Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno IV numero 2 - aprile 2012 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Sulla natura biologica dell'autismo: l'ipotesi disconnessionista Giovanni Coglitore Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Cognitive, Università di Messina Abstract L'autismo è un disordine dello sviluppo neurologico dell’infanzia caratterizzato da difficoltà sociali e di comunicazione e da una gamma di interessi e attività rigidi, ristretti e ripetitivi e dovuto alla complessa interazione di fattori genetici, biologici e ambientali. Le recenti scoperte genetiche e quelle derivate dagli studi di neuroimaging suggeriscono che l’autismo sia associato ad alterazioni della connettività durante lo sviluppo, che compromettono il normale processo di maturazione delle strutture neurali, provocando una disconnettività (ipoconnettività e/o iperconnettività) all’interno delle reti neurali con conseguente alterata sincronizzazione tra aree cerebrali critiche di “associazione di ordine superiore”, responsabili della insorgenza della sindrome autistica. Il modello concettuale della disconnettività dei circuiti neuronali, su cui ormai converge la comunità scientifica, ipotizza che l’autismo e i suoi segni e sintomi appaiono come un disordine di origine neurologica che interessa sistemi neurali distribuiti che hanno compromesso molte abilità cognitive e comportamentali di ordine superiore e fornisce un quadro di riferimento molto attendibile, in grado di spiegare le caratteristiche neurocomportamentali e cognitive del soggetto autistico. Scopo di questa review è di valutare il disturbo autistico dal punto di vista neurobiologico, attraverso le scoperte riportate dalla recente letteratura, mettendo insieme i dati dell’indagine genetica con quelli delle neuroimaging e di dare un contributo all’ipotesi che l’autismo sia un disturbo neurobiologico dello sviluppo, ovvero l’espressione finale di un disturbo causato da una vera e propria sindrome da disconnessione dello sviluppo cerebrale, che si realizza a partire dalla primissima infanzia. Keywords: autismo, genetica, neuroimaging, disconnettività Introduzione L'autismo è un disordine dello sviluppo neurologico dell’infanzia caratterizzato da difficoltà sociali e di comunicazione, e da una gamma di interessi e attività rigidi, limitati e ripetitivi (APA, 1994) e dovuto alla complessa interazione di fattori genetici, biologici e ambientali. La storia sulle cause dell’autismo, fin da quando è stato presentato alla comunità medicoscientifica da Leo Kanner (1943), è contrassegnata da ipotesi etiologiche formulate nel tempo; tuttavia nessuna di esse ha pienamente soddisfatto fondamentali questioni teoriche e ottenuto il consenso unanime della comunità scientifica. La Psichiatria per quasi mezzo secolo ha catalizzato l’interesse su questo disturbo classificandolo nel gruppo delle psicosi infantili e dominato l’agenda delle interpretazioni etiologiche, fornendo di volta in volta svariate ipotesi sulle cause psicogene (psicosociali o psicodinamiche) dell’autismo. Soltanto all’inizio degli anni ’80, con il Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders (DSM-III) redatto dall'American Psychiatric Association (APA, 1980), si è assistito ad una evoluzione del concetto di autismo, non più considerato una psicosi e classificato nel gruppo dei Disturbi Pervasivi (Generalizzati) dello Sviluppo. Successivamente, a partire dagli anni ’90, i progressi nello sviluppo tecnologico hanno determinato una fondamentale spinta per la comprensione delle cause dell’autismo, attraverso l’indagine genetica e l’applicazione delle tecniche di brainimaging. La scoperta di una moltitudine di geni (e le relative mutazioni/varianti genetiche) coinvolti nei processi del neurosviluppo e gli avanzamenti tecnologici nella diagnostica per immagini del cervello con la tomografia ad emissione di positrone (PET) e con la risonanza magnetica strutturale (sMRI) e funzionale (fMRI) hanno avuto un profondo impatto sulla comprensione delle basi neurobiologiche dell'autismo attraverso lo studio, anatomico e funzionale, della connettività cerebrale, migliorando decisamente le capacità di esaminare i substrati neurali dei processi cognitivi. Scopo di questa review è di valutare il disturbo autistico attraverso l’analisi della recente letteratura retrospettiva, mettendo insieme i dati dell’indagine genetica con quelli delle neuroimaging e di dare un contributo all’ipotesi che l’autismo sia l’espressione finale di un disturbo causato da una vera e propria sindrome da disconnessione dello sviluppo cerebrale, che si realizza a partire dalla primissima infanzia. Studi genetici Il riscontro epidemiologico della familiarità del disturbo autistico (concordanza dell’82-92% nei gemelli omozigoti e dell’1-10% nei gemelli dizigoti) [Persico & Bourgeron, 2006] e l’osservazione che i genitori, i fratelli e i parenti spesso mostrino tratti di personalità, anche se meno gravi, riconducibili ai deficit sociali solitamente osservati nei probandi autistici (Dawson et al., 2007), forniscono prove convincenti che la genetica abbia un ruolo chiave nella eziologia di questa affezione (Folstein & Rosen-Sheidley, 2001). Queste osservazioni hanno dato l’input agli studi della genetica dell’autismo. Recenti scoperte hanno identificato una moltitudine di geni, coinvolti nei processi maturativi dello sviluppo delle connessioni neurali, che conferiscono un rischio per l’autismo; tuttavia non è chiaro se il disturbo consegue a mutazioni genetiche rare o a interazioni multigeniche rare di comuni varianti genetiche (Abrahams & Geschwind, 2008; Buxbaum, 2009; Wang et al., 2009). Le reelin sono voluminose glicoproteine secrete durante lo sviluppo pre-natale dalle cellule di Cajal-Retzius