsi che, di recente, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 14 luglio 2011, n. 15588), pronunciandosi con riferimento ad un’ordinanza di assegnazione di un credito pignorato presso terzi, richiamando un orientamento già espresso in materia di ordinanza determinativa delle modalità di esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c., ha prospettato la possibilità che il provvedimento del giudice dell’esecuzione si inserisca nella sequenza procedimentale della opposizione all’esecuzione, come riformulata dalla legge n. 80 del 2006, che si articola in due momenti dei quali il primo, endoesecutivo, destinato a chiudersi con un provvedimento del giudice dell’esecuzione e l’altro, solo eventuale, avente natura contenziosa, regolato dall’art. 616 c.p.c.. Accedendo a quest’ultima impostazione si è, dunque, ritenuto che l’ordinanza di assegnazione, nella parte in cui risolve una questione di merito (che avrebbe dovuto essere proposta con una opposizione all’esecuzione e decisa secondo il disposto degli artt. 615 ss. c.p.c.) non abbia il contenuto di sentenza ma equivalga ad una ordinanza ex art. 624 c.p.c. e debba, dunque, essere seguita dalla introduzione della causa di merito ex art. 616 c.p.c.. Quanto sin qui esposto consente, quindi, di ritenere che ad oggi prevale la tesi secondo cui l’ordinanza di assegnazione del credito non è appellabile. Non è, invece, pacifico se tale ordinanza possa essere impugnata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. per contestare la pignorabilità del credito. A tale proposito, va segnalato che la giurisprudenza ha talora riconosciuto l’ammissibilità del rimedio in esame nel caso della impignorabilità del credito assegnato anche quando la questione non fosse stata già dedotta nel corso del processo (Cass. 20 febbraio 2006, n. 3655; Cass. 18 gennaio 2000, n. 496) mentre, in altri casi, ha escluso la possibilità di far rivivere attraverso l’opposizione agli atti esecutivi quelle contestazioni che avrebbero dovuto essere tempestivamente svolte durante lo svolgimento del processo nelle forme dell’opposizione all’esecuzione (Cass. 23 febbraio 2011, n. 4505 nonché Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507 e Cass. 19 maggio 2003, n. 7761). CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 37 del debitore110. Negli anni più recenti ha, invece, ritenuto che quando l’impignorabilità della pensione assolve ad una funzione solidaristica e, mirando a garantire l’eguaglianza sostanziale e di protezione dei cittadini, tutela un interesse di carattere generale, può essere rilevata di ufficio dal giudice111. Nella motivazione della pronuncia richiamata la Corte di Cassazione ha comunque precisato che sono ispirate da ragioni di interesse pubblico, non solo le cause di impignorabilità della pensione cui si riferiva la fattispecie in esame, ma anche quelle relative agli emolumenti retributivi in generale112. Per completezza, va segnalato che, di recente, la Suprema Corte113, muovendo dalla premessa secondo cui il giudice, laddove debba essere tutelato un interesse pubblicistico, può rilevare l’impignorabilità, è pervenuta alla conclusione che tale potere deve essere riconosciuto al giudice dell’esecuzione nel caso in cui sia stata promossa una espropriazione presso terzi ai danni del Comune sottoponendo ad esecuzione le somme di pertinenza del debitore giacenti presso il tesoriere. Muovendo da tale considerazione ha, dunque, affermato114 che, nell’ipotesi da ultimo esaminata, il terzo tesoriere, quale ausiliario del giudice, ha l’onere di dichiarare l’esistenza del vincolo di destinazione e di specificare tutte le circostanze utili alla verifica circa la sua effettiva sussistenza sì da rendere possibile la verifica officiosa del giudice dell’esecuzione. Più precisamente, quindi, il tesoriere, anche quando il debitore non compaia ed ometta di svolgere le proprie difese, deve evidenziare quali siano state le delibere di impegno adottate dal comune e specificare la natura e la successione cronologica delle movimentazioni bancarie successive, al fine di rendere agevole la verifica circa il corretto operato della pubblica amministrazione debitrice. Avvalendosi delle indicazioni del terzo il giudice, se ritiene che ricorra in concreto l’impignorabilità, deve rigettare l’istanza di assegnazione del creditore mentre se, al contrario, ritiene che l’impignorabilità non ricorra, interpretata la dichiarazione del terzo, deve assegnare il credito nei limiti della dichiarazione positiva del tesoriere ed il suo provvedimento, in entrambe le ipotesi, potrà essere impugnato ai sensi dell’art. 617 c.p.c.115. Va, però, rammentato che, per lungo tempo la giurisprudenza aveva ritenuto che, nei casi in cui il debitore rilevi l’impignorabilità senza proporre opposizione ed il giudice proceda alla assegnazione risolvendo implicitamente o esplicitamente la questione posta dall’esecutato, il provvedimento conclusivo del processo sarebbe soggetto ad appello116. 110 Cass. 8 luglio 1978, n. 3432. Cass. 11 giugno 1999, n. 5761. 112 La Corte di Cassazione con la sentenza richiamata nella nota precedente ha precisato che l’orientamento espresso da Cass. 8 luglio 1978, n. 3432 non può essere condiviso con riferimento ai crediti per stipendi, pensioni ed altre indennità. 113 Cass. 16 settembre 2008, n. 23727; Cass. 27 maggio 2009, n. 12259. 114 Cass. 16 settembre 2008, n. 23727; Cass. 27 maggio 2009, n. 12259. 115 Cass. 16 settembre 2008, n. 23727; Cass. 27 maggio 2009, n. 12259. 116 Cfr. nota 109. 111 38 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE 7. I rapporti tra i motivi di opposizione all’esecuzione ed i poteri di rilievo officioso del giudice dell’esecuzione e del giudice dell’opposizione L’opposizione all’esecuzione è lo strumento attribuito dall’ordinamento al debitore per contestare il diritto della parte istante ad agire esecutivamente. Molte delle contestazioni proponibili con il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c. possono però essere rilevate di ufficio dal giudice, eventualmente su sollecitazione della parte interessata117. Il giudice, in ossequio al principio secondo cui nulla executio sine titulo, ha, infatti, un ruolo di controllo sulla esistenza delle condizioni dell’azione esecutiva ed è tenuto a verificare che il titolo esecutivo esista al momento dell’avvio del processo e permanga durante tutto il corso del suo svolgimento e sino alla sua definizione. Tra le ipotesi di inesistenza del titolo che il giudice può rilevare vi sono innanzitutto quelle che sono ascrivibili alle categorie al difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione può dichiarare improcedibile l’esecuzione perché il titolo esecutivo su cui si fonda è affetto da un vizio genetico, come ad esempio nel caso in cui l’assegno bancario sia privo di data118 o la scrittura privata rechi una sottoscrizione autenticata al di fuori dei casi previsti dalle legge. Un medesimo potere può essere riconosciuto al giudice dell’esecuzione quando riscontri che il credito consacrato dal titolo esecutivo manchi dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità come può verificarsi se l’atto pubblico in forza del quale il processo esecutivo è stato promosso abbia ad oggetto un contratto di anticipazione bancaria ovvero accerti che il titolo non consente di individuare la parte obbligata alla prestazione. Nello stesso modo il giudice dell’esecuzione, nel corso del processo, può rilevare d’ufficio che il titolo esecutivo è stato caducato per una vicenda sopravvenuta alla sua formazione e che gli atti esecutivi nel frattempo compiuti sono divenuti inefficaci. Tale evenienza si verifica ad esempio quando, al di fuori di un giudizio di opposizione all’esecuzione, sia prodotta prova documentale del fatto che il decreto ingiuntivo o la sentenza (in forza dei quali è stata esercitata l’azione esecutiva) siano stati il primo revocato e la seconda riformata in appello. È altresì di tutta evidenza che il giudice dell’esecuzione possa rilevare che sia venuta meno l’efficacia esecutiva del titolo nonostante questo non sia ancora stato caducato. In questi casi, invero, l’art. 623 c.p.c. prevede che il processo debba essere sospeso anche al di fuori di un’opposizione del debitore119. 117 Così Cass. 3 agosto 1984, n. 4616 che riconosce un potere di rilievo officioso del giudice in tutti i casi in cui il titolo esecutivo sia inesistente come si verifica qualora la sentenza sia priva della sottoscrizione del giudice ovvero sia stata pronunciata in danno di un soggetto deceduto prima della notificazione dell’atto introduttivo. Per un esame della questione cfr. VIGORITO, Le opposizioni esecutive, Milano, 2002, 13. 118 Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337. 119 Cass. 6 ottobre 1992, n. 11342. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 39 Quanto alla impignorabilità dei beni il giudice ha un potere di rilievo officioso nelle sole ipotesi in cui la giurisprudenza ha ritenuto che la limitazione alla pignorabilità sia prevista a tutela di un interesse pubblicistico120. Sembra invece potersi escludere la rilevabilità d’ufficio in tutti i casi in cui si deduca che non è venuto meno il titolo esecutivo, ma esclusivamente il diritto di credito da esso consacrato per fatto sopravvenuto. La deduzione del verificasi dei fatti estintivi o modificativi della pretesa sostanziale fatta valere dal creditore esula dal controllo rimesso al giudice che riguarda esclusivamente l’esistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione esecutiva e non anche al contenuto del titolo medesimo. In questa ottica è dunque escluso che il giudice possa rilevare l’estinzione del credito per la cui soddisfazione sia stata promossa la procedura esecutiva quando gli sia fornita prova del pagamento o di qualunque altra causa estintiva del diritto. Tutte le considerazioni sin qui svolte possono essere utilizzate anche al fine di stabilire che rapporto sussista tra il potere officioso del giudice dell’opposizione ed i motivi di opposizione. Su tale punto si registra un contrasto giurisprudenziale che riguarda la stessa Corte di Cassazione. Secondo una parte della giurisprudenza nel giudizio di opposizione all’esecuzione l’opponente ricopre la posizione di attore in senso sostanziale e processuale ed i motivi posti a fondamento delle contestazioni sulla sussistenza del diritto ad agire del creditore si configurano come ragioni della domanda. In questo quadro, ed in ossequio al principio della domanda ed a quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, l’opponente nel corso del giudizio non potrebbe proporre eccezioni diverse da quelle originariamente prospettate (a meno che esse non costituiscano lo svolgimento delle prospettazioni iniziali) né il giudice avrebbe la possibilità di accogliere l’opposizione per motivi diversi da quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili di ufficio121. Altra parte della giurisprudenza sostiene, invece, che, qualunque sia il tenore delle contestazioni svolte con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., il giudice potrebbe accogliere la domanda e dichiarare la insussistenza del diritto del creditore a proce- 120 Cfr. paragrafo. 6. Cass. 7 marzo 2003, n. 3477. Nello stesso senso Cass. 7 marzo 2002, n. 3316 e di recente Cass. 28 luglio 2011, n. 16541. Si segnala, in particolare, Cass. 20 gennaio 2011, n. 1328 secondo cui è tardiva la domanda con cui l’opponente, al momento della precisazione delle conclusioni, eccepisce l’impignorabilità dei crediti staggiti invocando l’applicazione di una normativa già vigente momento della proposizione della domanda. Nel rigettare il ricorso la Suprema Corte ha evidenziato che, nella opposizione all’esecuzione, l’opponente ha la veste sostanziale e processuale di attore; che la richiesta di accertare l’inesistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione esecutiva configura il petitum; che le “eccezioni” svolte dall’opponente per contrastare la domanda esecutiva del creditore costituiscono la “causa petendi” (o ragioni della domanda) ed essendo i fatti individuatori del diritto, non possono essere modificate nel corso del giudizio. Con riferimento a quest’ultima pronuncia va, però, segnalato che la Suprema Corte non ha escluso la possibilità di decidere la causa sulla base di una questione decisiva rilevabile di ufficio ma ha rigettato il ricorso per la inammissibilità della domanda che si profilava “nuova” rispetto a quella originariamente formulata. 121 40 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE dere esecutivamente, rilevando, anche di ufficio, la mancanza del titolo esecutivo la cui esistenza costituisce una condizione necessaria per l’esercizio dell’azione122. Questo secondo orientamento sembra quello preferibile. Ciò in quanto occorre riconoscere al giudice dell’opposizione gli stessi poteri riservati a quello dell’esecuzione. Così come il giudice dell’esecuzione ha il compito di controllare l’esistenza del titolo esecutivo, anche al giudice dell’opposizione deve riconoscersi un ruolo di verifica analogo. Diversamente opinando, infatti, l’esito del giudizio di opposizione dipenderebbe dall’esercizio dei poteri officiosi del giudice dell’esecuzione. Più precisamente, cioè, nel giudizio di opposizione la caducazione del titolo esecutivo potrebbe assumere rilievo solo se nel frattempo sia stata rilevata e dichiarata dal giudice dell’esecuzione123. Il fondamento teorico dell’indirizzo giurisprudenziale cui si è prestata adesione può, peraltro, essere ricondotto anche al principio secondo cui il giudice della cognizione ha il compito di rilevare le cause di nullità che affliggono gli atti negoziali quando l’esistenza e la validità di questi ultimi costituisca il presupposto per l’accoglimento della domanda formulata. La questione si pone in termini diversi se l’efficacia del titolo esecutivo risulta solo sospesa e non vi sia stata, quindi, la caducazione del titolo stesso. In tal caso la parte opponente conserva l’interesse ad una pronuncia sulla opposizione all’esecuzione; questo principio è stato affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale “allorquando l'esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo giudiziale, che al momento di tale inizio abbia efficacia esecutiva e venga proposta opposizione all'esecuzione, la successiva sopravvenienza della sospensione della sua efficacia esecutiva da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato impugnato, non ha alcuna incidenza sull'oggetto del giudizio di opposizione, che concerne l'accertamento negativo della sussistenza del diritto di procedere all'esecuzione al momento in cui l'esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell'esecuzione nell'ambito del processo esecutivo perché disponga direttamente la sospensione dell'esecuzione”124. 122 Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337 (con riferimento ad una fattispecie in cui il titolo esecutivo era costituito da un assegno privo di data che dunque non aveva valenza ai sensi dell’art. 474 c.p.c.) nonché Cass. 9 luglio 2001, n. 9293 e Cass. 29 novembre 2004, n. 22430 e, più di recente, Cass. 19 maggio 2011, n. 11021 e Cass. 13 luglio 2011, n. 15363; Cass. 28 luglio 2011, n. 16610 (che, nell’aderire all’orientamento secondo cui è possibile accogliere l’opposizione all’esecuzione rilevando l’inesistenza del titolo esecutivo, ribadisce la necessità di rispettare comunque il principio della domanda); Cass. 13 marzo 2012, n. 3977. Va, peraltro, segnalato che secondo Cass. 13 marzo 2012, n. 3977, quando la opposizione sia accolta non per i motivi dedotti dall’opponente con la domanda formulata, ma per il rilievo di ufficio della inesistenza del titolo esecutivo per fatto sopravvenuto (caducazione), le spese non possono essere poste a carico dell’opponente poiché l’opposizione è, comunque, fondata ed egli non è, quindi, la parte soccombente. Va ancora segnalato per i profili di interesse Cass. 28 luglio 2011, n. 16541 secondo cui, pur dovendosi aderire al principio secondo cui è necessario che il giudice rilevi l’inesistenza del titolo esecutivo, occorre che tale principio venga contemperato con il rispetto del principio della domanda: non è, pertanto, possibile accogliere l’opposizione per una questione rilevata di ufficio, quando la questione in oggetto avrebbe potuto essere dedotta in via di eccezione dallo stesso opponente con la domanda originariamente svolta. 123 ORIANI, Opposizione all’esecuzione, in Digesto civ., XIII, Torino, 1995, 500; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1664. 124 Cass. 3 settembre 2007 n. 18152. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 41 8. Il rapporto tra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi Si è già detto che l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. ha ad oggetto le doglianze concernenti il “se” dell’esecuzione che possono articolarsi nella contestazione del diritto della parte istante a procedere in executivis per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero nella contestazione circa la pignorabilità dei beni. L’opposizione agli atti esecutivi ha ad oggetto, invece, le doglianze circa il “come” dell’esecuzione, cioè tutte le contestazioni con cui si lamentano la regolarità degli atti preliminari all’esercizio dell’azione esecutiva o di quelli interni al processo. Ove si intenda elaborare un criterio distintivo, può affermarsi che è riconducibile all’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. ogni questione che non concerna l’idoneità della azione esecutiva, ma il modo in cui quest’ultima viene esercitata125. Portando alle estreme conseguenze tale ragionamento, può affermarsi che, ove accolta, l’opposizione all’esecuzione culmina in una decisione che non consente di proseguire il processo esecutivo e, comunque, di intraprenderne uno identico, mentre quella agli atti esecutivi porta una pronuncia che non incide sulla reiterabilità di un’esecuzione analoga126. In dottrina si è più volte osservato che, pur impiegando il criterio sin qui esposto, non sempre risulta agevole distinguere tra opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi a causa di difficoltà che derivano nella fase dinamica di svolgimento del processo esecutivo. Ogniqualvolta il giudice dell’esecuzione adotti un provvedimento assumendo una posizione sulla legittimità o meno della azione esecutiva (ad esempio rilevando di ufficio l’impignorabilità di un credito o l’inesistenza del titolo) la parte interessata alla prosecuzione del processo avrà l’onere di impugnare quest’ultimo ai sensi dell’art. 617 c.p.c. per far sì che l’esecuzione possa proseguire. È di tutta evidenza allora che vi sono ampi spazi in cui la questione relativa al “se” dell’esecuzione, ove risolta esplicitamente dal giudice dell’esecuzione, possa tradursi nel vizio di legittimità-opportunità di un atto esecutivo127. Le osservazioni che precedono consentono, dunque, di concludere nel senso che i due rimedi oppositori, apparentemente tanto diversi, possono avere punti anche ampi di interferenza. Non è, tuttavia, agevole stabilire di quali rimedi dispongano le parti del processo nel caso in cui il giudice dell’esecuzione rilevi di ufficio con un suo 125 Per l’esame dei criteri distintivi delle due opposizioni in esame cfr. Cass. 3 agosto 2005, n. 16262; Cass. 6 aprile 2006, n. 8112; Cass. 13 novembre 2009, n. 24047. 126 In questo senso VITTORIA, Il controllo sugli atti del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami, in Riv. esec. forz., 2000, 370. 127 ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 156 ss.; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1656 ss.. In questo senso di recente cfr. Cass. 23 febbraio 2009, n. 4334 che ha confermato come il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione dichiari la sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo debba essere impugnato con l’opposizione prevista dall’art. 617 c.p.c. che costituisce il rimedio esperibile contro il provvedimento di “blocco” dell’esecuzione. 42 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE provvedimento l’inesistenza delle condizioni processuali per l’esercizio dell’azione esecutiva (per esemplificare, tornando all’esempio già svolto, rilevando la carenza del titolo esecutivo o l’impignorabilità dei beni). È pacifico che il creditore possa reagire con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. ad un siffatto provvedimento per impedire che il processo esecutivo si concluda con un nulla di fatto. Ma non è chiaro se il debitore possa nel contempo proporre l’opposizione ex art. 615 c.p.c. per contestare da parte sua il diritto dell’istante a procedere esecutivamente, sebbene tale diritto, benché mediato dall’apprezzamento del giudice dell’esecuzione, sia già sub iudice. La soluzione preferibile sembra quella che consente la proponibilità di entrambi i rimedi, non tanto o non solo perché la sentenza di opposizione agli atti pone nel nulla il provvedimento del giudice dell’esecuzione, senza tuttavia accertare l’illegittimità dell’azione esecutiva, quanto piuttosto perché l’opposizione all’esecuzione non è preclusa sino a quando non sia esaurito il processo esecutivo. Corre l’obbligo di precisare che la distinzione tra opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi non riveste solo rilevanza teorica, ma produce conseguenze pratiche degne di nota. Mentre l’opposizione all’esecuzione può essere proposta in ogni momento e sino alla conclusione del processo esecutivo, l’introduzione di quella prevista dall’art. 617 c.p.c. è preclusa quando sia decorso il termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza legale dell’atto che si assume illegittimo. La qualificazione della domanda è dunque essenziale prima di tutto per stabilire se occorra anche valutare la sua tempestività prima di procedere all’esame nel merito delle questioni prospettate. La qualificazione della domanda è stata d’altro canto ritenuta essenziale anche al fine di individuare il regime impugnatorio applicabile alla decisione. Prima delle recenti riforme del processo civile, invero, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 617 c.p.c. era dichiarata espressamente non impugnabile dall’art. 618 c.p.c., a differenza di quella pronunciata ai sensi dell’art. 615 c.p.c. che, in difetto di previsione espressa, era soggetta all’appello. Ciò stante, in via interpretativa la giurisprudenza, facendo applicazione del criterio secondo cui l’identificazione del mezzo di impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in applicazione del “principio della apparenza”, aveva ritenuto che per individuare lo strumento di gravame esperibile avverso la sentenza che definisce il giudizio di opposizione occorreva aver riguardo alla qualificazione dell’azione proposta dall’organo giudicante, indipendentemente dalla sua esattezza128. Tale orientamento era stato, però, messo a punto con un’ulteriore precisazione: la qualificazione del giudice a quo è vincolante solo se questi abbia effettivamente compiuto una valutazione sul punto; diversamente, quando si sia limitato ad un’affermazione generica 128 Cass. 4 agosto 2005, n. 16379; Cass. 1 febbraio 2010, n. 2261. La giurisprudenza aveva conseguentemente affermato che nel caso in cui il giudice avesse qualificato l’azione come opposizione all’esecuzione per taluni motivi e come opposizione agli atti esecutivi per altri motivi la decisione sarebbe stata impugnabile per il capo recante la pronuncia emessa ai sensi dell’art. 617 c.p.c. con il ricorso straordinario per cassazione e per il capo recante la decisione emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c. con l’appello. In quest’ultimo senso cfr. Cass. 13 dicembre 2005, n. 27445, Cass. 31 maggio 2010, n. 13203. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 43 ovvero quando abbia omesso di pronunciarsi, l’onere di qualificare l’azione ricade sul giudice ad quem129. 9. La legittimazione attiva all’opposizione all’esecuzione In linea di principio la legittimazione attiva a proporre l’opposizione all’esecuzione spetta al soggetto nei cui confronti l’esecuzione sia stata minacciata o promossa e, dunque, di regola, al debitore esecutato, senza che rilevi il fatto che si tratti del soggetto obbligato ad eseguire la prestazione in base alle risultanze del titolo esecutivo, ovvero del suo successore a titolo particolare o universale o, infine, dell’obbligato solidale come si verifica, ad esempio, quando l’esecuzione in forza di un titolo formato contro la società sia intrapresa ai danni del socio illimitatamente responsabile130 ovvero quando in forza di un titolo formato contro il condominio l’esecuzione sia promossa ai danni del singolo condomino limitatamente alla obbligazione gravante sulla sua quota di proprietà131. In applicazione dei principi suesposti si è ritenuto che possa proporre l’opposizione all’esecuzione anche il tutore quando la legittimazione spetti all’interdetto. L’esecutato non può tuttavia proporre opposizione all’esecuzione per dedurre che il bene pignorato è di proprietà altrui poiché si tratta di eccezione riservata al terzo rivendicante132. La legittimazione attiva in relazione al rimedio in esame spetta anche al terzo proprietario del bene espropriato o espropriando nei casi in cui l’esecuzione sia stata promossa (o debba essere promossa e sia stata solamente preannunciata con la notificazione del precetto) ai sensi dell’art. 602 ss. c.p.c.133. 129 Per la affermazione secondo cui quando la sentenza di primo grado non reca alcuna qualificazione dell’azione tale compito ricade sul giudice ad quem cfr. Cass. 8 marzo 2001, n. 3400; Cass. 23 giugno 1997, n. 5580; Cass. 23 agosto 1997, n. 7929; Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507; Cass. 13 ottobre 2009, n. 21683. Si è espressa nel senso che la qualificazione del giudice a quo è vincolante solo quando non si risolva in una affermazione del tutto generica Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507. Nello stesso senso Cass. 12 dicembre 2009, n. 26919. 130 Per le vicende che riguardano la responsabilità solidale del socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni derivanti da titolo formato nei confronti della società di persone, cfr. Cass. 14 giugno 1999, n. 5884; Cass. 8 agosto 1997, n. 7353 e, più di recente, Cass. 16 gennaio 2009, n. 1040. In questo caso si parla di efficacia espansiva del titolo esecutivo. Il socio può proporre opposizione all’esecuzione per negare la esistenza del presupposto fattuale che consente di ritenerlo obbligato per il debito altrui. È comunque fuor di dubbio che l’opposizione all’esecuzione possa essere proposta anche per contrastare l’esercizio dell’azione esecutiva per tutti i motivi sussumibili nella categoria dell’opposizione all’esecuzione. Cfr. par. 3.6. 131 Nel caso del condomino il titolo esecutivo può formarsi a carico del condominio e l’azione esecutiva può essere esercitata a carico del singolo condomino ma, come ha precisato la Corte di Cassazione a sezioni unite modificando un precedente orientamento (cfr. Cass. sez. un. 8 aprile 2008, n. 9148), il creditore può agire esecutivamente per il solo credito corrispondente alla quota millesimale di proprietà del singolo condomino. Cfr. par. 3.6. 132 Cass. 8 ottobre 1965, n. 2109. 