DIALOGO QUASI FILOSOFICO SU RAGIONE E LIBERTA‘ Premessa Il tema proposto ha immediatamente fatto sorgere alcune domande: davvero la ragione è libera? Dove possiamo trovare il coraggio di “rischiare contro l’autorità”, assumendoci la responsabilità di una scelta autonoma, rifiutando un’obbedienza passiva, come mero “udire dinnanzi” (ob-udire)? Ne è sorto un dialogo, in cui ci è apparso chiaro che solo la scoperta delle dimensioni vere della ragione e del suo rapporto con l’infinito permette la libertà. Abbiamo così deciso di sviluppare questo tema in forma, appunto, dialogica, introducendo alcuni personaggi: Swatch (SW), uomo fiducioso nella scienza, che dà importanza alla ragione, ma la considera “chiusa in sé stessa”, Sofia (S)1, un’insegnante di filosofia e due studenti, Carlo (C) e Anna (A). 1 Non deve stupire che, nel dialogo, la signora possa leggere testi tratti da vari autori. Pur avendo una certa età possiede l‘i-pad e attinge così ai suoi autori preferiti. 1 L’inizio del dialogo: uno strano sogno Due ragazzi si avviano verso il binario dal quale sarebbe partito il treno per Roma; salgono e si siedono in due posti affiancati, di fronte a una signora di una certa età e ad un uomo. CARLO: Sai, ho fatto un sogno strano ieri notte. ANNA: E che sogno era? C: Te lo racconto direttamente, vediamo se ne trovi il senso: ero disteso su una coltre di quella che, all'inizio, mi pareva nebbia. Era fitta, pallida. Ho ipotizzato fossero nuvole. Mi sono alzato e, guardandomi intorno, sono rimasto quasi accecato da una luce, così forte che quasi non riuscivo a sostenerne la visione. Ho provato ad avvicinarmi, stupito e meravigliato, ma, più mi avvicinavo, più era come se perdessi di vista quel bagliore. Dovevo di nuovo guardarmi intorno, ricominciare da capo a cercare di raggiungere quella fonte luminosa. E sentivo che non mi sarei dato pace finché non vi fossi riuscito. Cosa significa tutto questo? A: Sinceramente non ne ho idea. L'unica cosa che mi viene in mente è che la scorsa settimana la professoressa di filosofia ci ha letto un passo di Aristotele, che diceva più o meno così: ―Gli uomini hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare‖2. C: Molto interessante, ma cosa c'entra? A: Hai detto che eri meravigliato, mi sembrava pertinente... SOFIA: Secondo me Aristotele dà una buona interpretazione del suo sogno, ma ciò che dice deve essere considerato come il principio di un discorso più ampio... Scusate, mi sono intromessa senza presentarmi: piacere, il mio nome è Sofia. Il vostro? C: Carlo. A: Anna. S: Dovete sapere che la filosofia nasce dallo stupore. La ragione si muove verso l‘ignoto poiché, quando qualcosa della realtà ci colpisce, sorgono in noi domande alle quali possiamo rispondere solo mettendola in moto. Per questo motivo ritengo che la filosofia sia con noi tutti i giorni. Le domande considerate ―filosofiche‖ sono parte della nostra vita. Lo scopo dei filosofi è quello di chiedersi il perché di ogni cosa e di ricercare la sapienza, avendo la consapevolezza di non poterla mai possedere del tutto. Eppure, non possiamo dire di essere, tutti, filosofi. Questo perché la maggior parte di noi è troppo presa da altre questioni per cercare di rispondere alle domande che costantemente la realtà ci pone davanti, oppure perché siamo così abituati a quello che ci circonda che tutto sembra normale e ordinario. C: Faccio un po' fatica a seguirti, potresti spiegarti meglio? S: Vedrò di esemplificare: avete presente il film ―The Truman Show‖? Il protagonista, Truman Burbank, vive tranquillamente la sua vita, ignaro di essere sin dalla nascita il protagonista di un reality. Tutta la sua realtà non è altro che una mera finzione. Ormai adulto, inizia a notare le stranezze della propria vita, si chiede il ―perché‖ di ciò, non si fida più di chi lo circonda. 