15. Gli inglesi in India
Nel corso del Cinquecento i portoghesi sono stati i primi a raggiungere le Indie orientali e ad
avviare il proficuo commercio delle spezie attraverso il Capo di Buona Speranza, ma nel
corso del Seicento hanno quasi del tutto perso questa supremazia originaria a favore di
mercanti e di organizzazioni commerciali olandesi e , più tardi, francesi e inglesi. Nel
Settecento conservano soltanto l’enclave di Goa, sulla costa occidentale dell’India, dalla quale
muovono i loro commerci verso l’Europa facendo scalo nei loro punti di appoggio africani in
Mozambico e in Angola. L’attenzione del Portogallo si concentra ora in prevalenza sul
Brasile, dove si viene organizzando il fruttuoso sistema delle piantagioni di tabacco, canna da
zucchero e caffé, gestite attraverso l’impiego massiccio di schiavi neri. In Asia, dalla metà del
Seicento gli olandesi hanno dunque sostituito i portoghesi come principali dominatori dei
traffici commerciali. Il coordinamento e la gestione dei traffici sono affidati alla Compagnia
olandese delle Indie Orientali che, attraverso una migliore organizzazione dei sistemi di
trasporto, una maggiore capacità nello scegliere le zone nelle quali impiantare le basi
commerciali, una migliore abilità nello stabilire rapporti pacifici con le autorità locali, portano
gli olandesi ad assicurarsi il controllo diretto dell’area di produzione delle spezie (Malacca,
Sumatra, Giava).
Naturalmente l’area indonesiana fa gola anche ad altri gruppi commerciali, in particolare agli
inglese ed ai francesi, che tuttavia nel corso del Seicento sono ripetutamente respinti dagli
olandesi. E’ dunque come ripiego che i mercanti francesi ed inglesi scelgono l’India come
area nella quale insediare proprie postazioni commerciali. Nel corso del Settecento, tuttavia,
la Compagnia Inglese, l’East India Company, riesce ad assicurarsi il controllo politico e
amministrativo di una parte significativa dell’India sud-orientale, estromettendone del tutto i
francesi. L’operazione è resa possibile dalla disgregazione dell’Impero Moghul, una dinastia
di origine turco-mongola e di credo islamico insediatasi in India dall’inizio del Cinquecento.
La ragione della crisi dell’impero Moghul è di natura religiosa. La popolazione indiana è in
parte di religione indù, in parte di religione musulmana, in parte di religioni minori, ad
esempio quella sikh, di derivazione induista, radicata tra le popolazioni del Punjab. Dalla fine
del Seicento la linea politico-religiosa scelta dagli imperatori Moghul tende a favorire in ogni
modo i fedeli musulmani ed a porre forti restrizioni alle altre componenti indiane. Scoppiano
violente rivolte che portano nel corso del Settecento allo sfaldamento del potere centrale e alla
formazione di molti principati indipendenti.
E’ in questo contesto che cercano di inserirsi la compagnia commerciali francese che ha la
propria roccaforte a Pondichery e quella inglese, presente a Madras, Calcutta e Bombay. Le
rivalità tra Francia e Gran Bretagna sul continente europeo nel corso del Settecento
coinvolgono anche le zone coloniali americane ed asiatiche ed hanno come conseguenza, in
particolare dopo la guerra dei Sette anni, quella di cacciare i francesi non soltanto dall’area
dell’America del nord, ma anche dall’area indiana. Gli inglesi si impongono come forza
dominante nella costa centro-orientale e in parte del Bengala, conquista molto importante
perché questa è l’area di principale produzione dei calicò, i tessuti di cotone decorati a stampa
con disegni e colori vivaci, molto richiesti anche in Europa. Negli anni seguenti gli inglesi
continuano ad ampliare i loro possedimenti sino a controllare, ai primi dell’Ottocento, l’intera
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costa sud-orientale e tutta l’area del Bengala e poi dopo il 1840, con la sconfitta del forte
stato sikh nel Punjab, prendono il totale controllo dell’India.
