Le repubbliche marinare di Pisa e Genova. L`impero tedesco

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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. IX Lezione: le repubbliche
marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
Pisa
Il ruolo marittimo della città era già spiccato in epoca romana se è vero che gli autori antichi
attribuivano ad un pisano l'invenzione del rostro. È falsa ad ogni modo l'affermazione, spesso
sostenuta, che Pisa fosse una città costiera. Anche in antichità infatti la città distava circa quattro
chilometri dalla linea di costa. Studi recenti sostengono che l'espansione della città abbia
comportato la necessità di utilizzare, oltre al porto fluviale, nuovi porti marittimi tra i quali uno a
S.Piero a Grado, uno nella zona di S.Rossore e uno nei pressi dell'attuale Livorno chiamato Porto
Pisano o Triturrita, dove giungeva il ramo meridionale del delta dell'Arno. I primi due furono in
seguito abbandonati per l'interramento della laguna e gli scali furono trasferiti lungo il corso
dell'Arno.
Alto medioevo
Con la caduta dell'impero romano Pisa non subì la decadenza di altre città grazie alla complessità
del suo sistema fluviale di allora, che permetteva una facile difesa della città. Si deve infatti
ricordare come a Pisa vi fosse un secondo fiume che confluiva nell'Arno, l'Auser dal quale si
staccava inoltre un ramo secondario, l'Auserclus che proteggeva la città da nord.
La combinazione del bacino delle acque con la difesa costituita dai Monti Pisani definivano un
assetto geografico complessivo particolarmente favorevole alle necessità difensive dell'epoca. A ciò
si univa la presenza di una flotta che ebbe qualche importanza anche nell'alto Medioevo. Il rilievo
militare della città pare infatti non essere stato scarso se, agli inizi del 600, tale flotta sembra aver
minacciato la prosecuzione delle trattative di pace tra Bizantini e Longobardi. Inizialmente unico
avamposto bizantino nella Tuscia conquistata dai Longobardi, Pisa entrò poi a far parte della Tuscia
stessa probabilmente non a causa di una guerra ma in quanto lentamente assorbita nel periodo
successivo al confronto tra i due regni. Da questo momento inizia l'ascesa di Pisa al ruolo di porto
principale del Tirreno e di centro degli scambi della Tuscia con Corsica, Sardegna e coste
meridionali di Francia e Spagna.
Con la sconfitta di re Desiderio cui Pisa era fedele, l'avvento dei Franchi e la vittoria di Carlo
Magno, la città ebbe una crisi dalla quale si risollevò presto. Dal punto di vista politico essa fu
inserita nella contea-ducato di Lucca. Nel 930 fu trasformata in centro di contea, status che perdurò
fino all'avvento di Ottone I, all'interno della Marca di Tuscia che aveva in Lucca la sua capitale ma
in Pisa la città più importante se è vero che a metà del 900 Liutprando di Cremona chiamava Pisa
"Tusciae provinciae caput" e un secolo dopo il marchese di Tuscia veniva comunemente chiamato
"marchese di Pisa". Dal punto di vista navale invece, l'emergere dei saraceni nel IX secolo indusse
Pisa ad allestire autonome flotte per contrastare i pirati. E furono tali flotte la garanzia
dell'espansione della città.
La prima fase dello sviluppo della potenza pisana vede la città impegnata nel contenimento dei
pirati saraceni nel mediterraneo occidentale. Le imprese navali iniziano nell'828 con una spedizione
contro le coste africane. Nell'871 Pisa partecipò in forze alla difesa di Salerno dall'attacco dei
saraceni. Nel 970, dette un importante contributo alla spedizione dell'imperatore Ottone I che
sconfigge una flotta bizantina in Calabria.
Il secolo XI: la nascita della Repubblica di Pisa
Nel 1005 Pisa liberò Reggio Calabria dalla presenza saracena poiché Papa Giovanni XVIII,
intimorito dalla presenza degli invasori nella città dello Stretto, chiese aiuto ai pisani. Altre
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
spedizioni antiarabe furono la conquista e l'occupazione di Bona, l'odierna Annaba, nel 1034, la
vittoriosa spedizione contro la città genovese in Tunisia di El Mehedia nel 1088 e il saccheggio di
Palermo del 1063 con i cui marmi si dette inizio alla costruzione della Piazza del Duomo. Nel corso
dello scontro con gli arabi vi furono i grandi accrescimenti territoriali della città che nel 1016
contribuì alla cacciata dalla Sardegna di Mugahid, detto Musetto, nel 1052 conquistò la Corsica e
nel 1115 le Baleari. Quest'ultima impresa, peraltro non duratura, avvenne a seguito di una guerra
iniziata nel 1113 e promossa da Pisa insieme a papa Pasquale II e a cui parteciparono anche il conte
di Barcellona, e contingenti di altri alleati provenzali ed italiani poi quasi interamente ritiratisi. Tra
questi, a differenza delle precedenti spedizioni in Sardegna e Corsica, non vi furono i genovesi.
Dalla metà dell'XI secolo, l'accresciuto potere della città le valse diversi riconoscimenti papali e
imperiali. Gregorio VII concesse la legazia sulla Corsica nel 1077, Urbano II elevò il rango della
città a dignità arcivescovile nel 1092, mentre Enrico IV nel 1081 concesse alla città il diritto di
eleggere i propri consoli. Quest'ultima concessione rispecchiava in realtà una situazione di fatto dal
momento che, negli anni precedenti, una forte crisi istituzionale si era conclusa con l'accordo tra
l'arcivescovo e il visconte, dal quale rimase escluso il marchese, e a seguito del quale Pisa iniziò a
governarsi tramite dei consoli assistiti da un Consiglio degli Anziani. In questa prima espansione
Pisa si ritrovò, inoltre, spesso alleata con la nascente potenza dei Normanni del Regno di Sicilia,
come ad esempio nella presa di Palermo.
La crescita del potere economico e politico Pisa la ebbe principalmente con l'acquisizione di
possedimenti e diritti commerciali verso l'est del Mediterraneo durante il periodo delle Crociate. A
meno di due mesi dalla prima crociata del 1099, una flotta pisana di 120 navi giunse in Terrasanta a
portare rifornimenti ai crociati. Durante il tragitto i crociati pisani, a cui si accompagnava
l'arcivescovo Daiberto, futuro patriarca di Gerusalemme, colsero l'occasione per attaccare e
saccheggiare varie isole dell'impero bizantino. La presenza pisana e delle altre repubbliche
ovviamente non si limitò al sostegno ai crociati ma fu volta allo stabilimento di colonie commerciali
presso Siria, Libano e Palestina.
Il secolo XII: l'espansione pisana nel Mediterraneo
Nello specifico del caso pisano le concessioni ottenute permisero di fondare colonie ad Antiochia,
Acri, Giaffa, Tripoli di Siria, Tiro, Gioppe, Laodicea e Accone. A queste si aggiungevano possessi a
Gerusalemme e Cesarea e altre colonie, con un minor grado di autonomia, al Cairo, Alessandria e
Costantinopoli. In tutte queste città i pisani godevano di grandi privilegi ed esenzioni fiscali, ma
l'obbligo di contribuire alla difesa in caso di attacco esterno. Nel corso del secolo successivo
l'importanza della presenza pisana aumentò anche nell'impero bizantino e a Costantinopoli in
particolare. Qui fu messo a disposizione un quartiere, nella parte orientale della città con una chiesa
dedicata a San Pietro (detta San Pietro dei Pisani), che potrebbe aver visto la presenza di un
migliaio di pisani. Nel corso del XII secolo i rapporti con l'Impero migliorarono a tal punto che
Pisa, anche se per pochi decenni, ottenne la posizione di nazione preferita, tradizionalmente
assegnata a Venezia.
Espansione in Toscana
Dalla metà del XII secolo Pisa, tramite le acquisizioni della chiesa locale, ebbe un'espansione anche
terrestre in Toscana e particolarmente nella Valdera, nel Valdarno inferiore e a Sud in direzione di
Piombino. Contemporaneamente cresceva la rivalità con Lucca per il castello di Montignoso e per
la via Francigena.