2 Aristotele, Metafisica, libro I 2 Non mette a tacere i suoi dubbi fino a quando non riesce ad arrivare alla risposta finale e a scoprire la vera natura della sua vita. Giunto alla verità, non si accontenta più di vivere in un mondo limitato e pianificato: vuole scappare, andare alla scoperta di quello ―vero‖, esterno alla finzione televisiva. Ora vi chiedo: se foste stati al posto di Truman, avreste avuto il coraggio e la voglia di mettere in discussione tutto il vostro mondo? Vi sareste fatti tutte le domande che si pone? Molto probabilmente, nessuno di noi lo avrebbe fatto. Perché? Perché è rischioso, faticoso. Però ne vale la pena. Truman ad ogni progresso nella sua ricerca della verità è preso da un gradissimo stupore. La sua gioia, quando riesce a uscire dalla finta-città, è enorme. Tutti i suoi sforzi e i rischi che ha corso vengono ripagati. SWATCH: Non sarebbe più appropriato nominare Louis Pasteur, chimico e biologo francese? Egli infatti disse: " Quando finalmente uno è arrivato alla certezza, la sua gioia è una delle più grandi che possa essere percepita dall'animo umano."3 Ovviamente le scoperte sue e di altri scienziati sono state sensazionali e hanno cambiato radicalmente le loro vite. Anche nella nostra piccola quotidianità, però, c‘è sempre qualcosa da trovare. Il nostro compito è quello di arrivare a scoprire queste novità, capire da dove vengono e come funzionano. Tutto ciò lo possiamo fare solo utilizzando la nostra ragione, seguendo un metodo scientifico e sperimentale, senza mai mettere a tacere i dubbi che sorgono in noi. In ogni caso, io sono il Dottor Swatch, molto lieto. A: Piacere nostro. Quindi, se ho capito bene, dovremmo vivere nel dubbio? Ragione e meraviglia SO: Non proprio. Credo che quello che il Dottore intendesse dire è che bisogna vivere ogni scoperta non come la fine di un percorso, ma come l'inizio di una strada più grande. Questo lo esemplifica Galileo Galilei quando ne ―Il Saggiatore‖ descrive l‘episodio di un ragazzo, avicoltore, che per la prima volta sente un uomo suonare e realizza che gli uccelli non sono gli unici a poter produrre suoni. Questa scoperta scatena la sua curiosità e lo spinge a fare sempre più attenzione a ciò che ode e a chiedersi la provenienza dei vari rumori. E quando ―ei credeva di aver veduto il tutto, trovossi più che mai rivolto nell‘ignoranza e nello stupore‖ tanto che ―si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere‖4 e giunse alla consapevolezza che non si potranno mai conoscere tutti i modi di produrre dei suoni. È sempre necessario essere impegnati in una continua ricerca e non mettere mai la ragione in ‗stand-by‘. Facendo tacere i dubbi che nascono dall‘ osservazione della realtà facciamo morire il filosofo che è in ognuno di noi. "Chi ha raggiunto lo stadio di non meravigliarsi più di nulla dimostra semplicemente di aver perduto l'arte del ragionare e del riflettere." Così disse il fisico tedesco Max Planck5. Prendiamo come esempio i bambini: una delle caratteristiche che li contraddistingue è il loro continuo chiedere. Vogliono sapere sempre tutto e non si accontentano di risposte superficiali e incomplete. Il loro più grande pregio è la loro capacità di meravigliarsi. Avete mai notato come quello che, per noi, è pura banalità, ai loro occhi sia qualcosa di assolutamente fantastico e magico? Possiamo considerarli al pari piccoli