Padova, 24 febbraio 2017 Altro che Euro di Serie A ed Euro di serie B! Un ripensamento più integrante e cooperativo dello spazio europeo è ormai da costruire, al fine di considerare con una visione positiva l’economia globale, una grande potenzialità di sviluppo e di riequilibrio dei rapporti di forza a livello mondiale. Protezionismo, Deglobalizzazione o… Mercantilismo? PROLOGO Trump si è messo al lavoro. Il primo provvedimento economico-commerciale firmato dal neo presidente USA è stato l’ordine esecutivo per ritirare gli Stati Uniti dal TPP (Trans-Pacific Partnership) che riuniva in un grande trattato commerciale 12 paesi affacciati sul Pacifico. La politica estera commerciale sarà quindi spostata verso accordi bilaterali che, nel caso del TPP, sanciranno accordi più stretti con Australia, Canada, Giappone e Nuova Zelanda. Secondo l’autorevole Financial Times, Trump costruirà una piattaforma esclusiva con il Canada volta a facilitare e pianificare ogni scambio commerciale ed imprenditoriale con l’obiettivo di influenzare la visione del Canada sugli accordi già siglati relativi al NAFTA e TTIP. In tale scenario la mia visione può essere parziale, tuttavia ne vedremo a breve gli sviluppi nel corso del 2017. Penso che attraverso accordi molto forti con il Canada, il presidente Trump abbia due obbiettivi: 1) rinegoziare l’accordo commerciale NAFTA (North American Free Trade Agreement) rafforzandone le ragioni strategiche e politiche con il Canada, come detto, ed inasprendo invece nel trattato bilaterale con il Messico tutti i regolamenti in ordine agli scambi commerciali di merci e di forza lavoro; 2) seppellire definitivamente l’accordo commerciale TTIP (Transatlantic Trade Investment Partnership), già moribondo, al fine di inaugurare nuovi accordi bilaterali con ciascuno dei paesi UE ed influenzare, fin dove ci riuscirà, il trattato CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) tra lo stesso Canada e l’Unione Europea e ristabilire tariffe doganali, o di frontiera, sulla gran parte degli scambi commerciali. Cogliere questi due difficili obiettivi significherebbe aumentare l’influenza negoziale americana in tutti gli accordi bilaterali verso i paesi UE e con il Messico; potrà in seguito rivolgere la sua attenzione alla Cina. L’avvento di Trump segna l’inizio di un’enorme movimentazione di accordi bilaterali tra paesi che influenzeranno immensi flussi commerciali di nazioni e continenti, condizionando verosimilmente il modello di vita di milioni di persone. Toccherà soprattutto l’equilibrio programmatico nel governo del mondo in sede di G7, ed ancor più in sede G20. Come definire tutto questo? “Protezionismo”, “Deglobalizzazione” o, appunto, “Mercantilismo”? Vediamo. PROTEZIONISMO Il Protezionismo è una politica economica che tende a proteggere le attività produttive nazionali mediante interventi economici statali limitando la concorrenza degli stati esteri (Wikipedia). Veniamo al Presidente Trump. Innanzitutto istituisce il President Strategic and Policy Forum formato da 16 membri provenienti dal mondo dell’industria, delle banche d’affari e delle società di consulenza aziendale: Stephen Schwarzman (Ceo e Founder di Blackstone), Mary Barra (Ceo di General Motors), Jamie Dimon (Ceo di JPMorgan Chase & Co), Gianni Rometty (Ceo di IBM) Jack Welch (Ceo di General Electric), Indra Nooyi (Ceo di Pepsi & Co), Elon Musk (Ceo di Spacex and Tesla), Rich Lesser (Ceo di Boston Consulting Group) più altri sette di pari notorietà industriale, imprenditoriale e manageriale. Non propriamente un gruppo di ubriaconi, viene da chiedersi spontaneamente: cosa potranno inventarsi per ammazzare l’innovazione e lo sviluppo industriale ed economico degli USA? Cosa hanno omesso di fare negli ultimi otto anni che abbia arrecato danni alle aziende sotto la loro responsabilità? Possiamo realmente pensare che sarebbero ancora tutti ai loro posti se, in questi anni, non avessero assicurato crescita dei profitti e dividendi crescenti ai loro