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La rivalità con Genova
Sul mare, arginata la minaccia saracena nel Mediterraneo occidentale e proiettata verso i mercati
dell'oriente, Pisa concentrò i suoi sforzi nella costruzione di nuovi scali e nel conseguimento di
nuovi rapporti diplomatici ed economici usando la forza semplicemente per garantirsi trattati più
vantaggiosi o monopòli in antagonismo con le città rivali. Tale rivalità si manifestò, in momenti
diversi, con tutte le altre repubbliche marinare ma particolarmente con Genova. Successivamente
alla spedizione delle Baleari, a cui seguì la concessione della primazìa sulla Sardegna, l'ostilità tra
Pisa e Genova si trasformò in guerra. Questo a causa del contrasto tra i reciproci interessi in tutto il
Tirreno che, negli anni immediatamente precedenti la guerra si era esteso ad occidente spingendosi
anche a Linguadoca e Provenza. La città toscana aveva infatti intrecciato proficui rapporti
commerciali con Noli, Savona e Montpellier mentre Genova con Hyerés, Fos, Antibes e Marsiglia.
Le ostilità ebbero inizio nel 1119, con l'attacco genovese ad alcune galee che si dirigevano a Pisa, e
si protrassero fino al 1133. Il conflitto fu combattuto per mare e per terra ma non vide battaglie
cruciali quanto un susseguirsi di scorrerie piratesche sulle coste sarde, corse e tirreniche. L'accordo
successivo, favorito dall'intercessione di papa Innocenzo II (1130-1143) previde la spartizione dei
vescovati della Corsica: a Genova Mariana, Nebbio ed Acca; a Pisa, che mantenne la legazìa sulla
Sardegna, Aleria, Aiaccio e Sagona. Contemporaneamente, svolgendosi un conflitto tra il legittimo
Papa e l'antipapa Anacleto sostenuto da Ruggero II di Sicilia, Pisa partecipò alle spedizioni militari
connesse e, il 6 agosto 1135, attaccò Amalfi. Con la città campana era in vigore una convenzione
stipulata nel 1126 ma questa venne considerata invalida per la sopravvenuta soggezione ai
normanni. Nel corso dell'attacco vennero saccheggiate le navi nel porto. Entrati poi nella vicina
Ravello come amici, tradirono la città e la saccheggiarono... ma poi, nel tentativo di tornare a nord
passando i monti, furono trucidati dai Ravellesi, schiacciati contro la grande fortificazione del
torrente Scalandrone. Due anni dopo, in una spedizione alleata del Papa e dell'Imperatore Lotario II
(Lotario di Supplimburgo. 1075-1137), Pisa partecipò operando nuovamente nella zona di Amalfi.
Seguì una fase di relativa tranquillità durante la quale Pisa si legò ancor di più agli imperatori
tedeschi ottenendo importanti concessioni nei due diplomi del 1162 e 1165. Con essi Federico I
(Barbarossa) riconosceva alla città, oltre alla giurisdizione sul contado pisano e la libertà di
commercio nei territori dell'Impero, anche il lido del mare da Civitavecchia a Portovenere, la metà
di Palermo, Messina, Salerno e Napoli, tutta Gaeta, Mazzarri e Trapani e una strada con case per i
mercanti in ogni città del Regno di Sicilia. Alcuni di questi riconoscimenti vennero successivamente
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
riconfermati da Enrico VI, Ottone IV e Federico II. L'editto ebbe due conseguenze. Esso determinò
un certo risentimento anche da parte di Massa, Volterra, Lucca e Firenze che aspiravano ad un
autonomo sbocco al mare. Inoltre contribuì, unitamente ai patti stretti tra Pisa e i giudicati sardi, allo
scoppio di una nuova guerra con Genova.
Oggetto del contendere con la città ligure erano nuovamente le reciproche posizioni in Sardegna e
Corsica nonché l'accaparramento dei mercati del Sud della Francia, dove Genova aveva assunto una
posizione nettamente predominante, e di Spagna. Le ostilità ebbero probabilmente inizio nell'agosto
1165 sul Rodano, dove erano presenti stanziamenti pisani, con un fallito attacco dei genovesi alleati
con il conte di Tolosa, verso un convoglio pisano supportato dai provenzali. Le ostilità si
protrassero quindi fino al 1175 senza episodi eclatanti. Un altro fronte dei contrasti tra Pisa e
Genova fu la Sicilia. Qui, a causa dei privilegi concessi da Enrico VI ad entrambe le città, si ebbero
vari scontri iniziati con la conquista pisana dell'intera città di Messina nel 1192 a cui seguirono
scontri armati in tutta l'isola fino alla conquista genovese di Siracusa nel 1204.
Il secolo XIII
Le posizioni commerciali in Sicilia furono successivamente perdute con l'accordo tra la Lega
Guelfa toscana, guidata da Firenze, e papa Innocenzo III il quale, pur avendo revocato la scomunica
lanciata poco tempo prima da Celestino III, si accordò poco dopo anche con Genova indebolendo
ulteriormente le posizioni pisane nel Sud Italia. Negli anni seguenti si posero le premesse per
ulteriori successivi scontri con l'intensificazione maggiore penetrazione commerciale pisana nel Sud
della Francia. Dal 1208 Pisa stipula accordi commerciali con i borghi di Fos e Hyères, si accorda
col conte di Barcellona per rinnovare i privilegi ad Arles e S.Egidio, stipula un trattato di pace
trentennale col comune di Marsiglia, uno cinquantennale con quello di Narbonne ed altri accordi
con Gras ed Accone.
Lo scontro con Venezia
All'incirca nello stesso periodo Pisa tentava una politica di penetrazione nell'Adriatico e di sfida alla
supremazia veneziana in quel settore. Nel 1180 veniva stipulato tra le due città un accordo di non
aggressione nel Tirreno e nell'Adriatico ma nello stesso anno la morte a Costantinopoli di Emanuele
Commeno mutò gli equilibri e si verificarono varie azioni contro convogli veneziani.
Contemporaneamente la volontà di contrastare la potenza veneziana in Adriatico si concretizzava in
iniziative, sia commerciali che diplomatiche, verso le città di Ancona, Pola, Zara, Spalato e
Brindisi. Nel 1188 si ebbe la firma di un trattato di pace con Zara, che si rese indipendente da
Venezia per qualche anno, e nel 1195 una spedizione pisana si avventurò fino a Pola nel tentativo di
indurla a ribellarsi contro Venezia anche se quest'ultima riuscì a riconquistare subito la città.
L'anno successivo fu firmata una pace decennale a condizioni favorevoli per i pisani. Il trattato ebbe
vita breve in quanto nel 1199 i pisani tornarono all'attacco con un blocco navale nei pressi di
Brindisi che si concluse con una battaglia vittoriosa per i veneziani. In ogni caso non si arrivò ad
una vera e propria guerra e nel 1206 le due città stipularono un trattato con il quale Pisa rinunciava
alle sue mire espansionistiche in Adriatico pur mantenendo il controllo degli sbocchi già acquisiti. Il
trattato aveva funzione antigenovese e nel corso del tempo i rapporti tra Pisa e Venezia divennero
generalmente di collaborazione quando non di alleanza per la conquista del mercato di
Costantinopoli.
Sotto il profilo culturale occorre ricordare in questo periodo la fondazione della celebre scuola
pisana di studi giuridici, che poi Firenze cercò di emulare.
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
La battaglia della Meloria (1284)
Ma la rivalità tra Pisa e Genova si acuì nel XIII secolo e sfociò nella battaglia navale della Meloria
(1284), combattuta proprio davanti al porto pisano.
Pisa ne uscì sconfitta Una ragione della sconfitta pisana deve essere individuata nell'ormai obsoleto
armamento navale e individuale; le navi pisane, più vecchie e più pesanti, imbarcavano anche
truppe armate con armature complete, nonostante la calura agostana, e durante la lunghissima
battaglia i genovesi, muniti di armature ridotte e più leggere ne furono chiaramente avvantaggiati.
