Il Gabbiano di Carmelo Rifici. Volo nuovo sul lago di Lugano

Il Gabbiano di Carmelo Rifici. Volo nuovo sul lago di Lugano
Scritto da Mario Bianchi - Krapp's Last Post (www.klpteatro.it)
Martedì 17 Novembre 2015 12:26
La nuova grande struttura polifunzionale di Lugano, il LAC, ha ospitato, all'interno del suo
capace spazio teatrale, il debutto de "Il Gabbiano" di Anton ?echov, con la regia di Carmelo
Rifici, da poco nominato direttore di Lugano in scena.
Il dramma in quattro atti, uno dei capolavori del grande autore russo, dopo l'esito disastroso
della prima avvenuta nel 1896, fu ripreso nel 1898 da Stanislavskij con grande successo, un
successo che dura ancora. Infatti i temi e le considerazioni che quest'opera offre al pubblico e ai
registi che spesso lo vogliono mettere in scena rimangono ancora oggi inalterati nella loro
suggestione.
Tutta la vicenda si svolge nella tenuta, situata sulle sponde di un lago, di Piotr Nikolaevic Sorin.
E' qui che troviamo raggruppate in un sol momento un grumo di persone che si interrogano
costantemente sul loro presente e sul loro incerto futuro, come accade, seppur in diversi
contesti, in altri lavori di Cechov: la sorella di Sorin, Arkadina, famosa attrice, ormai in declino,
che vi è giunta col suo amante, il romanziere Trigorin, Kostja, il figlio della donna, che nel suo
impeto giovanile vuole dare vita a un'innovativa forma teatrale, Nina, l'amata musa di Kostja,
che darebbe la vita per fare l'attrice, il maldestro maestro elementare Medvedenko, innamorato
di Masa, figlia dell'amministratore della tenuta, il tenente in congedo Samraev, la quale ama,
non corrisposta, Kostja, e il medico Eugenij Sergeevic Dorn.
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Rifici, nella sua messa in scena, sceglie, con alcuni artifici, di porre in risalto i due temi che
percorrono l'opera cecoviana: la vera essenza, portatrice di senso, dell'arte teatrale e
l'ineluttabilità dei destini degli esseri umani.
I personaggi che si muovono in scena infatti, pur consci delle loro fragilità, si proiettano sempre
verso aspirazioni che risulteranno poi fallimentari o ben al di sotto delle loro aspettative (la
carriera incerta di Kostja e il suo conflitto con la madre che irride il suo teatro, la sostanziale
aridità intellettuale del romanziere di grido, Trigorin, il rapporto di Arkadina con il figlio e
l'amante che ritornerà all'ovile dopo essere fuggito con Nina, la melanconia della stessa per una
fortuna artistica irrisolta, l'infelicità di Masa).
Rifici fa esprimere la disillusione di tutti questi protagonisti direttamente in proscenio,
confessando le ragioni del loro fallimento direttamente al pubblico, ed evidenziando anche la
problematica dei veterani, ormai consapevoli del loro fugace successo ma che non concedono
neppure ai giovani la possibilità di una prima sconfitta. E mentre la scena si popola di gabbiani
di carta e dei loro caratteristici gridi, ben comprendiamo che non è solo Nina ad essere un
fragile gabbiano, ma anche tutte le persone che le stanno vicine.
Il teatro e la sua essenza vengono invece declinate soprattutto nel rapporto tra i due intellettuali
Kostia e Trigorin, i cui ragionamenti vengono riverberati, ad un certo punto, su tutti gli altri
componenti della scena.
Kostja, maturando, rinnega le affermazioni da lui fatte all’inizio della commedia sulla necessità
di cercare nuove forme teatrali, pensando ora invece che sia necessario scrivere ciò che nasce
dentro, cosa che Trigorin forse non comprende, tutto preso solamente da una catalogazione
delle forme della vita.
Ma anche Arkadina e Sorin ragionano su un teatro che non esiste più.