dello strato marginale o dalle cellule dei granuli del cervelletto e implicate nella formazione del citoscheletro e nella migrazione delle cellule neuronali (Fatemi et al., 2005; Tissir & Goffinet, 2003). E’ stato proposto che la diminuzione dell'espressione genica reelin, dovuta alla variante del gene RELN, potrebbe comportare suscettibilità all’autismo (Acosta & Pearl, 2003; Persico & Bourgeron, 2006). Le neuroligine (NLGN) sono molecole di adesione cellulare che svolgono un ruolo nell’avviare la formazione pre-sinaptica (Akins & Biederer, 2006; Yamagata et al. 2003) e nel mantenere l'equilibrio tra segnali inibitori ed eccitatori (Chih et al., 2005). Queste molecole interagiscono con una famiglia di proteine chiamate β-neurexine durante la sinaptogenesi e ci sono prove che rare varianti nel numero di copie e varianti comuni dei geni che codificano per la neurexina 1 e la neurexina 3 contribuiscono alla suscettibilità all’autismo (Duvall et al., 2006). Le mutazioni nei geni che cocdificano per la neuroligina 3 e neuroligina 4 sono causa di anomalie sinaptiche nei soggetti con autismo (Jamain et al., 2003; Persico & Bourgeron, 2006). E’ stata segnalata una mutazione rara del gene SHANKE 3 che codifica per una proteina dell’impalcatura sinaptica normalmente coinvolta nel mantenere e sostenere le spine dendritiche (Durand, et al., 2007) e osservata una diminuzione di questa molecola in soggetti con autismo (Boeckers et al., 2002). Studi recenti hanno scoperto comuni varianti di 2 geni che codificano per una superfamiglia di proteine note come caderine, implicate nella guida degli assoni e nella formazione delle sinapsi (Paradis et al., 2007) nonché nella maturazione delle spine dendritiche e delle sinapsi eccitatorie (Abe et al., 2004). Comuni varianti genetiche sono state trovate sul cromosoma 5 e codificano per le proteine di adesione delle cellule neuronali, caderina 9 (CDH9) e caderina 10 (CDH10) e potrebbero essere responsabili del 15% di tutti i casi di autismo (Wang, et al., 2009). Si ha ragione di ipotizzare interessanti prospettive dalle indagini genetiche finalizzate a determinare il ruolo nell’autismo di diversi membri di famiglie di geni della contactina (CNTN) e della proteina associata alla contactina (CNTNAP), che svolgono una funzione essenziale come molecole di adesione per la formazione e plasticità delle reti neuronali. Diversi report suggeriscono che le mutazioni che interessano CNTN2, 3 e 4 possano essere rilevanti come loci di suscettibilità all'autismo, in combinazione con altri fattori genetici e/o ambientali (Alarcón et al., 2008; Arking et al., 2008; Roohi et al., 2009). Le mutazioni o le varianti dei geni candidati che codificano per le molecole di adesione cellulare possono provocare, dunque, alterazioni nella sintesi di queste proteine-ponte ritenute essenziali per la comunicazione interneuronale e compromettere il normale processo di maturazione dello sviluppo neuronale (Belmonte & Bourgeron, 2006; Bourgeron, 2007). Queste scoperte indicano la disfunzione sinaptica (Levy et al., 2009) come responsabile del fallimento della maturazione di alcuni percorsi sinaptici programmati, come quelli coinvolti con l'adesione cellulare (Betancur et al., 2009), causando disconnessione strutturale e funzionale di regioni del cervello coinvolte in associazioni di ordine superiore. Resta da chiarire il ruolo delle interazioni tra geni e fattori ambientali interni ed esterni che influenzano il neurosviluppo. Le scoperte genetiche sul ruolo delle molecole di adesione delle cellule neuronali appaiono coerenti con quelle emerse dagli studi istologici post-mortem del tessuto cerebrale, che hanno dimostrato nei soggetti autistici la presenza di anomalie nell'organizzazione delle cellule corticali (Casanova, 2007; Hutsler et al., 2007). Considerato il ritmo con cui procedono le scoperte genetiche, è probabile che nel prossimo futuro avvenga rapidamente l’identificazione di una serie più completa di geni coinvolti nel neurosviluppo e delle loro mutazioni e varianti, fornendo un terreno fertile per l'esplorazione neurobiologica delle cause dell’autismo e test genetici specifici, al momento non disponibili, in grado di confermare una diagnosi di autismo e di consentire una diagnosi precoce. Studi di imaging di risonanza magnetica La conoscenza delle linee dello sviluppo anatomico cerebrale e dei circuiti neurali negli individui normali e di come essi prendano forma e si sviluppino in epoca pre-natale e poi nel periodo post-natale fino all’età infantile e adolescenziale, è indispensabile per la comprensione delle alterazioni neuro-strutturali e dei correlati cognitivi osservati nell’autismo nella prima infanzia, atteso che l’insorgenza del disordine autistico ha le sue origini nelle fasi precoci del neurosviluppo e si manifesta solitamente prima dei 36 mesi di età (WHO, 2005). L’applicazione delle recenti tecniche di brain-imaging, che si aggiungono alle tradizionali indagini post-mortem, ha reso possibile lo studio dello sviluppo anatomico cerebrale e della connettività neurale, fornendo informazioni in vivo sulla struttura del cervello negli individui autistici. Studi di imaging di risonanza magnetica strutturale La risonanza magnetica strutturale (sMRI) consente la possibilità di produrre immagini ad alta risoluzione della struttura anatomica del cervello ed è ampiamente utilizzata nello studio delle alterazioni anatomiche del cervello autistico e in particolare per ottenere misure molto attendibili del volume dell’intero cervello e della sostanza grigia e bianca. A questa metodica si affianca con notevoli vantaggi l’imaging del tensore di diffusione (DTI), una modalità di risonanza magnetica che fornisce la possibilità di esaminare le strutture dei tessuti cerebrali in vivo sulla