La gloria della marina della Repubblica Pisana s'inabissò in quel giorno nelle acque della Meloria
perdendo tra colate a fondo o cadute in mano nemica oltre 49 galere.
Tra i cinque e i seimila furono i morti, e quasi undicimila furono i prigionieri (alcune fonti citano
fino a venticinquemila perdite tra morti e prigionieri) tra cui proprio il podestà Morosini, che fu
portato con gli altri a Genova nel quartiere che da allora si sarebbe chiamato "Campopisano". Tra i
prigionieri anche l'illustre Rustichello che scrisse per conto di Marco Polo il cosiddetto Milione
nelle prigioni genovesi. Solo un migliaio di prigionieri pisani tornò a casa dopo tredici anni di
prigionia. Gli altri morirono tutti e sono sepolti sotto il quartiere genovese che tristemente porta
ancora il loro nome. La deportazione forzata di tante migliaia di prigionieri, depauperò
spaventosamente la repubblica pisana non solo della sua popolazione maschile, ma anche di gran
parte del proprio esercito, lasciandola così indebolita e spopolata da causarne la progressiva
decadenza. In tale occasione, proprio in riferimento all'ingente numero di prigionieri pisani a
Genova, nacque il detto "se vuoi veder Pisa vai a Genova
La sconfitta segnò l'inizio del declino della potenza della città, con la rinuncia a ogni pretesa sulla
Corsica e con la cessione a Genova di una parte della Sardegna (1299).
Il XIV secolo e la fine della repubblica e il dominio fiorentino (inizio XV)
Tuttavia le forze pisane non furono annientate tanto che, per tutto il XIV secolo, Pisa rimase una
potenza repubblicana tanto da vincere la famosa Battaglia di Montecatini nel 1315, nella quale
vinse contro le forze riunite di Firenze, Siena, Prato, Pistoia, Arezzo, Volterra, San Gimignano e
San Miniato.
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
Il vero evento che diede inizio alla caduta di Pisa non fu questo, ma la definitiva presa della
Sardegna pisana da parte Aragonese nel 1324, che privò la città rossocrociata del dominio sui
giudicati di Cagliari e di Gallura.
Dal punto di vista territoriale Pisa mantenne la sua indipendenza e il dominio sulla quella parte di
costa toscana e oltre fino al 1406, quando fu occupata dai mercenari Angelo Tartaglia e Muzio
Attendolo Sforza che disposero l'annessione alla repubblica fiorentina.
Con la dominazione fiorentina iniziò un declino inarrestabile della città che, nelle arti, aveva diffuso
lo stile architettonico romanico pisano, anche nelle chiese sarde. Soffocati i traffici commerciali e
mercantili, che avevano contraddistinto per secoli la sua efficienza, alcune delle più importanti
famiglie pisane, per sfuggire alla morsa fiorentina, emigrarono all'estero o in altri Stati italiani, in
particolare in Sicilia. A Palermo a partire dai primi anni del XV secolo, si trasferirono così gli
Alliata, i Vanni, i Caetani, i Damiani, gli Agnelli, i Corvini, i Bonanni (poi anche in Abruzzo), gli
Upezzinghi, i Galletti, i da Settimo, i Gambacorti (prima a Napoli), i Palmerini, i del Tignoso, i
Vernagalli, i Mastiani, i Pandolfini, i Grassolini, i da Vecchiano, i Bernardi, e molte altre famiglie.
Firenze fu scelta dai della Gherardesca, i Compagni, i Caetani.
Genova
Sede vescovile probabilmente sin dal 3° sec., Genova fu conquistata nel corso della guerra grecogotica (535-553) da Belisario e rimase a lungo bizantina, anche dopo la invasione longobarda. Tra il
642 e il 644 se ne impadronì Rotari e nel successivo periodo longobardo la città riacquistò
lentamente la sua importanza marittima in funzione di capoluogo del ducato di Liguria; in età
carolingia fu sede di contea e si segnalò nella lotta contro i pirati saraceni, le cui incursioni
danneggiarono gravemente la città nel 930 o 931, 934 e 935. Con la dissoluzione dell’impero
carolingio, la contea di Genova divenne la Marca Obertenga; rappresentati da un visconte (da Ido,
che appare nel 952, derivò la più antica nobiltà genovese degli Embriaci, Vento, Spinola ecc., che
dominarono ben presto sulle valli del contado), i marchesi Obertenghi dovettero tuttavia riconoscere
ai genovesi, sin dal 958, consuetudini e possessi tradizionali e lasciare fin dall’inizio al vescovo
parte delle responsabilità amministrative entro le mura cittadine, ricostruite a difesa contro gli arabi
nel 10° secolo.
L’ XI secolo: la nascita dell’autonomia cittadina
Nel 1056 l’accordo tra il vescovo e la nobiltà d’origine viscontile e la conseguente rinuncia dei
marchesi alla propria giurisdizione diedero origine all’autonomia cittadina, mentre le antiche
compagnie (compagnie commerciali di rione) si trasformarono in organismi amministrativi e
militari autonomi, sino a formare nel corso del secolo, con la loro finale convergenza in un unico
organismo rappresentativo, il libero Comune. Questo si affermò rapidamente come grande potenza
commerciale, fondando il proprio sviluppo sull’indipendenza politica (prima dai marchesi, poi
dall’impero), sull’incontrastato possesso delle coste liguri e sul controllo dei valichi verso l’interno:
premesse necessarie alla progressiva conquista dei mercati dell’Occidente.
In principio le libere associazioni erano tre, diverse tra loro: le Compagnae, appunto, le
Coniurationes e le rassae. Alla fine fu la prima forma di aggregazione dei cittadini genovesi ad
avere la meglio. Caffaro di Rustico da Caschifellone, annalista genovese, annotò con dovizia di
particolari nel 1099 nei suoi Annali come si giunse alla nascita - della "Compagna Comunis", e
come esso costituisse una sorta di patto federativo in grado di unire tutte le Compagne nelle quali si
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era fino ad allora suddiviso topograficamente e demograficamente l'insieme del territorio, compreso
tra le zone dette del "Castello" e del "Borgo".
La "Compagna" nasce quindi come patto di solidarietà che si rivelerà fondamentale quale strumento
di espansione e consolidamento territoriale, anche in funzione dei rapporti allora nascenti tra la
l'Arcidiocesi e le potenti famiglie viscontili che fino ad allora avevano agito da funzionari imperiali
ma che sarebbero poi divenute feudatarie dello stesso vescovo.
Guglielmo Embriaco e la Prima Crociata
Le prime basi del colonialismo genovese furono poste con le crociate, durante le quali gli interessi,
dal limitato orizzonte della riviera, si spostarono a Oriente. La prima spedizione genovese partì con
gli altri crociati europei nel 1097, e con la conquista di Antiochia, i genovesi ottennero una chiesa
ed un fondaco, ovvero un quartiere commerciale proprio nella città liberata. Fu sulla via del ritorno
che i crociati liguri trovarono quelle che furono ritenute le ceneri di San Giovanni Battista, che in
seguito si affiancò a San Giorgio e San Lorenzo come patrono della città.
Fu determinante l'aiuto offerto dai genovesi per la conquista di numerose città della Terra Santa,
prima fra tutte Gerusalemme, dove il capitano e ammiraglio Guglielmo Embriaco giunse con truppe
fresche e rifornimenti in un momento di grande sconforto. Consci di essere incalzati dalle truppe
nemiche, Guglielmo e suo fratello Primo ordinarono lo smantellamento delle navi, e con il legname
al seguito, si diressero verso la città santa. Ideate e costruite con le navi smontate furono alcune
innovative armi d'assedio quali la torre mobile, con la quale Embriaco si arrampicò da solo sulle
mura della città, incitando i soldati cristiani a fare altrettanto. Grazie al riutilizzo di un "bolzone",
una sorta di ariete sospeso, con il quale gli assediati tentarono di respingere le torri, i crociati
poterono raggiungere le mura e da lì irrompere nella città, conquistandola. Addirittura Baldovino, re
della Gerusalemme conquistata, succeduto al fratello Goffredo di Buglione, fece incidere
sull'architrave della chiesa del Santo Sepolcro la scritta a caratteri d'oro "Præpotens Genuensium
præsidium" (potentissimo presidio dei Genovesi); scritta che in seguito fu cancellata per volontà di
un successivo re.