azionisti? Nel futuro sarò un osservatore attento e non risparmierò critiche anche aspre all’amministrazione Trump, tuttavia ritengo che non lo si possa valutare e giudicare in modo avventato e sommario senza permettere che questi “cervelli” lavorino al fianco del presidente nella realizzazione di AMERICA FIRST. Non sono a favore di Trump, né contro Trump, ma le sue decisioni saranno da me monitorate acutamente e non è serio e costruttivo attribuire tutti i guai del cosiddetto Protezionismo ad un’amministrazione che ha appena occupato le stanze del potere. Potranno decidere con ordini esecutivi su trattati e scambi commerciali, ma poi saranno da biasimare o lodare solo con i successivi accordi bilaterali, se e quando tali accordi non saranno né innovativi, né portatori di sviluppo e posti di lavoro. AMERICA FIRST nasce con lo scopo di sancire la priorità dei bisogni degli americani. Voglio descrivere puntigliosamente gli obiettivi salienti di AMERICA FIRST, attingendo in larga parte su quanto scritto da Josh Ye sul South China Morning Post, non proprio un osservatore disattento e fieramente filocinese. AMERICA FIRST evidenzia le linee strategiche dell’amministrazione Trump in ordine a Politica Estera, Crescita e Occupazione, Difesa Nazionale e Forze Armate e dell’Ordine, Piano Energetico Nazionale. In tema di Politica Estera i punti programmatici salienti sono tre: 1) impegno verso una politica estera che si concentra su interessi americani con la sicurezza nazionale come priorità; 2) riaffermare un dominio militare indiscusso nel mondo attraverso investimenti soprattutto verso la Marina e l’innovazione delle armi di difesa; 3) lotta al terrorismo islamico radicale attraverso l’espansione e la condivisione dei servizi di Intelligence con i paesi alleati, guerra cibernetica per individuare gruppi in odore di terrorismo o impegnati nella propaganda in territorio americano. In tema di Crescita e Occupazione gli obiettivi dichiarati sono sempre tre: 1) creazione di 25 milioni di posti di lavoro americani in 10 anni ed assicurare una crescita economica annua del 4%; 2) riforme e stimoli fiscali a favore della crescita, abbassare e semplificare le aliquote fiscali del ceto medio, abbassare le tasse sulle società USA; 3) rinegoziare accordi commerciali esistenti ed assicurare chiari vantaggi ai cittadini americani con posizioni ferme sugli accordi bilaterali futuri con l’intento di riportare aziende e posti di lavoro negli USA e sostenere la produzione americana. In tema di Difesa Nazionale e Forze Armate e dell’Ordine i punti di programma sono sette: 1) nuovo budget della Difesa per ricostruire l’Esercito e la Marina; 2) sviluppare un sistema di difesa innovativo ed efficace per la protezione contro attacchi missilistici provenienti da “stati ostili” come Iran e Corea del Nord; 3) sviluppare prioritariamente capacità cyber-difensive ed offensive e controllare le comunicazioni informatiche e sul web ad ogni livello di network; 4) ripensare ed efficientare il Department of Veterans Affairs che fornisce assistenza sanitaria e sociale ai veterani di guerra degli USA; 5) costruire un muro di confine per fermare l’immigrazione clandestina, la violenza delle bande ed il traffico di droga dal Messico; 6) lotta ai clandestini, prioritariamente con espulsione di tutti coloro i quali si sono già macchiati di crimini violenti e di fatti o crimini di terrorismo; 7) sostenere i diritti del II° Emendamento e disporre la necessità del popolo e di tutti i livelli del sistema giudiziario a detenere armi, creare nuovi posti di lavoro, aumentare in numero ed efficacia le Forze dell’Ordine sul territorio federale e di ogni stato. Il Piano Energetico Nazionale prevede sette punti programmatici ed attuativi: 1) deregolamentazione del settore energetico e delle politiche di smaltimento e scarto, al cui interno si implementerà il piano d’azione sul clima, con l’obiettivo di aumentare i salari, degli addetti attuali e dei nuovi addetti, di oltre $ 30 mld. in 7 anni; 