G.O.R. PROTEZIONE CIVILE Corsi formativi generali VULCANISMO Analisi dei fenomeni vulcanici e dei prodotti della loro attività A cura di Fabio Benigni e Maurizio Buoso Sommario Sommario ____________________________________________________________________ III Fenomeni vulcanici ______________________________________________________________1 Prodotti dell’attività vulcanica____________________________________________________ 1 Gas vulcanici ________________________________________________________________________ 1 Lave ______________________________________________________________________________ 1 Depositi piroclastici ___________________________________________________________________ 3 Attività vulcanica _____________________________________________________________ 5 Attività parossistica____________________________________________________________________ 6 Attività persistente ____________________________________________________________________ 7 Tipi di eruzioni_______________________________________________________________ 8 Forma e costituzione dei vulcani _________________________________________________ 9 Rischio vulcanico e prevenzione_________________________________________________ 10 Rischio vulcanico in Italia______________________________________________________ 12 Bibliografia ____________________________________________________________________14 III IV Fenomeni vulcanici Il vulcanismo è il processo mediante il quale i magmi e i gas ad essi associati risalgono nella crosta terrestre e da una bocca vengono emessi in superficie e nell’atmosfera. Il materiale magmatico si trova in serbatoi magmatici o camere magmatiche in cui è risalito e si è concentrato per fusioni locali e parziali di mantello o di crosta terrestre. I magmi, per via della loro densità minore rispetto a quella delle rocce circostanti, sono sottoposti a una spinta idrostatica che ne favorisce la risalita e, affinché possano giungere in superficie, occorre che la pressione dei gas possa superare quella delle rocce che li ricoprono. La riduzione di pressione sul magma che risale determina la subitanea e violenta separazione della fase gassosa predisponendo l’eruzione, che è essenzialmente un processo di degassamento. Prodotti dell’attività vulcanica Il magma è un fuso prevalentemente silicatico contenente quantità variabili di cristalli e di sostanze volatili. Queste ultime sono disciolte nel magma in condizioni di alta pressione ma si separano con basse pressioni quando il magma risale verso la superficie. Durante le eruzioni vulcaniche il magma dà origine a due principali tipi di prodotti: le lave e i piroclasti. Le lave solidificano da colate di liquido contenente cristalli in sospensione, mentre i prodotti piroclastici sono derivati dalla frammentazione del magma che viene rotto in brandelli con dimensioni molto variabili durante le eruzioni esplosive. Nei prodotti piroclastici possono essere presenti anche frammenti di rocce preesistenti vulcaniche e non vulcaniche, provenienti dal substrato o dalle pareti del condotto vulcanico. Gas vulcanici Durante le eruzioni i gas si disperdono nell’atmosfera e un vulcano può emettere gas anche senza eruttare gli altri componenti del magma. I gas vulcanici sono costituiti mediamente per più del 90% di H2O; gli altri gas principali sono CO 2, CO, H2, SO2, H2S e HCl. L’ossido di carbonio e l’idrogeno sono abbondanti alle alte temperature, mentre l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato alle basse. L’anidride solforosa è talvolta presente in quantità rilevante e si trasforma in acido solforico; l’acido cloridrico è frequente in quasi tutti i vulcani. Il componente volatile più abbondante, l’H2O, viene emesso in quantità che varia da circa lo 0,1% in peso nei magmi oceanici a circa il 5% in vulcani continentali. Una certa parte di questa acqua è di origine meteorica, assorbita dal magma nei livelli superiori della crosta terrestre. Una componente minore che ha però una certa importanza per i suoi effetti ambientali e climatici è la SO2 che trasformandosi in acido solforico nell’ambiente contribuisce a rendere acide le piogge. La stessa trasformazione avviene nel materiale vulcanico iniettato nella stratosfera in occasione delle maggiori esplosioni vulcaniche: assorbendo le radiazioni solari può causare un temporaneo raffreddamento del clima terrestre negli anni immediatamente seguenti. Infine l’acido cloridrico introdotto nell’atmosfera in queste occasioni può contribuire a intaccare lo strato di ozono assottigliandolo. Lave Il parametro che influisce maggiormente sulla morfologia e sulla struttura delle lave è la viscosità che dipende dalla composizione chimica, dalla quantità di gas e dalla temperatura del magma. Si distinguono lave fluide e viscose; di norma le prime hanno composizione basica, temperatura più elevata e sono caratterizzate Fig. 1 0.1 – Sezione del fronte di colata di lava a blocchi mostrante gli pseudostrati di flusso. 