Nel 1100 l'Embriaco, assieme all'annalista Caffaro di Rustico da Caschifellone, futuro console e
"padre della patria", guidò la terza spedizione ligure in Terrasanta, dove lo stesso Caffaro riferisce
un atto di eroismo dell'Embriaco alla presa di Cesarea: rimasto isolato dai suoi uomini per il crollo
di una scala a pioli, riuscì secondo la cronaca a catturare un prigioniero e usarlo come ostaggio per
garantire l'arrivo dei crociati sulle mura in suo aiuto. Grazie alla presa della città, i genovesi
poterono conquistare il Sacro Catino, reliquia tuttora conservata nella cripta della Cattedrale di San
Lorenzo, in città.
I più celebri e ricchi possedimenti furono Giaffa (oggi parte di Tel Aviv), Gibello, Cesarea di
Antiochia e San Giovanni d'Acri in Terra Santa.
Il XII secolo: la crociata di Spagna
Nel 1147, Genova, non partecipando alla seconda crociata (1145-1149) in Terrasanta, intervenne
invece nella cosiddetta "Crociata di Spagna", processo facente parte della Reconquista, con la quale
la dinastia degli Almohadi di religione islamica, vennero cacciati dalla Penisola iberica. Uno dei
Califfi tentò un'alleanza con Pisa, e Genova per tutta risposta assalì una sua flotta, depredando ben
22 navi. L'impresa iberica venne guidata dal console Caffaro. Assieme ad Oberto della Torre,
assediò Minorca, i cui abitanti furono resi schiavi. Caffaro quindi mosse su Almeria (1147) il placet
del Re di Castiglia che intanto conquistò Cordova. I musulmani di Almeria, timorosi di fare la
stessa fine di Minorca, offrirono 113.000 marabottini ai genovesi per la pace. Caffaro rifiutò la
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
pace, e concesse soltanto una tregua, cosicché i musulmani gli offrirono 25.000 marabottini più la
consegna dell'emiro e di altri 8 ostaggi, come anticipo, ottenendo il consenso di Caffaro. Durante la
notte l'emiro si diede alla fuga., e ai genovesi non restò che attaccare la città il giorno seguente con
un assalto alle mura e la conquistarono facendo ventimila morti e diecimila prigionieri. Nel 1149
assieme ai Cavalieri Templari, al Signore di Montpellier, a crociati inglesi e soldati tedeschi e
fiamminghi, i genovesi attaccano Tortosa ed anche Tortosa cedette allo stendardo di San Giorgio.
Stretti accordi commerciali con i monarchi spagnoli, i genovesi ottennero fondaci e colonie e
consegnarono le città agli spagnoli.
Genova e il Sacro Romano Impero
Federico Barbarossa segnò senza dubbio la storia italiana: eletto come Sacro Romano Imperatore
(1155) nella prima metà del XII secolo, reclamò gran parte dell'Italia come dominio imperiale.
Convocata la celebre "Dieta di Roncaglia" l'imperatore ricevette tra gli altri delegati anche Caffaro e
Ugo della Volta, i quali gli manifestarono l'intenzione della Repubblica a restare indipendente dal
dominio imperiale. I liguri avevano già ottenuto da un predecessore dell'imperatore (Corrado III)
nel 1139 il diritto di battere moneta, sempre tuttavia con effigie imperiale, senza servirsi della zecca
di Pavia, il primo passo verso una maggiore indipendenza. Ricevendo dagli italiani parecchie
opposizioni, Federico passò alle minacce e sfogò la sua aggressività sul nord-Italia, attaccando città
come Asti o Tortona. In principio non intervenne militarmente sulla principale oppositrice, Milano,
né tanto meno su Genova, ma giunse infine a Roma dove si fece incoronare, ed elesse un
"antipapa". Appurata ancora l'opposizione dei comuni lombardi, attaccò ed espugnò infine Crema e
Milano. In quel momento attese un segno di distensione dalla repubblica genovese. I consoli della
repubblica, tra cui Guglielmo Porco e Guglielmo Lusio, ordinarono di rinforzare le mura della città
di Genova. La costruzione avvenne in tempi di record e impegnò l'intera cittadinanza. Appurata
l'inespugnabilità di una città costiera che poteva rifornirsi dal mare, Federico chiese un giuramento
di fedeltà da parte della repubblica, al quale i consoli acconsentirono purché non dovessero versare
tributo, ed ottennero la pace, la stessa pace che Milano dovrà ottenere con la forza a Legnano. In
cambio della rottura dell'alleanza con il Regno Normanno di Sicilia, di orientamento guelfo, i
genovesi ottennero inoltre dall'imperatore il diritto di eleggere i consoli e amministrare la
giustizia senza influenza imperiale.
I genovesi ottennero dal Re di Francia un lauto pagamento per il trasporto dei crociati francesi
(Terza Crociata 1189-1192) in Terrasanta, dove il Saladino aveva riconquistato Gerusalemme
(1187). Riccardo Cuor di Leone rifiutò invece l'offerta genovese, ma si recò lo stesso in città per
discutere la strategia di guerra con il monarca francese.
Tale era comunque la potenza genovese sul Mediterraneo che proprio dalle navi genovesi gli Inglesi
trassero la loro bandiera, usata dai convogli di Sua Maestà per navigarvi in sicurezza, per
concessione del Doge e sotto pagamento di un'ammenda.
La concorrenza di Pisa e Venezia, nonché la rivincita musulmana sugli stati crociati sotto Saladino,
posero termine ai domini in Medio Oriente e alle vivaci e ricchissime colonie là create dai
Genovesi.
Fine del governo consolare e inizio di quello potestarile (1191)
Con dure lotte, specie contro i Malaspina, i genovesi presero finalmente controllo della Liguria,
lasciando poche zone franche come Noli.
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Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. IX Lezione: le repubbliche
marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
Genova piombò in guerra civile, che si era evitata per molti anni. La formazione delle “Rasse”,
(vere e proprie fazioni massoniche) e le rivalità tra i feudatari fuori città portarono allo sfascio. Si
innescò uno scontro armato tra i sostenitori di Fulcone di Castello e quelli di Rolando Avvocato. Il
conflitto tra le due casate trascinò diverse famiglie in esso, tra cui i Della Volta, parenti di Fulcone,
Grazie alla mediazione dell'arcivescovo Ugone della Volta, per nove anni vi fu la pace.
Nel 1191 le risse si erano riaccese a Genova; per ovviare a ciò, si decise di abolire i consoli eletti
localmente tra i maggiorenti della città, e di nominare un Podestà chiamandolo da una città esterna,
in modo che potesse essere imparziale. Sarebbe stato affiancato da un Consiglio Maggiore o Senato,
dai consiglieri del Magistrato degli Otto e dal Consiglio Minore. Purtroppo alla nomina di
Manegoldo del Tettuccio, primo podestà, i figli dello stesso Fulcone di Castello, irruppero nel luogo
della cerimonia del passaggio di consegne tra consoli e podestà, e uccisero l'ex-console Lanfranco
Pevere, colpevole a loro detta di avere favorito la fazione degli Avvocato. I “folchini” scapparono a
Piacenza, e Manegoldo fece radere al suolo il loro palazzo per punizione. Fino al 1270 le lotte tra
casate continuarono tra precari periodi di pace, ed in esse può essere individuata la relativa
debolezza della Repubblica.