2) sviluppare ed efficientare la produzione di olio di scisto e del gas che è stimato complessivamente in $ 50.000 mld.; 3) rivitalizzare l’industria del carbone e reintegrare i posti di lavoro precedentemente persi; 4) lavorare con i paesi alleati per sviluppare accordi sullo scambio di energia anche con una strategia antiterrorismo; 5) ritirarsi dalla TPP e negoziare accordi con paesi satelliti ed amici e prioritariamente con la Cina; 6) rinegoziare l’accordo NAFTA con la possibilità di incrementare i vantaggi americani con la massima priorità; 7) individuare tutte le violazioni commerciali e reprimere i paesi che hanno violato i trattati e gli accordi commerciali. Bene! Pur con il mio "inglese zoppicante” credo di essere riuscito a tradurre piuttosto fedelmente il documento di AMERICA FIRST. Questo di Virgilius Wealth è uno spazio di analisi e di strategia per amministrare ricchezze e patrimoni, valorizzarli e proteggerli, quindi le dissertazioni giornalistiche disseminate di opinioni e che parlano di nazionalismo, protezionismo e restrizioni sugli immigrati interessano nulla, specialmente quando le opinioni stesse mirano a configurare un contesto deviante senza prendere le mosse culturali e di commento dal quadro programmatico dell’amministrazione Trump. DEGLOBALIZZAZIONE Da “Treccani” per Deglobalizzazione si intende il superamento della globalizzazione attraverso l’incentivazione dei mercati nazionali. Nel suo outlook di luglio 2016 Bill Gross, gestore di Janus Global Uncostrained Bond, affermava che "il mondo sta marciando verso la deglobalizzazione”. Secondo Gross il trend è confermato dalla Brexit e dal rallentamento della crescita economica a livello globale unito all’ingente debito mondiale. A mio avviso il fenomeno della deglobalizzazione può interessare in modo multiforme l’Unione Europea. Il contesto europeo è infatti scosso da un rapporto complesso, per certi versi ambiguo, con la Germania ed avanzare verso un processo di deglobalizzazione, significa di fatto influenzare significativamente la storia dei paesi dell’Euro. La deglobalizzazione, in modo multiforme può generare effetti sulla riorganizzazione dei rapporti di forza a livello europeo, dopo la Brexit, con il profilarsi all’orizzonte delle elezioni francesi, olandesi e tedesche. Potrebbe (?) formarsi un multipolarismo europeo essenzialmente di tipo negoziale, al fine di differenziare lo sviluppo e la base monetaria in Europa (Target 2) tra Europa di serie B ed Europa di serie A. La sostanza filosofica dell’approccio politico europeo verso i venti della globalizzazione sta tutta nel rapporto critico e negativo tra l’Europa continentale e l’Europa del Nord e l’economia globale. In realtà l’Europa Unita dal punto di vista industriale, bancario, monetario, fiscale e giurisdizionale stimolerebbe maggiori sensibilità nelle coscienze dei cittadini europei, ormai stanchi dello strapotere tedesco, della incipiente diseguaglianza di reddito e di qualità della vita e di lavoro, diretta conseguenza delle politiche restrittive (Austerity) di Bruxelles. Altro che Euro di serie A ed Euro di serie B! Un ripensamento più integrante e cooperativo dello spazio europeo è ormai da costruire sulla piena disponibilità tedesca: questo allontanerebbe gli attuali venti di deglobalizzazione e sancirebbe la visione positiva di considerare l’economia globale, non già una minaccia, una potenzialità grande di sviluppo alla luce della riorganizzazione naturale dei rapporti di forza a livello mondiale. I venti di deglobalizzazione non riguardano, a mio avviso, la strategia politica di Trump. Gli obiettivi di Trump sono essenzialmente tre: 1) scardinare i protezionismi nascosti, come la Cina, senza espressione delle reciprocità dei mercati; 2) scardinare il dumping fiscale ad opera dei paesi emergenti che attirano le multinazionali con la leva fiscale ed il ridotto costo del lavoro; 3) rivedere i deficit commerciali con la Cina e l’Europa, in primis con la Germania. Per raggiungere