133 Il terzo proprietario del bene può, infatti, proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. sia dopo la notificazione del precetto che dopo l’avvio dell’esecuzione quando intenda contestare la applicazione de- 44 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE È dubbio se la legittimazione attiva possa essere riconosciuta al terzo che non sia proprietario, ma solo promissario acquirente del bene ipotecato e sottoposto ad esecuzione per il debito altrui atteso che egli non è ancora titolare di una posizione giuridicamente tutelabile134. In dottrina si è ritenuto che il creditore possa proporre l’opposizione in esame in via surrogatoria nel caso di inerzia dell’esecutato135. Quanto al terzo acquirente del bene pignorato, dopo un primo risalente orientamento che riconosceva a quest’ultimo la legittimazione ad introdurre un’opposizione ex art. 615 c.p.c.136, la giurisprudenza ha ritenuto che il terzo acquirente di un bene già pignorato può dolersi della illegittimità dell’esecuzione solo con l’opposizione prevista dall’art. 619 c.p.c. lamentando la inesistenza originaria o la nullità assoluta del vincolo pignoratizio onde sottrarre il bene alla espropriazione 137 . La legittimazione attiva, nei termini di cui si discute ed in relazione all’esecuzione per consegna o rilascio, spetta inoltre al terzo detentore del bene ancorché si tratti di persona nominativamente diversa da quella individuata come soggetto obbligato in base al titolo, atteso che il detentore è l’unico soggetto che realmente può soddisfare la pretesa dell’istante alla restituzione del bene. Va però precisato che la contestazione del terzo detentore può essere accolta solo quando questi affermi di essere titolare di un titolo autonomo e non pregiudicato dal contenuto del titolo esecutivo138. Per esemplificare, se il locatore ha ottenuto una sentenza di condanna al rilascio nei confronti del conduttore, il terzo che detiene l’immobile può opporsi all’esecuzione se affermi di essere titolare di un diritto autonomo che non deriva dalla locazione e, come tale, non è pregiudicato dalla pronuncia giudiziale, mentre ha a disposizione il solo rimedio previsto dall’art. 404 c.p.c. se, al contrario, il suo diritto derivi da quello del conduttore139. Ed ancora il terzo conduttore dell’immobile può opporsi alla procedura esecutiva per rilascio intrapresa in forza di un decreto di trasferimento di immobile solo a condizione che il suo diritto derivi da un contratto personale di godimento opponibile al processo di esecuzione140 o gli artt. 602 ss. c.p.c.. Cfr. Cass. 15 dicembre 1972, n. 3614; Cass. 9 dicembre 1974, n. 4130 con riferimento ad una fattispecie in cui il terzo assuma di non essere proprietario del bene ipotecato a garanzia di un debito altrui. 134 Cass. 1 settembre 1995, n. 9219. 135 ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 141. 136 Cass. 4 settembre 1985, n. 4612 ha affermato che il terzo acquirente può proporre l’opposizione all’esecuzione per lamentare la impignorabilità del bene o, ma in questo secondo caso solo in via surrogatoria del debitore esecutato, per dedurre la inesistenza del diritto a procedere esecutivamente dei creditori. Si rammenta, però, che Cass. 14 aprile 2000, n. 4856 ha ritenuto che il terzo acquirente quando propone l’opposizione all’esecuzione agisce in proprio e non in surroga del debitore esecutato. 137 Cfr. Cass. 26 luglio 2004, n. 14003 e, più di recente, Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703 e Cass. 28 giugno 2010, n. 15400 nonché, da ultimo, Cass. 8 febbraio 2012, n. 1752. 138 Cass. 22 novembre 2000, n. 15083; 4 febbraio 2005, n. 2279. In senso contrario per la esclusione della legittimazione attiva a soggetti diversi dai destinatari dell’ordine impartito con il titolo esecutivo un orientamento isolato e risalente: Cass. 24 giugno 1969, n. 2268; Cass. 25 gennaio 1978, n. 339. 139 Cass. 28 aprile 2006, n. 9964. 140 Cass. 30 marzo 1993, n. 3860; Cass. 2 aprile 1997, n. 2869. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 45 perché stipulato con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione o perché anteriore al pignoramento. La giurisprudenza, muovendo dalla premessa secondo cui il terzo pignorato non è parte dell’espropriazione ma mero ausiliario del giudice, ha escluso che sia legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione141 e l’opposizione agli atti esecutivi142. Poiché il terzo pignorato non è parte del processo esecutivo, non può essere ritenuto litisconsorte necessario nei giudizi di opposizione all’esecuzione ovvero di opposizione agli atti esecutivi nei quali la controversia resta limitata ai creditori ed al debitore143 anche se conserva la possibilità di intervenirvi volontariamente ai sensi dell’art. 105 c.p.c. quando vi abbia interesse144. La giurisprudenza in tempi relativamente recenti ha però stabilito che il terzo deve partecipare ai processi di opposizione all’esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi quando si contesti la validità o la legittimità del pignoramento, e sempreché si controverta di vicende che possano comportare la sua liberazione dal vincolo imposto con l’intimazione145. In questa ottica può profilarsi, ad esempio, la partecipazione necessaria del terzo al giudizio nel caso in cui egli abbia pagato il debitore prima della notificazione del pignoramento ed intenda prendere parte al processo introdotto con l’opposizione agli atti esecutivi, dal creditore procedente che abbia impugnato l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione ha respinto l’ordinanza di assegnazione. In siffatta ipotesi, invero, egli avrebbe la possibilità di difendere l’atto giudiziale evitando di pagare una seconda volta il creditore del proprio debitore146. In applicazione dei medesimi principi, il terzo è comunque litisconsorte necessario del giudizio introdotto ex art. 617 c.p.c. avverso ogni provvedimento con cui sia dichiarata l’inefficacia del pignoramento, atteso che la conferma del predetto atto incide sull’esistenza o meno del suo obbligo147. 141 Così Cass. 2 agosto 1997, n. 7170; Cass. 21 gennaio 2000, n. 687; Cass. 6 luglio 2001, n. 9215. Non è di contrario avviso all’orientamento esposto neppure Cass. 7 febbraio 2000, n. 1339. Con quest’ultima sentenza si è ammessa la legittimazione del terzo pignorato a proporre opposizione all’esecuzione avverso il processo esecutivo promosso in forza dell’ordinanza di assegnazione del credito e dunque instaurato direttamente in suo danno quale soggetto passivo dell’esecuzione. 142 In questo senso Cass. 17 agosto 1990, n. 8370; Cass. 24 novembre 1980, n. 6245 nonché Cass. 5 marzo 2009, n. 5342. 143 Cfr. Cass. 13 gennaio 1983, n. 249; Cass. 29 novembre 1996, n. 10650; Cass. 1 febbraio 1988, n. 905 nonché Cass. 19 maggio 2009, n. 11585. 144 Cfr. Cass. 4 dicembre 1981, n. 6431; Cass. 13 gennaio 1983, n. 249 nonché Cass. 5 marzo 2009, n. 5342. 145 Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527; 1 febbraio 1988, n. 905; Cass. 26 marzo 1990, n. 2423; 1 ottobre 1997, n. 9571; Cass. 18 aprile 2003, n. 6275; Cass. 23 aprile 2003, n. 6432; Cass. 22 maggio 2006, n. 14106; Cass. 16 maggio 2006, n. 11360. In particolare, Cass. 22 maggio 2006, n. 11928 ha ritenuto che il terzo pignorato sia parte necessaria di un giudizio di opposizione agli atti istaurato dal creditore avverso il provvedimento con cui il giudice, preso atto della sua dichiarazione con cui aveva affermato di aver estinto il credito prima della notifica del pignoramento, abbia respinto l’istanza di assegnazione. Nello stesso senso più di recente: Cass. 5 marzo 2009, n. 5342. 146 Quella esaminata è la fattispecie cui si riferisce la pronuncia emessa da Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527. 147 Cfr. tali argomenti si desumono dalle fattispecie cui si riferiscono le sentenze citate e precisamente Cass. 26 marzo 1990, n. 2423 nonché Cass. 18 aprile 2003, n. 6275. 46 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Va da ultimo rammentato che nel caso in cui sono proposte due opposizioni separatamente contro la stessa esecuzione da due soggetti legittimati, in quanto condebitori solidali, i due giudizi possono essere riuniti ma danno vita a cause scindibili, qualora nessuno degli opponenti abbia svolto domanda per ottenere che l’accertamento sia vincolante nei rapporti interni148. 10. La legittimazione passiva e il litisconsorzio necessario Quando venga proposta un’opposizione all’esecuzione, la legittimazione passiva spetta certamente al creditore che ha proceduto al pignoramento. È invece discutibile se legittimati passivamente siano tutti i creditori intervenuti149 ovvero solamente quelli muniti del titolo esecutivo. La giurisprudenza e la dottrina, prima delle recenti riforme del processo civile, sembravano orientate nel senso di riconoscere la legittimazione passiva ai soli intervenuti titolati, quantomeno durante tutto lo svolgimento della espropriazione e prima che si giungesse alla fase della distribuzione150. Tale posizione era peraltro in netta antitesi con quella seguita con riguardo all’opposizione agli atti esecutivi rispetto alla quale si ritiene debbano partecipare tutti i creditori del procedimento esecutivo senza che rilevi il possesso o meno del titolo nonché gli eventuali interessati151. Questi orientamenti non sembra possano essere modificati dopo la riforma anche se la questione ha perso gran parte della sua rilevanza viste le limitazioni introdotte circa l’ammissibilità degli interventi senza titolo esecutivo. Quando l’esecuzione si sia svolta ai danni del terzo proprietario nelle forme previste dagli artt. 602 ss. c.p.c. e l’opposizione all’esecuzione sia stata proposta da quest’ultimo, la legittimazione passiva, oltreché ai creditori, deve essere riconosciuta anche al debitore originario atteso che l’accertamento circa l’esistenza o meno del diritto a procedere esecutivamente non può che essere accertato anche nei confronti di colui che è obbligato alla prestazione152. Ed ancora, va segnalato che la giurisprudenza, ritenendo che il terzo pignorato sia ausiliario del giudice e non parte del processo esecutivo, ha escluso che 148 Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688. La Corte di Cassazione ha chiarito che in questo caso ove le domande siano rigettate e la decisione sia stata impugnata tempestivamente da uno degli opponenti e tardivamente dall’altro quest’ultimo non può invocare il beneficio dell’impugnazione incidentale tardiva di cui all’art. 334 c.p.c. 149 E’ pacifico che si faccia riferimento ai creditori intervenuti al momento in cui l’opposizione è instaurata, cfr. Cass. 5 settembre 2011, n, 18110. 150 In giurisprudenza Cass. 8 maggio 1991, n. 5146 con cui si afferma che la legittimazione passiva nei giudizi di opposizione all’esecuzione spetta ai soli creditori muniti del titolo esecutivo che abbiano compiuto atti propulsivi. In dottrina, nel senso della giurisprudenza MANDRIOLI, Opposizione, cit., 445; vedi anche OLIVIERI, L’opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2003, 245 il quale ritiene che la legittimazione passiva una volta che sia giunta la fase della distribuzione spetta a tutti i creditori intervenuti anche non titolati. Cfr. anche Cass. 20 giugno 2011, n. 13476 che afferma la legittimazione passiva anche dei creditori non titolati nel caso in cui l’opposizione all’esecuzione miri alla declaratoria di estinzione del processo esecutivo. 151 Cass. 8 maggio 1991, n. 5146. 152 Cass. 11 maggio 1994, n. 4607; Cass. 22 marzo 2011, n. 6546; Cass. 31 agosto 2011, n. 17875; Cass. 5 settembre 2011, n. 18113; Cass. 9 novembre 2011, n. 23284; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1192. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 47 quest’ultimo sia litisconsorte necessario nei giudizi di opposizione all’esecuzione ovvero di opposizione agli atti esecutivi nei quali la controversia resta limitata ai creditori ed al debitore153 anche se conserva la possibilità di intervenirvi volontariamente ai sensi dell’art. 105 c.p.c. quando vi abbia interesse154. In tempi recenti si è, però, riconosciuta al terzo la facoltà di partecipare ai processi di opposizione all’esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi quando si contesti la validità o la legittimità del pignoramento, e sempreché si controverta di vicende che possano comportare la sua liberazione dal vincolo imposto con l’intimazione155. In questa ottica può profilarsi, ad esempio, la partecipazione necessaria del terzo al giudizio nel caso in cui egli abbia pagato il debitore prima della notificazione del pignoramento ed intenda prendere parte al processo introdotto con l’opposizione agli atti esecutivi, dal creditore procedente che abbia impugnato l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione ha respinto l’ordinanza di assegnazione. In siffatta ipotesi, invero, egli avrebbe la possibilità di difendere l’atto giudiziale evitando di pagare una seconda volta il creditore del proprio debitore156. In applicazione dei medesimi principi, il terzo è comunque litisconsorte necessario del giudizio introdotto ex art. 617 c.p.c. avverso ogni provvedimento con cui sia dichiarata l’inefficacia del pignoramento, atteso che la conferma del predetto atto incide sull’esistenza o meno del suo obbligo157. Va infine evidenziato che se l’opposizione all’esecuzione è proposta da uno solo dei condebitori in solido, non è necessaria, conformemente alla struttura giuridica della obbligazione solidale, la partecipazione al giudizio degli altri condebitori in solido158. In generale e per completezza va rammentato che quando venga proposta un’opposizione all’esecuzione e non siano stati citati in giudizio tutti i soggetti cui spetta la legittimazione passiva e che debbono ritenersi litisconsorti necessari del processo, occorre disporre l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti ai sensi dell’art. 102 c.p.c.. La sentenza emessa a contraddittorio non integro è, infatti, inutiliter data159. 153 Cfr. Cass. 13 gennaio 1983, n. 249; Cass. 29 novembre 1996, n. 10650; Cass. 1 febbraio 1988, n. 905 nonché Cass. 19 maggio 2009, n. 11585. 154 Cfr. Cass. 4 dicembre 1981, n. 6431; Cass. 13 gennaio 1983, n. 249 nonché Cass. 5 marzo 2009, n. 5342. 155 Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527; 1 febbraio 1988, n. 905; Cass. 26 marzo 1990, n. 2423; 1 ottobre 1997, n. 9571; Cass. 18 aprile 2003, n. 6275; Cass. 23 aprile 2003, n. 6432; Cass. 22 maggio 2006, n. 14106; Cass. 16 maggio 2006, n. 11360. In particolare, Cass. 22 maggio 2006, n. 11928 ha ritenuto che il terzo pignorato sia parte necessaria di un giudizio di opposizione agli atti istaurato dal creditore avverso il provvedimento con cui il giudice, preso atto della sua dichiarazione con cui aveva affermato di aver estinto il credito prima della notifica del pignoramento, abbia respinto l’istanza di assegnazione. Nello stesso senso più di recente: Cass. 5 marzo 2009, n. 5342. 156 Quella esaminata è la fattispecie cui si riferisce la pronuncia emessa da Cass. 22 dicembre 1987, n. 9527. 157 Cfr. tali argomenti si desumono dalle fattispecie cui si riferiscono le sentenze citate e precisamente Cass. 26 marzo 1990, n. 2423 nonché Cass. 18 aprile 2003, n. 6275. 158 Cass. 25 ottobre 1993, n. 10591. 159 Cass. 9 novembre 2011, n. 23284; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1192 secondo cui la mancata partecipazione al processo di un litisconsorte necessario può essere rilevata anche di ufficio, in ogni stato e 48 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE 11. L’interesse ad agire Al pari che negli altri giudizi di cognizione ordinaria anche nel caso di opposizione all’esecuzione va verificata la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione. In ossequio ai principi generali, l’interesse ad agire anche nell’opposizione all’esecuzione deve essere concreto ed attuale e può ritenersi sussistente in tutti i casi in cui si ravvisi l’esigenza per l’opponente di conseguire un risultato giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice. Il processo, quindi, non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo perseguire160. Con riguardo a tale profilo ad esempio è carente di interesse ad agire il debitore nel caso in cui abbia alienato il bene prima del pignoramento161. Non è, invece, carente di interesse ad agire il debitore anche quando il processo esecutivo si sia estinto, semprechè si sia contestato il diritto a procedere ad esecuzione forzata in rapporto alla esistenza o del titolo esecutivo o del credito162 poiché l’esecuzione potrebbe essere nuovamente intrapresa. 12. Il termine iniziale ed il termine finale per la proposizione dell’opposizione all’esecuzione e la distinzione tra opposizione preventiva e successiva 12.1. Il dies a quo: la notificazione del precetto Dalla formulazione dell’art. 615 co. 1 c.p.c. emerge che l’opposizione all’esecuzione può essere proposta solo a decorrere dalla notificazione dell’atto di precetto. Tale notificazione preannuncia l’avvio del processo esecutivo mentre non assolve ad una funzione analoga la notificazione del titolo in forma esecutiva163. grado del processo, ed impone la declaratoria di nullità della pronuncia con rimessione al primo giudice. 160 In tal senso, di recente, Cass. 28 giugno 2010 in materia di opposizione agli atti esecutivi (“L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo perseguire”) 161 Cass. 15 marzo 2006, n. 5684. 162 Cass. 16 novembre 2005, n. 23084; Cass. 22 marzo 2011, n. 6546. 163 In questo senso VACCARELLA, op. cit., 261; CASTORO, op. cit., 787. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 49 12.2. Il dies ad quem: la conclusione del procedimento esecutivo ovvero l’introduzione della fase distributiva L’opposizione all’esecuzione può essere proposta dalla notificazione dell’atto di precetto e, nel caso in cui il processo esecutivo venga promosso, durante il corso del procedimento sino alla sua conclusione. La dottrina ha rilevato che, nel caso delle esecuzioni dirette o in forma specifica, lo spazio temporale che intercorre tra il momento dell’avvio e quello della conclusione del procedimento è così ravvicinato da rendere anche dubbia la concreta proponibilità del rimedio in esame. Sembra quindi potersi affermare che l’opposizione all’esecuzione è esperibile solo quando vi sia uno spazio tra l’inizio e la fine del processo164. Il discorso è invece più complesso per quanto riguarda l’espropriazione forzata perché il processo di regola si articola in due fasi successive delle quali, la prima liquidativa, e la seconda distributiva. Riguardo a tale ultimo processo la dottrina e la giurisprudenza concordano sul fatto che l’opposizione all’esecuzione sia esperibile anche dopo la vendita o l’assegnazione sempreché si debba far luogo alla ripartizione tra i creditori del ricavato della vendita165 e dunque ad una distribuzione in senso proprio. È appena il caso di rilevare, infatti, che l’unico rimedio esperibile resta quello dell’opposizione all’esecuzione quando l’espropriazione si sia svolta nell’interesse di un unico creditore a favore del quale deve essere operata l’attribuzione delle somme disponibili166. Il principio secondo cui l’opposizione all’esecuzione è proponibile anche nella fase distributiva subisce una deroga solo apparente quando il processo si sia svolto nelle forme della espropriazione presso terzi e si sia concluso con un’ordinanza di assegnazione del credito. La giurisprudenza afferma che in tale ipotesi l’opposizione all’esecuzione è proponibile solo fino alla adozione della ordinanza di assegnazione167, ma ciò si giustifica considerando che tale ultimo provvedimento pone fine all’esecuzione in quanto realizza nel contempo il trasferimento del credito e la distribuzione tra i creditori concorrenti168. Quando il processo espropriativo preveda lo svolgimento di una fase di distribuzione (e cioè se vi siano più creditori concorrenti e non debba procedersi alla assegnazione del credito), secondo la giurisprudenza consolidatasi prima della riforma del processo esecutivo, sarebbe astrattamente configurabile un concorso tra l’opposizione all’esecuzione e la controversia distributiva prevista dall’art. 512 164 MANDRIOLI, Opposizione, cit., 445; VACCARELLA, op. cit., 262. MANDRIOLI, Opposizione, cit., 445; VACCARELLA, op. cit.,, 262. 166 Cass. 23 giugno 1972, n. 2114. 167 Cass. 28 febbraio 2006, n. 4507. 168 Posto che l’ordinanza di assegnazione chiude il processo, le contestazioni che avrebbero potuto essere proposte in precedenza con l’opposizione all’esecuzione non possono legittimare l’impugnazione della ordinanza di assegnazione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.. Quest’ultimo rimedio è infatti proponibile solo per far valere vizi propri dell’atto ovvero nel caso residuale in cui la ordinanza di assegnazione abbia un contenuto decisorio poiché è stata emessa dal giudice dell’esecuzione nonostante il debitore avesse dedotto la impignorabilità del credito assegnando e dunque sulla base di un rigetto implicito o esplicito della contestazione sulla pignorabilità dei beni. 165 50 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE c.p.c. che vengono configurati come rimedi processuali alternativi; la differenza tra i due tipi di opposizione riguarda l’oggetto delle contestazioni che, per l’opposizione ex art. 615 c.p.c. è il diritto a procedere all’esecuzione forzata, mentre, per l’opposizione “distributiva”, è il diritto dei creditori di partecipare alla distribuzione dell’attivo169. La riforma del 2006 ha, tuttavia, mutato il quadro di riferimento avendo profondamente modificato la controversia distributiva. Vigenti le norme introdotte dalla legge n. 52 del 2006 ma prima dell’ulteriore novella del 2009 sembrava prevalente l’orientamento secondo cui la nuova controversia distributiva, nonostante la “sommarizzazione” del rito, potesse dar luogo ad un incidente cognitivo idoneo a fare stato sulla sussistenza dei diritti170. Tale conclusione si fondava soprattutto sul fatto che la legge n. 52 del 2006 aveva uniformato il regime di impugnazione delle sentenze rese sulle opposizioni esecutive qualificandole tutte come inimpugnabili. La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha, tuttavia, novellato l’art. 616 c.p.c. ripristinando, per le sentenze rese a definizione dei giudizi di opposizione alla esecuzione e di terzo all’esecuzione, il regime impugnatorio ordinario. Tali sentenze sono oggi appellabili e soggette a ricorso per cassazione, a differenza di quelle emesse in relazione alle cause introdotte ai sensi dell’art. 617 c.p.c., che restano inimpugnabili. In questo modo è venuta meno la equiparazione normativa tra la disciplina dell’opposizione all’esecuzione e la disciplina della opposizione agli atti esecutivi e si è ripristinata la distinzione funzionale tra i due rimedi, il primo finalizzato ad un accertamento, con efficacia di giudicato, sulla esistenza o la misura dei crediti, il secondo finalizzato ad un accertamento sulla regolarità degli atti del procedimento esecutivo. Questa modifica porta ora a preferire l’interpretazione che attribuisce anche alla opposizione prevista dal combinato disposto degli artt. 512 e 617 c.p.c. una valenza endoprocessuale. Non sembra, infatti, che un giudizio, come quello previsto da tali norme, che si conclude con sentenza inimpugnabile, possa essere in tutto equiparato alla opposizione alla esecuzione (definita con pronuncia appellabile) e ritenuto conseguentemente idoneo ad accertare, con efficacia generale, l’an e il quantum dei crediti. Pare, dunque, preferibile la tesi secondo cui la controversia distributiva, nel caso in cui l’ordinanza del giudice dell’esecuzione venga impugnata con l’opposizione agli atti, si concluda con una sentenza che produce effetti esclusivamente endoprocedimentali, nel senso che incide sulla distribuzione delle somme 169 Cass. 23 aprile 2001, n. 5961 con cui si afferma che “nella fase di distribuzione quando non si discute più dell’ an exequandum, ma soltanto sulla esistenza e sulla entità dei crediti, al fine di regolare il concorso ed allo scopo eventuale del debitore di ottenere il residuo della somma ricavata (art. 510 co. 3 c.p.c.), è di tutta evidenza che l’opposizione proposta – che in dottrina si dice, in felice sintesi, ordinata ormai alla legge del credito e non alla legge del titolo – è quella di cui alla norma dell’art. 512 c.p.c..” 170 Così in SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2008, 408 (1° edizione). CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 51 così come operata nel singolo procedimento esecutivo, ma non accerta, con efficacia di giudicato, la esistenza o la misura dei crediti171. Ma, se si muove dalla premessa che l’opposizione distributiva ha ad oggetto il cosiddetto diritto al concorso e viene definita con sentenza avente efficacia solo endoprocedimentale, appare ragionevole ritenere che la opposizione alla esecuzione, idonea a far stato sulla sussistenza delle pretese sostanziali dei creditori con efficacia extraprocedimentale, costituisca ancora oggi un rimedio concorrente con quello previsto dall’art. 512 c.p.c.. Non può, infatti, negarsi al soggetto che vi abbia interesse il diritto a contestare la sussistenza e l’ammontare dei crediti nella fase distributiva utilizzando il rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c. al fine di ottenere la emissione di una sentenza che sia idonea a determinare, anche al di fuori del procedimento esecutivo in cui si inserisce, i diritti delle parti. 13. L’oggetto del giudizio di opposizione ed il suo possibile ampliamento 13.1. Premessa Il thema decidendum dell’opposizione all’esecuzione è delimitato dal petitum, che di regola si traduce nella domanda di accertamento della insussistenza (totale o parziale172) del diritto del creditore a procedere esecutivamente, nonché dalla causa petendi consistente nella esplicitazione delle ragioni della domanda ovvero dei motivi sulla base dei quali si contesta l’esercizio dell’azione esecutiva173. 171 In senso contrario all’opinione favorita nel testo, di recente, FABIANI, Le controversie distributive. L’oggetto del procedimento e l’impugnazione dell’ordinanza del giudice, in Riv. esec. forz., 2010, 575 ss.. L’Autore afferma che il problema si pone esclusivamente quando, in virtù delle contestazioni svolte in fase distributiva, venga contestata l’esistenza o la misura dei crediti. Solo in quest’ultima ipotesi, invero, diviene rilevante se la decisione della controversia possa ritenersi idonea a fare stato nei rapporti tra le parti o, se, al contrario, abbia incidenza esclusivamente sulla redazione del piano di riparto predisposto nel processo in seno al quale debba farsi luogo alla distribuzione tanto da poter essere messa in discussione in altra sede. Diversamente, nessun problema pongono le contestazioni concernenti l’accantonamento o i criteri di graduazione dei crediti atteso che, in tali diverse fattispecie, l’incidenza della decisione è inevitabilmente circoscritta al processo esecutivo in corso. Muovendo da questa premessa e definito l’ambito di rilevanza della questione, l’Autore giunge alla conclusione che la controversia distributiva, anche a seguito delle novelle del 2006 e del 2009, è definita con una decisione idonea a far stato tra le parti circa l’esistenza o la misura dei crediti. A tale proposito egli sostiene che l’ordinanza risolutiva della controversia ex art. 512 c.p.c. si atteggia a provvedimento sommario idoneo a divenire irrevocabile, quando non opposto, alla stessa stregua di un decreto ingiuntivo non opposto; che, in ogni caso, anche la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. avverso detta ordinanza è in tutto equivalente a quella resa all’esito di un giudizio impugnatorio talché è idonea al giudicato sui diritti. 172 La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte affermato (da ultimo Cass. 29 febbraio 2008, n. 5515) che l'eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l'intero ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l'intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell'opposizione in ordine alla quantità del credito. 173 In tal senso Cass. 20 gennaio 2011, n. 1328 che, muovendo dalla prospettazione secondo cui ciascuna contestazione introduce una diversa causa petendi, sostiene che non è possibile, nel corso del 52 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Alla luce delle osservazioni che precedono può dunque affermarsi che il giudizio instaurato ai sensi dell’art. 615 c.p.c. ha un oggetto sostanzialmente predefinito perché modulabile solo attraverso il contenuto della contestazione sul diritto del creditore procedente. Va però evidenziato che la giurisprudenza in più occasioni ha ammesso l’estensione dell’oggetto dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c., ad istanza sia dell’opposto che dell’opponente, ed ha riconosciuto al giudice investito della decisione un potere di rilievo officioso negli stessi casi in cui un potere di contenuto analogo viene riconosciuto al giudice dell’esecuzione. Nel prosieguo si procederà ad illustrare gli orientamenti assunti sul punto dalla giurisprudenza consolidatasi prima delle recenti riforme sul processo. 