La forma di dominio coloniale che si impone ha caratteri non dissimili da quella praticata
nelle colonie olandesi, essendo affidata ad una società privata per azioni ( qual è la East India
Company, nata alla fine del Cinquecento come società di mercanti londinesi, ed autorizzata
dalla regina Elisabetta I nell’anno 1600, ma che assume la sua definitiva denominazione
soltanto nel 1711) alla quale tuttavia il Parlamento britannico con leggi specifiche riconosce
poteri amministrativi sui territori indiani, specifici monopoli commerciali, come per esempio
il monopolio del commercio del tè, ed il diritto di formare e dirigere il personale burocratico e
le forze armate alle sue dipendenze. La compagnia impostò un meccanismo di egemonia
coloniale a carattere prettamente economico-finanziario, che consisteva nell’imporsi ai
sovrani dei numerosi principati locali indiani e di farsi pagare dai loro sudditi una parte dei
tributi. Con le risorse ricavate da questa operazione vengono finanziati il mantenimento della
compagnia, le sue basi commerciali in Asia e le sue conquiste territoriali.
Sempre con queste risorse, i responsabili della East India Company acquistano e
commerciano le merci prodotte in India, sfruttando al tempo stesso il cospicuo surplus
commerciale dell'India verso il resto del mondo per controbilanciare il cronico e crescente
disavanzo delle importazioni britanniche dall'Asia orientale. Grazie al saldo attivo dell'India
nel florido commercio interasiatico, attuato esportando in Cina, nel sud-est asiatico e altrove
oppio e tessuti di cotone stampato, la compagnia poteva acquistare tè, porcellane e seta da
rivendere in Europa. Occorre considerare che, sino al pieno dispiegarsi della rivoluzione
industriale in Gran Bretagna (all'incirca tra il 1820 e il 1830) nessuna merce europea era in
grado di essere competitiva in Asia. Soltanto dopo tale data, i filati e le cotonate di
Manchester dilagarono in India (ove non esisteva alcuna barriera doganale alle merci inglesi,
mentre la Gran Bretagna si proteggeva dalle cotonate indiane con altissime barriere daziarie),
distruggendovi in pochissimo tempo l'artigianato cotoniero. Ciò costrinse l'India a
impoverirsi, indirizzandosi verso l’esportazione di prodotti primari a basso valore aggiunto
(juta, tè, cotone greggio), ma soprattutto a estendere l'export di oppio da introdurre
clandestinamente in Cina. Il monopolio governativo dell'oppio rappresentò, per tutto
l’Ottocento una delle colonne dell'economia indiana e la seconda fonte fiscale per
l'amministrazione dell'impero coloniale inglese in India, dopo l'imposta fondiaria.
L’ampliamento del territorio sottoposto al governo della compagnia e le crescenti accuse di
corruzione e malversazione nei suoi confronti indussero il governo inglese ad esautorare
progressivamente la compagnia fino a quando nel 1858, dopo una grande rivolta dei militari
indiani, l’India passò alle dirette dipendenze del governo britannico. Per tutto l’Ottocento
l’India rimase il perno economico essenziale dell’impero coloniale britannico, luogo di
produzione di materie prime essenziali all’industria britannica e sbocco commerciale dei
prodotti manufatti inglesi, oltre che la fornitrice della massa delle sue truppe da inviare nelle
altre aree coloniali inglesi.. In generale la stragrande maggioranza delle classi superiori
indiane fu favorevole alla presenza britannica e trasse grandi vantaggi materiali dalla
partecipazione alla gestione del paese. L'introduzione di forme di proprietà della terra
modellate sul diritto occidentale consentì alle classi ricche indiane di accumulare enormi
patrimoni terrieri, distruggendo la precedente e molto diffusa piccola proprietà contadina.
Questa espropriazione non creò tuttavia una classe di attivi imprenditori terrieri e di forti
proprietari interessati allo sviluppo del paese, ma piuttosto una catena di passivi rentiers, dal
latifondista all'usuraio di villaggio, che gravarono sulle spalle dei contadini rendendone le
condizioni sociali sempre più disperate.
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La spaventosa serie di carestie che sconvolse l'India alla fine dell’Ottocento, da un lato
cominciò a risvegliare al suo interno uno spirito nazionalistico e dall’altro rese avvertiti i
politici più illuminati in Gran Bretagna che l'India si avvicinava a essere ormai un "limone
spremuto". Lo dimostrava peraltro il costante declino della partecipazione dell'India al
commercio mondiale, dal 10 per cento intorno al 1800 al 2 per cento un secolo dopo. La
Prima guerra mondiale rappresentò un periodo cruciale anche per l'India, non solo per
l'enorme costo economico e umano del conflitto, ma anche per la mancata concessione
dell'autonomia politica tante volte promessa dalla Gran Bretagna e non attuata per l'irrealistico
timore, da parte della classe dirigente inglese, che la rivoluzione d'ottobre potesse estendersi
al subcontinente. L'allarme per ogni accenno di protesta popolare e per i primi frammentari
scioperi degli embrionali sindacati era, del resto, pienamente condiviso dalle stesse élite
indiane, che in gran parte approvarono il brutale massacro di Amritsar nel 1919 da parte delle
truppe coloniali. Anche il Congress, il maggior movimento politico indiano, fondato nel 1885,
parlò a lungo con grande titubanza e ambiguità di "autonomia" e accettò solo dopo la Prima
guerra mondiale, e attraverso un aspro dibattito interno, di puntare all'indipendenza.