questi megaobiettivi, certamente gli USA continueranno ad attirare “cervelli” per le aziende a forte innovazione della Silicon Valley al fine di esportare più tecnologia, innovazioni imprenditoriali, biotecnologie e metodi di produzione di energie fossili, alternative e rinnovabili. In questa dimensione di analisi merita citare le posizioni di due economisti, premi Nobel, che denunciano gli effetti della globalizzazione.Angus Deaton e Joseph Stiglitz hanno posto la questione in tema di "redistribuzione della ricchezza in seno alla globalizzazione”. Secondo Deaton e Stiglitz la globalizzazione ha spostato ricchezze e potenzialità di sviluppo dai paesi occidentali verso i paesi ad economie emergenti, senza tuttavia migliorare i diritti umani ed i diritti dei lavoratori in questi paesi, contribuendo ad elevare fortemente i profitti delle multinazionali, peggiorando sensibilmente la qualità di vita e di lavoro del ceto medio e dei ceti operai dei paesi occidentali. Tutto ciò considerato, dopo l’analisi accurata del contesto globale in tema di scambi commerciali, di crescita economica e di posti di lavoro, con evidente attenzione e riferimento ai tre megaobiettivi di Trump, ritengo che il suo modello di politica economica interna ed internazionale sia molto vicina al “Mercantilismo” MERCANTILISMO Il mercantilismo è una politica economica basata sul concetto che la potenza di una nazione sia accresciuta dalla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni, condizione necessaria per generare surplus commerciale (Wikipedia). Il Credit Suisse, in tema di "chiusura al mondo", in un grafico di dicembre 2016 dimostra che gli USA sono il primo paese più protezionista al mondo, seguiti da Russia, India, UK, Germania e Cina. Quindi i critici ad oltranza possono stare tranquilli: il protezionismo economico ha radici antiche, non è stato bandito nè dai governi a guida democratica, né da quelli a guida repubblicana. Sul versante del lavoro, la fonte Economic Outlook di novembre 2016, ci informa che la percentuale di lavoratori occupati in aziende orientate all'export nell’economia globale, vede al primo posto la Germania con il 30% del suo mercato del lavoro a vocazione export, ed all'ultimo posto invece proprio gli USA post Obama che hanno solo il 9% della forza lavoro in aziende a vocazione export. Un rallentamento del commercio internazionale danneggerebbe quindi più il mercato del lavoro tedesco rispetto a quello USA. Propendo verso il modello del Mercantilismo per definire la politica economica di Trump, perché penso che la battaglia che si sta profilando su scala globale sarà orientata ad assicurarsi i maggiori surplus commerciali proteggendo il mercato del lavoro domestico. Bene inteso, la mia è una constatazione di analisi, non faccio il tifo per il Mercantilismo. Questa partita del surplus commerciale, la Germania ha iniziato a giocarla sin dal 2001 beneficiando del disequilibrio venuto generandosi dal passaggio dalle monete nazionali all’euro. La Germania ha infatti un fortissimo surplus commerciale favorito dall'assenza della consueta rivalutazione del marco tedesco. La grande forza della Germania post-euro era già stata prevista sin dagli anni 90, quando si parlava dell'introduzione dell'euro da Stiglitz e Krugman. Poniamo quindi la nostra attenzione sulla bilancia commerciale. La bilancia commerciale misura la differenza fra il valore complessivo delle esportazioni e delle importazioni di merci e servizi realizzati da un'economia nei confronti del resto del mondo. Se le esportazioni sono maggiori delle importazioni il saldo della bilancia commerciale registra un surplus, al contrario registra un deficit (Treccani). Per definire ed approfondire il terreno di scontro sugli scambi commerciali globali, riserviamo l’attenzione proprio all’andamento della bilancia commerciale in Europa, in USA ed in Cina. Il surplus commerciale della Germania a dicembre 2017 ha generato un conseguente surplus delle partite correnti di oltre € 300 