base dello studio della diffusione casuale delle molecole d’acqua che si diffondono isotropicamente in direzione parallela all'orientamento dei tratti di fibre della sostanza bianca, facilitate dalle guaine mieliniche che rivestono gli assoni (Ashtari et al., 2007; Lebel et al., 2008; Olson et al., 2009). Nel caso in cui le fibre sono meno dense, meno coerentemente organizzate o meno mielinizzate, in altre parole se l’integrità strutturale del tessuto è alterata, il movimento dell’acqua è più disperso e l’anisotropia è quindi considerata un indice della integrità della sostanza bianca. L’anisotropia frazionata, rilevata dalla MRI-DTI, assume pertanto il valore della misura della integrità dei tratti di fibre della sostanza bianca (Le Bihan, 2003). Mediante tale tecnica è possibile tracciare computazionalmente i tratti di fibre, esplorare in vivo la connettività anatomica tra le aree cerebrali determinando la posizione e l’orientamento dei percorsi assonali e tracciare la mappatura tridimensionale delle fibre di sostanza bianca che connettono differenti aree cerebrali. Volume cerebrale Le ricerche con sMRI hanno messo in evidenza una precoce crescita accelerata ed eccessiva del cervello e della circonferenza cranica nei soggetti con autismo, rilevabile nella prima infanzia, che si traduce in un volume medio del cervello di dimensioni più grandi (macrocefalia), stimabile nella misura del 5-10% del volume cerebrale totale (Hazlett et al., 2005; Sparks et al., 2002) e osservabile in circa il 20% dei bambini autistici (Fombonne et al., 1999; Lainhart et al., 2006). L’accelerazione della crescita cerebrale si manifesta a partire all’incirca dal primo anno di vita (9-12 mesi) [Courchesne et al., 2003; Mraz et al., 2007] e sembra raggiungere il picco intorno ai 2-4 anni di età, seguita da un periodo di crescita ridotta, con una graduale normalizzazione delle dimensioni con l’aumentare dell’età (Redcay & Courchesne, 2005). Nel corso dell’adolescenza e nell’età adulta non si osservano infatti significative differenze di volume cerebrale e di circonferenza cranica tra gli individui sani e quelli autistici (Bolton et al., 2001; Lainhart et al., 1997). Tali anomalie della crescita del cervello potrebbero essere riconducibili ad alterazioni dei fattori di crescita osservate nei neonati che successivamente manifesteranno i sintomi autistici (Nelson et al., 2006). Studi di imaging strutturale hanno identificato le principali regioni del cervello in cui è stata riscontrata la crescita cerebrale eccessiva, che viene segnalata nel lobo temporale (Kwon et al., 2004; Rojas et al., 2005), nel lobo parietale (Courchesne et al., 1993), nel talamo (Tsatsanis et al., 2003), nel tronco cerebrale (Rodier, 2002) e soprattutto nel lobo frontale con riferimento alla corteccia frontale mediale, corteccia prefrontale dorsolaterale e corteccia cingolata anteriore (Carper & Courchesne, 2005; Herbert et al., 2004). Le cause dell’aumento del volume del cervello nell'autismo sono attualmente sconosciute, anche se è plausibile che i fattori genetici (insieme ai fattori ambientali) possano essere importanti; analogamente sconosciuto e sorprendente è il motivo per cui la crescita accelerata del volume cerebrale inizia prima della comparsa dei sintomi clinici (Ulay & Ertugrul, 2009). Queste anomalie indicano, comunque, un disturbo dello sviluppo delle regioni del cervello responsabili di elevate funzioni cognitive, che si manifesterà più tardi nella vita dell’individuo autistico (Courchesne et al., 2001; Fidler et al., 2000; Miles et al., 2000). Sostanza grigia e bianca La scoperta fondamentale è che nell’incremento del volume del cervello degli individui autistici la sostanza grigia e la sostanza bianca aumentano, rispettivamente in media del 18% e del 38% (Courchesne et al., 2001; Herbert et al., 2003), in particolare nella corteccia cerebrale, nel cervelletto e nelle strutture limbiche e che durante l’adolescenza sostanza grigia e bianca si riducono parallelamente alla diminuzione del volume cerebrale. L’incremento volumetrico del cervello appare legato alla rapida crescita della sostanza grigia (aumento delle cellule gliali, delle ramificazioni dendritiche e della produzione di nuove sinapsi, diminuzione della potatura dendritica e sinaptica) e della sostanza bianca (mielinizzazione degli assoni) e all'esistenza di numerosi neuroni ancora più piccoli e densamente organizzati (Freidman et al., 2003). L’aumento di volume cerebrale consiste prevalentemente di un incremento della sostanza bianca, che negli studi con RMI-DTI appare mal organizzata nei bambini e negli adulti con autismo rispetto ai gruppi di controllo (Barnea-Goraly et al., 2010; Brito et al., 2009; Cheung et al., 2009; Fletcher et al., 2010; Lee et al., 2009; Sahyoun et al., 2010; Sivaswamy et al., 2010). La disorganizzazione della sostanza bianca chiama in causa il processo di mielinizzazione (Shukla et al., 2010) che appare più tardivo e protratto (Herbert et al., 2004, Herbert, 2005), per cui una significativa riduzione del contenuto di mielina della sostanza bianca potrebbe avere un ruolo nella genesi dell’autismo (Pujol et al., 2004). Viene anche ipotizzata un’anomalia nel contenuto di acqua nel tessuto della sostanza bianca degli individui autistici, che può rappresentare una base neurobiologica per la connettività corticale aberrante, significativa per la comparsa del disturbo autistico (Hendry et al., 2006). Alterazioni neuro-anatomiche Collegare le anomalie neuroanatomiche ai sintomi comportamentali e cognitivi dell’autismo è di fondamentale importanza per la comprensione del ruolo dei cambiamenti strutturali nella eziologia del disturbo. I tentativi dei ricercatori che si sono dedicati alle osservazioni delle alterazioni neuroanatomiche negli individui