Sociologia della comunicazione e della moda Presentazione del corso Prof. Romana Andò 10 marzo 2015 Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 1 I Cultural studies Cultural Studies: un’introduzione • I cultural studies non sono una disciplina accademica come le altre. • Non possiedono né una metodologia ben definita, né un campo di indagine chiaramente delineato. • I cultural studies riguardano, certamente, lo studio della cultura o, più analiticamente, lo studio della cultura contemporanea. (S. During, 2004) Cultural Studies: impossibili da definire perché… • Cultural Studies oggi non vuol più dire soltanto Scuola di Birmingham: ci sono tradizioni dei Cultural Studies molto differenziate fra loro; • ci sono studiosi che rientrano a pieno titolo nei Cultural Studies pur non sapendolo (Radway); • i Cultural Studies sono interdisciplinari (tra sociologia e semiotica, fra sociologia e l’antropologia post-coloniale, tra criticismo letterario e pensiero marxista, etc.). • i Cultural Studies hanno un’anima etnometodologica e si caratterizzano per la riflessione sui metodi qualitativi (Researching Culture, P. Alasuutari). Cultural studies: 2 concetti di base • La soggettività (subjectivity): i cultural studies studiano la cultura in relazione alle vite individuali. “la cultura ci aiuta a riconoscere che una qualunque pratica quotidiana (come il leggere) non può essere separata dalla più ampia rete delle altre pratiche quotidiana (come il lavoro, l’orientamento sessuale, la vita familiare)”. (S. During, 2004) • La cultura (culture): “per i cultural studies, “culture” non è un’abbreviazione di “high culture”, considerata un oggetto a valore costante nel tempo e nello spazio”. (S. During, 2004). • La cultura è un intero stile di vita, che si compone tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura. Di cosa parliamo, quando parliamo di cultura • la cultura è “un orizzonte che recede ogni qualvolta uno gli si approssimi” (S. Benhabib, La rivendicazione dell’identità culturale). • “Che sia così sfuggente non dovrebbe stupire. Parlare della cultura implica infatti un paradosso: • il nostro costituirla come un oggetto di discorso è esso stesso - in quanto discorso, cioè pratica linguistica e culturale - parte dell’oggetto che intende descrivere” (Jedlowsky, Urbino 2007). Non esistono fatti, se non interpretati (Schutz) • Per Weber la cultura è “una sezione finita dell'infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell'uomo” • La cultura è ciò che svolge per gli esseri umani la funzione di determinare il significato della vita e delle azioni che in essa sono possibili. • La cultura è ciò che dà forma alla realtà quale la percepiamo e che inquadra le nostre condotte, permettendo al contempo l'elaborazione della nostra esperienza. • La cultura è l'ambito della vita sociale deputato alla mediazione simbolica dell’esistenza (Jedlowsky, Urbino 2007). Cultura come stile di vita • La cultura è indissolubilmente intrecciata con i vissuti e le pratiche degli attori sociali. • La cultura non esiste se non come “a whole way of life» (secondo la celebre espressione di Wiliams): • studiarla è studiare come le persone danno senso alla realtà e alle cose che fanno, • studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui vivono quotidianamente. • La cultura si riproduce nella vita dei soggetti concreti e da questi viene costantemente riformulata e innovata. Il CCCS di Birmingham • Nel 1964 Hoggart fonda il Birmingham Centre for Contemporary Cultural Studies. • La direzione di Hoggart durerà fino al 1968. • L’interesse per le forme della cultura popolare e per la loro componente politica caratterizza altri due studiosi: R. Williams e E.P. Thompson, anche essi provenienti dall’insegnamento per gli adulti. Richard Hoggart: The Uses of Literacy (1958) • The Uses of Literacy si concentra sul quotidiano “come categoria culturale della cultura operaia britannica”. • Questa viene descritta come “vita piena e ricca” di rituali del lavoro e del tempo libero, studiata e conosciuta attraverso l’esperienza personale: • il vissuto come base dell’analisi scientifica. • Ad essa si contrappone la cultura di massa americana, accusata di far perdere il carattere di classe e la coscienza comune del proletariato. Raymond Williams: Culture and Society (1958), The Long Revolution (1961) • Dalla sua prima definizione di cultura come “intero stile di vita […] come modalità di interpretazione delle nostre esperienze comuni”, Williams arriva a concepire la cultura come modo di vivere, che si esprime tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura. • I vari elementi della cultura, in relazione tra loro, vengono interpretati come espressioni di una struttura di sentimenti, come valori di un gruppo, una classe, una società … • da leggere come forme culturali. E. P. Thompson: The Making of the English Working Class (1963) • • • Alla base del pensiero di Thompson c’è l’idea del conflitto (“whole way of struggle”) tra forme di cultura diverse. Egli parla di una cultura popolare, attiva in senso anti-egemonico, che doveva confrontarsi positivamente con la cultura dominante. La cultura di massa viene, qui, demonizzata in quanto accusata di eliminare lo spirito di opposizione- ribellione della classe operaia. La tradizione strutturalista: la funzione politica della cultura Il ruolo politico della cultura • Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad essere indagata dal punto di vista della sua funzione politica. • La cultura viene letta come “ideologia” e come “egemonia”, intendendo con questo concetto una relazione di dominio che non viene vista (e vissuta) come tale da chi la subisce. L’ideologia nel pensiero di Althusser • Gli individui sono costrutti dell’ideologia. • L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle immagini che costituiscono la conoscenza diffusa degli uomini: il senso comune. • L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo) a riprodurre se stesso, senza la minaccia di una rivoluzione. • L’ideologia “cambia ciò che era politico, parziale e aperto al cambiamento in qualcosa che sembri “naturale”, universale ed eterno” (S. During 2004) L’ideologia dominante • Il ruolo primario dell’ideologia è quello di costruire un ritratto “immaginario” della vita civile all’interno della quale i soggetti sono rappresentati come liberi e unici. • Gli individui accolgono l’ideologia così facilmente perché essa li aiuta a “dare senso” al mondo, • e perché in essa si vedono indipendenti e forti. • Sia nel privato (si veda Lacan e la funzione dell’ideologia in quanto produttrice di false soluzioni alle tensioni private e familiari) • che nella vita politica. Il senso comune • “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo effetto di riconoscimento immediato, e il circolo chiuso in cui si muove, che rendono il senso comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e inconscio. • tramite il senso comune non si può apprendere come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall in Hebdige p. 14) L’ideologia in Althusser • “l’ideologia ha ben poco a che vedere con la “coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia […]. • Per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso la loro “coscienza”. • Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14) La consapevolezza dell’ideologia • Non si può scegliere di uscire dall’ideologia, ma si può scegliere di • “conoscerla il più approfonditamente possibile, riconoscerla il più in fretta possibile e, attraverso il proprio lavoro interpretativo, sempre e necessariamente incompleto, lavorare per trasformarla” (Spivak 1988, tr. it. p.38) Dall’ideologia all’egemonia • Il concetto di egemonia, nell’accezione di ideologia dominante (Gramsci 1977), appare in grado di spiegare come la cultura (anche mediale) concorra a perpetuare la società classista dominata da una classe. • Per egemonia si intende un insieme di idee dominanti che permeano una società,ma in modo tale da far sembrare sensato, pacifico e naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail 1983) • L’egemonia tende a liquidare l’opposizione allo status quo come dissidenza o devianza L’egemonia in Gramsci • Secondo Gramsci non è lo Stato a essere responsabile dell’egemonia, ma la società civile, con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia, la chiesa, i mass media e la cultura popolare. • Il consenso è un processo in continuo divenire, frutto di un patteggiamento e non un indottrinamento guidato. Gramsci nei Cultural Studies • I CS ritrovano in Gramsci la possibilità di appoggiarsi ad un marxismo non determinista e non economicista, attento al ruolo di istituzioni popolari come la chiesa e a quello degli intellettuali, • capace di tematizzare la cultura come il campo di lotte per l'egemonia fra le classi. • Una prospettiva insomma che riesce a vedere come le classi subalterne siano contemporaneamente influenzate da quelle superiori ma anche capaci di resistere a questa influenza, e come la cultura sia un campo di orientamenti in divenire costante, dove al venir meno di certe "sottoculture" (come quella della classe operaia) corrisponde il sorgere di altre (come quelle giovanili) Il potere: Foucault • L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto, ma come terreno di scontro • è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault. • Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di rapporti di potere. • “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare, sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita, suscita, produce; non è semplicemente occhio e orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259) Il potere: Foucault • Il dominio è stabile e violento. • Il potere è fluido e ribaltabile. • Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una rete di poteri e sono esse stesse un modo per ribaltare i rapporti e crearne di nuovi. • Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del potere e del sapere. Il discorso: Foucault • Per Foucault il discorso è un insieme di performance verbali, di sequenze di enunciati cui si possono attribuire delle particolari modalità di esistenza. • “così concepito il discorso non è la