Sociologia della comunicazione e della moda Presentazione del corso

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Sociologia della comunicazione e
della moda
Presentazione del corso
Prof. Romana Andò
10 marzo 2015
Perchè studiare i media?
30/05/2015
Pagina 1
I Cultural studies
Cultural Studies: un’introduzione
• I cultural studies non sono una disciplina
accademica come le altre.
• Non possiedono né una metodologia ben definita,
né un campo di indagine chiaramente delineato.
• I cultural studies riguardano, certamente, lo studio
della cultura o, più analiticamente, lo studio della
cultura contemporanea. (S. During, 2004)
Cultural Studies: impossibili da
definire perché…
• Cultural Studies oggi non vuol più dire soltanto Scuola
di Birmingham: ci sono tradizioni dei Cultural Studies
molto differenziate fra loro;
• ci sono studiosi che rientrano a pieno titolo nei Cultural
Studies pur non sapendolo (Radway);
• i Cultural Studies sono interdisciplinari (tra sociologia e
semiotica, fra sociologia e l’antropologia post-coloniale,
tra criticismo letterario e pensiero marxista, etc.).
• i Cultural Studies hanno un’anima etnometodologica e
si caratterizzano per la riflessione sui metodi qualitativi
(Researching Culture, P. Alasuutari).
Cultural studies: 2 concetti di
base
• La soggettività (subjectivity): i cultural studies studiano la
cultura in relazione alle vite individuali. “la cultura ci aiuta a
riconoscere che una qualunque pratica quotidiana (come il
leggere) non può essere separata dalla più ampia rete delle
altre pratiche quotidiana (come il lavoro, l’orientamento
sessuale, la vita familiare)”. (S. During, 2004)
• La cultura (culture): “per i cultural studies, “culture” non è
un’abbreviazione di “high culture”, considerata un oggetto a
valore costante nel tempo e nello spazio”. (S. During, 2004).
• La cultura è un intero stile di vita, che si compone tanto
attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano,
quanto attraverso l’arte e la letteratura.
Di cosa parliamo, quando
parliamo di cultura
• la cultura è “un orizzonte che recede ogni
qualvolta uno gli si approssimi” (S. Benhabib, La
rivendicazione dell’identità culturale).
• “Che sia così sfuggente non dovrebbe stupire.
Parlare della cultura implica infatti un paradosso:
• il nostro costituirla come un oggetto di discorso è
esso stesso - in quanto discorso, cioè pratica
linguistica e culturale - parte dell’oggetto che
intende descrivere” (Jedlowsky, Urbino 2007).
Non esistono fatti, se non
interpretati (Schutz)
• Per Weber la cultura è “una sezione finita
dell'infinità priva di senso del divenire del mondo,
alla quale è attribuito senso e significato dal punto
di vista dell'uomo”
• La cultura è ciò che svolge per gli esseri umani la
funzione di determinare il significato della vita e
delle azioni che in essa sono possibili.
• La cultura è ciò che dà forma alla realtà quale la
percepiamo e che inquadra le nostre condotte,
permettendo al contempo l'elaborazione della
nostra esperienza.
• La cultura è l'ambito della vita sociale deputato alla
mediazione simbolica dell’esistenza (Jedlowsky,
Urbino 2007).
Cultura come stile di vita
• La cultura è indissolubilmente intrecciata con i
vissuti e le pratiche degli attori sociali.
• La cultura non esiste se non come “a whole way of
life» (secondo la celebre espressione di Wiliams):
• studiarla è studiare come le persone danno senso
alla realtà e alle cose che fanno,
• studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui
vivono quotidianamente.
• La cultura si riproduce nella vita dei soggetti
concreti e da questi viene costantemente
riformulata e innovata.
Il CCCS di Birmingham
• Nel 1964 Hoggart fonda il Birmingham Centre for
Contemporary Cultural Studies.
• La direzione di Hoggart durerà fino al 1968.
• L’interesse per le forme della cultura popolare e per
la loro componente politica caratterizza altri due
studiosi: R. Williams e E.P. Thompson, anche essi
provenienti dall’insegnamento per gli adulti.
Richard Hoggart: The Uses of
Literacy (1958)
• The Uses of Literacy si concentra sul quotidiano
“come categoria culturale della cultura operaia
britannica”.
• Questa viene descritta come “vita piena e ricca” di
rituali del lavoro e del tempo libero, studiata e
conosciuta attraverso l’esperienza personale:
• il vissuto come base dell’analisi scientifica.
• Ad essa si contrappone la cultura di massa
americana, accusata di far perdere il carattere di
classe e la coscienza comune del proletariato.
Raymond Williams: Culture and Society
(1958), The Long Revolution (1961)
• Dalla sua prima definizione di cultura come “intero
stile di vita […] come modalità di interpretazione
delle nostre esperienze comuni”, Williams arriva a
concepire la cultura come modo di vivere, che si
esprime tanto attraverso le istituzioni e i
comportamenti del quotidiano, quanto attraverso
l’arte e la letteratura.
• I vari elementi della cultura, in relazione tra loro,
vengono interpretati come espressioni di una
struttura di sentimenti, come valori di un gruppo, una
classe, una società …
• da leggere come forme culturali.
E. P. Thompson: The Making of the
English Working Class (1963)
•
•
•
Alla base del pensiero di Thompson c’è l’idea del
conflitto (“whole way of struggle”) tra forme di
cultura diverse.
Egli parla di una cultura popolare, attiva in senso
anti-egemonico, che doveva confrontarsi
positivamente con la cultura dominante.
La cultura di massa viene, qui, demonizzata in
quanto accusata di eliminare lo spirito di
opposizione- ribellione della classe operaia.
La tradizione strutturalista: la
funzione politica della cultura
Il ruolo politico della cultura
• Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad
essere indagata dal punto di vista della sua
funzione politica.
• La cultura viene letta come “ideologia” e come
“egemonia”, intendendo con questo concetto una
relazione di dominio che non viene vista (e vissuta)
come tale da chi la subisce.
L’ideologia nel pensiero di
Althusser
• Gli individui sono costrutti dell’ideologia.
• L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle
immagini che costituiscono la conoscenza
diffusa degli uomini: il senso comune.
• L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo)
a riprodurre se stesso, senza la minaccia di
una rivoluzione.
• L’ideologia “cambia ciò che era politico,
parziale e aperto al cambiamento in
qualcosa che sembri “naturale”, universale
ed eterno” (S. During 2004)
L’ideologia dominante
• Il ruolo primario dell’ideologia è quello di
costruire un ritratto “immaginario” della vita
civile all’interno della quale i soggetti sono
rappresentati come liberi e unici.
• Gli individui accolgono l’ideologia così
facilmente perché essa li aiuta a “dare senso”
al mondo,
• e perché in essa si vedono indipendenti e forti.
• Sia nel privato (si veda Lacan e la funzione
dell’ideologia in quanto produttrice di false
soluzioni alle tensioni private e familiari)
• che nella vita politica.
Il senso comune
• “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua
trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone
a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua
resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo
effetto di riconoscimento immediato, e il circolo
chiuso in cui si muove, che rendono il senso
comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e
inconscio.
• tramite il senso comune non si può apprendere
come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il
loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall
in Hebdige p. 14)
L’ideologia in Althusser
• “l’ideologia ha ben poco a che vedere con la
“coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia
[…].
• Per lo più sono immagini, a volte anche concetti,
ma soprattutto sono strutture e come tali si
impongono alla stragrande maggioranza degli
uomini senza passare attraverso la loro
“coscienza”.
• Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che
agiscono sugli uomini attraverso un processo che
sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14)
La consapevolezza dell’ideologia
• Non si può scegliere di uscire dall’ideologia,
ma si può scegliere di
• “conoscerla il più approfonditamente
possibile, riconoscerla il più in fretta
possibile e, attraverso il proprio lavoro
interpretativo, sempre e necessariamente
incompleto, lavorare per trasformarla”
(Spivak 1988, tr. it. p.38)
Dall’ideologia all’egemonia
• Il concetto di egemonia, nell’accezione di
ideologia dominante (Gramsci 1977), appare
in grado di spiegare come la cultura (anche
mediale) concorra a perpetuare la società
classista dominata da una classe.
• Per egemonia si intende un insieme di idee
dominanti che permeano una società,ma in
modo tale da far sembrare sensato, pacifico e
naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail
1983)
• L’egemonia tende a liquidare l’opposizione
allo status quo come dissidenza o devianza
L’egemonia in Gramsci
• Secondo Gramsci non è lo Stato a essere
responsabile dell’egemonia, ma la società civile,
con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia,
la chiesa, i mass media e la cultura popolare.
• Il consenso è un processo in continuo divenire,
frutto di un patteggiamento e non un
indottrinamento guidato.
Gramsci nei Cultural Studies
• I CS ritrovano in Gramsci la possibilità di appoggiarsi ad
un marxismo non determinista e non economicista,
attento al ruolo di istituzioni popolari come la chiesa e a
quello degli intellettuali,
• capace di tematizzare la cultura come il campo di lotte
per l'egemonia fra le classi.
• Una prospettiva insomma che riesce a vedere come le
classi subalterne siano contemporaneamente influenzate
da quelle superiori ma anche capaci di resistere a questa
influenza, e come la cultura sia un campo di orientamenti
in divenire costante, dove al venir meno di certe
"sottoculture" (come quella della classe operaia)
corrisponde il sorgere di altre (come quelle giovanili)
Il potere: Foucault
• L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto,
ma come terreno di scontro
• è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault.
• Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di
rapporti di potere.
• “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il
potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare,
sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita,
suscita, produce; non è semplicemente occhio e
orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli
uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259)
Il potere: Foucault
• Il dominio è stabile e violento.
• Il potere è fluido e ribaltabile.
• Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una
rete di poteri e sono esse stesse un modo per
ribaltare i rapporti e crearne di nuovi.
• Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del
potere e del sapere.
Il discorso: Foucault
• Per Foucault il discorso è un insieme di
performance verbali, di sequenze di
enunciati cui si possono attribuire delle
particolari modalità di esistenza.