con autismo hanno avuto, infatti, come obiettivo di identificare le anomalie strutturali delle principali regioni del cervello che formano i presunti sistemi neurali interessati nell’autismo. Con questa metodologia l’indagine neuroanatomica è stata rivolta allo studio delle strutture che si ritengono coinvolte nei 3 classici compartimenti fondamentali alterati nell’autismo: 1) difficoltà nelle interazioni sociali (corteccia orbito-frontale, corteccia cingolata anteriore, giro fusiforme, solco temporale superiore, amigdala, regioni dei neuroni specchio, giro frontale inferiore, corteccia parietale posteriore); 2) deficit nello sviluppo del linguaggio e delle abilità di comunicazione (giro frontale inferiore–area di Broca, solco temporale superiore, area motoria supplementare, gangli basali, talamo, cervelletto e nuclei pontini); 3) comportamenti ripetitivi e ritualizzati e ristretta gamma di interessi (corteccia orbitofrontale, corteccia cingolata anteriore, gangli basali, talamo). Le regioni maggiomente studiate in termini di alterazioni neuroanatomiche strutturali riscontrate nell’autismo sono a) il corpo calloso, b) il cervelletto, c) l’amigdala, d) le regioni del linguaggio, e) il sistema dei neuroni specchio, f) altre regioni cerebrali che ad oggi sono state meno indagate. a) Corpo calloso Una delle prime scoperte che il cervello autistico è caratterizzato da alterazioni anatomiche rilevanti riguarda il corpo calloso di cui è stato osservato un assottigliamento significativo. Il volume ridotto del corpo calloso è legato alla perdita di volume della sostanza bianca (Courchesne et al., 1993; Vidal et al, 2006) e riflette una diminuita connettività interemisferica (Hardan et al., 2009; Stanfield et al., 2008), oltre che una lenta velocità di elaborazione con quozienti intellettivi significativamente inferiori negli individui autistici rispetto agli individui sani (Alexander et al., 2007). b) Cervelletto Recenti osservazioni suggeriscono che nel cervelletto, che fino a tempi relativamente recenti era considerato esclusivamente coinvolto nella funzione motoria, mentre oggi gli si attribuisce un ruolo più ampio che interessa anche la cognizione e la regolazione emotiva, sono state identificate anomalie microstrutturali negli studi post-mortem di individui con autismo (Bauman et al., 2005), che riguardano essenzialmente la riduzione del numero delle cellule di Purkinje. Gli studi di imaging strutturale segnalano risultati apparentemente contraddittori sul volume del cervelletto. Alcuni ricercatori riferiscono una riduzione del volume (Courchesne et al., 2001), altri un aumento (Minshew et al, 2005) o nessuna variazione degli emisferi cerebellari (Sparks et al., 2002). L’aumento del volume del cervelletto potrebbe essere correlato a ritardo mentale e basso quoziente intellettivo negli individui autistici, mentre quelli con normale quoziente intellettivo avrebbero un volume ridotto. c) Amigdala Considerato che l’amigdala è coinvolta in molti aspetti significativi della cognizione sociale è interessante studiarne le alterazioni, atteso che gli individui autistici si caratterizzano tra l’altro per per questo disturbo. Un incremento del volume dell’amigdala osservato con sMRI è stato descritto nei pazienti autistici (Schumann et al., 2004), specie negli individui ad alto funzionamento (Howard et al., 2000); altri ricercatori hanno trovato una correlazione tra l’aumento di volume dell’amigdala e la gravità del disturbo autistico (Spark et al., 2002) e peggiori abilità sociali e di comunicazione (Munson et al., 2006); altri infine hanno segnalato un volume normale o ridotto dell’amigdala (Eigisti & Shapiro, 2003), specie negli individui autistici adulti (Schumann et al., 2004; Stanfield et al., 2007). d) Aree del linguaggio Nonostante l’importanza dei deficit della comunicazione e del linguaggio negli individui con autismo, non sono molti tuttavia gli studi che hanno esaminato la neuroanatomia delle aree cerebrali che svolgono queste funzioni [area di Broca nel giro frontale inferiore per il linguaggio espressivo, area di Wernicke nella regione temporo-parietale per il linguaggio ricettivo e il solco temporale superiore cui è riconosciuto un ruolo in entrambe le elaborazioni del linguaggio e dell’attenzione sociale (Redcay, 2008)]. I ricercatori hanno scoperto negli individui autistici alterazioni del normale modello di asimmetria, con regioni solitamente più grandi nell’emisfero che è sede del linguaggio. Il riscontro di questa mancata asimmetrica lateralizzazione viene considerato come un segno di deficit di sviluppo precoce dell’autismo e responsabile della alterazione della funzione del linguaggio (De Fosse et al., 2004; Herbert et al., 2002; Rojas et al., 2005). e) Sistema dei neuroni specchio La disfunzione del sistema dei neuroni specchio è stata considerata come un possibile deficit centrale delle difficoltà di interazione sociale e di comunicazione nell’autismo. Studi elettrofisiologici e di fMRI (Dapretto et al., 2006; Hadjikhani et al., 2007; Schmitz & Rezaie, 2008; Williams et al., 2006) hanno testato questa ipotesi e avrebbero rilevato negli individui autistici anomalie di questo sistema nello sviluppo delle abilità cognitive sociali e una correlazione tra la ridotta attività del sistema dei neuroni specchio e la gravità della sindrome nei bambini con autismo (Iacoboni & Dapretto, 2006). Tuttavia, non mancano ricercatori che rilevano che altri comportamenti autistici non potrebbero essere spiegati con neuroni specchio disfunzionali (Dinstein et al., 2008), che gli individui con autismo hanno anche l'attivazione anormale in molti circuiti del cervello al di fuori del sistema dei neuroni specchio (Frith U & Frith C. D, 2003), che questa teoria non spiega l'andamento normale dei bambini