G.O.R. PROTEZIONE CIVILE
Corsi formativi generali
VULCANISMO
Analisi dei fenomeni vulcanici e
dei prodotti della loro attività
A cura di Fabio Benigni e Maurizio Buoso
Sommario
Sommario ____________________________________________________________________ III
Fenomeni vulcanici ______________________________________________________________1
Prodotti dell’attività vulcanica____________________________________________________ 1
Gas vulcanici ________________________________________________________________________ 1
Lave ______________________________________________________________________________ 1
Depositi piroclastici ___________________________________________________________________ 3
Attività vulcanica _____________________________________________________________ 5
Attività parossistica____________________________________________________________________ 6
Attività persistente ____________________________________________________________________ 7
Tipi di eruzioni_______________________________________________________________ 8
Forma e costituzione dei vulcani _________________________________________________ 9
Rischio vulcanico e prevenzione_________________________________________________ 10
Rischio vulcanico in Italia______________________________________________________ 12
Bibliografia ____________________________________________________________________14
III
IV
Fenomeni vulcanici
Il vulcanismo è il processo mediante il quale i magmi e i gas ad essi associati risalgono nella crosta
terrestre e da una bocca vengono emessi in superficie e nell’atmosfera. Il materiale magmatico si trova
in serbatoi magmatici o camere magmatiche in cui è risalito e si è concentrato per fusioni locali e
parziali di mantello o di crosta terrestre.
I magmi, per via della loro densità minore rispetto a quella delle rocce circostanti, sono sottoposti a una
spinta idrostatica che ne favorisce la risalita e, affinché possano giungere in superficie, occorre che la
pressione dei gas possa superare quella delle rocce che li ricoprono. La riduzione di pressione sul
magma che risale determina la subitanea e violenta separazione della fase gassosa predisponendo
l’eruzione, che è essenzialmente un processo di degassamento.
Prodotti dell’attività vulcanica
Il magma è un fuso prevalentemente silicatico contenente quantità variabili di cristalli e di sostanze
volatili. Queste ultime sono disciolte nel magma in condizioni di alta pressione ma si separano con
basse pressioni quando il magma risale verso la superficie.
Durante le eruzioni vulcaniche il magma dà origine a due principali tipi di prodotti: le lave e i piroclasti.
Le lave solidificano da colate di liquido contenente cristalli in sospensione, mentre i prodotti piroclastici
sono derivati dalla frammentazione del magma che viene rotto in brandelli con dimensioni molto
variabili durante le eruzioni esplosive.
Nei prodotti piroclastici possono essere presenti anche frammenti di rocce preesistenti vulcaniche e
non vulcaniche, provenienti dal substrato o dalle pareti del condotto vulcanico.
Gas vulcanici
Durante le eruzioni i gas si disperdono nell’atmosfera e un vulcano può emettere gas anche senza
eruttare gli altri componenti del magma.
I gas vulcanici sono costituiti mediamente per più del 90% di H2O; gli altri gas principali sono CO 2,
CO, H2, SO2, H2S e HCl. L’ossido di carbonio e l’idrogeno sono abbondanti alle alte temperature,
mentre l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato alle basse. L’anidride solforosa è talvolta presente in
quantità rilevante e si trasforma in acido solforico; l’acido cloridrico è frequente in quasi tutti i vulcani.
Il componente volatile più abbondante, l’H2O, viene emesso in quantità che varia da circa lo 0,1% in
peso nei magmi oceanici a circa il 5% in vulcani continentali. Una certa parte di questa acqua è di
origine meteorica, assorbita dal magma nei livelli superiori della crosta terrestre.
Una componente minore che ha però una certa importanza per i suoi effetti ambientali e climatici è la
SO2 che trasformandosi in acido solforico nell’ambiente contribuisce a rendere acide le piogge. La
stessa trasformazione avviene nel materiale vulcanico iniettato nella stratosfera in occasione delle
maggiori esplosioni vulcaniche: assorbendo le radiazioni solari può causare un temporaneo
raffreddamento del clima terrestre negli anni immediatamente seguenti. Infine l’acido cloridrico
introdotto nell’atmosfera in queste occasioni può contribuire a intaccare lo strato di ozono
assottigliandolo.
Lave
Il parametro che influisce maggiormente sulla morfologia e sulla
struttura delle lave è la viscosità che dipende dalla composizione
chimica, dalla quantità di gas e dalla temperatura del magma. Si
distinguono lave fluide e viscose; di norma le prime hanno
composizione basica, temperatura più elevata e sono caratterizzate
Fig. 1 0.1 – Sezione del fronte di colata di lava a blocchi mostrante gli
pseudostrati di flusso.