1 da emissione non violenta di gas vulcanici. Le lave viscose sono invece quelle maggiormente ricche in SiO2 e più povere in Mg e Fe; la loro temperatura può essere inferiore anche alcune centinaia di gradi rispetto a quella delle lave fluide e sono spesso associate a eruzioni esplosive. Le lave fluide danno luogo a colate laviche mentre quelle viscose formano sovente domi. Misure di temperatura delle lave hanno dato valori attorno a 1?000 °C con massimi di oltre 1?200 °C e minimi di 750 °C. La morfologia superficiale delle colate di lava solidificate varia moltissimo e dipende dalla viscosità del magma, dal tasso di emissione e dall’ambiente di messa in posto. Si distinguono innanzitutto colate di lava caratterizzate da una superficie superiore liscia, che assume spesso forme caratteristiche nei punti in cui il flusso è compressivo; questi tipi di colate si formano quando la lava è poco viscosa, in colate ben alimentate e che fluiscono su pendii poco inclinati. Vengono inoltre distinte colate di lava a superficie superiore accidentata che si osserva su colate di lava viscosa alimentate lentamente e che scendono su pendii ripidi. Un caso estremo di quest’ultimo tipo di morfologia superficiale delle colate sono quelle dovute a rottura di una crosta compatta che si forma già in vicinanza del punto di emissione, dando origine a blocchi solidi che precipitano sul fronte e sui lati delle colate. La parte più superficiale di una colata di lava può solidificare per un determinato spessore Fig. 10 .2 – La distribuzione dei vulcani attivi sulla Terra, mette in evidenza che essi sono in prevalenza associati ai limiti di placca convergenti e divergenti. 2 formando una sorta di tubo di crosta rigida entro il quale la lava continua a fluire. Se il flusso continua anche quando è cessata l’alimentazione, il tubo si svuota completamente originando un tunnel di lava. Questo tipo di struttura può raggiungere decine di chilometri di lunghezza ed è assai importante per l’immagazzinamento e la circolazione dell’acqua sotterranea negli apparati vulcanici. L’ultimo stadio del raffreddamento di una lava può produrre una caratteristica fessurazione colonnare dovuta alla contrazione durante il raffreddamento che porta alla formazione di fratture perpendicolari alla superficie di raffreddamento della colata. Lave molto viscose si accumulano sopra o vicino alla bocca eruttiva in forma di colate più spesse che estese oppure di domi all’incirca emisferici la cui costruzione può continuare per parecchi anni. La graduale espansione e crescita dei domi porta anche a un’eccessiva pendenza dei fianchi e conseguenti franamenti di qualche parte dei domi stessi. In rari casi la lava estrusa è così viscosa che emerge in superficie come una massa di roccia solida sopra la bocca. Depositi piroclastici I frammenti eiettati nelle eruzioni vulcaniche esplosive sono denominati piroclasti o tephra. I depositi piroclastici possono essere composti da frammenti in gran parte sciolti oppure da materiali coerenti e in questo caso costituiscono le piroclastiti. Queste, a loro volta, possono essere composti da blocchi o bombe e di tali materiali sono costituiti gli agglomerati e le brecce piroclastiche oppure da frammenti di dimensioni inferiori e in tal caso si parla di tufi. I frammenti piroclastici sono distinti in juvenili, cristalli e litici. I frammenti juvenili, derivati direttamente dal magma coinvolto nell’eruzione esplosiva, possono avere un grado di vescicolazione (quantità di cavità presenti) molto variabile e sono perciò rappresentati sia da elementi densi che da elementi vescicolari. Nei depositi piroclastici vi possono essere juvenili costituiti da piccole schegge di vetro, di solito prodotte dalla frammentazione delle pareti delle vescicole. I cristalli possono essere quelli presenti in sospensione nel magma e in questo caso sono da considerare juvenili oppure derivare da rocce preesistenti frantumate. Fig. 1 0.3 – Bombe vulcaniche, Etna. I litici sono frammenti di rocce, sia di natura vulcanica che non vulcanica, preesistenti all’eruzione e vengono definiti litici accidentali. Sono molto importante perché forniscono informazioni sulla costituzione del substrato del vulcano e sulla composizione della camera