13.2. L’ammissibilità della domanda riconvenzionale del convenuto La giurisprudenza di legittimità ha ammesso che il creditore opposto (convenuto in giudizio) possa proporre una domanda riconvenzionale, senza che rilevi il fatto che l’opposizione all’esecuzione sia stata proposta in via preventiva o successiva. Bisogna tuttavia chiarire che non vi è una domanda riconvenzionale se il creditore opposto chieda l’accertamento dei fatti negati dall’opponente e diretti a dimostrare la validità del titolo esecutivo in forza del quale ha esercitato l’azione174, ma solamente se il creditore opposto chieda la condanna del debitore opponente per un titolo diverso che si aggiunga al primo e consenta di proseguire l’esecuzione già intrapresa anche per la soddisfazione di altro credito175, o per un titolo diverso che si sostituisca a quello già azionato e ritenuto inidoneo, sì da poter intraprendere un’esecuzione diversa da quella originariamente avviata176. In particolare, si è ritenuto che, nel caso in cui l’opponente lamenti l’illegittimità dell’esecuzione fondata su un decreto ingiuntivo inesistente perché mai notificato, l’opposto possa richiedere in via riconvenzionale la condanna del debitore per la medesima somma portata dal decreto ingiuntivo177. Nello stesso modo ove l’esecuzione sia stata intrapresa in forza di titolo di credito ed il debitore giudizio di opposizione all’esecuzione, prospettare nuove contestazioni poiché, diversamente opinando, si giungerebbe ad ammettere la proponibilità di domande nuove come tali inammissibili alla luce dell’attuale codice di rito. 174 Cass. 13 settembre 1997, n. 9081. Così anche Cass. 20 marzo 2012, n. 4380 secondo cui non è necessario proporre una domanda riconvenzionale laddove l’opponente si limita a contrastare l’opposizione dell’opponente prospettando le ragioni che giustificano l’esercizio dell’azione esecutiva ( nella fattispecie esaminata il creditore aveva agito esecutivamente in danno di un soggetto sul presupposto che questi fosse socio di fatto della società debitrice; dinanzi alla opposizione proposta dal debitore, che negava la qualità di socio di fatto affermando di essere stato mero collaboratore della debitrice, la società opposta si era costituita svolgendo domanda riconvenzionale ma di fatto prospettando fatti idonei a definire la portata soggettiva del titolo esecutivo). 175 Cass. 14 febbraio 1996, n. 1107. 176 Cass. 14 febbraio 1996, n. 1107; Cass. 29 marzo 2006, n. 7225; Cass. 20 aprile 2007 n. 9494; Cass. 20 marzo 2012, n. 4380 nonché Cass. 31 luglio 2012, n. 13679. 177 Cass. 2 aprile 1980, n. 2140; . CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 53 abbia validamente eccepito l’improponibilità dell’azione cambiaria (ad esempio per prescrizione), il creditore potrebbe far valere il credito sottostante e chiedere in via riconvenzionale la condanna dell’opponente al pagamento della somma per la quale il titolo di credito era stato emesso178. Va però precisato che nei due casi illustrati la formazione del secondo titolo esecutivo, in accoglimento della domanda riconvenzionale, non impedisce la dichiarazione di illegittimità della prima esecuzione anche se consente l’avvio di un diverso processo sulla base del titolo costituito dalla sentenza di accoglimento della domanda riconvenzionale. Secondo la giurisprudenza, peraltro, la domanda riconvenzionale potrebbe anche essere limitata ad un accertamento prodromico alla formazione di altro titolo esecutivo da richiedere in diversa sede. Ove il debitore opponente abbia contestato il diritto del creditore ad agire nei suoi confronti eccependo un difetto di legittimazione passiva, si è, infatti, ammesso che il creditore possa chiedere di accertare che il rapporto tra debitore ed opponente dà luogo, se non a legittimazione passiva rispetto all’azione esecutiva, quantomeno ad un’obbligazione verso la parte istante in vista di una possibile futura condanna179. Da tale orientamento, inteso nel suo complesso, può dunque dedursi che la domanda riconvenzionale è ammissibile anche nel giudizio di opposizione all’esecuzione, nei termini e nei limiti previsti dall’art. 36 c.p.c., in tutti i casi in cui essa dipenda dal titolo dedotto in giudizio dall’attore180. Per completezza, giova precisare che secondo la giurisprudenza più risalente, la causa di opposizione all’esecuzione non sarebbe soggetta alla sospensione feriale anche quando l’opposto abbia proposto domanda riconvenzionale181; in tempi recenti la Suprema Corte, modificando il precedente orientamento, ha, però, ritenuto che la causa di opposizione all’esecuzione nel corso della quale sia stata proposta una domanda riconvenzionale con la quale sia stata chiesta la pronuncia di una condanna che tenga luogo del titolo esecutivo ritenuto illegittimo, resta soggetta alla sospensione feriale dei termini allorchè l’opposizione sia stata rigettata e la domanda riconvenzionale (il cui esame era subordinato alla accertata illegittimità dell’azione esecutiva) non sia stata esaminata182. 13.3. L’ammissibilità del cumulo di domande dell’opponente La giurisprudenza con alcune pronunce risalenti ha riconosciuto all’opponente la facoltà di ampliare l’oggetto del giudizio di opposizione con la proposizione di domande che esulano dalla contestazione inerente la esistenza e la validità del titolo esecutivo a condizione che la controparte accetti il contraddittorio su tali nuove domande. In particolare, con una prima pronuncia, la Suprema Corte ha ritenuto 178 Cass. 26 marzo 1975, n. 1150. Cass. 17 marzo 1995, n. 3118. 180 In tal senso VIGORITO, op. cit., 19. 181 Così Cass. 19 gennaio 1977, n. 258. 182 Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688. 179 54 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE che l’opponente, proposta un’opposizione all’esecuzione per eccepire l’estinzione del credito posto a fondamento del processo esecutivo per compensazione con un proprio controcredito di misura superiore, potesse chiedere la condanna dell’opposto al pagamento a suo favore della differenza183, consentendo tuttavia all’opposto di rifiutare il contraddittorio sull’ulteriore domanda. Tale orientamento è stato ribadito in tempi recenti in una fattispecie analoga a quella illustrata (opposizione del debitore fondata su un’eccezione di compensazione con contestuale domanda di condanna dell’opposto al pagamento in suo favore della differenza) 184; con questa seconda pronuncia la Corte di Cassazione ha confermato che l’ampliamento dell’oggetto del giudizio a cura dell’opponente è ammissibile senza far più cenno alla necessità dell’accettazione del contraddittorio da parte del convenuto. Quest’ultima ultima sentenza sembra del tutto in linea con i principi ispiratori del codice di rito che sottrae alla disponibilità delle parti e rimette alla valutazione officiosa del giudice ogni questione sulla ammissibilità delle domande. Alla luce dei principi di economia processuale, sembra potersi ritenere che l’opponente abbia la facoltà di proporre un’opposizione all’esecuzione ed altra domanda a questa connessa ovvero più domande, in applicazione del criterio del cumulo sancito dall’art. 104 c.p.c., salva, in quest’ultimo caso, la possibilità di disporre la separazione delle cause se lo svolgimento contestuale di esse renda concreto il pericolo di ritardare la definizione dell’opposizione all’esecuzione185. 13.4. La domanda di restituzione di quanto illegittimamente riscosso in base al titolo esecutivo Si discute sulla proponibilità nel giudizio di opposizione all’esecuzione della domanda alla restituzione di quanto illegittimamente riscosso nel corso di un’esecuzione promossa in forza di titolo esecutivo caducato per fatto sopravvenuto. È noto che con riferimento ai titoli di formazione giudiziale la domanda restitutoria possa e debba essere preferibilmente proposta nel corso del giudizio di cognizione, in primo grado, in appello186 o in sede di rinvio187, senza la necessità di rispettare i limiti preclusivi dettati in punto di domande nuove e fino alla udienza di precisazione delle conclusioni. Resta però da stabilire cosa accada se non sia stato possibile avanzare la domanda restitutoria nella sede di merito. È certo che in un’ipotesi siffatta essa possa 183 Cass. 20 aprile 1963, n. 971; Cass. 19 marzo 1979, n. 1602, in Foro it., 1979, I, 2905 con nota critica di PROTO PISANI. 184 Cass. 23 luglio 2003, n. 1449. 185 Nel senso della ammissibilità del cumulo di domande previsto dall’art. 104 c.p.c. si è espressa la giurisprudenza di merito. cfr. Trib. Ragusa, 11 marzo 1982, in CED merito, PD 254783. 186 Cass. 16 giugno 1998, n. 6002; Cass. 24 maggio 2004, n. 9917; Cass. 3 ottobre 2005, n. 19299 187 Cass. 3 agosto 2002, n. 11650; Trib. Roma, 28 giugno 2001, in Giur. rom., 2002, 156; Trib. Milano 22 maggio 2001 in Riv. crit. dir. lav., 2001, 929 con nota di MARTINA. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 55 essere avanzata in via autonoma188, ma alla luce della giurisprudenza più recente189, e secondo il parere espresso dalla dottrina190, può essere proposta anche nel giudizio di opposizione all’esecuzione. 13.5. L’ammissibilità dei poteri officiosi del giudice dell’opposizione Si è già evidenziato che, secondo parte della giurisprudenza, il giudice dell’opposizione può decidere la causa di opposizione all’esecuzione anche per motivi diversi da quelli che costituiscono le ragioni della domanda formulata dall’opponente, sempreché tale rilievo officioso sia esercitato nei limiti in cui esso viene consentito al giudice dell’esecuzione. In particolare, è stato affermato che, qualunque sia il tenore delle contestazioni svolte con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., il giudice potrebbe accogliere la domanda e dichiarare l’insussistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente rilevando di ufficio la mancanza del titolo esecutivo la cui presenza costituisce una condizione necessaria per l’esercizio dell’azione191. Ma si registra anche un orientamento di segno contrario secondo cui, in ossequio al principio della domanda, l’opponente nel corso del giudizio non potrebbe proporre eccezioni diverse da quelle originariamente prospettate (a meno che esse non costituiscano lo svolgimento delle prospettazioni iniziali) né il giudice avrebbe la possibilità di accogliere l’opposizione per motivi diversi da quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili di ufficio192. Traendo spunto da quanto esposto può conclusivamente affermarsi che se, come si propende, si presta adesione al primo dei due orientamenti esposti deve addivenirsi alla conclusione che l’oggetto del giudizio può ampliarsi, di fatto, anche attraverso l’esercizio dei poteri officiosi del giudice. 14. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione e gli altri giudizi 14.1. Il rapporto con il giudizio di merito avente ad oggetto il titolo esecutivo giudiziale 188 Cass. 3 ottobre 2005, n. 19296. In senso positivo e cioè per la ammissibilità della domanda restitutoria nel giudizio di opposizione all’esecuzione si era espressa Cass. 19 ottobre 1966, n. 2558 con riferimento ad una fattispecie di contemporanea pendenza di una opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e di un giudizio di opposizione ad un’ esecuzione intrapresa sulla base di quest’ultimo; in senso negativo si è poi espressa Cass. 20 settembre 2002, n. 13757, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 878 con nota di MARZOLINI. Da ultimo, nel senso della ammissibilità Cass. 25 giugno 2003, n. 10132 nonché Cass. 24 febbraio 2011, n. 4505. 190 ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 251 – 252. 191 Cass. 7 febbraio 2000, n. 1337. Nella fattispecie esaminata il titolo esecutivo era costituito da un assegno privo di data che dunque non aveva la valenza di titolo esecutivo. 192 Cass. 7 marzo 2003, n. 3477. Nello stesso senso Cass. 7 marzo 2002, n. 3316. 189 56 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE La giurisprudenza con varie pronunce ha escluso la litispendenza tra il giudizio di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva ed il giudizio di appello pendente avverso la sentenza di primo grado su cui si fonda il precetto, ovvero in forza della quale è stato promosso il processo esecutivo, poiché con il rimedio di cui all’art. 615 c.p.c. non si pone (né può porsi)193 in discussione l’esattezza del titolo giudiziale194. La medesima soluzione è stata fornita con riguardo ai rapporti tra il giudizio di opposizione all’esecuzione e quello di opposizione al decreto ingiuntivo195. Tra il giudizio di merito sul titolo giudiziale e quello di opposizione all’esecuzione non sussiste neppure un rapporto di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.196. 14.2. Il rapporto con il giudizio di opposizione agli atti esecutivi Non sussiste litispendenza neppure nei rapporti tra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi perché fra le due cause non esiste una identità di petitum e di causa petendi197. Non è però escluso che con uno stesso atto introduttivo possano essere contestualmente proposte una domanda di opposizione all’esecuzione ed una domanda di opposizione agli atti esecutivi198. In una ipotesi siffatta restano però fermi gli ordinari criteri di competenza, atteso che per l’opposizione all’esecuzione vige il principio della competenza per valore, mentre la decisione dell’opposizione agli atti esecutivi spetta sempre al Tribunale. La giurisprudenza ha chiarito che, qualora vi sia un cumulo soggettivo tra una opposizione agli atti esecutivi, di competenza “ratione materiae” del Tribunale ed una opposizione all’esecuzione di competenza, “ratione valoris” del giudice di pace, sussiste la competenza del Tribunale su tutte le domande, in applicazione dell’art. 10 co. 2 e dell’art. 104 c.p.c., sempreché l’ufficio del giudice di pace competente per valore ricada nel circondario del Tribunale del giudice dell’esecuzione199. In ogni caso, qualora si sia operato il cumulo di domande tra opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, occorre che il giudice si pronunci su entrambe. 193 L’opposizione all’esecuzione con cui si lamenti la esattezza del titolo giudiziale va rigettata, perché inammissibile, poiché è precluso al giudice investito della decisione di compiere un accertamento su questioni il cui esame è riservato alle sedi di merito. 194 Cass. 22 gennaio 1994, n. 619; Cass. 3 settembre 2005, n. 17743. 195 Cass. 16 aprile 1999, n. 3792. 196 In tal senso Cass. 5 agosto 2005, n. 16601 e Cass. 13 giugno 2008 n. 15909 che escludono espressamente il rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di merito sul titolo giudiziale e quello di opposizione all’esecuzione; nello stesso senso Cass. 24 maggio 2002, n. 7631 e di recente Cass. 4 agosto 2011 n. 16998 che precisa l’insussistenza del rapporto di pregiudizialità anche nel caso di impugnazione della sentenza che costituisce titolo esecutivo. In senso contrario, e cioè per la sussistenza della pregiudizialità, cfr. Cass. 13 marzo 1978, 1244. 197 Cass. 9 aprile 2001, n. 5273. 198 Cass. 19 aprile 1982, n. 2438; Cass. 18 aprile 2001, n. 5685. 199 Cass. 13 luglio 2010, n. 16355; Cass. 6 maggio 2011, n. 9988. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 57 La giurisprudenza ha chiarito che, qualora vi sia un cumulo soggettivo tra una opposizione agli atti esecutivi, di competenza “ratione materiae” del Tribunale ed una opposizione all’esecuzione di competenza, “ratione valoris” del giudice di pace, sussiste la competenza del Tribunale su tutte le domande, in applicazione dell’art. 10 co. 2 e dell’art. 104 c.p.c., sempreché l’ufficio del giudice di pace competente per valore ricada nel circondario del Tribunale del giudice dell’esecuzione200. Questo principio non si applica nel caso in cui anche la competenza del giudice di pace sia determinata dalla materia; in tal caso i giudizi debbono essere separati201. L’accoglimento dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. o in alternativa l’accoglimento dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. non consente al giudice di ritenere assorbita l’altra domanda sulla quale occorre, invece, che emetta una specifica pronuncia202. 14 bis. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione ed il processo esecutivo Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza203 l’estinzione del processo esecutivo, disposta quando sia già pendente il giudizio di opposizione all’esecuzione, non consente di ritenere cessata la materia del contendere poiché l’interesse alla decisione circa la sussistenza del diritto del creditore ad agire esecutivamente in forza del titolo esecutivo da questi azionato nei confronti del debitore opponente permane. Più precisamente, il debitore opponente ha interesse a conseguire una decisione che accerti se l’eventuale futuro esercizio dell’azione esecutiva sia o meno legittimo. Per contro, l’estinzione del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere in relazione alla opposizione agli atti esecutivi atteso che viene meno l’interesse alla decisione circa la regolarità formale di atti esecutivi divenuti inefficaci. 15. La decisione dell’opposizione all’esecuzione 15.1. La natura della decisione Il giudizio di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva si conclude con una sentenza. 200 Cass. 13 luglio 2010, n. 16355; Cass. 6 maggio 2011, n. 9988. 201 Cass. 21 marzo 2011, n. 6463. 202 Cass. 28 aprile 1971, n. 1253; Cass. 2 marzo 1976, n. 690; Cass. 5 febbraio 1973, n. 366. 203 Cass. 16 novembre 2005, n. 23084 nonché Cass. 22 marzo 2011, n. 6546. 58 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Poiché i due tipi di opposizione hanno analogo oggetto la decisione ha un analogo contenuto minimo costituito dall’accertamento circa l’esistenza o l’inesistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente. Essa potrebbe tuttavia recare anche statuizioni ulteriori e cioè dichiarare l’inefficacia degli atti esecutivi posti in essere, ad esempio, in difetto di titolo esecutivo ovvero imporre al giudice dell’esecuzione, se questa è ancora in corso, di rimuovere ex tunc con suoi provvedimenti l’efficacia degli atti che abbiano leso i diritti o intaccato il patrimonio di chi ha subito l’esecuzione, salvo che quest’ultima non abbia fatto sorgere diritti irreversibili di terzi204. In dottrina, vi è stato un contrasto interpretativo sulla natura della sentenza emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c. Alcuni autori sostengono che l’opposizione all’esecuzione costituisca una azione di accertamento negativo circa la esistenza del diritto205 mentre altri affermano che la azione e la decisione avrebbero natura costitutiva 206. Si è già rammentato come la giurisprudenza abbia ritenuto dirimente ai fini della individuazione del mezzo di gravame esperibile avverso la sentenza che decide una opposizione esecutiva, la qualificazione della azione compiuta dal giudice di primo grado. Tale orientamento, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 26 febbraio 2006 n. 52, aveva perso gran parte della sua attualità atteso che non solo le sentenze che definiscono i giudizi di opposizione agli atti esecutivi, ma anche quelle emesse in relazione ai giudizi di opposizione all’esecuzione, ovvero di terzo all’esecuzione erano espressamente dichiarate non impugnabili. A seguito della riforma del 2009, che ha riformulato l’art. 616 c.p.c., la sentenza che definisce l’opposizione all’esecuzione o l’opposizione di terzo all’esecuzione è soggetta ad appello mentre resta inimpugnabile la sola pronuncia emessa in relazione alla opposizione prevista dall’art. 617 c.p.c.. Oggi torna, dunque, ad essere rilevante l’orientamento di cui si è detto che, ai fini della individuazione del mezzo di gravame, attribuisce rilievo alla qualificazione dell’azione compiuta dal giudice di primo grado. 15.2. Il contenuto della decisione e l’estensione del giudicato I motivi per i quali è possibile contestare l’“an” dell’esecuzione sono molteplici tanto che nel procedere alla loro illustrazione si è operata una classificazione per categorie. Il contenuto della decisione sull’opposizione ex art. 615 c.p.c. può, di conseguenza, essere molto vario e presentare diverse articolazioni che astrattamente incidono sulla estensione del giudicato. 204 ORIANI, Opposizione all’esecuzione, cit., 606. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 337; MANDRIOLI, Opposizione, cit., 439; ID., L’azione esecutiva, Milano, 1955, 419; CASTORO, op. cit., 2006, 779; PUNZI, Il processo civile (sistema e problematiche), Torino, 2008, 243. 206 LIEBMAN, op. cit., 188; GARBAGNATI, op. cit., 1070. 205 CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 59 La dottrina ha sottolineato che, nei casi in cui l’opposizione all’esecuzione sia fondata sulla contestazione del difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo essa ha ad oggetto, non la esistenza del diritto di credito, ma situazioni di tipo processuale207. In ipotesi siffatte, dunque, il giudicato ha ad oggetto una vicenda di tipo formale che conduce alla affermazione della inesistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente in forza di quel titolo ma non coinvolge la pretesa sostanziale. Diverso è invece il caso in cui si utilizzi il rimedio oppositivo previsto dall’art. 615 c.p.c. per contestare la esistenza del diritto che trova evidenza nel titolo esecutivo (giudiziale, ma soprattutto stragiudiziale). Si rammenta, infatti, che colui che subisce l’esecuzione ha la facoltà di dolersi dell’illegittimo esercizio dell’azione esecutiva deducendo che la pretesa fatta valere dal creditore è venuta meno per il verificarsi di fatti modificativi ed estintivi del rapporto sostanziale208. Appare di tutta evidenza che nell’ipotesi da ultimo esaminata l’opposizione all’esecuzione ha ad oggetto la esistenza attuale del diritto. Occorre, quindi, interrogarsi sulla estensione dell’indagine compiuta dal giudice investito del giudizio e sulla conseguente portata del giudicato. È di centrale importanza stabilire se la delibazione circa la legittimità o meno dell’esercizio dell’azione esecutiva presupponga anche il pregiudiziale accertamento di merito sulla sussistenza del diritto di credito. La dottrina su tale punto è divisa. Taluni interpreti sostengono che la sentenza emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c., nei casi che quivi si stanno esaminando, reca un accertamento pieno sul rapporto sostanziale soprattutto quando l’azione sia fondata su un titolo esecutivo di tipo stragiudiziale, atteso che in ipotesi siffatta il giudizio oppositivo assume la portata di un processo a cognizione piena sul diritto soggettivo controverso209. Muovendo da questa ottica era, quindi, apparsa del tutto ingiustificata la scelta operata dal legislatore del 2006 di rendere non impugnabili le decisioni pronunciate ai sensi dell’art. 615 c.p.c.210. 207 Le ipotesi di inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale attengono all’esistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione esecutiva tanto che si è osservato come esse possano essere rilevate con il rimedio oppositivo previsto dall’art. 615 c.p.c., ma anche di ufficio dal giudice. Si tratta per meglio intenderci di situazioni che incidono sulla esercitabilità dell’azione esecutiva per motivi di carattere formale e non sostanziale. Basti pensare che accertare la inesistenza del diritto a procedere esecutivamente del creditore perché l’atto pubblico non è rogato da un pubblico ufficiale ovvero perché la sentenza non è sottoscritta dal giudice ed è perciò inesistente, non vale ad escludere il rapporto sostanziale tra le parti che può e deve essere accertato in altra sede. In questo senso cfr. ROMANO, op. cit., 498. 208 La contestazione sulla sussistenza del diritto che trova evidenza nel titolo esecutivo stragiudiziale può essere svolta senza limiti. Una contestazione di analogo contenuto riferita al titolo esecutivo giudiziale trova invece evidenti limiti nel giudicato. Per l’esame dei rapporti tra l’opposizione all’esecuzione per il verificarsi dei fatti estintivi o modificativi del rapporto sostanziale con riguardo ai titoli giudiziali cfr. par. 4. 209 ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24.2.2006), n. 52, in Riv. esec. forz., 2006, 498; ID., L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 140 ss.; LIEBMAN, op. cit., 183 ss.. 210 La questione è, però, ormai superata a seguito della riforma del 2009 che ha reintrodotto il regime impugnatorio ordinario per le sentenze emesse ai sensi dell’art. 615 c.p.c.. 60 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Altri interpreti sostengono che l’opposizione all’esecuzione non mira ad accertare la esistenza del diritto obbligatorio consacrato dal titolo esecutivo, ma la esercitabilità dell’azione esecutiva a cura del creditore istante. Diversamente opinando, se il giudizio in esame avesse ad oggetto la esistenza del rapporto sostanziale tra le parti, non avrebbe avuto senso riconoscere al creditore opposto la facoltà di proporre una domanda riconvenzionale chiedendo la condanna del debitore opponente per un titolo diverso da quello azionato e posto a fondamento del processo esecutivo211. Muovendo da tale prospettazione la sentenza resa sull’opposizione all’esecuzione, dunque, non avrebbe di regola una efficacia extraprocessuale di giudicato, ma una valenza endoprocessuale, alla stregua delle pronunce su questioni preliminari di merito e non potrebbe precludere la proposizione di nuove opposizioni fondate su motivi diversi rispetto a quelli precedentemente dedotti212. I sostenitori della tesi da ultimo illustrata avevano ritenuto coerente e condivisibile la modificazione del regime impugnatorio della sentenza emessa ex art. 615 c.p.c. introdotta dalla riforma del 2006 213. Deve, infine, evidenziarsi che in dottrina era stata avanzata anche una terza soluzione. Si era sostenuto, in particolare, che la sentenza che definiva il giudizio di opposizione all’esecuzione proposta in via “preventiva” avrebbe dato luogo ad un giudicato sulla esistenza della azione esecutiva, mentre la sentenza che definiva il giudizio di opposizione all’esecuzione proposta in via “successiva” avrebbe avuto una valenza endoprocedimentale e, dunque, non avrebbe potuto essere invocata in un processo esecutivo diverso da quello in relazione al quale era stata emessa. La ricostruzione da ultimo esposta traeva spunto dal fatto che l’art. 616 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla riforma del 2006, dichiarava espressamente inimpugnabili le sole sentenze pronunciate sull’opposizione all’esecuzione successiva, lasciando ipotizzare che fosse restato inalterato il regime impugnatorio della deci211 VACCARELLA, op. cit., 80, spec. nota 21 il quale afferma che la esistenza del credito non è una causa pregiudiziale necessaria ma lo diventa soltanto a seguito di una esplicita domanda riconvenzionale dell’opposto; nello stesso senso VILLANI, In tema di rapporti fra opposizione all’esecuzione ed opposizione a decreto ingiuntivo, in Riv. dir. proc., 1982, 132 ss.. 212 ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1763. 