1
da emissione non violenta di gas vulcanici. Le lave viscose sono invece quelle maggiormente ricche in
SiO2 e più povere in Mg e Fe; la loro temperatura può essere inferiore anche alcune centinaia di gradi
rispetto a quella delle lave fluide e sono spesso associate a eruzioni esplosive. Le lave fluide danno
luogo a colate laviche mentre quelle viscose formano sovente domi.
Misure di temperatura delle
lave hanno dato valori
attorno a 1?000 °C con
massimi di oltre 1?200 °C e
minimi di 750 °C.
La morfologia superficiale
delle
colate
di
lava
solidificate varia moltissimo
e dipende dalla viscosità del
magma, dal tasso di
emissione e dall’ambiente di
messa
in
posto.
Si
distinguono
innanzitutto
colate di lava caratterizzate
da una superficie superiore
liscia, che assume spesso
forme caratteristiche nei
punti in cui il flusso è
compressivo; questi tipi di
colate si formano quando la
lava è poco viscosa, in colate
ben alimentate e che
fluiscono su pendii poco
inclinati. Vengono inoltre
distinte colate di lava a
superficie
superiore
accidentata che si osserva su
colate di lava viscosa
alimentate lentamente e che
scendono su pendii ripidi.
Un caso estremo di
quest’ultimo
tipo
di
morfologia superficiale delle
colate sono quelle dovute a
rottura di una crosta
compatta che si forma già in
vicinanza del punto di
emissione, dando origine a
blocchi
solidi
che
precipitano sul fronte e sui
lati delle colate.
La parte più superficiale di
una colata di lava può
solidificare
per
un
determinato
spessore
Fig. 10 .2 – La distribuzione dei vulcani attivi sulla Terra, mette in evidenza che essi
sono in prevalenza associati ai limiti di placca convergenti e divergenti.
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formando una sorta di tubo di crosta rigida entro il quale la lava continua a fluire. Se il flusso continua
anche quando è cessata l’alimentazione, il tubo si svuota completamente originando un tunnel di lava.
Questo tipo di struttura può raggiungere decine di chilometri di lunghezza ed è assai importante per
l’immagazzinamento e la circolazione dell’acqua sotterranea negli apparati vulcanici.
L’ultimo stadio del raffreddamento di una lava può produrre una caratteristica fessurazione colonnare
dovuta alla contrazione durante il raffreddamento che porta alla formazione di fratture perpendicolari
alla superficie di raffreddamento della colata.
Lave molto viscose si accumulano sopra o vicino alla bocca eruttiva in forma di colate più spesse che
estese oppure di domi all’incirca emisferici la cui costruzione può continuare per parecchi anni. La
graduale espansione e crescita dei domi porta anche a un’eccessiva pendenza dei fianchi e conseguenti
franamenti di qualche parte dei domi stessi. In rari casi la lava estrusa è così viscosa che emerge in
superficie come una massa di roccia solida sopra la bocca.
Depositi piroclastici
I frammenti eiettati nelle eruzioni vulcaniche esplosive sono
denominati piroclasti o tephra. I depositi piroclastici possono
essere composti da frammenti in gran parte sciolti oppure da
materiali coerenti e in questo caso costituiscono le piroclastiti.
Queste, a loro volta, possono essere composti da blocchi o
bombe e di tali materiali sono costituiti gli agglomerati e le
brecce piroclastiche oppure da frammenti di dimensioni inferiori
e in tal caso si parla di tufi.
I frammenti piroclastici sono distinti in juvenili, cristalli e litici.
I frammenti juvenili, derivati direttamente dal magma coinvolto
nell’eruzione esplosiva, possono avere un grado di vescicolazione
(quantità di cavità presenti) molto variabile e sono perciò
rappresentati sia da elementi densi che da elementi vescicolari.
Nei depositi piroclastici vi possono essere juvenili costituiti da
piccole schegge di vetro, di solito prodotte dalla frammentazione
delle pareti delle vescicole.
I cristalli possono essere quelli presenti in sospensione nel
magma e in questo caso sono da considerare juvenili oppure
derivare da rocce preesistenti frantumate.
Fig. 1 0.3 – Bombe vulcaniche, Etna.
I litici sono frammenti di rocce, sia di natura vulcanica che non
vulcanica, preesistenti all’eruzione e vengono definiti litici accidentali. Sono molto importante perché
forniscono informazioni sulla costituzione del substrato del vulcano e sulla composizione della camera
magmatica. A seconda della dimensione si distinguono blocchi e bombe in base alla loro composizione.
I blocchi sono costituiti da litici accidentali, le bombe da frammenti juvenili. Le bombe, parzialmente o
totalmente fluide nel momento in cui vengono eiettate, possono assumere una caratteristica forma
affusolata per avvitamento in aria e hanno spesso una crosta screpolata per rapido raffreddamento in
superficie.