magmatica. A seconda della dimensione si distinguono blocchi e bombe in base alla loro composizione. I blocchi sono costituiti da litici accidentali, le bombe da frammenti juvenili. Le bombe, parzialmente o totalmente fluide nel momento in cui vengono eiettate, possono assumere una caratteristica forma affusolata per avvitamento in aria e hanno spesso una crosta screpolata per rapido raffreddamento in superficie. Nelle eruzioni esplosive di maggiore energia è stato proposto il modello della colonna eruttiva dalla quale, contemporaneamente e per meccanismi differenti, si possono generare tutti i tipi di depositi piroclastici possibili. Durante la risalita nel condotto vulcanico, a causa della riduzione della pressione di sconfinamento, i gas disciolti nel magma si liberano provocando un istantaneo aumento di volume del magma e la sua frammentazione. La fuoriuscita dalla bocca di gas ad alta velocità fa da propellente all’espulsione di grandi quantità di magma frammentato, di cristalli e di frammenti di rocce solide, materiali che costituiscono la colonna eruttiva. Essa può raggiungere un’altezza di 15/20 km, ma può arrivare fino a 40 km. 3 Nella colonna eruttiva sono distinguibili due parti: la parte inferiore è un violento getto di gas e particelle con velocità di 200/700 m/s, guidato dalla liberazione ed espansione dei volatili del magma. Man mano che questo getto sale, la velocità diminuisce per effetto della sua dispersione, del mescolamento con l’atmosfera e dell’azione della gravità sulle particelle trasportate. La parte superiore della colonna continua a salire grazie alla spinta convettiva e all’espansione termica. In questa fase la colonna galleggia nell’atmosfera con velocità di circa 50 m/s. La risalita si arresta quando la colonna raggiunge la stessa densità dell’aria circostante. La nube eruttiva si espande ora lateralmente, assumendo la forma di un fungo o di un pino e viene spostata dai venti. Dal pennacchio eruttivo ricadono al suolo le particelle che non riescono più ad essere sostenute e formano i depositi di caduta piroclastica. Un incremento di densità o una diminuzione della velocità del getto eruttivo possono produrre un collasso gravitativo della colonna eruttiva e la conseguente formazione di flussi piroclastici. Depositi piroclastici di caduta I frammenti di varie dimensioni raggiungono la superficie del suolo dopo aver percorso una traiettoria balistica come proiettili scagliati dalla bocca di emissione, oppure si sedimentano a partire da nubi turbolente di gas e materiale in sospensione trascinate da correnti eoliche a varia distanza dalla colonna eruttiva, allorché la velocità di caduta delle particelle supera gli effetti portanti della turbolenza. I depositi piroclastici di caduta che ne derivano mantengono di solito spessori uniformi su aree ristrette ma via via decrescenti con l’allontanamento dal cratere e sono in genere ben selezionati. Colate pir oclastiche Le colate piroclastiche, prodotte in eruzioni altamente esplosive collegate con magmi molto viscosi e silicei, sono flussi di materiali piroclastici in sospensione entro gas molto densi e pesanti. Sotto l’influenza della gravità essi scivolano sui pendii come una valanga di neve superando ostacoli e si estendono fino a notevoli distanze dal punto di emissione riempiendo valli e depressioni, con tendenza quindi a smussare le asperità della topografia. Sinonimo di colata piroclastica è nube ardente e spesso vengono associate a domi che collassano per gravità o in modo esplosivo oppure lasciano fuggire una colonna eruttiva che a sua volta collassa in colata; il franamento di un settore dell’apparato vulcanico può innescare il collasso esplosivo di un domo. In altri casi i flussi Fig. 10 .4 – Modalità di formazione e caratteristiche dei tre principali tipi di piroclastici possono essere collegati depositi piroclastici. con esplosione diretta lateralmente che produce contemporaneamente depositi da caduta, con trabocchi da 4 crateri o con il collasso di una colonna eruttiva. I depositi da flusso piroclastico presentano una scarsa selezione e sono spesso il risultato della sovrapposizione di più unità di flusso, all’interno di ciascuna delle quali di solito la stratificazione è assente. Sono frequentemente riconoscibili canali di degassamento, fessurazioni colonnari di raffreddamento, legni carbonizzati e zone di saldatura. Sur ges piroc lastici I surges piroclastici sono flussi caratterizzati da una concentrazione molto ridotta di frammenti e fluiscono tanto sotto la spinta dell’esplosione che per azione della gravità. Sono in genere