213 Così ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1765. Ma, come chiarito nel testo, la riforma del 2009 ha superato ogni questione ripristinando, per le sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 615 c.p.c. nonché ai sensi dell’art. 619 c.p.c., il regime impugnatorio ordinario. Giova, comunque, segnalare, per completezza, che già prima della riforma del 2009 taluno aveva sostenuto che il regime di unificata inimpugnabilità sancito nel 2006 in relazione a tutte le sentenze rese all’esito delle opposizioni esecutive, poteva ritenersi coerente a condizione che si fosse esclusa dall’oggetto decisorio delle opposizioni predette qualsivoglia situazione soggettiva di diritto sostanziale. In tal senso, MONTANARI, Considerazioni sui così definibili effetti riflessi della riforma delle opposizioni esecutive di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c., in studi in onore di Carmine Punzi, III, Torino, 623 ss., note 9 – 10 nonché OLIVIERI, Ancora qualche (brevissima) considerazione sulle nuove norme del procedimento cautelare uniforme (e sulla reclamabilità dell’inibitoria ex art. 283 c.p.c. e sull’opposizione all’esecuzione), in www.judicium.it. In tempi più recenti, entrata ormai in vigore la riforma del 2009, sempre MONTANARI, Il cantiere sempre aperto delle opposizioni esecutive, in Riv. esec. forz., 2010, 397 ss., confermando le opinioni in precedenza espresse, pur affermando di non aver nulla da obiettare sul ritorno al passato, ha ribadito che il sistema delle opposizioni esecutive ben poteva mantenere il suo equilibrio, nonostante la generale inappellabilità delle sentenze, a condizione che si fosse esclusa l’ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione per le doglianze di merito. CAPITOLO SECONDO – L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE IN GENERALE 61 sione pronunciata sull’opposizione all’esecuzione preventiva (ancora soggetta ad appello)214. A seguito della riforma del 2009, che ha ripristinato per le sentenze emesse ai sensi dell’art. 615 c.p.c. il regime impugnatorio ordinario, l’orientamento di ultimo esposto va probabilmente rivisitato. La giurisprudenza sembra aver preso posizione nel senso della valenza extraprocessuale della pronuncia emessa sull’opposizione all’esecuzione215. Induce indirettamente alla convinzione che la giurisprudenza attribuisca alla decisione in esame natura e carattere extraprocessuale anche il fatto che essa abbia più volte affermato come l’estinzione del processo esecutivo non determina la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse in relazione alle opposizioni introdotte ai sensi dell’art. 615 c.p.c.216, salvo che la controversia abbia ad oggetto la questione della impignorabilità dei beni ed il pignoramento sia caduto su somme di denaro o beni fungibili217. Va da ultimo segnalato che di recente la Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 616 ultimo periodo c.p.c. che aveva qualificato “non impugnabile” la sentenza che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione)218. Come si è esposto la questione sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale è oggi superata poiché, stante la nuova formulazione dell’art. 616 c.p.c. dopo la 214 SALETTI, Simmetrie ed asimmetrie nel sistema delle opposizioni esecutive, in Riv. dir. proc., 2007, 885 ss.. L’Autore muove dal presupposto che la sentenza che definisce l’opposizione all’esecuzione preventiva è a tutt’oggi appellabile poiché l’art. 616 c.p.c. non è invocabile per tale fattispecie. Attraverso una serie di argomenti che valorizzano anche la diversa ampiezza dei poteri cautelari previsti dagli artt. 615 co. 1 c.p.c. e 624 c.p.c. arriva allora a concludere che il legislatore ha inteso consapevolmente differenziare il regime impugnatorio delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva. 215 Cfr. Cass. 5 ottobre 1978, n. 4452 con cui si afferma che “la sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione con la quale si è contestato il diritto della parte istante ad esecuzione forzata non soltanto ha incidenza processuale, poiché non si limita a dichiarare la nullità del precetto e degli atti esecutivi, ma accerta la inesistenza nella realtà giuridica sostanziale dell’azione esecutiva in corso di esercizio o preannunciata”. Sulla base di tale principio di diritto si è ritenuto che debba essere revocata ex art. 395 n. 5 c.p.c. la sentenza passata in giudicato la quale abbia successivamente dichiarato che la mancata efficacia di titolo esecutivo della sentenza posta a base dell’esecuzione forzata dipendeva da una mera omissione emendata con la procedura di correzione degli errori materiali. 216 La cessazione della materia del contendere va, invece, dichiarata se si tratti di opposizione agli atti esecutivi. 217 Cass. 16 novembre 2005, n. 23084. 218 Corte Cost. 13 marzo 2008, n. 53. Con tale pronuncia la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 616 ultimo comma c.p.c. sottoposte al suo vaglio. La sentenza in esame, secondo quanto si ricava dalla motivazione, sembra, comunque, lasciare spazio ad una riproposizione della questione sotto altro profilo. Da un lato la Corte ha, infatti, osservato che la equiparazione del regime impugnatorio dell’opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione) e dell’opposizione agli atti esecutivi non è di per sé irragionevole (perché non è detto che essa si fonda sulla medesima ratio) e dall’altro lato ha evidenziato come la scelta di sancire la inappellabilità delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione e di terzo all’esecuzione si atteggiano in termini differenti a seconda che l’azione esecutiva sia stata esercitata in virtù di titolo giudiziale (“…il giudizio di opposizione all’esecuzione può concernere anche ipotesi in cui questa si fonda su titoli giudiziali, e addirittura su sentenza passata in giudicato, titoli riguardo ai quali non si ravvisano le addotte cause di irragionevolezza dell’inappellabilità della sentenza che decide sull’opposizione all’esecuzione..”) o stragiudiziale. 62 OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE riforma del 2009, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è soggetta ad appello. 15.3. Gli spazi di efficacia della sentenza di accoglimento dell’opposizione prima del passaggio in giudicato In linea generale può sostenersi che la sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione non produce effetti immediati se non dopo il suo passaggio in giudicato219. Sembra tuttavia condivisibile la tesi secondo cui la sentenza di primo grado che accoglie l’opposizione contenga, non soltanto un accertamento, ma anche una sorta di “inibitoria” alla prosecuzione del processo esecutivo. Da ciò deriverebbe che gli organi esecutivi non potrebbero proseguire nelle attività in cui si articola il processo di esecuzione poiché in tal modo violerebbero un comando contenuto in una sentenza, anche se ancora soggetta ad impugnazione220. Quando il giudice dell’opposizione all’esecuzione preventiva o successiva abbia dichiarato la inesistenza del diritto a procedere esecutivamente del creditore e tale sentenza venga prodotta al giudice dell’esecuzione quest’ultimo non dovrebbe proseguire nel compimento delle attività esecutive sino al passaggio in giudicato della pronuncia. 219 220 In questo senso ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1760; OLIVIERI, op. cit. 251. CONSOLO, op. cit., 264. CAPITOLO TERZO L’OPPOSIZIONE PREVENTIVA ALL’ESECUZIONE SOMMARIO: 1. L’ambito applicativo dell’opposizione “preventiva” alla esecuzione (art. 615 co. 1 c.p.c.). - 2. I criteri per l’individuazione del giudice competente: 2.1. La competenza per materia o valore. 2.2. La competenza per materia per le opposizioni in materia di crediti di lavoro, previdenza ed assistenza. 2.3. La competenza per territorio. 3. La composizione monocratica del Tribunale. - 4. I tratti caratteristici del procedimento e le novità introdotte dalla riforma. - 5. La forma dell’atto introduttivo. - 6. La notificazione dell’atto introduttivo. - 7. Le regole applicabili allo svolgimento del giudizio. - 8. La procura alle liti. - 9. Il rapporto tra i giudizi di opposizione alla esecuzione preventiva o successiva. - 10. La sospensione feriale dei termini. - 11. La decisione e l’impugnazione della sentenza. 1. L’ambito applicativo dell’opposizione “preventiva” alla esecuzione (art. 615 co. 1 c.p.c.) L’art. 615 co. 1 c.p.c. disciplina l’opposizione “preventiva” all’esecuzione; si utilizza questa definizione per indicare l’opposizione proposta dopo la notifica dell’atto di precetto, ma prima dell’inizio del pignoramento per contestare il diritto a procedere ad esecuzione forzata del soggetto che ha chiesto la notifica dell’atto di precetto. L’art. 615 co. 2 e l’art. 616 c.p.c. disciplinano la c.d. opposizione “successiva” all’esecuzione, quella che si propone dopo l’inizio dell’azione esecutiva. Come si è visto, per diritto a procedere alla esecuzione forzata si intende il complesso dei poteri processuali che consentono l’avvio e lo sviluppo del processo di esecuzione e che costituiscono esercizio di quella situazione soggettiva che è l’“azione esecutiva”221 e l’oggetto dell’opposizione è dunque la contestazione del diritto ad esercitare azione esecutiva. Prima dell’inizio dell’esecuzione l’opposizione si propone al giudice competente per materia o valore nelle forme previste per il giudizio di cognizione. Si applica, quindi, il rito del lavoro per le azioni esecutive che si fondano su crediti di lavoro o locazioni, il rito societario per le azioni esecutive che riguardano la materia regolata dal d.lgs. n. 5 del 2003, il rito ordinario per tutte le altre materie222. 221 MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 434. Per le opposizioni alla esecuzione in materia di contratti agrari deve ritenersi applicabile la relativa disciplina (Cass. 30 maggio 2001, n. 7399). 222 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 65 Dopo l’inizio dell’esecuzione, l’opposizione con la quale si contesta il diritto a procedere esecutivamente e quella relativa alla pignorabilità del bene possono proporsi con ricorso al giudice dell’esecuzione. I due tipi di giudizi, rientrano nella stessa categoria generale e hanno identità oggettiva e soggettiva, ma si differenziano riguardo al rito da applicare. 2. I criteri per l’individuazione del giudice competente 2.1. La competenza per materia o valore Ai sensi dell’art. 615 co. 1 c.p.c. l’opposizione al precetto introdotta ai sensi dell’art. 615 co. 1 c.p.c. si propone “davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio ai sensi dell’art. 27”. Ciò premesso, va precisato che, al di fuori dei casi di competenza per materia di cui meglio si dirà in seguito, l’individuazione del giudice competente a conoscere dell’opposizione a precetto deve essere operata in base al criterio del valore determinato a norma dell’art. 17 c.p.c., e cioè tenendo conto dell’intero importo del credito per cui si procede. La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che non rileva, ai fini della determinazione del valore della causa, che la contestazione del diritto di credito sia riferita solo ad una parte delle somme precettate dovendosi comunque considerare l’intero importo di cui si è intimato il pagamento e per il quale si è esercitata l’azione esecutiva223. In applicazione degli anzidetti principi, ed alla luce dell’art. 7 c.p.c., nella formulazione conseguente alla riforma del 2009, la competenza a decidere dell’opposizione alla esecuzione preventiva spetta al giudice di pace, se il credito per cui si procede non è superiore ad euro 5.000,00, mentre spetta al Tribunale negli altri casi. Si deve far ricorso agli ordinari criteri di competenza per materia e per valore anche quando l’opposizione alla esecuzione sia relativa ad un precetto per obblighi di fare. A tale proposito la giurisprudenza ha affermato che l’art. 17 c.p.c. trova applicazione relativamente all’obbligo di fare atteso che quest’ultimo è sempre quantificabile in denaro ai sensi del combinato disposto degli artt. 14 e 17 c.p.c.224. Le stesse considerazioni possono essere svolte per ciò che concerne l’opposizione avverso un precetto con cui sia stato intimata la consegna di cose o il 223 Cass. 30 maggio 1967, n. 1213; Cass. 26 luglio 1967, n. 1989; Cass. 9 gennaio 1973, n. 22; Cass. 25 ottobre 1993, n. 10591; Cass. 1 ottobre 1998, n. 9755; Cass. 28 novembre 2011, n. 25188. 224 Cfr. Cass. 22 gennaio 1963, n. 1673 con cui si riteneva inapplicabile all’opposizione all’esecuzione preventiva per obblighi di fare l’art. 16 c.p.c. considerandosi invocabili gli ordinari criteri di competenza stabiliti dall’art. 615 co. 1 c.p.c.. Va però precisato che il dubbio circa l’applicabilità dell’art. 16 c.p.c. non è più prospettabile poiché tale norma, a seguito della istituzione del giudice unico, è stata abrogata. Si sono pronunciate per l’applicabilità dei criteri di competenza per valore anche all’opposizione preventiva in relazione ad un precetto per obblighi di fare: Cass. 17 marzo 1973, n. 761; Cass. 12 settembre 1978, n. 4124; Cass. 14 ottobre 1982, n. 5335; Cass. 14 agosto 1990, n. 8268. 66 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE rilascio di immobili a meno che non si rientri nella ipotesi di competenza per materia prevista dall’art. 618 bis c.p.c.. Si applica il criterio della competenza per valore (e, dunque, si ha riguardo all’importo del credito precettato) anche quando l’opposizione all’esecuzione sia proposta in relazione ad un atto di precetto fondato su un provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c., senza che assuma rilievo la circostanza che la materia della separazione e del divorzio sia riservata al Tribunale225 atteso che il giudizio di opposizione prescinde dall’esame delle questioni di merito ed è limitato alla valutazione delle condizioni per procedere all’esercizio dell’azione esecutiva. Si prescinde dai criteri di valore quando la questione cui si riferisce l’opposizione sia riservata alla competenza per materia di un determinato giudice. È questo il caso dell’opposizione alla esecuzione relativa ad un precetto fondato su una sentenza che condanni al rilascio del fondo rustico226 ovvero al pagamento di un’indennità per i miglioramenti e le addizione del fondo rustico oggetto di contratto agrario227, questioni tutte riservate alla competenza per materia delle sezioni specializzate agrarie. Nonostante sia riservata al Tribunale la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in caso di separazione e divorzio, deve ritenersi che in caso di esecuzione, promossa in virtù di un titolo recante l’obbligo al pagamento dell’assegno di mantenimento, l’opposizione vada proposta al giudice competente per valore non configurandosi una competenza per materia del Tribunale, atteso che le contestazioni non attengono al contenuto dei provvedimenti ma alla sussistenza del diritto ad agire esecutivamente228. 2.2. La competenza per materia per le opposizioni in materia di crediti di lavoro, previdenza ed assistenza Non vi sono dubbi sul fatto che costituisca un’ipotesi di competenza per materia anche quella sancita dall’art. 618 bis c.p.c. a tenore del quale le opposizioni alla esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili per le materie trattate nei capi I e II del titolo IV del libro II. In base alla predetta disposizione, ed a seguito della istituzione del giudice unico, sono, dunque, devolute alla competenza per materia del Tribunale in funzione del giudice del lavoro229 e debbono conseguentemente essere trattate con il rito del lavoro le opposizioni alla esecuzione (e quelle agli atti esecutivi) che trovino fondamento in atti di precetto intimati sulla base di titoli esecutivi formati in relazione a crediti di lavoro, previdenza ed assistenza. Nonostante un iniziale orientamento 225 Così Cass. 24 aprile 2009, n. 9784 nonché Trib. Piacenza, 20 gennaio 2011, in Giur. merito, 2011, 1010. 226 Cass. 4 ottobre 1990, n. 9815. 227 Cass. 7 dicembre 2000, n. 15523. 228 Cass. 22 agosto 2006, n. 18240, Cass. 17 luglio 2009, n. 16793. 229 Nel senso che l’art. 618 bis c.p.c. individua una competenza per materia del giudice del lavoro: Cass. 10 ottobre 1977, n. 4314; Cass. 8 giugno 1979, n. 3272. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 67 contrario espresso dalla giurisprudenza di merito230, si ritiene che l’art. 618 bis c.p.c. sia applicabile anche alle opposizioni alla esecuzione preventive per rilascio conseguenti a locazione e comodato di immobili urbani o affitto di aziende, atteso che anche l’art. 447 bis c.p.c., che regola la materia delle locazioni, è inserito nei capi I e II del titolo IV del codice cui rinvia l’art. 618 bis c.p.c.231. 2.3. La competenza per territorio Anche con riferimento alla competenza per territorio l’art. 615 co. 1 c.p.c. rinvia all’art. 27 c.p.c. che, in generale, individua come giudice competente a conoscere delle opposizioni esecutive il giudice della esecuzione ma, per ciò che concerne l’opposizione ex art. 615 c.p.c., fa salva l’applicabilità dell’art. 480 co. 3 c.p.c. È a quest’ultima norma che occorre, dunque, aver riguardo per individuare il giudice territorialmente competente a conoscere del giudizio all’esame. L’art. 480 c.p.c. stabilisce che: “…In mancanza le opposizione al precetto si propongono davanti al giudice del luogo ove il precetto è stato notificato”. Da detta disposizione si ricava a contrario che competente a conoscere delle opposizioni al precetto è l’ufficio giudiziario del luogo in cui il creditore ha dichiarato la residenza o eletto domicilio poiché ivi si trovano beni del debitore da sottoporre ad esecuzione. Ciò sta a dire che il legislatore ha operato una scelta in punto di competenza ispirata all’obiettivo di realizzare una coincidenza quantomeno tendenziale tra il foro del giudice dell’opposizione a precetto ed il foro del giudice dell’esecuzione, puntando sulla collaborazione del creditore. La soluzione fornita dall’art. 480 co. 3 c.p.c. presenta, tuttavia, non pochi problemi applicativi. Può, infatti, verificarsi che il creditore ometta di dichiarare la residenza o di eleggere il domicilio ovvero che quest’ultimo dichiari la residenza o elegga il domicilio in un comune in cui non si trovano beni del debitore da sottoporre ad esecuzione. Orbene, la norma in esame risolve espressamente la sola ipotesi della omissione del creditore stabilendo che, se colui che redige l’atto di precetto non provvede a dichiarare la residenza o ad eleggere il domicilio, diverrà operativo un foro di competenza che potremmo definire sussidiario e le opposizioni a precetto dovranno essere proposte dinanzi al giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato, vale a dire nel luogo di residenza del debitore. Ma nessuna soluzione sembra desumibile dal sistema normativo con riferimento alla ipotesi in cui la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio non siano conformi al dettato dell’art. 480 co. 3 c.p.c., perché eseguite indicando un luogo diverso da quello in cui si trovano beni del debitore da sottoporre ad esecuzione. Il vuoto legislativo sul punto è stato però colmato in chiave interpretativa dalla Corte Costituzionale. Secondo la Consulta l’elezione di domicilio (o la dichiarazione di residenza) compiuta dal creditore nell’atto di precetto è idonea a radicare 230 Pret. Monza 1 luglio 1995, in Giur. it., 1996, 30. In giurisprudenza Pret. Bologna 28 luglio 1996, in Giust. civ., 1996, 3021. In dottrina: VIGORITO, Le opposizioni esecutive, Milano, 2002, 457. 231 68 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE la competenza del giudice dell’opposizione a precetto solo quando nel luogo prescelto dal creditore istante si trovino effettivamente cose del debitore da sottoporre ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 26 c.p.c.; diversamente la competenza a conoscere dell’opposizione a precetto appartiene al giudice del luogo ove è stato notificato l’atto; nel giudizio così radicato sarà, perciò, onere del creditore che vi abbia interesse dimostrare che nel comune da lui prescelto attraverso l’elezione di domicilio sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore232. Alla pronuncia della Corte Costituzionale ha pienamente aderito la giurisprudenza di legittimità. In buona sostanza il debitore che intenda proporre un’opposizione esecutiva preventiva (indicata dall’art. 480 co. 3 c.p.c. come opposizione a precetto) dovrà introdurre la causa dinanzi all’ufficio giudiziario del luogo in cui il creditore abbia dichiarato la residenza o eletto il domicilio, sempreché in detto luogo si trovino beni del debitore da espropriare233. Diversamente, se l’atto di precetto non contiene la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio ovvero il debitore ritenga che la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio siano inesatte perché eseguite in un comune in cui non si trovano beni a lui appartenenti e suscettibili di essere aggrediti esecutivamente, l’opposizione esecutiva di tipo preventivo andrà proposta, in applicazione del foro territoriale sussidiario, dinanzi al giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato234. Il creditore in quest’ultima ipotesi conserva la possibilità di dimostrare che la sua dichiarazione o elezione erano state effettuate in un luogo ove l’esecuzione poteva iniziare235 e, nel caso in cui riesca a fornire prova in questo senso, il giudice dell’opposizione a precetto dovrà ritenersi competente. L’utilizzazione del foro di competenza sussidiario spetta, comunque, solo al debitore, ragion per cui se il debitore propone la causa di opposizione preventiva dinanzi al giudice del luogo della elezione di domicilio, il creditore non ha la facoltà di eccepire l’incompetenza territoriale della autorità giudiziaria adita perché la dichiarazione o elezione contenute nel precetto sono vincolanti nei suoi riguardi236. Resta da stabilire se il richiamo contenuto nell’art. 618 bis c.p.c. alle controversie individuali di lavoro sia limitato alle disposizioni che regolano la competenza per materia (oltreché al rito), ovvero si estenda anche alle regole circa la competenza per territorio. Dopo un contrasto, la giurisprudenza237 sembra aver risolto in 232 In tal senso Corte Cost. 12 giugno 1973, n. 84, in Foro It., 1973, I, p. 2023 con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 co. 3 c.p.c. in relazione all’art. 27 c.p.c. – sollevata con riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione – nella parte in cui, secondo il giudice remittente, la prima norma consentirebbe alla parte istante di dislocare il luogo della dichiarazione di residenza o della elezione di domicilio nel luogo che reputa più opportuno, anche se ivi non si trovano beni del debitore su cui promuovere l’esecuzione forzata. 233 Cfr. Cass. 26 maggio 1994, n. 5183; Cass. 18 ottobre 1993, n. 1027; Cass. 23 maggio 1986, n. 3463; Cass. 3 novembre 1982, n. 5782. 234 Cass. 29 maggio 2003, n. 8632; Cass. 13 luglio 2004, n. 12976. 235 Così Cass. 23 luglio 1997, n. 6880; Cass. 16 luglio 1999, n. 7505; Cass. 9 settembre 1998, n. 8923; Cass. 14 giugno 2002, n. 8588; Cass. 11 aprile 2008, n. 9670. 236 Cfr. Cass. 24 ottobre 1986, n. 6234. 237 Prima della pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite di cui alla nota seguente (Cass. sez. un. 18 gennaio 2005, n. 841) si erano pronunciate nel senso dell’applicabilità dei criteri di competenza territoriale dettati dall’art. 480 co. 3 c.p.c. Cass. 15 giugno 2001, n. 8110 e Cass. 15 giugno CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 69 modo definitivo la questione affermando che la competenza territoriale a decidere l’opposizione alla esecuzione preventiva nelle materie indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c. si determina applicando i criteri dettati dagli artt. 413 e 444 c.p.c., poiché l’art. 618 bis co. 1 c.p.c. rinvia alle norme previste per le controversie individuali di lavoro, ma, a differenza del successivo co. 2, non prevede una riserva a favore del giudice della esecuzione238. 3. La composizione monocratica del Tribunale Quando la competenza sull’opposizione alla esecuzione spetta al Tribunale questo decide in composizione monocratica. L’art. 88 l. 26 novembre 1990, n. 353, sostituendo l’art. 48 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, ha, infatti, attribuito la decisione della generalità delle controversie in materia civile al giudice istruttore ed al giudice della esecuzione in funzione di giudice unico, riservando la decisione collegiale ad alcune ipotesi specifiche tassativamente indicate tra le quali non è compresa l’opposizione alla esecuzione. 4. I tratti caratteristici del procedimento e le novità introdotte dalla riforma L’opposizione alla esecuzione può essere proposta dopo la notificazione del precetto e prima dell’inizio della esecuzione ovvero durante lo svolgimento di quest’ultima. Si è già detto che nei casi in cui venga introdotta prima dell’inizio del processo esecutivo, essa si dice preventiva, o pre-esecutiva, perché vale a contestare il “se” di un’esecuzione solamente preannunciata. L’opposizione alla esecuzione preventiva dà luogo ad un ordinario processo di cognizione e, di regola, si introduce con citazione anche perché, nonostante il suo scopo sia quello di accertare l’inesistenza del diritto della parte istante a procedere 2001, n. 8094. In senso opposto, e cioè a favore dell’applicabilità dei criteri di competenza dettati dall’art. 413 c.p.c. e non di quelli indicati dall’art. 480 co. 3 c.p.c. si era, invece, espressa Cass. 23 marzo 1991, n. 3147. 238 Così Cass. sez. un. 18 gennaio 2005, n. 841. Tale pronuncia ha precisato che la competenza territoriale a decidere un’opposizione all’esecuzione preventiva, preannunciata in base a titolo giudiziale emesso in relazione ad un rapporto di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c., spetta esclusivamente al giudice nella cui circoscrizione si trova, o si trovava al momento della cessazione del rapporto, il domicilio del lavoratore, come stabilito dall’art. 413 co. 4 c.p.c.. Infatti, in caso di rapporto di lavoro già cessato al momento dell’instaurazione dell’opposizione, deve escludersi la possibilità di ricorrere al domicilio del lavoratore al tempo della introduzione del giudizio per evitare a quest’ultimo la scelta del giudice competente. L’orientamento della Corte di Cassazione a sezioni unite è stato, poi, confermato da Cass. 29 settembre 2009, n. 20891 e da Cass. 11 febbraio 2010, n. 3230. In dottrina, da ultimo, CAMPAGNA, Le opposizioni in AA. VV., La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69 a cura di DEMARCHI, Bologna, 2009, 1243 ss. Nello stesso senso della Cassazione a sezioni unite in dottrina: LUISO, Il regime della competenza nelle opposizioni alla esecuzione ed agli atti esecutivi secondo l’art.. 618 bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 1975, 142 ss.; VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 270 e 271; ORIANI, Opposizione all’esecuzione, in Digesto civ., XIII, Torino, 1995, 500; 585 ss., spec. 629. 70 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE in executivis, manca la necessità di un collegamento funzionale con il processo esecutivo non ancora instaurato. La connessione con l’instauranda esecuzione rileva, infatti, solo in parte per i profili attinenti alla competenza per territorio, stante il richiamo operato dall’art. 615 co. 1 c.p.c. all’art. 480 co. 3 c.p.c.. In generale, si rileva che le recenti riforme del processo civile non hanno modificato la disciplina delle opposizioni alla esecuzione pre-esecutive per ciò che concerne il rito ad esse applicabile. Degna di nota è però l’attribuzione al giudice investito dell’opposizione prevista dall’art. 615 co. 1 c.p.c. del potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo esecutivo in modo da inibire l’inizio della esecuzione preannunciata con il precetto. 5. La forma dell’atto introduttivo Di regola l’opposizione alla esecuzione di tipo preventivo deve essere introdotta con atto di citazione. Essa si propone con ricorso solo quando la natura della controversia lo richieda in ragione del rito applicabile. La forma del ricorso deve, pertanto, essere impiegata innanzitutto in tutti i casi previsti dall’art. 618 bis c.p.c., e cioè quando l’opposizione a precetto riguardi titoli esecutivi emessi in relazione a controversie di lavoro, previdenza ed assistenza obbligatorie ovvero a controversie di locazione, comodato e affitto di azienda, trattandosi di giudizi che debbono essere trattati secondo il rito del lavoro. Va peraltro precisato che se l’opposizione viene proposta con ricorso e non con citazione, l’errore di forma non inficia l’atto introduttivo se questo, una volta notificato con il decreto del giudice recante la fissazione dell’udienza, abbia raggiunto lo scopo239. Deve, pertanto, ritenersi che il giudice, presa visione del ricorso, sia tenuto a provvedere alla fissazione della udienza di comparizione delle parti anche se rilevi che l’introduzione della causa doveva avvenire con citazione240. Non sembra vi siano ragioni ostative alla proponibilità dell’opposizione alla esecuzione preventiva nelle forme previste per il procedimento sommario non cautelare introdotto dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 e regolato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c.241. Il giudizio sommario costituisce un modello processuale alternativo alla cognizione avente applicazione generale. Con il rito sommario, cioè, può essere invocata la tutela giurisdizionale in qualunque forma (sono, infatti, ammissibili le domande di condanna, accertamento e costitutive), purché la controversia debba essere decisa dal Tribunale in composizione monocratica. Ciò significa che restano escluse le controversie che rientrano nella competenza del giudice di Pace ovvero 239 Cass. 1 agosto 1994, n. 7173. ARIETA – DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto processuale civile a cura di MONTESANO – ARIETA, Padova, 2007, 1730. 