Nelle eruzioni esplosive di maggiore energia è stato proposto il modello della colonna eruttiva dalla
quale, contemporaneamente e per meccanismi differenti, si possono generare tutti i tipi di depositi
piroclastici possibili. Durante la risalita nel condotto vulcanico, a causa della riduzione della pressione di
sconfinamento, i gas disciolti nel magma si liberano provocando un istantaneo aumento di volume del
magma e la sua frammentazione. La fuoriuscita dalla bocca di gas ad alta velocità fa da propellente
all’espulsione di grandi quantità di magma frammentato, di cristalli e di frammenti di rocce solide,
materiali che costituiscono la colonna eruttiva. Essa può raggiungere un’altezza di 15/20 km, ma può
arrivare fino a 40 km.
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Nella colonna eruttiva sono distinguibili due parti: la parte inferiore è un violento getto di gas e
particelle con velocità di 200/700 m/s, guidato dalla liberazione ed espansione dei volatili del magma.
Man mano che questo getto sale, la velocità diminuisce per effetto della sua dispersione, del
mescolamento con l’atmosfera e dell’azione della gravità sulle particelle trasportate. La parte superiore
della colonna continua a salire grazie alla spinta convettiva e all’espansione termica. In questa fase la
colonna galleggia nell’atmosfera con velocità di circa 50 m/s. La risalita si arresta quando la colonna
raggiunge la stessa densità dell’aria circostante. La nube eruttiva si espande ora lateralmente, assumendo
la forma di un fungo o di un pino e viene spostata dai venti.
Dal pennacchio eruttivo ricadono al suolo le particelle che non riescono più ad essere sostenute e
formano i depositi di caduta piroclastica. Un incremento di densità o una diminuzione della velocità del
getto eruttivo possono produrre un collasso gravitativo della colonna eruttiva e la conseguente
formazione di flussi piroclastici.
Depositi piroclastici di caduta
I frammenti di varie dimensioni raggiungono la superficie del suolo dopo aver percorso una traiettoria
balistica come proiettili scagliati dalla bocca di emissione, oppure si sedimentano a partire da nubi
turbolente di gas e materiale in sospensione trascinate da correnti eoliche a varia distanza dalla colonna
eruttiva, allorché la velocità di caduta delle particelle supera gli effetti portanti della turbolenza. I
depositi piroclastici di caduta che ne derivano mantengono di solito spessori uniformi su aree ristrette
ma via via decrescenti con l’allontanamento dal cratere e sono in genere ben selezionati.
Colate pir oclastiche
Le colate piroclastiche, prodotte in
eruzioni
altamente
esplosive
collegate con magmi molto viscosi
e silicei, sono flussi di materiali
piroclastici in sospensione entro gas
molto densi e pesanti. Sotto
l’influenza della gravità essi
scivolano sui pendii come una
valanga di neve superando ostacoli
e si estendono fino a notevoli
distanze dal punto di emissione
riempiendo valli e depressioni, con
tendenza quindi a smussare le
asperità della topografia.
Sinonimo di colata piroclastica è
nube ardente e spesso vengono
associate a domi che collassano per
gravità o in modo esplosivo oppure
lasciano fuggire una colonna
eruttiva che a sua volta collassa in
colata; il franamento di un settore
dell’apparato
vulcanico
può
innescare il collasso esplosivo di un
domo. In altri casi i flussi
Fig. 10 .4 – Modalità di formazione e caratteristiche dei tre principali tipi di
piroclastici possono essere collegati
depositi piroclastici.
con esplosione diretta lateralmente
che produce contemporaneamente
depositi da caduta, con trabocchi da
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crateri o con il collasso di una colonna eruttiva.
I depositi da flusso piroclastico presentano una scarsa selezione e sono spesso il risultato della
sovrapposizione di più unità di flusso, all’interno di ciascuna delle quali di solito la stratificazione è
assente. Sono frequentemente riconoscibili canali di degassamento, fessurazioni colonnari di
raffreddamento, legni carbonizzati e zone di saldatura.
Sur ges piroc lastici
I surges piroclastici sono flussi caratterizzati da una concentrazione
molto ridotta di frammenti e fluiscono tanto sotto la spinta
dell’esplosione che per azione della gravità. Sono in genere connessi
con esplosioni causate da contatto di magmi con acque sotterranee.
Consistono in raffiche orizzontali a propagazione anulare in cui
avvengono movimenti turbolenti di piroclasti in sospensione nei gas
che sono molto abbondanti rispetto ai frammenti. Il materiale
ammanta la topografia su cui si espande, tendendo ad accumularsi
con spessori maggiori nelle depressioni: il corpo deposizionale
risultante mostra quindi assottigliamenti e ispessimenti.