Nelle incertezze del Partito del congresso di fronte alla nuova situazione il capolavoro politico
di Gandhi fu quello di dare l'avvio a un vasto movimento popolare di proteste e di richieste di
autonomia e di porlo, attraverso la sua persona, sotto l'egida moderata del partito stesso,
garantendone la non violenza e senza uscire dal solco della tradizione religiosa ortodossa
(compreso il sistema delle caste). Negli anni trenta, nonostante gli effetti depressivi
sull'agricoltura della grande crisi mondiale e la presenza di una qualche attività
semiclandestina di partiti marxisti, il Partito del congresso dominò incontrastato il movimento
nazionalista da posizioni moderate e interclassiste, non scalfite, nella sostanza, dalle prese di
posizione "socialisteggianti" della sinistra del partito guidata da Nehru. Tale equilibrio si
spezzò con la Seconda guerra mondiale, quando l'onere del mantenimento delle truppe alleate
aggravò le già pesantissime condizioni delle campagne. Il culmine della crisi si ebbe con la
tragica carestia bengalese del 1943, con oltre tre milioni di vittime, su cui si innestò, poco
dopo, la spirale della violenza interreligiosa della spartizione tra Pakistan e India. Il carisma di
Gandhi, in declino da alcuni anni, non riuscì a contenere l'ondata di violenza, mentre ormai un
nuovo gruppo dirigente, guidato da Nehru, si affermava alla testa del Partito del congresso.
Il 15 agosto 1947 l’India conquistava l’indipendenza e l’Impero britannico delle Indie veniva
diviso in due stati indipendenti : l’Unione indiana e il Pakistan. Questa divisione, che è la
conseguenza delle forti tensioni tra le due comunità indiana e musulmana e della campagna
della Lega musulmana a favore di uno Stato musulmano indipendente, viene accettata dal
Congresso nazionale indiano, malgrado l’opposizione di Gandhi. Essa provoca un fortissimo
esodo di circa 12 milioni di persone, in particolare indu e sikhs che si ritrovano in territorio
pakistano e raggiungono il territorio dell’Unione indiana. Le violenze religiose che
accompagnano questo esodo provocano la morte di circa 1 milione di persone, in particolare
nel Punjab e nel Bengala, le due province più interessate dalla nuova partizione del territorio
indiano. I massacri cessano nel settembre del 1947, grazie agli sforzi del Mahatma Gandhi,
che aveva iniziato uno sciopero della fame a Calcutta.
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Schede di approfondimento :
Mohandas Karamchand GANDHI
(detto il Mahatma o grande anima, Porbandar 1868 - New Delhi 1948).
Proveniente da agiata famiglia, dopo aver studiato legge in Gran Bretagna (1888-1891), si
stabilì in Sudafrica, dove rimase per oltre vent'anni (1893-1915). Per reazione alle
discriminazioni di cui gli indiani erano fatti oggetto in quel paese si diede alla politica,
elaborando un metodo d'azione non violento, il, cosidetto satyagraha, che consisteva nella
non osservanza in massa, o nella consapevole trasgressione, purché non violenta, di norme
ritenute ingiuste o immorali. In seguito venne usata spesso in India da Gandhi e dai suoi
seguaci nella lotta per la non cooperazione e per l'indipendenza, a volte in associazione con lo
hartal, astensione completa da ogni attività, non solo lavorativa, come protesta di massa non
violenta. È all'origine del moderno concetto di disobbedienza civile. Nel satyagraha Gandhi
recuperava dalla tradizione etica dell'induismo e delle altre grandi religioni indiane (ma
anche, esplicitamente, dal cristianesimo), l’ antico concetto etico, dell’ ahimsa.
