PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO 1 CAPITOLO LE TEORIE DELLO SVILUPPO Lo sviluppo può essere definito come il processo in base al quale l’individuo passa dalla condizione di bambino a quella di adulto. Le caratteristiche fisiche, funzionali e psicologiche dell’individuo cambiano secondo tempi definiti, individuando periodi caratteristici dello sviluppo: LA PRIMA INFANZIA → dalla nascita ai 2 anni LA SECONDA INFANZIA → 3-7 anni LA TERZA INFANZIA → (Fanciullezza) dai 6-7 anni ai 12-13 anni L’ADOLESCENZA → va dai 13-14 anni e arriva alla condizione di adulto. La psicologia dello sviluppo si occupa della crescita psicologica dell’individuo, poi c’è un’altra prospettiva che descrive lo sviluppo secondo le tappe evolutive. La capacità dell’individuo di integrarsi all’ambiente si realizza attraverso lo sviluppo di alcune competenze che si raggruppano in diverse aree: AREA MOTORIA AREA DELLA PERCEZIONE → permette di raccogliere informazioni AREA LINGUISTICA AREA COGNITIVA AREA AFFETTIVO-RELAZIONALE Sul piano somatico lo sviluppo è sancito da cambiamenti fisici. Sul piano psicologico invece la maturità è desunta da una serie di comportamenti. Tutti i diversi schemi di comportamento formano la PERSONALITA’. Per spiegare l’organizzazione della personalità utilizziamo 3 tipi diversi di approccio: 1) APPROCCIO PSICOANALITICO 2) APPROCCIO COMPORTAMENTISTA 3) APPROCCIO BIOLOGICO APPROCCIO PSICOANALITICO La teoria psicoanalitica, elaborata da Freud, tende a spiegare il funzionamento psichico dell’uomo. Alla base di tale ipotesi è il principio del determinismo psichico in base al quale niente avviene per caso. Ogni processo psichico può essere compreso secondo 3 punti di vista: 1) TOPICO → che considera l’apparato psichico come un’organizzazione di diversi sistemi. 2) DINAMICO → esistenza di un gioco di forze in interazione fra loro. 3) ECONOMICO → sottolineano che ogni fenomeno psichico è regolato da forze di energia. La teoria psicoanalitica ha fornito un contributo determinante per l’interpretazione del funzionamento della personalità. La concezione psicoanalitica della personalità si incentra sull’interazione organismo/ambiente. Questa interazione si svolge secondo processi dinamici che si caratterizzano nel corso dello sviluppo. Con l’opera “Interpretazione dei sogni” Freud mise a punto una concezione dell’apparato psichico distinguendone 3 livelli (prima concezione topica) 1) LIVELLO INCONSCIO → appartengono contenuti esclusi dal campo della coscienza 2) LIVELLO PRECONSCIO → comprende i contenuti che possono essere richiamati alla coscienza stessa 3) LIVELLO CONSCIO → include tutti i pensieri, affetti, ricordi che l’individuo ha chiara consapevolezza A partire dal 1920 Freud elaborò una seconda concezione dell’apparato psichico (seconda topica), definita ipotesi strutturale, con la quale descrive la personalità dell’individuo attraverso 3 istanze psichiche: ES IO SUPER-IO L’ES rappresenta il polo pulsionale della personalità. I contenuti dell’ES appartengono alla sfera dell’inconscio. Il modo di funzionare dell’ES è definito da Freud processo primario ed implica lo scarico immediato delle pulsioni. Questa modalità di funzionamento psichico è predominante nei primi stadi della vita, quando il bambino tende ad agire secondo il principio di piacere. Secondo Freud alla nascita l’apparato psichico è costituito solo dall’ES e poi da esso si verrebbero a costituire l’IO ed il SUPER-IO. L’IO rappresenta un’istanza della personalità molto complessa che svolge diverse funzioni. Il suo scopo è di garantire il successo nel processo di adattamento attraverso il coordinamento delle istanze psichiche. Le strutture dell’IO svolgono un’azione di verifica e di controllo sull’ambiente per assicurare il successo nel processo di adattamento e programmare il soddisfacimento delle esigenze interiori. L’IO si pone anche come polo difensivo della personalità per far si che ci sia un equilibrio psichico interiore (IO = principio di realtà). Nell’ipotesi strutturale l’IO svolge una azione inconscia attraverso i meccanismi di