connessi con esplosioni causate da contatto di magmi con acque sotterranee. Consistono in raffiche orizzontali a propagazione anulare in cui avvengono movimenti turbolenti di piroclasti in sospensione nei gas che sono molto abbondanti rispetto ai frammenti. Il materiale ammanta la topografia su cui si espande, tendendo ad accumularsi con spessori maggiori nelle depressioni: il corpo deposizionale risultante mostra quindi assottigliamenti e ispessimenti. I depositi di surges hanno strutture sedimentarie unidirezionali caratteristiche che permettono di ricostruire il loro senso di propagazione. Ialoc lastiti Particolari depositi piroclastici sono le ialoclastiti costituite da frammenti di vetro vulcanico che può avere subito devetrificazione e formanti spesso veri e propri apparati vulcanici sottomarini. Sono generate dalla frammentazione di vetro vulcanico quando il magma basaltico viene emesso a contatto con acqua, probabilmente con due distinti meccanismi. Uno di essi potrebbe essere l’esplosione piroclastica per espansione dei gas consentita dalle pressioni esistenti a profondità non superiori a qualche centinaio di metri e un altro la rapida contrazione termica che determina la rottura in frammenti del materiale eruttato alle maggiori profondità marine. Colate di detriti e colate di fan go Dopo la loro deposizione, i materiali piroclastici vengono spesso rimaneggiati dall’azione delle acque meteoriche che li fanno franare in colate di detriti e di fango denominate lahar, un termine di origine indonesiana. Questi depositi hanno un aspetto caotico. Attività vulcanica In relazione al condotto di emissione vengono distinte le eruzioni centrali, localizzate attorno a un punto, da quelle lineari, allineate su grandi fratture. L’attività vulcanica può inoltre essere distinta in parossistica oppure persistente. La prima dura un certo periodo e poi si esaurisce, la seconda si protrae per molto tempo e poi termina di solito con attività parossistica. Fig. 1 0.5 – Differenti meccanismi proposti per la genesi di colate piroclastiche. 5 Attività parossistica L’attività parossistica può avvenire a condotto aperto, al termine di attività persistente, oppure a condotto ostruito. In questo caso all’inizio un’esplosione libera il condotto con emissione di ceneri, lapilli e da ultimo lave. Può infine manifestarsi come perforazione iniziale, in un’area ove prima non esistevano apparati vulcanici. Fig. 1 0.6 – Alcuni esempi di depositi piroclastici in diversi tipi di eruzioni vulcaniche. Usando altri parametri per la classificazione, le eruzioni possono essere terminali se si verificano alla sommità del condotto, laterali se avvengono da fratture nell’apparato vulcanico collegate con il condotto ed eccentriche se da fratture apparentemente non collegate con il condotto principale; in realtà queste ultime sono spesso laterali di origine profonda. 6 Attività persistente L’attività persistente può essere eruttiva, di lago di lava, effusiva, esalativa, termale e fumarolica. L’attività di lago di lava, sostenuta da vigorosi persistenti moti convettivi nei condotti, è caratteristica dei vulcani hawaiiani; questi laghi in genere occupano crateri-pozzo o voragini di sprofondamento simili a piccole caldere. Nel caso di magmi viscosi l’attività persistente effusiva dà luogo a domi oppure protrusioni. I domi sono prodotti dall’apporto, in più riprese, di lava che ristagna alla bocca del condotto e in tal caso vengono detti domi endogeni; lave molto fluide che si accumulano presso la bocca in conche o su topografia pianeggiante formano domi esogeni. Nelle protrusioni solide o semisolide il materiale, molto viscoso, solidificando nel condotto viene espulso sotto forma di guglia; se il gas riesce a sfuggire alla base della guglia, si possono originare delle nubi ardenti. Nel caso di magmi fluidi l’attività persistente effusiva si manifesta con effusioni lente, terminali o laterali, di lave in colata. Le attività termale e fumarolica sono collegate con il raffreddamento di magmi in profondità e comprendono sorgenti termali, mofete, solfatare, fumarole, soffioni e geyser. Questi ultimi sono caratterizzati da intermittenza con periodiche espulsioni di vapori misti ad acqua allo stato liquido, che svuotano fratture. Queste vengono successivamente di nuovo riempite da acqua sotterranea che raggiunge la temperatura di vaporizzazione corrispondente alla pressione di carico esistente a quella profondità. Nell’attività termale l’acqua coinvolta è prevalentemente quella meteorica penetrata nel sottosuolo dove origina falde acquifere e viene riscaldata dal calore