L’impresa di Maratona nel racconto di un ateniese ῾Ο γὰρ τῆς Ἀσίας βασιλεὺς οὐκ ἀγαπῶν τοῖς ὑπάρχουσιν ἀγαθοῖς, ἀλλ' ἐλπίζων καὶ τὴν Εὐρώπην δουλώσεσθαι, ἔστειλε πεντήκοντα μυριάδας στρατιάν. ῾Ηγησάμενοι δέ [οἱ Πέρσαι], εἰ τήνδε τὴν πόλιν [= Atene] ἢ ἑκοῦσαν φίλην ποιήσαιντο ἢ ἄκουσαν καταστρέψαιντο, ῥᾳδίως τῶν πολλῶν Ἑλλήνων ἄρξειν, ἀπέβησαν εἰς Μαραθῶνα. [...] Οἱ δ' ἡμέτεροι πρόγονοι οὐ λογισμῷ δόντες τοὺς ἐν τῷ πολέμῳ κινδύνους, ἀλλὰ νομίζοντες τὸν εὐκλεᾶ θάνατον ἀθάνατον περὶ τῶν ἀγαθῶν καταλείπειν λόγον, οὐκ ἐφοβήθησαν τὸ πλῆθος τῶν ἐναντίων, ἀλλὰ τῇ αὑτῶν ἀρετῇ μᾶλλον ἐπίστευσαν. Καὶ αἰσχυνόμενοι ὅτι ἦσαν οἱ βάρβαροι αὐτῶν ἐν τῇ χώρᾳ, οὐκ ἀνέμειναν πυθέσθαι οὐδὲ βοηθῆσαι τοὺς συμμάχους, οὐδ' ᾠήθησαν δεῖν ἑτέροις τῆς σωτηρίας χάριν εἰδέναι, ἀλλὰ σφίσιν αὐτοῖς τοὺς ἄλλους Ἕλληνας. Ταῦτα μιᾷ γνώμῃ πάντες γνόντες ἀπήντων ὀλίγοι πρὸς πολλούς· ἐνόμιζον γὰρ ἀποθανεῖν μὲν αὐτοῖς μετὰ πάντων προσήκειν, ἀγαθοῖς δ' εἶναι μετ' ὀλίγων, καὶ τὰς μὲν ψυχὰς ἀλλοτρίας διὰ τὸν θάνατον κεκτῆσθαι, τὴν δ' ἐκ τῶν κινδύνων μνήμην ἰδίαν καταλείψειν. Ἠξίουν δέ, οὓς μὴ μόνοι νικῷεν, οὐδ' ἂν μετὰ τῶν συμμάχων δύνασθαι· καὶ ἡττηθέντες μὲν ὀλίγῳ τῶν ἄλλων προαπολεῖσθαι, νικήσαντες δὲ καὶ τοὺς ἄλλους ἐλευθερώσειν. Lisia Il re d’Asia, non pago delle proprie ricchezze, ma con la speranza, invece, d’assoggettare l’Europa inviò un contingente di 500.000 unità. I Persiani sbarcarono, dunque, a Maratona, con la convinzione che avrebbero potuto facilmente esercitare il controllo sulla maggior parte della popolazione greca se fossero riusciti a ottenere la volontaria amicizia di quella città (= Atene) o se, al contrario, l’avessero suo malgrado assoggettata. I nostri antenati, però, senza calcolare i rischi della guerra, convinti, anzi, che la morte gloriosa lasci fama immortale per i valorosi, non si lasciarono intimidire dal gran numero degli avversari, ma confidarono, invece, nella propria virtù. E poiché provavano vergogna del fatto che i barbari avessero occupato la loro terra non attesero che la cosa fosse risaputa (πυθέσθαι < πυνθάνομαι) dagli alleati, né che costoro giungessero in aiuto, né credettero che occorresse ringraziare gli altri della loro salvezza, ma, semmai, che fossero gli altri greci a dover contrarre un debito di gratitudine nei loro confronti. Tutti concordi, dunque, si scagliavano in pochi contro quella moltitudine. Ritenevano, infatti, che a loro, come a tutti, toccasse prima o poi morire, ma che la morte da valorosi l’avrebbero condivisa solo con pochi, e che se l’esistenza stessa della morte dimostra che la vita è un dono ricevuto dall’esterno, pure dipende da noi solamente lasciare quella memoria che deriva da imprese rischiose. Ritenevano, finalmente, che, quanti non fossero stati in grado di vincere da soli, non avrebbero potuto essere sottomessi nemmeno con l’aiuto degli alleati; e che, in caso di sconfitta, la loro morte avrebbe preceduto di