filosofi che usano la ragione meglio di molte altre persone adulte che si arrendono di fronte all‘evidenza e all‘abitudine. Lo stesso Isaac Newton, matematico e fisco, si paragona a un bambino che giocando sulla riva del mare 3 Cit. in SSC, p.185 4 G.Galilei, Il Saggiatore, ed. Teknos, Roma 1994, p.105 5 Cit. in SSC, p. 3 3 si diverte a trovare sassi e conchiglie diversi tra loro e ogni volta che vede una forma diversa si meraviglia sempre di più6. SW: In effetti, io non intendevo affatto ciò. A parer mio, la meraviglia non è motivata. La conoscenza la annulla, per questo noi adulti non filosofiamo. ―Eliminata l‘ignoranza, diceva Spinoza, vien meno anche lo stupore7‖. Di fronte a una diretta evidenza, che scopo avrebbe? A: Io credo che tutti, anche gli adulti e gli scienziati dovrebbero continuare a filosofare. Sentite cosa ho letto in Kant8: ―Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza…Ma io odo da tutte le parti gridare: — Non ragionate! — L'ufficiale dice: — Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. — L'impiegato di finanza: — Non ragionate, ma pagate! — L'uomo di chiesa: — Non ragionate, ma credete!‖. A questo si contrappone un'idea di società in cui l'espressione e la coscienza dell'individuo sono sottoposte alla "amorevole tutela" del potere, sia esso manifestamente violento oppure celato e paternalistico. L'unica salvezza dalla massa, dallo stato, dal regime, consiste nel libero esercizio del pensiero: l‘unica autorità riconosciuta è la ragione. Il pensiero permette di essere liberi e critici. Ragione e libertà C: Ma siamo realmente liberi? Possiamo usare la ragione in piena autonomia? S: Sin da bambini siamo condizionati da genitori, poi dagli insegnanti, dagli ambienti che frequentiamo… che, inevitabilmente, influiscono sulle idee, sul modo di pensare o di agire. Ma l‘individuo, a un certo punto, deve decidere se mettere in discussione i modelli fornitigli oppure - più comodamente - adeguarvisi passivamente, in una cieca subordinazione, in assenza di criticità, munendosi di blocchi mentali. Dovrà scegliere se essere critico o seguire gli stereotipi e i modelli che può fornire la società. SW: È esattamente questo il punto: la nostra ragione ci permette di controllare la realtà a nostro piacimento. L'uomo è la creatura perfetta. Portatore di un potenziale enorme che si è manifestato e si manifesta tutt'ora nei più svariati ambiti e casi della vita. L'importante è seguire un metodo scientifico, per evitare di cadere in errore. A: Eppure a me sembra, invece, estremamente fragile, e così è anche il suo motore principale. La ragione, ciò che ci porta a decidere di fronte alle scelte, la nostra cosa più personale e di cui pensiamo di essere padroni indiscussi può essere controllata ed influenzata molto più di quanto crediamo. Viviamo tutt'ora in un epoca in cui le tecniche di manipolazione mentale si sono affinate moltissimo. Quest‘estate ho letto un libro, ―1984‖ di Orwell, in cui si racconta di un mondo in cui il Grande Fratello detiene il potere attraverso il controllo di ogni interazione e del pensiero libero di tutti i suoi cittadini. La tecnica utilizzata è subdola, sottile, quasi invisibile. Dietro vi è stato certamente un lavoro ed un'organizzazione di discrete dimensioni, ma il prodotto finale è efficiente e presentato in modo tale da non mettere in allarme coloro che non conoscono le vere finalità. ―…. il potere consiste nel fare a pezzi i cervelli degli uomini e nel ricomporli in nuove forme e combinazioni di nostro gradimento …‖ 9. ―… La mente avrebbe dovuto far aprire una specie di vuoto tutte