241 Cfr. BUCCI – SOLDI, Le nuove riforme del processo civile 2009, Padova, 2009, 155 e ss.. 240 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 71 del Tribunale in composizione collegiale. È invece controverso se tale procedimento sia applicabile anche alle cause che debbano essere trattate con il rito del lavoro. La decisione emanata con ordinanza all’esito del giudizio sommario è soggetta ad appello e la fase impugnatoria si svolge in deroga alle regole ordinarie poiché è possibile l’espletamento di una istruttoria piena (articolata con la produzione di documenti e la richiesta di nuovi mezzi di prova non richiesti in primo grado ), purché rilevante ai fini della decisione. In questo quadro può affermarsi che tale giudizio risulta compatibile con le opposizioni esecutive nella misura in cui esse danno luogo ad ordinari processi di cognizione aventi ad oggetto una domanda di accertamento. Non sembra, tuttavia, che il rito sommario possa essere esperito in relazione alle controversie destinate a concludersi con decisione inappellabile ma soggetta a ricorso straordinario per cassazione poiché l’appello, regolato dall’articolo 702 quater c.p.c., costituisce il punto di equilibrio del modello processuale alternativo in quanto consente, come esposto, la cognizione piena non realizzata in primo grado. Ed allora, muovendo da tali considerazioni, sembra potersi sostenere che il procedimento in esame sia compatibile con la opposizione alla esecuzione, atteso che la riforma del 2009, modificando l’articolo 616 c.p.c., ha ripristinato per quest’ultima il regime impugnatorio pregresso reintroducendo l’appello. Come meglio si vedrà in seguito, è quantomeno dubbia la proponibilità delle opposizioni agli atti esecutivi nelle forme di cui agli artt. 702 bis e ss. c.p.c.. 6. La notificazione dell’atto introduttivo Il legislatore si è occupato anche di regolare la modalità di notificazione dell’atto introduttivo dell’opposizione a precetto introducendo una sanzione di tipo procedurale per emendare il comportamento del creditore non collaborativo che ometta di completare il precetto con la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio. Ai sensi dell’art. 480 co. 3 c.p.c. ultimo periodo, quando la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio sono state omesse, le opposizioni si propongono dinanzi al giudice in cui il precetto è stato notificato e “le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso”. Dal contenuto di detta previsione, anche questa volta a contrario, si deduce che, di regola, l’atto introduttivo dell’opposizione esecutiva preventiva deve essere notificato al creditore nel luogo ove questi ha dichiarato la residenza o eletto il domicilio. Sempre dalla predetta disposizione emerge invece che nei casi in cui il creditore abbia omesso di procedere alla dichiarazione di residenza o elezione di domicilio, costringendo il debitore ad utilizzare il foro territoriale sussidiario ed a proporre la causa di opposizione dinanzi all’ufficio giudiziario del luogo ove il precetto è stato notificato, la notificazione dell’atto introduttivo dell’opposizione, in deroga ai principi generali, può essere eseguita presso la cancelleria del giudice. 72 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Il tenore letterale dell’art. 480 co. 3 c.p.c. per la parte concernente la notificazione è stato interpretato in senso ampio dalla giurisprudenza. La Corte di Cassazione, partendo dal presupposto che l’elezione di domicilio (o la dichiarazione di residenza) fatta nel comune in cui non si trovano beni del debitore da espropriare è senza effetto ai fini della competenza, ha affermato che il debitore, quando disattenda l’elezione di domicilio del creditore ed utilizzi il foro sussidiario introducendo l’opposizione a precetto dinanzi al giudice del luogo di notificazione del precetto, può notificare l’atto introduttivo del giudizio al creditore mediante deposito nella cancelleria del giudice242. Tale orientamento della giurisprudenza non è stato, però avallato dalla Corte Costituzionale243 la quale con una recente pronuncia interpretativa di rigetto, ha affermato che la notificazione in cancelleria dell’atto introduttivo dell’opposizione a precetto può essere compiuta nei soli casi in cui il creditore abbia omesso di dichiarare la residenza o l’elezione di domicilio, e ciò in quanto solo la totale inerzia del creditore giustifica l’applicazione della sanzione procedurale voluta dal legislatore e garantisce il diritto di difesa del creditore. È invero ragionevole esigere che il creditore vigili presso la cancelleria del giudice del luogo di notificazione del precetto per verificare se gli siano stati notificati atti introduttivi di cause di opposizione nella sola ipotesi in cui sia rimasto inerte, ma non anche quando abbia dichiarato la residenza o eletto il domicilio. In sostanza la notificazione dell’atto introduttivo dell’opposizione a precetto potrà essere compiuto presso la cancelleria del giudice solo se il creditore non abbia eletto il domicilio o dichiarato la residenza nel precetto e sempreché opti per l’utilizzazione di tale modalità notificatoria. Appare, infatti, di tutta evidenza che la notificazione in cancelleria costituisca una facoltà per il debitore – attore che ben potrebbe notificare l’atto introduttivo secondo le regola generali. La notificazione in cancelleria è invece preclusa in tutti gli altri casi e, dunque, non può essere eseguita quando il debitore disattenda la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio ritenendo che nel luogo indicato non vi siano beni da sottoporre ad esecuzione244. Ove il giudice dell’opposizione a precetto verifichi che al di fuori delle ipotesi anzidette la notificazione sia stata eseguita in cancelleria non potrà che dichiararne la nullità imponendone la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.. Per il disposto dell’art. 481 co. 2 c.p.c. la proposizione dell’opposizione preventiva all’esecuzione (così come avviene per l’opposizione agli atti esecutivi e per l’opposizione di terzo all’esecuzione) comporta la sospensione del termine di novanta giorni dalla notifica del precetto, previsto per l’inizio dell’azione esecutiva. 7. Le regole applicabili allo svolgimento del giudizio 242 Cfr. Cass. 27 luglio 2001, n. 12976; Cass. 29 maggio 2003, n. 8632; Cass. 13 luglio 2004, n. 12976. Nel senso espresso dalla giurisprudenza anche CASTORO, op. cit., 73. 243 Così la Corte Costituzionale con la sentenza 14 – 29 dicembre 2005 n. 480, in Riv. esec. forz., 2006, 2, p. 367, con nota adesiva di RAGANATI. 244 Cass. 28 maggio 2009, n. 12540. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 73 Il giudizio di opposizione alla esecuzione proposto in via preventiva è disciplinato dalle comuni regole sul processo di cognizione. Ciò significa che il convenuto deve costituirsi in giudizio ai sensi dell’art. 166 c.p.c. con comparsa di costituzione e risposta. La costituzione deve essere tempestiva per non incorrere nelle decadenze previste dall’art. 167 c.p.c. quando, ad esempio, intenda proporre domanda riconvenzionale che, nei termini sopra esposti245, deve ritenersi ammissibile. Al giudizio in esame si applica invece il rito del lavoro nei casi previsti dall’art. 618 bis c.p.c. e cioè quando l’opposizione sia relativa ad un precetto emesso in relazione a controversie di lavoro assistenza e previdenza ovvero di rilascio conseguente a locazione, comodato o affitto di azienda. Se la controversia è relativa ad uno dei rapporti di cui all’art. 1 d.lgs. n. 5 del 2003 l’opposizione a precetto si propone con citazione di fronte al giudice competente ai sensi dell’art. 615 co. 1 c.p.c., ma il procedimento si svolge secondo il rito speciale previsto per le controversie commerciali, finanziarie o bancarie246. Ove la opposizione venga proposta nelle forme del procedimento sommario non cautelare, essa è regolata dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c.. Infine occorre rilevare che l’art. 5 co. 4 lett. d) del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) dello stesso art. 5 possa essere esperita nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata247. Infine occorre rilevare che l’art. 5 co. 4 lett. d) del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) dello stesso art. 5 possa essere esperita nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata tra i quali rientra l’opposizione preventiva all’esecuzione248. 8. La procura alle liti Poiché l’opposizione alla esecuzione pre-esecutiva costituisce un ordinario giudizio di cognizione sia l’atto introduttivo redatto dall’opponente che la comparsa di costituzione e risposta dell’opposto debbono essere sottoscritti a pena di inesistenza da un procuratore legalmente esercente. Secondo la giurisprudenza la procura rilasciata al difensore ed apposta sull’atto di precetto con cui viene conferito il potere di compiere tutte le attività necessarie per far conseguire alla parte rappresentata la soddisfazione del credito abi245 Cfr. cap. 2, par. 13.2. MENCHINI – MOTTO, Le opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, 175. 247 Cfr. cap. 1, par. 5. 248 Cfr. cap. 1, par. 5. 246 74 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE lita lo stesso difensore a compiere gli atti del procedimento esecutivo nonché a difendere la parte negli eventuali giudizi di opposizione sia per il primo grado che per l’appello249. La stessa regola vale per il debitore che abbia conferito al difensore una procura a rappresentarlo nel processo esecutivo. Tale procura, in difetto di esplicita limitazione, vale a rappresentarlo anche negli eventuali giudizi di opposizione250. La procura sia nella prima ipotesi che nella seconda deve essere conferita per lo specifico procedimento di cui trattasi per cui non rileva la procura a margine di un precetto diverso da quelli cui si riferisce l’opposizione ovvero la procura rilasciata dal debitore per un’esecuzione diversa da quella cui concerne l’opposizione. Giova, ancora, menzionare che l’articolo 83 c.p.c., a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma del 2009, consente al nuovo difensore dell’attore opponente o del convenuto opposto di costituirsi in giudizio depositando una comparsa di costituzione recante, a margine o in calce, la procura speciale alle liti. In tal caso il legislatore si è limitato a “normativizzare” una prassi ormai consolidata. È, infatti, noto che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo ammesso che la procura possa essere rilasciata su un atto diverso da quelli tassativamente indicati dall’articolo 83 c.p.c. quando si tratti di nominare un nuovo difensore nel corso del giudizio251. 9. Il rapporto tra i giudizi di opposizione alla esecuzione preventiva o successiva La giurisprudenza non ha seguito un orientamento univoco sulla questione relativa ai rapporti tra la causa di opposizione al precetto e la causa di opposizione al pignoramento promosso sulla base dello stesso precetto. Con alcune pronunce, anche recenti252, ha affermato che i due giudizi sopraindicati sono identici per coincidenza di petitum e la causa petendi 253 e che tra essi è dunque configurabile la litispendenza, ma non sono mancati arresti in senso contrario254. Anche accedendo alla tesi favorevole alla configurabilità di una litispendenza tra le cause innanzi indicate, essa non potrebbe produrre gli effetti previsti dall’art. 39 c.p.c. quando i giudizi pendano in gradi diversi. Onde evitare il pericolo di un contrasto tra giudicati nella ipotesi da ultimo esaminata occorre, pertanto, fare applicazione dell’art. 295 c.p.c. e cioè sospendere l’opposizione successivamente introdotta in attesa della definizione con sentenza della prima causa255. 249 Cass. 2 marzo 2001, n. 3089. Cass. 15 dicembre 1980, n. 6497. 251 Cass. 2 giugno 1999, n. 5393. 252 Nel senso della configurabilità di rapporto di litispendenza di recente Cass. 20 luglio 2010, n. 17037. 253 Cass. 24 ottobre 1986, n. 6235; Cass. 18 gennaio 1988, n. 335; Cass. 16 giugno 2000, n. 8214. 254 Negano la litispendenza tra i due giudizi citati; Cass. 4 marzo 1999, n. 1831; Cass. 18 giugno 2001, n. 8222. Va evidenziato come risulti evidente che, se si nega la litispendenza, il rapporto tra i due giudizi non può che essere di continenza poiché il petitum della causa di opposizione alla esecuzione successiva è più ampio di quello dell’opposizione alla esecuzione preventiva. 255 Cass. 16 giugno 2000, n. 8214. 250 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 75 10. La sospensione feriale dei termini Come si ricava dalla espressa previsione dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario richiamato dall’art. 3 l. 7 ottobre 1969, n. 742, la sospensione feriale dei termini processuali non si applica ai giudizi di opposizione alla esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi preventivi e successivi nonché all’opposizione di terzo alla esecuzione256. Siffatta esclusione non è prevista nell’interesse del debitore esecutato, ma è finalizzata a garantire una sollecita definizione delle cause relative alle opposizioni esecutive anche ove l’esecuzione sia stata conclusa257 per cui opera anche quando sia cessata la materia del contendere e la causa di opposizione debba proseguire ai soli fini del regolamento delle spese processuali258. A tale proposito va ancora segnalato che, secondo la giurisprudenza, la sospensione feriale dei termini opera anche quando il creditore abbia proposto domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere una pronuncia di condanna che tenga luogo del titolo esecutivo, la cui esistenza sia stata contestata dal debitore, sempreché la domanda riconvenzionale non sia stata neppure esaminata a causa del rigetto dell’opposizione259. In via interpretativa si è ritenuto che la regola che sancisce l’inapplicabilità della sospensione dei termini processuali si estenda anche alle controversie distributive260, al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo261 nonché al giudizio di divisione endoesecutivo, promosso ai sensi dell’art. 601 c.p.c.262. 256 Cass. 19 giungo 1996, n. 5674; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12768; Cass. 26 aprile 2000, n. 5345; Cass. 25 giugno 2003, n. 10132; Cass. 12 luglio 2011, n. 15342. Per la specifica affermazione secondo cui non sono soggette a sospensione feriale dei termini anche le opposizioni al precetto Cass. 19 marzo 2010, n. 6672; Cass. 27 aprile 2010, n. 9998; Cass. 6 maggio 2010, n. 10972; Cass. 23 settembre 2010, n. 20101; Cass. 12 luglio 2011, n. 15345. Tuttavia, in dottrina non mancano opinioni di segno contrario. CAPPONI, Opposizione a precetto e sospensione feriale dei termini, in Riv. esec. forz., 2010, 422 ss. il sostiene che non vi sarebbe motivo per ritenere sottratti alla sospensione feriale dei termini tanto le opposizioni agli atti esecutivi (stante la previsione letterale dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario che fa riferimento alle opposizioni all’esecuzione) quanto le opposizioni a precetto poiché queste ultime, non incidendo sul processo esecutivo, sarebbero estranee alla ratio del citato art. 92. 257 Cass. 20 marzo 2006, n. 6103; Cass. 15 marzo 2006, n. 5684. 258 Cass. 25 giugno 2003, n. 10132; Cass. 23 gennaio 1998, n. 658. 259 Cass. 4 ottobre 2010, n. 20595; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688. 260 Cass. 24 gennaio 2006, n. 1331 nonché, sempre con riferimento al testo dell’art. 512 previgente (anteriore alla novella del 2005 – 2006) Cass. sez. un.. 6 maggio 2010, n. 10617. Si osserva, comunque, che la questione oggi è priva di rilievo in quanto le controversia distributive confluiscono nella fase contenziosa solo quando l’ordinanza del giudice della esecuzione che le risolva sia impugnata ai sensi dell’art. 617 c.p.c.. La sospensione feriale è, perciò, inapplicabile in virtù della norma che la esclude per le opposizioni agli atti esecutivi. 261 Cass. 6 giugno 2008, n. 15010;Cass. ord. 10 marzo 2010, n. 5778; Cass. ord. 5 marzo 2010, n. 5451. 262 Cass. 28 gennaio 2010, n. 1801 che, facendo leva sul principio della eadem ratio, approda alla conclusione indicata, in virtù di interpretazione estensiva e non analogica), sostenendo che anche tali divisioni provocano una stasi del processo esecutivo. 76 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Il principio secondo cui le opposizioni esecutive non sono sottoposte a sospensione durante il periodo feriale deve intendersi riferito all’intero corso del procedimento, sicché esso ha indiscutibilmente riferimento anche ai tempi per proporre ricorso per cassazione263. 11. La decisione e l’impugnazione della sentenza Si è già esaminato il possibile contenuto della sentenza emessa all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione che consiste nell’accertamento dell’esistenza o inesistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente264. L’art. 615 co. 1 c.p.c., che regola l’opposizione alla esecuzione preventiva, nulla dispone circa il regime di impugnabilità della decisione. A seguito della riforma sul processo civile del 2006, l’art. 616 c.p.c. stabiliva che la sentenza con cui veniva definito il giudizio di opposizione alla esecuzione successiva era inimpugnabile. In detto quadro si erano prospettate due soluzioni. Per un verso, valorizzando il tenore letterale delle norme, si era ritenuto che l’unica interpretazione percorribile fosse quella secondo cui la sentenza che definiva un giudizio di opposizione alla esecuzione preventiva (non essendo regolata dall’art. 616 c.p.c., che si riferisce alla sola opposizione all’esecuzione successiva) dovesse ritenersi appellabile e soggetta, pertanto, ad un doppio grado di impugnazione265. Per altro verso si era sostenuto che, accedendo ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 615 co. 1 c.p.c., sarebbe stato irragionevole differenziare il regime impugnatorio di una sentenza in base alla sola circostanza che l’azione fosse stata proposta quando il processo esecutivo era già pendente. In tale ottica si era, pertanto, concluso per la inimpugnabilità anche della decisione resa sull’opposizione alla esecuzione preventiva266. 263 Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041. Cfr. cap. 2, par. 15. 265 PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, in Foro it., 2006, V, 213 ss.; RECCHIONI, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità “attenuata” ed estinzione del “pignoramento”, in Riv. dir. proc., 2006, 659; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2006, 177; (BUCCI) – SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2007, 405; BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2006, 672; SALETTI, Simmetrie ed asimmetrie nel sistema delle opposizioni esecutive, in Riv. dir. proc., 2007, 888 ss.. 266 ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24.2.2006), n. 52, in Riv. esec. forz., 2006, 492; BALENA – (BOVE), Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 287; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, Padova, 2006, I, 414; FINOCCHIARO, Camera di consiglio per le opposizioni, in Guida dir., 2006, fasc. 10, 38 ss.; PILLONI, Sull’“inimpugnabilità” della sentenza che conclude l’incidente oppositivo, in Riv. eserc. forz., 2006, 866; MENCHINI – MOTTO, op. cit., 184; ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 258 ss.; PUNZI, Il processo civile (sistema e problematiche), IV, Torino, 2008, 240. 264 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 77 L’adesione ad una o all’altra tesi aveva provocato notevoli dubbi anche in punto di regime transitorio267. La questione oggi è definitivamente risolta poiché la legge 18 giugno 2009 n. 69 ha novellato l’art. 616 c.p.c. eliminando l’inciso che sanciva la inimpugnabilità delle sentenze pronunciate in relazione alla opposizione di cui all’art. 615 c.p.c.. Nell’attuale panorama normativo, pertanto, i giudizi di opposizione alla esecuzione preventiva o successiva si concludono con sentenza appellabile e soggetta ad un doppio grado di impugnazione. 267 Cfr. cap. 2, par. 15. 78 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE CAPITOLO QUINTO L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE SOMMARIO: 1. Il regime normativo pregresso e le posizioni interpretative. - 2. Le novità introdotte dalla riforma del 2006. - 3. Le opzioni interpretative circa i rapporti tra le due fasi. - 4. Lo svolgimento del procedimento dinanzi al giudice dell’esecuzione: 4.1. I caratteri del procedimento e la sua natura. 4.2. La competenza funzionale del giudice dell’esecuzione. 4.3. La forma dell’atto introduttivo e la sua notificazione. 4.4. Il rito applicabile e l’iscrizione della causa a ruolo. 4.5. I possibili esiti della udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione. 4.6. Il provvedimento del giudice dell’esecuzione ed il suo duplice contenuto inerente alla sospensione e la competenza. – 4.7. L’omessa fissazione del termine per l’introduzione della causa di merito. - 5. L’introduzione del giudizio di merito: 5.1. Le regole sulla competenza 5.2. La forma dell’atto introduttivo, la sua notificazione, l’abbreviazione dei termini a comparire, l’iscrizione a ruolo, il fascicolo d’ufficio. 5.3. Le parti legittimate all’introduzione della causa di merito. 5.4. La posizione processuale delle parti nella causa di merito. 5.5. L’ampliamento dell’oggetto dell’opposizione a cura dell’opponente o dell’opposto. 5.6. Gli effetti processuali e sostanziali della domanda di opposizione all’esecuzione. 5.7. Il mancato rispetto del termine perentorio per l’introduzione della causa di merito. - 6. Il rito applicabile. - 7. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva o tra plurime opposizioni all’esecuzione successiva. 8. La sospensione feriale dei termini. 9. La decisione e l’impugnazione della sentenza. 10. Il regime transitorio. 1. Il regime normativo pregresso e le posizioni interpretative Prima delle recenti riforme del processo civile il codice di rito prevedeva che l’opposizione all’esecuzione successiva dovesse essere introdotta con ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione il quale, secondo quanto previsto dall’art. 616 c.p.c., assunti i provvedimenti sulla sospensione, aveva due alternative: procedeva alla istruzione se si riteneva competente alla decisione della causa di merito, ovvero in alternativa, ritenuta la propria incompetenza, rimetteva le parti dinanzi ad altro ufficio giudiziario (competente per valore), concedendo termine perentorio per la riassunzione del giudizio. Completava la disciplina l’art. 185 disp. att. c.p.c. secondo cui “all’udienza di comparizione dinanzi al giudice dell’esecuzione fissata a norma degli articoli 616, 618 e 619 del codice si applica la disposizione dell’art. 183 del codice”. L’interpretazione delle norme testè richiamate si è però rivelata alquanto difficile soprattutto a seguito della novella di cui alla legge n. 353 del 1990 che ha modificato l’art. 183 c.p.c. ed introdotto l’art. 180 c.p.c.. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 79 Di qui l’elaborazione di due diverse tesi interpretative268. Secondo un primo orientamento il procedimento di opposizione all’esecuzione “successiva” aveva una struttura unitaria o per meglio dire monofasica poiché iniziava con la proposizione del ricorso che andava integrato, quanto al contenuto, ai sensi dell’art. 163 c.p.c., notificato alla controparte nel rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c. ed iscritto a ruolo269. Il procedimento si articolava, quindi, in un’udienza di prima comparizione, disciplinata dall’art. 180 c.p.c. nel corso della quale il giudice assumeva i provvedimenti sulla sospensione e valutava la propria competenza; proseguiva, quindi, con la fissazione della udienza di trattazione prevista dall’art. 183 c.p.c. ove il giudice dell’esecuzione si fosse ritenuto competente. Tale posizione aveva ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale270. Secondo una diversa posizione interpretativa l’opposizione all’esecuzione “successiva” era caratterizzata da una struttura bifasica. Si riteneva che il ricorso introduttivo (a prescindere dalla integrazione del suo contenuto, ritenuta non necessaria) dovesse essere notificato alla controparte anche senza il rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c.; detto ricorso, invero, introduceva una fase preliminare rispetto al giudizio di merito, interna alla procedura esecutiva, riservata al giudice dell’esecuzione e finalizzata esclusivamente alla assunzione dei provvedimenti sulla sospensione e sulla competenza. La seconda fase, nettamente distinta dalla prima, iniziava nel termine concesso dal giudice dell’esecuzione con l’integrazione degli atti e l’iscrizione a ruolo se la competenza apparteneva al suo stesso ufficio giudiziario o con la riassunzione della causa quando competente a decidere fosse un ufficio giudiziario diverso da quello investito del processo esecutivo. Essa si svolgeva per intero secondo un ordinario giudizio di cognizione anche se retto dall’originario ricorso introduttivo, eventualmente integrato quanto al contenuto secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione271. L’orientamento favorevole alla concezione bifasica era stato quello preferito dalla giurisprudenza272. 2. Le novità introdotte dalla riforma del 2006 Il legislatore della riforma del 2006 ha inteso risolvere il contrasto interpretativo sulla disciplina dell’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione e sui rapporti tra 268 Per un’illustrazione delle diverse opzioni interpretative, VIGORITO, Le opposizioni esecutive, Milano, 2002, 22 ss.. 269 La necessità dell’iscrizione a ruolo era stata esclusa dalla giurisprudenza di Cassazione: Cass. 19 dicembre 19898, n. 5684; la giurisprudenza di merito riteneva necessaria, sia pur con modalità diverse, l’iscrizione della causa a ruolo; per una illustrazione delle prassi, VIGORITO, op. cit., 22 ss. 270 Cfr. Corte Cost. 5 novembre 1996, n. 388 che, nel rigettare l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 185 disp. att. c.p.c., aveva accolto questa interpretazione ed aveva affermato che il difetto di coordinamento tra la norma impugnata e gli artt. 180 e 183 c.p.c. potesse essere superato con la fissazione di un'udienza di comparizione nel rispetto dei termini stabiliti nel processo di cognizione. Solo nel caso in cui ciò si fosse rivelato impossibile, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto limitarsi a decidere sulla istanza di sospensione rinviando alle successive udienze per gli adempimenti previsti dagli artt. 180 e 183 c.p.c.. 271 In tal senso MONTANARO Opposizioni esecutive proposte nel corso dell’esecuzione e disciplina del processo ordinario di cognizione in Riv. esec. forz., 2004, 497 ss.. 272 In questo senso cfr. Cass. sez. un. 21 luglio 1998, n. 7128. 80 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE le due fasi del giudizio di opposizione riformulando tanto l’art. 185 disp. att. c.p.c. che gli artt. 616 e 618 c.p.c., ma non sembra aver centrato in pieno l’obiettivo poiché a tutt’oggi l’interpretazione delle norme sull’introduzione delle opposizioni all’esecuzione successiva non è univoca. L’esame delle disposizioni novellate consente di indicare con brevi cenni i principi che regolano la materia in esame: − la fase introduttiva del giudizio è restata immutata; l’opponente cioè deve depositare il ricorso in opposizione nella cancelleria del giudice dell’esecuzione che, con decreto in calce al ricorso, fissa l’udienza di comparizione delle parti e stabilisce il termine perentorio in cui deve farsi luogo alla notificazione; − ai sensi dell’art. 185 disp. att. c.p.c., l’udienza di comparizione fissata dal giudice dell’esecuzione a seguito dell’introduzione di un’opposizione esecutiva successiva (e, dunque, la sola fase preliminare) si svolge secondo le norme sul procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.; − secondo la previsione dell’art. 616 c.p.c., terminata la fase prevista per l’emissione dei provvedimenti sulla sospensione e per le determinazioni sulla competenza, il giudice dell’esecuzione fissa un termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito, da proporsi secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, ove ritenga che competente sia lo stesso ufficio giudiziario cui appartiene; in alternativa fissa un termine perentorio per la riassunzione della causa dinanzi all’ufficio giudiziario competente; − visto il riferimento esplicito al concetto di giudizio di merito può ritenersi che la causa introdotta nei termini e modi suindicati debba svolgersi secondo le regole del processo di cognizione; − la sentenza che definisce la causa di merito, per espressa previsione dell’art. 616 c.p.c., è non impugnabile. 