L'espansione di Genova nel Mar Mediterraneo
Il XIII: la fondazione delle Colonie
Seguì alla fortunata epopea mediorientale la fondazione le basi genovesi nel Mediterraneo centrale
e orientale, nonché nel Mar Nero.
Aigues Mortes, principale porto francese, era di fatto proprietà di Guglielmo Boccanegra, nonno del
più celebre Simone e grande amico del re Luigi IX il Santo: egli affidò al genovese la fortificazione
della città, opera che tutt'oggi si può ammirare nella sua bellezza ed imponenza. Nelle isole
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spagnole sottratte agli Arabi e nella Spagna continentale i genovesi strutturarono un commercio
secolare, con basi nelle grandi città riconquistate dai legittimi proprietari spagnoli.
I Capitani del Popolo e le guerre contro Pisa e Venezia
I dissidi interni, vera rovina della Repubblica, non cessarono nemmeno dopo la fortunata epopea
mediorientale. L'istituzione di un "Capitano del Popolo" (prima in veste singola, poi duale),
Guglielmo Boccanegra, di famiglia mercantile, non bastò a sanare le lotte tra le nuove famiglie
borghesi emergenti e le vecchie casate nobiliari.
La lotta con Pisa, vera potenza navale del Mediterraneo, si era protratta da circa due secoli, con
vittorie da ambo le parti, guerra di corsa ed ogni sorta di manovra e alleanza volta ad eliminare
l'avversario. L'occasione della vittoria finale da parte genovese avvenne nel 1284 dopo la Battaglia
della Meloria del 1284 (vedi sopra). Pochi anni dopo, i genovesi, in seguito al mancato rispetto
degli accordi di pace da parte pisana, distrussero ed interrarono Porto Pisano, costringendo la
repubblica toscana ad abbandonare ogni espansione marittima, e Genova pose gli artigli su tutta la
Corsica e sul Logudoro nel Nord della Sardegna. Archiviato un nemico, Genova dovette scontrarsi
con un avversario ugualmente potente: la Repubblica di Venezia. Il sostegno genovese all'Impero
Bizantino, andò di contro con il saccheggio di Bisanzio da parte dei crociati, e guidato dai
veneziani, durante la Quarta Crociata (1204). Nel 1298, alla Battaglia di Curzola, i genovesi
vennero allo scontro diretto con Venezia: pur vincendo lo scontro la vittoria non fu decisiva.
Lo scontro con Venezia culminerà nella guerra di Chioggia (1378-1381), senza che nessuna delle
due repubbliche prevalga sull'altra: i genovesi furono respinti dal Veneto, e dalla "Pace di Torino"
(1381), le due repubbliche non vennero mai più significativamente in conflitto.
I rapporti con Bisanzio
Un altro importante episodio bellico avvenuto nel 1261 schiuse ai genovesi le porte del Mar Nero e
dell'Egeo, in seguito al trattato di Ninfeo stipulato con l'imperatore bizantino Michele VIII
Paleologo che prevedeva un intervento navale genovese nelle acque di Costantinopoli per
ripristinare il legittimo imperatore. Questi, infatti, era in esilio a causa della IV crociata condotta dai
veneziani nel 1204, il cui scopo era stato la conquista dell'impero d'Oriente per controllarne così i
commerci.
Il comune ottenne immensi privilegi oltre al monopolio degli stretti, indispensabile per controllare i
commerci nel Mar Nero: il bacino fu infatti definito "lago genovese". La presenza ligure in quel
periodo arrivava fino ai più estremi confini orientali, lambendo perfino Iran e Iraq.
Poterono così fiorire e crescere oltre alle colonie di Famagosta e dell'isola di Cipro, il quartiere di
Galata ad Istanbul, nel quale si conserva ancora la torre del Cristo, ultimo baluardo della cristianità
contro l'invasione turca, i possedimenti come Trebisonda, Sebastopoli, Teodosia (Caffa), Belgorod
nel Mar Nero, le isole di Lesvos, Chio, Creta e Rodi nel Mar Egeo, Smirne, Efeso e Focea (che
garantiva il monopolio sull'allume) sulle coste della Turchia.
Il XIV secolo. Il cambio di ordinamento politico: dal Podestà al Doge
Le lotte intestine non cessarono nemmeno dopo i successi navali del XII secolo. I troppi interessi
economici in gioco, costrinsero ulteriormente il governo della città ad abbandonare le figure
istituzionali precedentemente adottate, dai consoli in poi. Fu così creata la carica di Doge,
similmente a Venezia. Simone Boccanegra (esponente della nuova nobiltà), eletto nel 1339 tentò di
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
estromettere i nobili e coloro che erano coinvolti in lotte plurisecolari, dal governo cittadino. Pagò
la sua politica prima con le dimissioni spontanee (1344) e successivamente con la vita durante il suo
secondo dogato, quando fu assassinato (1363) forse avvelenato per mano di sicari delle famiglie
Adorno e Fregoso che da quel momento acuirono la loro lotta per contendersi il controllo del
dogato. Il dogado a vita, una riforma governativa di tipo oligarchico, la cosiddetta "quarta
repubblica" comunque non placò i violenti conflitti interni.
Il XV secolo: Il primo declino del Quattrocento e la caduta di Costantinopoli (1453)
Durante il 400 Genova fu soggetta per tre volte al dominio francese: la prima volta dal 1396 al
1406, in cui Carlo VI di Francia mise Jean Le Meingre detto Boucicault come suo governatore. Fu
proprio sotto l'egemonia francese che nacque il Banco di San Giorgio, dove si univano coloro che
avevano prestato denaro allo Stato e potevano ricevere quindi indietro titoli di governo delle
colonie, e proventi delle entrate pubbliche. Il Banco di San Giorgio, fu detto varie volte, rappresentò
per secoli il vero centro di stabilità della Repubblica. Esso derivò dal sistema delle "Compere",
ovvero l'acquisizione di proventi statali dopo prestiti che il governo richiedeva alle famiglie
nobiliari e mercantili. Questo sistema fu molto simile a quello delle moderne "Società per Azioni",
ma senza un'organizzazione centrale, fu difficile mantenere un bilancio e quindi un debito pubblico
stabile, perciò nacque questa istituzione. Fu il primo istituto di credito moderno al mondo, al quale
venivano spesso affidati i domini d'oltremare e che divenne, in pratica, uno Stato nello Stato, anzi il
vero Stato dal quale Genova sarebbe risorta.
Il secondo dominio francese avvenne verso il 1460, ma non fu l'unico dominio straniero. I milanesi
infatti (prima i Visconti tra il 1421 ed il 1436, poi gli Sforza dal 1464 al 1499 con alterne vicende),
riuscirono a governare la città.
La conquista turca di Costantinopoli diede un altro scrollone alla politica estera della Superba. Nel
1453 la capitale dell'Impero Bizantino, ormai ridotto ad un fazzoletto di terra, cadde sotto le forze
del nascente Impero ottomano. Il contingente genovese della colonia di Galata ebbe un certo ruolo
nella disperata difesa della città. Giovanni Giustiniani Longo, comandante dei genovesi, lottò
assieme all'Imperatore stesso e fu infine ferito a morte. Molte colonie genovesi, dopo la sconfitta
Bizantina, reggevano sotto la guida di consorzi di creditori della Repubblica chiamati Maone e
sarebbero andati avanti per circa altri due secoli.
Un terzo dominio francese si ebbe infine alla fine del quattrocento. Nel secolo successivo Genova
verrà coinvolta nel conflitto tra Francia e Spagna.
Gli interessi di Genova però erano destinati a cambiare e la svolta definitiva la diede Andrea Doria
con la sua politica filospagnola.
Gli imperatori sassoni
Ottone I di Sassonia
Ottone I di Sassonia, detto Ottone il Grande (Wallhausen, 912 – Memleben, 973), fu duca di
Sassonia, re di Germania dal 936, dal 951 re d'Italia e Imperatore del Sacro Romano Impero dal
962. Era il figlio di Enrico I l'Uccellatore e di Matilde di Ringelheim.
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
Re di Italia e di Germania
Nel 929 sposò Edith del Wessex, sorellastra del sovrano anglosassone Æthelstan. La moglie morì
nel 946. Nel 936 succedette a suo padre come re dei Germani e duca di Sassonia.