le volte che un pensiero pericoloso 6 Cit. in SSC, p. 43 7 Spinoza, Ethica, parte I, Appendice 8 Kant, Che cos’è l’illuminismo, p.1 9 Orwell, 1984, p. 264 4 si fosse presentato. Il procedimento avrebbe dovuto essere automatico, istintivo. ―Stopreato”, lo chiamavano in neolingua‖10. Fra gli strumenti principali del governo nella restaurazione della società troviamo quella che viene chiamata Neolingua, appositamente ideata con lo scopo non solo di adeguamento alla forma di governo della nuova società, ma anche di eliminazione di qualsiasi altra forma di pensiero: le parole perdono le loro sfumature, per acquisire un unico significato e ogni ulteriore accezione viene considerata inesistente o criminosa, quindi punibile. Ecco come in 1984 il linguaggio diventa una forma di annullamento totale della libertà di pensiero. C: Un esempio più palese è la pubblicità in televisione. Ore su ore ogni giorno veniamo martellati da voci suadenti e melliflue che ci istigano a comperare un dato prodotto, a seguire una certa moda, o, cosa anche più grave, a pensare in un certo modo. Come se ciò non bastasse, viviamo in un sistema pensato per controllarci ed indirizzarci verso mete prefissate, in cui pochi scelti tirano le fila di tutto, direzionando a loro piacimento l'opinione pubblica. La maggior parte delle ore di trasmissione appartiene a spot pubblicitari cui almeno due ore al giorno siamo esposti mentre guardiamo un film, il telegiornale, o un qualsiasi altro programma. Siamo portati a non pensare con la nostra mente. Ci illudiamo che essa sia totalmente sottomessa al nostro volere, ma così non è: la nostra ragione, per quanto potente, può essere assoggettata. SW: Ciò che dici è vero, ma tralasci il fatto che è la ragione di un singolo uomo a pensare a come dominare su quella di altri uomini. Alcune delle nostre credenze sono fondate su basi fallaci, costruite non dalla nostra diretta esperienza scientifica, ma predisposte da qualcun altro. Il sistema di governo di tutti i paesi ―moderni e progrediti‖ è fondato sul controllo delle masse, sull'indirizzamento ideologico e comportamentale delle persone. Gli uomini veramente liberi di pensare e agire sono pochi e il loro lavoro consiste nel mantenere tale la situazione attuale. In questo sono dei maestri. È un dato di fatto: la nostra ragione non è libera, ha dei paletti invisibili, non posti da noi, che ci limitano e che quindi noi non superiamo. Essi sono legati ai ―nostri‖ valori o alle ―nostre‖ credenze, ma siamo sicuri che siano realmente ―nostri‖? La mente è libera? No, non lo è. Bisogna prenderne atto. A: Scusi, ma possiamo noi smettere di farci domande sulla realtà delle cose, sulla vita e sul mondo che ci circonda? Evidentemente no… SW: Sbagli il soggetto delle tue domande. La ragione è il limite stesso, oltre ad essa non ha senso indagare, sarebbe un inutile e inconcludente spreco di tempo. C: Ma allora perché sentiamo comunque la necessità di porci queste domande? Perché sentiamo di dover indagare ―oltre‖, oltre ciò che è evidente e spiegabile razionalmente? Ragione e infinito: identità o strappo? A: È questo che non mi spiego: come mai noi, esseri finiti, siamo 'capaci' dell'infinito? SW: Cosa intendete dire? A: L'essere umano è limitato in diversi modi. Limitato dalla sua stessa natura di essere umano, dall'avanzare del tempo, dai singoli difetti caratteriali... eppure ogni individuo è accomunato da una tensione naturale che lo porta alla ricerca dell'infinito e dell'eterno, pur consapevole delle proprie, già citate, limitazioni. Perché? 