autistici in compiti di imitazione che coinvolgono un obiettivo o un oggetto (Hamilton, 2008) e che comunque, anche se la teoria dei neuroni specchio ipotizza una spiegazione apparentemente semplice e possibilista, è altamente improbabile che una piccola popolazione di neuroni disfunzionali possa spiegare i disturbi psicosociali e comportamentali osservati negli individui autistici (Ulay & Aygün Ertugrul, 2009). f) Altre regioni cerebrali Le indagini su altre regioni del cervello che potrebbero essere implicate nell'autismo sono limitate. Vengono segnalate anomalie del talamo (Hardan et al., 2006), dei gangli basali (Hardan et al., 2003; Hollander et al., 2005), in particolare del nucleo caudato il cui aumento di volume potrebbe essere correlato con la presenza di comportamenti ripetitivi e ritualistici degli individui autistici (Hollander et al., 2005) e dell’ippocampo sia nel volume (Schumann et al., 2004) che nella forma (Dager et al., 2007; Nicolson et al., 2006). Va inoltre segnalato che gli studi con sMRI hanno trovato anomalie di forma nella corteccia della fessura siviana, nel solco temporale superiore, nel solco intraparietale e nel giro frontale inferiore (Levitt et al., 2003; Nordahl et al., 2007) e in genere atipicità nei modelli di disposizione dei giri della corteccia cerebrale, il cui significato attualmente non è chiaro. Altri studi hanno scoperto un aumento dello spessore corticale nei bambini autistici su tutta la corteccia cerebrale, specie nella corteccia parietale e temporale (Hardan et al., 2006), mentre negli autistici adulti due studi hanno segnalato un assottigliamento corticale nelle regioni frontali, parietali e temporali, che appare correlato alla severità dei sintomi generali (Hadjikhani et al., 2006). In uno studio successivo i ricercatori hanno riscontrato che il volume cerebrale e lo spessore della corteccia diminiscono con l’età (Hardan et al., 2009). Poiché lo spessore corticale sembra riflettere la potatura sinaptica e l’arborizzazione dendritica della sostanza grigia (Huttenlocher, 1990) e la mielinizzazione della sostanza bianca (Sowell et al., 2007) nel corso del processo del neurosviluppo normale, le differenze di spessore corticale nei bambini autistici verosimilmente corrispondono ad alterazioni di quei processi che si traducono in una diminuzione della sostanza grigia totale. Vengono descritte, infine, negli individui autistici alterazioni della organizzazione strutturale delle minicolonne distribuite nello strato III della neocorteccia, dove costituiscono le unità funzionali di base del cervello (Amaral et al., 2008; Mountcastle, 1997). Secondo dati preliminari che necessitano di conferme, sarebbe stata riscontrata una ridotta larghezza delle minicolonne nella corteccia prefrontale dorsolaterale e nell’area 9 di Brodmann, il che implica un aumento della densità neuronale dell’ordine del 23%, con una riduzione della arborizzazione dendritica nelle minicolonne (Casanova et al., 2006). In sintesi, gli studi sulla struttura cerebrale mediante sMRI e MRI-DTI evidenziano nell’autismo numerose alterazioni anatomiche suggestive di un disordine pervasivo nei network neuronali durante le prime fasi dello sviluppo (Bauman & Kemper, 2005) e suggeriscono una anormale traiettoria dello sviluppo cerebrale, caratterizzata da accelerata ed eccessiva crescita del cervello, con evidenti segni di aumento dello spessore corticale, atipicità nei modelli di disposizione dei giri della corteccia cerebrale, anomalie della sostanza grigia e dei tratti di fibre della sostanza bianca, che appaiono alterati a causa di un anomalo contenuto di acqua e del processo di mielinizzazione che appare più tardivo e protratto. Tali anomalie, diffusamente presenti in parecchie regioni cerebrali, suggeriscono che l'autismo sia un disturbo ampiamente distribuito, non circoscritto ad una singola regione. Le anomalie neuro-anatomiche, osservate nell’autismo durante la fase della eccessiva crescita cerebrale, possono promuovere difetti di patterning e di cablaggio neuronale, con conseguenti difettose interazioni corticali, suggerendo che nell’autismo vi sia una disconnettività con diffuse alterazioni connettivali che interessano molteplici aree corticali. In particolare, gli studi con sMRI suggeriscono che i soggetti con autismo sono caratterizzati da diminuzioni delle connessioni a lungo raggio e da aumenti delle connessioni a corto raggio (Hardan et al., 2006; Herbert et al., 2004). Studi di imaging di risonanza magnetica funzionale Gli studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno offerto notevoli opportunità per la comprensione delle basi neurobiologiche dell'autismo, mediante il confronto tra l’attivazione di regioni cerebrali normalmente attive nei controlli sani con quella eventualmente alterata nei soggetti autistici. Numerosi studi di neuroimaging funzionali condotti nell’autismo, focalizzati su compiti specifici correlati ai domini del sintomo fondamentale, hanno esplorato i pattern di attivazione in risposta a compiti connessi alla elaborazione del viso (Corbett et al., 2009; Greimel et al., 2010; Koshino et al., 2008; Pierce & Redcay, 2008), alla Teoria della Mente (Castelli et al., 2002; Wang et al., 2007) e alla elaborazione del linguaggio (Just et al., 2004; Kana et al., 2006), mentre sono state riscontrate maggiori difficoltà nello studio dei comportamenti ripetitivi (Gomot et al., 2006; Schmitz & Rezaie, 2008). Particolarmente studiate con la fMRI sono state a) la elaborazione del viso, che negli individui sani attiva le aree della corteccia visiva ventrale, del giro fusiforme, del solco temporale superiore, dell’amigdala e dell’insula e b) la elaborazione dell’oggetto, che attiva il giro temporale inferiore. Quindi l’elaborazione del viso e l’elaborazione