Nel 951-952 intraprese una campagna in Italia, conquistò la Lombardia e sposò Adelaide di
Borgogna. Costei era vedova del re d'Italia Lotario II che era stato ucciso presumibilmente da
Berengario II il quale, per distogliere i sospetti da sé, impose ad Adelaide il matrimonio con il
proprio figlio Adalberto. La regina riparò nel castello di Canossa invocando l'aiuto di Ottone. Con il
matrimonio celebrato a Pavia, capitale all'epoca della Lombardia, Ottone s'impossessò del titolo di
Re dei Franchi e degli Italici.
Il nuovo re non proseguì il proprio cammino verso Roma perché richiamato in patria: la Germania
era stata infatti minacciata dagli Ungari. Nel 955 sconfisse i Magiari nella Battaglia di Lechfeld,
vicino Augusta in Baviera, fermandone l'avanzata nell'Europa centrale.
Nel 957 le armate germaniche, guidate dal figlio di Ottone, Liudolfo, strinsero d'assedio Berengario
II, che si era nuovamente ribellato e rinchiuso nella fortezza dell'Isola di San Giulio (nel Lago
d’Orta, provincia di Novara), da cui il re italiano trattò condizioni di pace non eccessivamente
sfavorevoli.
Nel 963 Ottone sconfisse Mieszko I, duca di Polonia e lo costrinse a pagargli tributo.
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Imperatore: nasce il primo Reich (962)
Dopo la morte di Liudolfo, forse avvelenato dallo stesso Berengario II nel castello di Pombia, si
rese necessaria una nuova campagna in Italia, durante la quale Ottone fu incoronato Imperatore dei
romani da papa Giovanni XII in San Pietro (2 febbraio 962). Subito dopo Ottone mosse su Pavia. I
ribelli, non ritenendo di poter difendere la città e non avendo forze sufficienti per opporsi in campo
aperto ai tedeschi, decisero di asserragliarsi nelle fortezze più sicure del regno, probabilmente
sperando in qualche rovesciamento della sorte. La regina Willa scelse la fortezza dell'isola di San
Giulio portandovi il tesoro reale, Berengario e Adalberto si arroccarono invece nell'imprendibile
San Leo (provincia di Rimini). Ottone dapprima strinse di assedio Willa. In quei mesi sull'isola
nacque il futuro abate Guglielmo da Volpiano. Presa per fame la fortezza, il generoso imperatore
fece scortare sana e salva la donna fino a San Leo perché potesse ricongiungersi col marito. Due
anni dopo, comunque, anche San Leo dovette capitolare e Berengario e Willa furono portati
prigionieri in Germania.
Nel 963, l'Imperatore era ancora in armi contro Berengario d'Ivrea quando i suoi corpi di élite
dell'esercito scoprirono una corrispondenza tra Papa Giovanni XII e il figlio del marchese d'Ivrea,
Adalberto. Furente, Ottone arrivò a Roma nell'autunno dello stesso anno mentre Giovanni faceva in
tempo ad organizzare la fuga in un castello del nord del Lazio. Il 6 novembre convocò un sinodo
dove venne giudicato l'operato dell'ex-pontefice che venne accusato di spergiuro, omicidio e
incesto. Ottone lo invitò a scagionarsi, ma per tutta risposta Giovanni scomunicò tutti i firmatari
delle accuse, Imperatore in testa. Questi allora lo depose e nominò al suo posto un laico,
responsabile delle biblioteche lateranensi che prese il nome di Papa Leone VIII. Per ridare
prestigio al pontificato e per esercitare un controllo politico sulla Chiesa Ottone emanò un
atto, Privilegium Ottonianum, in cui si dichiarava che l'imperatore aveva il diritto di scegliere
e confermare il papa a lui gradito.
Il 3 gennaio del 964, I Romani insorsero contro Ottone per aver nominato un papa senza la loro
approvazione e l'Imperatore si salvò grazie ad uno squadrone di cavalleggeri che era con lui in
Castel Sant'Angelo che caricò i manifestanti. Il 10 gennaio, Ottone si mosse con 100 ostaggi verso
Spoleto, dove Adalberto del Friuli aveva posto la sua base. Due giorni dopo i romani richiamarono
papa Giovanni XII, che fu portato in trionfo, Leone VIII dovette riparare su Camerino dove aveva
posto la sua base logistica Ottone.
Alla morte di Giovanni XII, il 14 maggio 964, i romani elessero un pontefice per conto loro che
prese il nome di Papa Benedetto V. Ottone indirizzò l'esercito sulla città, assetato di vendetta, e la
prese per fame bloccandone le vie d'accesso. Fu subito indetto un altro sinodo dove Benedetto fu
deposto e riconosciuto papa Leone. Ottone lasciò ancora una volta Roma, nel luglio del 964, e dopo
un anno il papa morì.
Stavolta i romani, rispettando il "Privilegio Ottoniano", mandarono un'ambasceria in Germania per
chiedere all'Imperatore la reintegrazione di Benedetto, ma Ottone rifiutò. L'ambasceria allora,
rispettosamente, chiese il nome del nuovo papa a lui gradito. Venne scelto il figlio del vescovo di
Narni, che prese il nome di Papa Giovanni XIII. Ma i romani, che non lo avevano mai amato, lo
deposero nel dicembre del 965. Ottone fu costretto ancora una volta a scendere in Italia. Il capo dei
rivoltosi romani, un nobile di nome Giovanni, venne stanato e appeso per i capelli sulla statua
equestre dell'Imperatore Marco Aurelio. La vigilia di Natale del 967, lo raggiunse a Roma il figlio
quattordicenne Ottone II, che fu associato da lui al trono e incoronato Imperatore.
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marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
Nel 972, tornarono tutti a Roma dove venne celebrato il matrimonio tra Ottone II e la principessa
bizantina Teofano, che venne officiato da Papa Giovanni XIII. Lo scopo di Ottone I era quello di
riunire tutta la penisola sotto la casata di Sassonia sperando così di trattare pacificamente la resa in
Calabria e Puglia dei bizantini.
Dopo il suo ritorno dall'Italia presiedette nel 973 la Dieta di Quedlinburg, il 7 maggio 973 morì per
un avvelenamento alimentare (carne avariata durante un festeggiamento). Suo successore al trono
imperiale fu il figlio Ottone II.
Il fratello minore di Ottone il Grande fu l'arcivescovo di Colonia Bruno I (divenne arcivescovo a 28
anni!).
Il Sacro Romano Impero della nazione germanica
Anche se il termine "Sacro Romano Impero" non venne usato fino a 200 anni dopo (e l’espressione
“della nazione germanica” addirittura nel XVI secolo), Ottone ne viene talvolta considerato il
fondatore (altri conferiscono questo onore a suo padre Enrico) e viene ricordato come il primo in
una successione di Imperatori di varie dinastie che finì solo quando Napoleone dissolse il Sacro
Romano Impero e l'ultimo Imperatore della Casa di Asburgo abdicò la Corona nel 1806.
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Ottone I e il papato
Il papato nel X secolo era in preda a una grave crisi iniziata nel secolo precedente, con venti
pontefici nell'arco di 65 anni, molti dei quali deceduti per morte violenta. Le elezioni di vescovi e
papi si svolgevano in un clima di disordini e sedizioni istigate dalle famiglie aristocratiche che si
contendevano i titoli ecclesiastici. A Roma dominava la famiglia Tuscolo, col suo capofamiglia
Teofilatto († 924), la moglie Teodora e la figlia Marozia, la quale dopo la morte del padre fece
nominare papa suo figlio, sebbene fosse ancora nello stato laicale (Giovanni XI).