terrestre. Fig. 10 .7 – Colate di fango e depositi di ceneri in seguito all’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine nel Giugno 1991. Fig. 1 0.8 – Eruzioni terminali, subterminali ed eccentriche dell’Etna. 7 Tipi di eruzioni Le classificazioni moderne tengono conto sia dei meccanismi di emissione sia della dimensione e della distribuzione dei materiali emessi. Vengono distinti, con una terminologia che deriva in gran parte da siti geografici, i seguenti tipi di eruzioni: - hawaiane, emissione non violenta di lava molto fluida che scorre rapidamente, con gas che si liberano in modo più o meno tranquillo e con pochi tephra. A volte nelle fasi iniziali si possono verificare esplosioni con fontane di lava che talvolta raggiungono grandi altezze. - stromboliane, caratterizzate da attività persistente di fontane di lava che raggiungono centinaia di metri di altezza. Differiscono dalle precedenti perché la lava è un poco più viscosa ed espulsa a brandelli in fontane, con intervalli di pochi minuti: il volume dei piroclasti che costruiscono coni di scorie è in genere uguale o un po’ più grande di quello della lava che periodicamente viene emessa in colate. - pliniane, altamente esplosive, caratterizzate da grandi volumi di lapilli e ceneri pomicee eiettate in una colonna eruttiva che raggiunge un’altezza di decine di chilometri, con ricadute di materiali su una vasta area. Contemporaneamente o posteriormente all’elevarsi della colonna si producono colate piroclastiche e a volte il materiale eiettato è così abbondante che lo svuotamento della camera magmatica dà origine a una caldera per collasso. In relazione alle dimensioni dell’area interessata dalla ricaduta di tephra vengono distinte le eruzioni subpliniane, pliniane e ultrapliniane. Vengono classificate eruzioni freatopliniane quelle in cui un magma vescicolato interagisce con acqua in prossimità della superficie del suolo formando nell’esplosione una colonna eruttiva di ceneri molto fini che raggiunge grandissime altezze. - vulcaniche, caratterizzate dall’interazione del magma con le acque sotterranee; si verificano dapprima numerose esplosioni, derivanti dalle pressioni generate dal rapido passaggio dell’acqua allo stato di vapore, e in seguito emissioni di materiali piroclastici e conseguenti colate degli stessi materiali. - pelane, in questo tipo di eruzione le lave sono molto viscose e hanno temperature relativamente basse; tali caratteristiche limitano le possibilità di una loro fuoriuscita dal cratere per cui tendono a solidificarsi all’interno del condotto vulcanico e ad ostruirlo. Si producono pertanto domi o guglie formate da un ammasso di lave in via di consolidamento o che si innalzano dal cratere anche per centinaia di metri. La crescita di queste protrusioni semisolide è accompagnata dalla fuoriuscita improvvisa di nubi incandescenti, dette nubi ardenti formate da gas e ceneri surriscaldate. Si genera cosi una vera e propria valanga di materiali ad alta temperatura, che rotola lungo i fianchi del vulcano ad altissima velocità (in alcuni casi si sono raggiungono i 150 km/h), superando distanze di vari chilometri. Fig. 10.9 – Classificazione dei tipi di eruzione determinata - surtseyane, sono freatomagmatiche prodotte dalle caratteristiche dei depositi di caduta: la dispersione, cioè dall’interazione esplosiva di magma, in che aumenta con il crescere dell’altezza del pennacchio eruttivo, e la percentuale di frammentazione del materiale di ricaduta. 8 genere basaltico, con acqua superficiale poco profonda o sotterranea. Nell’esplosione si formano surges e si ha caduta di piroclasti; quando nel corso dell’eruzione si interrompono i contatti con l’acqua si ha transizione ad attività stromboliana. Alcune delle eruzioni sopra descritte sono il risultato dell’interazione dell’acqua superficiale e sotterranea con il magma e sono dette freatomagmatiche; frequenti sono i lahar con esse collegati. Se il magma non partecipa direttamente all’eruzione provocata dalla vaporizzazione delle acque sotterranee e i tephra prodotti derivano dalle rocce accumulate nella bocca eruttiva o da quelle delle pareti dei condotti si hanno eruzioni freatiche. Esplosioni di gas, solitamente per vaporizzazione di acqua freatica, possono formare condotti generalmente attraverso rocce sedimentarie poco piegate. Forma e costituzione dei vulcani Il tipo di attività vulcanica dipende soprattutto dal contenuto in silice dei magmi, all’aumentare del quale l’attività diviene via via più esplosiva. Eruzioni caratterizzate da bassa esplosività, con emissione quasi solo di colate di lava