mld., vale intorno al 9% del reddito nazionale ed è quasi pari all'80% di tutta la Zona Euro. Le regole europee, in relazione agli squilibri macroeconomici, prevedono che un paese UE non possa avere un saldo delle partite correnti nella media a tre anni superiore al 6% del PIL. Ebbene ormai la Germania è al 9% del PIL ed è superiore al 6% del PIL sin dal 2005. In sintesi, la Germania dovrebbe investire maggiormente al suo interno contribuendo a diminuire il saldo enormemente positivo del Target 2 in Eurozona! La Germania invece ha deciso di divenire il prestatore privilegiato dei paesi europei, finanziando le banche naturalmente, che potranno poi finanziare i clienti italiani, greci e spagnoli al fine di continuare a stimolare i consumi nell’area euro e sostenere, così, proprio le stesse esportazioni tedesche. Possiamo definire la Germania come lo stato colonizzatore finanziario in Europa, il quale presta denaro alle banche estere e non lo investe all'interno per evitare di aumentare i salari e migliorare le proprie infrastrutture finendo per aumentare l’inflazione. La Germania però alimenta sui mercati i sospetti che gli stati debitori come Spagna, Grecia ed Italia possano effettivamente onorare i prestiti ed influenza le decisioni europee in tema di Fiscal Compact al fine di evitare nuovi debiti eccessivi. In altri tempi questo squilibrio era sanato dalla svalutazione: la lira italiana perdeva valore rispetto al marco tedesco e gli italiani non potevano permettersi di indebitarsi per acquistare prodotti esteri più costosi, mentre i cittadini tedeschi vedevano migliorare il loro potere d'acquisto per acquistare prodotti italiani o per spendere maggiormente durante le loro vacanze in Italia. La Germania vanta un credito di circa € 650 mld. di euro nei confronti dei paesi europei e, per inciso, il debito Italiano è di circa € 360 mld.. Per chiarire il mio punto di vista, il mercantilismo è l'idea fondante della Germania sin dal dopoguerra, con il beneficio decisivo a partire dal 2001 all'interno dell’Eurozona che condivide la stessa moneta, con l’obiettivo programmatico pluriennale di alterare l’equilibrio tra le nazioni europee con l’euro diventato l’unico epicentro della moltiplicazione ed estensione degli equilibri. In ottobre dello scorso anno il FMI, nel suo rapporto periodico, ha stimato che la Germania dovrebbe operare con una moneta più forte di almeno il 15%, mentre Italia e Francia dovrebbero operare con una moneta più debole rispettivamente del 15% e del 10%. Secondo gli ultimi dati sulla bilancia commerciale il surplus italiano a novembre 2016 si attestava a € 42 mld.; la bilancia commerciale francese segnava a novembre 2016 un deficit di circa € 50 mld.; in Spagna l’Istituto Nacional De Estadistica comunica che a novembre 2016 il deficit complessivo è stato di € 16,3 mld.; il surplus commerciale cinese nel 2016 si attestava a circa $ 510 mld., seppure in flessione costante (6/8%) dal 2013. E veniamo al deficit commerciale statunitense: con Obama il budget del deficit commerciale per il 2016 era stimato a $ 600 mld. (in aumento di $ 162 mld. rispetto al 2015), il livello più alto degli ultimi quattro anni. È interessante notare che l’ultima volta che la bilancia commerciale USA è stata positiva è stato a metà anni 70 con Gerald Ford presidente repubblicano poi sconfitto da Jimmy Carter il 2 novembre 1976. L’attuale rapporto debito/PIL in USA si attesta al 104%. Con la crescita pressoché costante del deficit commerciale, circa $ 80/100 mld. all'anno, la stima porta il rapporto deficit/PIL a toccare il 140% nel 2040, ossia nei 24 anni seguenti. La Cina, dal canto suo, da decenni finanzia il debito americano che tocca ora i $ 23.000 mld., in cambio della ormai indiscriminata apertura dei mercati USA ai propri prodotti. Di fatto la Cina investe in bond USA la gran parte dei proventi derivanti dalle esportazioni delle proprie merci. Questo enorme squilibrio a carico dell'economia USA deriva dal privilegio esclusivo di