manifestazione, maestosamente sviluppata di un soggetto che pensa, conosce e dice: si tratta, invece, di un insieme in cui si possono determinare la dispersione del soggetto e la sua discontinuità con se stesso” (L’archeologia del sapere 1971). I discorsi del potere • “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo attraverso il quale le posizioni ideologiche dei singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il multiforme uso del linguaggio si interseca con il potere”. • Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono mantenute dall’infinita catena di espressioni che “mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al modo in cui la storia è prodotta e la società si riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16) Un terreno di scontro • “L’ideologia è così divenuta non solo una ‘forza materiale’ – reale perché è ‘reale’ nei suoi effetti – • ma anche un terreno di scontro (tra definizioni in concorrenza) una scommessa – un premio da vincere – nella attuazione di particolari strategie di lotta” (Hall 1982) Stuart Hall e l’ideologia nei media • Con la direzione di Hall del CCCS dal 1968 al 1979, i Cultural studies si arricchiscono del contributo della filosofia post-strutturalista e della psicanalisi post- freudiana, dell’approccio semiotico e dell’antropologia strutturale • contemporaneamente ad una nuova interpretazione del concetto marxista di ideologia. • La cultura, e in particolare i testi mediali, vengono letti come campo di confronto per la definizione dei significati e analizzati in termini di effetti dell’ideologia. L’ideologia nei media e gli effetti di realtà • La presenza dell'ideologia nei mass media ha come effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che appaiono come naturali descrizioni della realtà: • 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare credibilità in quanto affermazione basata su fatti • Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui derivano alcune conseguenze: • la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di significazione inteso come risultato di un conflitto non riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali sono considerate relativamente autonome dalle condizioni economiche. Gli effetti dell’ideologia • Secondo Hall, l’attività ideologica si presenta come la possibilità dei mass media di definire la linea di demarcazione • “tra spiegazioni preferite ed escluse, • tra comportamenti ammessi e devianti, • tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è pieno di senso’ • tra pratiche, significati e valori integrati e di opposizione” (Hall 1979) L’egemonia e i media • I mass media non definiscono di per sé la realtà, ma danno spazio alle definizioni dei detentori del potere. • I media agiscono per il mantenimento del potere non attraverso “la trasmissione diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa in forma dell’intero ambiente ideologico, un modo di rappresentare l’ordine delle cose […]” (Hall 1982) L’egemonia e i media • Il ruolo “consensuale” dei media non è più individuato nel loro riflettere un consenso già presente a livello sociale, ma nel partecipare alla costruzione stessa di tale consenso che si articola “liberamente” attorno a definizioni della situazione interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno concorda”.(Hall 1982) Il processo di comunicazione Programma come discorso “significato” Codifica Decodifica Strutture di significato 1 Strutture di significato 2 Quadri di conoscenza Quadri di conoscenza Relazioni di produzione Relazioni di produzione Infrastrutture tecniche Infrastrutture tecniche Il processo di comunicazione • Il processo comunicativo può essere, a grandi linee, spiegato in questo senso: • alle strutture istituzionali televisive “con le loro pratiche e network produttivi, relazioni organizzate e infrastrutture tecniche, è richiesto di produrre un programma”. • “La produzione, in questo contesto, costruisce il messaggio. Da un certo punto di vista, quindi, il circuito comincia qui” (Hall, Tele-visioni pag. 69) La forma discorsiva • Un evento grezzo “non può essere trasmesso nella sua forma originaria da un notiziario televisivo. Gli eventi possono essere comunicati solo dentro le forme audiovisive del discorso televisivo”. • Le strutture televisive devono produrre messaggi codificati, nella forma di un discorso dotato di senso” (Hall, Tele-visioni pag. 69-70) La forma discorsiva nel processo comunicativo • “Il processo produttivo ha un suo aspetto “discorsivo” in quanto è, a sua volta inserito in una struttura di significati e di idee” • “è nella forma discorsiva che avviene sia la circolazione del prodotto che la sua distribuzione a diversi tipi di pubblico” • “affinché il circuito sia completo ed efficace, il discorso una volta realizzato, deve essere tradotto – cioè nuovamente trasformato – in pratiche sociali” (Hall, Tele-visioni pag. 6870) La mancanza di equivalenza • “i codici di codifica e decodifica possono non essere perfettamente simmetrici. • Il grado di simmetria – cioè i gradi di “comprensione” e di “fraintendimento” nello scambio comunicativo – dipende dal livello di simmetria/asimmetria (relazioni di equivalenza) stabilitosi tra le posizioni delle “personificazioni”, codificatore-produttore e decodificatore-ricettore” • Lo squilibrio può dipendere da differenze strutturali (di relazione e posizione) o da differenze di codici. (Hall, Tele-visioni pag. 72) Denotazione e connotazione • Il termine “denotazione” indica il significato letterale del testo: “poiché questo significato letterale è riconosciuto in maniera quasi universale […] la “denotazione” è stata spesso confusa con una trascrizione letterale della “realtà” nel linguaggio, e quindi con un “segno naturale”, prodotto senza l’intervento di un codice” • “La “connotazione” è utilizzata per indicare significati associativi meno fissi e quindi più convenzionali e trasformabili” (Hall, Televisioni pag. 75) L’ideologia nel discorso • Nel discorso i segni mescolano sia gli aspetti denotativi che connotativi. • “I segni sembrano acquisire il loro pieno valore ideologico, ovvero sembrano aprirsi all’articolazione con discorsi e significati più ampi, • al livello dei significati “associativi” (cioè al livello connotativo), • perché qui i “significati” apparentemente non sono fissati dalla percezione naturale (cioè non sono completamente naturalizzati) e la fluidità di significati e di associazioni può essere sfruttata e trasformata più pienamente”. • “A questo livello, possiamo vedere più chiaramente l’intervento attivo delle ideologie nel discorso e su di esso” (Hall, Tele-visioni pag. 75-76) L’ideologia nei media • La polisemia del segno connotativo non deve essere scambiata per pluralismo. • I significati connotativi non sono tutti uguali tra loro. “qualunque società/cultura tende, con diversi livelli di chiusura, ad imporre le sue classificazioni del mondo sociale e culturale e politico. • Queste costituiscono un ordine culturale dominante, che tuttavia non è né univoco né incontrastato”. (Hall, Tele-visioni pag. 77) L’ideologia nei media • Qualunque società (struttura produttiva) tende ad imporre le proprie “mappe di significato” e a comporre la dimensione connotativa in un “ordine culturale dominante” • I significati dominanti/preferiti non sono né univoci, né incontrastati. Tuttavia, all’interno del processo comunicativo, sono perfettamente riconoscibili alcune “regole performative” che cercano attivamente di “imporre” o “promuovere” una mappa di significato, o di rendere compatibili elementi differenti all’interno della mappe dominanti. La comunicazione sistematicamente distorta • “Dal momento che non esiste alcuna corrispondenza necessaria fra la codifica e la decodifica, la prima può cercare di “indirizzare”, ma non può prescrivere o garantire la seconda, che ha le sue proprie condizioni di esistenza” • L’ipotesi Encoding/Decoding è formulata a partire dal fatto che non esistendo una “corrispondenza necessaria” occorre costruire una teoria della “comunicazione sistematicamente distorta” Codice professionale e codice dominante • “la produzione dei media di massa ricopre […] la funzione di provvedere al mantenimento dell’ordine sociale egemonico, legittimando le definizioni sociali esistenti […] attraverso un processo di codifica che investe i prodotti massmediatici di una lettura preferita”. • Il professionista dei media, dunque, codifica un messaggio che è già stato dotato di senso in modo egemonico. • “il codice professionale è “relativamente indipendente” dal codice dominante, perché applica modifiche e criteri propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice professionale, comunque, opera dentro l’ “egemonia” del codice dominante”. (Hall, Tele-visioni, pag.81) Stuart Hall: Encoding and decoding in television discourse (1980) • Se l’attività di codifica consiste dunque nel definire i limiti e i parametri che racchiudono la libertà del processo di decodifica • dalla relazione tra lettore e questi limiti discendono tre differenti modalità di decodifica : la posizione dominante egemonica (lettura preferita) • la posizione negoziata • la posizione “di opposizione” La lettura preferita • Si attua una lettura “preferita” quando il telespettatore “prende il significato connotato da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di attualità direttamente e nella sua interezza e decodifica il messaggio nei termini del codice attraverso il quale è stato codificato” (Hall 1980) Il telespettatore opera all’interno del codice dominante/egemonico mediato professionalmente. Le definizioni dominanti • Le definizioni dominanti collegano implicitamente o esplicitamente gli eventi con le grandi generalizzazioni … • Propongono “vedute ampie”. • “la definizione di un punto di vista egemonico è • A) che definisca, entro i propri termini, l’orizzonte mentale o l’universo dei significati possibili, di un intero settore di relazioni in una società o cultura e • B) che abbia il crisma della legittimità, che sembri in sintonia con ciò che è “naturale”, “inevitabile” e “scontato” sull’ordine sociale”. (Hall, Tele-visioni, pag.83) Modello Encoding/Decoding • L’uso del codice negoziato