E così, fin dall'inizio, il gioco del teatro nel teatro è assolutamente scoperto, con gli attori/
personaggi che enunciano direttamente al pubblico le didascalie di scena, mentre rossi velari si
alzano e scendono in continuazione, con la macchina del vento che prorompe con la sua furia
sugli interpreti e con la musica dal vivo che, attraverso la presenza di Zeno Gabaglio (Jakov, il
garzone), sottolinea i vari sentimenti che le azioni suggeriscono. E alla fine, per testimoniare
come un teatro che non entri direttamente nei gangli della società è destinato a perire coi suoi
interpreti, con un azzardo significativo il regista fa in modo che il suicidio di Kostja venga solo
annunciato, dopo che il ragazzo ha fatto tacere Nina, simbolo inequivocabile della poesia.
C'è poi il lago che incombe, sia con la sua leggerezza sia con la sua mestizia la scena, in verità
assai scarna e poco appagante di Margherita Palli (anche i costumi di Margherita Boldoni si
muovono nella medesima direzione).
Ben impostati ci sono parsi soprattutto i personaggi principali, da Fausto Russo Alesi (Trigorin)
a Emiliano Masala (Kostja), Giorgia Senesi (Arkadina), Anahi Traversi (Nina), Giovanni
Crippa (Dorn) e Mariangela Granelli (Masa), in uno spettacolo che in modo coerente e senza
eccessive forzature (Masa che sniffa cocaina, la recita psichedelica di Kostja) cerca con
intelligenza e misura di trasmettere i molteplici significati del tutto contemporanei che il testo
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cecoviano suggerisce.
Per approfondire i temi del Gabbiano e della sua messa in scena abbiamo intervistato Carmelo
Rifici, che ci ha parlato anche dei suoi nuovi ruoli come direttore di Lugano in Scena e della
Scuola di Teatro del Piccolo Teatro di Milano.
Perché hai scelto di mettere in scena proprio il Gabbiano?
E' un testo fondamentale, quasi un enigma. Lo uso in accademia con i giovani attori perché
dentro c'è tutto, per l'allenamento è ottimo. E' un testo che apre molto domande, non dà
risposte, e soprattutto avvicina in maniera pericolosa l'arte della rappresentazione teatrale alla
sinistra rappresentazione che di noi facciamo nella vita di ogni giorno.
Poi parla di artisti in crisi e alla ricerca di un'anima. Lavoro a Lugano da quasi due anni in un
teatro costruito sul lago, dopo un po' mi è parso inevitabile leggerli entrambi come specchio
della società. Mi è sembrato il testo giusto per iniziare un lavoro sul territorio del Ticino.
Perché questo testo, secondo te, pur parlando apparentemente soprattutto di
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problematiche legate alla messa in scena teatrale, è così visitato ancora dal teatro
contemporaneo?
Perché è un testo che pone domande fondamentali: dove finisce la vita e inizia la
rappresentazione? Può esistere un'unica verità? Facciamo tutti parte di un'unica voce
universale o siamo solo uomini incapaci di ascoltare altri uomini? Queste sono domande
universali, ma poi il capolavoro di Cechov porta a chiederti anche cose molto personali: il
rapporto con il fallimento, con le relazioni mancate, con l'incapacità di amare davvero?
Nella tua regia sono fondamentali da una parte la presenza del lago, dall'altra quella dei
sipari rossi che si alzano e si abbassano.
Il lago e il sipario sono fondamentali anche nel testo. Rappresentano entrambi un occhio, uno
specchio. Con Margherita Palli abbiamo deciso di epurare un certo naturalismo a favore di
un'asciuttezza che però tenesse presente gli elementi scenografici dell'autore. Il lago è il
pavimento su cui si muovono gli attori, la casa, il teatro, gli interni sono costruiti con questi sipari
che delimitano gli spazi. Tutto però è essenziale, anche un po' freddo. La materie utilizzate
sono molto fragili, come la carta per fare i gabbiani. Fragili e inconsistenti, precari, come i
personaggi del testo. Lo spazio diventa un'assenza di spazio, un non luogo dove incontrarsi è
impossibile.
