MARCO TULLIO CICERONE
Vita
Marco Tullio Cicerone nacque il 3 gennaio del 106 a.C. ad Arpino, nel territorio dei Volsci, da una ricca
famiglia equestre e fu homo novus. Compiuti gli studi giuridici e filosofici, si rivelò subito brillante
avvocato, cogliendo i primi successi: particolarmente significativo quello dell’anno 80 a.C., a favore di
Roscio Amerino e ai danni di Crisogono, potente liberto del dittatore Silla. Dopo un soggiorno in Grecia
(dove poté approfondire la sua formazione filosofica e retorica) esordí nel cursus honorum con una
apprezzata questura in Sicilia nel 75 a.C. In quegli anni si fece portavoce dei principali strati sociali non
senatorii penalizzati dal sistema sillano (soprattutto dei cavalieri, che erano stati esclusi dalla
composizione dei tribunali), e propugnò le conseguenti riforme politico-istituzionali. In questa chiave va
inteso anche il processo dell’anno 70 a.C. contro Verre (sillano ed ex governatore della Sicilia, accusato
di concussione), in cui Cicerone svolse l’accusa per conto dei siciliani: accusa che rappresenta una tappa
della disgregazione del regime sillano, perseguita con buon esito dai consoli del 70 a.C., Pompeo e Crasso.
Ottenuta la compartecipazione degli equites al potere, Cicerone diventò sostenitore della concordia
ordinum. Egli ritenne di individuare in Pompeo il campione di siffatta concordia ordinum, in opposizione
tanto all’estremismo popularis quanto alla reazione senatoria, e nel 66 a.C. (anno in cui era pretore)
appoggiò la legge Manilia de imperio Cn. Pompei, che proponeva di dare a Pompeo poteri straordinari e
il comando della guerra in Asia contro Mitridate. Nel 63 a.C., in qualità di console, e mentre Pompeo era
impegnato in Asia, si avvicinò alla fazione senatoria e stroncò il movimento di Catilina, raggiungendo
l’apice della fortuna politica.
Poco dopo ebbe inizio per lui la parabola discendente. Pompeo si alleò con Cesare e Crasso («primo
triumvirato», 60 a.C.): i tre potenti intrapresero l’«occupazione» dello Stato e Cicerone subí la vendetta
dei populares per aver giustiziato i Catilinari, senza averli sottoposti a regolare processo. Partito per
l’esilio nel 58 a.C. (tale era la pena prevista per lui dalla legge fatta approvare dal tribuno Clodio, vicino
a Cesare), rientrò a Roma dopo un anno, favorito da una prima incrinatura dei rapporti fra i triumviri.
Cicerone sperava in una ripresa della linea politica a lui cara, ma nel 56 a.C. Pompeo riconfermò il patto
con Cesare e Cras- so. In questa situazione deludente ebbe inizio per Cicerone il primo periodo di
sostanziale distacco dalla attività politica e di otium piú o meno obbligato, durante il quale intraprese la
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stesura di alcune opere retoriche e filosofiche (De oratore, De re publica, De legibus). Nel 52 a.C. assunse
senza successo la difesa di Milone, che aveva ucciso Clodio in un agguato di squadristi. Nel 51 a.C. ottenne
il proconsolato della Cilicia.