dell’oggetto hanno differenti meccanismi, con l’attivazione delle rispettive aree del giro fusiforme nella elaborazione del viso e del giro temporale inferiore nella elaborazione dell’oggetto. Viene osservato che il riconoscimento del viso, che è una disabilità clinica caratteristica dell’autismo, costituisce una notevole difficoltà per i soggetti autistici ed è accompagnato da minore attività del giro fusiforme, mentre è più attivo il giro temporale inferiore (Haxby et al., 2002), il che suggerisce che gli individui autistici elaborano i visi analogamente a come essi elaborano gli oggetti (Shultz et al, 2000) e meno nel contesto del loro significato umano (Minshew & Keller, 2010). Il giro fusiforme mostra inoltre negli individui autistici una ridotta attivazione nella elaborazione dei visi dei soggetti estranei rispetto ai visi familiari (Pierce et al., 2004). In conclusione, i soggetti autistici manifestano difetti nei processi neurali che modulano l’area fusiforme del viso. Il deterioramento nell’autismo delle abilità cognitive sociali, di cui la Teoria della Mente (ToM) è considerata l’espressione fenomenologica fondamentale e peculiare, è stato indagato mediante la fMRI attraverso i compiti della ToM, che attiva nei soggetti sani la corteccia prefrontale mediale, il giro temporale superiore, la giunzione temporo-parietale e i poli temporali. Rispetto al gruppo normale, gli individui autistici, noti per avere difficoltà con l’elaborazione del processo della ToM, hanno mostrato una minore attivazione in tutte queste regioni (Castelli et al., 2002). Presi insieme gli studi condotti con fMRI hanno, pertanto, chiaramente stabilito che l'autismo e i suoi segni e sintomi appaiono come un disordine di origine neurologica che interessa sistemi neurali distribuiti che hanno compromesso molte abilità cognitive e comportamentali di ordine superiore. Successivamente la ricerca fMRI nell'autismo è stata focalizzata principalmente sullo sviluppo dei metodi della connettività funzionale, attraverso il grado di sincronizzazione o di correlazione delle serie temporali tra le diverse aree corticali, rilevate dal segnale dipendente dal livello di ossigeno nel sangue (BOLD). I collegamenti funzionali rilevati mediante fMRI con il segnale BOLD e valutati come forza della connessione, sono definiti connettività funzionale BOLD e indicati con l’acronimo fcMRI-BOLD (functional connectivity-MRI-BOLD). Con questo approccio i ricercatori, mediante l’applicazione di una varietà di compiti correlati al dominio del sintomo fondamentale, hanno riscontrato nei soggetti autistici, rispetto al gruppo di controllo, una riduzione della connettività funzionale tra le aree corticali attivate nel corso di un compito come il linguaggio (Just et al., 2004; Sahyoun et al., 2010), le funzioni esecutive (Just et al., 2007; Solomon et al., 2009), la consapevolezza emotiva (Ebisch et al., 2011) e altri compiti. Questi risultati, cioè i riscontri di una minore connettività funzionale tra le aree corticali, ottenuti con la fcRMI-BOLD durante l’attività, suggeriscono che le basi neurali delle funzioni esplorate comportano un minor grado di integrazione delle informazioni tra alcune aree corticali interessate, a causa della diminuzione della connettività intracorticale, e vengono considerati come prova che l’autismo è un disturbo derivante dalla sotto-connettività tra le regioni cerebrali che partecipano alle reti corticali. Altri ricercatori, accanto alla sotto-connettività all’interno dei circuiti esplorati, hanno riscontrato una iperconnettività anche in altre aree cerebrali (Mizuno et al., 2006; Turner et al., 2006), suggerendo che nei soggetti autistici la tipologia del disturbo della connettività aberrante (aumentata o ridotta) può variare in base alla regione esplorata nel tentativo di ottimizzare le connessioni delle reti per ottenere la prestazione di una data funzione che in ogni caso è inefficiente (Noonan et al., 2009). Sulla base di queste scoperte, viene ipotizzano che il numero eccessivo di neuroni possa essere collegato con la precoce crescita eccessiva del cervello durante il periodo del neurosviluppo e causare difetti di patterning e cablaggio neurali, con interazioni locali e a breve distanza eccessive che contrastano le connessioni su grande scala e a lunga distanza tra le aree cerebrali (Courchesne et al., 2007). Ai numerosi studi funzionali che indagano l’attività del cervello durante lo svolgimento di compiti cognitivi, sensoriali e motori, si sono aggiunte in anni recenti le indagini condotte con la fcMRI-BOLD nello stato di riposo (resting state). Tali indagini hanno svelato l’esistenza di un’attività di fondo definita connettività funzionale intrinseca (cioè l'attività non direttamente collegata a identificabili eventi sensoriali o motori) o di riposo, ed è rilevata dalla fMRI attraverso le correlazioni temporali delle oscillazioni o fluttuazioni spontanee a bassa frequenza del segnale BOLD che interessano regioni cerebrali sincronizzate ma ampiamente separate (Biswal et al., 1995; Broyd et al, 2009; Friston et al, 1993). Le aree cerebrali coinvolte in tale attività di fondo vengono a costituire una rete funzionale, definita Default-Mode Network (DMN) [Raichle et al., 2001], diventata in breve tempo un argomento centrale nella neuroscienza contemporanea cognitiva e clinica. Questa rete è stata approfonditamente studiata. Sul piano anatomico la DMN comprende la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata posteriore/corteccia retrospleniale e il precuneo, il lobulo parietale inferiore, il giro frontale superiore, il giro temporale superiore e il giro paraippocampale (Andrews-Hanna et al., 2010; Broyd et al., 2009; Buckner et al., 2008; Fox et al., 2005; Greicius et al., 2003; Stawarczyk et al., 