La Repubblica - Salute "Più vantaggi che limiti nei nuovi farmaci, ma..."

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Ipotizzare risultati miracolistici. È
tuttavia altrettanto vero che
piccoli ma significativi progressi
possono avere un'enorme
ricaduta a livello sociale,
considerando la vasta diffusione
di alcune neoplasie e la comune
tendenza ad un aumento della
incidenza delle patologie
oncologiche legata al
progressivo invecchiamento
della popolazione. Né, anche
nelle fasi più avanzate di
malattia, laddove i trattamenti
rivestono ancor oggi un ruolo
prevalentemente palliativo,
devono sfuggire i possibili
vantaggi delle terapie innovative
in termini di qualità della vita che
si riflettono non solo sullo stato
di benessere del singolo
cittadino ammalato ma che
possono avere forti ricadute
anche a livello socio-economico,
considerando che spesso una
bassa qualità della vita si
associa alla disabilità e/o
comunque alla incapacità di
provvedere autonomamente alle
necessità quotidiane più
elementari. Di questi vantaggi
dovrebbero pertanto tenere
conto gli esperti di farmacoeconomia, spesso impegnati in
approssimative valutazoni di
costo-beneficio e di costo-utilità
delle prestazioni sanitarie, sulle
cui risultanze i decisori politici
finiscono talvolta per
programmare tagli della spesa
sanitaria non sempre giustificati.
D'altra parte è fisiologico che
rinnovazione in campo
farmaceutico e tecnologico si
accompagni ad un incremento
sostanziale dei costi
dell'assistenza che può essere
limitato solo parzialmente dal
miglioramento dei processi
organizzativi. È chiaro a questo
punto che il problema della
sostenibilità non può essere
semplicemente circoscritto
nell'ambito delle valutazoni di
tipo tecnico e farmacoeconomico, ma investe ambiti
più ampi, dall'etica al concetto di
solidarietà e sussidiarietà, che a
loro volta Impegnano il decisore
verso scelte di tipo strategico e
politico che devono rispondere ai
bisogni dei cittadini, assicurando
una sanità equa.
* Ordinario di oncologia medica
e Primario oncologo Istituto
nazionale per la ricerca sul
cancro, Genova
rimo piano
Le novità
Dalla chemio ai bersagli molecolari
IN QUESTI ultimi anni la
terapia farmacologia dei
tumori ha avuto una
importante evoluzione con
la disponibilità di nuovi
tarmaci a bersaglio
molecolare. «Farmaci»,
sottolinea Marco Venturini,
tesoriere nazionale Aiom,
«che si differenziano in
modo peculiare dalla
chemioterapia proprio
perché hanno dei bersagli
specifici, al contrario della
chemioterapia che agisce in
modo indiscriminato su
tutte le cellule che
proliferano». Cosa abbiamo
di nuovo per i prossimi due
anni? Innanzi tutto la
conferma che di tarmaci
chemioterapici ne vengono
sintetizzati sempre meno.
L'unico che si affaccerà alla
cllnica è Yixabepilone, che
sembra avere buona attività
nel tumore del seno e del
polmone. In arrivo invece
diversi farmaci a bersaglio
molecolare.
Per il tumore del seno, il
lapatinib. Piccola molecola
che ha una ottima attività
nei tumori della mammella
HER2 positivi, malattia per
la quale disponiamo anche
di altri farmaci specifici
quali il trastuzumab.