Cicerone era appena rientrato a Roma, nei primi giorni del 49 a.C., quando scoppiò la guerra civile fra
Cesare e Pompeo. Il vecchio sostenitore degli ottimati si schierò con Pompeo e lo raggiunse in Grecia, pur
nutrendo ormai scarse speranze nella sua causa. Dopo la sconfitta di Farsalo, Cicerone tornò a Roma e nel
47 a.C. si riconciliò formalmente con Cesare, ormai padrone assoluto della situazione. Nuovamente
emarginato dalla vita politica, si dedicò all’otium e nel biennio 46-45 a.C. lavorò intensamente alla stesura
delle opere filosofiche. Nel 44 a.C. Cesare venne ucciso; Cicerone, che pure non aveva preso parte alla
congiura, appoggiò i cesaricidi in quanto difensori del- la libertà repubblicana, e si rituffò nella lotta
politica. Tentò di contrastare l’ascesa di M. Antonio (contro il quale indirizzò in due anni la serie delle
quattordici orazioni «Filippiche»), contrapponendogli il giovane Ottaviano, che egli s’illudeva di poter
condizionare. Ma i due rivali si allearono provvisoriamente dando vita con Lepido al cosiddetto «secondo
triumvirato» (43 a.C.). La prima illustre vittima fu proprio Cicerone, ucciso dai sicari dei triumviri il 7
dicembre 43 a.C. Negli ultimi due anni, nonostante il convulso sussulto della moribonda repubblica, non
aveva smesso di lavorare ai suoi scritti filosofici.
Fonti: preziosi documenti sono le stesse opere di Cicerone, specialmente le «Lettere» e le «Orazioni»;
numerosissime le testimonianze degli antichi, fra le quali va ricordata la «Vita» di Plutarco.
Opera
Cicerone fu un grande mediatore di cultura. Sulla linea di Scipione Emiliano, fece sua la humanitas (che
è studio delle lettere, apertura di idee e filantropica benevolenza) ma nella fedeltà al mos maiorum, l’ideale
fondamentale del vir Romanus già difeso da Catone il Censore. Riconobbe l’insostituibilità dell’otium
letterario, ma non in contrapposizione alla priorità del negotium, cui anzi lo rese funzionale:
reinterpretando e aggiornando il pragmatismo proprio della mentalità romana, sostenne che la piú
profonda preparazione teorica dovesse servire eminentemente all’attività pratica al servizio della res
publica. Studiò e divulgò le filosofie greche, delle quali accolse ecletticamente molteplici spunti: nel De
officiis specialmente si mostrò vicino allo stoicismo per la sua concezione del dovere; respinse soltanto
l’epicureismo, inconciliabile con la tradizione romana. Ma il cuore stesso dell’operazione politicoculturale compiuta da Cicerone risiede nella teoria dell’oratore: questi è per lui l’uomo di superiore cultura
umanistica, seriamente impegnato – come avvocato e come uomo di governo – nella difesa della
repubblica e dell’alleanza sociale che ne rappresenta il pilastro, quella fra tutti i boni cives (concordia
ordinum). Nel De republica delinea l’ideale di un princeps che sia supremo moderatore degli equilibri
sociali e istituzionali della repubblica restaurata: egli idealizza cosí il proprio ruolo, o meglio il ruolo che
gli sarebbe piaciuto interpretare; ma, piú realisticamente, pensa a un Pompeo che, consigliato e guidato
da Cicerone (come già Scipione Emiliano da Lelio), si riaccosti ai boni cives sciogliendosi dall’abbraccio
mortale di Cesare. Sarà proprio a questa teoria del princeps che guarderà Augusto, nella sua finzione di
restaurazione dell’ordine repubblicano (il principato); e perciò favorirà la riabilitazione del- la figura di
quel Cicerone che egli, d’accordo con Antonio, aveva fatto assassinare.