2011). Queste strutture sono organizzate in 2 sottosistemi distinti (corteccia prefrontale mediale dorsale e lobo temporale mediale), ma altamente connessi tra di loro e con gli altri componenti della rete (Andrews-Hanna et al., 2010; Buckner et al., 2008; Greicius et al, 2008; Gusnard & Raichle, 2001; Horovitz et al., 2009). Sul piano funzionale le aree della DMN manifestano contributi per la cognizione in maniera differenziata e sono associate a processi mentali definiti 'immagini e pensieri non-correlati al compito' (‘taskunrelated imagery and thought’) [Giambra, 1995], partecipando alla elaborazione di alcuni processi cognitivi complessi “di ordine superiore”, in particolare nella cognizione spontanea (Buckner et al., 2008; Broyd et al., 2009; Mason et al., 2007; Smallwood et al., 2009; Spreng et al., 2010), nella cognizione sociale (Andrews-Hanna et al., 2010; Amodio & Frith, 2006; Gallangher & Frith, 2003; Frith U & Frith C.D, 2003; Lombardo et al., 2010; Mason & Just, 2009; Ochsner et al., 2005; Vanderwal et al., 2008) e nel mantenimento dell'equilibrio degli input eccitatori e inibitori, definito funzione di anticorrelazione (Broyd et al., 2009; Buckner et al., 2008; Eichele et al., 2008; Fox et al., 2005; Spreng & Grady, 2011; Toro et al., 2008; Weissman et al., 2006). La scoperta della DMN, oltre ad avere un forte impatto sulle Neuroscienze Cognitive per le peculiari funzioni svolte da questa rete, ha fornito un ulteriore strumento d’indagine da quando si è ipotizzato che la disorganizzazione della connettività funzionale intrinseca all’interno della rete default potesse costituire la base per l’insorgenza dell’autismo e di altri disordini della sfera psicopatologica: malattia di Alzheimer (Greicius et al, 2004), deficit di attenzione/iperattività (Castellanos et al, 2008), schizofrenia (Garrity et al, 2007), depressione (Drevets et al., 2008; Greicius et al., 2007). Il primo significativo studio nei soggetti autistici può essere ricondotto a una ricerca di Kennedy e colleghi (2006), che hanno rilevato, durante l'attività passiva, una mancanza di attivazione della default network rispetto ai soggetti di controllo, che invece hanno mostrato il modello tipico di attivazione della rete default. Inoltre, in un'analisi esplorativa delle differenze individuali all'interno del gruppo autistico, gli individui con la massima compromissione sociale (valutata con un modello standardizzato di diagnostica, considerato una misura clinica di compromissione sociale) sono stati quelli con i livelli più atipici di attività della corteccia prefrontale mediale ventrale, suggerendo ai ricercatori che la mancanza di attivazione della DMN negli individui autistici rifletteva un deficit di pensiero introspettivo e di elaborazione auto-referenziale. Tuttavia, Cherkassky e colleghi (2006) non hanno trovato significative differenze di attivazione nella rete default, sia nell’autismo che nei gruppi di controllo. Le differenze riscontrate riguardavano invece l’attivazione di un rete fronto-parietale, recentemente ritenuta importante per il controllo delle interazioni tra la rete default e i sistemi cerebrali collegati all'attenzione esterna (rete dorsale dell’attenzione), il che suggerisce che la rete default possa essere in gran parte intatta negli individui con autismo, ma sotto-utilizzata, forse a causa di una disfunzione nei sistemi di controllo che ne regolano l'utilizzo. La stessa equipe di ricerca, valutando nel gruppo con autismo la connettività funzionale intrinseca tra coppie di regioni appartenenti alla DMN, ha trovato una ridotta connettività più accentuata tra le aree frontali e posteriori. Ad analoghi risultati sono pervenuti Kennedy & Courchesne (2008) che hanno riscontrato una ridotta connettività funzionale nell’autismo tra le regioni anteriori e posteriori. Alcuni ricercatori hanno rilevato che negli individui autistici, noti per avere difficoltà con l’elaborazione della ToM, le aree cerebrali della DMN che supportano la ToM (giunzione temporoparietale di destra e corteccia prefrontale mediale dorsale) sono meno attive rispetto a quelle del gruppo di controllo e che il grado di sincronizzazione tra i componenti della rete che supportano la ToM è inferiore negli individui con autismo rispetto ai controlli (Mason et al., 2008; Kana et al., 2008). Più recentemente Monk e colleghi (2009) hanno riscontrato nei soggetti con autismo, rispetto al gruppo di controllo, una connettività funzionale più debole tra la corteccia cingolata posteriore e il giro frontale superiore di destra, associata a funzionamento sociale più povero. Gli stessi ricercatori hanno inoltre rilevato nell’autismo una connettività funzionale aumentata, rispetto al gruppo di controllo, tra la corteccia cingolata posteriore e il lobo temporale destro e il giro paraippocampale destro, correlata con la severità dei comportamenti ristretti e ripetitivi. Weng e colleghi, in un articolo del 2010, hanno mostrato come le anomalie della connettività non riguardavano soltanto le connessioni a lungo raggio della aree anteriori e posteriori, ma erano diffusamente presenti nella rete default e strettamente correlate ai deficit dell’autismo. Inoltre, i dati analizzati hanno indicato che il deficit più grave, per quanto riguarda le abilità sociali e gli anomali comportamenti ristretti e ripetitivi, era correlato con la connettività più debole mentre la comunicazione verbale e non verbale era correlata con una connettività più forte in aree che non fanno parte dei circuiti della DMN. Questi risultati indicano che gli individui con autismo mostrano un’alterata connettività intrinseca all’interno della rete default, associata a specifici sintomi autistici in relazione alle aree interessate. In sintesi, i dati oggi disponibili dimostrano nei