sottende un atteggiamento duplice: “accordare la posizione privilegiata alle definizioni dominanti degli eventi, pur riservando il diritto di attuarne un uso più negoziato legato a condizioni locali” (Hall 1980) La posizione negoziata L’uso del codice negoziato sottende una combinazione di elementi adattivi e opposizionali: lo spettatore è in grado di rintracciare la definizione egemonica e pur riconoscendone la legittimità nel contesto istituzionale opera la decodifica attraverso una “versione negoziata”, legata a “logiche particolari o situate” Questo è l’ambito che professionalmente può essere considerato in termini di “insuccesso comunicativo” o di distorsione della comunicazione. La posizione di opposizione • Nella posizione di opposizione il telespettatore comprende la lettura preferita costruita e proposta, ma ridefinisce “il messaggio all’interno di una qualche cornice di riferimento alternativa” • Nel caso precedente avevamo fenomeni di distorsione della comunicazione, mentre qui non si crea distorsione, ma si attiva la volontà di porre in rilievo le contraddizioni che una lettura contro le regole del codice egemonico comporta. (Hall 1980) La decodifica differenziale • Il processo di decoding avviene in maniera differenziata: • il conflitto culturale riguarda gruppi che si identificano in, e attraverso, particolari pratiche sociali e gruppi dominanti che tendono ad un loro inglobamento. • Il conflitto viene letto non più tra classe egemone e classi subalterne • ma come conflitto centrato su variabili come il gender, l’età, la razza, le preferenze sessuali. La mappa culturale dell’audience David Morley “Cultural Transformations: the politics of resistance” in H. Davis, P. Wilson, Language, image, Media, 1983 Dalla comunità all’audience • La ricca ricerca sviluppata all’interno del CCCS negli anni ’70 e ’80 è emblematicamente rappresentata dallo studio di David Morley, “The Nationwide” Audience. • È uno dei primi studi etnografici a concentrarsi non più su una comunità (intesa in senso locale e di classe) ma su un’audience (definita come gruppo di spettatori o lettori). La struttura dell’audience: la decodifica nel contesto culturale • “Dovremmo utilmente pensare all’audience dei media non tanto come una massa indifferenziata di individui • ma come una complessa struttura di individui socialmente organizzati in un numero indefinito di sottogruppi e subculture, • ciascuna delle quali ha la sua storia e le sue tradizioni culturali” (Morley, 1983) Non solo analisi del testo • Secondo Morley, “il significato prodotto dall’incontro tra testo e soggetto non può essere letto una volta per tutte a partire dalle caratteristiche del testo stesso. • Il testo non può essere considerato come isolato dalle sue storiche condizioni di produzione e di consumo. • Un’analisi dell’ideologia dei media non può risolversi nella sola analisi della produzione e del testo.” (Morley 1983) Il significato nei discorsi del testo e delle audience • “Il significato del testo verrà costruito differentemente sulla base dei discorsi (conoscenze, pregiudizi, resistenze) messi in gioco dal lettore, e il fattore cruciale nell’incontro tra soggetto e testo sarà il range di discorsi a disposizione dell’audience” (Morley 1983) Il modello encoding decoding in Morley • Nella codifica i broadcaster mirano a stabilire una relazione di complicità con le audience. • L’obiettivo è quello di “raggiungere l’identificazione con le audience attraverso meccanismi che conquistino la complicità delle audience e suggeriscano letture preferite” (Morley 1983) The Nationwide audience: il metodo • La ricerca aveva l’obiettivo di fornire un’analisi delle forme discorsive del programma e di scoprire quali segmenti di audience decodificavano in linea con i codici preferiti/dominanti, e quali, invece, si muovevano su letture negoziate o oppositive. • Due puntate videoregistrate del programma furono presentate a 29 gruppi (composti da 5-10 soggetti), selezionati all’interno di diversi ambienti sociali e culturali e diversi livelli del sistema educativo. • I gruppi erano composti da: giovani apprendisti ingegneri e metallurgici, sindacalisti, commessi e studenti di colore. The Nationwide audience: il metodo • La discussione, avviata dopo la visione del programma, aveva la durata di circa 40 minuti e veniva registrata per poter essere trascritta successivamente ed utilizzata per l’analisi. • La metodologia era l’intervista focalizzata. • La prima parte dell’intervista, non direttiva, aveva l’obiettivo di stabilire un “working vocabulary” e una cornice interpretativa di riferimento dei gruppi, e l’ordine di priorità attribuito dai gruppi stessi ai temi in oggetto. Il sistema lessico-referenziale dei gruppi • L’obiettivo del lavoro era quello di identificare la natura dei sistemi “lessico-referenziali” dei gruppi e indagare come questi si correlassero con quelli usati dai broadcaster. I quesiti dell’indagine: • Le audience usano le stesse parole, negli stessi modi dei broadcaster nel discutere i temi del programma? • I gruppi attribuiscono ai temi lo stesso ordine di priorità presentato nel discorso televisivo? • Dalla discussione emergono temi non discussi dal programma, specificamente menzionati dai gruppi? Codici e repertori culturali • “the question is which cultural repertoires and codes are available to which groups, and how do they utilize these symbolic resources in their attempt to make sense of messages coming from the media?” (Morley 1983) Gli apprendisti e la lettura dominante • Il gruppo più vicino ai codici dominanti era quello degli apprendisti. • Sebbene il tono dominante delle risposte del gruppo fosse di cinismo o resistenza (“damn all politicians – they’re all as bad as each other”) • essi tendevano ad accettare la prospettiva offerta da e attraverso il programma. • l’interpretazione di senso comune (“common sense”) offerta dal programma era la stessa del gruppo che riteneva i temi di Nationwide “naturali”, ovvi e non problematici. I sindacalisti e la lettura negoziata • All’interno di questo gruppo venivano prodotte letture negoziate o oppositive: la risposta non era frutto della posizione di classe “ but rather the result of differential involvement and positioning in discourse formation” (Morley 1983). • In generale i sindacalisti erano spettatori regolari di Nationwide e approvavano i temi e i modi del programma, identificandosi nel “we” del programma stesso (“it seems to be a programme acceptable to the vast majority of people”) • Sui temi più concreti, locali – per esempio quelli riguardanti la posizione del sindacato – emergevano, tuttavia, letture oppositive o negoziate. I commessi e la lettura oppositiva • Furono i commessi ad offrire spontaneamente la lettura oppositiva più articolata e radicale. • Essi rifiutavano il tentativo del programma di costruire un “noi” nazionale, coerentemente con quanto fatto da altri media e programmi. Gli studenti di colore e la critica del silenzio • Questo gruppo era completamente distante dal discorso di Nationwide (noioso e affatto interessante). • I temi e la cornice culturale del programma non erano i loro temi e la loro cornice. • Essi chiaramente indicavano che quello non era un programma per loro, ma per “older people, middle-class people”. • Non rientrava nei loro interessi (“why didn’t they never interview Bob Marley?”). • La distanza dal programma era il riflesso di una distanza marcata dalla “tv seria” e dalla politica. Una mappa culturale delle audience • È possibile dire che tutti i gruppi coinvolti condividevano, al loro interno, una comune posizione di classe, ma le loro decodifiche del programma erano orientate differentemente sulla base dei discorsi e delle istituzioni in cui erano inserite. • “Per capire i significati potenziali di un messaggio dato abbiamo bisogno di una mappa culturale dell’audience alla quale il messaggio si rivolge – una mappa che mostri i differenti repertori culturali e le risorse simboliche disponibili a sottogruppi posizionati differentemente all’interno dell’audience” (Morley 1983). Audience diffusa tra spettacolo, narcisismo, immaginazione e comunità Nick Abercrombie, Brian Longhurst 1998 In Audiences. A Sociological Theory of Performance and Immagination, London Sage Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 66 Lo spectacle/performance paradigm • Gli studi di Abercrombie e Longhurst prendono le mosse dal limite intrinseco al paradigma dell’incorporazione/resistenza nel considerare le audience come costrette tra una posizione di accettazione dell’ideologia o di resistenza. • L’attenzione si sposta dalla lettura delle audience in chiave oppositiva, a audience che definiscono la propria identità all’interno delle relazioni che stabiliscono con le forme mediali. L’identità delle audience • Il paradigma mira a studiare l’identità delle audience e il loro statuto all’interno della società, immaginando che l’identità si costruisca all’interno non tanto dei testi mediali ma del cosiddetto mediascape, il mondo globale dei media. Lo studio delle audience: dove siamo arrivati • Secondo Abercrombie e Longhurst (1998) esistono tre tipi di audience, che si sono sviluppate storicamente e che oggi tendono alla compresenza: • Simple audience • Mass audience • Diffused audience La simple audience • La simple audience, nata in età premoderna e tuttora presente, si basa sul rapporto diretto e immediato tra emittente e ricevente. • La comunicazione si svolge in uno spazio socialmente definito (spazio pubblico) • La figura dell’emittente-performer è distante da quella del ricevente (che assiste allo spettacolo). • Al ricevente è richiesto un elevato grado di attenzione. La mass audience • È tipica di forme di fruizione despazializzate. • La comunicazione è mediata dai mezzi di comunicazione. • Emittente-performer e ricevente sono molto distanti. • L’attenzione richiesta al ricevente può variare sulla base delle caratteristiche contestuali della fruizione. La diffused audience • Abercrombie e Longhurst intendono per audience diffusa la situazione in cui il soggetto è sempre parte di un pubblico a prescindere dal singolo atto di fruizione e da singoli eventi. • “The essential feature of this