danno origine ai vulcani a scudo, con fianchi a debole pendenza. Vulcani misti e vulcani a strato sono il risultato di alternanze di colate di lava e di materiale piroclastico; i fianchi hanno maggiore pendenza rispetto a Fig. 1 0.1 0 – Schema di un tipico strato-vulcano mostrante il cono, il cratere, il condotto vulcanico centrale, il serbatoio magmatico, un cono di ceneri sepolto, quelli dei vulcani di lava. Eruzioni un filone e i dicchi, uno dei quali costituisce un condotto alimentante un cono fortemente esplosive danno luogo laterale e una colata lavica. a vulcani di materiali piroclastici. Numerosi dicchi di rocce ignee, disposti in vario modo tagliano spesso gli apparati vulcanici. Forme caratteristiche sono le caldere, depressioni circolari di dimensioni maggiori dei crateri, dovute all’abbassamento della parte centrale dell’edificio lungo faglie anulari, in genere per l’evacuazione della parte sottostante durante l’eruzione. Simili alle caldere ma di dimensioni minori sono i crateri-pozzi, di solito effimeri e che spesso si ingrandiscono per coalescenza con altri vicini. Edifici vulcanici costruiti dai prodotti emessi da eruzioni freatomagmatiche sono gli anelli di tufi e i coni di tufi. I primi hanno bastioni bassi e pendii dolci e sono attribuiti a eruzioni secche nelle quali il vapore prodotto è surriscaldato e i piroclasti vengono messi in posto asciutti. I secondi hanno bastioni molto alti rispetto al diametro del cratere e sono il risultato di esplosioni freatomagmatiche umide che producono vapore e depositi umidi, coesivi e fangosi. Fig. 10. 11 – tipi morfologici di vulcani. I profili sono schematizzati e le proporzioni relative rappresentate approssimativamente. 9 Altri vulcani prodotti da eruzioni freatomagmatiche hanno un rilievo poco accentuato se confrontato con la larghezza del cratere il cui diametro varia da diverse centinaia di metri a diversi chilometri. Il fondo del cratere, che di solito si trova a una quota inferiore a quella del piano della campagna circostante, può essere riempito d’acqua che forma un laghetto. In grandi edifici vulcanici come i vulcani a scudo, i vulcani a strato e i vulcani misti, l’enorme accumulo di materiale può provocare delle instabilità gravitative che causano franamenti parziali dei fianchi degli edifici. Rischio vulcanico e prevenzione Le regioni vulcaniche hanno da sempre attratto l’insediamento umano. I suoli derivanti dalla disgregazione e dall’alterazione dei materiali vulcanici sono infatti notevolmente fertili. Le colture, specialmente nelle regioni tropicali e subtropicali come nelle isole indonesiane, in Giappone, nell’Italia meridionale, risalgono i versanti dei vulcani fino alle colate laviche più recenti che, non essendo ancora alterate, non sono utilizzabili. Villaggi e città sono sorti ai piedi o sui fianchi dei vulcani. Fig. 10 .12 – Per difendere Zafferana Etnea dalle colate laviche emesse nell’eruzione dell’Etna del 1991/1993, nella parte inferiore della Val Calanna fu costruita una barriera la quale permise di bloccare temporaneamente il flusso lavico, che tuttavia successivamente tracimò verso valle. L’arresto definitivo della colata verso valle si ottiene quando si riuscì a deviare il flusso in prossimità della bocca. L’uomo è quindi costantemente convissuto con il pericolo, pur essendo la storia antica e recente costellata di eventi catastrofici. Nel 1982 in Messico l’eruzione del vulcano El Chichòn provocò 1?000 vittime, mentre quella del 1991 del Pinatubo nelle Filippine, che eiettò nell’atmosfera quasi 5 km3 di 10 materiali piroclastici, uccise 500 persone. Le eruzioni più violente e distruttrici sono certamente quelle di tipo esplosivo, come le pliniane o le peleane, ma anche quelle effusive sono in grado di provocare notevoli danni. Le colate laviche possono distruggere i centri abitati (Catania alle pendici dell’Etna è stata semidistrutta nel 1669), incendiare e danneggiare colture e boschi, ricoprire i terreni agrari che restano poi inutilizzabili per secoli. In particolari regioni della Terra, come l’Islanda o la catena andina, dove i vulcani sono ricoperti da ghiacciai, le eruzioni provocano la fusione di enormi masse di ghiaccio; le acque che ne derivano si caricano di detriti e producono colate di fango spesso devastanti. Sono fenomeni frequenti in Islanda, dove i torrenti prodotti dalla fusione dei ghiacciai ad opera delle eruzioni vulcaniche vengono denominati jökullhaupt. In questa regione la scarsa densità della popolazione limita solitamente i danni alle persone quando si verificano eventi di questo tipo; sono però sempre