poco soltanto quella degli altri, cui, invece, avrebbero essi stessi ridato la libertà, in caso di vittoria. [Trad. M. Sonnino] La grandezza dell’esercito di Serse non spaventa i Greci Ξέρξης ὁ τῆς Ἀσίας βασιλεύς, καταφρονήσας μὲν τῆς Ἑλλάδος, ἐψευσμένος δὲ τῆς ἐλπίδος [...], ἀπαθὴς δ' ὢν κακῶν καὶ ἄπειρος ἀνδρῶν ἀγαθῶν, [...] διακοσίαις μὲν καὶ χιλίαις ναυσὶν ἀφίκετο, τῆς δὲ πεζῆς στρατιᾶς οὕτως ἄπειρον τὸ πλῆθος ἦγεν, ὥστε καὶ τὰ ἔθνη τὰ μετ' αὐτοῦ ἀκολουθήσαντα πολὺ ἂν ἔργον εἴη καταλέξαι· ὃ δὲ μέγιστον σημεῖον τοῦ πλήθους· ἐξὸν γὰρ αὐτῷ χιλίαις ναυσὶ διαβιβάσαι κατὰ τὸ στενότατον τοῦ Ἑλλησπόντου τὴν πεζὴν στρατιὰν ἐκ τῆς Ἀσίας εἰς τὴν Εὐρώπην, οὐκ ἠθέλησεν, ἡγούμενος τὴν διατριβὴν αὑτῷ πολλὴν ἔσεσθαι· ἀλλ' ὑπεριδὼν καὶ τὰ φύσει πεφυκότα καὶ τὰ θεῖα πράγματα καὶ τὰς ἀνθρωπίνας διανοίας ὁδὸν μὲν διὰ τῆς θαλάττης ἐποιήσατο, πλοῦν δὲ διὰ τῆς γῆς ἠνάγκασε γενέσθαι, ζεύξας μὲν τὸν Ἑλλήσποντον, διορύξας δὲ τὸν Ἄθω, ὑφισταμένου οὐδενός, ἀλλὰ τῶν μὲν ἀκόντων ὑπακουόντων, τῶν δὲ ἑκόντων προδιδόντων. Oἱ μὲν γὰρ οὐχ ἱκανοὶ ἦσαν ἀμύνασθαι, οἱ δ' ὑπὸ χρημάτων διεφθαρμένοι· ἀμφότερα δ' ἦν αὐτοὺς τὰ πείθοντα, κέρδος καὶ δέος. ᾿Αθηναῖοι δ' οὕτω διακειμένης τῆς ῾Ελλάδος αὐτοὶ μὲν εἰς τὰς ναῦς ἐμβάντες ἐπ' ᾿Αρτεμίσιον ἐβοήθησαν, Λακεδαιμόνιοι δὲ καὶ τῶν συμμάχων ἔνιοι εἰς Θερμοπύλας ἀπήντησαν, ἡγούμενοι διὰ τὴν στενότητα τῶν χωρίων τὴν πάροδον οἷοί τ' ἔσεσθαι διαφυλάξαι. Lisia Serse, re dell’Asia, in totale disprezzo della Grecia, ingannatosi su quanto gli era lecito sperare, ignaro di sventure, come pure inesperto di uomini valorosi, giunse con 1200 navi, alla guida di un esercito così sterminato che sarebbe stato non poco difficile enumerare tutti i popoli che lo seguivano. C’è modo, del resto, di dimostrare quanto esso fosse numeroso. Pur essendogli possibile trasferire l’esercito di terra dall’Asia all’Europa traghettandolo con mille navi nel punto più stretto dell’Ellesponto, Serse non prese nemmeno in considerazione tale possibilità, convinto come era che si sarebbe trattato di una gran perdita di tempo. Al contrario, in totale disprezzo dei limiti imposti dalla natura, di ciò che si addice agli dei e di ciò che, invece, meglio risponde ai parametri umani, creò una strada sul mare aggiogando le due rive dell’Ellesponto e rese possibile una navigazione sulla terraferma traforando il monte Athos. Nè c’era alcuno che gli si opponeva, un po’ perché taluni, che non erano in grado di reagire, gli obbedivano contro voglia, un po’ perché altri, corrotti da elargizioni di denaro, tradivano di proposito. Denaro e paura: queste erano le due armi di persuasione. Con la Grecia in tali condizioni, gli Ateniesi si risolsero a imbarcarsi, puntando verso l’Artemisio, mentre Spartani e parte degli alleati si raccolsero alle Termopili, convinti come erano che avrebbero potuto sorvegliare quella via di passaggio perché costituiva una sorta di strettoia. [Trad. M. Sonnino]