• “così concepito il discorso non è la
manifestazione, maestosamente sviluppata
di un soggetto che pensa, conosce e dice: si
tratta, invece, di un insieme in cui si
possono determinare la dispersione del
soggetto e la sua discontinuità con se
stesso” (L’archeologia del sapere 1971).
I discorsi del potere
• “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo
attraverso il quale le posizioni ideologiche dei
singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto
sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il
multiforme uso del linguaggio si interseca con il
potere”.
• Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono
mantenute dall’infinita catena di espressioni che
“mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al
modo in cui la storia è prodotta e la società si
riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16)
Un terreno di scontro
• “L’ideologia è così divenuta non solo una ‘forza
materiale’ – reale perché è ‘reale’ nei suoi effetti –
• ma anche un terreno di scontro (tra definizioni in
concorrenza) una scommessa – un premio da
vincere – nella attuazione di particolari strategie di
lotta” (Hall 1982)
Stuart Hall e l’ideologia nei media
• Con la direzione di Hall del CCCS dal 1968 al
1979, i Cultural studies si arricchiscono del
contributo della filosofia post-strutturalista e
della psicanalisi post- freudiana, dell’approccio
semiotico e dell’antropologia strutturale
• contemporaneamente ad una nuova
interpretazione del concetto marxista di
ideologia.
• La cultura, e in particolare i testi mediali,
vengono letti come campo di confronto per la
definizione dei significati e analizzati in termini di
effetti dell’ideologia.
L’ideologia nei media e gli effetti
di realtà
• La presenza dell'ideologia nei mass media ha come
effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che
appaiono come naturali descrizioni della realtà:
• 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare
credibilità in quanto affermazione basata su fatti
• Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui
derivano alcune conseguenze:
• la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche
del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di
significazione inteso come risultato di un conflitto non
riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali
sono considerate relativamente autonome dalle
condizioni economiche.
Gli effetti dell’ideologia
• Secondo Hall, l’attività ideologica si
presenta come la possibilità dei mass media
di definire la linea di demarcazione
• “tra spiegazioni preferite ed escluse,
• tra comportamenti ammessi e devianti,
• tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è
pieno di senso’
• tra pratiche, significati e valori integrati e di
opposizione” (Hall 1979)
L’egemonia e i media
• I mass media non definiscono di per sé la
realtà, ma danno spazio alle definizioni dei
detentori del potere.
• I media agiscono per il mantenimento del
potere non attraverso “la trasmissione
diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa
in forma dell’intero ambiente ideologico, un
modo di rappresentare l’ordine delle cose
[…]” (Hall 1982)
L’egemonia e i media
• Il ruolo “consensuale” dei media non è più
individuato nel loro riflettere un consenso già
presente a livello sociale, ma nel partecipare alla
costruzione stessa di tale consenso che si articola
“liberamente” attorno a definizioni della situazione
interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno
concorda”.(Hall 1982)
Il processo di comunicazione
Programma come
discorso “significato”
Codifica
Decodifica
Strutture di significato 1
Strutture di significato 2
Quadri di conoscenza
Quadri di conoscenza
Relazioni di produzione
Relazioni di produzione
Infrastrutture tecniche
Infrastrutture tecniche
Il processo di comunicazione
• Il processo comunicativo può essere, a
grandi linee, spiegato in questo senso:
• alle strutture istituzionali televisive “con le
loro pratiche e network produttivi, relazioni
organizzate e infrastrutture tecniche, è
richiesto di produrre un programma”.
• “La produzione, in questo contesto,
costruisce il messaggio. Da un certo punto
di vista, quindi, il circuito comincia qui” (Hall,
Tele-visioni pag. 69)
La forma discorsiva
• Un evento grezzo “non può essere trasmesso nella
sua forma originaria da un notiziario televisivo. Gli
eventi possono essere comunicati solo dentro le
forme audiovisive del discorso televisivo”.
• Le strutture televisive devono produrre messaggi
codificati, nella forma di un discorso dotato di
senso” (Hall, Tele-visioni pag. 69-70)
La forma discorsiva
nel processo comunicativo
• “Il processo produttivo ha un suo aspetto
“discorsivo” in quanto è, a sua volta inserito
in una struttura di significati e di idee”
• “è nella forma discorsiva che avviene sia la
circolazione del prodotto che la sua
distribuzione a diversi tipi di pubblico”
• “affinché il circuito sia completo ed efficace,
il discorso una volta realizzato, deve essere
tradotto – cioè nuovamente trasformato – in
pratiche sociali” (Hall, Tele-visioni pag. 6870)
La mancanza di equivalenza
• “i codici di codifica e decodifica possono non
essere perfettamente simmetrici.
• Il grado di simmetria – cioè i gradi di
“comprensione” e di “fraintendimento” nello
scambio comunicativo – dipende dal livello
di simmetria/asimmetria (relazioni di
equivalenza) stabilitosi tra le posizioni delle
“personificazioni”, codificatore-produttore e
decodificatore-ricettore”
• Lo squilibrio può dipendere da differenze
strutturali (di relazione e posizione) o da
differenze di codici. (Hall, Tele-visioni pag.
72)
Denotazione e connotazione
• Il termine “denotazione” indica il significato
letterale del testo: “poiché questo significato
letterale è riconosciuto in maniera quasi
universale […] la “denotazione” è stata
spesso confusa con una trascrizione
letterale della “realtà” nel linguaggio, e
quindi con un “segno naturale”, prodotto
senza l’intervento di un codice”
• “La “connotazione” è utilizzata per indicare
significati associativi meno fissi e quindi più
convenzionali e trasformabili” (Hall, Televisioni pag. 75)
L’ideologia nel discorso
• Nel discorso i segni mescolano sia gli aspetti
denotativi che connotativi.
• “I segni sembrano acquisire il loro pieno valore
ideologico, ovvero sembrano aprirsi all’articolazione
con discorsi e significati più ampi,
• al livello dei significati “associativi” (cioè al livello
connotativo),
• perché qui i “significati” apparentemente non sono
fissati dalla percezione naturale (cioè non sono
completamente naturalizzati) e la fluidità di
significati e di associazioni può essere sfruttata e
trasformata più pienamente”.
• “A questo livello, possiamo vedere più chiaramente
l’intervento attivo delle ideologie nel discorso e su di
esso” (Hall, Tele-visioni pag. 75-76)
L’ideologia nei media
• La polisemia del segno connotativo non
deve essere scambiata per pluralismo.
• I significati connotativi non sono tutti uguali
tra loro. “qualunque società/cultura tende,
con diversi livelli di chiusura, ad imporre le
sue classificazioni del mondo sociale e
culturale e politico.
• Queste costituiscono un ordine culturale
dominante, che tuttavia non è né univoco né
incontrastato”. (Hall, Tele-visioni pag. 77)
L’ideologia nei media
• Qualunque società (struttura produttiva)
tende ad imporre le proprie “mappe di
significato” e a comporre la dimensione
connotativa in un “ordine culturale
dominante”
• I significati dominanti/preferiti non sono né
univoci, né incontrastati. Tuttavia, all’interno
del processo comunicativo, sono
perfettamente riconoscibili alcune “regole
performative” che cercano attivamente di
“imporre” o “promuovere” una mappa di
significato, o di rendere compatibili elementi
differenti all’interno della mappe dominanti.
La comunicazione
sistematicamente distorta
• “Dal momento che non esiste alcuna
corrispondenza necessaria fra la codifica e
la decodifica, la prima può cercare di
“indirizzare”, ma non può prescrivere o
garantire la seconda, che ha le sue proprie
condizioni di esistenza”
• L’ipotesi Encoding/Decoding è formulata a
partire dal fatto che non esistendo una
“corrispondenza necessaria” occorre
costruire una teoria della “comunicazione
sistematicamente distorta”
Codice professionale e
codice dominante
• “la produzione dei media di massa ricopre […] la funzione
di provvedere al mantenimento dell’ordine sociale
egemonico, legittimando le definizioni sociali esistenti […]
attraverso un processo di codifica che investe i prodotti
massmediatici di una lettura preferita”.
• Il professionista dei media, dunque, codifica un
messaggio che è già stato dotato di senso in modo
egemonico.
• “il codice professionale è “relativamente indipendente” dal
codice dominante, perché applica modifiche e criteri
propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice
professionale, comunque, opera dentro l’ “egemonia” del
codice dominante”. (Hall, Tele-visioni, pag.81)
Stuart Hall: Encoding and decoding
in television discourse (1980)
• Se l’attività di codifica consiste dunque nel definire i
limiti e i parametri che racchiudono la libertà del
processo di decodifica
• dalla relazione tra lettore e questi limiti discendono
tre differenti modalità di decodifica :
la posizione dominante egemonica (lettura preferita)
• la posizione negoziata
• la posizione “di opposizione”
La lettura preferita
• Si attua una lettura “preferita” quando il
telespettatore “prende il significato connotato
da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di
attualità direttamente e nella sua interezza e
decodifica il messaggio nei termini del codice
attraverso il quale è stato codificato” (Hall
1980)
 Il telespettatore opera all’interno del codice
dominante/egemonico mediato
professionalmente.
Le definizioni dominanti
• Le definizioni dominanti collegano implicitamente o
esplicitamente gli eventi con le grandi
generalizzazioni …
• Propongono “vedute ampie”.
• “la definizione di un punto di vista egemonico è
• A) che definisca, entro i propri termini, l’orizzonte
mentale o l’universo dei significati possibili, di un
intero settore di relazioni in una società o cultura e
• B) che abbia il crisma della legittimità, che sembri in
sintonia con ciò che è “naturale”, “inevitabile” e
“scontato” sull’ordine sociale”. (Hall, Tele-visioni,
pag.83)
Modello Encoding/Decoding
• L’uso del codice negoziato sottende un
atteggiamento duplice:
“accordare la posizione privilegiata alle
definizioni dominanti degli eventi, pur
riservando il diritto di attuarne un uso più
negoziato legato a condizioni locali” (Hall
1980)
La posizione negoziata



L’uso del codice negoziato sottende una
combinazione di elementi adattivi e
opposizionali:
lo spettatore è in grado di rintracciare la
definizione egemonica e pur riconoscendone la
legittimità nel contesto istituzionale opera la
decodifica attraverso una “versione negoziata”,
legata a “logiche particolari o situate”
Questo è l’ambito che professionalmente può
essere considerato in termini di “insuccesso
comunicativo” o di distorsione della
comunicazione.