10 5 Orwell, 1984, p.276 S: A parer mio, è la ragione ad essere la parte infinita dell'uomo. La sua sete di conoscenza non viene mai placata. Vi è forse qualcuno che sia stato in grado di possedere la sapienza completa? Non era forse lo stesso Socrate ad aver evinto che ―il vero sapiente è colui che sa di non sapere‖? Molti secoli dopo Heidegger scrive (vi sembrerà un po‘ difficile…): ―La riflessione sull'ambito in cui l'essente si mostra (…) sta dalla parte della lacerazione – ossia della coscienza. Ciò che è lacerato è aperto, attraverso la sua lacerazione, per l'ingresso dell'assoluto.‖11 La ragione è ciò che consente all'infinito di penetrare nel finito. C: Ma questo ―strappo‖ con cosa si identifica? E come può una lacerazione collegare due opposti? S: È ciò che costituisce il segno della condizione finita del pensiero: la domanda. Anche Nietzsche nota questo strappo nell'essere umano, affermando che ―La grandezza dell'uomo è di essere un ponte‖12. L'uomo stesso, e, più precisamente, l'estensione della sua ragione , è ciò che crea un collegamento tra finito e infinito. A: Eppure Pascal ha una diversa visione di questa 'ferita'. Se non erro, egli ritiene che l'infinito non sia un ponte, ma, anzi, quasi un abisso che segna lo 'strappo' tra la capacità dell'uomo e ciò a cui egli aspira. ―Che cos'è un uomo nell'infinito?‖13 . S: Un uomo nell'infinito? Il problema è che bisogna eliminare questa distinzione, si tratta di 'sublimare il finito nell'infinito'. Vi leggerò un passo di Giordano Bruno: ―CICADA: Se l'intelletto umano è una natura et atto finito, come e perché ha potenza infinita? TANSILLO: Perché è eterno, et acciò sempre si dilette, e non abbia fine né misura la sua felicità; e perché come è finito in sé, così sia infinito nell'oggetto. ‖ ―CICADA: Che differenza è tra la infinità de l'oggetto et infinità della potenza? TANSILLO:Questa è finitamente infinita, quello infinitamente infinito.‖14 Si ha una dissoluzione di ogni diversità, un ritrovare nella pluralità e nella singolarità delle cose la loro unità. Occorre fondere ciò che è finito a ciò che è infinito. A: Tutto è orientato a compiere l'infinitizzazione del finito, annientando e distruggendo ogni capacità di nesso di realtà con l'infinito stesso. Dio, che è potenza infinita, non può che produrre un Universo infinito. Dio, l‘infinito, dunque è dentro di noi. È corretto? S: Sì. SW: Eppure, la visione di Bruno elimina il 'rapporto' tra infinito e finito, che questo appunto è: una divisione. Occorre mantenere i due termini separati. Questa relazione comporta una distanza, una differenza fra i termini: la loro sproporzione comporta un rapporto irrisolvibile. S: E allora seguirò il ragionamento di Niccolò Cusano, che pone la questione della conoscenza dell'infinito da parte di un intelletto finito, che è un altro modo per porre la domanda dalla quale siamo partiti. "Un intelletto finito, dunque, non può raggiungere con precisione la verità delle cose, procedendo mediante similitudini. La verità non ha gradi, né in 11 Heidegger, , cit. in FI, p.3 12 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere, vol.VI/1, Adelphi, Milano 1968, p.8. 