audienceexperience is that, in contemporary society, everyone becomes an audience all the time. Being a member of an audience is no longer an exceptional event, nor even an everyday event. Rather it is constitutive of everyday life” (Abercrombie e Longhurst) Le audience diffuse… • «il vedere la televisione [consumare media nda] non può essere confinato nei periodi in cui la televisione è accesa. La televisione […] è anche parte della nostra vita culturale, quando la sua presenza è meno diretta, meno ovvia» (Fiske, 1989) • «essere un membro di un’audience non è più tanto un evento eccezionale, e neanche un evento quotidiano. Piuttosto è parte della vita quotidiana» (Abercrombie, Longhurst, 1998) Le audience diffuse • L’esperienza di consumo non è più legata ad un particolare evento, spettacolo o canale mediale, ma è un’esperienza quotidiana. • L’audience diffusa nasce dall’intersezione di 4 fattori • • • • Quantità di tempo investito nel consumo mediale Pervasività dei media nella vita moderna Società performativa Spettacolarizazione della vita e del mondo + atteggiamento narcisista Performatività • Per performatività si intendono, nelle parole della Butler, quegli atti e gesti, generalmente costruiti, che regolano i principi di organizzazione dell’identità, • nel senso che “l’essenza o identità che essi dichiarano di esprimere sono fabbricazioni prodotte e mantenute attraverso segni corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler 1990). Performatività • La performatività è «una serie di pratiche che segnano i corpi, in accordo ad una griglia di intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi una fiction familiare» (Mc Robbie 2005). • Allargando il ragionamento al soggetto nella sua interezza, per performatività intendiamo quindi le pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia di intelligibilità sociale, • in modo tale che il sé diventi una fiction (rappresentazione) familiare (cioè condivisa e condivisibile all’interno dei legami sociali). Il mondo come spettacolo • “Nel portare tesi a sostegno dell’importanza dello spettacolo, la nostra proposta è che il mondo, e tutto ciò che è al suo interno, viene trattato sempre più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993). • Nel mondo le persone, gli oggetti, gli eventi non possono essere dati per scontati, ma devono essere inseriti in cornici, guardati, osservati, registrati e controllati. Ciò, a sua volta, suggerisce che il mondo si costituisce come un evento, come una performance; gli oggetti: le persone e gli eventi che fanno parte del mondo sono fatti per mettere in scena performance per coloro che li guardano o osservano intensamente. (Abercrombie, Longhurst) Vedere ed essere visti • Più in generale, la vita contemporanea è una questione di spettacolo e lo scopo della vita moderna è quello di vedere e essere visti. Questo perché: • 1) il mondo come merce richiede attenzione; inscena performance; • 2) la pervasività dei mezzi di comunicazione di massa contribuisce alla presentazione del mondo come uno spettacolo, come una serie di performance. Il landscape diventa mediascape. Il narcisismo • La nozione di società narcisista include l’idea che le persone si comportino come se fossero guardate, come se fossero al centro dell’attenzione di un’audience reale o immaginata. • Il narcisista incontra difficoltà nel distinguere i confini del sé, nel separare se stesso dagli altri. Il sé narcisista è costruito e mantenuto solo nei riflessi ricevuti dagli altri. Performance narcisistica e audience immaginata • Il fatto che il sé sia centrale, non significa che tutto il resto venga cancellato. • Per le funzioni proprie del narcisismo, infatti, l’audience deve essere immaginata come qualcosa che contribuisce alla propria immagine narcisista. • Il narcisismo coinvolge una performance immaginata di fronte agli altri, che costituiscono un’audience focalizzata sul sé narcisista. Società dello spettacolo, narcisismo e performance • Il narcisismo, dunque, fornisce il lato motivazionale e individuale dello spettacolo. • Per rendere il mondo sociale uno spettacolo, le persone devono essere viste come oggetti di spettacolo. Devono essere incitate, motivate, per mettere in atto performance. Lo spettacolo e il narcisismo sono realmente i due lati della stessa medaglia. • Entrambi sono effettivamente le conseguenze della diffusione della performance al di fuori dei suoi ambiti originariamente relativamente ristretti. • La maggior parte degli eventi che costituiscono la vita quotidiana sono performance per le quali esiste un’audience Audience diffusa e immaginazione • Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance richiede il potere dell’immaginazione. • L’audience diffusa richiede che i propri membri mettano in campo una mole considerevole di risorse immaginative Sogno ad occhi aperti e performance • Chiaramente, le trasformazioni del sé che si sviluppano a partire dalla fantasia, stimoleranno maggiormente il giudizio degli altri - l’audience reale e immaginata che assiste alla performance. • L’attitudine moderna del sogno ad occhi aperti significa che le persone sono in grado di immaginarsi mentre mettono in scena performance di fronte ad altre persone e di immaginare, inoltre, le reazioni che gli altri avranno Media, immagini e immaginazione • Le performance quotidiane che costituiscono una società spettacolare e narcisistica sono organizzate frequentemente intorno alle immagini che provengono dai media sullo stile, la personalità, l’abbigliamento, la musica e così via. • Oltre ad essere regolatori o costitutivi della vita quotidiana, i media forniscono anche immagini, modelli di performance, o quadri di azione e di pensiero che diventano risorse di routine del quotidiano. Le persone, in altre parole, usano nella vita quotidiana quello che i media forniscono loro. Il circuito S-N-S (spectacle-narcisismspectacle) • I media forniscono una risorsa per vedere il mondo in modo spettacolare; • creano sistematicamente il mondo come spettacolo. • Simultaneamente, forniscono alcuni materiali grezzi per il narcisismo, • così che le persone replicano nelle loro vite la relazione performance-audience che ha luogo nei media. Audience come comunità immaginata • Nei sogni ad occhi aperti, le persone immaginano la presenza di altri, che costituiscono l’audience per le loro performance quotidiane. • Non c’è bisogno di ripetere che questi altri non sono altri qualsiasi. Essi sono altri significativi, menti con attitudini e gusti simili. Un modo per concettualizzare la relazione tra le persone che formano parte di questa presenza immaginata è descriverle come una comunità. • La nostra pretesa è sostenere che l’audience diffusa sia una comunità immaginata L’audience diffusa come comunità immaginata • L’audience diffusa, intesa come comunità immaginata, viene, in larga misura, se non interamente, liberata dalle restrizioni di spazio e tempo; i membri dell’audience diffusa possono essere immaginati in ogni momento temporale, ma soprattutto, in ogni luogo spaziale. • La struttura della comunità può essere pensata come una serie di anelli concentrici intorno all’individuo, che si estendono nello spazio e nel tempo. Come si forma un’audience diffusa • Accettando la proposta di Abercrombie e Longhurst le audience diffuse sono il punto di arrivo di un processo come il seguente: • media pervasivi → società dello spettacolo → narcisismo → performatività → audience diffuse. L’audience diffusa e i contenuti mediali • L’attività delle audience somiglia, quindi, ad una quasi naturale appropriazione delle merci-spettacolo • “che finiscono per diventare il fondale ordinario, oltre che gli abiti di scena, delle diverse rappresentazioni di sé. Il modello ideale di un’audience diffusa, dunque, agisce nella direzione di sottolineare la normalizzazione di un processo di consumo, uso e produzione di senso” (Andò, Marinelli, 2008) Esercitarsi nel riconoscersi tra audience • più estesa è diventata la penetrazione dei media nella nostra vita quotidiana, più strumenti sono resi disponibili, • più ampia è diventata la possibilità per le audience di esercitarsi nello stile e provare la riconoscibilità di questo stile, per così dire mediato, presso le altre componenti delle audience con cui entrano in contatto attraverso le pratiche (on e off line) di consumo mediale. Il fandom • Il fandom è un tratto comune della cultura popolare nelle società industriali. • Seleziona dal repertorio dell’intrattenimento prodotto e distribuito per la massa, certi artisti, racconti o generi e li trasforma nella cultura di un gruppo di persone che si autoselezionano come appartenenti ad esso. Il fan: una definizione • ‘Fan’ è una forma abbreviativa della parola ‘fanatico’, che ha le sue radici nella parola latina ‘fanaticus’. • Nel senso più letterale, ‘fanaticus’ significava semplicemente ‘del o appartenente al tempio, un servo del tempio, un ‘devoto’, ma presto assunse connotazioni più negative, ‘di persone ispirate da riti orgiastici e colte da frenesia esaltata’ (Oxford Latin Dictionary). • Il termine ‘fanatic’ passò da connotazioni referenziali ad altre legate al credo e al culto eccessivo a ‘qualsiasi esaltazione eccessiva o distorta’, spesso evocato nella critica contro credi politici avversari e poi, più generalmente, alla pazzia che può venir fuori dalla possessione demoniaca o idolatrica’ Definizioni del fandom • Nella definizione di fan si passa, dunque, dalla rappresentazione degli stessi come • potenziali fanatici • a quella di soggetti facilmente manipolabili e distratti • fino a definizioni che, riprendendo il concetto di subcultura, considerano i fan come “una frazione elitaria di una più ampia audience di consumatori passivi”. Il fan nella satira. Il caso Star Trek • • • • • • • a. sono consumatori senza cervello, che compreranno qualsiasi cosa sia associata con il programma o con il suo cast (l’album di DeForest Kelly); b. dedicano le loro vite all’accumulazione di un sapere che non vale niente (la combinazione della cassaforte di Kirk, il numero della cabina di Yeoman Rand, l’ordine numerico degli episodi del programma); c. danno un’inappropriata importanza a materiale culturale di nessun valore (‘È solo uno spettacolo televisivo’); d. sono emarginati sociali talmente ossessionati per lo spettacolo, che questo preclude altri tipi di esperienze sociali (‘Fatevi una vita’); e. sono resi effemminati e/o asessuati dal loro attaccamento alla cultura di massa (‘Hai mai baciato una ragazza?’); f. sono infantili, emotivamente ed intellettualmente immaturi (il suggerimento che dovrebbero andarsene dalla soffitta dei genitori, le loro risposte imbronciate e disorientate alle critiche di Shatner, un mix di bambini piccoli e adulti soprappeso); g. sono incapaci di separare la fantasia dalla realtà (‘Dici che dovremmo prestare più attenzione ai film?’). (Jenkins 1992) Il fan come psicopatico • Nei media i fan sono frequentemente caratterizzati come psicopatici, le cui fantasie frustrate di avere relazioni intime con le star o i loro desideri insoddisfatti di diventare essi stessi star, prendono forme violente e antisociali. • Charles Manson (fan dei Beatles), Hohn Hinkley (fan di Jodie Foster), Dwight Chapman (fan di John Lennon). Il fan in soffitta • Una cotta innocente può diventare un’ossessione clinica se trattenuta troppo a lungo. Il fan non ha nessun potere sul perfomer se non quello di distruggerlo … La sottile linea tra amore ed odio, tra libertà e destino, gradualmente scompare per il fan in soffitta, che si rassegna al suo amore misconosciuto e indesiderato come un erezione imbarazzante, messa in evidenza senza un posto dove dirigersi; e l’amore si trasforma in un’arma, appena scopre che non potrà mai arrivare all’oggetto del proprio desiderio, se non con una pallottola. (143) Il gusto • I concetti di ‘buon gusto’, condotta appropriata, criterio estetico non sono naturali o universali; piuttosto sono radicati nell’esperienza sociale e riflettono interessi di classi particolari. • Come nota Pierre Bourdieu (1979), questi gusti sembrano spesso ‘naturali’ per coloro che li condividono, proprio perché sono modellati sulle nostre esperienze precedenti come membri di un particolare gruppo culturale, rinforzati da scambi sociali e razionalizzati attraverso incontri con una cultura più elevata e da altre istituzioni fondamentali, che premiano condotta e gusti appropriati. • Il gusto diviene un mezzo fondamentale, grazie al quale le distinzioni sociali vengono mantenute e le identità di classe vengono forgiate. Quelli che possiedono ‘naturalmente’ gusti appropriati, ‘meritano’ una posizione privilegiata nella gerarchia istituzionale e mietono i più grandi benefici dal sistema educativo, mentre i gusti degli altri sono visti come ‘grossolani’ e sottosviluppati. Il gusto dei fan • La pratica interpretativa dei fan differisce da quella incoraggiata dal sistema educativo e preferita dalla cultura borghese, non solo nelle scelte degli oggetti o nel grado della sua intensità, ma spesso nei tipi di esperienze di lettura che essa impiega e nei modi nei quali i fan si avvicinano ai testi. • Dal punto di vista del gusto dominante, i fan sembrano essere lettori scorretti, spaventosamente fuori controllo, indisciplinati e incorreggibili. Il fan e il capitale culturale • I fan parlano di ‘artisti’ quando gli altri vedono solo veicoli commerciali, di significati trascendenti quando gli altri vedono solo banalità, di ‘qualità e innovazione’ dove gli altri vedono solo formule e convenzionalità. (Jenkins 1992). • i fan assaltano la cultura di massa, rivendicando i suoi materiali per il loro uso personale, rielaborandoli come base delle loro creazioni culturali e delle loro interazioni sociali (jenkins 1992) Fan come altro • Il fan, le cui preferenze culturali e le cui pratiche interpretative sembrano così antitetiche alla logica estetica dominante, deve essere rappresentato come ‘altro’, deve essere tenuto a distanza in modo tale che il suo gusto fannish non inquini la cultura riconosciuta come tale. • La marginalizzazione cui sono ridotti i fan, al di là del mainstream fa sì che sia molto scomodo per un fan parlare in pubblico del suo esser fan e identificarsi, anche in privato, con le pratiche culturali dei fan. Bourdieu e il capitale culturale • Bourdieu, andando oltre Marx, distingue tra quattro diversi tipi di capitale: • a) Capitale economico (denaro, mezzi di produzione) • b) Capitale sociale (reti sociali) • c) Capitale culturale (lingue, gusto, way of life, ecc) • d) Capitale simbolico (simboli di legittimazione). • Questi quattro tipi di capitale sono convertibili l’uno nell’altro, nel senso che chi ha la cultura (capitale culturale) può tradurla in denaro (capitale economico), e così via. Il capitale culturale • Bourdieu descrive la cultura come un’economia nella quale le persone investono e accumulano capitale. • Il sistema culturale lavora come quello economico nel distribuire le proprie risorse in modo ineguale e, quindi, nel distinguere tra privilegiati e poveri. • Questo sistema culturale promuove e favorisce certi gusti culturali e competenze, individuando una cultura alta, o ufficiale che distingue, come il denaro, tra chi la possiede e chi no. La mappa di Bourdieu • La nostra società può essere letta come una mappa a due dimensioni, nella quale l’asse verticale, o nord-sud, registra l’ammontare di capitale posseduto (economico e culturale), e l’orizzontale, o est-ovest, registra il tipo di capitale (economico o culturale). • Quelli ad ovest sono in posizione più elevata nell’asse del capitale culturale rispetto a quello economico (per esempio accademici, artisti, etc…), • mentre quelli ad est possiedono più capitale economico che culturale (uomini d’affari, produttori di manufatti). • In alto al centro trovano posto quelli ricchi rispetto ad entrambe le forme di capitale, professioni come gli architetti, i dottori, gli avvocati e cosi via, gli educati, ‘raffinati’ capitalisti! • Il sud, o il fondo, del diagramma è occupato da quelli privi di entrambi, che Bourdieu definisce ‘il proletariato’. I limiti del pensiero di Bourdieu • Abbiamo bisogno di aggiungere al modello di Bourdieu il gender, la razza e l’età come assi di discriminazione e, quindi, leggere la sua concezione del modo in cui la cultura lavora per sottolineare le differenze di classe, come sintomatico della sua funzione negli altri assi della differenza sociale. • Un altro limite è il suo aver mancato nell’accordare alla cultura del subordinato la stessa sofisticata analisi riservata a quella del dominante. Il fan e la capacità di discriminare • Il fan è in grado di discriminare tra quelle forme di cultura popolare che sono “autentiche” (quali quelle che sono veramente arte o che rappresentano realmente la loro esperienza) e quelle che sono il risultato delle spinte del mainstream commerciale ad appropriarsi di queste forme [comunicative] e a produrne versioni di basso profilo per audience più ampie. Discriminare • I fan discriminano con fierezza: i confini tra cosa rientra entro il loro fandom e cosa no, sono chiaramente definiti. • La discriminazione dei fan possiede affinità sia con le discriminazioni socialmente rilevanti della cultura popolare, sia con le discriminazioni estetiche di quella dominante. La produttività dei fan • Secondo Fiske i fan sono audience produttive che esercitano le proprie abilità a tre livelli: • produttività semiotica, • produttività enunciativa • produzione testuale La produttività semiotica • La produttività semiotica, ovvero l’attribuire senso al testo mediale, è essenzialmente interiore. • Consiste nel trarre significati identitari ed esperienze sociali dalle risorse simboliche veicolate dai media. • La produttività semiotica è caratteristica della cultura popolare nel suo insieme, piuttosto che quella della cultura fan in senso stretto La produttività enunciativa • Quando i significati prodotti sono espressi e condivisi all’interno della cultura orale o faccia-a-faccia, prendono una forma pubblica che può essere chiamata produttività enunciativa. • I discorsi delle audience e tra le audience originano e diffondono determinati significati del prodotto mediale oggetto di interesse, all’interno di una comunità locale. La performatività delle narrazioni • Se per performatività intendiamo, nelle parole della Butler, quegli atti e gesti, generalmente costruiti, che regolano i principi di organizzazione dell’identità, • nel senso che «l’essenza o l’identità che altrimenti pretendono di esprimere sono invenzioni fabbricate e sostenute tramite segni corporei e altri mezzi discorsivi», • allora dobbiamo ritenere che è proprio nelle narrazioni delle audience che si manifesta il loro essere performativo e il loro partecipare performativo ai contesti sociali e mediali.(Butler, 1990) La produttività testuale • “I fan producono e fanno circolare tra di loro testi che spesso sono confezionati con una qualità di produzione elevata quanto quella della cultura ufficiale. • I testi dei fan, allora, devono essere “ resi produttivi”, nel senso di essere aperti, contenere buchi narrativi, cose lasciate irrisolte, contraddizioni, che permettano e allo stesso tempo invitino la produttività del fan. • Sono testi insufficienti che sono inadeguati alla loro funzione culturale di far circolare i significati e i piaceri finché non sono rielaborati e resi attivi dai loro stessi fan, che con questa attività producono il proprio capitale culturale” (Fiske, 1992). La produttività dei fan • La tipologia di produttività dei fan che si avvicina molto più da vicino alla produzione artistica convalidata dalla cultura ufficiale, è la produttività testuale. • I fan producono e fanno circolare tra di loro testi, che, spesso, sono confezionati con una qualità di produzione elevata quanto quella della cultura ufficiale. • Le differenze chiave tra produzione dei fan e cultura ufficiale sono più di carattere economico che di competenza, poiché i fan non scrivono e producono i propri testi per denaro; ma come si può immaginare la loro produttività propriamente richiede investimento di denaro. Fan produttivi e partecipativi • La produttività del fan non è limitata alla produzione di nuovi testi: anche essa partecipa alla costruzione del testo originale e così trasforma un racconto commerciale o uno spettacolo in cultura popolare. • Quando un testo industriale incontra i suoi