La posizione di opposizione
• Nella posizione di opposizione il telespettatore
comprende la lettura preferita costruita e
proposta, ma ridefinisce “il messaggio all’interno di
una qualche cornice di riferimento alternativa”
• Nel caso precedente avevamo fenomeni di
distorsione della comunicazione, mentre qui non
si crea distorsione, ma si attiva la volontà di porre
in rilievo le contraddizioni che una lettura contro le
regole del codice egemonico comporta. (Hall
1980)
La decodifica differenziale
• Il processo di decoding avviene in maniera
differenziata:
• il conflitto culturale riguarda gruppi che si
identificano in, e attraverso, particolari pratiche
sociali e gruppi dominanti che tendono ad un
loro inglobamento.
• Il conflitto viene letto non più tra classe
egemone e classi subalterne
• ma come conflitto centrato su variabili come il
gender, l’età, la razza, le preferenze sessuali.
La mappa culturale dell’audience
David Morley
“Cultural Transformations: the politics
of resistance” in H. Davis, P. Wilson,
Language, image, Media, 1983
Dalla comunità all’audience
• La ricca ricerca sviluppata all’interno del
CCCS negli anni ’70 e ’80 è
emblematicamente rappresentata dallo
studio di David Morley, “The Nationwide”
Audience.
• È uno dei primi studi etnografici a
concentrarsi non più su una comunità
(intesa in senso locale e di classe) ma su
un’audience (definita come gruppo di
spettatori o lettori).
La struttura dell’audience: la
decodifica nel contesto culturale
• “Dovremmo utilmente pensare all’audience dei
media non tanto come una massa indifferenziata di
individui
• ma come una complessa struttura di individui
socialmente organizzati in un numero indefinito di
sottogruppi e subculture,
• ciascuna delle quali ha la sua storia e le sue
tradizioni culturali” (Morley, 1983)
Non solo analisi del testo
• Secondo Morley, “il significato prodotto dall’incontro tra
testo e soggetto non può essere letto una volta per tutte
a partire dalle caratteristiche del testo stesso.
• Il testo non può essere considerato come isolato dalle
sue storiche condizioni di produzione e di consumo.
• Un’analisi dell’ideologia dei media non può risolversi
nella sola analisi della produzione e del testo.” (Morley
1983)
Il significato nei discorsi del testo
e delle audience
• “Il significato del testo verrà costruito
differentemente sulla base dei discorsi
(conoscenze, pregiudizi, resistenze) messi in gioco
dal lettore, e il fattore cruciale nell’incontro tra
soggetto e testo sarà il range di discorsi a
disposizione dell’audience” (Morley 1983)
Il modello encoding decoding in
Morley
• Nella codifica i broadcaster mirano a stabilire una
relazione di complicità con le audience.
• L’obiettivo è quello di “raggiungere l’identificazione
con le audience attraverso meccanismi che
conquistino la complicità delle audience e
suggeriscano letture preferite” (Morley 1983)
The Nationwide audience: il
metodo
• La ricerca aveva l’obiettivo di fornire un’analisi delle
forme discorsive del programma e di scoprire quali
segmenti di audience decodificavano in linea con i
codici preferiti/dominanti, e quali, invece, si
muovevano su letture negoziate o oppositive.
• Due puntate videoregistrate del programma furono
presentate a 29 gruppi (composti da 5-10 soggetti),
selezionati all’interno di diversi ambienti sociali e
culturali e diversi livelli del sistema educativo.
• I gruppi erano composti da: giovani apprendisti
ingegneri e metallurgici, sindacalisti, commessi e
studenti di colore.
The Nationwide audience: il
metodo
• La discussione, avviata dopo la visione del
programma, aveva la durata di circa 40 minuti e
veniva registrata per poter essere trascritta
successivamente ed utilizzata per l’analisi.
• La metodologia era l’intervista focalizzata.
• La prima parte dell’intervista, non direttiva, aveva
l’obiettivo di stabilire un “working vocabulary” e una
cornice interpretativa di riferimento dei gruppi, e
l’ordine di priorità attribuito dai gruppi stessi ai temi
in oggetto.
Il sistema lessico-referenziale dei
gruppi
• L’obiettivo del lavoro era quello di identificare la natura
dei sistemi “lessico-referenziali” dei gruppi e indagare
come questi si correlassero con quelli usati dai
broadcaster. I quesiti dell’indagine:
• Le audience usano le stesse parole, negli stessi modi
dei broadcaster nel discutere i temi del programma?
• I gruppi attribuiscono ai temi lo stesso ordine di priorità
presentato nel discorso televisivo?
• Dalla discussione emergono temi non discussi dal
programma, specificamente menzionati dai gruppi?
Codici e repertori culturali
• “the question is which cultural repertoires and codes
are available to which groups, and how do they
utilize these symbolic resources in their attempt to
make sense of messages coming from the media?”
(Morley 1983)
Gli apprendisti e la lettura
dominante
• Il gruppo più vicino ai codici dominanti era quello
degli apprendisti.
• Sebbene il tono dominante delle risposte del
gruppo fosse di cinismo o resistenza (“damn all
politicians – they’re all as bad as each other”)
• essi tendevano ad accettare la prospettiva
offerta da e attraverso il programma.
• l’interpretazione di senso comune (“common
sense”) offerta dal programma era la stessa del
gruppo che riteneva i temi di Nationwide
“naturali”, ovvi e non problematici.
I sindacalisti e la lettura
negoziata
• All’interno di questo gruppo venivano prodotte letture
negoziate o oppositive: la risposta non era frutto della
posizione di classe “ but rather the result of differential
involvement and positioning in discourse formation”
(Morley 1983).
• In generale i sindacalisti erano spettatori regolari di
Nationwide e approvavano i temi e i modi del
programma, identificandosi nel “we” del programma
stesso (“it seems to be a programme acceptable to the
vast majority of people”)
• Sui temi più concreti, locali – per esempio quelli
riguardanti la posizione del sindacato – emergevano,
tuttavia, letture oppositive o negoziate.
I commessi e la lettura oppositiva
• Furono i commessi ad offrire spontaneamente la
lettura oppositiva più articolata e radicale.
• Essi rifiutavano il tentativo del programma di
costruire un “noi” nazionale, coerentemente con
quanto fatto da altri media e programmi.
Gli studenti di colore e la critica
del silenzio
• Questo gruppo era completamente distante dal
discorso di Nationwide (noioso e affatto
interessante).
• I temi e la cornice culturale del programma non
erano i loro temi e la loro cornice.
• Essi chiaramente indicavano che quello non era
un programma per loro, ma per “older people,
middle-class people”.
• Non rientrava nei loro interessi (“why didn’t they
never interview Bob Marley?”).
• La distanza dal programma era il riflesso di una
distanza marcata dalla “tv seria” e dalla politica.
Una mappa culturale delle
audience
• È possibile dire che tutti i gruppi coinvolti
condividevano, al loro interno, una comune
posizione di classe, ma le loro decodifiche del
programma erano orientate differentemente
sulla base dei discorsi e delle istituzioni in cui
erano inserite.
• “Per capire i significati potenziali di un
messaggio dato abbiamo bisogno di una mappa
culturale dell’audience alla quale il messaggio si
rivolge – una mappa che mostri i differenti
repertori culturali e le risorse simboliche
disponibili a sottogruppi posizionati
differentemente all’interno dell’audience” (Morley
1983).
Audience diffusa tra spettacolo, narcisismo,
immaginazione e comunità
Nick Abercrombie, Brian Longhurst 1998
In Audiences. A Sociological Theory of Performance and
Immagination, London Sage
Perchè studiare i media?
30/05/2015
Pagina 66
Lo spectacle/performance
paradigm
• Gli studi di Abercrombie e Longhurst prendono
le mosse dal limite intrinseco al paradigma
dell’incorporazione/resistenza nel considerare
le audience come costrette tra una posizione di
accettazione dell’ideologia o di resistenza.
• L’attenzione si sposta dalla lettura delle
audience in chiave oppositiva, a audience che
definiscono la propria identità all’interno delle
relazioni che stabiliscono con le forme mediali.
L’identità delle audience
• Il paradigma mira a studiare l’identità delle
audience e il loro statuto all’interno della società,
immaginando che l’identità si costruisca all’interno
non tanto dei testi mediali ma del cosiddetto
mediascape, il mondo globale dei media.
Lo studio delle audience: dove siamo arrivati
• Secondo Abercrombie e Longhurst (1998) esistono
tre tipi di audience, che si sono sviluppate
storicamente e che oggi tendono alla compresenza:
• Simple audience
• Mass audience
• Diffused audience
La simple audience
• La simple audience, nata in età premoderna e
tuttora presente, si basa sul rapporto diretto e
immediato tra emittente e ricevente.
• La comunicazione si svolge in uno spazio
socialmente definito (spazio pubblico)
• La figura dell’emittente-performer è distante da
quella del ricevente (che assiste allo spettacolo).
• Al ricevente è richiesto un elevato grado di
attenzione.
La mass audience
• È tipica di forme di fruizione despazializzate.
• La comunicazione è mediata dai mezzi di
comunicazione.
• Emittente-performer e ricevente sono molto distanti.
• L’attenzione richiesta al ricevente può variare sulla
base delle caratteristiche contestuali della fruizione.
La diffused audience
• Abercrombie e Longhurst intendono per
audience diffusa la situazione in cui il soggetto
è sempre parte di un pubblico a prescindere dal
singolo atto di fruizione e da singoli eventi.
• “The essential feature of this audienceexperience is that, in contemporary society,
everyone becomes an audience all the time.
Being a member of an audience is no longer an
exceptional event, nor even an everyday event.
Rather it is constitutive of everyday life”
(Abercrombie e Longhurst)
Le audience diffuse…
• «il vedere la televisione [consumare media
nda] non può essere confinato nei periodi in
cui la televisione è accesa. La televisione
[…] è anche parte della nostra vita
culturale, quando la sua presenza è meno
diretta, meno ovvia» (Fiske, 1989)
• «essere un membro di un’audience non è
più tanto un evento eccezionale, e neanche
un evento quotidiano. Piuttosto è parte della
vita quotidiana» (Abercrombie, Longhurst,
1998)
Le audience diffuse
• L’esperienza di consumo non è più legata ad un
particolare evento, spettacolo o canale mediale, ma
è un’esperienza quotidiana.