I depositi di surges hanno strutture sedimentarie unidirezionali
caratteristiche che permettono di ricostruire il loro senso di
propagazione.
Ialoc lastiti
Particolari depositi piroclastici sono le ialoclastiti costituite da
frammenti di vetro vulcanico che può avere subito devetrificazione
e formanti spesso veri e propri apparati vulcanici sottomarini. Sono
generate dalla frammentazione di vetro vulcanico quando il magma
basaltico viene emesso a contatto con acqua, probabilmente con
due distinti meccanismi. Uno di essi potrebbe essere l’esplosione
piroclastica per espansione dei gas consentita dalle pressioni
esistenti a profondità non superiori a qualche centinaio di metri e
un altro la rapida contrazione termica che determina la rottura in
frammenti del materiale eruttato alle maggiori profondità marine.
Colate di detriti e colate di fan go
Dopo la loro deposizione, i materiali piroclastici vengono spesso
rimaneggiati dall’azione delle acque meteoriche che li fanno franare
in colate di detriti e di fango denominate lahar, un termine di
origine indonesiana. Questi depositi hanno un aspetto caotico.
Attività vulcanica
In relazione al condotto di emissione vengono distinte le eruzioni
centrali, localizzate attorno a un punto, da quelle lineari, allineate su
grandi fratture. L’attività vulcanica può inoltre essere distinta in
parossistica oppure persistente. La prima dura un certo periodo e
poi si esaurisce, la seconda si protrae per molto tempo e poi termina
di solito con attività parossistica.
Fig. 1 0.5 – Differenti meccanismi proposti per la genesi di colate piroclastiche.
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Attività parossistica
L’attività parossistica può avvenire a condotto aperto, al termine di attività persistente, oppure a
condotto ostruito. In questo caso all’inizio un’esplosione libera il condotto con emissione di ceneri,
lapilli e da ultimo lave. Può infine manifestarsi come perforazione iniziale, in un’area ove prima non
esistevano apparati vulcanici.
Fig. 1 0.6 – Alcuni esempi di depositi piroclastici in diversi tipi di eruzioni vulcaniche.
Usando altri parametri per la classificazione, le eruzioni possono essere terminali se si verificano alla
sommità del condotto, laterali se avvengono da fratture nell’apparato vulcanico collegate con il
condotto ed eccentriche se da fratture apparentemente non collegate con il condotto principale; in
realtà queste ultime sono spesso laterali di origine profonda.
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Attività persistente
L’attività persistente può essere eruttiva, di lago di lava, effusiva, esalativa, termale e fumarolica.
L’attività di lago di lava, sostenuta da vigorosi persistenti moti convettivi nei condotti, è caratteristica
dei vulcani hawaiiani; questi laghi in genere occupano crateri-pozzo o voragini di sprofondamento simili
a piccole caldere.
Nel caso di magmi viscosi l’attività persistente effusiva dà luogo a domi oppure protrusioni. I domi
sono prodotti dall’apporto, in più riprese, di lava che ristagna alla bocca del condotto e in tal caso
vengono detti domi endogeni; lave molto fluide che si accumulano presso la bocca in conche o su
topografia pianeggiante formano domi esogeni.
Nelle
protrusioni
solide
o
semisolide il materiale, molto
viscoso, solidificando nel condotto
viene espulso sotto forma di guglia;
se il gas riesce a sfuggire alla base
della guglia, si possono originare
delle nubi ardenti.
Nel caso di magmi fluidi l’attività
persistente effusiva si manifesta con
effusioni lente, terminali o laterali,
di lave in colata. Le attività termale
e fumarolica sono collegate con il
raffreddamento di magmi in
profondità e comprendono sorgenti
termali, mofete, solfatare, fumarole,
soffioni e geyser.
Questi ultimi sono caratterizzati da
intermittenza
con
periodiche
espulsioni di vapori misti ad acqua
allo stato liquido, che svuotano
fratture.
Queste
vengono
successivamente di nuovo riempite
da acqua sotterranea che raggiunge
la temperatura di vaporizzazione
corrispondente alla pressione di
carico esistente a quella profondità.
Nell’attività
termale
l’acqua
coinvolta è prevalentemente quella
meteorica penetrata nel sottosuolo
dove origina falde acquifere e viene
riscaldata dal calore terrestre.
Fig. 10 .7 – Colate di fango e depositi di ceneri in seguito all’eruzione del
vulcano Pinatubo nelle Filippine nel Giugno 1991.
Fig. 1 0.8 – Eruzioni terminali, subterminali ed eccentriche dell’Etna.