fan, la loro partecipazione li riunisce e li rielabora, così che il momento della ricezione diventa il momento della produzione nella cultura fan. Fan e collezionismo • Collezionare è anche importante nella cultura dei fan, ma tende ad essere un processo inclusivo piuttosto che esclusivo: l’enfasi non è tanto sull’acquisto di qualche oggetto bello (e costoso) quanto sull’accumularne il più possibile. • I singoli oggetti sono, quindi, economici, svalutati dalla cultura ufficiale, e prodotti in massa. La distinzione risiede nell’ampiezza della collezione, piuttosto che sulla sua unicità e sull’autenticità propria degli oggetti culturali Fan e accumulazione di conoscenza • Il capitale culturale del fan, come quello ufficiale, risiede nell’apprezzamento e nella conoscenza dei testi, degli interpreti e degli eventi. • Nel fandom come nella cultura ufficiale, l’accumulazione di conoscenze è fondamentale all’accumulazione di capitale culturale. Le industrie culturali se ne sono rese conto, naturalmente, e producono un’enorme gamma di materiali pensati per dare ai fan accesso all’informazione sugli oggetti del fandom. Una forma aumentata della cultura popolare • il fandom è una forma aumentata della cultura popolare nelle società industriali e il fan è un ‘lettore eccessivo’, che differisce da quello ‘ordinario’ nel grado piuttosto che nel tipo. Fan, media e cultura partecipativa • I fan sono lettori che si appropriano di testi popolari e che li rileggono in un modo che asseconda altri interessi, da spettatori che trasformano l’esperienza di guardare la televisione in una ricca e complessa cultura partecipativa. • I fan sono la parte più attiva e innovativa dell’audience diffusa dei testi popolari, come partecipanti attivi nella costruzione e nella circolazione di significati testuali. Essere fan per avere una piattaforma condivisa per la costruzione del sé • La star o il prodotto mediale viene usata come “piattaforma” della personalità delle audience, come archivio di immagini, gesti, parole e, più in generale, significati, che il fan utilizza per la messa a punto del proprio progetto identitario. Essere fan per essere in relazione • I fan tendono costantemente all’arricchimento dei propri archivi, “incorporando programmi su programmi all’interno dei loro interessi allo scopo di facilitare più intense e più ampie occasioni di comunicazione con gli amici che condividono interessi comuni o possiedono gusti compatibili” Media per connettersi • I contenuti mediali vanno, dunque, esaminati “come processo, come agenti e come oggetti dati, a tutti i livelli, ovunque gli esseri umani si aggreghino in uno spazio reale o virtuale, comunichino, tentino di persuadere, informare, divertire, educare; ovunque tentino, in una molteplicità di modi e con diversi gradi di successo, di connettersi l’uno all’altro” (Silverstone, 2002) La dimensione sociale del fandom • Per i fan è importante coltivare relazioni di intimità non reciproca con altri lontani, • ma altrettanto importante è la dimensione sociale della propria attività. • I fan accumulano dischi, nastri, video o altri prodotti dei media; • Collezionano reliquie, fotografie o ritagli di giornale; • Vanno ai concerti, al cinema, agli incontri; • Scrivono lettere agli altri ammiratori, si abbonano a bollettini, fanzine, si iscrivono ai fan club, rielaborano e riscrivono i prodotti mediali stessi. • E soprattutto si impegnano in conversazioni con altri fan, ossia persone con cui, a parte la passione per qualcuno o qualcosa, non si condivide altro. Una rete di significati da condividere • La società è una rete di significati sostenibile “finché quei significati sono mantenuti in comune, finché sono ripetuti, condivisi, comunicati e, naturalmente, imposti. • L’esperienza si costruisce attraverso queste reti di significati, testi e discorsi quotidiani, e l’esperienza a sua volta dipende dalla nostra partecipazione, forzata o meno, alla rappresentazione” (Silverstone, 2002: 117). • I media non fanno che enfatizzare questa possibilità fornendo ai soggetti/audience gli strumenti espressivi e la piattaforma condivisa per la gestione delle forme culturali. La lettura popolare • De Certeau percepisce la lettura popolare come una serie di ‘avanzate e ritirate, tattiche e giochi messi in atto con il testo’, come un tipo di bricolage culturale, attraverso il quale i lettori frammentano i testi e riassemblano i cocci secondo i loro piani, salvando pezzi più o meno grandi degli oggetti incontrati durante l’attribuzione di senso della loro esperienza sociale Il fan come bracconiere testuale • De Certeau ha definito l’attività del leggere come una caccia (poaching), come una incursione impertinente nei testi per prendere solo quelle cose che possono essere utili o dare piacere al lettore. • Questa attività del lettore differisce da quella ipotizzata da Hall nel modello encoding/decoding. Readers are not always resistant • Secondo Hall, il lettore ha una posizione stabile da cui parte per attribuire senso al testo, mentre De Certeau immagina che il “poaching” sia un processo di costruzione di senso che sottolinea la fluidità dell’interpretazione popolare. • Dire che i fan portano avanti i propri significati di un testo rispetto a quelli proposti dai produttori, non vuol dire che questi messaggi debbano essere necessariamente oppositivi Il fan come lettore nomade • i lettori non sono semplicemente bracconieri; sono anche ‘nomadi’, sempre in movimento ‘non qui o lì’, non costretti da una proprietà permanente, ma, piuttosto, in perenne avanzamento verso un altro testo, appropriandosi di nuovi materiali, creando nuovi significati • Dobbiamo quindi investigare la ‘moltitudine di connessioni effettive che i soggetti fluidi e in perenne movimento creano tra i frammenti, i discorsi e le pratiche ideologici’ Fan e autori • “Non sono ancora d’accordo sull’idea che la proprietà dei diritti sulla fiction, tipo Star Wars, includano qualsiasi diritto dell’autore/produttore di determinare come i lettori o gli spettatori percepiranno l’offerta. In questo senso, non credo che i fan possano prendere dai produttori niente di ciò essi possiedono…Ciascun produttore o autore che voglia assicurarsi come un diritto legale che l’audience sperimenti le stesse sensazioni e si consideri parte del lavoro, ha male interpretato sia la legge del copyright sia, probabilmente, la Dichiarazione d’Indipendenza… né la rappresentazione mentale dei fan né le loro comunicazioni private, per quanto lunghe, riguardano gli autori.” (Barbara Tenninson, Personal Corrispondence, 1991) Scrivere vs leggere • “Scrivere significa produrre il testo; leggere significa riceverlo da altri senza lasciarvi il proprio segno, senza rifarlo” • Questa divisione del lavoro (fin troppo reale per De Certeau) si trascina un’interpretazione della lettura come atto passivo. • “in effetti leggere significa peregrinare in un sistema imposto (quello del testo), analogo all’organizzazione fisica di una città o di un supermercato” (De Certeau 1990) La lectio: una produzione del lettore • “Ma è stato dimostrato che ‘qualsiasi lettura modifica il suo oggetto’, che (come già diceva Borges) ‘una letteratura differisce da un’altra meno per i suoi testi che per i modi in cui vengono letti’ e che infine un sistema di segni verbali o iconici è una riserva di forme che attendono dal lettore il loro senso. • Se dunque ‘il libro è un effetto (una costruzione) del lettore’, l’operazione compiuta da quest’ultimo deve essere concepita come una sorta di lectio, ovvero come una produzione propria del ‘lettore’ ” (De Certeau 1990) Il lettore nomade • “lungi dall’essere degli scrittori, che fondano un luogo proprio, eredi dei lavoratori d’un tempo ma sul terreno del linguaggio, scavatori di pozzi o costruttori di case, i lettori sono dei viaggiatori; • circolano su territori altrui, come nomadi che praticano il bracconaggio attraverso pagine che non hanno scritto. • La scrittura accumula, immagazzina, resiste al tempo creando un luogo e moltiplica la sua produzione attraverso una riproduzione sempre più allargata. • La lettura invece non si garantisce contro l’usura del tempo (ci si dimentica e si dimentica), non conserva quanto ha acquisito e ciascuno dei luoghi che attraversa è ripetizione del paradiso perduto” (De Certeau 1990). Il superamento dell’opposizione tra lettura e scrittura • I fan non si appoggiano sulla opposizione tra lettura e scrittura immaginata da De Certau. • Il fan non si limita a consumare “storie preprodotte”, ma egli stesso produce (“manufacture”) le proprie storie, fanzine, canzoni, video, espressioni artistico di diverso genere e performance. • Il fandom diventa, dunque, cultura partecipativa che trasforma l’atto del consumo mediale, nella produzione di nuovi testi, nuove culture e nuove comunità. “writing in the margin”? • Se De Certeau arriva a concepire l’idea che, come il bambino che scrive sui libri di scuola, sui margini, diventando egli stesso autore, così può fare il lettore di un testo, • tuttavia egli insiste sull’idea che lo spettatore televisivo “non possa scrivere nulla sullo schermo del suo apparecchio”. • Lo spettatore non gioca nessun ruolo nella visione e rimane puro ricevente. Il fan e lo scrivere sui margini • La pratica dello scrivere sui margini è, invece, una pratica molto diffusa tra i fan: • Si va dalla produzione di fanzine • Alla scrittura di fanfiction • Alla produzione di musica e video musicali • Alle narrazioni dell’esperienza di fruizione e alla condivisione dei significati all’interno delle comunità (on line). La riscrittura • I fan si pongono come ri-scrittori delle storie fruite. • Secondo Jenkins, questa ri-scrittura opera nelle fiction a diversi livelli: • dalla ricontestualizzazione, che interviene sugli errori o gap dei produttori rispetto allo sviluppo della storia, • alla espansione della durata di un prodotto (nel caso delle serie televisive o delle saghe cinematografiche), • dalla rifocalizzazione dell’attenzione di autori (e pubblici) su personaggi minori del prodotto, talvolta, persino attraverso un sostanziale capovolgimento dei ruoli morali all’interno della storia (i buoni che diventano cattivi e viceversa), o attraverso un cambiamento