3. Le opzioni interpretative circa i rapporti tra le due fasi Alla luce di quanto sin qui delineato sui tratti caratterizzanti della riforma sembra potersi affermare che il legislatore del 2006 abbia inteso delineare il procedimento secondo la concezione bifasica. La tecnica normativa utilizzata non si è rivelata, però, impeccabile come dimostra il fatto che, nonostante la novella, sono proseguiti i contrasti interpretativi273. Tra i primi commentatori vi è chi ha sostenuto che la riforma ha introdotto una vera e propria “rivoluzione” in tema di giudizi di opposizione che oggi dovrebbero svolgersi tutti in camera di consiglio e andrebbero definiti con sentenza non impugnabile274. 273 In questo senso ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 245 il quale, riferendosi alla legge n. 52 del 2006, afferma che “si tratta di una legge che, attraverso disposizioni eccessivamente sintetiche, malamente formulate e male coordinate, introduce importantissimi, e sovente discutibili, mutamenti del tessuto normativo, senza che un minimo dibattito abbia preceduto la sua approvazione”. 274 In questo senso CAPPONI, L’intervento dei creditori dopo le tre riforme della XIV legislatura, in Riv. esec. forz., 2006, 22. Per completezza, si rammenta che il “nuovo” regime di inimpugnabilità del- CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 81 Altri interpreti hanno affermato che l’opposizione esecutiva successiva, anche a seguito delle modifiche normative citate, conserverebbe una struttura monofasica. Il giudizio di opposizione sarebbe cioè introdotto e sorretto durante tutto il suo svolgimento dal ricorso introduttivo e si articolerebbe in due fasi della quali, la prima, celebrata dinanzi al giudice dell’esecuzione, sarebbe caratterizzata da una cognizione sommaria, mentre la seconda, celebrata dal giudice dell’opposizione, si svolgerebbe “secondo il modulo della cognizione piena ed esauriente”275. Tale ricostruzione troverebbe il suo fondamento in alcuni dati normativi, primo fra tutti il fatto che, a norma dell’art. 615 co. 2 c.p.c., la causa di opposizione si dice “proposta” con il ricorso introduttivo. Ma a medesime conclusioni farebbe propendere la stessa formulazione dell’art. 616 c.p.c. nella parte in cui, illustrando le forme di introduzione della causa di merito, utilizza il concetto di “riassunzione” con riguardo all’ipotesi della incompetenza dell’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice dell’esecuzione, come ad evidenziare la necessità di proseguire un giudizio già pendente276. Conforterebbe, inoltre, per la tesi della struttura monofasica l’art. 184 disp. att. c.p.c.277 a tenore del quale il ricorso introduttivo recante la richiesta di sospensione deve contenere i requisiti di cui all’art. 163 n. 4 e 5 c.p.c.278. Come si è già anticipato, è però preferibile ritenere che la riforma abbia inteso sancire normativamente la struttura bifasica delle opposizioni esecutive successive279 elaborata in via interpretativa nel vigore del pregresso sistema normativo. le sentenze rese in relazione alle opposizioni esecutive ha avuto vita breve poiché, a seguito della riforma del 2009, è stato ripristinato il regime ordinario di impugnabilità tanto per le sentenze emesse ai sensi dell’art. 615 c.p.c. che per quelle emesse ai sensi dell’art. 619 c.p.c.. 275 Per l’esame delle posizioni assunte in questo senso dalla dottrina cfr. anche ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24.2.2006, n. 52), in Riv. esec. forz., 2006, 494; PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, in Foro it., 2006, V, 212, spec. 213 – 214; TOTA, Commento agli artt. 616 – 185 disp. att., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di BRIGUGLIO – CAPPONI, Padova, 2007, 574 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2009, IV, 196, nota 27; BOVE – (BALENA), Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 289 ss.; VERDE, La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile (Appendice di aggiornamento a VERDE – CAPPONI, Profili del processo civile, III, Processo di esecuzione e procedimenti speciali), Napoli, 2006, 38; LUISO – SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 197; CANAVESE, Commento all’art. 616 c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile, a cura di CHIARLONI, I, Bologna, 2007, 1089 ss.; MENCHINI – MOTTO, Le opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in AA. VV. Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, 175 ss.; CAPPONI, Il processo esecutivo, Bologna, 2008, 181; CONSOLO, Spiegazioni di diritto procssuale civile. I. Le tutele: di merito, sommarie d esecutive, Padova, 2008, 422; CAMPAGNA, Le opposizioni in AA. VV., La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69 a cura di DEMARCHI, Bologna, 2009, 1221 ss. 276 MENCHINI – MOTTO, op. cit., 175 - 178. 277 In questo senso TOTA, op. cit., 573 nota 6. 278 Tale norma per la verità ha mantenuto la sua formulazione originaria poiché non è stata modificata dalle recenti riforme. Da ciò taluni interpreti hanno tratto argomento per affermare che il ricorso presentato al giudice dell’esecuzione determina già la pendenza dell’opposizione esecutiva successiva. 279 In questo senso BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2006, 674 – 675; (BUCCI)- SOLDI, Le recenti riforme del processo civile, cit., 402 ss.; RECCHIONI, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c. fra strumentalità “attenuata” ed estinzione del “pignoramento”, in Riv. dir. proc., 2006, 656 ss.; AMADEI, Le opposizioni e la sospensione del processo esecutivo, in AA. VV., Il nuovo processo di esecuzione, a cura di CECCHELLA, Milano, 2006, 193; BRUSCHETTA, La riforma del processo civile, 2006, 40 ss.; 82 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Di fatto il legislatore ha operato una netta cesura tra la prima fase del procedimento dell’opposizione esecutiva (che, introdotto con il ricorso depositato dall’opponente, si svolge dinanzi al giudice dell’esecuzione e si conclude con i provvedimenti sulla sospensione e sulla competenza, e la seconda fase che dà luogo al processo di cognizione vero e proprio, la cui introduzione è peraltro eventuale e rimessa alla iniziativa successiva degli interessati. Conforta tali conclusioni il fatto che il procedimento incidentale celebrato dinanzi al giudice dell’esecuzione è regolato dalle norme sul procedimento camerale e non da quelle sul processo di cognizione. Ma una netta cesura tra le due fasi in cui si articola l’opposizione emerge soprattutto dall’art. 616 c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice dell’esecuzione, se ritiene competente l’ufficio giudiziario cui appartiene, fissa un termine perentorio per la “introduzione della causa di merito”, “previa iscrizione a ruolo”. L’utilizzazione di tali locuzioni induce a ritenere che l’intenzione del legislatore sia stata quella di collocare ante causam la fase incidentale introdotta con ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione. Certo, l’art. 616 c.p.c. crea non pochi equivoci quando stabilisce che, nel caso in cui la competenza a decidere della causa di opposizione appartenga ad ufficio giudiziario diverso da quello dinanzi al quale pende il processo esecutivo, debba provvedersi non alla “introduzione”, ma alla “riassunzione” della causa. Invero, il concetto di “riassunzione” presuppone la pregressa pendenza di un giudizio ed appare in sé inconciliabile con quello di “introduzione”. Tuttavia, in un contesto siffatto ove il tenore letterale delle disposizioni non soccorre poiché non consente interpretazioni univoche, sembra potersi sostenere che il riferimento ad un’ipotesi di riassunzione sia più la conseguenza di un refuso (derivante dalla inesatta riformulazione dell’art. 616 c.p.c. che nella stesura antecedente alla riforma prevedeva la riassunzione nel caso di incompetenza del giudice dell’esecuzione) che una scelta consapevole. Diversamente opinando, e cioè attribuendo rilievo centrale e dirimente all’utilizzo del termine “riassunzione”, si finirebbe per negare qualsiasi significato alla modificazione dell’art. 616 prima parte c.p.c.. Né sembra condivisibile la tesi secondo cui il legislatore abbia prescritto l’introduzione della causa di merito dinanzi all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell’esecuzione al solo scopo di sottolineare la necessità che il giudizio fosse deciso con sentenza da un giudice persona fisica diverso da quello investito del processo esecutivo280, poiché, se questa fosse stata la finalità, non era necessario far riferimento alla causa di merito e soprattutto prescrivere una nuova iscrizione a ruolo di un processo di cognizione già pendente. Ciò non toglie che alla luce della indicazione dell’art. 616 c.p.c. possa prevedersi una riorganizzazione degli uffici giudiziari che preveda l’assegnazione della causa di opposizione nella fase di merito ad un giudice diverso da quello che dirige l’esecuzione; questa resta comunque un’indicazione non cogente, ma di mera opBATTAGLIAMADEI, Sub artt. 615 – 619 c.p.c. e 185 disp. att., in AA. VV., La riforma del processo civile,1 a cura di CIPRIANI - MONTELEONE, Padova, 2007, 425. 280 TOTA, op. cit., 572. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 83 portunità281, soluzione questa adottata, anche se limitatamente alle opposizioni agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. con l’introduzione dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c.282. Per completezza, giova evidenziare che in tempi recenti vi è chi283, condividendo nelle premesse la tesi favorevole alla struttura monofasica delle opposizioni esecutive, e muovendo, quindi, dalla premessa secondo cui tali opposizioni debbono ritenersi introdotte con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, ha, tuttavia, sostenuto che la fase svolgentesi dinanzi al giudice dell’esecuzione e finalizzata alla decisione sull’istanza di sospensiva dovrebbe essere collocata extra causam e, dunque, non in corso di causa (come ritengono i sostenitori della tesi monofasica) né ante causam (come affermano i sostenitori della tesi bifasica). Più precisamente, il ricorso presentato ai sensi dell’art. 615 co. 2 c.p.c. sancirebbe l’abbinamento di due distinte istanze giudiziali delle quali, la prima diretta al giudice dell’esecuzione e recante la richiesta “immediata ed incondizionata” dell’inibitoria, e la seconda recante la vera domanda contenziosa formulata dall’opponente in via “condizionale”. Più precisamente, secondo tale opinione, la domanda contenziosa diventerebbe attuale solo allorché l’opponente o le altre parti legittimate, non prestando acquiescenza al provvedimento reso sulla istanza di sospensione, dovessero decidere di introdurre o riassumere la causa di merito. Pertanto, in questa prospettiva, la sola introduzione o riassunzione della causa determinerebbe la pendenza del giudizio, anche se con effetti retroattivi alla proposizione del primo ricorso (introduttivo). 4. Lo svolgimento del procedimento dinanzi al giudice dell’esecuzione 4.1. I caratteri del procedimento e la sua natura Da quanto sopra esposto può allora affermarsi che le opposizioni esecutive successive si svolgono in due fasi. Il ricorso depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 co. 2 c.p.c. introduce la prima fase che si articola in un procedimento incidentale interno al processo esecutivo regolato, per espressa previsione dell’art. 185 disp. att. c.p.c. dagli artt. 737 ss. c.p.c. sul rito camerale (e non dalle norme del processo di cognizione), e destinato a concludersi con un’ordinanza dal duplice contenuto, che reca i provvedimenti sulla istanza di sospensione e nel contempo statuisce sulla competenza a conoscere della causa di merito. 281 A tale proposito si rinvia ancora una volta a TOTA, op. cit., 573, nota 4, in cui chiarisce come il rischio di un non imparziale esercizio dell’attività giurisdizionale da parte del giudice dell’esecuzione che abbia assunto i provvedimenti sulla sospensione se può ipotizzarsi per le opposizioni ex art. 617 non può configurarsi per le opposizioni di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c.. In tal senso anche ROMANO, op. cit., 493, nota 17. 282 Cfr. in questo capitolo, par. 5.2. 283 MONTANARI, Il cantiere sempre aperto delle opposizioni esecutive, in Riv. esec. forz., 2010, 411. 84 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Chiusa la prima fase non è ineludibile l’avvio di quella successiva che può, ma non deve, essere introdotta dai soggetti interessati284. Ove instaurata, la seconda fase dà inizio alla causa di merito vera e propria, si svolge secondo le norme del codice di procedura civile che regolano il processo di cognizione, e si conclude con sentenza. 4.2. La competenza funzionale del giudice dell’esecuzione Dal combinato disposto degli artt. 615 co. 2 c.p.c. e 616 c.p.c. si desume con chiarezza che, anche a seguito delle recenti riforme del processo civile, competente a conoscere delle opposizioni esecutive successive per ciò che concerne la prima fase a carattere endoprocedimentale è il solo giudice investito dell’esecuzione. La competenza del giudice dell’esecuzione per ciò che concerne l’esame della istanza di sospensione e l’assunzione dei provvedimenti sulla competenza è di tipo funzionale e perciò non derogabile. 4.3. La forma dell’atto introduttivo e la sua notificazione La prima fase in cui si articola lo svolgimento delle opposizioni esecutive successive, qualunque sia il contenuto delle contestazioni, deve essere introdotta con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione. Circa il contenuto, l’art. 184 disp. att. c.p.c. dispone che il ricorso, oltre alle indicazioni di cui all’art. 125 c.p.c., deve recare quelle previste dall’art. 163 n. 3 e 4 c.p.c. Ciò sta a dire che nel ricorso occorre fare menzione dell’ufficio giudiziario, delle parti e dell’oggetto del processo, nonché evidenziare la causa petendi ed indicare mezzi di prova anche di tipo documentale. Il ricorso, redatto con le modalità suindicate, va sottoscritto da un difensore munito di procura alle liti ovvero dalla parte, se questa è autorizzata a stare in giudizio personalmente. Circa la forma, si è dibattuto se il ricorso, oltre che scritto, possa essere anche presentato in udienza mediante comparsa di costituzione o dichiarazione orale. Parte della dottrina si è mostrata contraria alla ipotesi della formulazione orale285, ma la giurisprudenza286 e la dottrina più recente287 hanno ritenuto ammissibile anche il ricorso proposto oralmente in udienza. 284 Certo il fatto che si decida di introdurre o meno la causa di merito, che come si è detto è facoltativa, non è sempre senza conseguenze poiché il legislatore ha previsto che il provvedimento di sospensione della procedura esecutiva assunto ai sensi dell’art. 624 c.p.c. può “stabilizzarsi”. 285 ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 346; CASTORO, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 791. 286 Cfr. Cass. 3 gennaio 1967, n. 1; Cass. 7 luglio 1973, n. 1955; Cass. 10 febbraio 1972, n. 352; Cass. 1 marzo 1994, n. 2019; Cass. sez. un. 15 ottobre 1998, n. 10187. Nello stesso senso Trib. Bari 27 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 712. 287 MANDRIOLI, voce Opposizione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 448. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 85 Fatta questa premessa occorre stabilire se gli approdi interpretativi del passato possano ritenersi validi nell’attuale panorama normativo anche se le modifiche introdotte dalle recenti riforme hanno ridefinito le modalità di introduzione delle opposizioni esecutive successive e delineato il ricorso rivolto al giudice dell’esecuzione, non come l’atto introduttivo di un giudizio di merito, ma come un’istanza finalizzata a provocare la decisione sulla sospensione. Degno di nota ai fini della problematica in esame è d’altra parte anche il fatto che il legislatore del 2006 abbia preso una posizione netta nel senso di riconoscere natura propriamente cautelare all’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 624 c.p.c.288. Non vi sono ragioni per escludere che anche oggi il ricorso possa rivestire la forma orale, purché esso rechi un’indicazione delle ragioni della domanda tale da consentire al giudice di decidere sulla istanza di sospensione compiendo una valutazione prognostica sulla presumibile fondatezza della domanda di merito. Tale conclusione sembra perfettamente coerente con la costruzione del ricorso come istanza al giudice e non può essere sconfessata dal fatto che il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 624 c.p.c. ha carattere cautelare poiché, come meglio si vedrà in seguito, nella materia in esame non trova integrale applicazione il procedimento cautelare uniforme e la forma orale può reputarsi comunque idonea al raggiungimento dello scopo289. Il ricorso scritto deve essere depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione il quale provvede con decreto alla fissazione dell’udienza di comparizione delle parti assegnando al ricorrente un termine perentorio per la notificazione. Secondo la pregressa giurisprudenza di legittimità la notificazione nei confronti dei creditori opposti non può essere eseguita ai sensi dell’art. 489 c.p.c., e cioè presso il domicilio eletto dal procedente nel pignoramento (ovvero nel ricorso presentato ai sensi dell’art. 612 c.p.c. e, nel caso di esecuzione per rilascio nel preavviso) ovvero dagli intervenuti nei rispettivi ricorsi per intervento, ma occorre che venga compiuta ai sensi dell’art. 138 ss. c.p.c. e, quindi, nel domicilio personale di ciascuno dei destinatari290. Tale assunto si fondava sul fatto che il ricorso introduceva un giudizio di cognizione, come tale estraneo al processo esecutivo. L’orientamento anzidetto nell’attuale sistema normativo può però essere ripensato atteso che il ricorso è estraneo alla causa di merito ed introduce un procedimento interno all’esecuzione. Se si condivide tale affermazione può allora ritenersi che il ricorso proposto ex art. 615 co. 2 c.p.c. ed il pedissequo decreto debbano essere notificati a tutte le parti del procedimento esecutivo nei luoghi in cui queste abbiano eletto domicilio e, più precisamente, ai creditori in conformità al disposto dell’art. 489 c.p.c.291 ed al debitore ai sensi dell’art. 492 co. 2 c.p.c.292. Qualora il 288 Ciò si desume dalla scelta di campo operata dal legislatore del 2006 che ha previsto la reclamabilità del provvedimento sulla sospensione ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.. 289 La tesi indicata nel testo è confermata con riferimento alla disciplina attuale da Trib. Bari 27 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 712. 290 Cass. 9 febbraio 1977, n. 583; Cass. 26 aprile 1983, n. 2872; Cass. 27 novembre 1996, n. 10519. 291 In questo senso, vigente l’attuale disciplina, Trib. Bari 27 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 712. 292 Il debitore non è mai il legittimato passivo del giudizio di opposizione all’esecuzione se non quando essa si sia svolta nei confronti del terzo proprietario; solo in quest’ultimo caso, invero, il debitore 86 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE ricorso sia presentato in forma orale le contestazioni in cui si articola debbono essere trascritte nel verbale di udienza che va notificato alle parti non presenti a cura dell’istante nel termine perentorio concesso dal giudice dell’esecuzione. Il contraddittorio è invece automaticamente instaurato, senza che occorra alcuna notificazione, nei confronti delle parti presenti che siano rappresentate dal difensore293. La mancata notificazione del ricorso introduttivo ovvero la notificazione di esso oltre il termine perentorio concesso, comporta l’inammissibilità dell’opposizione, rilevabile di ufficio dal giudice294, che non può essere sanata neppure nel caso in cui la parte opposta, cui il ricorso non sia stato notificato o sia stato notificato oltre il termine, si costituisca con comparsa. Il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione fissa la comparizione delle parti (o, nel caso di proposizione del ricorso oralmente in udienza, l’ordinanza con la quale viene rinviata l’udienza per consentire la notifica del verbale alle parti non presenti) può disporre anche la sospensione dell’esecuzione, ove sia necessario provvedere con urgenza, riservando poi al successivo provvedimento, da adottare nel contraddittorio tra le parti la conferma, modifica o revoca della decisione assunta “inaudita altera parte”. In questo caso la sospensione ha natura provvisoria ed ha l’esclusiva funzione di assicurare gli effetti del provvedimento successivo. Il presupposto per l’adozione del provvedimento prima della instaurazione del contraddittorio è costituito dalla sussistenza di gravi motivi di urgenza consistenti nel rischio che il successivo provvedimento di sospensione non sia in grado di evitare il pregiudizio lamentato dall’opponente. 4.4. Il rito applicabile e l’iscrizione della causa a ruolo Il legislatore per disciplinare lo svolgimento dell’udienza prevista dall’art. 615 co. 2 c.p.c. dinanzi al giudice dell’esecuzione ha richiamato specificamente il procedimento in camera di consiglio. Nell’interpretazione della norma si è posto il problema di stabilire se il suddetto richiamo riguardi l’intero complesso delle disposizioni dettate dagli artt. 737 ss. c.p.c. o la sola disciplina della udienza. Induce a quest’ultima soluzione prima di tutto l’argomento letterale poiché l’art. 185 disp. att. c.p.c. prevede che “all’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione … si applicano” le disposizioni suddette, ed in secondo luogo il fatto che gli artt. 737 ss. c.p.c. dettano una regolamentazione quasi del tutto incompatibile con le norme dettate in merito alle opposizioni esecutive. non è destinatario del pignoramento e, dunque, dell’invito all’elezione di domicilio ai sensi dell’art. 492 c.p.c.. La considerazione svolta circa l’applicabilità dell’art. 492 co. 2 c.p.c. assume rilievo per le opposizioni esecutive previste dagli artt. 617 e 619 c.p.c.. 293 Cass. 16 gennaio 2003, n. 571. 294 Cass. 13 gennaio 1981, n. 292; Cass. 27 luglio 1984, n. 4472. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 87 Per entrare nello specifico, vari sono i profili per i quali il richiamo non può operare295: − il ricorso introduttivo dell’opposizione esecutiva è regolato dall’art. 184 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. che ha un contenuto più specifico (“I ricorsi previsti negli articoli 615 co. 2 e 619 del codice, oltre le indicazioni volute dall’art. 125 del codice, debbono contenere quelle di cui ai nn. 4 e 5 dell’art. 163 del codice”) dell’art. 737 c.p.c. nella parte in cui si riferisce all’introduzione del procedimento camerale (“I provvedimenti che debbono essere pronunciati in camera di consiglio si chiedono con ricorso al giudice competente”); − le norme sui procedimenti camerali prevedono che il provvedimento adottato sia un decreto mentre gli artt. 618 e 625 c.p.c. stabiliscono che il provvedimento di sospensione dell’opposizione (o “i provvedimenti indilazionabili”) si adotti con ordinanza, salvo che non si debba provvedere con decreto (ma in tal caso il provvedimento è adottato prima dell’udienza e deve essere, poi, confermato con ordinanza); − la competenza per i provvedimenti in camera di consiglio è collegiale mentre quelli in materia di sospensione dell’esecuzione sono adottati dal giudice dell’esecuzione; − il decreto emesso in una procedura camerale è reclamabile ai sensi dell’art. 739 c.p.c., mentre l’ordinanza in materia di sospensione esecutiva è reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. con le conseguenti differenze in punto di competenza; − le ordinanze di sospensione dell’esecuzione hanno efficacia immediata mentre i decreti emessi in sede camerale divengono idonei a produrre effetti solo in caso di mancata proposizione del reclamo, salvo che il giudice, ravvisata l’urgenza, non disponga diversamente optando per l’esecutività anticipata della decisione. Sembra allora ipotizzabile che l’art. 185 disp. att. c.p.c. nella parte in cui richiama gli artt. 737 ss. c.p.c., intenda, per un verso affermare in positivo che alle udienze dinanzi al giudice dell’esecuzione in sede di opposizione si debba applicare il principio del contraddittorio296 la cui osservanza non è necessaria, come principio generale, nelle procedure esecutive; per altro verso, il rinvio mira a confermare che il giudice dell’esecuzione possa procedere ad “assumere informazioni” (in conformità al dettato dell’art. 738 co. 3 c.p.c.) e non a compiere gli “atti di istruzione ritenuti indispensabili”, come invece previsto dall’art. 669 sexies c.p.c. sul procedimento cautelare uniforme297. Ma a parte tale profili, probabilmente il richiamo alle norme sul procedimento camerale assolve soprattutto alla funzione di precisare come dinanzi al giudice 295 Ha rilevato la quasi totale incompatibilità della disciplina dei procedimenti camerali alle opposizioni esecutive PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, in Foro it., 2006, V, 212, spec. 213 – 214. 296 Come ha più volte ritenuto la Corte di Cassazione in materia di procedimenti camerali, tra le altre cfr. Cass. 14 gennaio 1977 n., 170; Cass. 7 febbraio 1996, n. 986. 297 Così MENCHINI- MOTTO, op. cit., 177. 88 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE dell’esecuzione non si applichino le disposizioni stabilite per l’ordinario giudizio di cognizione (ed, in particolare, il rinnovato art. 183 c.p.c.) secondo quanto previsto in passato dall’art. 185 disp. att. c.p.c.298 ed a rimarcare il fatto che l’opposizione esecutiva nella prima fase nulla ha a che vedere con la causa di merito. Il fatto che il rinvio alle norme di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. sia più formale che sostanziale consente pure di affermare che, al momento della presentazione del ricorso, il ricorrente non debba versare né il contributo unico previsto per i procedimenti camerali, né, tantomeno, quello per il giudizio di cognizione299. 4.5. I possibili esiti della udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione Alla udienza di comparizione, ove nessuno compaia il giudice dell’esecuzione, se risulta versata agli atti la copia notificata del ricorso300, dichiara improcedibile l’istanza di sospensione e chiude il subprocedimento instaurato ad istanza del ricorrente senza disporre il rinvio ai sensi dell’art. 181 c.p.c. che, come previsto nel caso in cui nessuna delle parti sia comparsa alla prima udienza di comparizione del giudizio di cognizione, è finalizzato a cancellare la causa dal ruolo, stante l’inapplicabilità delle disposizioni che regolano quest’ultimo301. Se una o più parti siano presenti, il giudice verifica l’integrità del contraddittorio e, se accerta che il ricorso non è stato notificato a taluno di coloro che debbono ritenersi legittimati passivi, concede altro termine, anch’esso perentorio, per provvedere all’incombente. Sembra comunque che l’ordine di integrazione del contraddittorio, quando adottato dal giudice dell’esecuzione, non trovi fondamento nell’art. 102 c.p.c., inapplicabile perché dettato per il processo di cognizione, ma si giustifichi in virtù del principio generale che impone di assumere la decisione sentiti tutti gli interessati. Va da sé che, nel caso in cui il ricorrente non provveda a notificare il ricorso alle parti indicate dal giudice nel termine concesso in seconda battuta, non troveranno applicazione le conseguenze previste dagli artt. 102 e 307 c.p.c., ma, l’unico esito possibile sarà la declaratoria di improcedibilità della istanza di sospensione. Nell’ipotesi fisiologica in cui il contraddittorio sia stato regolarmente instaurato dall’opponente e le parti siano comparse all’udienza fissata, il giudice decide nel merito sulla istanza di sospensione e statuisce sulla competenza con un provvedimento che ha la forma dell’ordinanza. 298 È questo il parere pressoché unanime della dottrina. Cfr. MENCHINI- MOTTO, op. cit., 177; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1738 ss. c.p.c.; TOTA, op. cit. 582; BARRECA, op. cit., 675. 299 Così BARRECA, op. cit., 675. 300 Se il ricorso non è stato notificato ovvero è stato notificato senza rispettare i termini fissati dal giudice l’opposizione è inammissibile e ciò può essere rilevato d’ufficio dal giudice. Cfr. cap. 4, par. 4.5. 