Tornato in India, assunse uno stile di vita sempre più ascetico e prese parte alla lotta politica
divenendo in pochi anni l'indiscusso leader del Partito del congresso. Sotto la sua guida il
Congresso lanciò una serie di campagne non violente di massa contro il regime coloniale
britannico, di cui le più importanti furono quelle del 1921-1922, del 1930-1933 ( del 1930 è la
famosa “Marcia del sale”) e del 1942, che svolsero un ruolo decisivo nella vittoriosa lotta
dell'India contro la dominazione britannica. Le grandi campagne non violente diffusero tra le
masse l'ideologia nazionalista e incrinarono la collaborazione degli indiani con il dominio
britannico. Questo processo permeò gradualmente tutta la società, comprese le stesse
istituzioni del sistema coloniale: polizia, esercito, burocrazia (tutti apparati largamente formati
da indiani). La decisione britannica di abbandonare l'India nel 1947 ne fu l'inevitabile
conseguenza, ma non risolse i contrasti etnici e religiosi che, alimentati anche dal
colonialismo, minavano la nuova nazione. Il trionfo più grande di Gandhi venne funestato da
gravissimi massacri fra hindu e musulmani, causa ed effetto della concomitante divisione
dell'India in Unione indiana e Pakistan. Lo stesso Gandhi venne assassinato il 30 gennaio
1948 da un fanatico hindu che riteneva che il Mahatma avesse tradito l'India dando il proprio
assenso alla nascita del Pakistan.
L’oppio
L'uso dell'oppio ridotto in forma fumabile si diffuse dal XVII secolo in alcune aree dell'Asia
orientale, sollecitato dall'intensificazione delle attività commerciali e dai ritmi di lavoro
accresciuti a causa dello sfruttamento coloniale della zona, analogamente a quanto avveniva
in Europa con la crescita del consumo sociale dell'alcol, del tabacco e degli eccitanti nervini
del tè e del caffè. I commercianti europei in Asia, in primo luogo gli olandesi, si resero subito
conto che l'assuefazione agli oppiacei consentiva la realizzazione di alti prezzi al consumo e
mentre tutte le nazioni europee, consce della pericolosità del prodotto, ne vietavano in
maniera assoluta la vendita interna se non per usi strettamente medici, le varie compagnie
europee delle Indie ne fecero un pregiato oggetto di commercio in Asia. In particolare
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l'inglese East India Company puntò decisamente sulle grandi capacità di assorbimento del
mercato interno cinese e, benché l'oppio fosse rigorosamente vietato in Cina, e la compagnia
non potesse partecipare apertamente a quel commercio illegale per non rischiare di
danneggiare le proprie funzioni commerciali a Canton, essa si accordò con mercanti privati
(spesso prestanome di membri della compagnia) che acquistavano l'oppio alle aste a Calcutta
e lo introducevano di contrabbando in Cina con la complicità delle corrotte autorità locali
cinesi.
Le fumerie d'oppio in Cina, frequentate dal sottoproletariato urbano e dagli artigiani, ma
anche da molti intellettuali e funzionari, divennero ben presto un flagello sociale e un fardello
economico insostenibile, ma la tardiva reazione delle autorità imperiali Qing, con la nomina
di un commissario speciale inviato a Canton, Lin Zexu, che sequestrò e mandò al rogo 20.000
casse di pani di oppio, scatenarono l'aggressione britannica e quindi le due guerre dell' oppio
(1839-1842 e 1856-1860). Allo stesso modo, l'opposizione rigorosa al commercio e all'uso
della droga da parte del movimento rivoluzionario, millenarista e di ispirazione cristiana dei
Taiping (1849-1865) trasformò l'iniziale simpatia dei commercianti e missionari verso il
movimento in dura ostilità, sino a collaborare alla repressione dei ribelli con un'armata
mercenaria guidata dal colonnello C.G. Gordon. L'inarrestabile crescita del consumo cinese di
oppio determinò l'espansione della sua coltivazione in India, sia nelle aree di monopolio sia in
zone fuori dal diretto controllo britannico. Abolita la East India Company nel 1858, il
monopolio della coltivazione e del commercio dell'oppio fu assunto direttamente dal governo
britannico, divenendo uno dei maggiori introiti fiscali (10-15% ca. delle entrate complessive):
al culmine dell'espansione, negli anni ottanta dell’Ottocento, si stima vi fossero in coltura in
India quasi 500.000 ettari.
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the British Empire in 1886
UNIVERSITÀ DI PISA, CORSO DI LAUREA DI SCIENZE PER LA PACE
Materiali di studio per l’insegnamento di
“Europa e mondo dall’età moderna all’età contemporanea”
(prof. Marco Della Pina)
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