• L’audience diffusa nasce dall’intersezione di 4
fattori
•
•
•
•
Quantità di tempo investito nel consumo mediale
Pervasività dei media nella vita moderna
Società performativa
Spettacolarizazione della vita e del mondo +
atteggiamento narcisista
Performatività
• Per performatività si intendono, nelle parole
della Butler, quegli atti e gesti, generalmente
costruiti, che regolano i principi di
organizzazione dell’identità,
• nel senso che “l’essenza o identità che essi
dichiarano di esprimere sono fabbricazioni
prodotte e mantenute attraverso segni
corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler
1990).
Performatività
• La performatività è «una serie di pratiche che
segnano i corpi, in accordo ad una griglia di
intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi
una fiction familiare» (Mc Robbie 2005).
• Allargando il ragionamento al soggetto nella sua
interezza, per performatività intendiamo quindi le
pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia
di intelligibilità sociale,
• in modo tale che il sé diventi una fiction
(rappresentazione) familiare (cioè condivisa e
condivisibile all’interno dei legami sociali).
Il mondo come spettacolo
• “Nel portare tesi a sostegno dell’importanza dello
spettacolo, la nostra proposta è che il mondo, e
tutto ciò che è al suo interno, viene trattato sempre
più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993).
• Nel mondo le persone, gli oggetti, gli eventi non
possono essere dati per scontati, ma devono
essere inseriti in cornici, guardati, osservati,
registrati e controllati. Ciò, a sua volta, suggerisce
che il mondo si costituisce come un evento, come
una performance; gli oggetti: le persone e gli eventi
che fanno parte del mondo sono fatti per mettere in
scena performance per coloro che li guardano o
osservano intensamente. (Abercrombie, Longhurst)
Vedere ed essere visti
• Più in generale, la vita contemporanea è una
questione di spettacolo e lo scopo della vita
moderna è quello di vedere e essere visti. Questo
perché:
• 1) il mondo come merce richiede attenzione;
inscena performance;
• 2) la pervasività dei mezzi di comunicazione di
massa contribuisce alla presentazione del mondo
come uno spettacolo, come una serie di
performance. Il landscape diventa mediascape.
Il narcisismo
• La nozione di società narcisista include
l’idea che le persone si comportino come se
fossero guardate, come se fossero al centro
dell’attenzione di un’audience reale o
immaginata.
• Il narcisista incontra difficoltà nel distinguere
i confini del sé, nel separare se stesso dagli
altri. Il sé narcisista è costruito e mantenuto
solo nei riflessi ricevuti dagli altri.
Performance narcisistica e audience immaginata
• Il fatto che il sé sia centrale, non significa
che tutto il resto venga cancellato.
• Per le funzioni proprie del narcisismo, infatti,
l’audience deve essere immaginata come
qualcosa che contribuisce alla propria
immagine narcisista.
• Il narcisismo coinvolge una performance
immaginata di fronte agli altri, che
costituiscono un’audience focalizzata sul sé
narcisista.
Società dello spettacolo,
narcisismo e performance
• Il narcisismo, dunque, fornisce il lato motivazionale e
individuale dello spettacolo.
• Per rendere il mondo sociale uno spettacolo, le persone
devono essere viste come oggetti di spettacolo. Devono
essere incitate, motivate, per mettere in atto
performance. Lo spettacolo e il narcisismo sono
realmente i due lati della stessa medaglia.
• Entrambi sono effettivamente le conseguenze della
diffusione della performance al di fuori dei suoi ambiti
originariamente relativamente ristretti.
• La maggior parte degli eventi che costituiscono la vita
quotidiana sono performance per le quali esiste
un’audience
Audience diffusa e
immaginazione
• Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance
richiede il potere dell’immaginazione.
• L’audience diffusa richiede che i propri membri
mettano in campo una mole considerevole di
risorse immaginative
Sogno ad occhi aperti e
performance
• Chiaramente, le trasformazioni del sé che si
sviluppano a partire dalla fantasia,
stimoleranno maggiormente il giudizio degli
altri - l’audience reale e immaginata che
assiste alla performance.
• L’attitudine moderna del sogno ad occhi
aperti significa che le persone sono in grado
di immaginarsi mentre mettono in scena
performance di fronte ad altre persone e di
immaginare, inoltre, le reazioni che gli altri
avranno
Media, immagini e
immaginazione
• Le performance quotidiane che costituiscono una
società spettacolare e narcisistica sono organizzate
frequentemente intorno alle immagini che
provengono dai media sullo stile, la personalità,
l’abbigliamento, la musica e così via.
• Oltre ad essere regolatori o costitutivi della vita
quotidiana, i media forniscono anche immagini,
modelli di performance, o quadri di azione e di
pensiero che diventano risorse di routine del
quotidiano. Le persone, in altre parole, usano nella
vita quotidiana quello che i media forniscono loro.
Il circuito S-N-S
(spectacle-narcisismspectacle)
• I media forniscono una risorsa per vedere il mondo
in modo spettacolare;
• creano sistematicamente il mondo come spettacolo.
• Simultaneamente, forniscono alcuni materiali grezzi
per il narcisismo,
• così che le persone replicano nelle loro vite la
relazione performance-audience che ha luogo nei
media.
Audience come comunità
immaginata
• Nei sogni ad occhi aperti, le persone
immaginano la presenza di altri, che
costituiscono l’audience per le loro performance
quotidiane.
• Non c’è bisogno di ripetere che questi altri non
sono altri qualsiasi. Essi sono altri significativi,
menti con attitudini e gusti simili. Un modo per
concettualizzare la relazione tra le persone che
formano parte di questa presenza immaginata è
descriverle come una comunità.
• La nostra pretesa è sostenere che l’audience
diffusa sia una comunità immaginata
L’audience diffusa come
comunità immaginata
• L’audience diffusa, intesa come comunità
immaginata, viene, in larga misura, se non
interamente, liberata dalle restrizioni di spazio e
tempo; i membri dell’audience diffusa possono
essere immaginati in ogni momento temporale,
ma soprattutto, in ogni luogo spaziale.
• La struttura della comunità può essere pensata
come una serie di anelli concentrici intorno
all’individuo, che si estendono nello spazio e nel
tempo.
Come si forma un’audience diffusa
• Accettando la proposta di Abercrombie e Longhurst
le audience diffuse sono il punto di arrivo di un
processo come il seguente:
• media pervasivi → società dello spettacolo →
narcisismo → performatività → audience diffuse.
L’audience diffusa e i contenuti mediali
• L’attività delle audience somiglia, quindi, ad
una quasi naturale appropriazione delle
merci-spettacolo
• “che finiscono per diventare il fondale
ordinario, oltre che gli abiti di scena, delle
diverse rappresentazioni di sé. Il modello
ideale di un’audience diffusa, dunque,
agisce nella direzione di sottolineare la
normalizzazione di un processo di consumo,
uso e produzione di senso” (Andò, Marinelli,
2008)
Esercitarsi nel riconoscersi tra audience
• più estesa è diventata la penetrazione dei
media nella nostra vita quotidiana, più
strumenti sono resi disponibili,
• più ampia è diventata la possibilità per le
audience di esercitarsi nello stile e provare
la riconoscibilità di questo stile, per così dire
mediato, presso le altre componenti delle
audience con cui entrano in contatto
attraverso le pratiche (on e off line) di
consumo mediale.
Il fandom
• Il fandom è un tratto comune della cultura popolare nelle
società industriali.
• Seleziona dal repertorio dell’intrattenimento prodotto e
distribuito per la massa, certi artisti, racconti o generi e li
trasforma nella cultura di un gruppo di persone che si
autoselezionano come appartenenti ad esso.
Il fan: una definizione
• ‘Fan’ è una forma abbreviativa della parola ‘fanatico’, che
ha le sue radici nella parola latina ‘fanaticus’.
• Nel senso più letterale, ‘fanaticus’ significava
semplicemente ‘del o appartenente al tempio, un servo
del tempio, un ‘devoto’, ma presto assunse connotazioni
più negative, ‘di persone ispirate da riti orgiastici e colte
da frenesia esaltata’ (Oxford Latin Dictionary).
• Il termine ‘fanatic’ passò da connotazioni referenziali ad
altre legate al credo e al culto eccessivo a ‘qualsiasi
esaltazione eccessiva o distorta’, spesso evocato nella
critica contro credi politici avversari e poi, più
generalmente, alla pazzia che può venir fuori dalla
possessione demoniaca o idolatrica’
Definizioni del fandom
• Nella definizione di fan si passa, dunque, dalla
rappresentazione degli stessi come
• potenziali fanatici
• a quella di soggetti facilmente manipolabili e distratti
• fino a definizioni che, riprendendo il concetto di
subcultura, considerano i fan come “una frazione elitaria
di una più ampia audience di consumatori passivi”.
Il fan nella satira. Il caso Star
Trek
•
•
•
•
•
•
•
a. sono consumatori senza cervello, che compreranno qualsiasi cosa sia
associata con il programma o con il suo cast (l’album di DeForest Kelly);
b. dedicano le loro vite all’accumulazione di un sapere che non vale niente
(la combinazione della cassaforte di Kirk, il numero della cabina di Yeoman
Rand, l’ordine numerico degli episodi del programma);
c. danno un’inappropriata importanza a materiale culturale di nessun valore
(‘È solo uno spettacolo televisivo’);
d. sono emarginati sociali talmente ossessionati per lo spettacolo, che
questo preclude altri tipi di esperienze sociali (‘Fatevi una vita’);
e. sono resi effemminati e/o asessuati dal loro attaccamento alla cultura di
massa (‘Hai mai baciato una ragazza?’);
f. sono infantili, emotivamente ed intellettualmente immaturi (il suggerimento
che dovrebbero andarsene dalla soffitta dei genitori, le loro risposte
imbronciate e disorientate alle critiche di Shatner, un mix di bambini piccoli
e adulti soprappeso);
g. sono incapaci di separare la fantasia dalla realtà (‘Dici che dovremmo
prestare più attenzione ai film?’). (Jenkins 1992)
Il fan come psicopatico
• Nei media i fan sono frequentemente caratterizzati come
psicopatici, le cui fantasie frustrate di avere relazioni
intime con le star o i loro desideri insoddisfatti di
diventare essi stessi star, prendono forme violente e
antisociali.