dell’identità sessuale dei protagonisti. La riscrittura • Ancora più interessante è l’intervento di ri-scrittura in termini di • attraversamento crossgenere, quando cioè nuovi testi e storie prevedono al proprio interno elementi di storie diverse e di diversi prodotti, • dislocazione dei personaggi in situazioni differenti o alternative rispetto a quelle vissute nel proprio contesto, • personalizzazione, ovvero all’introduzione dei fan nella storia insieme ai personaggi, • enfatizzazione dei tratti erotici delle storie, laddove la censura morale del senso comune interviene nei prodotti di largo consumo. La scrittura dei fan: la fanfiction • Una Fan Fic(tion) è una storia ispirata ad un'opera letteraria/cinematografica/a fumetti/d'animazione/televisiva (comunque narrativa) scritta da un fan di quell'opera. • Una fan fiction è una storia scritta da un fan per altri fans.Le fan fiction nascono a partire da fumetti, telefilm, libri, film e qualsiasi altro frutto creativo e ne ripropongono i personaggi, le idee, i concetti per creare nuove storie che seguano l'idea dell'autore nella speranza di compiacere anche altri fan del prodotto originale. IL FANDOM, OGGI Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 137 Normalizzazione del fandom • rilevanza del fenomeno sia nella prospettiva sociologica che in quella economica: • essere fan dei contenuti mediali è, infatti, ormai un tratto distintivo nella definizione del percorso identitario individuale e un puntello nella ricerca di intelligibilità sociale • oltre che uno tra gli ingredienti più accreditati nella gestione dei processi di socializzazione e di socialità Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 138 Il fandom nel mercato • l’uscita dalla nicchia della forma subculturale originaria e l’esplosione pubblica - accompagnata e abilitata dalla accelerazione tecnologica dell’ultimo decennio, e in particolare dalle logiche partecipative del web 2.0 - hanno reso il fenomeno estremamente rilevante anche nell’ambito delle ricerche di mercato e nella costruzione di modelli di business adeguati al cambiamento (Andò 2012). Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 139 Evoluzione del fandom • È evidente che parlare di fandom oggi significa riferirsi ad una realtà i cui confini e le cui caratteristiche distintive sono decisamente cambiate rispetto al passato, per cui appare fondamentale ridefinire etichette e modelli interpretativi. • Tre sono i momenti evolutivi fondamentali. • Il fandom di nicchia (microcomunità) • Il fandom on line (comunità allargata) • Il fandom dei social media (network) Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 140 1° fase: il fandom di nicchia • Il fandom di nicchia si esprimeva in microcomunità in presenza, a forte omologia interna (Hebdige, 1975) • con una specifica cultura ed economia ombra, parallela a quella ufficiale, • le cui manifestazioni e produzioni (convention, eventi, fanzine, fanart) erano considerate border line rispetto ai canoni della cultura, anche mediale, per quanto non necessariamente in senso antagonista. Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 141 2°fase il fandom on line • L’avvento di internet garantisce un allargamento del bacino di riferimento e dei confini della comunità di appartenenza, in virtù delle potenzialità di connessione garantite dalla comunicazione mediata al computer (Baym 2000, Hills 2002). • La scelta di appartenenza elettiva al gruppo supera i limiti geografici e locali della cultura di origine e si sostanzia nelle pratiche discorsive che cementano la coesione e rendono tracciabili le relazioni tra fan all’interno di newsgroup e forum. Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 142 Fan e relazione sociale • Comune ai primi due stadi evolutivi è certamente la dimensione di engagement dei fan nei confronti tanto del contenuto/prodotto di culto, quanto nei confronti degli altri membri della comunità. • Il senso di intimità, prossimità emotiva e culturale nei confronti del contenuto, si riverbera senza soluzione di continuità nei confronti degli altri, tanto che ‘essere fan’ è leggibile come sinonimo di ‘essere in relazione’. • “essere in relazione per essere fan”, “essere fan per essere in relazione” Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 143 Le regole dei fan • Comune alle prime 2 fasi è • la presenza di regole comportamentali, norme condivise, che legittimano l’accesso e la permanenza all’interno della comunità, tanto nell’ambiente off line che on line. • La stessa produttività discorsiva on line è regolata secondo sistemi di gerarchizzazione tematica (thread, topic) che vengono garantiti dai moderatori delle piattaforme. Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 144 L’impegno dei fan • Comune alle prime due fasi di sviluppo del fandom è anche la qualità dell’impegno richiesto e il livello di competenze e abilità esibite e allenate nelle pratiche espressive e sociali. • In tal senso, si potrebbe considerare il fandom stesso come una palestra e una officina di sperimentazione creativa delle skill acquisite nell’essere fan. Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 145 Le audience nelle comunità on line • Il consumo mediale e il lavoro interpretativo dei testi si sposta dallo spazio fisico privato della casa e della propria camera, a luoghi fisici preposti alla condivisione con altri della propria condizione di audience/fan (parchi a tema, stadi), • fino ai «mondi virtuali delle narrazioni dei fan, che non includono luoghi in senso fisico» (Sandvoss 2005), ma stanze virtuali abitate da comunità on line. L’audience come prodotto, l’audience come performance • “L’etnografia del cyberspazio diviene un processo più accurato attraverso cui l’audience può essere vista come un prodotto mediato o una stessa performance, e attraverso cui le barriere tra performance e audience sono minuziosamente riconfigurate” La serializzazione delle audience • L’audience online non può semplicemente offrire uno scorcio sul fandom offline, socialmente atomizzato, del programma; dovrebbe, invece, interpretare la sua fan audiencehood, sapendo che gli altri fan si comporteranno come dei lettori nei confronti di congetture, osservazioni e commenti. • Questa auto-rappresentazione e auto-performance dell’audience in quanto testo crea dunque un processo di secondo ordine, o di implicita trasformazione di un contenuto mediale in oggetto di consumo, • nella misura in cui le fan audience online consumano una costruzione testuale di sé stesse insieme all’ originale testo-daconsumare, con le novità valorizzate del secondo che si intrecciano con le speculazioni, riscritture e frammentazioni egualmente nuove e similmente valutate del primo. Audience e comunità • “Infatti, la maggior parte del piacere del fandom [e delle audience] consiste proprio negli scambi di vedute tra i fan che esso produce, e molti fan affermano che la scelta dell’oggetto del fandom è stata determinata più dal desiderio di entrare a far parte dalla comunità orale che da ogni altro motivo. • Con questo non si vuole affermare che il gusto acquisito sia in qualche modo non sincero, ma piuttosto indicare la stretta interrelazione tra le preferenze testuali e sociali” (Fiske, 1992) Da consumatore a produttore • Le audience, e in particolare i fan, non si limitano a consumare “storie preprodotte”, ma essi stessi producono (“manufacture”) le proprie storie, fanzine, canzoni, video, espressioni artistico di diverso genere e performance. • Il fandom diventa, dunque, cultura partecipativa che trasforma l’atto del consumo mediale, nella produzione di nuovi testi, nuove culture e nuove comunità. 3°fase. Il fandom nel web 2.0 • La prima differenza evidente con il fandom prima maniera (sia off che on line) è la questione delle barriere d’accesso: elevate nelle prime due fasi, relativamente basse nei social media. • Questo comporta un ampiamento significativo della platea interessata dalle pratiche di fandom (tutti possono essere fan), così come un allargamento delle maglie rispetto al controllo delle competenze di base necessarie per poter esercitare il ruolo di fan. Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 151 Fan come ego-centered network • Il fandom del web 2.0 si caratterizza per una di gestione ego-centered dei network relazionali garantiti dall’essere fan. • Allo stesso tempo, però, l’allentamento del senso di comunità legata al fandom tende a scolorire i confini simbolici del dichiararsi fan, a impoverire il significato dell’impegno nei confronti del prodotto e del legame con gli altri fan. Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 152 Il fan nei sns • Le pratiche di fandom sono in realtà sempre più ricomprese tra le normali attività che quotidianamente vengono gestite attraverso i social network sites. • Si registra un gap sempre più significativo tra le reali forme di produzione grassroot, a forte componente cooperativa e partecipativa e l’attività più o meno disinvolta della condivisione di contenuti originali o prodotti da altri (tipica dei SNS). Perchè studiare i media? 30/05/2015 Pagina 153 Riconsiderare il fandom • Il fandom prevede una modalità particolare di ricezione che mette insieme il momento della produzione semiotica (la costruzione popolare dei significati) e la produzione enunciativa (l’articolazione dei significati attraverso abiti, video etc). • Il fandom prevede un insieme particolare di pratiche critiche e interpretative (la critica dei fan tende alla speculazione e al soggettivo). • Il fandom costituisce una base per il consumer activism (si veda il rapporto che i fan instaurano con i networks e con i produttori). Riconsiderare il fandom • Il fandom possiede particolari forme di produzione culturale, tradizioni estetiche e pratiche (i fan producono propri generi e sviluppano istituzioni alternative di produzione, distribuzione e consumo) • Il fandom funziona come una comunità sociale alternativa. Le subculture • Per subculture si intendono piccoli gruppi o frammenti di classe, gruppi sociali che sviluppano il proprio “distinto modello di vita”, dando “forma espressiva alla loro esperienza di vita sociale e materiale”. • Le subculture sviluppano rituali di resistenza ai valori proposti dalla cultura dominante.