Orazioni. L’Arpinate compose oltre cento orazioni, di cui abbiamo almeno notizia e qual- che frammento;
58 sono pervenute a noi integre o in ampi frammenti: 1) Pro Quinctio, 81 a.C., orazione giudiziaria di
esordio; 2) Pro S. Roscio Amerino, 80 a.C.; 3) Pro Roscio comoedo, 77 a.C.?; 4-10) Verrinae, 70 a.C 11)
Pro Tullio, 69 a.C.; 12) Pro Fonteio, 69 a.C.; 13) Pro Caecina, 69 a.C.; 14) Pro lege Manilia de imperio
Cn. Pompei, 66 a.C., prima orazione deliberativa; 15) Pro Cluentio, 66 a.C.; 16-18) le tre orazioni De lege
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agraria, 63 a.C.; 19) Pro Rabirio, 63 a.C.; 20) Pro Murena, 63 a.C.; 21-24) le quattro Catilinariae, 63
a.C.; 25) Pro Sulla, 62 a.C.; 26) Pro Archia, 62 a.C.; 27) Pro Flacco, 59 a.C.; 28-29) i due discorsi post
reditum, pronunciati per ringraziamento al ritorno dall’esilio, nel 57 a.C., Cum senatui gratias egit e Cum
populo gratias egit, esempi di orazione epidittica o dimostrativa; 30) De domo, 57 a.C.; 31) De haruspicum
responsis, 56 a.C.; 32) Pro Sestio, 56 a.C.; 33) InVatinium, 56 a.C.; 34) Pro Caelio, 56 a.C.; 35) De
provinciis consularibus, 56 a.C.; 36) Pro Balbo, 56 a.C.; 37) In Pisonem, 55 a.C.; 38) Pro Plancio, 54
a.C.; 39) Pro Scauro, 54 a.C.; 40) Pro Rabirio Postumo, 54 a.C.; 41) Pro Milone, 52 a.C.; 42) Pro
Marcello, 46 a.C.; 43) Pro Ligario, 46 a.C.; 44) Pro rege Deiotaro, 45 a.C.; 45-58) le quattordici
Philippicae, 44-43 a.C., contro M. Antonio, cosí chiamate per analogia con le orazioni dell’ateniese
Demostene contro Filippo di Macedonia.
Opere retoriche. De inventione (opera giovanile incompiuta, di carattere manualistico e influenzata dalla
contemporanea Rhetorica ad Herennium, opera in quattro libri, pervenuta a noi con il corpus delle opere
di Cicerone, al quale fu a lungo attribuita, ma che fu scritta da un retore di nome Cornificio, che la dedicò
a C. Erennio); i tre principali trattati che espongono organicamente la concezione ciceroniana: De oratore,
Brutus, Orator ; le opere minori: Partitiones oratoriae (riassunto a scopo didascali- co), De optimo genere
oratorum (prefazione a una traduzione, non pervenutaci, delle orazioni di Demostene e di Eschine «Sulla
corona»), Topica (raccolta di tópoi, «luoghi comuni», dell’oratoria giudiziaria); anche i Paradoxa
stoicorum possono essere considerati opera retorica (vi si esercita la capacità di dimostrare tesi
«paradossali» tratte dal pensiero stoico).
Opere filosofiche. Si possono raggruppare per argomenti e problemi. Problema dello Stato: De re publica
e De legibus (per analogia con le opere di Platone, «La repubblica» e «Le leggi»). Esortazione alla
filosofia: Consolatio ad se ipsum e Hortensius (opere di cui si hanno pochi frammenti; dalla seconda
dichiara di essere stato grandemente influenzato Agostino, Confessiones, 3.4.7).
Problemagnoseologico: Academica (esposizioni del probabilismo accademico, con cui Cicerone
concorda). Problema teologico: De natura deorum, De divinatione, De fato.
Problema etico: De finibus bonorum et malorum, Tusculanae disputationes, Cato Maior de senectute,
Laelius de amicitia, De officiis.