• Charles Manson (fan dei Beatles), Hohn Hinkley (fan di
Jodie Foster), Dwight Chapman (fan di John Lennon).
Il fan in soffitta
• Una cotta innocente può diventare
un’ossessione clinica se trattenuta troppo a
lungo. Il fan non ha nessun potere sul
perfomer se non quello di distruggerlo … La
sottile linea tra amore ed odio, tra libertà e
destino, gradualmente scompare per il fan in
soffitta, che si rassegna al suo amore
misconosciuto e indesiderato come un
erezione imbarazzante, messa in evidenza
senza un posto dove dirigersi; e l’amore si
trasforma in un’arma, appena scopre che
non potrà mai arrivare all’oggetto del proprio
desiderio, se non con una pallottola. (143)
Il gusto
• I concetti di ‘buon gusto’, condotta appropriata, criterio estetico non
sono naturali o universali; piuttosto sono radicati nell’esperienza
sociale e riflettono interessi di classi particolari.
• Come nota Pierre Bourdieu (1979), questi gusti sembrano spesso
‘naturali’ per coloro che li condividono, proprio perché sono
modellati sulle nostre esperienze precedenti come membri di un
particolare gruppo culturale, rinforzati da scambi sociali e
razionalizzati attraverso incontri con una cultura più elevata e da
altre istituzioni fondamentali, che premiano condotta e gusti
appropriati.
• Il gusto diviene un mezzo fondamentale, grazie al quale le
distinzioni sociali vengono mantenute e le identità di classe vengono
forgiate. Quelli che possiedono ‘naturalmente’ gusti appropriati,
‘meritano’ una posizione privilegiata nella gerarchia istituzionale e
mietono i più grandi benefici dal sistema educativo, mentre i gusti
degli altri sono visti come ‘grossolani’ e sottosviluppati.
Il gusto dei fan
• La pratica interpretativa dei fan differisce da
quella incoraggiata dal sistema educativo e
preferita dalla cultura borghese, non solo nelle
scelte degli oggetti o nel grado della sua
intensità, ma spesso nei tipi di esperienze di
lettura che essa impiega e nei modi nei quali i
fan si avvicinano ai testi.
• Dal punto di vista del gusto dominante, i fan
sembrano essere lettori scorretti,
spaventosamente fuori controllo, indisciplinati e
incorreggibili.
Il fan e il capitale culturale
• I fan parlano di ‘artisti’ quando gli altri vedono
solo veicoli commerciali, di significati
trascendenti quando gli altri vedono solo
banalità, di ‘qualità e innovazione’ dove gli altri
vedono solo formule e convenzionalità.
(Jenkins 1992).
• i fan assaltano la cultura di massa,
rivendicando i suoi materiali per il loro uso
personale, rielaborandoli come base delle loro
creazioni culturali e delle loro interazioni sociali
(jenkins 1992)
Fan come altro
• Il fan, le cui preferenze culturali e le cui pratiche
interpretative sembrano così antitetiche alla
logica estetica dominante, deve essere
rappresentato come ‘altro’, deve essere tenuto a
distanza in modo tale che il suo gusto fannish non
inquini la cultura riconosciuta come tale.
• La marginalizzazione cui sono ridotti i fan, al di là
del mainstream fa sì che sia molto scomodo per
un fan parlare in pubblico del suo esser fan e
identificarsi, anche in privato, con le pratiche
culturali dei fan.
Bourdieu e il capitale culturale
• Bourdieu, andando oltre Marx, distingue tra quattro
diversi tipi di capitale:
• a) Capitale economico (denaro, mezzi di produzione)
• b) Capitale sociale (reti sociali)
• c) Capitale culturale (lingue, gusto, way of life, ecc)
• d) Capitale simbolico (simboli di legittimazione).
• Questi quattro tipi di capitale sono convertibili l’uno
nell’altro, nel senso che chi ha la cultura (capitale
culturale) può tradurla in denaro (capitale economico), e
così via.
Il capitale culturale
• Bourdieu descrive la cultura come un’economia
nella quale le persone investono e accumulano
capitale.
• Il sistema culturale lavora come quello
economico nel distribuire le proprie risorse in
modo ineguale e, quindi, nel distinguere tra
privilegiati e poveri.
• Questo sistema culturale promuove e favorisce
certi gusti culturali e competenze, individuando
una cultura alta, o ufficiale che distingue, come
il denaro, tra chi la possiede e chi no.
La mappa di Bourdieu
• La nostra società può essere letta come una mappa a due
dimensioni, nella quale l’asse verticale, o nord-sud, registra
l’ammontare di capitale posseduto (economico e culturale), e
l’orizzontale, o est-ovest, registra il tipo di capitale (economico o
culturale).
• Quelli ad ovest sono in posizione più elevata nell’asse del capitale
culturale rispetto a quello economico (per esempio accademici,
artisti, etc…),
• mentre quelli ad est possiedono più capitale economico che
culturale (uomini d’affari, produttori di manufatti).
• In alto al centro trovano posto quelli ricchi rispetto ad entrambe le
forme di capitale, professioni come gli architetti, i dottori, gli
avvocati e cosi via, gli educati, ‘raffinati’ capitalisti!
• Il sud, o il fondo, del diagramma è occupato da quelli privi di
entrambi, che Bourdieu definisce ‘il proletariato’.
I limiti del pensiero di Bourdieu
• Abbiamo bisogno di aggiungere al modello di
Bourdieu il gender, la razza e l’età come assi di
discriminazione e, quindi, leggere la sua
concezione del modo in cui la cultura lavora per
sottolineare le differenze di classe, come
sintomatico della sua funzione negli altri assi
della differenza sociale.
• Un altro limite è il suo aver mancato
nell’accordare alla cultura del subordinato la
stessa sofisticata analisi riservata a quella del
dominante.
Il fan e la capacità di discriminare
• Il fan è in grado di discriminare tra quelle forme di
cultura popolare che sono “autentiche” (quali quelle che
sono veramente arte o che rappresentano realmente la
loro esperienza) e quelle che sono il risultato delle
spinte del mainstream commerciale ad appropriarsi di
queste forme [comunicative] e a produrne versioni di
basso profilo per audience più ampie.
Discriminare
• I fan discriminano con fierezza: i confini tra cosa
rientra entro il loro fandom e cosa no, sono
chiaramente definiti.
• La discriminazione dei fan possiede affinità sia con
le discriminazioni socialmente rilevanti della cultura
popolare, sia con le discriminazioni estetiche di
quella dominante.
La produttività dei fan
• Secondo Fiske i fan sono audience produttive che
esercitano le proprie abilità a tre livelli:
• produttività semiotica,
• produttività enunciativa
• produzione testuale
La produttività semiotica
• La produttività semiotica, ovvero l’attribuire senso al
testo mediale, è essenzialmente interiore.
• Consiste nel trarre significati identitari ed esperienze
sociali dalle risorse simboliche veicolate dai media.
• La produttività semiotica è caratteristica della cultura
popolare nel suo insieme, piuttosto che quella della
cultura fan in senso stretto
La produttività enunciativa
• Quando i significati prodotti sono espressi e
condivisi all’interno della cultura orale o
faccia-a-faccia, prendono una forma
pubblica che può essere chiamata
produttività enunciativa.
• I discorsi delle audience e tra le audience
originano e diffondono determinati
significati del prodotto mediale oggetto di
interesse, all’interno di una comunità locale.
La performatività delle narrazioni
• Se per performatività intendiamo, nelle parole
della Butler, quegli atti e gesti, generalmente
costruiti, che regolano i principi di
organizzazione dell’identità,
• nel senso che «l’essenza o l’identità che
altrimenti pretendono di esprimere sono
invenzioni fabbricate e sostenute tramite segni
corporei e altri mezzi discorsivi»,
• allora dobbiamo ritenere che è proprio nelle
narrazioni delle audience che si manifesta il loro
essere performativo e il loro partecipare
performativo ai contesti sociali e mediali.(Butler,
1990)
La produttività testuale
• “I fan producono e fanno circolare tra di loro testi
che spesso sono confezionati con una qualità di
produzione elevata quanto quella della cultura
ufficiale.
• I testi dei fan, allora, devono essere “ resi produttivi”,
nel senso di essere aperti, contenere buchi narrativi,
cose lasciate irrisolte, contraddizioni, che
permettano e allo stesso tempo invitino la
produttività del fan.
• Sono testi insufficienti che sono inadeguati alla loro
funzione culturale di far circolare i significati e i
piaceri finché non sono rielaborati e resi attivi dai
loro stessi fan, che con questa attività producono il
proprio capitale culturale” (Fiske, 1992).
La produttività dei fan
• La tipologia di produttività dei fan che si avvicina
molto più da vicino alla produzione artistica
convalidata dalla cultura ufficiale, è la produttività
testuale.
• I fan producono e fanno circolare tra di loro testi,
che, spesso, sono confezionati con una qualità di
produzione elevata quanto quella della cultura
ufficiale.
• Le differenze chiave tra produzione dei fan e cultura
ufficiale sono più di carattere economico che di
competenza, poiché i fan non scrivono e producono
i propri testi per denaro; ma come si può
immaginare la loro produttività propriamente
richiede investimento di denaro.
Fan produttivi e partecipativi
• La produttività del fan non è limitata alla
produzione di nuovi testi: anche essa
partecipa alla costruzione del testo originale
e così trasforma un racconto commerciale o
uno spettacolo in cultura popolare.
• Quando un testo industriale incontra i suoi
fan, la loro partecipazione li riunisce e li
rielabora, così che il momento della
ricezione diventa il momento della
produzione nella cultura fan.
Fan e collezionismo
• Collezionare è anche importante nella cultura
dei fan, ma tende ad essere un processo
inclusivo piuttosto che esclusivo: l’enfasi non è
tanto sull’acquisto di qualche oggetto bello (e
costoso) quanto sull’accumularne il più
possibile.