13 Pascal, Pensiero, n. 72 14 G.Bruno, De gli eroici furori, in Dialoghi filosofici italiani, a cura di M.Ciliberto, Mondadori, Milano 2000, p.867 6 più né in meno, e consiste in qualcosa di indivisibile, sicché ciò che non sia il vero stesso, non può misurarlo con precisione, come il non - circolo non può misurare il circolo, la cui realtà è qualcosa di indivisibile. Perciò l'intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto precisa da poterla comprendere in modo più preciso; all'infinito; ed ha con la verità un rapporto simile a quello del poligono con circolo, il poligono inscritto, quanti più angoli avrà tanto più risulterà simile al circolo, non si renderà mai eguale ad esso anche se moltiplicherà all'infinito i propri angoli, a meno che non si risolva in identità col circolo."15 È lo 'scarto', ciò che manca al poligono per unificarsi con il cerchio, ciò che rappresenta questa distanza fra finito e infinito, che, comunque, sono in contatto fra loro: come i vertici del poligono sono tangenti alla circonferenza, e ne creano un punto di contatto, così la domanda si rivela nell'uomo ciò che collega il suo 'essere' finito all'infinità della sua ragione. C: Dunque siamo capaci dell'infinito grazie alla nostra ragione? S: Essenziale è ragionare sul termine che tu stesso hai usato: capacità, vista come dimensione di ricezione, portata, possibilità di collegamento. In quanto limite, il limite di un finito si rapporta all'infinito. Riflettiamo sull'uso stesso delle parole: dove finisce il finito, comincia l'infinito. Per negazione, ciò che non è finito è necessariamente infinito. Nella Summa di Tommaso D'Aquino, troviamo scritto che ―il fine può essere inteso in due modi diversi, e cioè può indicare la cosa stessa (ipsa res) che desideriamo conseguire, ma anche l'esperienza che ne facciamo (usus), ossia il conseguimento o il possesso di quella cosa.‖16 Sfruttando l'ambivalenza del termine ―fine‖, possiamo considerare che il fine del finito, inteso sia come limite che come scopo, è, appunto, l'infinito. Esso è sia il nostro limite, che ciò a cui tendiamo. Cartesio afferma ―Sebbene l'idea della sostanza sia in me per il fatto stesso che io sono una sostanza, non per questo però, dato che io sono finito, sarebbe idea di una sostanza infinita, se non procedesse da qualche sostanza che fosse veramente infinita. (…) Si dà maggior realtà nella sostanza infinita che in quella finita e in me in qualche modo la percezione dell'infinito precede quella del finito.‖ L'idea di infinito ci è stata concessa da una sostanza infinita che è il raffronto che ci consente di vedere i nostri limiti e i nostri difetti. Senza un infinito a cui rapportarci, come potremmo noi, esseri finiti, produrne un'idea? C: Dunque la conclusione qual è? SW: Siamo esseri finiti, non abbiamo la facoltà di trovarne una valida e, a parer mio, non dovrebbe neanche importarci. A: Non sono d'accordo. Se fossimo completamente incapaci di trovare una motivazione a questa tensione per l'infinito, non pensi che non saremmo neppure in grado di porci la domanda stessa? SW: La ragione è razionalità. Trova solo quelle soluzioni che seguono un filo logico e che possono essere considerate singolarmente e analizzate nel loro evolversi e nella loro completezza. L'infinito, per definizione, non ha né un inizio, né una fine. Non si può riscontrare in esso una successione ordinata e scomponibile. Motivo per il quale non può essere analizzato razionalmente. Ciò cosa comporta, se non l'impossibilità per la ragione umana di esserne effettivamente 'capace'? 