Questo periodo turbolento finì nel 932, quando un altro figlio di Marozia, Alberico, appena
ventenne, prese il potere a Roma e destituì il papa della sua autorità temporale. Alberico dominò la
vita pubblica di Roma per circa vent'anni, controllando anche la nomina stessa del pontefice. Nel
954 Alberico impose alla nobiltà e al clero romani di far eleggere il figlio Ottaviano appena dopo la
morte di Agapito II. L'anno seguente Ottaviano salì al soglio pontificio col nome di Giovanni XII.
Così il potere temporale e quello spirituale tornarono ad essere riunificati in una sola persona. Il
nuovo pontefice, cercando di rafforzare la difficile situazione dello Stato della Chiesa, chiamò il re
di Germania Ottone I, che discese nel 961 e si fece incoronare in San Pietro il 2 febbraio 962.
Ottone I decise di vincolare il pontefice a un patto di fedeltà verso il sovrano: fu così concepito il
Privilegium Othonis (13 febbraio del 962). Da allora ogni elezione pontificia avrebbe richiesto la
conferma imperiale; per un lungo periodo la Chiesa fu sotto il controllo imperiale.
Politica
Ottone I riprese la vecchia politica tendente a unire il nord dell'Italia e il Sud, politica che era già
stata iniziata da Carlo Magno, quando aveva cercato di togliere ai Bizantini i baluardi italiani. Egli
combinò il matrimonio tra Ottone II e Teofano, nipote dell'imperatore bizantino Giovanni I, in
maniera che Teofano portasse in dote l'Italia meridionale, cosicché l'Impero avrebbe avuto il
controllo di tutta l'Italia e avrebbe subordinato a sé Gaeta, Napoli, Amalfi che si governavano da sé,
senza i Bizantini. I ducati di Benevento, Capua, Salerno, sarebbero stati costretti ad accettare la
sottomissione.
Ottone I voleva combattere la feudalità, il cui fenomeno politico era il frazionamento dello Stato, e
voleva mettere feudo contro feudo, attuare così la lotta tra i feudi: istituì un feudo cittadino,
mettendo città contro campagna e affidando i feudi cittadini all'unica autorità rimasta in città, i
Vescovi.
Gli obiettivi di Ottone I erano sostanzialmente tre:



Costituire una dinastia, nella fattispecie la Dinastia ottoniana di Sassonia, in modo da
ovviare alle problematiche relative alle successioni nel Sacro Romano Impero.
Istituire i vescovi-conti, in verità già presenti nell'Impero carolingio. Il fatto che questi non
potessero avere successori legittimi implicava il fatto che i feudi loro destinati, benché
vitalizi, erano destinati a ritornare nella disponibilità dell'imperatore.
Contrastare in Italia il potere dell'Impero bizantino, in modo da proporsi come i legittimi
rappresentanti dell'Impero Romano d'Occidente. Questo obiettivo non fu mai raggiunto,
infatti non vi fu mai soluzione di continuità tra l'Impero di Romolo Augusto e l'impero
romano-germanico. Già l'opzione dell'Impero carolingio, con Carlo Magno, non era stata
accettata dai bizantini. L'insistenza degli imperatori romano-germanici di proclamarsi diretti
successori dell'Impero romano favorì, grazie anche in seguito alle università, la
reintroduzione del Diritto romano in Occidente, andando a rimpiazzare le tradizioni
giuridiche degli invasori germanici.
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I vescovi-conti
Il potere regio degli Ottoni attuò una politica sistematica di potenziamento dei vescovi dalla metà
dell'X secolo. I vantaggi che ne derivavano consistevano nel fatto che la città, divenuta sede di un
feudo, avrebbe tentato di espandersi verso la campagna, controllando le vie di comunicazione:
combattendo contro la campagna, si avrà un urto tra feudatari laici ed ecclesiastici, un urto tra la
città vescovile e il contado, ci sarà un frantumarsi del potere feudale.
Il feudo ecclesiastico non è ereditario: l'imperatore potrà disporre di essi, si arrogherà il diritto di
eleggere il vescovo, nominando egli stesso la gerarchia ecclesiastica, a lui fedele. Il fatto che il
vescovo abbia potere vitalizio è perché si è dimostrato degno della fiducia imperiale.
In questo modo l'Imperatore non solo controllava la Chiesa, avendola tutta a sua disposizione, ma
otteneva la limitazione del potere feudale e faceva un passo avanti verso la distinzione della
feudalità. La gerarchia ecclesiastica sarà più fedele all'Imperatore che al Papa.
Alla corte del vescovo ci sono le stesse esigenze che esistono al castello feudale. Gli artigiani e i
mercanti tornano dal burgum in città, perché ci trovano lavoro, col vantaggio che la città si trova in
luoghi più favoriti, all'incrocio delle grandi vie commerciali. Tutto questo non determina il crollo
della campagna, anzi succede che nella più comoda vita cittadina si trasferiscono anche i piccoli
vassalli.
Dal latifondo si torna alla piccola proprietà e vengono fatti contratti a lunghissima scadenza (un
certo terreno viene affittato per novantanove anni, col pagamento di un canone annuo). L'affittuario
versa all'affittante prodotti in natura ed è portato a far fruttare il terreno al massimo, passando ad
una coltivazione intensiva, cosicché anche l'agricoltura migliora.
In complesso l'istituzione dei vescovi-conti si tradusse in un vantaggio economico e divenne il
presupposto della rinascita delle città. Le città parteciperanno alle lotte tra città e campagna e,
dando al vescovo il loro appoggio, otterranno concessioni.
Ottone II di Sassonia
Ottone II di Sassonia (Sassonia, 955 circa – Roma, 983) fu duca di Sassonia, re di Germania dal 961
al 983 e imperatore del Sacro Romano Impero dal 973 al 983.
Figlio di Ottone I il Grande e di Adelaide di Borgogna, fu incoronato re ad Aquisgrana mentre il
padre si stava recando a Roma per essere incoronato imperatore da Papa Giovanni XII. Regnò
quindi per alcuni anni in coreggenza col padre (967-973) ma sotto la supervisione dello zio,
arcivescovo di Colonia e del fratellastro, arcivescovo di Magonza.
Il suo matrimonio, celebrato il 14 aprile del 972, con la principessa bizantina Teofano (nipote del
sovrano dell'impero romano d'Oriente) consentì alla corte germanica di assimilare parte della
cultura greco-bizantina. Dal matrimonio nacquero quattro figli:


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
Adelaide (977 - 1032) che divenne priora di Quedlinburg;
Sophia (978 - 1039) futura priora di Gandersheim ed Essen;
Matilde (979 - 1024) sposò Azzo, duca di Lorena;
Ottone III (980 - 1002) il successore al trono che ebbe una sorella gemella morta alla
nascita.
Ottone II dovette affrontare nel 976 una ribellione guidata da suo cugino Enrico II duca di Baviera e
dei continui contrasti con il regno di Danimarca guidato da Harald I (Aroldo I di Danimarca) detto
Dente Blu.
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Nel 978 il consiglio del regno di Dortmund decise di avviare una campagna contro la Francia per
ristabilire la pace in Lorena. Nell'autunno dello stesso anno, dopo violente battaglie, stipulò un
accordo di pace a Margut-sur-Chiers con Lotario I di Francia nel quale quest'ultimo rinunciò alla
Lorena.
Nel 980 Ottone organizzò una spedizione nell'Italia meridionale, contando sull'alleanza dei duchi di
Benevento, Capua e Salerno, nonché sull'appoggio o almeno la neutralità dei bizantini, con
l'obbiettivo di scacciare definitivamente la presenza musulmana: invase l'Italia arrivando ad
occupare Napoli e altre città del Mezzogiorno: questo atteggiamento potrebbe aver irritato il
basileus, che forse gli fece mancare il sostegno nel momento decisivo.