• I singoli oggetti sono, quindi, economici,
svalutati dalla cultura ufficiale, e prodotti in
massa. La distinzione risiede nell’ampiezza
della collezione, piuttosto che sulla sua unicità
e sull’autenticità propria degli oggetti culturali
Fan e accumulazione di
conoscenza
• Il capitale culturale del fan, come quello ufficiale,
risiede nell’apprezzamento e nella conoscenza dei
testi, degli interpreti e degli eventi.
• Nel fandom come nella cultura ufficiale,
l’accumulazione di conoscenze è fondamentale
all’accumulazione di capitale culturale. Le
industrie culturali se ne sono rese conto,
naturalmente, e producono un’enorme gamma di
materiali pensati per dare ai fan accesso
all’informazione sugli oggetti del fandom.
Una forma aumentata della cultura
popolare
• il fandom è una forma aumentata della cultura
popolare nelle società industriali e il fan è un ‘lettore
eccessivo’, che differisce da quello ‘ordinario’ nel
grado piuttosto che nel tipo.
Fan, media e cultura partecipativa
• I fan sono lettori che si appropriano di testi
popolari e che li rileggono in un modo che
asseconda altri interessi, da spettatori che
trasformano l’esperienza di guardare la
televisione in una ricca e complessa cultura
partecipativa.
• I fan sono la parte più attiva e innovativa
dell’audience diffusa dei testi popolari,
come partecipanti attivi nella costruzione e
nella circolazione di significati testuali.
Essere fan per avere una piattaforma
condivisa per la costruzione del sé
• La star o il prodotto mediale viene usata come
“piattaforma” della personalità delle audience, come
archivio di immagini, gesti, parole e, più in generale,
significati, che il fan utilizza per la messa a punto
del proprio progetto identitario.
Essere fan per essere in relazione
• I fan tendono costantemente all’arricchimento dei
propri archivi, “incorporando programmi su
programmi all’interno dei loro interessi allo scopo di
facilitare più intense e più ampie occasioni di
comunicazione con gli amici che condividono
interessi comuni o possiedono gusti compatibili”
Media per connettersi
• I contenuti mediali vanno, dunque,
esaminati “come processo, come agenti e
come oggetti dati, a tutti i livelli, ovunque gli
esseri umani si aggreghino in uno spazio
reale o virtuale, comunichino, tentino di
persuadere, informare, divertire, educare;
ovunque tentino, in una molteplicità di modi
e con diversi gradi di successo, di
connettersi l’uno all’altro” (Silverstone, 2002)
La dimensione sociale del fandom
• Per i fan è importante coltivare relazioni di intimità non reciproca con
altri lontani,
• ma altrettanto importante è la dimensione sociale della propria attività.
• I fan accumulano dischi, nastri, video o altri prodotti dei media;
• Collezionano reliquie, fotografie o ritagli di giornale;
• Vanno ai concerti, al cinema, agli incontri;
• Scrivono lettere agli altri ammiratori, si abbonano a bollettini, fanzine,
si iscrivono ai fan club, rielaborano e riscrivono i prodotti mediali
stessi.
• E soprattutto si impegnano in conversazioni con altri fan, ossia
persone con cui, a parte la passione per qualcuno o qualcosa, non si
condivide altro.
Una rete di significati da condividere
• La società è una rete di significati sostenibile
“finché quei significati sono mantenuti in comune,
finché sono ripetuti, condivisi, comunicati e,
naturalmente, imposti.
• L’esperienza si costruisce attraverso queste reti di
significati, testi e discorsi quotidiani, e l’esperienza
a sua volta dipende dalla nostra partecipazione,
forzata o meno, alla rappresentazione” (Silverstone,
2002: 117).
• I media non fanno che enfatizzare questa possibilità
fornendo ai soggetti/audience gli strumenti
espressivi e la piattaforma condivisa per la gestione
delle forme culturali.
La lettura popolare
• De Certeau percepisce la lettura popolare come
una serie di ‘avanzate e ritirate, tattiche e giochi
messi in atto con il testo’, come un tipo di bricolage
culturale, attraverso il quale i lettori frammentano i
testi e riassemblano i cocci secondo i loro piani,
salvando pezzi più o meno grandi degli oggetti
incontrati durante l’attribuzione di senso della loro
esperienza sociale
Il fan come bracconiere testuale
• De Certeau ha definito l’attività del leggere come
una caccia (poaching), come una incursione
impertinente nei testi per prendere solo quelle cose
che possono essere utili o dare piacere al lettore.
• Questa attività del lettore differisce da quella
ipotizzata da Hall nel modello encoding/decoding.
Readers are not always resistant
• Secondo Hall, il lettore ha una posizione
stabile da cui parte per attribuire senso al
testo, mentre De Certeau immagina che il
“poaching” sia un processo di costruzione di
senso che sottolinea la fluidità
dell’interpretazione popolare.
• Dire che i fan portano avanti i propri significati
di un testo rispetto a quelli proposti dai
produttori, non vuol dire che questi messaggi
debbano essere necessariamente oppositivi
Il fan come lettore nomade
• i lettori non sono semplicemente bracconieri;
sono anche ‘nomadi’, sempre in movimento
‘non qui o lì’, non costretti da una proprietà
permanente, ma, piuttosto, in perenne
avanzamento verso un altro testo,
appropriandosi di nuovi materiali, creando
nuovi significati
• Dobbiamo quindi investigare la ‘moltitudine di
connessioni effettive che i soggetti fluidi e in
perenne movimento creano tra i frammenti, i
discorsi e le pratiche ideologici’
Fan e autori
• “Non sono ancora d’accordo sull’idea che la proprietà
dei diritti sulla fiction, tipo Star Wars, includano
qualsiasi diritto dell’autore/produttore di determinare
come i lettori o gli spettatori percepiranno l’offerta. In
questo senso, non credo che i fan possano prendere
dai produttori niente di ciò essi possiedono…Ciascun
produttore o autore che voglia assicurarsi come un
diritto legale che l’audience sperimenti le stesse
sensazioni e si consideri parte del lavoro, ha male
interpretato sia la legge del copyright sia,
probabilmente, la Dichiarazione d’Indipendenza… né la
rappresentazione mentale dei fan né le loro
comunicazioni private, per quanto lunghe, riguardano
gli autori.” (Barbara Tenninson, Personal
Corrispondence, 1991)
Scrivere vs leggere
• “Scrivere significa produrre il testo; leggere
significa riceverlo da altri senza lasciarvi il
proprio segno, senza rifarlo”
• Questa divisione del lavoro (fin troppo reale per
De Certeau) si trascina un’interpretazione della
lettura come atto passivo.
• “in effetti leggere significa peregrinare in un
sistema imposto (quello del testo), analogo
all’organizzazione fisica di una città o di un
supermercato” (De Certeau 1990)
La lectio: una produzione del
lettore
• “Ma è stato dimostrato che ‘qualsiasi lettura
modifica il suo oggetto’, che (come già
diceva Borges) ‘una letteratura differisce da
un’altra meno per i suoi testi che per i modi
in cui vengono letti’ e che infine un sistema
di segni verbali o iconici è una riserva di
forme che attendono dal lettore il loro senso.
• Se dunque ‘il libro è un effetto (una
costruzione) del lettore’, l’operazione
compiuta da quest’ultimo deve essere
concepita come una sorta di lectio, ovvero
come una produzione propria del ‘lettore’ ”
(De Certeau 1990)
Il lettore nomade
• “lungi dall’essere degli scrittori, che fondano un luogo
proprio, eredi dei lavoratori d’un tempo ma sul terreno
del linguaggio, scavatori di pozzi o costruttori di case, i
lettori sono dei viaggiatori;
• circolano su territori altrui, come nomadi che praticano il
bracconaggio attraverso pagine che non hanno scritto.
• La scrittura accumula, immagazzina, resiste al tempo
creando un luogo e moltiplica la sua produzione
attraverso una riproduzione sempre più allargata.
• La lettura invece non si garantisce contro l’usura del
tempo (ci si dimentica e si dimentica), non conserva
quanto ha acquisito e ciascuno dei luoghi che attraversa
è ripetizione del paradiso perduto” (De Certeau 1990).
Il superamento dell’opposizione tra
lettura e scrittura
• I fan non si appoggiano sulla opposizione tra
lettura e scrittura immaginata da De Certau.
• Il fan non si limita a consumare “storie
preprodotte”, ma egli stesso produce
(“manufacture”) le proprie storie, fanzine,
canzoni, video, espressioni artistico di diverso
genere e performance.
• Il fandom diventa, dunque, cultura partecipativa
che trasforma l’atto del consumo mediale, nella
produzione di nuovi testi, nuove culture e
nuove comunità.
“writing in the margin”?
• Se De Certeau arriva a concepire l’idea che, come il
bambino che scrive sui libri di scuola, sui margini,
diventando egli stesso autore, così può fare il lettore di
un testo,
• tuttavia egli insiste sull’idea che lo spettatore televisivo
“non possa scrivere nulla sullo schermo del suo
apparecchio”.
• Lo spettatore non gioca nessun ruolo nella visione e
rimane puro ricevente.
Il fan e lo scrivere sui margini
• La pratica dello scrivere sui margini è, invece, una
pratica molto diffusa tra i fan:
• Si va dalla produzione di fanzine
• Alla scrittura di fanfiction
• Alla produzione di musica e video musicali
• Alle narrazioni dell’esperienza di fruizione e alla
condivisione dei significati all’interno delle comunità (on
line).
La riscrittura
• I fan si pongono come ri-scrittori delle storie fruite.
• Secondo Jenkins, questa ri-scrittura opera nelle fiction a
diversi livelli:
• dalla ricontestualizzazione, che interviene sugli errori o
gap dei produttori rispetto allo sviluppo della storia,
• alla espansione della durata di un prodotto (nel caso
delle serie televisive o delle saghe cinematografiche),
• dalla rifocalizzazione dell’attenzione di autori (e pubblici)
su personaggi minori del prodotto, talvolta, persino
attraverso un sostanziale capovolgimento dei ruoli
morali all’interno della storia (i buoni che diventano
cattivi e viceversa), o attraverso un cambiamento
dell’identità sessuale dei protagonisti.