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Tipi di eruzioni
Le classificazioni moderne tengono conto sia dei meccanismi di emissione sia della dimensione e della
distribuzione dei materiali emessi. Vengono distinti, con una terminologia che deriva in gran parte da
siti geografici, i seguenti tipi di eruzioni:
- hawaiane, emissione non violenta di lava molto fluida che scorre rapidamente, con gas che si
liberano in modo più o meno tranquillo e con pochi tephra. A volte nelle fasi iniziali si possono
verificare esplosioni con fontane di lava che talvolta raggiungono grandi altezze.
- stromboliane, caratterizzate da attività persistente di fontane di lava che raggiungono centinaia di
metri di altezza. Differiscono dalle precedenti perché la lava è un poco più viscosa ed espulsa a
brandelli in fontane, con intervalli di pochi minuti: il volume dei piroclasti che costruiscono coni di
scorie è in genere uguale o un po’ più grande di quello della lava che periodicamente viene emessa
in colate.
- pliniane, altamente esplosive, caratterizzate da grandi volumi di lapilli e ceneri pomicee eiettate in
una colonna eruttiva che raggiunge un’altezza di decine di chilometri, con ricadute di materiali su
una vasta area. Contemporaneamente o posteriormente all’elevarsi della colonna si producono
colate piroclastiche e a volte il materiale eiettato è così abbondante che lo svuotamento della
camera magmatica dà origine a una caldera per collasso.
In relazione alle dimensioni dell’area interessata dalla ricaduta di tephra vengono distinte le eruzioni
subpliniane, pliniane e ultrapliniane. Vengono classificate eruzioni freatopliniane quelle in cui un
magma vescicolato interagisce con acqua in prossimità della superficie del suolo formando
nell’esplosione una colonna eruttiva di ceneri molto fini che raggiunge grandissime altezze.
- vulcaniche, caratterizzate dall’interazione del
magma con le acque sotterranee; si verificano
dapprima numerose esplosioni, derivanti dalle
pressioni generate dal rapido passaggio
dell’acqua allo stato di vapore, e in seguito
emissioni di materiali piroclastici e conseguenti
colate degli stessi materiali.
- pelane, in questo tipo di eruzione le lave sono
molto
viscose
e
hanno
temperature
relativamente basse; tali caratteristiche limitano
le possibilità di una loro fuoriuscita dal cratere
per cui tendono a solidificarsi all’interno del
condotto vulcanico e ad ostruirlo. Si producono
pertanto domi o guglie formate da un ammasso
di lave in via di consolidamento o che si
innalzano dal cratere anche per centinaia di
metri. La crescita di queste protrusioni
semisolide è accompagnata dalla fuoriuscita
improvvisa di nubi incandescenti, dette nubi
ardenti formate da gas e ceneri surriscaldate. Si
genera cosi una vera e propria valanga di
materiali ad alta temperatura, che rotola lungo i
fianchi del vulcano ad altissima velocità (in
alcuni casi si sono raggiungono i 150 km/h),
superando distanze di vari chilometri.
Fig. 10.9 – Classificazione dei tipi di eruzione determinata
- surtseyane, sono freatomagmatiche prodotte dalle caratteristiche dei depositi di caduta: la dispersione,
cioè dall’interazione esplosiva di magma, in che aumenta con il crescere dell’altezza del pennacchio
eruttivo, e la percentuale di frammentazione del materiale
di ricaduta.
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genere basaltico, con acqua superficiale poco profonda o sotterranea. Nell’esplosione si formano
surges e si ha caduta di piroclasti; quando nel corso dell’eruzione si interrompono i contatti con
l’acqua si ha transizione ad attività stromboliana.
Alcune delle eruzioni sopra descritte sono il risultato dell’interazione dell’acqua superficiale e
sotterranea con il magma e sono dette freatomagmatiche; frequenti sono i lahar con esse collegati.
Se il magma non partecipa direttamente all’eruzione provocata dalla vaporizzazione delle acque
sotterranee e i tephra prodotti derivano dalle rocce accumulate nella bocca eruttiva o da quelle delle
pareti dei condotti si hanno eruzioni freatiche.
Esplosioni di gas, solitamente per vaporizzazione di acqua freatica, possono formare condotti
generalmente attraverso rocce sedimentarie poco piegate.
Forma e costituzione dei vulcani
Il tipo di attività vulcanica dipende
soprattutto dal contenuto in silice
dei magmi, all’aumentare del quale
l’attività diviene via via più
esplosiva.
Eruzioni caratterizzate da bassa
esplosività, con emissione quasi
solo di colate di lava danno
origine ai vulcani a scudo, con
fianchi a debole pendenza.
Vulcani misti e vulcani a strato
sono il risultato di alternanze di
colate di lava e di materiale
piroclastico; i fianchi hanno
maggiore pendenza rispetto a
Fig. 1 0.1 0 – Schema di un tipico strato-vulcano mostrante il cono, il cratere, il
condotto vulcanico centrale, il serbatoio magmatico, un cono di ceneri sepolto, quelli dei vulcani di lava. Eruzioni
un filone e i dicchi, uno dei quali costituisce un condotto alimentante un cono fortemente esplosive danno luogo
laterale e una colata lavica.
a vulcani di materiali piroclastici.
