La conquista dell’America 1 L’America oggi Il continente americano è diviso in due grandi aree geografiche: 1. America Settentrionale e Centrale, che comprende i tre grandi Stati del Nord (Canada, Stati Uniti, Messico). Si tratta di un’area di circa 25 milioni di chilometri quadrati, con più di mezzo miliardo di abitanti. Per un confronto si pensi che l’Europa, Russia compresa, ha un’estensione di poco più di 10 milioni di Kmq con più di 700 milioni di abitanti. Gli Stati Uniti e il Canada fanno parte del G7, il gruppo dei paesi economicamente più sviluppati del mondo. Il Nordamerica è una delle aree più ricche del pianeta, al contrario dell’America centrale che, con il Messico, rientrano tra le aree in via di sviluppo. 2. America Meridionale, composta da 13 Stati, con una superficie complessiva di circa 18 milioni di Kmq e una popolazione di poco più di 400 milioni di abitanti, di questi, quasi la metà si trovano in Brasile, che occupa anche la metà della superficie del Sudamerica. Qui l’economia è in forte crescita negli ultimi anni, mentre il resto del Sud America è in via di sviluppo. Negli Stati Uniti e nel Canada si parla inglese e francese, mentre in Brasile si parla portoghese e nel resto dell’America spagnolo. Per questo, l’America centrale e meridionale viene anche chiamata America Latina. Il primo viaggio di Colombo Tutto cominciò il 12 ottobre del 1492, quando Cristoforo Colombo approdò con le sue caravelle a San Salvador. Successivamente, lo stesso Colombo e altri continuarono a esplorare i nuovi territori. Va segnalato, tra gli altri, Amerigo Vespucci che per primo intuì che si trattava di un nuovo continente e gli diede il nome che conosciamo. Nel 1494 Spagna e Portogallo stipularono il Trattato di Tordesillas con il quale fissarono un meridiano come confine per dividersi le terre da esplorare. Ciò spiega perché il futuro Brasile sarà portoghese. 2 Lo sterminio degli Aztechi La Spagna iniziò la colonizzazione con la conquista di Cuba. Da lì, nel 1519, partì Hernán Cortés con poche centinaia di uomini verso il Messico e, nel giro di due anni, conquistò l’impero degli Aztechi facendo prigioniero il loro imperatore Montezuma, che poi morirà nel corso degli scontri tra Aztechi e spagnoli. Come si vede dalla figura, l’estensione, e quindi la potenza, dell’Impero azteco era tale che poche centinaia di guerrieri non potevano certo averne ragione. Come fu possibile, quindi, la vittoria di Cortés, e in soli due anni? Gli storici la spiegano sostanzialmente con tre motivazioni: 1. il comportamento ambiguo ed esitante dell’imperatore Montezuma, che cade nelle trappole che gli tende Cortés; “…di fronte ai nemici, egli rifugge dal servirsi del suo immenso potere, come se non fosse convinto di voler vincere” (T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’’altro’”, Einaudi 1984, p. 69). 2. La capacità di Cortès di sfruttare l’impopolarità del dominio azteco sulle diverse popolazioni messicane: seppe approfittarne al punto da avere al suo servizio un esercito formato da alcuni popoli alleati contro gli aztechi. 3. La grande superiorità militare degli spagnoli in fatto di armi e mezzi. “Gli aztechi non conoscono la lavorazione dei metalli, le loro spade e le loro armature sono meno efficaci; le frecce (non avvelenate) non valgono gli archibugi e i cannoni degli spagnoli. Nei loro spostamenti questi ultimi sono molto più rapidi: su terra hanno a disposizione i cavalli, mentre gli aztechi sono sempre a piedi; sull’acqua si sono costruiti dei brigantini, la cui superiorità sulle canoe indiane avrà un ruolo decisivo nella fase finale dell’assedio a Città del Messico. Infine gli spagnoli inaugurano, senza saperlo, anche la guerra batteriologica, 3 portandosi dietro il vaiolo che fa strage nelle file nemiche.” (T. Todorov, op. cit. p. 75) La colonizzazione del Messico fu un’autentica rapina di ogni risorsa e un bestiale sfruttamento del lavoro di uomini, donne e bambini, trattati come schiavi, con il pretesto di evangelizzarli. A nulla valsero le proteste anche di uomini di Chiesa come il frate Bartolomeo de Las Casas. L’esportazione involontaria di malattie mortali fece il resto e dopo meno di un secolo restarono in vita solo pochi nativi. Lo sterminio degli Inca Dopo una decina d’anni, Francisco Pizarro, forse sull’onda dei successi di Cortés, riuscì a farsi finanziare dalla corona di Spagna una spedizione sulle Ande dove si sapeva di un regno ricco d’oro. Il 16 novembre 1532 riuscì ad attirare in una trappola nella città andina di Cajamarca l’imperatore degli Inca Atahualpa e a sconfiggere il suo esercito enormemente superiore, di numero, ai suoi armati. Pizarro sconfisse Atahualpa per gli stessi motivi per i quali Cortés sconfisse Montezuma: la tecnologia moderna delle sue armi, i cavalli, la cultura (gli Inca non conoscevano la scrittura!), le malattie portate dagli europei (cfr. J. Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi, 1998, pp. 48-58). Il territorio degli Inca, come si vede dalla cartina, era molto vasto, dall’attuale Perù al Cile. Pizarro cercò di organizzarlo facendo fronte a congiure interne da parte di hidalgos spagnoli e a una lunga resistenza della popolazione inca guidata dai successori di Atahualpa. Tupac Amaru, ultimo imperatore inca, fu sconfitto e giustiziato nel 1571. Pizarro era stato ucciso trent’anni prima da un gruppo di conquistadores suoi rivali a Lima, la città che lui stesso aveva fondato sulla costa del Pacifico. 4 Oggi restano pochi piccoli gruppi di Inca, discendenti dei superstiti del massacro e dello sfruttamento della colonizzazione spagnola. Lo sterminio dei Pellerossa Al Nordamerica si interessarono le altre nazioni europee, soprattutto Inghilterra e Francia, che con Olanda, Spagna e Portogallo in quegli anni monopolizzavano le vie commerciali mondiali. Il continente nordamericano era abitato da popolazioni indigene organizzate in tribù nomadi che vivevano di caccia, pesca e raccolta su un territorio vastissimo, dotato di risorse naturali molto più che sufficienti alla loro sopravvivenza. La politica inglese e francese più che puntare sulla pura depredazione delle risorse naturali mirò a creare vere e proprie colonie. L’Inghilterra colonizzò la costa orientale fondando quelle che diventeranno le 13 colonie che daranno vita nel 1776 agli Stati Uniti d’America. La Francia fondò, tra le altre, Nouvelle-Orléans (l’odierna New Orleans), e Montreal nel territorio del Québec, oggi provincia francofona del Canada. A metà del XVIII secolo, a seguito della Guerra dei sette anni, la Francia dovette cedere all’Inghilterra tutte le sue conquiste coloniali e lasciarle mano libera nell’intero Nordamerica. La colonizzazione inglese e francese scacciò letteralmente gli indigeni dalle terre che occupavano da sempre e vi installò i propri emigranti: avventurieri in cerca di fortuna, europei di varie nazionalità perseguitati per motivi religiosi, coloni in cerca di terre da coltivare. I mezzi per lo sterminio furono sostanzialmente i medesimi usati per il genocidio di Aztechi, Inca e altre popolazioni sudamericane. L’indipendenza dell’America La rivoluzione americana del 1776 che diede vita agli USA, prima realtà statuale indipendente del Nuovo Mondo, unitamente ai rivolgimenti che accaddero successivamente in Europa (dalla Rivoluzione francese all’epopea napoleonica, alla nascita delle nazioni), furono la spinta per le rivoluzioni indipendentiste nelle colonie spagnole e portoghesi dell’intera America Latina che, nei primi decenni dell’Ottocento, ottennero l’indipendenza dalle rispettive madrepatrie. Nel corso del XIX secolo, i nuovi Stati americani si trasformarono e si consolidarono lungo una linea di sviluppo che vide gli USA (e, in parte, il Canada) spingersi sempre più verso Ovest conquistando l’intero territorio fino all’Oceano Pacifico. Nello stesso tempo gli USA avviarono la grande industrializzazione che li vedrà dominare il mondo nel secolo successivo, mentre gli Stati del Centro e Sud America (e il Messico) si attestarono su un’economia prevalentemente latifondista, che solo in questi ultimi anni ha visto una modificazione significativa nel Brasile. Lo scambio colombiano L’unificazione del pianeta dopo il viaggio di Cristoforo Colombo nel 1492 è avvenuta comunque, anche a dispetto degli stermini perpetrati dai conquistadores spagnoli e portoghesi e dai coloni inglesi e francesi. Nel XVII secolo, i latifondisti americani (spagnoli, portoghesi e inglesi soprattutto) dopo aver sfruttato fino alla morte gli indigeni, iniziarono a importare manodopera schiavile dall’Africa attraverso il famigerato commercio triangolare durato fin quasi al XIX secolo. La guerra di secessione statunitense mise fine alla schiavitù negli USA e finalmente nell’intero continente. 5 Nel corso dell’Ottocento e del Novecento, l’America tutta fu terra d’emigrazione per i poveri e i perseguitati d’Europa, sicché oggi possiamo davvero pensare alle popolazioni americane del Nord e del Sud America come a un melting pot dell’intera umanità. C’è chi ha definito “scambio colombiano” quello secondo cui gli abitanti del Vecchio Mondo hanno importato dal Nuovo Mondo alimenti nuovi e nutrienti come il mais, i fagioli, la patata, le arachidi, il melone, l’ananas, il pomodoro, il cacao, la zucca gialla, la manioca, il tacchino ecc. In cambio abbiamo loro regalato i nostri germi patogeni che li hanno distrutti, il cavallo e le nuove tecnologie militari! (A. W. Crosby, Lo scambio colombiano. Conseguenze biologiche e culturali del 1492, Einaudi 1992). Lo scambio più importante e rivoluzionario, però, è stato quello umano: tra mille e più sofferenze e atroci supplizi sono stati rimescolati gruppi umani di diversa impronta genetica. Oggi, scrive Crosby, “esistono due Europe e due Afriche: una su ciascuna sponda dell’Atlantico. Gli Europei e gli Africani d’America sono la conseguenza più clamorosa dello scambio colombiano…” (p. 180). 6