detenere il controllo della valuta di riferimento internazionale: il dollaro USA! Ricordo che nel dicembre del 1971 il presidente Richard Nixon mise fine agli accordi di Bretton Woods svalutando il dollaro e dando inizio alle fluttuazioni dei cambi; nel febbraio del 1973 ogni legame tra dollaro USA e moneta estera venne definitivamente spezzato e lo standard aureo, che aveva fatto erogare agli USA 12.000 tonnellate d'oro per finanziare la guerra in Vietnam, fu quindi sostituito dal più naturale sistema dei cambi flessibili. Gli USA non hanno più smesso di finanziare il loro deficit annuale con nuovi dollari sui mercati. Giova ricordare quanto dichiarò John Connolly, politico statunitense già governatore del Texas dal ‘60 al ‘69, nel 1971 con il superamento di Bretton Woods,: "Il dollaro è la nostra moneta, ma il vostro problema". Infatti non vi sono ragioni di preoccuparsi dei propri deficit con l'estero quando è possibile fabbricare (stampare) dollari per onorare i debiti stessi! Si tratta di una falsa crescita?! La macchina economica statunitense gira generando un debito (deficit) sempre crescente che macroeconomicamente viene onorato con emissione di bond e con la richiesta crescente di dollari USA. Dopo questa corposa analisi economica globale, che ritengo abbia chiarito ed approfondito le posizioni dei paesi nel contesto geopolitico economico, veniamo ai mercati. La politica di Trump, con l’aiuto della Federal Reserve, dovrebbe vedere conseguire il 2,5% di PIL USA. Gli investimenti in infrastrutture, la ripresa economica interna e gli sgravi fiscali per le imprese, attraverso una politica monetaria accomodante, porteranno ad un rialzo dei tassi USA dello 0,75% il quale porterà ad un deprezzamento del dollaro che peserà sul PIL, in maniera positiva, per lo 0,50%. La Zona Euro crescerà del 1,4% nel 2017 e l’inflazione si attesterà all'1,5%, con molta difficoltà sui consumi pur influenzata dal QE di Draghi che potrà pensare di estenderlo al primo semestre 2018, magari riducendo la portata mensile a € 40/45 mld.. Nonostante la Brexit e l'atteggiamento atarassico dell'amministrazione May, l’UK crescerà come la zona euro ossia l’1,4%. Prevedo tassi in crescita nell'Area Euro e spread BTP/BUND vicino ai 230 p.b. entro il I° semestre 2017, i nostri politici sono già a lavoro! Sui mercati azionari aumenterà la volatilità dovuta alle tensioni tra i paesi UE ed alle imminenti tornate elettorali in Olanda (15 marzo), Francia (primo trimestre e 23 aprile) e Germania (in autunno). L’azionario europeo registrerà buone performance legate agli aumenti degli utili aziendali stimati al +6/7%. I dividendi degli indici azionari europei, anche per il FTSEMIB, saranno in aumento rispetto al 2016. Il programma di Trump soffierà venti direzionali positivi sui titoli legati alle utilities ed alle commodities legate agli investimenti in infrastrutture. Sottolineo e confermo quanto già scritto nella lettera di strategia del 23 gennaio u.s.: i titoli finanziari sono quotati a sconto e saliranno pur con forte volatilità. Il petrolio può essere interessato da eccesso di domanda, posto che gli accordi recenti tra i principali produttori vengano rispettati con una quotazione WTI a $ 60 entro il Q3/2017. Per concludere, la finanza tradizionale beneficerà della deglobalizzazione indotta dalle tensioni e dagli squilibri globali i quali faranno sfociare le politiche economiche, non solo di Trump come dimostrato nell'analisi, in un "mercantilismo moderno". La mia speranza è che tenga l’Unione Europea senza duplice e triplice forza monetaria indotta che, unita al Fiscal Compact ed unione bancaria, porterebbe benefici solo alla Germania. Penso che Trump aiuterà direttamente un processo di riequilibrio in UE attraverso accordi commerciali bilaterali ad hoc. Putin lo farà in maniera indiretta, man mano che l'Europa rinuncerà, nel secondo semestre 2017, alle attuali sanzioni economiche in relazione alla “piena attuazione degli accordi di Minsk”. Cav. Vito F. D'Onghia