(Hall e Jefferson 1976). • Per quanto nascano come subculture giovanili all’interno della classe operaia, la resistenza alla cultura egemonica e, al contempo alla cultura operaia dei genitori, non è rappresentata attraverso gli strumenti dell’opposizione politica, ma opera a livello dell’universo simbolico. Subcultura come rumore • “Le subculture rappresentano un ‘rumore’ (come opposto di suono): interferiscono nella normale successione che porta dagli eventi e dai fenomeni reali alla loro rappresentazione nei media”. • Il potere di significazione delle subculture va analizzato, quindi, come “un effettivo meccanismo di disordine semantico: una specie di blocco temporaneo nel sistema di rappresentazione”. (Hebdige, 2000, 99) “scatenare l’uragano e la tempesta” • Le violazioni dei codici autorizzati, tramite i quali il mondo sociale viene organizzato e vissuto, hanno un considerevole potere di provocazione e di disturbo. • Mettono in mostra la natura arbitraria dei codici che sono sottesi e danno forma ad ogni tipo di discorso (Hebdige, 100). La strategia • “Chiamo strategia il calcolo (o la manipolazione) dei rapporti di forza che divengono possibili dal momento in cui un soggetto dotato di una propria volontà e di un proprio potere (un’impresa, un esercito, una città, un’istituzione scientifica) è isolabile. Essa postula un luogo suscettibile d’essere circondato come spazio proprio e di essere la base da cui gestire i rapporti con obiettivi o minacce esteriori (i clienti, i concorrenti, i nemici, la campagna intorno alla città e gli oggetti della ricerca)” (De Certeau 1990) La tattica • “In rapporto alle strategie definisco tattica l’azione calcolata che determina l’assenza di un luogo proprio. Nessuna delimitazione di esteriorità le conferisce un’autonomia. La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Deve pertanto giocare sul terreno che le è imposto così come lo organizza la legge di una forza estranea. Non ha modi di mantenersi autonoma, a distanza […]. Non ha dunque la possibilità di darsi uno progetto complessivo […] si sviluppa di mossa in mossa” (De Certeau 1990) L’arte del più debole • “Questo non luogo le permette indubbiamente una mobilità […]. Deve approfittare, grazie a una continua vigilanza, delle falle che le contingenze particolari aprono nel sistema di sorveglianza del potere sovrano, attraverso incursioni e azioni di sorpresa, che le consentono di agire là dove uno meno se lo aspetta. • È insomma astuzia, un’arte del più debole” (De Certeau 1990) Le traiettorie • Secondo De Certau i consumatori danno vita attraverso le loro pratiche significanti, a delle “linee di percorso”; producono “tracciati”. • Queste ‘traiettorie indeterminate’ apparentemente insensate, formano frasi imprevedibili. • “Sebbene composte nei vocabolari delle lingue ricevute e sempre sottomesse a sintassi prescritte, tracciano le astuzie di interessi diversi e di desideri che non sono determinati né captati dai sistemi entro i quali si sviluppano”. (De Certeau 1990) Le tattiche quotidiane • La televisione gioca un ruolo cruciale nel mantenimento delle differenze. Prodotta dall’industria culturale e all’interno della forza egemonica, è, tuttavia, incontrata dalle tattiche di ogni giorno. • Ciò che è necessario indagare, sulla scorta della provocazione introdotta da De Certau, sono, dunque, gli usi tattici e quotidiani delle risorse culturali messe a disposizione dall’industria culturale. Strategie e tattiche • “le strategie puntano sulla resistenza che l’instaurazione di un luogo contrappone all’usura del tempo; • Le tattiche invece puntano su un’abile utilizzazione di quest’ultimo, sulle occasioni che esso presenta e anche sui margini di gioco che introduce nelle fondamenta di un potere “(De Certeau 1990) La superficie della subcultura • Gli usi tattici si evincono, dunque, negli oggetti mondani: “una spilla di sicurezza, delle scarpe a punta, una moto – che nondimeno assumono una dimensione simbolica, divenendo una sorta di marchio, emblemi di un esilio volontario” (Grandi 1992). • È nella superficie della subcultura che si trovano i riflessi delle tensioni tra gruppi dominanti e gruppi subalterni. Gli oggetti nelle subculture • Gli oggetti sono resi sempre più portatori di significato in quanto “stile” di una subcultura. • Comunicano con la loro presenza, la diversità di un gruppo e dei suoi componenti rispetto all’ideologia dominante. • Lo stile della subcultura è carico di significato: sfida il mito del consenso , portando avanti una “lotta tra discorsi differenti, fra definizioni e significati differenti all’interno dell’ideologia” Creazione come dilatazione di senso • Lo stile delle subculture non nasce dal nulla. Non è puro atto creativo, ma, per riprendere le parole di De Certau e Fiske, è furto, “appropriazione”, “consumo produttivo”, azione sovversiva. • È una lettura di ciò che altri non leggono negli oggetti ordinari della vita quotidiana: una dilatazione di senso frutto di una forte dimensione volontaristica. Il bricolage • “Lévi Strauss sostiene che le usanze magiche dei popoli primitivi devono essere considerate come sistemi di connessione implicitamente coerenti e in grado di estendersi all’infinito in quanto gli elementi di base possono essere utilizzati in una grande varietà di combinazioni capaci di generare fra loro nuovi significati” (Hebdige in Grandi 1992) Il lavoro del bricoleur nelle subculture • “Insieme, oggetti e significati costituiscono un segno e, all’interno di ogni cultura, questi segni sono assemblati, ripetutamente, entro forme caratteristiche di discorso. Tuttavia, quando il bricoleur ri-posiziona l’oggetto significante in una differente posizione all’interno di quel discorso, usando lo stesso complessivo repertorio di segni, o quando quell’oggetto viene posizionato all’interno di un insieme totale differente, un nuovo discorso viene costruito, un differente messaggio comunicato” (Clarke 1975) L’omologia • Contrariamente all’idea di massa che le sottoculture siano forme senza leggi, • “la struttura interna di ogni sottocultura specifica è caratterizzata da un’estrema regolarità: ciascuna parte è organicamente relazionata alle altre ed è grazie all’integrazione tra le varie parti che un appartenente alla sottocultura riesce a dare senso al mondo” • “Gli oggetti di cui ci si è appropriati, una volta raccolti di nuovo in apparati sottoculturali distinti, erano ‘resi tali da riflettere, esprimere e fungere da cassa di risonanza per (…) determinati aspetti della vita del gruppo” (Hebdige, 128) L’esperienza delle subculture • L’esperienza sociale delle subculture non rimane grezza, ma è sempre mediata dai sistemi di rappresentazione mediale. • Sono le stesse rappresentazioni mediali la cornice ideale al cui interno le subculture costruiscono il loro discorso e rappresentano se stesse. • “Parte del successo della cultura punk sta nella sua capacità di riflettere e simbolizzare i problemi sociali contemporanei” (Crane, 1992) Le subculture come testo • Analizzare le subculture significa sia osservare le mappe di significato che esse compongono, sia il senso attribuito dal gruppo alle pratiche, alle istituzioni e agli oggetti. • Le subculture vengono cioè analizzate come testo, intendendo per testo sia i singoli prodotti dell’industria culturale che esse decodificano, sia le pratiche comportamentali, più o meno ritualizzate dei componenti del gruppo, sia gli oggetti mondani ri-semantizzati. Leggere le subculture • Una subcultura dovrebbe essere analizzata a tre livelli (Cohen 1980) : • il livello storico, in grado di isolare la problematica specifica di una particolare porzione di classe • il livello strutturale o semiotico (lo stile), • il livello fenomenologico, ovvero un’analisi etnografica di come le subculture vivono se stesse e il senso di appartenenza. Integrazioni delle subculture • L’emergere di una sottocultura spettacolare è sempre accompagnata da un’ondata di isterismo nei media. • Le innovazioni stilistiche per prime attraggono l’attenzione dei media; successivamente sono gli atti devianti a conquistare spazio e visibilità e vengono utilizzati per spiegare lo stile “innaturale”. • In questo modo la propagazione dello stile si accompagna alla riduzione della tensione sottoculturale. Integrazioni delle subculture • “i media […] non solo registrano la resistenza ma anche la ‘posizione entro il sistema dominante dei significati’, e quei giovani che hanno scelto di vivere all’interno di una cultura giovanile spettacolare vengono simultaneamente rinviati, da come sono rappresentati alla televisione e nei giornali, alla posizione dove il senso comune li avrebbe voluti sistemare” (Hebdige, 102) La forma di merce • La prima forma di integrazione riguarda il rapporto tra subculture e industrie che le servono e le sfruttano. • “dopotutto una sottocultura riguarda prima e soprattutto il consumo. Opera esclusivamente nella sfera del tempo libero […]. Comunica attraverso merci anche se i significati uniti a quegli oggetti sono di proposito distorti o ribaltati” (Hebdige, 103) La forma ideologica • Due sono le strategie discorsive con cui vengono affrontate le sottoculture in quanto minaccia: • “la prima: l’Altro può essere reso banale, esser naturalizzato, addomesticato. In questo caso la diversità è semplicemente negata (“ogni Altro è ridotto all’identico”). • Come alternativa l’Altro può essere trasformato in esotismo insignificante, un “puro oggetto, spettacolo, clown”. Il recupero delle subculture • Quando il vocabolario (visuale e verbale) dei sottogruppi diventa sempre più familiare, il processo di recupero delle subculture all’interno della mitologia dominante ripara l’ordine rotto con l’avvento delle stesse. • I media, infatti, non solo registrano la resistenza, ma la situano all’interno della cornice dominante, riportando simultaneamente le culture giovanili all’interno del senso comune. • Questo processo di recupero avviene attraverso: • la conversione dei segni delle subculture in merci prodotte per la massa • l’etichettamento e la ridefinizione di comportamenti devianti da parte di gruppi dominanti (per es. gli hooligans definiti “animali”)