Epistolario. Comprende 864 lettere (di cui 774 di Cicerone e 90 dei suoi corrispondenti) distribuite in
quattro raccolte: Epistulae ad Atticum (16 libri, anni 68-44 a.C.), indirizzate all’amico T. Pomponio
Attico; Epistulae ad familiares (16 libri, anni 63-44 a.C.), spedite a oltre un’ottantina fra parenti, amici e
corrispondenti vari; Epistulae ad Quintum fratrem (3 libri, anni 60-54 a.C.); Epistulae ad Marcum Brutum
(2 libri, aprile-luglio del 43 a.C.), corrispondenza con M. Giunio Bruto, il cesaricida fuoriuscito. Nonio,
Macrobio e Prisciano menzionano numerose altre raccolte di epistole, non pervenuteci
La lingua
Il latino classico si identifica in massima parte con la lingua di Cicerone, che, insieme a quella di Cesare,
ne costituisce per noi un modello indiscusso. Essa segna la fine dell’arcaismo e la vittoria della ipotassi
sulla paratassi, con la costruzione di periodi sintattici sempre piú complessi e razionalmente organizzati
in una rigorosa struttura di subordinazioni. Scompare la citazione di vocaboli greci, ancora normale in
Plauto, a favore di una tradu- zione nell’equivalente latino o di una traslitterazione (philosophia,
mathematici ecc.): arcaismi e parole greche ricompaiono invece nello stile epistolare. Simmetria ed
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eleganza (concinnitas) sono i caratteri distintivi della prosa ciceroniana. Tuttavia in essa – a differenza
che in quella di Cesare – l’espressione razionale del pensiero non esclude il ricorso al patetico e
all’accumulazione abbondante di concetti e figure: caratteristica che deriva dalla sua formazione oratoria
di matrice «asiana».
La fortuna
Il presente argomento si configura come un sostanzioso capitolo di «storia della cultura»: tale è stata la
risonanza dell’opera di Cicerone in ogni epoca. Fin dall’antichità lo si studiò come un «classico»: in primo
luogo per lo stile, insieme armonioso ed eloquente, fluido e ricco di figure (e la lingua di Cicerone costituí
uno dei modelli per la codificazione grammaticale della lingua latina); in secondo luogo per la sua
concezione «umanistica», ossia per il primato dell’eloquenza intesa come cultura generale e poliedrica,
fondata sugli studia humanitatis (ciò che oggi definiamo «lavoro culturale»); infine per il principio di
medietas, su cui Cicerone fondò la sua opera e a cui si sono ispirati i classicismi di tutte le età. Numerosi i commenti antichi alle sue opere: fra gli altri, quelli di Asconio Pediano (I secolo d.C.) al- le orazioni,
di Mario Vittorino (IV secolo) al De inventione, di Macrobio (IV-V secolo) al Somnium Scipionis (VI
libro del De re publica), di Boezio (V-VI secolo) ai Topica. E, se alcuni fra i massimi prosatori latini –
Sallustio, Seneca,Tacito – si dettero deliberatamente uno stile to- talmente opposto al suo, Cicerone fu
eletto a modello dal primo «professore statale» di retorica e stilistica, Quintiliano (I secolo d.C.). Le opere
filosofiche – riepilogo eclettico di tutta la filosofia antica nel segno di un fondamentale rispetto per la
religio – furono per i primi scrittori cristiani (Lattanzio, Ambrogio, Agostino) un ponte fra il vecchio e il
nuovo pensiero, e si prestarono poi a soddisfare gli interessi enciclopedici del Medioevo. Nell’età
altomedievale la retorica restò semplice esercitazione scolastica, ma quando la civiltà comunale la riscoprí
come ars dictandi e arte di governo insieme, Cicerone tornò a costituire un modello essenziale: Brunetto
Latini, per esempio, curò numerose volgarizzazioni di opere ciceroniane. Petrarca e gli umanisti lo
amarono soprattutto per le epistole e per i dialoghi: forme letterarie congeniali a un discorso libero e
asistematico, a un tempo nutrito di cultura inter- disciplinare e improntato a un tono intimo e colloquiale.
Nel Quattrocento e nel Cinque- cento il «ciceronianismo» adottò l’Arpinate come modello della prosa. A
partire dall’Illuminismo e dal Romanticismo egli fu giudicato con maggiori riserve critiche (avanzate
peraltro già da Petrarca), di ordine sia letterario sia culturale: non piú modello ideale di un «classicismo
perenne», fu sempre studiato, e con crescente approfondimento filologico e storico, co- me uomo di parte
e testimone intellettuale del suo tempo.
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