notevoli quelli alle vie di comunicazione (strade e ponti vengono distrutti e ricoperti da detriti grossolani). Perdite elevatissime di vite umane si sono verificate invece sulle Ande, dove intere cittadine sono state spazzate via da immani colate di fango, anche in questo caso prodotte dalla fusione di ghiaccio e neve in seguito ad eruzioni vulcaniche. Si ebbero 25?000 vittime, ad esempio, nel 1985 ai piedi del vulcano Nevado del Ruiz in Colombia, quando una colata di fango seppellì la città di Armero. Una situazione di rischio vulcanico molto particolare è costituita dall’accumulo di biossido di carbonio sul fondo di laghi che si trovano all’interno di crateri. La liberazione improvvisa di questo gas può determinare nubi letali che si riversano nelle valli circostanti il vulcano. Un fenomeno di questo tipo avvenne nel 1986 in Camerun e provocò la morte di 1?700 persone in un raggio di 25 km dal lago. Tenendo conto della continua situazione di pericolosità che esiste nei dintorni dei vulcani attivi, è chiaro che, specialmente in tempi recenti, si sono moltiplicati gli sforzi per tentare di prevedere le eruzioni e per limitarne i danni. Un vulcano si definisce attivo non solo quando è in eruzione, ma anche quando si hanno notizie di eruzioni in tempi storici, la qual cosa può far ipotizzare una sua riattivazione in futuro. Le previsioni delle eruzioni devono quindi basarsi su un’accurata ricerca storica e sul monitoraggio dell’evoluzione in atto. Il primo tipo di ricerca fornisce la datazione precisa delle eruzioni in un determinato sito e consente di determinare, seppure approssimativamente, i tempi di ritorno del fenomeno. Il monitoraggio, effettuato mediante appositi osservatori situati sul vulcano e negli immediati dintorni, e fondamentale in quanto un’eruzione è solitamente preceduta da segni premonitori. Devono essere compiute osservazioni in continuo sull’attività sismica della zona, poiché si è osservato che le eruzioni sono quasi sempre precedute dall’aumento del numero di sismi a bassa intensità. Questi sono provocati dall’apertura di fratture, attraverso le quali i magmi possono incanalarsi verso la superficie, oppure dai movimenti di risalita del magma stesso (in tal caso i sismi presentano ipocentri con profondità sempre minore man mano che l’eruzione si avvicina). Anche le deformazioni che si producono nel suolo (variazioni di pendenza dei versanti) vengono rilevate con appositi strumenti (clinometri oppure strumentazioni che fanno riferimento a satelliti) e possono fornire interessanti informazioni sulle probabilità di eruzione. Le deformazioni sono infatti il risultato del rigonfiamento del settore sommitale dei vulcani provocato dal magma in ascesa. Importante è anche il monitoraggio termico e geochimico dei gas e dei vapori emessi dai vulcani in fase di quiescenza (fumarole); variazioni della loro temperatura e dei loro caratteri chimici possono intatti indicare spostamenti dei magmi e modificazioni delle loro caratteristiche. Nessuno di questi segni premonitori, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche fornisce tuttavia indicazioni sicure sul verificarsi dell’eruzione. È quindi opportuno predisporre nelle aree vulcaniche densamente popolate sia progetti per il contenimento dei danni che le colate di lava potrebbero arrecare agli edifici ed alle infrastrutture sia piani di emergenza per l’evacuazione della popolazione. Al fine di contenere danni e pericoli si ricorre alla costruzione di sbarramenti atti ad arrestare per qualche tempo la lava e farla deviare lungo alvei appositamente predisposti. Qualche risultato si ottiene anche raffreddando rapidamente con grandi quantità di acqua la superficie della lava per favorirne il 11 consolidamento e il rallentamento; tale metodo e stato usato nel 1973 durante leruzione di un vulcano sull’isola di Heimaey in Islanda, sulla colata che si era diretta verso il porto, minacciando di ostruirlo e di bloccare completamente l’accesso all’isola. Rischio vulcanico in Italia In Italia si trovano tracce di attività vulcanica attribuibili a tutte le fasi della sua storia geologica, dalle lave basaltiche delle Alpi Carniche (Paleozoico) a quelle sottomarine dell’Appennino e della Sicilia (Mesozoico), fino alle rioliti e alle trachiti dei Colli Euganei (Cenozoico). Per quanto riguarda il rischio, l’interesse viene riservato soprattutto ai fenomeni vulcanici più recenti (del Quaternario e in particolare degli ultimi 10?000 anni). Fig. 1 0.1 3 – Pericolosità dei vulcani italiani. 