La riscrittura
• Ancora più interessante è l’intervento di ri-scrittura
in termini di
• attraversamento crossgenere, quando cioè nuovi
testi e storie prevedono al proprio interno elementi
di storie diverse e di diversi prodotti,
• dislocazione dei personaggi in situazioni differenti o
alternative rispetto a quelle vissute nel proprio
contesto,
• personalizzazione, ovvero all’introduzione dei fan
nella storia insieme ai personaggi,
• enfatizzazione dei tratti erotici delle storie, laddove
la censura morale del senso comune interviene nei
prodotti di largo consumo.
La scrittura dei fan: la fanfiction
• Una Fan Fic(tion) è una storia ispirata ad
un'opera letteraria/cinematografica/a
fumetti/d'animazione/televisiva (comunque
narrativa) scritta da un fan di quell'opera.
• Una fan fiction è una storia scritta da un fan
per altri fans.Le fan fiction nascono a partire da
fumetti, telefilm, libri, film e qualsiasi altro frutto
creativo e ne ripropongono i personaggi, le
idee, i concetti per creare nuove storie che
seguano l'idea dell'autore nella speranza di
compiacere anche altri fan del prodotto
originale.
IL FANDOM, OGGI
Perchè studiare i media?
30/05/2015
Pagina 137
Normalizzazione del fandom
• rilevanza del fenomeno sia nella prospettiva
sociologica che in quella economica:
• essere fan dei contenuti mediali è, infatti, ormai un
tratto distintivo nella definizione del percorso
identitario individuale e un puntello nella ricerca di
intelligibilità sociale
• oltre che uno tra gli ingredienti più accreditati nella
gestione dei processi di socializzazione e di
socialità
Perchè studiare i media?
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Il fandom nel mercato
• l’uscita dalla nicchia della forma subculturale
originaria e l’esplosione pubblica - accompagnata e
abilitata dalla accelerazione tecnologica dell’ultimo
decennio, e in particolare dalle logiche partecipative
del web 2.0 - hanno reso il fenomeno
estremamente rilevante anche nell’ambito delle
ricerche di mercato e nella costruzione di modelli di
business adeguati al cambiamento (Andò 2012).
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Evoluzione del fandom
• È evidente che parlare di fandom oggi significa
riferirsi ad una realtà i cui confini e le cui
caratteristiche distintive sono decisamente
cambiate rispetto al passato, per cui appare
fondamentale ridefinire etichette e modelli
interpretativi.
• Tre sono i momenti evolutivi fondamentali.
• Il fandom di nicchia (microcomunità)
• Il fandom on line (comunità allargata)
• Il fandom dei social media (network)
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1° fase: il fandom di nicchia
• Il fandom di nicchia si esprimeva in microcomunità
in presenza, a forte omologia interna (Hebdige,
1975)
• con una specifica cultura ed economia ombra,
parallela a quella ufficiale,
• le cui manifestazioni e produzioni (convention,
eventi, fanzine, fanart) erano considerate border
line rispetto ai canoni della cultura, anche mediale,
per quanto non necessariamente in senso
antagonista.
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2°fase il fandom on line
• L’avvento di internet garantisce un allargamento del
bacino di riferimento e dei confini della comunità di
appartenenza, in virtù delle potenzialità di
connessione garantite dalla comunicazione mediata
al computer (Baym 2000, Hills 2002).
• La scelta di appartenenza elettiva al gruppo supera
i limiti geografici e locali della cultura di origine e si
sostanzia nelle pratiche discorsive che cementano
la coesione e rendono tracciabili le relazioni tra fan
all’interno di newsgroup e forum.
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Fan e relazione sociale
• Comune ai primi due stadi evolutivi è certamente la
dimensione di engagement dei fan nei confronti tanto
del contenuto/prodotto di culto, quanto nei confronti
degli altri membri della comunità.
• Il senso di intimità, prossimità emotiva e culturale nei
confronti del contenuto, si riverbera senza soluzione di
continuità nei confronti degli altri, tanto che ‘essere fan’
è leggibile come sinonimo di ‘essere in relazione’.
• “essere in relazione per essere fan”, “essere fan per
essere in relazione”
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Le regole dei fan
• Comune alle prime 2 fasi è
• la presenza di regole comportamentali, norme
condivise, che legittimano l’accesso e la
permanenza all’interno della comunità, tanto
nell’ambiente off line che on line.
• La stessa produttività discorsiva on line è regolata
secondo sistemi di gerarchizzazione tematica
(thread, topic) che vengono garantiti dai moderatori
delle piattaforme.
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L’impegno dei fan
• Comune alle prime due fasi di sviluppo del fandom
è anche la qualità dell’impegno richiesto e il livello
di competenze e abilità esibite e allenate nelle
pratiche espressive e sociali.
• In tal senso, si potrebbe considerare il fandom
stesso come una palestra e una officina di
sperimentazione creativa delle skill acquisite
nell’essere fan.
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Le audience nelle comunità on line
• Il consumo mediale e il lavoro interpretativo
dei testi si sposta dallo spazio fisico privato
della casa e della propria camera, a luoghi
fisici preposti alla condivisione con altri della
propria condizione di audience/fan (parchi a
tema, stadi),
• fino ai «mondi virtuali delle narrazioni dei
fan, che non includono luoghi in senso
fisico» (Sandvoss 2005), ma stanze virtuali
abitate da comunità on line.
L’audience come prodotto, l’audience come
performance
• “L’etnografia del cyberspazio diviene un processo
più accurato attraverso cui l’audience può essere
vista come un prodotto mediato o una stessa
performance, e attraverso cui le barriere tra
performance e audience sono minuziosamente
riconfigurate”
La serializzazione delle audience
• L’audience online non può semplicemente offrire uno scorcio
sul fandom offline, socialmente atomizzato, del programma;
dovrebbe, invece, interpretare la sua fan audiencehood,
sapendo che gli altri fan si comporteranno come dei lettori nei
confronti di congetture, osservazioni e commenti.
• Questa auto-rappresentazione e auto-performance
dell’audience in quanto testo crea dunque un processo di
secondo ordine, o di implicita trasformazione di un contenuto
mediale in oggetto di consumo,
• nella misura in cui le fan audience online consumano una
costruzione testuale di sé stesse insieme all’ originale testo-daconsumare, con le novità valorizzate del secondo che si
intrecciano con le speculazioni, riscritture e frammentazioni
egualmente nuove e similmente valutate del primo.
Audience e comunità
• “Infatti, la maggior parte del piacere del fandom [e
delle audience] consiste proprio negli scambi di
vedute tra i fan che esso produce, e molti fan
affermano che la scelta dell’oggetto del fandom è
stata determinata più dal desiderio di entrare a far
parte dalla comunità orale che da ogni altro motivo.
• Con questo non si vuole affermare che il gusto
acquisito sia in qualche modo non sincero, ma
piuttosto indicare la stretta interrelazione tra le
preferenze testuali e sociali” (Fiske, 1992)
Da consumatore a produttore
• Le audience, e in particolare i fan, non si
limitano a consumare “storie preprodotte”,
ma essi stessi producono (“manufacture”) le
proprie storie, fanzine, canzoni, video,
espressioni artistico di diverso genere e
performance.
• Il fandom diventa, dunque, cultura
partecipativa che trasforma l’atto del
consumo mediale, nella produzione di nuovi
testi, nuove culture e nuove comunità.
3°fase. Il fandom nel web 2.0
• La prima differenza evidente con il fandom prima
maniera (sia off che on line) è la questione delle
barriere d’accesso: elevate nelle prime due fasi,
relativamente basse nei social media.
• Questo comporta un ampiamento significativo della
platea interessata dalle pratiche di fandom (tutti
possono essere fan), così come un allargamento
delle maglie rispetto al controllo delle competenze
di base necessarie per poter esercitare il ruolo di
fan.
Perchè studiare i media?
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Fan come ego-centered network
• Il fandom del web 2.0 si caratterizza per una di
gestione ego-centered dei network relazionali
garantiti dall’essere fan.
• Allo stesso tempo, però, l’allentamento del senso di
comunità legata al fandom tende a scolorire i
confini simbolici del dichiararsi fan, a impoverire il
significato dell’impegno nei confronti del prodotto e
del legame con gli altri fan.
Perchè studiare i media?
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Il fan nei sns
• Le pratiche di fandom sono in realtà sempre più
ricomprese tra le normali attività che
quotidianamente vengono gestite attraverso i social
network sites.
• Si registra un gap sempre più significativo tra le
reali forme di produzione grassroot, a forte
componente cooperativa e partecipativa e l’attività
più o meno disinvolta della condivisione di contenuti
originali o prodotti da altri (tipica dei SNS).
Perchè studiare i media?
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Riconsiderare il fandom
• Il fandom prevede una modalità particolare di
ricezione che mette insieme il momento della
produzione semiotica (la costruzione popolare
dei significati) e la produzione enunciativa
(l’articolazione dei significati attraverso abiti,
video etc).
• Il fandom prevede un insieme particolare di
pratiche critiche e interpretative (la critica dei
fan tende alla speculazione e al soggettivo).
• Il fandom costituisce una base per il consumer
activism (si veda il rapporto che i fan instaurano
con i networks e con i produttori).
Riconsiderare il fandom
• Il fandom possiede particolari forme di produzione
culturale, tradizioni estetiche e pratiche (i fan
producono propri generi e sviluppano istituzioni
alternative di produzione, distribuzione e consumo)
• Il fandom funziona come una comunità sociale
alternativa.
Le subculture
• Per subculture si intendono piccoli gruppi o frammenti di
classe, gruppi sociali che sviluppano il proprio “distinto
modello di vita”, dando “forma espressiva alla loro
esperienza di vita sociale e materiale”.
• Le subculture sviluppano rituali di resistenza ai valori
proposti dalla cultura dominante.(Hall e Jefferson 1976).
• Per quanto nascano come subculture giovanili
all’interno della classe operaia, la resistenza alla cultura
egemonica e, al contempo alla cultura operaia dei
genitori, non è rappresentata attraverso gli strumenti
dell’opposizione politica, ma opera a livello dell’universo
simbolico.