difesa, cioè modalità messe in atto per reagire al conflitto generato dalle spinte dell’ES e del SUPER-IO. La caratteristica fondamentale di questi meccanismi è di svilupparsi e di funzionare al di fuori della consapevolezza dell’individuo. Il conflitto che si produce rappresenta lo scontro tra le 2 istanze in cui l’ES tende all’appagamento immediato, mentre l’IO tende al loro contenimento. I principali meccanismi di difesa sono: 1) LA RIMOZIONE → meccanismo attraverso il quale vengono respinti i sentimenti sgradevoli 2) LA INTROIEZIONE → il mondo esterno viene incorporato dall’individuo, utilizzato nelle prime fasi dello sviluppo 3) LA PROIEZIONE → tendenza ad attribuire i propri sentimenti spiacevoli ad altre persone 4) LA NEGAZIONE → si riduce l’ansia rifiutando la realtà esterna spiacevole 5) LA FORMAZIONE REATTIVA → il contenuto temuto di un sentimento viene respinto a livello inconscio e sostituito con quello opposto 6) LA FISSAZIONE → arresto ad una prima fase dello sviluppo in quanto un passaggio a quella successiva implica una angoscia eccessiva 7) LA REGRESSIONE → si ritorna a fasi precedenti dello sviluppo, presente in bambini alla nascita di un fratellino 8) LO SPOSTAMENTO → trasferire le pulsioni mal accettate verso motivazioni accettabili 9) LA SUBLIMAZIONE → le energie legate all’appagamento di un impulso vengono distolte e mobilitate verso finalità socialmente approvate 10) LA RAZIONALIZZAZIONE → tendenza a proporre a tutti una spiegazione logica dei propri sentimenti 11) L’INTELLETTUALIZZAZIONE → spostare gli impulsi penosi dal campo delle emozioni ai concetti intellettualizzati, presente nei soggetti a tratti ossessivi. I meccanismi di difesa si formano durante lo sviluppo e sono presenti in tutti gli individui normali, ma se divengono troppo eccessivi assumono un carattere patologico. Il SUPER-IO comprende funzioni di divieto e il sistema dei valori. Quando compiamo una azione viene espresso un giudizio interiore che può essere di approvazione o di rimprovero e condanna, questa è la funzione svolta dal SUPERIO. Secondo Freud il SUPER-IO compare attorno ai 4-5 anni. Il SUPER-IO svolge una funzione sia conscia che inconscia, in quanto da una parte rappresenta contenuti relativi a norme e valori, ma si costituisce su dinamiche pulsionali che rimangono inconsce. La finalità dell’apparato psichico consiste nel realizzare il processo di adattamento, cambiare in base alle modifiche ambientali. LO SVILUPPO PSICOSESSUALE La sessualità non è solo un istinto che tende alla scarica attraverso un’eccitazione genitale, ma include una serie di attività che derivano da zone corporee diverse in assenza di finalità riproduttive. Secondo Freud la sessualità infantile ha 3 spetti importanti: Le aree che rappresentano fonti di stimolo eccitatori non sono solo quelle genitali Le manifestazioni sessuali si estrinsecano in attività e relazioni La sessualità infantile è autoerotica La pulsione sessuale e l’energia ad essa legata, definita LIBIDO, subiscono cambiamenti durante lo sviluppo assumendo manifestazioni diverse. Questa evoluzione si articola secondo le FASI LIBIDICHE. L’evoluzione della sessualità infantile è divisa in: 1) PERIODO PREGENITALE, che si divide in: a. FASE ORALE → dalla nascita ad 1 anno circa di età b. FASE ANALE → da 1 a 3 anni c. FASE FALLICA → da 3 a 5 anni circa 2) PERIODO DI LATENZA → da 6-7 anni fino alla pubertà 3) PERIODO GENITALE → inizia con la pubertà. PERIODO PREGENITALE FASE ORALE → nel primo anno di vita, la zona bucco-faringea costituisce la zona erogena predominante. Secondo Freud la suzione è la più precoce espressione della pulsione sessuale. Infatti il neonato non succhia solo il seno quando è affamato , ma anche quando è sazio perché gli provoca piacere. b. FASE ANALE → durante il 2-3 anno di vita. La zona uretro-anale e perianale rappresentano la zona erogena predominante. Le feci acquistano il valore di segni simbolici e rappresentano una parte del corpo che il bambino in un certo senso perde. Il bambino attribuisce alle feci il significato di un dono che fa alla madre. In questa