12 Il concetto di rischio vulcanico comprende sia la probabilità che un’eruzione possa verificarsi, sia i danni alle persone e alle cose che quell’evento potrebbe provocare. È chiaro che il continuo aumento numerico e dimensionale delle aree insediative, agricole, industriali e commerciali, estende notevolmente il rischio. In Italia un’area vulcanica ad altissimo rischio è sicuramente quella del Vesuvio, attualmente in fase di quiescenza, sulle cui pendici vive circa un milione di persone. Nell’attività di questo vulcano sono stati riconosciuti almeno sei grandi cicli a partire da 17?000 anni fa; ciascuno di questi è iniziato con un’eruzione di tipo pliniano ad alta esplosività, seguita dalla caduta dei materiali iniettati in atmosfera e da flussi piroclastici. L’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei, segnò l’inizio del ciclo più recente, la cui ultima manifestazione risale al 1944. Dal 1631 al 1944 si è verificata una ventina di piccoli cicli eruttivi, separati da periodi di stasi di qualche decennio. È chiaro che nel caso di un’eruzione di grande entità la protezione attiva (per esempio la costruzione di barriere) avrebbe una ben scarsa efficacia. Secondo recenti simulazioni al calcolatore dei vulcanologi che mantengono sotto stretta sorveglianza il Vesuvio, nel caso di un’eruzione di notevole entità in poco più di dieci minuti tutta la fascia compresa in un raggio di 7 km attorno alla bocca del vulcano sarebbe sottoposta a completa distruzione. Si attuerebbe la successione di eventi verificatasi nel 79 d.C.: caduta di pomici, flusso di cenere e di materiali piroclastici, colate di fango. Il versante più a rischio, tenendo conto della direzione dei venti ad alta quota, sarebbe quello sud-orientale. Lapilli e pomici potrebbero accumularsi per uno spessore di oltre 20 cm fino a Eboli e Savignano. Nella fascia compresa fra Ottaviano e Torre Annunziata gli spessori dei materiali piroclastici potrebbero superare i 4 m, mentre tutta l’area comprendente Torre Annunziata, Torre del Greco e i sobborghi sud-orientali di Napoli, sarebbe minacciata da colate di fango e di materiali piroclastici. Di fronte a queste eventualità, l’unica possibilità è la difesa passiva, la capacità cioè di riconoscere e interpretare i segni premonitori che indicano ravvicinarsi di un’eruzione per mettere in atto i piani di emergenza che consentano l’evacuazione dell’area. È chiaro che si tratta di piani di notevole complessità logistica e organizzativa, che devono basarsi anche sulla disponibilità e la presa di coscienza di chi vive in queste aree; fondamentale è quindi l’opera di divulgazione dei problemi e dei rischi legati al vulcanismo. Per quanto riguarda il Vesuvio è stato predisposto, allorché si manifestino evidenti indizi di una possibile imminente eruzione, un piano nazionale di emergenza, che consenta l’allontanamento dalle zone a rischio di oltre mezzo milione di persone. Piani di evacuazione della popolazione sono stati predisposti anche per l’isola di Vulcano nelle Eolie, dove l’elevata concentrazione di turisti durante l’estate renderebbe sicuramente più complesse le operazioni di sgombero. Il pericolo maggiore è rappresentato, come per il Vesuvio, da esplosioni e colate piroclastiche, cui potrebbero aggiungersi emissioni di gas nocivi. Per i vulcani la cui attività è prevalentemente effusiva, come l’Etna o lo Stromboli, gli interventi possono essere di tipo attivo, con la deviazione cioè del flusso lavico. Sull’Etna i rischi maggiori sono rappresentati dall’apertura di bocche crateriche secondarie, che potrebbe verificarsi dalla sommità fino ad una quota di 300/400 m, e dalle colate laviche che, come già è accaduto in diverse occasioni, potrebbero arrivare fino alla costa. Interventi diretti sulle colate laviche dell’Etna sono stati effettuati con un certo successo in occasione di eruzioni recenti. Le colate, che minacciarono gli abitati di Nicolosi nel 1983 e di Zafferana Etnea nel 1992, furono deviate facendo saltare con esplosivi una parte degli argini entro cui scorreva la lava e ostruendo il canale principale di scorrimento. Va infine aggiunto che per i vulcani come l’Etna e lo Stromboli, dove le manifestazioni eruttive sono frequenti, le situazioni di rischio si sono accentuate in tempi recenti. L’eruzione, effusiva o esplosiva, costituisce infatti un richiamo irresistibile su curiosi, che tendono a ignorare blocchi e divieti pur di fotografare colate di lava o crateri che eruttano ceneri e lapilli. 13 Bibliografia BERNARDI, SMIRAGLIA – L’ambiente dell’uomo, introduzione alla geografia fisica. Patron Editore CASATI P. – Scienze della Terra, elementi di geologia generale. Città Studi Edizioni 14