Numerosi dicchi di rocce ignee,
disposti in vario modo tagliano
spesso gli apparati vulcanici.
Forme caratteristiche sono le caldere, depressioni circolari di dimensioni maggiori dei crateri, dovute
all’abbassamento della parte centrale dell’edificio lungo faglie anulari, in genere per l’evacuazione della
parte sottostante durante l’eruzione. Simili alle caldere ma di dimensioni minori sono i crateri-pozzi, di
solito effimeri e che spesso si ingrandiscono per coalescenza con altri vicini.
Edifici vulcanici costruiti dai prodotti emessi
da eruzioni freatomagmatiche sono gli anelli
di tufi e i coni di tufi. I primi hanno bastioni
bassi e pendii dolci e sono attribuiti a
eruzioni secche nelle quali il vapore prodotto
è surriscaldato e i piroclasti vengono messi in
posto asciutti. I secondi hanno bastioni
molto alti rispetto al diametro del cratere e
sono
il
risultato
di
esplosioni
freatomagmatiche umide che producono
vapore e depositi umidi, coesivi e fangosi.
Fig. 10. 11 – tipi morfologici di vulcani. I profili sono
schematizzati e le proporzioni relative rappresentate
approssimativamente.
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Altri vulcani prodotti da eruzioni freatomagmatiche hanno un rilievo poco accentuato se confrontato
con la larghezza del cratere il cui diametro varia da diverse centinaia di metri a diversi chilometri. Il
fondo del cratere, che di solito si trova a una quota inferiore a quella del piano della campagna
circostante, può essere riempito d’acqua che forma un laghetto.
In grandi edifici vulcanici come i vulcani a scudo, i vulcani a strato e i vulcani misti, l’enorme accumulo
di materiale può provocare delle instabilità gravitative che causano franamenti parziali dei fianchi degli
edifici.
Rischio vulcanico e prevenzione
Le regioni vulcaniche hanno da sempre attratto l’insediamento umano. I suoli derivanti dalla
disgregazione e dall’alterazione dei materiali vulcanici sono infatti notevolmente fertili. Le colture,
specialmente nelle regioni tropicali e subtropicali come nelle isole indonesiane, in Giappone, nell’Italia
meridionale, risalgono i versanti dei vulcani fino alle colate laviche più recenti che, non essendo ancora
alterate, non sono utilizzabili. Villaggi e città sono sorti ai piedi o sui fianchi dei vulcani.
Fig. 10 .12 – Per difendere Zafferana Etnea dalle colate laviche emesse nell’eruzione dell’Etna del 1991/1993, nella parte
inferiore della Val Calanna fu costruita una barriera la quale permise di bloccare temporaneamente il flusso lavico, che
tuttavia successivamente tracimò verso valle. L’arresto definitivo della colata verso valle si ottiene quando si riuscì a
deviare il flusso in prossimità della bocca.
L’uomo è quindi costantemente convissuto con il pericolo, pur essendo la storia antica e recente
costellata di eventi catastrofici. Nel 1982 in Messico l’eruzione del vulcano El Chichòn provocò 1?000
vittime, mentre quella del 1991 del Pinatubo nelle Filippine, che eiettò nell’atmosfera quasi 5 km3 di
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materiali piroclastici, uccise 500 persone. Le eruzioni più violente e distruttrici sono certamente quelle
di tipo esplosivo, come le pliniane o le peleane, ma anche quelle effusive sono in grado di provocare
notevoli danni. Le colate laviche possono distruggere i centri abitati (Catania alle pendici dell’Etna è
stata semidistrutta nel 1669), incendiare e danneggiare colture e boschi, ricoprire i terreni agrari che
restano poi inutilizzabili per secoli.
In particolari regioni della Terra, come l’Islanda o la catena andina, dove i vulcani sono ricoperti da
ghiacciai, le eruzioni provocano la fusione di enormi masse di ghiaccio; le acque che ne derivano si
caricano di detriti e producono colate di fango spesso devastanti. Sono fenomeni frequenti in Islanda,
dove i torrenti prodotti dalla fusione dei ghiacciai ad opera delle eruzioni vulcaniche vengono
denominati jökullhaupt. In questa regione la scarsa densità della popolazione limita solitamente i danni
alle persone quando si verificano eventi di questo tipo; sono però sempre notevoli quelli alle vie di
comunicazione (strade e ponti vengono distrutti e ricoperti da detriti grossolani). Perdite elevatissime di
vite umane si sono verificate invece sulle Ande, dove intere cittadine sono state spazzate via da immani
colate di fango, anche in questo caso prodotte dalla fusione di ghiaccio e neve in seguito ad eruzioni
vulcaniche.