301 BARRECA, op. cit., 674. Con riferimento alla normativa vigente prima della riforma del 2006 la Corte di Cassazione ha ritenuto, invece, applicabile la disciplina prevista dall’art. 181 c.p.c. (cfr. Cass. 22 febbraio 2010, n. 4190) e, con una successiva pronuncia, ha affermato che in caso di mancata comparizione delle parti il giudice dell’esecuzione deve dichiarare estinto il procedimento subordinatamente alla scadenza del termine per l’eventuale inizio del giudizio di merito, che deve essere comunque fissato (Cass. 31 agosto 2011, n. 17860). CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 89 4.6. Il provvedimento del giudice dell’esecuzione ed il suo duplice contenuto inerente la sospensione e la competenza Il giudice dell’esecuzione, se con il ricorso introduttivo è stata proposta un’opposizione all’esecuzione, decide sulla istanza di sospensione ai sensi dell’art. 624 c.p.c.. Il provvedimento sulla sospensione, sia di contenuto positivo che negativo, è soggetto a reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.. Con l’ordinanza con cui accoglie o rigetta l’istanza di sospensione il giudice dell’esecuzione statuisce sulla competenza. Come si è visto, l’art. 616 c.p.c. stabilisce che se la competenza a decidere la causa appartiene allo stesso ufficio giudiziario di cui fa parte questi fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito mentre, in caso contrario, se competente sia un altro ufficio giudiziario, fissa un termine perentorio per la riassunzione. Si è già detto302 che, solo impropriamente, il legislatore della riforma ha utilizzato il termine “riassunzione” nella ipotesi in cui la causa di merito vada instaurato dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello presso il quale pende il processo esecutivo. Il concetto di riassunzione, secondo l’accezione del codice, si riferisce ai casi in cui un processo già pendente debba essere proseguito e, conseguentemente, non si attaglia alla ricostruzione delle norme sin qui propugnata ed alla tesi secondo cui il giudizio di cognizione sull’opposizione viene instaurato solo una volta che sia stata definita la fase gestita dal giudice del processo esecutivo. Per tirare le fila del discorso, dunque, la causa di merito, sia che la competenza appartenga all’ufficio giudiziario del giudice dell’esecuzione sia che appartenga ad altro ufficio giudiziario, viene introdotta quando il giudice abbia definito il subprocedimento instaurato dinanzi a sé. Resta da stabilire se i provvedimenti assunti dal giudice dell’esecuzione sulla competenza siano impugnabili. Sembra che a tale proposito possa confermarsi l’orientamento adottato nel vigore delle vecchie norme dalla giurisprudenza che, dopo un iniziale contrasto, aveva ritenuto come il provvedimento assunto sulla competenza dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 616 c.p.c. (che poteva disporre la prosecuzione del giudizio dinanzi a sé o, in alternativa, rimettere le parti dinanzi ad altro giudice competente) costituisca un atto ordinatorio di direzione del processo esecutivo privo di contenuto decisorio, a prescindere dal fatto che le parti avessero o meno manifestato un contrasto in relazione alla individuazione del giudice competente alla decisione303. Può dunque sostenersi che anche a seguito delle recenti riforme l’indicazione circa l’ufficio giudiziario competente a decidere la causa di merito non sia impugnabile con regolamento di competenza304. 302 Cfr. in questo capitolo, par. 3. Cass. sez. un. 21 luglio 1998, n. 7128 e più di recente Cass. 10 novembre 2003, n. 16868. 304 Sostengono che la tesi espressa da Cass. 21 luglio 1998 n. 7128 sia ancora attuale anche a seguito della riforma ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1741 ss. c.p.c.; MENCHINI – MOTTO, op. cit., 177 – 178. 303 90 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE La “indicazione” ha la funzione di dirigere l’operato delle parti interessate. Ciò tuttavia non esclude che queste ultime nel corso del giudizio possano proporre le eccezioni sulla incompetenza ai sensi dell’art. 38 c.p.c. così come non è escluso che il giudice dell’opposizione possa dichiararsi incompetente305. È controverso se il provvedimento recante la decisione sulla istanza di sospensione debba regolare le spese processuali. Si deve propendere per la soluzione favorevole alla regolamentazione sulle spese se si ritiene che il provvedimento in oggetto vada inquadrato tra i cautelari anticipatori pronunciati ante causam. Diversamente, ove esso si ascriva tra i cautelari di tipo conservativo devesi aderire alla soluzione di segno opposto. 4.7. L’omessa fissazione del termine per l’introduzione della causa di merito. Il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza che accoglie o rigetta l’istanza di sospensione dell’esecuzione deve fissare il termine perentorio per l’introduzione della causa di merito. Resta, tuttavia, da stabilire quali siano le conseguenze dell’omessa fissazione del termine suddetto. Secondo la giurisprudenza più recente306, in tal caso, le parti hanno una duplice possibilità. Possono chiedere che, ai sensi dell’art. 289 c.p.c., l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 624 c.p.c. venga integrata con l’indicazione del termine perentorio. In alternativa è, tuttavia, ipotizzabile che l’interessato introduca, comunque, la causa di merito atteso che tale facoltà non può essere esclusa sino alla prescrizione del diritto all’esercizio dell’azione né può configurarsi una decadenza non essendo stato fissato alcun termine e non potendo tale termine ricavarsi da altre disposizioni del codice di rito307. 5. L’introduzione del giudizio di merito 5.1. Le regole sulla competenza Come si è visto, l’art. 616 c.p.c. contempla l’ipotesi in cui la competenza a conoscere della causa di opposizione all’esecuzione appartenga ad un ufficio giudi- L’orientamento indicato dalla dottrina è stato, poi, fatto proprio anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 21 aprile 2010, n. 9511; Cass. 30 giugno 2010 n. 15629) che ha riaffermato, anche dopo la riformulazione dell’art. 616 c.p.c., l’inammissibilità del regolamento di competenza. 305 In tal senso: Cass. 21 aprile 2010, n. 9511; Cass. 30 giugno 2010 n. 15629. 306 Cfr. Cass. 13 luglio 2011, n. 15343 nonché Cass. 11 luglio 2011, n. 15227; Cass. 23 marzo, 2012, n. 4760. 307 Nel caso in cui il termine perentorio per l’introduzione della causa di merito sia stato indicato dal giudice è possibile l’introduzione del giudizio con un atto di qualsiasi parte interessata ma l’atto di citazione (o il ricorso, nel caso di rito del lavoro) devono, comunque, essere notificati (o depositati) nel termine; in tal senso, Cass. 19 gennaio 2011. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 91 ziario diverso da quello del giudice dell’esecuzione e stabilisce che, in un’ipotesi siffatta, la causa di merito vada “riassunta” dinanzi al giudice competente. Alla luce di detta disposizione occorre stabilire sotto quali profili possa configurarsi un’incompetenza dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende il processo esecutivo che, a seguito della istituzione del giudice unico e della soppressione dell’ufficio del pretore, si svolge sempre dinanzi al Tribunale. Prima di tutto giova rilevare che non vi sono ragioni per escludere un riparto di competenza per valore in senso verticale tra il Tribunale (cui sempre appartiene il giudice dell’esecuzione) ed il giudice di pace. Tale riparto avviene in base alla entità del credito per cui si procede. A seguito della riforma del 2009, ed ai sensi della nuova formulazione dell’art. 7 c.p.c., la causa di merito rientra nella competenza del giudice di pace se il credito per il quale i creditori agiscono esecutivamente non supera euro 5.000,00, mentre rientra nella competenza del tribunale se tale credito supera il predetto importo. Non è chiaro, invece, se sia configurabile anche un riparto di competenza in senso orizzontale, e cioè per territorio, tra l’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice dell’esecuzione ed altro ufficio giudiziario. La giurisprudenza, già prima delle recenti riforme sul processo, era orientata a ritenere che la competenza a decidere delle cause di opposizione all’esecuzione successive per crediti di lavoro, eccezion fatta per la prima fase, dovesse essere attribuita all’ufficio giudiziario competente per materia e per territorio ai sensi degli artt. 413 e 444 c.p.c. e non all’ufficio giudiziario individuato dall’art. 27 co. 1 c.p.c.308. Tale soluzione, adottata solo in via interpretativa, è stata recepita dalla riforma. L’attuale formulazione dell’art. 618 bis co. 2 c.p.c. nella parte in cui stabilisce che la competenza del giudice dell’esecuzione resta ferma “nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza”, ribadisce la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione quanto alla gestione della fase preliminare dell’opposizione e, dunque, limitatamente alla assunzione dei provvedimenti sospensivi da adottare con l’ordinanza prevista dall’art. 616 co. 2 c.p.c.. Tale precisazione, in difetto di indicazioni ulteriori, consente pertanto di affermare che per il resto trovano applicazione i comuni criteri di competenza309. In buona sostanza nel caso di opposizione all’esecuzione successiva fondata su crediti di lavoro, o analoghi, il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza emessa ai sensi degli artt. 624 e 616 co. 2 c.p.c., se verifica, in applicazione dei criteri forniti dagli artt. 413 e 444 c.p.c., che è territorialmente competente a conoscere dell’opposizione un Tribunale diverso da quello cui appartiene, fissa un termine perentorio per l’introduzione (“riassunzione”) della causa di merito dinanzi a quest’ultimo. Si rileva che la soluzione offerta dal legislatore è stata criticata da parte della dottrina la quale ha sostenuto che sarebbe inopportuno ipotizzare che il processo esecutivo e la causa di merito sull’opposizione si svolgano dinanzi ad uffici giudi- 308 309 Cass. 4 aprile 1998, n. 3514; Cass. 18 aprile 2003, n. 6337. Così ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1726. Nello stesso senso Cass. 14 marzo 2008, n. 6882. 92 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE ziari diversi ed ha suggerito l’accoglimento di una lettura alternativa dell’art. 618 bis c.p.c.310. Deve, infine, rilevarsi che la Corte di Cassazione ha escluso l’ammissibilità del regolamento di giurisdizione in relazione alle opposizioni esecutive avendo affermato che: “A seguito della formulazione dell'art. 367 cod. proc. civ., così come introdotta dall'art. 61 della l. n. 353 del 1990, il disposto dell'art. 41 cod. proc. civ. deve essere interpretato nel senso dell'inammissibilità del regolamento di giurisdizione proposto in pendenza di un processo di esecuzione, dovendo l'ambito di applicazione del detto rimedio processuale ritenersi circoscritto entro i confini del processo di cognizione, rispetto al quale soltanto è possibile riconoscere l'esistenza di un giudice istruttore e di un collegio, mentre nel processo esecutivo esiste solo un giudice dell'esecuzione; conseguentemente, neppure nei giudizi di opposizione che si inseriscono nel corso dell'esecuzione risulta ammissibile il suddetto regolamento giacché la decisione che può essere chiesta con l'istanza atterrebbe, in astratto, solo alla giurisdizione a conoscere dell'opposizione, che, peraltro, non può che spettare al giudice ordinario una volta che il processo esecutivo sia iniziato dinanzi a lui.”311 5.2. La forma dell’atto introduttivo, la sua notificazione, l’abbreviazione dei termini a comparire, l’iscrizione a ruolo, il fascicolo d’ufficio Il giudizio di merito si introduce con atto di citazione se la causa deve essere trattata secondo le regole del processo di cognizione 312. Esso va proposto con ricorso ove il rito applicabile sia quello del lavoro e, dunque, nei casi in cui l’esecuzione si fondi su un titolo avente ad oggetto controversie in materia di lavoro, previdenza ed assistenza obbligatorie ovvero in tema di locazione313. Occorre rilevare che l’art. 5 co. 4 lett. d) del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla “mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali” esclude che la mediazione, prevista dal primo comma (obbligatoria) e dal secondo comma (facoltativa) dello stesso art. 5 possa essere esperita nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata tra i quali rientra l’opposizione successiva all’esecuzione314. 310 MENCHINI – MOTTO, op. cit., 180 – 181. Cass. sez. un. 13 dicembre 2007, n. 26109. 312 Cass. 19 gennaio 2011 nella quale si precisa che “se la causa è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice, mentre l’eventuale concessione di un ulteriore termine per tale notifica o una nuova citazione ad iniziativa spontanea della parte sono ammissibili solo a condizione che, in relazione all’udienza di comparizione indicata dal giudice o indicata nel nuovo atto di citazione, venga rispettato il termine perentorio a suo tempo fissato dal giudice dell’esecuzione”. 313 Cfr. Cass. 19 gennaio 2011; la causa di merito non può più essere introdotta secondo il rito societario che è stato abrogato dall’art.55 della legge 18 giugno 2009, n. 69. 314 Cfr. cap. 1, par. 5. 311 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 93 Non sembra vi siano ragioni ostative alla proponibilità della causa di merito, in cui si articola l’opposizione alla esecuzione successiva, secondo le forme previste per il procedimento sommario non cautelare introdotto dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 e regolato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c.315. Il giudizio sommario costituisce un modello processuale alternativo alla cognizione, avente applicazione generale316. Con il rito sommario, cioè, può essere invocata la tutela giurisdizionale in qualunque direzione (sono, infatti, ammissibili le domande di condanna, accertamento e costitutive), purché la controversia debba essere decisa dal Tribunale in composizione monocratica. Ciò significa che restano escluse le controversie che rientrano nella competenza del giudice di Pace ovvero del Tribunale in composizione collegiale. È invece controverso se tale procedimento sia applicabile anche alle cause che debbano essere trattate con il rito del lavoro. Quando la causa di merito venga introdotta, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., nelle forme del rito sommario, essa deve essere proposta con ricorso, come previsto dall’art. 702 bis c.p.c.. Tanto l’atto di citazione quanto il ricorso, quest’ultimo unitamente al decreto di fissazione dell’udienza adottato dal giudice, debbono essere notificati ai sensi dell’art. 138 ss. c.p.c. in conformità all’orientamento della giurisprudenza che non ritiene invocabile, per i giudizi di opposizione, l’art. 489 c.p.c. e, dunque, l’elezione di domicilio compiuta ai fini del procedimento esecutivo nell’ambito del processo di esecuzione317. Il giudizio di merito va introdotto nel termine perentorio stabilito ai sensi dell’art. 616 c.p.c. il che sta a dire che, entro e non oltre il tempo fissato dal giudice dell’esecuzione, la parte attrice deve provvedere a notificare l’atto di citazione ad almeno una delle parti opposte, sì da radicare il rapporto processuale, ovvero a depositare il ricorso introduttivo. Se l’introduzione del giudizio di merito sia compiuta con citazione, al convenuto deve essere concesso un termine a comparire non inferiore a quello stabilito dall’art. 163 bis c.p.c., ridotto della metà. Il mancato rispetto di tale termine comporta l’applicazione delle comuni sanzioni processuali previste dall’art. 164 c.p.c.. Ove il giudizio di merito venga introdotto con ricorso secondo il rito del lavoro, ovvero con ricorso ai sensi degli artt. 702 bis e ss. c.p.c., il termine a comparire per il convenuto, previsto rispettivamente dagli artt. 415 c.p.c. per il processo del lavoro, e dall’art. 702 bis c.p.c. per il rito sommario, deve essere ridotto della metà. Anche nelle ipotesi da ultimo esaminate la violazione del termine ridotto a comparire deve ritenersi soggetta alla sanzione processuale prevista dall’art. 164 c.p.c.. L’art. 616 c.p.c. impone alla parte attrice di provvedere all’iscrizione della causa a ruolo. Tale iscrizione della causa a ruolo segue e non precede l’introduzione del giudizio quando esso viene introdotto con citazione318, mentre è conte315 Cfr. cap. 3, par. 5. Cfr. (BUCCI) – SOLDI, Le nuove riforme del processo civile 2009, Padova, 2009, 155 e ss.. 317 Per l’esame della tesi circa la applicabilità dell’art. 489 c.p.c. nella fase processuale che si svolge dinanzi al giudice dell’esecuzione, cfr. in questo capitolo, par. 4.3. 318 Da più parti si è, pertanto, sottolineata la incongruenza della formulazione dell’art. 616 c.p.c. nella parte in cui prevede una “previa iscrizione a ruolo” della causa di merito. 316 94 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE stuale al deposito del ricorso quando l’atto introduttivo debba essere redatto in tale ultima forma. La giurisprudenza ha ritenuto che, se il giudice dell’esecuzione è competente anche per il giudizio di opposizione, può disporre l’acquisizione del fascicolo dell’esecuzione 319. Per il disposto dell’art. 186 disp. att. c.p.c., il giudice competente per l’opposizione può richiedere al cancelliere del giudice dell’esecuzione la trasmissione del ricorso in opposizione, di copia del processo verbale dell’udienza di comparizione e dei documenti allegati relativi alla causa di opposizione. Per completezza si segnala che l’art. 186 bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, ha un ambito applicativo circoscritto alla opposizione agli atti esecutivi. Ne consegue che la causa di merito introdotta ai sensi dell’art. 616 c.p.c. (in relazione alla opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c.) può essere assegnata per la trattazione al giudice persona fisica che ha la direzione del processo esecutivo e che ha adottato i provvedimenti sulla istanza di sospensione di cui all’art. 624 c.p.c.. 5.3. Le parti legittimate all’introduzione della causa di merito A norma dell’art. 616 c.p.c. “qualunque parte interessata” ha la facoltà di introdurre il giudizio di merito nel termine perentorio concesso dal giudice dell’esecuzione e ciò, senza che rilevi il fatto che la competenza a decidere sull’opposizione spetti o meno all’ufficio giudiziario presso il quale pende il processo esecutivo. L’art. 624 co. 3 c.p.c. dispone che il provvedimento di sospensione dell’esecuzione non può stabilizzarsi e condurre all’estinzione del processo di esecuzione in tutti i casi in cui sia stato introdotto il giudizio di merito. Alla luce del tenore letterale delle disposizioni richiamate deve pertanto ritenersi che il giudizio di opposizione all’esecuzione possa essere promosso ad istanza, non solo dell’opponente che abbia provveduto a depositare il ricorso introduttivo presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, ma anche a cura degli opposti. L’introduzione del giudizio di merito, chiunque sia l’istante, deve avvenire nel termine perentorio stabilito dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 616 c.p.c.. Tali conclusioni trovano sostanzialmente concorde tutta la dottrina320. 319 Cass. 4 settembre 1985 n. 4612. In questo senso ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1747; MENCHINI - MOTTO, op. cit., 183; TOTA, op. cit., 576 – 577; ROMANO, op. cit., 493; in senso parzialmente contrario BARRECA, op. cit., 677 ss. la quale ritiene che all’introduzione della causa di merito possa, di regola, provvedere il solo ricorrente. La legittimazione dovrebbe invece essere estesa anche agli opposti solo quando, in presenza di un provvedimento di sospensione dell’esecuzione, il ricorrente abbia invocato la “estinzione del pignoramento” ai sensi dell’art. 624 co. 3 c.p.c.. Solo in quest’ultimo caso le parti opposte avrebbero la possibilità di curare direttamente l’introduzione del giudizio come può evincersi dal tenore letterale dell’art. 624 co. 3 c.p.c. nella parte in cui stabilisce che il giudice dispone l’estinzione del pignoramento oggetto della procedura esecutiva sospesa quando non sia stato indotto il giudizio di merito “fermo restando in tal caso il possibile promuovimento a cura di ogni altro interessato”. 320 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 95 Le posizioni degli interpreti si divaricano, invece, con riferimento alle questioni attinenti l’oggetto della causa di merito e la posizione processuale delle parti in conseguenza del fatto che, a tutt’oggi, è controverso quale sia il momento al quale far risalire la pendenza del giudizio di opposizione e gli effetti sostanziali e processuali della domanda ad esso relativa. Come si è anticipato321, parte della dottrina assume che il legislatore del 2006 abbia “normativizzato” la cosiddetta concezione monofasica delle opposizioni esecutive successive e ritiene conseguentemente che l’opposizione ad esecuzione iniziata debba considerarsi pendente sin dal deposito del ricorso al giudice dell’esecuzione322. L’intero giudizio, sia per la fase sommaria regolata dalle norme sui procedimenti camerali che per quella di merito vera e propria, disciplinata delle disposizioni sul processo di cognizione, sarebbe, quindi, retto dal ricorso originario e dalla domanda giudiziale in esso formulata. Ragionando in un’ottica siffatta, una volta conclusa la fase dedicata alla adozione dei provvedimenti sulla sospensione323 e, curata l’introduzione del giudizio di merito, quest’ultimo dovrebbe concludersi con una decisione sulla domanda giudiziale dell’opponente ovverosia sui motivi per cui quest’ultimo aveva articolato la contestazione del diritto dei creditori a procedere esecutivamente. Né tale ricostruzione potrebbe essere smentita nel caso in cui l’iniziativa processuale all’avvio della fase cognitiva vera e propria fosse stata assunta, non dal ricorrente, ma da uno degli opposti poiché l’introduzione della causa a cognizione piena, anche quando avvenuta a cura di questi ultimi, sarebbe solo funzionale a provocare una pronuncia giudiziale con sentenza sul ricorso dell’opponente. È di tutta evidenza, però, che la prospettiva muta se si muove dall’assunto contrario e si afferma che le opposizioni esecutive successive, a seguito delle recenti riforme, hanno assunto carattere bifasico324 e si articolano in una prima fase procedimentale, interna al processo esecutivo, introdotta con ricorso al giudice dell’esecuzione e finalizzata alla adozione dei provvedimenti di cui all’art. 624 c.p.c., ed una seconda fase, coincidente con il processo di merito vero e proprio, che prende le mosse da un atto introduttivo predisposto a cura della parte che provvede alla sua instaurazione325. Stando a questa seconda prospettazione, che è quella cui si è ade- Tutte le interpretazioni che si sono riportate debbono ritenersi ormai superate a seguito della legge 18 giugno 2009, n. 69 che ha riformulato l’art. 624 c.p.c.. Tale disposizione, oggi in modo inequivoco, prevede che la sospensione del processo esecutivo si “stabilizza” e conduce alla estinzione del processo sospeso in tutti i casi in cui le parti, legittimate alla introduzione della causa di merito ai sensi dell’art. 616 c.p.c., non vi provvedano nel termine perentorio assegnato dal giudice dell’esecuzione. 321 Cfr. in questo capitolo, par. 3. 322 Per l’indicazione dei sostenitori della struttura monofasica cfr. nota 275. 323 Che non si collocherebbe ante causam, ma avrebbe carattere incidentale nell’ambito del processo di cognizione piena. 324 Per l’indicazione dei sostenitori della struttura bifasica cfr. nota 279. Sembra aderire a tale impostazione anche ORIANI, op. cit., 250 il quale sostiene che la causa di merito è retta dall’atto introduttivo con cui essa viene instaurata nel temine perentorio concesso dal giudice dell’esecuzione. 325 Per l’esposizione del principio secondo cui legittimati all’introduzione del giudizio di merito sarebbero, non solo il ricorrente, ma anche gli opposti, cfr. in questo capitolo, par. 5.3. 96 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE rito326, il giudizio di opposizione sarebbe pendente solo a decorrere dall’inizio della seconda fase e, precisamente, dalla notificazione della citazione ovvero, nel caso di applicazione del rito del lavoro, dal deposito del ricorso. Tale assunto impone però alcune riflessioni in primo luogo con riguardo alla posizione processuale delle parti nel corso del giudizio oppositivo. Se, infatti, la situazione resta sostanzialmente inalterata quando l’introduzione della causa avvenga ad iniziativa dell’opponente e, dunque, sulla falsariga del ricorso introduttivo (salvo l’ampliamento dei motivi di contestazione nei termini di cui si dirà al paragrafo successivo), la prospettiva muta nell’ipotesi contraria. Ove l’atto introduttivo del giudizio di cognizione sia predisposto da uno degli opposti esso inevitabilmente dovrà avere ad oggetto la formulazione di una domanda di accertamento negativo della fondatezza dei motivi di opposizione dedotti dal ricorrente. 5.4. La posizione processuale delle parti nella causa di merito Se la causa di merito è instaurata a cura di colui che ha proposto l’opposizione vi è una identità tra la posizione formale e quella sostanziale delle parti nel passaggio dalla prima fase incidentale a quella contenziosa successiva. Più complessa è la situazione nel caso in cui il giudizio sia introdotto da un soggetto diverso dall’opponente che ha predisposto il ricorso al giudice dell’esecuzione poiché in tale ultima ipotesi l’atto introduttivo inevitabilmente avrà ad oggetto una domanda giudiziale di accertamento della infondatezza dell’opposizione per i motivi dedotti dall’opponente327. Nel caso ipotizzato, l’originario opponente sarà attore in senso sostanziale, ma convenuto in senso formale mentre, al contrario, la parte opposta che ha provveduto ad introdurre la causa di merito rivestirà il ruolo di convenuto in senso sostanziale, pur figurando come attore in senso formale. Tale capovolgimento delle posizioni processuali, nonostante le apparenze, non pare, però, che possa incidere sulla ripartizione dell’onere della prova. Ove il creditore opposto chieda di accertare l’infondatezza dell’opposizione per i motivi da questo dedotti non deve fornire prova della insussistenza dei fatti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale ma basta che affermi l’esistenza del suo diritto ed a tal fine è sufficiente che si riporti alle risultanze del titolo esecutivo che di tale di326 Per l’esame delle opzioni interpretative e degli argomenti a favore della struttura bifasica. Cfr. in questo capitolo, par. 3. 327 In tal senso RECCHIONI, op. cit., 653 il quale evidenzia come il legislatore della riforma abbia ricostruito i rapporti tra il provvedimento sulla sospensione dell’esecuzione ed il giudizio di opposizione successivo ispirandosi al modello dei cautelari anticipatori e del principio della “strumentalità attenuata”. In sostanza, cioè, secondo il procedimento cautelare uniforme, in presenza di un provvedimento cautelare di tipo anticipatorio, non solo il beneficiario della cautela, ma anche l’intimato, possono introdurre il giudizio di merito. Ove il giudizio di merito venga instaurato ad istanza dell’intimato esso viene ricondotto dalla dottrina nell’alveo dell’azione di accertamento negativo (del diritto già protetto in via cautelare). In sostanza, cioè, l’intimato introdurrebbe una causa avente ad oggetto (in senso tecnico) l’opposto logico e contrario di quello che avrebbe potuto introdurre il beneficiario della cautela. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 97 ritto accerta la sussistenza. Per esemplificare, se l’opponente deduce l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo, o afferma che il diritto fatto valere è venuto meno per fatti estintivi o modificativi, come, ad esempio, un pagamento, il creditore attore può limitarsi ad affermare che la sua pretesa è stata fatta valere legittimamente nel processo esecutivo in quanto dimostrata dal documento - titolo. Non si potrebbe, infatti, esigere dal creditore che abbia introdotto il giudizio di merito di fornire la prova della mancata caducazione del titolo o del venir meno del diritto per adempimento poiché, ragionando in tale direzione, lo si costringerebbe alla prova di un fatto negativo. Leggermente diversa si profila la prospettiva quando le contestazioni abbiano ad oggetto la pignorabilità dei beni ovvero il difetto di legittimazione attiva o passiva del creditore o del debitore. Anche per ciò che concerne tali ultime ipotesi deve, però, rilevarsi che il problema è più apparente che reale, poiché il creditore che agisca con una domanda di accertamento negativo è tenuto a fornire prova della esistenza delle condizioni che lo abilitano all’esercizio dell’azione esecutiva negli stessi casi in cui sarebbe tenuto a farlo ove fosse stato convenuto in giudizio dall’opponente. Se l’opponente assume il difetto di legittimazione attiva del creditore, negando, ad esempio, la successione nella titolarità del diritto, spetta a chi esercita l’azione esecutiva fornire la prova della modificazione soggettiva nella titolarità del rapporto sostanziale, così come se l’opponente contesta la legittimazione passiva dell’espropriato, sarà onere del creditore dedurre le ragioni per cui ha indirizzato l’azione esecutiva nei confronti di quel determinato soggetto. Nello stesso modo ove si deduca l’impignorabilità dei beni è, di regola, compito del creditore dimostrare che ricorrono i presupposti giuridico fattuali che consentono l’esercizio dell’azione esecutiva sull’oggetto prescelto, eccezion fatta per le ipotesi in cui l’impignorabilità sia in re ipsa. 5.5. L’ampliamento dell’oggetto dell’opposizione a cura dell’opponente o dell’opposto È opportuno domandarsi se nei casi in cui l’opponente introduce la causa di merito possa ampliare l’oggetto del giudizio articolando ulteriori motivi di contestazione. La questione non è di facile soluzione, ma la tesi preferibile è quella secondo cui l’ampliamento nei termini suddetti è possibile poiché la domanda giudiziale viene formulata per la prima volta con l’atto introduttivo della causa di merito e non risulta definita dal ricorso proposto al giudice dell’esecuzione. In buona sostanza, dunque, l’opponente può proporre l’opposizione all’esecuzione per i motivi già indicati nell’originario ricorso ma non gli è preclusa la formulazione di ulteriori domande, in applicazione del principio sancito dall’art. 104 c.p.c.328. Chiaro è, però, che con riferimento alle ulteriori contestazioni non 328 Per i riferimento agli orientamenti giurisprudenziali che ammettono il cumulo delle domande nell’opposizione all’esecuzione cfr. cap. 2, par. 13. 98 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE formulate nel ricorso ed introdotte per la prima volta nel giudizio di merito, non è possibile chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione. Per esempio, se con l’originario ricorso il debitore opponente abbia contestato il diritto del creditore a procedere esecutivamente deducendo il pagamento e l’istanza di sospensione sia stata rigettata sotto tale profilo, con l’atto introduttivo del giudizio di merito l’opponente può prospettare che il diritto fatto valere dal creditore si sia estinto per compensazione; tuttavia, con riguardo a questa ultima eccezione, che si profila “nuova” rispetto al thema decidendum delineato nella fase dell’opposizione svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione, non può invocarsi la sospensione, ai sensi dell’art. 624 c.p.c.. Ove il debitore volesse richiedere la sospensione con riferimento a tale ulteriore motivo, dovrebbe, quindi, instaurare l’opposizione secondo lo schema procedimentale previsto dall’art. 616 c.p.c. proponendo ricorso al giudice del processo esecutivo in modo da provocarne una decisione sulla domanda cautelare. Per altro verso, si già visto329 che la giurisprudenza ritiene ammissibili le domande riconvenzionali del creditore opposto in un giudizio di opposizione all’esecuzione. Tale orientamento può essere confermato anche nel panorama normativo attuale. Nessun problema si profila quando il giudizio di merito venga introdotto a cura dell’opponente già ricorrente poiché la situazione è analoga a quella del passato. Il creditore che vi abbia interesse, nella ipotesi configurata, può proporre domanda riconvenzionale nei termini indicati dalla giurisprudenza al momento della sua costituzione in giudizio con comparsa in conformità a quanto previsto dall’art. 166 c.p.c. Ma la prospettiva dell’ampliamento dell’oggetto del giudizio a cura del creditore non può essere negata neppure nel caso in cui questi abbia assunto l’iniziativa di promuovere la causa di merito assumendo la posizione di attore in senso formale. Si è già detto che il creditore, quando diviene attore, deve formulare una domanda giudiziale di accertamento negativo della infondatezza dei motivi di contestazione articolati dall’opponente con il ricorso. Ma nulla osta al fatto che questi con il medesimo atto introduttivo proponga anche una domanda di contenuto analogo a quella che avrebbe potuto avanzare in via riconvenzionale chiedendo ad esempio, in mero subordine e con riferimento all’ipotesi di rigetto della domanda proposta in via principale (accertamento negativo della fondatezza delle doglianze articolate nel ricorso), la condanna del debitore per un titolo diverso330. Questa ricostruzione che, a seguito della riforma del 2006, prestava il fianco a critica in considerazione del nuovo regime impugnatorio previsto per le opposizioni esecutive, oggi è del tutto condivisibile e merita adesione. A seguito della legge 18 giugno 2009, n. 69, invero, la sentenza che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione è soggetta ad appello ragion per cui anche la ipotetica decisione assunta sulle ulteriori domande proposte dall’opponente (in applicazione del criterio sul cumulo) o dall’opposto (in via riconvenzionale) non è neppure astrattamente idonea a pregiudicare i diritti di difesa delle parti331. 329 Cfr. cap. 2, par. 13.2. RECCHIONI, op. cit., 655. 331 Con riferimento all’esame di tale questione cfr. RECCHIONI, op. cit., 658. 330 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 99 5.6. Gli effetti processuali e sostanziali della domanda di opposizione all’esecuzione La ricostruzione del sistema di introduzione dell’opposizione successiva all’esecuzione pone un ulteriore problema cui occorre prestare attenzione. Se si accede alla tesi prospettata nel testo, il giudizio di merito sull’opposizione risulta pendente solo a decorrere dall’introduzione della causa cui le parti provvedono una volta definita la prima fase del procedimento gestita dal giudice dell’esecuzione e destinata alla decisione sulla sospensione e sulla competenza. Anche aderendo a tale prospettiva, sembra, però, fuor di dubbio che gli effetti processuali della domanda decorrano dalla notificazione del ricorso depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione così come gli effetti sostanziali della domanda vadano ricollegati alla notificazione del ricorso suddetto. La tempestività dell’opposizione agli atti esecutivi dovrà, quindi, essere esaminata tenendo conto della data di deposito del ricorso originario, mentre l’interruzione della prescrizione dovrà essere ricondotta alla data di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 185 disp. att. c.p.c., poiché a tali fini non può farsi riferimento alla data di notificazione della citazione nel termine perentorio previsto dal giudice dell’esecuzione sebbene essa segni la pendenza del giudizio332. Il legislatore ha inteso, infatti, articolare lo schema procedimentale di introduzione dell’opposizione esecutiva successiva mutuando i principi della strumentalità attenuata cui è improntata la disciplina dei provvedimenti cautelari di tipo anticipatorio. Ma, se questa è la prospettiva, non può negarsi che l’originario ricorso introduttivo, sebbene collocato ante causam, produca effetti processuali e sostanziali analoghi a quelli della domanda di merito. 5.7. Il mancato rispetto del termine perentorio per l’introduzione della causa di merito Se si aderisce alla tesi esposta nel testo secondo cui la causa di merito viene introdotta quando sia stata definita la fase incidentale finalizzata alla adozione dei provvedimenti sulla sospensione, è consequenziale ritenere che, ove alla instaurazione si provveda dopo la scadenza del termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, l’opposizione vada dichiarata inammissibile333. Il giudice dell’opposizione ha, dunque, l’onere di verificare la tempestività dell’introduzione quando prenda visione del ricorso, se la causa venga introdotta in tale forma perché regolata dal rito del lavoro, ovvero nel corso della prima udienza di comparizione delle parti, quando il rapporto processuale sia stato instaurato con citazione. 332 333 In tal senso RECCHIONI, op. cit., 652. BARRECA, op. cit., 679. 100 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Per completezza si rileva che quanti aderiscono alla tesi secondo cui il giudizio di opposizione è pendente sin dal deposito del ricorso introduttivo dinanzi al giudice dell’esecuzione affermano che la mancata introduzione o riassunzione nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione comporta l’applicazione dell’art. 307 c.p.c. e l’estinzione della causa 334. Va, fine, precisato che l’opposizione non può essere dichiarata inammissibile e non è comunque predicabile la soluzione dell’estinzione del giudizio ex art. 307 c.p.c. in tutti i casi in cui il giudice dell’esecuzione non abbia concesso il termine perentorio per la sua introduzione335. 6. Il rito applicabile Il rito applicabile alla causa di merito è di regola quello previsto per il processo di cognizione. Trova applicazione il rito del lavoro quando l’opposizione all’esecuzione abbia ad oggetto crediti di lavoro, assistenza o previdenza obbligatoria. Giova, inoltre, segnalare che, a norma dell’art. 616 c.p.c., i termini a comparire previsti dall’art. 163 bis c.p.c. o da altre disposizioni di legge, ivi compresi quelli di cui all’art. 415 c.p.c., sono ridotti della metà. In tale prospettiva sembra doversi ritenere che siano dimezzati anche i termini per la costituzione dell’attore e del convenuto. A tale conclusione si perviene considerando che, tanto l’art. 165 c.p.c. che l’art. 166 c.p.c., prevedono l’abbreviazione dei termini previsti per la costituzione nelle ipotesi di abbreviazione dei termini a comparire. Certo è pur vero che gli artt. 415 e 416 c.p.c., dettati per il rito del lavoro, non dettano prescrizioni analoghe a quelle di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c.. Si ritiene, tuttavia, che alla abbreviazione dei termini a comparire consegua il dimezzamento dei termini di costituzione del convenuto, in funzione del bilanciamento degli interessi delle parti contrapposte. Tale principio è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di opposizione a decreto ingiuntivo336. Va, infine, precisato che la causa di merito è regolata dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. quando sia introdotta nelle forme del rito sommario337. 334 Propende per l’applicazione dell’art. 307 co. 3 c.p.c. TOTA, op. cit., 576; ROMANO, op. cit., 494, nota 18; MENCHINI – MOTTO, op. cit., 183; AMADEI, op. cit., 195. 335 Cfr. in questo capitolo, par. 4.6.bis 336 Cfr. Cass. 15 marzo 2001, n. 3752. Con tale pronuncia la Cassazione ha affermato che, dalla mancata riproduzione nel testo dell’art. 645 c.p.c. (come modificato dalla novella del 1950), di un’espressa prescrizione di dimezzamento dei termini di costituzione del convenuto, non è dato evincere che il legislatore non abbia voluto disporre in ogni caso la riduzione dei termini. Il legislatore avrebbe, infatti, inteso lasciare che tale riduzione si verifichi o meno, secondo che l’opponente si avvalga o non della facoltà di assegnare un termine di comparizione ridotto. In sostanza, quindi, in ogni caso di abbreviazione del termine a comparire (disposto per decreto presidenziale ai sensi dell’art. 163 bis c.p.c. o ai sensi dell’art. 645 cpv. c.p.c. per l'esercizio di una facoltà discrezionale attribuita dalla legge), la riduzione del termine a comparire comporta il dimezzamento dei termini di costituzione delle parti, in conformità a quanto previsto dagli artt. 165 e 166 c.p.c. poiché ciò garantisce l’esigenza di bilanciamento degli interessi delle parti contrapposte. 337 Cfr. in questa parte ed in questo capitolo, par. 5.2. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 101 7. Il rapporto tra il giudizio di opposizione all’esecuzione preventiva o successiva o tra plurime opposizioni all’esecuzione successiva La giurisprudenza non ha seguito un orientamento univoco sulla questione relativa ai rapporti tra la causa di opposizione al precetto e la causa di opposizione al pignoramento promosso sulla base dello stesso precetto. Con alcune pronunce, anche recenti338, ha affermato che i due giudizi sopraindicati sono identici per petitum e causa petendi 339 e che tra essi è dunque configurabile la litispendenza, ma non sono mancati arresti in senso contrario340. Anche accedendo alla tesi favorevole alla configurabilità di una litispendenza tra le cause innanzi indicate, essa non potrebbe produrre gli effetti previsti dall’art. 39 c.p.c. quando i giudizi pendano in gradi diversi. Onde evitare il pericolo di un contrasto tra giudicato nella ipotesi da ultimo esaminata occorre, pertanto, fare applicazione dell’art. 295 c.p.c. e cioè sospendere l’opposizione successivamente introdotta in attesa della definizione con sentenza della prima causa341. Va da ultimo precisato che la giurisprudenza ha escluso la litispendenza tra due giudizi di opposizione all’esecuzione promossi con riferimento a distinti processi esecutivi ancorché intrapresi sulla base del medesimo titolo giudiziale342. 8. La sospensione feriale dei termini Come si ricava dalla espressa previsione dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario richiamato dall’art. 3 l. 7 ottobre 1969, n. 742, la sospensione feriale dei termini processuali non si applica ai giudizi di opposizione alla esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi preventivi e successivi nonché all’opposizione di terzo alla esecuzione343. 338 Nel senso della configurabilità di rapporto di litispendenza, di recente, Cass. 20 luglio 2010, n. 17037. 339 Cass. 24 ottobre 1986, n. 6235; Cass. 18 gennaio 1988, n. 335; Cass. 16 giugno 2000, n. 8214. 340 Negano la litispendenza tra i due giudizi citati; Cass. 4 marzo 1999, n. 1831; Cass. 18 giugno 2001, n. 8222. Va evidenziato come risulti evidente che, se si nega la litispendenza, il rapporto tra i due giudizi non può che essere di continenza poiché il petitum della causa di opposizione alla esecuzione successiva è più ampio di quello dell’opposizione alla esecuzione preventiva. 341 Cass. 16 giugno 2000, n. 8214. 342 Cass. 8 maggio 1993, n. 5305. 343 Cass. 19 giungo 1996, n. 5674; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12768; Cass. 26 aprile 2000, n. 5345; Cass. 25 giugno 2003, n. 10132. Per la specifica affermazione secondo cui non sono soggette a sospensione feriale dei termini anche le opposizioni al precetto Cass. 19 marzo 2010, n. 6672; Cass. 27 aprile 2010, n. 9998; Cass. 6 maggio 2010, n. 10972; Cass. 23 settembre 2010, n. 20101. Tuttavia, in dottrina non mancano opinioni di segno contrario. CAPPONI, Opposizione a precetto e sospensione feriale dei termini, in Riv. esec. forz., 2010, 422 ss. il sostiene che non vi sarebbe motivo per ritenere sottratti alla sospensione feriale dei termini tanto le opposizioni agli atti esecutivi (stante la previsione letterale dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario che fa riferimento alle opposizioni all’esecuzione) quanto le opposizioni a precetto poiché queste ultime, non incidendo sul processo esecutivo, sarebbero estranee alla ratio del citato art. 92. 102 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Siffatta esclusione non è prevista nell’interesse del debitore esecutato, ma è finalizzata a garantire una sollecita definizione delle cause relative alle opposizioni esecutive anche ove l’esecuzione sia stata conclusa344 per cui opera anche quando sia cessata la materia del contendere e la causa di opposizione debba proseguire ai soli fini del regolamento delle spese processuali345. A tale proposito va ancora segnalato che, secondo la giurisprudenza, la sospensione feriale dei termini opera anche quando il creditore abbia proposto domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere una pronuncia di condanna che tenga luogo del titolo esecutivo, la cui esistenza sia stata contestata dal debitore, semprechè la domanda riconvenzionale non sia stata neppure esaminata a causa del rigetto dell’opposizione346. In via interpretativa si è ritenuto che la regola che sancisce l’inapplicabilità della sospensione dei termini processuali si estenda anche alle controversie distributive347, al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo348 nonché al giudizio di divisione endoesecutivo, promosso ai sensi dell’art. 601 c.p.c.349. Il principio secondo cui le opposizioni esecutive non sono sottoposte a sospensione durante il periodo feriale deve intendersi riferito all’intero corso del procedimento, sicché esso ha indiscutibilmente riferimento anche ai tempi per proporre ricorso per cassazione350. In difetto di una specifica previsione si ritengono, invece, soggetti alla sospensione tutti i termini del procedimento esecutivo351. 9. La decisione e l’impugnazione della sentenza A seguito della riforma sul processo civile del 2006, l’art. 616 c.p.c. disponeva che l’opposizione all’esecuzione successiva è decisa con sentenza inimpugnabile352. Tale previsione, che in virtù del richiamo operato dall’art. 619 c.p.c. all’art. 616 c.p.c., era applicabile anche all’opposizione di terzo all’esecuzione, aveva uni344 Cass. 20 marzo 2006, n. 6103; Cass. 15 marzo 2006, n. 5684. Cass. 25 giugno 2003, n. 10132; Cass. 23 gennaio 1998, n. 658. 346 Cass. 4 ottobre 2010, n. 20595; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688. 347 Cass. 24 gennaio 2006, n. 1331 nonché, sempre con riferimento al testo dell’art. 512 previgente (anteriore alla novella del 2005 – 2006) Cass. sez. un.. 6 maggio 2010, n. 10617. Si osserva, comunque, che la questione oggi è priva di rilievo in quanto le controversia distributive confluiscono nella fase contenziosa solo quando l’ordinanza del giudice della esecuzione che le risolva sia impugnata ai sensi dell’art. 617 c.p.c.. La sospensione feriale è, perciò, inapplicabile in virtù della norma che la esclude per le opposizioni agli atti esecutivi. 348 Cass. 6 giugno 2008, n. 15010; Cass. ord. 10 marzo 2010, n. 5778; Cass. ord. 5 marzo 2010, n. 5451. 349 Cass. 28 gennaio 2010, n. 1801 che, facendo leva sul principio della eadem ratio, approda alla conclusione indicata, in virtù di interpretazione estensiva e non analogica), sostenendo che anche tali divisioni provocano una stasi del processo esecutivo. 350 Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041. 351 Cass. 29 luglio 1986, n. 4841. 352 Con riferimento alla decisione emessa sull’opposizione all’esecuzione cfr. cap. 2, par. 15. 345 CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 103 formato il regime impugnatorio delle opposizioni di merito successive353 a quello già previsto per le opposizioni di forma, preventive e successive che da sempre, stante il disposto dell’art. 618 c.p.c., sono definite con sentenza inimpugnabile. In detto panorama normativo tutte le pronunce giudiziali che definivano le opposizioni esecutive successive354 (e le opposizioni agli atti esecutivi proposte in via preventiva) dovevano ritenersi soggette al solo ricorso in cassazione per violazione di legge, ex art. 111 co. 7 Cost.355. Su questo punto la riforma del 2006 aveva, però, suscitato notevoli perplessità tanto che, da più parti, si era prospettata la tesi che l’art. 616 c.p.c. non fosse conforme ai principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost.356. In particolare si era sostenuto che, se la sottrazione della sentenza all’appello poteva essere ammessa nel caso dell’opposizione agli atti esecutivi, una analoga soluzione non si giustificava per l’opposizione all’esecuzione, soprattutto con riguardo ai casi in cui le contestazioni del diritto dei creditori ad agire esecutivamente fossero fondate su ragioni di merito tanto da avere un oggetto, in tutto analogo a quello di un ordinario processo di cognizione, e preordinato all’accertamento del diritto sostanziale documentato dal titolo esecutivo. Nonostante l’ampio dibattito, di recente, la Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 616 co. 1 ultimo periodo c.p.c. che ha qualificato “non impugnabile” la sentenza che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione)357. 353 Per l’esame dell’opposizione all’esecuzione preventiva cfr. cap. 3. Cass. 3 agosto 2011, n. 17349 ha precisato che il regime di inimpugnabilità si applicava anche alle cause di opposizione successive all’esecuzione ed agli atti esecutivi regolate dall’art. 618 bis perché relative alle materie trattate con il rito del lavoro. 355 Giova rammentare che il ricorso straordinario è oggi espressamente riconosciuto dall’art. 360 co. 4 c.p.c. (come aggiunto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) e può essere proposto per gli stessi motivi previsti per il ricorso ordinario. Contrariamente a quanto ritenuto in via interpretativa dalla giurisprudenza (Cass. 17 marzo 1998, n. 2848; Cass. 9 aprile 1999, n. 3470; Cass. 30 giugno 2005, n. 13978) è, dunque, possibile impugnare la sentenza con ricorso straordinario facendo valere per ogni aspetto il vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.. 356 Così TOTA, op. cit., 583; ROMANO, op. cit., 498; RECCHIONI, op. cit., 658 ss. il quale afferma che la soluzione adottata dal legislatore non è conforme a Costituzione se si ritiene che nel giudizio di opposizione all’esecuzione rientri l’accertamento della esistenza del diritto di credito. 357 Corte Cost. 13 marzo 2008, n. 53. Con tale pronuncia la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità dell’art. 616 ultimo comma c.p.c. sottoposte al suo vaglio. La sentenza in esame, secondo quanto si ricava dalla motivazione, sembra, comunque, lasciare spazio ad una riproposizione della questione sotto altro profilo. Da un lato la Corte ha, infatti, osservato che l’equiparazione del regime impugnatorio dell’opposizione all’esecuzione (o di terzo all’esecuzione) e dell’opposizione agli atti esecutivi non è di per sé irragionevole (perché non è detto che essa si fondi sulla medesima ratio) e dall’altro lato ha evidenziato come la scelta di sancire l’inappellabilità delle sentenza che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione e di terzo all’esecuzione si atteggiano in termini differenti a seconda che l’azione esecutiva sia stata esercitata in virtù di titolo giudiziale (“…il giudizio di opposizione all’esecuzione può concernere anche ipotesi in cui questa si fonda su titoli giudiziali, e addirittura su sentenza passata in giudicato, titoli riguardo ai quali non si ravvisano le addotte cause di irragionevolezza dell’inappellabilità della sentenza che decide sull’opposizione all’esecuzione..”) o stragiudiziale. 354 104 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE Tutte le problematiche di cui si è detto sono state, però, superate dalla legge 18 giugno 209, n. 69 che, novellando l’art. 616 c.p.c., ha eliminato la previsione secondo cui “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”. La pronuncia giudiziale che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione (nonché quello di opposizione di terzo all’esecuzione, stante il rinvio operato dall’art. 619 c.p.c. all’at. 616 c.p.c.) torna ad essere soggetta al regime impugnatorio ordinario ed è, dunque, impugnabile in secondo grado con l’appello ed in terzo grado con il ricorso per cassazione. Non può, infine, revocarsi in dubbio che le sentenze di cui si è detto siano soggette anche a regolamento di competenza. Sono, quindi, ormai superate le elaborazioni della dottrina che, accedendo ad una interpretazione estensiva dell’art. 187 c.p.c., era favorevole ad ammettere la proponibilità del regolamento di competenza anche in relazione alle sentenze emesse nei giudizi sulla opposizione alla esecuzione e di terzo all’esecuzione358. 10. Il regime transitorio La legge 28 febbraio 2006 n. 52 ha novellato l’art. 616 c.p.c. nella parte in cui regola la introduzione della opposizione all’esecuzione proposta ad esecuzione iniziata. Detta legge non recava alcuna disposizione transitoria ed all’art. 22 si limitava a fissare per il 1° marzo 2006 la data della sua entrata in vigore. In virtù del principio del tempus regit actum si era dunque ritenuto che le modifiche da essa introdotte trovassero applicazione, non solo ai processi instaurati a decorrere dal 1° marzo 2006, ma anche a quelli che alla predetta data fossero già pendenti e che la nuova disciplina relativa alla introduzione del giudizio di opposizione previsto dall’art. 615 c.p.c. riguardasse tutti i giudizi nei quali, depositato il ricorso in cancelleria anche prima dell’1 marzo 2006, non si fosse ancora tenuta la prima udienza di comparizione dinanzi al giudice dell’esecuzione359. Successivamente, anche la legge 18 giugno 2009 n. 69 ha parzialmente innovato, in modo diretto o indiretto, la disciplina delle opposizioni esecutive. Il legislatore del 2009 ha modificato per molteplici aspetti le disposizioni dettate dal libro primo e dal libro secondo del codice di rito che risultano applicabili anche alle opposizioni esecutive (che sono ascrivibili tra i processi di cognizione ordinaria) ed ha, poi, novellato l’art. 616 c.p.c. eliminando la previsione secondo cui “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”. Anche la riforma del 2009 rende, quindi, necessario l’esame del regime transitorio. 358 BOVE – (BALENA), op. cit., 287; ROMANO, op. cit., 497, nota 34; CANAVESE, op. cit., 1101; MENCHINI - MOTTO, op. cit., 183 ss.; TOTA, op. cit., 582; ARIETA – DE SANTIS, op. cit., 1767 – 1768. 359 Così CAPPONI, L’entrata in vigore, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di CAPPONI – BRIGUGLIO, Padova, 2007, 715; TOTA, op. cit., 586 – 587 nonché MENCHINI – MOTTO, op. cit., 184 ss.. CAPITOLO TERZO - L’OPPOSIZIONE SUCCESSIVA ALL’ESECUZIONE 105 A tale proposito va segnalato che, ai sensi dell’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69, le disposizioni che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (comma 1). Sempre l’art. 59 stabilisce, tuttavia, che la disposizione dettata dall’art. 616 c.p.c., che ripristina il regime impugnatorio ordinario delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione, è immediatamente invocabile. Ciò comporta che le novità introdotte dall’ultima riforma, eccezion fatta per il regime di impugnazione della sentenza, risulteranno applicabili alle opposizioni esecutive (regolate dagli artt. 615, 616, 617, 618 e 619 ss. c.p.c.) e, più precisamente, per quel che qui interessa, alle opposizioni all’esecuzione, quando tali opposizioni siano state proposte a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009 n. 69 ( e cioè dal 4 luglio 2009). Si tratta, però, di stabilire se ai fini della applicazione della nuova normativa sia necessario aver riguardo alla data in cui il ricorso introduttivo sia stato depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione ovvero alla data in cui venga introdotta la causa di merito nel termine perentorio assegnato dal giudice dell’esecuzione. Ove si accedesse alla seconda tesi, invero, le disposizioni di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69 sarebbero invocabili anche quando il ricorso introduttivo sia stato depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione in data antecedente al 4 luglio 2009. La risposta a tale quesito presuppone il richiamo alle considerazioni già svolte sulla natura “monofasica” o “bifasica” della opposizione esecutiva proposta a processo di esecuzione iniziato. Se si accede alla tesi bifasica cui si è prestata adesione il giudizio di cognizione risulta pendente dalla data di introduzione della causa di merito, talché le norme dettate dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 risultano applicabili nelle ipotesi in cui, definita la fase dinanzi al giudice dell’esecuzione ed assegnato il termine perentorio, l’atto di citazione sia stato notificato alla controparte o il ricorso (nei casi previsti dall’art. 618 bis c.p.c.) depositato a decorrere dal 4 luglio 2009. Quanto al regime di impugnazione delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione, stante il disposto dell’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, deve ritenersi che siano appellabili quando pubblicate a decorrere dal 4 luglio 2009. Restano, dunque, inimpugnabili tutte le pronunce, emesse ai sensi del combinato disposto degli artt. 615 e 616 c.p.c., che siano state pubblicate sino al 3 luglio 2009. 106 L’OPPOSIZIONE A PRECETTO E ALL’ESECUZIONE