Subcultura come rumore
• “Le subculture rappresentano un ‘rumore’
(come opposto di suono): interferiscono
nella normale successione che porta dagli
eventi e dai fenomeni reali alla loro
rappresentazione nei media”.
• Il potere di significazione delle subculture va
analizzato, quindi, come “un effettivo
meccanismo di disordine semantico: una
specie di blocco temporaneo nel sistema di
rappresentazione”. (Hebdige, 2000, 99)
“scatenare l’uragano e la tempesta”
• Le violazioni dei codici autorizzati, tramite i
quali il mondo sociale viene organizzato e
vissuto, hanno un considerevole potere di
provocazione e di disturbo.
• Mettono in mostra la natura arbitraria dei
codici che sono sottesi e danno forma ad
ogni tipo di discorso (Hebdige, 100).
La strategia
• “Chiamo strategia il calcolo (o la manipolazione) dei
rapporti di forza che divengono possibili dal
momento in cui un soggetto dotato di una propria
volontà e di un proprio potere (un’impresa, un
esercito, una città, un’istituzione scientifica) è
isolabile. Essa postula un luogo suscettibile
d’essere circondato come spazio proprio e di
essere la base da cui gestire i rapporti con obiettivi
o minacce esteriori (i clienti, i concorrenti, i nemici,
la campagna intorno alla città e gli oggetti della
ricerca)” (De Certeau 1990)
La tattica
• “In rapporto alle strategie definisco tattica
l’azione calcolata che determina l’assenza di
un luogo proprio. Nessuna delimitazione di
esteriorità le conferisce un’autonomia. La
tattica ha come luogo solo quello dell’altro.
Deve pertanto giocare sul terreno che le è
imposto così come lo organizza la legge di
una forza estranea. Non ha modi di
mantenersi autonoma, a distanza […]. Non
ha dunque la possibilità di darsi uno
progetto complessivo […] si sviluppa di
mossa in mossa” (De Certeau 1990)
L’arte del più debole
• “Questo non luogo le permette
indubbiamente una mobilità […]. Deve
approfittare, grazie a una continua vigilanza,
delle falle che le contingenze particolari
aprono nel sistema di sorveglianza del
potere sovrano, attraverso incursioni e
azioni di sorpresa, che le consentono di
agire là dove uno meno se lo aspetta.
• È insomma astuzia, un’arte del più debole”
(De Certeau 1990)
Le traiettorie
• Secondo De Certau i consumatori danno
vita attraverso le loro pratiche significanti, a
delle “linee di percorso”; producono
“tracciati”.
• Queste ‘traiettorie indeterminate’
apparentemente insensate, formano frasi
imprevedibili.
• “Sebbene composte nei vocabolari delle
lingue ricevute e sempre sottomesse a
sintassi prescritte, tracciano le astuzie di
interessi diversi e di desideri che non sono
determinati né captati dai sistemi entro i
quali si sviluppano”. (De Certeau 1990)
Le tattiche quotidiane
• La televisione gioca un ruolo cruciale nel
mantenimento delle differenze. Prodotta
dall’industria culturale e all’interno della
forza egemonica, è, tuttavia, incontrata dalle
tattiche di ogni giorno.
• Ciò che è necessario indagare, sulla scorta
della provocazione introdotta da De Certau,
sono, dunque, gli usi tattici e quotidiani delle
risorse culturali messe a disposizione
dall’industria culturale.
Strategie e tattiche
• “le strategie puntano sulla resistenza che
l’instaurazione di un luogo contrappone all’usura del
tempo;
• Le tattiche invece puntano su un’abile utilizzazione
di quest’ultimo, sulle occasioni che esso presenta e
anche sui margini di gioco che introduce nelle
fondamenta di un potere “(De Certeau 1990)
La superficie della subcultura
• Gli usi tattici si evincono, dunque, negli oggetti
mondani: “una spilla di sicurezza, delle scarpe a
punta, una moto – che nondimeno assumono una
dimensione simbolica, divenendo una sorta di
marchio, emblemi di un esilio volontario” (Grandi
1992).
• È nella superficie della subcultura che si trovano i
riflessi delle tensioni tra gruppi dominanti e gruppi
subalterni.
Gli oggetti nelle subculture
• Gli oggetti sono resi sempre più portatori di
significato in quanto “stile” di una subcultura.
• Comunicano con la loro presenza, la diversità di
un gruppo e dei suoi componenti rispetto
all’ideologia dominante.
• Lo stile della subcultura è carico di significato:
sfida il mito del consenso , portando avanti una
“lotta tra discorsi differenti, fra definizioni e
significati differenti all’interno dell’ideologia”
Creazione come dilatazione di
senso
• Lo stile delle subculture non nasce dal nulla. Non è puro
atto creativo, ma, per riprendere le parole di De Certau
e Fiske, è furto, “appropriazione”, “consumo produttivo”,
azione sovversiva.
• È una lettura di ciò che altri non leggono negli oggetti
ordinari della vita quotidiana: una dilatazione di senso
frutto di una forte dimensione volontaristica.
Il bricolage
• “Lévi Strauss sostiene che le usanze magiche dei
popoli primitivi devono essere considerate come
sistemi di connessione implicitamente coerenti e in
grado di estendersi all’infinito in quanto gli elementi di
base possono essere utilizzati in una grande varietà di
combinazioni capaci di generare fra loro nuovi
significati” (Hebdige in Grandi 1992)
Il lavoro del bricoleur nelle
subculture
• “Insieme, oggetti e significati costituiscono un
segno e, all’interno di ogni cultura, questi segni
sono assemblati, ripetutamente, entro forme
caratteristiche di discorso. Tuttavia, quando il
bricoleur ri-posiziona l’oggetto significante in una
differente posizione all’interno di quel discorso,
usando lo stesso complessivo repertorio di segni, o
quando quell’oggetto viene posizionato all’interno di
un insieme totale differente, un nuovo discorso
viene costruito, un differente messaggio
comunicato” (Clarke 1975)
L’omologia
• Contrariamente all’idea di massa che le sottoculture
siano forme senza leggi,
• “la struttura interna di ogni sottocultura specifica è
caratterizzata da un’estrema regolarità: ciascuna
parte è organicamente relazionata alle altre ed è
grazie all’integrazione tra le varie parti che un
appartenente alla sottocultura riesce a dare senso
al mondo”
• “Gli oggetti di cui ci si è appropriati, una volta
raccolti di nuovo in apparati sottoculturali distinti,
erano ‘resi tali da riflettere, esprimere e fungere da
cassa di risonanza per (…) determinati aspetti della
vita del gruppo” (Hebdige, 128)
L’esperienza delle subculture
• L’esperienza sociale delle subculture non rimane
grezza, ma è sempre mediata dai sistemi di
rappresentazione mediale.
• Sono le stesse rappresentazioni mediali la cornice
ideale al cui interno le subculture costruiscono il
loro discorso e rappresentano se stesse.
• “Parte del successo della cultura punk sta nella sua
capacità di riflettere e simbolizzare i problemi sociali
contemporanei” (Crane, 1992)
Le subculture come testo
• Analizzare le subculture significa sia osservare le
mappe di significato che esse compongono, sia il
senso attribuito dal gruppo alle pratiche, alle
istituzioni e agli oggetti.
• Le subculture vengono cioè analizzate come testo,
intendendo per testo sia i singoli prodotti
dell’industria culturale che esse decodificano, sia le
pratiche comportamentali, più o meno ritualizzate
dei componenti del gruppo, sia gli oggetti mondani
ri-semantizzati.
Leggere le subculture
• Una subcultura dovrebbe essere analizzata a tre livelli
(Cohen 1980) :
• il livello storico, in grado di isolare la problematica
specifica di una particolare porzione di classe
• il livello strutturale o semiotico (lo stile),
• il livello fenomenologico, ovvero un’analisi etnografica di
come le subculture vivono se stesse e il senso di
appartenenza.
Integrazioni delle subculture
• L’emergere di una sottocultura spettacolare
è sempre accompagnata da un’ondata di
isterismo nei media.
• Le innovazioni stilistiche per prime
attraggono l’attenzione dei media;
successivamente sono gli atti devianti a
conquistare spazio e visibilità e vengono
utilizzati per spiegare lo stile “innaturale”.
• In questo modo la propagazione dello stile si
accompagna alla riduzione della tensione
sottoculturale.
Integrazioni delle subculture
• “i media […] non solo registrano la
resistenza ma anche la ‘posizione entro il
sistema dominante dei significati’, e quei
giovani che hanno scelto di vivere all’interno
di una cultura giovanile spettacolare
vengono simultaneamente rinviati, da come
sono rappresentati alla televisione e nei
giornali, alla posizione dove il senso
comune li avrebbe voluti sistemare”
(Hebdige, 102)
La forma di merce
• La prima forma di integrazione riguarda il
rapporto tra subculture e industrie che le
servono e le sfruttano.
• “dopotutto una sottocultura riguarda prima e
soprattutto il consumo. Opera
esclusivamente nella sfera del tempo libero
[…]. Comunica attraverso merci anche se i
significati uniti a quegli oggetti sono di
proposito distorti o ribaltati” (Hebdige, 103)
La forma ideologica
• Due sono le strategie discorsive con cui
vengono affrontate le sottoculture in quanto
minaccia:
• “la prima: l’Altro può essere reso banale,
esser naturalizzato, addomesticato. In
questo caso la diversità è semplicemente
negata (“ogni Altro è ridotto all’identico”).
• Come alternativa l’Altro può essere
trasformato in esotismo insignificante, un
“puro oggetto, spettacolo, clown”.
Il recupero delle subculture
• Quando il vocabolario (visuale e verbale) dei sottogruppi
diventa sempre più familiare, il processo di recupero delle
subculture all’interno della mitologia dominante ripara
l’ordine rotto con l’avvento delle stesse.
• I media, infatti, non solo registrano la resistenza, ma la
situano all’interno della cornice dominante, riportando
simultaneamente le culture giovanili all’interno del senso
comune.
• Questo processo di recupero avviene attraverso:
• la conversione dei segni delle subculture in merci prodotte
per la massa
• l’etichettamento e la ridefinizione di comportamenti devianti
da parte di gruppi dominanti (per es. gli hooligans definiti
“animali”)
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