Si ebbero 25?000 vittime, ad esempio, nel 1985 ai piedi del vulcano Nevado del Ruiz in Colombia,
quando una colata di fango seppellì la città di Armero.
Una situazione di rischio vulcanico molto particolare è costituita dall’accumulo di biossido di carbonio
sul fondo di laghi che si trovano all’interno di crateri. La liberazione improvvisa di questo gas può
determinare nubi letali che si riversano nelle valli circostanti il vulcano. Un fenomeno di questo tipo
avvenne nel 1986 in Camerun e provocò la morte di 1?700 persone in un raggio di 25 km dal lago.
Tenendo conto della continua situazione di pericolosità che esiste nei dintorni dei vulcani attivi, è
chiaro che, specialmente in tempi recenti, si sono moltiplicati gli sforzi per tentare di prevedere le
eruzioni e per limitarne i danni. Un vulcano si definisce attivo non solo quando è in eruzione, ma anche
quando si hanno notizie di eruzioni in tempi storici, la qual cosa può far ipotizzare una sua riattivazione
in futuro. Le previsioni delle eruzioni devono quindi basarsi su un’accurata ricerca storica e sul
monitoraggio dell’evoluzione in atto. Il primo tipo di ricerca fornisce la datazione precisa delle eruzioni
in un determinato sito e consente di determinare, seppure approssimativamente, i tempi di ritorno del
fenomeno. Il monitoraggio, effettuato mediante appositi osservatori situati sul vulcano e negli
immediati dintorni, e fondamentale in quanto un’eruzione è solitamente preceduta da segni
premonitori. Devono essere compiute osservazioni in continuo sull’attività sismica della zona, poiché si
è osservato che le eruzioni sono quasi sempre precedute dall’aumento del numero di sismi a bassa
intensità. Questi sono provocati dall’apertura di fratture, attraverso le quali i magmi possono incanalarsi
verso la superficie, oppure dai movimenti di risalita del magma stesso (in tal caso i sismi presentano
ipocentri con profondità sempre minore man mano che l’eruzione si avvicina). Anche le deformazioni
che si producono nel suolo (variazioni di pendenza dei versanti) vengono rilevate con appositi
strumenti (clinometri oppure strumentazioni che fanno riferimento a satelliti) e possono fornire
interessanti informazioni sulle probabilità di eruzione. Le deformazioni sono infatti il risultato del
rigonfiamento del settore sommitale dei vulcani provocato dal magma in ascesa. Importante è anche il
monitoraggio termico e geochimico dei gas e dei vapori emessi dai vulcani in fase di quiescenza
(fumarole); variazioni della loro temperatura e dei loro caratteri chimici possono intatti indicare
spostamenti dei magmi e modificazioni delle loro caratteristiche.
Nessuno di questi segni premonitori, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche fornisce tuttavia
indicazioni sicure sul verificarsi dell’eruzione. È quindi opportuno predisporre nelle aree vulcaniche
densamente popolate sia progetti per il contenimento dei danni che le colate di lava potrebbero arrecare
agli edifici ed alle infrastrutture sia piani di emergenza per l’evacuazione della popolazione. Al fine di
contenere danni e pericoli si ricorre alla costruzione di sbarramenti atti ad arrestare per qualche tempo
la lava e farla deviare lungo alvei appositamente predisposti. Qualche risultato si ottiene anche
raffreddando rapidamente con grandi quantità di acqua la superficie della lava per favorirne il
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consolidamento e il rallentamento; tale metodo e stato usato nel 1973 durante leruzione di un vulcano
sull’isola di Heimaey in Islanda, sulla colata che si era diretta verso il porto, minacciando di ostruirlo e
di bloccare completamente l’accesso all’isola.
Rischio vulcanico in Italia
In Italia si trovano tracce di attività vulcanica attribuibili a tutte le fasi della sua storia geologica, dalle
lave basaltiche delle Alpi Carniche (Paleozoico) a quelle sottomarine dell’Appennino e della Sicilia
(Mesozoico), fino alle rioliti e alle trachiti dei Colli Euganei (Cenozoico). Per quanto riguarda il rischio,
l’interesse viene riservato soprattutto ai fenomeni vulcanici più recenti (del Quaternario e in particolare
degli ultimi 10?000 anni).
Fig. 1 0.1 3 – Pericolosità dei vulcani italiani.
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Il concetto di rischio vulcanico comprende sia la probabilità che un’eruzione possa verificarsi, sia i
danni alle persone e alle cose che quell’evento potrebbe provocare. È chiaro che il continuo aumento
numerico e dimensionale delle aree insediative, agricole, industriali e commerciali, estende
notevolmente il rischio.