Per il tumore del rene dopo
l'avvento di sunitinib e
sorafenib, farmaci
antiangiogenetici con
modalità di azione
complessa, si avrà a
disposizione il
temsirolimus, molecola
non nuova che trova già
applicazione nell'ambito dei
"Più vantaggi che limiti
nei nuovifermaci,ma..!'
di Silvia Baqlioni
MANCHESTER
VALE la pena investire Ingenti risorse In farmaci motto
costosi che, in media, garantiscono un vantaggio in
termini di sopravvivenza di soli pochi mesi? Molti oncologi
clinici, soprattutto in Gran Bretagna, ritengono di no,
Proprio a Manchester, in occasione della tavola rotonda
dal titolo "Le nuove frontiere in oncologia", organizzata da
AstraZeneca, ha affrontato la questione Dino Amadori,
Direttore Dip. Oncologia di Forti. «Un farmaco biotec è in
grado di colpire un bersaglio preciso, una molecola
presente solo nelle cellule che provocano un certo tipo di
tumore. Per questo ci permette di offrire ai pazienti terapie
efficaci e poco tossiche. Il limite sta nel selezionare i
malati in base al loro profilo genetico e molecolare. Ma
anche così, solo il 60% risponde alla terapia».
Che speranza di sopravvivenza può avere questo
sottogruppo di pazienti? «I meccanismi d'azione di questi
farmaci non sono perfettamente chiarì. Molti pazienti
avranno un vantaggio di pochi mesi, ma per il 50% di loro
abbiamo osservato perìodi molto più lunghi, anche diversi
anni. La documentazione necessaria per registrare i
farmaci non offre nessuna spiegazione, come non
menziona effetti collaterali a lungo termine. Sono
necessari quindi ulteriori studi, che però le aziende
produttrici non hanno interesse a compiere».
Come si deve comportare il Sistema Sanitario? «Condivido
trapianti, ed il
bevacizumab, anticorpo
monoclonale diretto contro
il Vascular Endothelial
Growth Factor (fattore di
crescita dell'endotelio
vascolare o VEGF).
Il bevacizumab troverà
applicazione anche nei
tumori del seno avanzati, in
associazione ai
chemioterapici classici
quali il paclitaxel. Dopo
anni bui si aprono
finalmente per il carcinoma
renale importanti
prospettive con ben quattro
farmaci a disposizione.
Qualcosa si muove anche
per un altro tumore ritenuto
da sempre resistente alla
chemioterapia:
l'epatocarcinoma.
Per questo tumore primitivo
del fegato il sorafenib ha
dimostrato una buona
attività incrementando
anche se di poco la
sopravvivenza.
Stiamo sempre più vivendo
l'era della oncologia
molecolare e delle sue
applicazioni nei vari ambiti.
Ci aspettano anni di intenso
sviluppo scientifico in cui i
farmaci a bersaglio biologico
si stanno affiancando a
pieno titolo alla classica
chemioterapia ed
ormonoterapia.
Come combinare tutti
questi farmaci è una
importante sfida per la
medicina moderma ed un
ulteriore messaggio di
speranza ed ottimismo per i
pazienti.
(mp. s.)
A sinistra,
la molecola
del lapatinib,
farmaco per
il tumori al seno
Her2positivo.
Sotto,
un laboratorio
di ricerca
di biologia
molecolare.
in pieno la posizione di molti clinici che prescrivono
queste terapie nonostante i loro limiti, soprattutto in virtù
dei vantaggi che questi farmaci offrono al sottogruppo dei
"lungoviventi". Sono convinto, però, che le Regioni e il
Sistema Sanitario dovrebbero sollecitare le aziende a
fornire gratuitamente, agli istituti di ricerca, le quantità di
farmaci necessarie ad eseguire una serie di studi
indipendenti, per rendere queste terapie più efficienti e per
studiare i potenziali effetti collaterali, evidenziabili solo
quando il farmaco si somministra a migliaia di pazienti».
I costi di queste terapie sono, però, sempre molto alti.
Potrebbero essere abbattuti in qualche modo?
«Allungando I tempi del brevetto. Oggi dura 20 anni, ma i
primi 10-12, generalmente, vengono impiegati dalle
aziende per mettere a punto il farmaco. Una volta
depositato, non restano che 8 anni per ammortizzare gli
ingenti costi. Se questo periodo fosse più lungo anche le
aziende sanitarie ne trarrebbero profitto».
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