Ottone si stabilì con il grosso del suo esercito in Calabria, a Rossano, per sferrare l'attacco ai
saraceni di Abu al-Qasim, Emiro della Sicilia della dinastia dei Kalbiti. Al-Qasim schierò il suo
esercito per la battaglia di Capo Colonna, a sud di Crotone. Era il 13 o 14 luglio 982. L’emiro fu
ucciso, ma le sue truppe non si sbandarono: anzi manovrarono circondando gli avversari, che
subirono gravissime perdite. Secondo lo storico Ibn al-Athir, i caduti tra le forze imperiali furono
circa 4.000, tra i quali Landolfo IV di Benevento, Enrico I, vescovo di Augusta, Günther, margravio
di Merseburg, l'Abate di Fulda e numerosi altri conti germanici. La battaglia, nonostante l'impresa
dell'uccisione dell'Emiro di Sicilia, si concluse con una sconfitta per l'Imperatore, a causa delle
pesanti perdite umane. In seguito a tale evento Ottone decise di risalire la Penisola, trovando
ospitalità presso feudatari a lui fedeli. Raggiunse infine Verona, dove radunò una dieta dei più
importanti nobili del nord Italia. Qui fece eleggere Re d’Italia suo figlio Ottone III ed inviò in
Germania suo nipote Ottone I, Duca di Svevia e di Baviera, per ottenere rinforzi, ma il messaggero
morì durante il viaggio.
E’ a partire proprio da Ottone II che inizia un processo di espansione verso l’Est, tra i fiumi Elba ed
Oder: la colonizzazione si avvia come processo di evangelizzazione che poi lascerà il posto alla
colonizzazione rurale e poi alla conquista politica. Vengono create le diocesi di Posen e di
Breslavia; si converte la Pomerania. “la chiesa tedesca coniuga sempre la diffusione della fede ed
estensione delle frontiere dell’impero. […] l’azione missionaria della chiesa tedesca, appoggiata
dall’imperatore, ha finito per contribuire all’affermazione delle identità slave più che contribuire
alla supremazia tedesca nell’Europa orientale.” (da R. Poidevin, S. Schirmann, Storia della
Germania, 2001, ed. Bompiani, p.23).
Morì il 7 dicembre 983 nel suo palazzo a Roma, sembra a causa di un attacco di malaria; e le sue
spoglie sono conservate in una cripta che si apre nel nartece della Basilica di San Pietro essendo
quindi l'unico imperatore del Sacro Romano Impero sepolto a Roma.
Ottone III di Sassonia
Ottone III di Sassonia (Kessel, giugno o luglio 980 – Faleria, 23 gennaio 1002) fu re d'Italia e di
Germania dal 983 al 1002 e imperatore del Sacro romano impero dal 996 al 1002.
Ottone III di Sassonia nacque nel 980 a Kessel, vicino a Goch, nell'attuale Olanda. Figlio di Ottone
II, è stata una delle figure più importanti e controverse del medioevo tedesco. Venne eletto re a
Verona nel 983 all'età di tre anni e in seguito incoronato il 25 dicembre ad Aquisgrana. Suo padre
era morto pochi giorni prima, ma la notizia arrivò in Germania solo ad incoronazione avvenuta.
Il duca di Baviera Enrico il pacifico, cugino e rivale del padre, rapì Ottone III, tentando di
appropriarsi della reggenza ai danni dell'imperatrice Teofano e si fece incoronare nel 984; non fu
però in grado di regnare, a causa principalmente dell'opposizione di Gerberto di Aurillac, abate di
Bobbio e futuro arcivescovo di Ravenna, e dell'arcivescovo Adalberto di Reims, e lasciò la
reggenza alla madre di Ottone, Teofano, che regnò fino alla morte (991), coadiuvata da Willigis,
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. IX Lezione: le repubbliche
marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
l'arcivescovo di Magonza. In seguito la reggenza passò alla nonna, l'imperatrice Adelaide di
Borgogna, fino al 995 quando Ottone raggiunse i 15 anni di età.
Questi, insieme alla madre Teofano, principessa bizantina, impartirono al giovane Ottone
un'educazione caratterizzata dal culto dei fasti dell'antica Roma e dall'idea di impero come
depositario universale. Aveva ricevuto un'educazione più accurata di quella che solevano allora
ricevere i principi: parlava latino e greco e non si curava di nascondere il suo disprezzo per i rozzi
ed incolti costumi sassoni, cui preferiva di gran lunga le raffinatezze della vita bizantina.
Su Ottone III furono molto importanti anche le influenze culturali bizantine, mediate, oltre che dalla
madre, anche da Nilo da Rossano, poi San Nilo di Grottaferrata. Alla morte delle due, i nobili
romani imbaldanzirono e cacciarono papa Giovanni XV che riparò presso Ugo di Toscana che nel
996 chiamò Ottone III in Italia.
L'impero
Giunto in Italia, nel 996 Ottone venne incoronato imperatore a Monza. I romani gli mandarono
un'ambasceria per dargli il benvenuto e lo accolsero nell'Urbe imbandierata a festa. Nel suo seguito
c'era il cugino Bruno di Carinzia, che ne era anche il confessore e che, alla morte di Giovanni XV,
fu nominato pontefice con il nome di Papa Gregorio V (primo papa tedesco). La prima visita
dell'Imperatore a Roma durò poco ma non fece in tempo a ritornare in Germania che la nobiltà
romana, sotto la guida di Giovanni II dei Crescenzi (figlio di Crescenzio II dei Crescenzi, morto nel
984), depose papa Gregorio e ne insediò uno di suo gradimento, l'antipapa Giovanni XVI. Ciò non
era una novità per la città di Roma: Crescenzio II, nel 973, aveva deposto Papa Benedetto VI per
installare l'Antipapa Bonifacio VII, che divenne effettivamente pontefice undici anni dopo,
spodestando Papa Giovanni XIV.
Ottone III fu costretto a lasciare il paese, a causa della minaccia degli eserciti slavi, e nel 997
ripiombò in Italia mentre Gregorio V lo aspettava a Pavia. Arrivato a Roma, sconfisse i suoi
avversari: Giovanni Crescenzi capitolò e subito dopo venne condannato a morte. Giovanni XVI fu
fatto prigioniero e, per volere di Gregorio V e Ottone III, subì orrende torture e mutilazioni prima di
essere incarcerato e morire, dopo una vecchiaia dolorosa e infame, nel 1001. Circa un anno dopo,
Gregorio V moriva, probabilmente, avendo solo 27 anni, non di cause naturali, e Roma cominciava
di nuovo a tumultuare.
L'imperatore impose sul soglio pontificio Gerberto di Aurillac, uno degli uomini più colti del tempo
e suo precettore in età adolescenziale (da lui posto sull'importante cattedra vescovile della città
imperiale di Ravenna) che assunse il nome di Silvestro II. Sotto il suo influsso e a causa
dell'influenza bizantina sulla corte che aveva esercitato la madre Teofano, l'Imperatore cominciò a
concepire l'idea di ristrutturare il vecchio e glorioso Impero Romano.
Il greco e il latino vennero imposte come lingue ufficiali dell'Impero, sostituendo così il tedesco.
Completamente soggiogato dai bizantinismi della sua corte e da Gerberto, Ottone III trasferì la
capitale del regno a Roma, facendosi chiamare console, senatore e imperatore dei Romani.
L'insurrezione del popolo romano del 1001 lo costrinse a fuggire da Roma, insieme al papa
Silvestro II, dove non poté più tornare.
La morte
Ottone III morì nel 1002, all'età di ventidue anni, a Castel Paterno presso Faleria (Viterbo), mentre
la principessa bizantina Zoe, figlia di Costantino VIII, era appena sbarcata in Italia per sposarlo. La
morte di Ottone III è stata attribuita a varie cause: le fonti medievali parlano di malaria, che avrebbe
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Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. IX Lezione: le repubbliche
marinare di Pisa e Genova. L’Impero germanico
contratto nelle malsane e paludose saline di Ravenna. Il corpo di Ottone venne riportato dal suo
esercito in Germania, dove venne seppellito nella cattedrale di Aquisgrana, vicino a Carlo Magno.
Gli succedette come re di Germania, e successivamente come imperatore, il cugino Enrico, col
nome di Enrico II.
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