In Italia un’area vulcanica ad altissimo rischio è sicuramente quella del Vesuvio, attualmente in fase di
quiescenza, sulle cui pendici vive circa un milione di persone.
Nell’attività di questo vulcano sono stati riconosciuti almeno sei grandi cicli a partire da 17?000 anni fa;
ciascuno di questi è iniziato con un’eruzione di tipo pliniano ad alta esplosività, seguita dalla caduta dei
materiali iniettati in atmosfera e da flussi piroclastici. L’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei,
segnò l’inizio del ciclo più recente, la cui ultima manifestazione risale al 1944. Dal 1631 al 1944 si è
verificata una ventina di piccoli cicli eruttivi, separati da periodi di stasi di qualche decennio. È chiaro
che nel caso di un’eruzione di grande entità la protezione attiva (per esempio la costruzione di barriere)
avrebbe una ben scarsa efficacia. Secondo recenti simulazioni al calcolatore dei vulcanologi che
mantengono sotto stretta sorveglianza il Vesuvio, nel caso di un’eruzione di notevole entità in poco più
di dieci minuti tutta la fascia compresa in un raggio di 7 km attorno alla bocca del vulcano sarebbe
sottoposta a completa distruzione. Si attuerebbe la successione di eventi verificatasi nel 79 d.C.: caduta
di pomici, flusso di cenere e di materiali piroclastici, colate di fango. Il versante più a rischio, tenendo
conto della direzione dei venti ad alta quota, sarebbe quello sud-orientale. Lapilli e pomici potrebbero
accumularsi per uno spessore di oltre 20 cm fino a Eboli e Savignano. Nella fascia compresa fra
Ottaviano e Torre Annunziata gli spessori dei materiali piroclastici potrebbero superare i 4 m, mentre
tutta l’area comprendente Torre Annunziata, Torre del Greco e i sobborghi sud-orientali di Napoli,
sarebbe minacciata da colate di fango e di materiali piroclastici.
Di fronte a queste eventualità, l’unica possibilità è la difesa passiva, la capacità cioè di riconoscere e
interpretare i segni premonitori che indicano ravvicinarsi di un’eruzione per mettere in atto i piani di
emergenza che consentano l’evacuazione dell’area. È chiaro che si tratta di piani di notevole
complessità logistica e organizzativa, che devono basarsi anche sulla disponibilità e la presa di coscienza
di chi vive in queste aree; fondamentale è quindi l’opera di divulgazione dei problemi e dei rischi legati
al vulcanismo. Per quanto riguarda il Vesuvio è stato predisposto, allorché si manifestino evidenti indizi
di una possibile imminente eruzione, un piano nazionale di emergenza, che consenta l’allontanamento
dalle zone a rischio di oltre mezzo milione di persone.
Piani di evacuazione della popolazione sono stati predisposti anche per l’isola di Vulcano nelle Eolie,
dove l’elevata concentrazione di turisti durante l’estate renderebbe sicuramente più complesse le
operazioni di sgombero. Il pericolo maggiore è rappresentato, come per il Vesuvio, da esplosioni e
colate piroclastiche, cui potrebbero aggiungersi emissioni di gas nocivi.
Per i vulcani la cui attività è prevalentemente effusiva, come l’Etna o lo Stromboli, gli interventi
possono essere di tipo attivo, con la deviazione cioè del flusso lavico. Sull’Etna i rischi maggiori sono
rappresentati dall’apertura di bocche crateriche secondarie, che potrebbe verificarsi dalla sommità fino
ad una quota di 300/400 m, e dalle colate laviche che, come già è accaduto in diverse occasioni,
potrebbero arrivare fino alla costa. Interventi diretti sulle colate laviche dell’Etna sono stati effettuati
con un certo successo in occasione di eruzioni recenti. Le colate, che minacciarono gli abitati di
Nicolosi nel 1983 e di Zafferana Etnea nel 1992, furono deviate facendo saltare con esplosivi una parte
degli argini entro cui scorreva la lava e ostruendo il canale principale di scorrimento.
Va infine aggiunto che per i vulcani come l’Etna e lo Stromboli, dove le manifestazioni eruttive sono
frequenti, le situazioni di rischio si sono accentuate in tempi recenti. L’eruzione, effusiva o esplosiva,
costituisce infatti un richiamo irresistibile su curiosi, che tendono a ignorare blocchi e divieti pur di
fotografare colate di lava o crateri che eruttano ceneri e lapilli.
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Bibliografia
BERNARDI, SMIRAGLIA – L’ambiente dell’uomo, introduzione alla geografia fisica.
Patron Editore
CASATI P. – Scienze della Terra, elementi di geologia generale.
Città Studi Edizioni
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