Molto importanti sono la musica e i suoni, con un musicista in scena, le arie cantate da
Dorn, i gridi dei gabbiani che tutti gli attori ad un certo punto riversano sul palco. Perché
questa scelta?
Non lo so, è venuta d'istinto. E' un testo che si rifà molto al melodramma: Sorin, Dorn,
Sciamraev, tutti cantano o ricordano di aver cantato. Masha assomiglia molto ad un
personaggio da melò di fine Ottocento. Si muovono bene quando l'amore lo rappresentano,
meno bene quando devono provarlo. Il canto, i suoni hanno aiutato gli attori proprio ad evitare
di immedesimarsi troppo in un disegno di sentimenti, sono personaggi che provano molti dolori,
ma la tragedia vera è che li rappresentano, non li assumono. Poi Kostja si perde in un caos di
visioni e incubi, il grido del gabbiano mi restituiva molto quel suono terribile che ho immaginato
potesse sentire il giovane scrittore dai nervi distrutti. Un caos di immagini e suoni in cui
smarrirsi.
Cechov rimprovera Stanislavskij di non aver colto l'umorismo dei suoi testi. Tu come ti
sei posto in questo senso in un testo che parla del teatro e della sua funzione alla
presenza di destini, in qualche modo senza futuro e con un presente certo non
esaltante?
Lo spettacolo a tratti fa ridere perché mostra anche momenti ridicoli, si pensi alla sceneggiata
che Arkadina fa quando non le danno i cavalli. Parla di personaggi al limite del ridicolo: questo
aspetto penso non sia molto colto ancora oggi. Tutti guardano a Cechov come all'autore di
personaggi tragici e profondi, in realtà sono fragili, inconsistenti, drammatici in quanto non
raggiungono mai niente e proprio per questo involontariamente comici. Questa cosa non si
riesce ancora oggi a farla digerire. Ricordo un "Tre sorelle" di Ronconi molto criticato perché
vedeva nelle tre ragazze quasi tre stupide, eppure...
Parliamo infine di te. Direttore di Lugano in Scena e nuovo direttore della Scuola di
Teatro del Piccolo di Milano. Quali sono le tue prime impressioni?
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Scritto da Mario Bianchi - Krapp's Last Post (www.klpteatro.it)
Martedì 17 Novembre 2015 12:26
Fare il direttore a Lugano non è molto diverso che essere regista, devi avere uno sguardo
aperto e fare scelte per il pubblico a cui vuoi arrivare o che vuoi costruire. L'impresa è ardua e
bella e ci vuole un grande senso di responsabilità e di presa di coscienza. Per ora qualche cosa
di bello sta succedendo, il Lac sta creando pubblico, la città è incuriosita e speranzosa.
La Scuola del Piccolo è una bellissima opportunità. E' la scuola più importante in Italia, a mio
avviso, in quanto ha una tradizione solida, ottima e una squadra di insegnanti e di collaboratori
al servizio dei giovani attori. E' fucina di talenti, e sono contento di essere lì e poter dare una
mano. Amo insegnare e pensare di lasciare qualcosa ai ragazzi, come è successo a me prima
di loro, grazie ad attori come Marisa Fabbri, Franca Nuti, Claudia Giannotti e Mauro
Avogadro, quest'ultimo poi l'ho voluto con me, al Piccolo, fondamentale il suo sapere per un
teatro che porti consapevolezza e voglia di scoperta.
GABBIANO
di Anton ?echov
adattamento e regia di Carmelo Rifici
con, in ordine alfabetico, Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Mariangela Granelli, Igor Horvat,
Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez Aspa, Fausto Russo Alesi, Giorgia Senesi, Anahi Traversi
e con l’amorevole partecipazione di Antonio Ballerio
scene Margherita Palli
costumi Margherita Baldoni
musiche Zeno Gabaglio
luci Jean-Luc Channonat
produzione LuganoInScena
in collaborazione con LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa e
Teatro Sociale di Bellinzona
Visto a Lugano, LAC, il 6 novembre 2015
5/5