soggetti autistici una diffusa ridotta connettività cortico-corticale a lunga distanza tra le regioni cerebrali anteriori e posteriori e una aumentata connettività intracorticale delle fibre a corto raggio in aree isolate delle regioni posteriori. Il malfunzionamento della rete default, dovuto ad una sua interruzione (disconnessione) o sottoutilizzazione e/o alla sua attivazione potenziata nelle aree posteriori, potrebbe fornire la chiave interpretativa delle cause dell’insorgenza dell’autismo e di altri disordini mentali e costituire un potenziale marker di rilevanza clinica. Ulteriori studi e affinamenti degli strumenti di indagine potranno dire di più sul significato cognitivo della DMN e sul ruolo di questa rete nello sviluppo dell’autismo e di altri disordini di natura psicopatologica. Si può pertanto concludere che i dati emersi dalla MRI strutturale e funzionale suggeriscono che i soggetti autistici sono caratterizzati da atipicità neuroanatomiche in termini di alterazioni della connettività ridotta o eccessiva, che compromettono la comunicazione e la coordinazione interneuronale che sono alla base dei meccanismi dell’insorgenza dell’autismo. Conclusioni Le conoscenze attuali fornite da una grande mole di studi sul cervello (anatomici, istologici, fisiologici e funzionali), in aggiunta a quelli genetici, indicano che l’autismo è un disturbo neurobiologico dello sviluppo. Le mutazioni e varianti di geni candidati che codificano per le molecole di adesione cellulare (β-neurexine, relina, caderina 9 e 10, SHANK3) possono provocare, nel corso del neurosviluppo, il fallimento dei processi maturativi di alcuni percorsi sinaptici e compromettere le comunicazioni interneuronali, causando disconnessione strutturale e funzionale di regioni del cervello coinvolte in associazioni di ordine superiore. L’ipotesi oggi più attendibile è dunque che la mancata maturazione delle strutture neurali provochi l’interruzione del normale neurosviluppo, ovvero una disconnettività (ipoconnettività e/o iperconnettività) con diffuse alterazioni connettivali che interessano regioni cerebrali che vedrebbero compromesse le loro normali funzioni. La disconnettività dei network neuronali potrebbe dunque tradursi in inefficienza nella complessa elaborazione delle informazioni integrative cerebrali, dando luogo a una “sindrome da disconnessione del neurosviluppo” (Geschwind & Levitt, 2007), con le manifestazioni tipiche dell’autismo. La disconnessione all’interno delle strutture neurali potrebbe realizzarsi a livello dei processi istogenetici che attraversano il lungo periodo dello sviluppo cerebrale che ha inizio nell’utero e si estende nell’età infantile, coinvolgendo potenzialmente determinati eventi pre-natali come la neurogenesi, la migrazione neuronale e i percorsi degli assoni, che stabiliscono il corretto posizionamento e il modello di connettività di base, e dopo la nascita lo sviluppo dendritico, la sinaptogenesi, la potatura sinaptica e dendritica, la plasticità e la mielinizzazione. È verosimile che ognuno di questi processi dello sviluppo neurologico possa essere coinvolto, da solo o in associazione con altri e all’interno della stessa area cerebrale e con altre aree, dai meccanismi della disconnessione, che potrebbero estendersi anche alle comunicazioni tra le aree corticali e le aree sub-corticali, dando luogo ad una notevole eterogeneità dei fenotipi autistici osservati. Queste constatazioni suggeriscono “la necessità di riformulare la sindrome di autismo come gli autismi” (Geschwind & Levitt, 2007), in relazione al fenotipo risultante rispetto ai diversi livelli di sviluppo neurale interessati dalla disconnessione, e confermano la validità della denominazione di “disordini dello spettro autistico” attribuita in atto ai disturbi di questi soggetti. Il concetto di disconnettività dei circuiti neurali fornisce un potenziale modello unificante secondo il quale aree cerebrali, normalmente connesse, diventano più o meno disconnesse nel corso del neurosviluppo e appare l’elemento centrale attraverso cui si realizzano i deficit di sincronizzazione tra aree cerebrali critiche responsabili del complesso quadro sindromico dell’autismo. Questo concetto di disconnessione durante lo sviluppo, su cui ormai converge la comunità scientifica, fornisce un quadro di riferimento molto plausibile, in grado di spiegare le caratteristiche neurocomportamentali e cognitive del soggetto autistico. Nonostante le nostre conoscenze siano notevolmente aumentate, particolarmente nell’ultima decade, è difficile tuttavia tracciare un quadro olistico dei rapporti specifici tra eziologia genetica, fattori ambientali interni ed esterni, meccanismi molecolari, alterazioni del neurosviluppo ed espressione fenotipica. È evidente che l’esame dei rapporti tra queste condizioni è distribuito su numerosi livelli di studio (genetico, biomolecolare, neuroanatomico, neurofunzionale), che sono lungi dall’essere pienamente definiti e sui quali la ricerca scientifica è oggi impegnata. Bibliografia Abe, K., Chisaka, O., Van Roy, F., Takeichi, M. (2004). Stability of dendritic spines and synaptic contacts is controlled by a N-catenin. Nat Neurosci 7: 357–363. Abrahams, B. S., & Geschwind, D. H. (2008). Advances in autism genetics: on the threshold of a new neurobiology. Nat Rev Genet. 9 (5):341–55. Acosta, M. T., & Pearl, P. L. (2003). The neurobiology of autism: new pieces of the puzzle. Curr Neurol Neurosci Rep, 3 (2), 149-156. Akins, M. R. & Biederer, T. (2006). Cell-cell interactions in synaptogenesis. Curr. Opin. Neurobiol. 16, 83–89. Alarcón, M., Abrahams, B. S., Stone, J. L., et al. (2008). Linkage, Association, and Gene- Expression Analyses Identify CNTNAP2 as an Autism-Susceptibility Gene. 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