15 N.Cusano, La dotta ignoranza, cit. in FI, p.40 16 Tommaso d‘Aquino, Summa theologiae, I-II, q.2, art.7, cit. in FI, p.60 7 S: Tu stesso hai dato all'infinito una definizione. Come avresti potuto farlo, se la tua ragione non fosse stata 'capace' di esso? Questo implica che, se non nella sua totalità, comprendiamo l'infinito almeno in parte. Ma, come hai detto poc'anzi, l'infinito, per sua essenza, non ha parti. Va da sé che, di necessità, la nostra ragione ne deve essere capace. SW: Posso concordare, ma vi ripeto: ciò che è al di fuori della portata della mia razionalità non mi interessa. Ragione, fine o strada? C: E allora la ragione cos'è? E a cosa serve? SW: Uno strumento: è ciò che consente di raggiungere gli scopi che ci si è prefissati. A: Quindi si tratta di una ragione strumentale... e soggettiva? SW: È in relazione con lo scopo che si vuole raggiungere: può essere sì soggettiva, legata al singolo individuo, ma anche comune a molte persone, a un'intera società. C: Ha un fine, uno scopo comune. Non è soggettiva, ma universalmente riconoscibile da tutti come vera. C‘è un fine ultimo che gli uomini hanno sempre chiamato bene. Alla ragione interessa sempre il rapporto fra mezzi e fini. Ma il fine può essere diverso per ognuno e nelle diverse circostanze. S: Ma tutti gli uomini cercano qualcosa di più grande che li unifica. Si ha una ragione oggettiva solo considerando un ―fine ultimo‖ dell‘uomo, termine di paragone per ogni azione e circostanza. Solo così l‘uomo potrà essere libero, se è in rapporto con qualcosa che è più grande delle circostanze. Chi avrebbe il coraggio di servirsi della propria ragione, se un'azione di questo tipo non avesse alcuna meta? Il pensiero è diventato incapace di concepire una tale oggettività, affermando, per comodità, che essa non esiste. A: Una delle prime cose che mi hanno insegnato è il fatto che la filosofia usi la ragione come strada per arrivare a un fine preciso: la verità. C: Aspetta... tornando al mio sogno, la luce che ho visto, dunque, era la ragione stessa, o qualcosa di più grande a cui essa può consentirmi di avvicinarmi? Era il fine o la strada per arrivarci? A: Carlo, è la nostra fermata, svelto! Dobbiamo scendere. Arrivederci! C: Ma io veramente...avrei voluto una risposta chiara...arrivo, arrivo! Vi saluto, grazie di tutto. S + SW: Arrivederci! 8 Anna e Carlo scendono dal treno. C: È stato un incontro interessante, ma un po' deludente: sono ancora pieno di dubbi. A: Sai, le parole raggiungono solo chi è pronto ad accoglierle. Il loro vero significato spesso non viene colto interamente. Per questo, credo che un lungo dialogare insieme possa aiutare a capire ciò che realmente esse stanno cercando di trasmetterci. Chi pensa di poter conoscere senza un rapporto dialogico si sbaglia. La filosofia trascina l‘uomo nella comunità, poiché il vero filosofo trova in essa la via della verità, da seguire in ogni occasione. Unisce i suoi sforzi a quelli del suo maestro e dei suoi coetanei, non desiste prima di aver raggiunto la meta.17 C: Forse ho capito. L'incontro di oggi non aveva l'obiettivo di darmi una risposta definitiva, ma di aprire la mia mente alle diverse possibilità su cui poi avrei dovuto ragionare io stesso. Ho deciso, cercherò di scoprire cosa rappresenta quella luce. A: Ed è la tua ragione la strada che ti permetterà di farlo. I due ragazzi sono giunti a destinazione. Ma il loro viaggio non è che all'inizio. 17 9 Si fa riferimento alla Lettera VII di Platone. BIBLIOGRAFIA (testi principali oggetto del lavoro) BERSANELLI-GARGANTINI, Solo lo stupore conosce, Rizzoli 2003. (nel testo citato come SSC) ESPOSITO, MADDALENA, PONZIO, SAVINI, Finito Infinito (letture di filosofia), ed. Pagina, Bari 2004 (nel testo citato come FI) HORKHEIMER, Eclissi della ragione, Torino, Einaudi 2000, Prefazione PLATONE, Lettera VII PASCAL, Pensieri ORWELL, 1984, Oscar Mondadori KANT, Che cos’è l’illuminismo. INDICE Premessa p. 1 L’inizio del dialogo: uno strano sogno p. 2 Ragione e meraviglia p. 3 Ragione e libertà p. 4 Ragione e infinito: identità o strappo p. 5 Ragione: fine o strada? p. 8 Bibliografia p. 10 10 e indice