fase appare la paura di essere derubato dei contenuti del proprio corpo. c. FASE FALLICA → fra i 3-5 anni d’età. La zona erogena è quella genitale. In questa fase si passa dall’autoerotismo ad una scelta di un oggetto d’amore esterno. Le vicende relazionali vengono denominate complesso di Edipo. Secondo Freud in questa fase si instaura una situazione triangolare tra padre – madre figlio in cui il padre assume un ruolo importante per il bambino, mentre verso la madre dirige le sue richieste a. di soddisfacimento sessuale. Il bambino sperimenta sentimenti sessuali e d’amore per il genitore di sesso opposto e sentimenti di gelosia per quello dello stesso sesso. L’oggetto di maggior interesse sia per i maschi che per le femmine è il pene. Per il bambino possedere il pene è fonte di orgoglio, mentre la femmina ne è invidiosa. Il bambino inizia ad avere l’angoscia di castrazione, inoltre la bambina prova rabbia nei confronti della madre perché non le ha fornito il pene. PERIODO DI LATENZA Va dai 6 anni alla pubertà, è caratterizzato da una diminuzione dell’interesse sessuale e dal sorgere di nuovi interessi. Il bambino comincerà a ricevere relazioni al di fuori della cerchia familiare, ovvero dei coetanei. Questo periodo è molto importante perché in esso si stabilisce il carattere dell’individuo. PERIODO GENITALE Inizia con la pubertà che comporta un’intensificazione degli impulsi sessuali. La pubertà riaccende il conflitto tra l’ES e i meccanismi difensivi dell’IO. Freud denominò questi organizzazione genitale che si costituisce appunto nella pubertà e rappresenta l’ultima fase dello sviluppo psicosessuale, la sessualità matura e adulta. APPROCCIO COMPORTAMENTISTA Il presupposto di questo approccio è che la mente del bambino alla nascita è tabula rasa e che quindi ogni comportamento deve essere appreso. L’apprendimento consiste in una modificazione stabile del comportamento. La teoria associazionista nacque con l’intento di ridurre i contenuti psichici a sensazioni dalla quale per associazione si formano idee più complesse. Molti autori affermano che le idee si associano se ricorrono spesso insieme con : CONTIGUITA’ TEMPORALE CONTIGUITA’ SPAZIALE CONGIUNZIONE COSTANTE In psicologia il condizionamento viene considerato una forma semplice di apprendimento. Questo condizionamento è un paradigma sperimentale utilizzato dal comportamentismo. Il comportamentismo nacque nel 1913 ad opera di Watson e si basa su comportamenti osservabili. Secondo questa scienza l’unica conoscenza valida è quella che si basa sull’osservazione. L’oggetto di studio è il comportamento. APPRENDIMENTO PER CONDIZIONAMENTO CLASSICO In uno dei suoi esperimenti Pavlov, studiando la secrezione salivare del cane, osservò che questa si produceva ogni volta che il cane mangiava. Dato che la salivazione era automatica e non vi era nessun tipo di apprendimento venne denominata risposta incondizionata mentre il cibo stimolo incondizionato. In un successivo esperimento Pavlov faceva suonare un campanello prima di dare il cibo. Dopo varie presentazioni “campanello-cibo”, il cane iniziava a salivare appena sentiva il campanello e quindi il cane aveva avuto una forma di apprendimento. Il suono del campanello venne chiamato stimolo condizionato e la salivazione anticipata risposta condizionata. Il principio del condizionamento classico venne definito principio di contiguità. L’approfondimento degli studi di Pavlov stabilì 2 regole: La generalizzazione dello stimolo → principio secondo cui gli stimoli simili evocano la stessa risposta L’estinzione → indebolimento della risposta condizionata quando allo stimolo condizionato non segue lo stimolo incondizionato. Riguardo lo sviluppo del bambino si può notare che diversi comportamenti vengono appresi per condizionamento classico. Sono comportamenti che il bambino mette in atto in presenza di stimoli neutri. Questi comportamenti che il bambino apprende possono essere sia piacevoli che spiacevoli. APPRENDIMENTO PER CONDIZIONAMENTO OPERANTE Si fonda sul principio che un soggetto che deve apprendere mette in atto comportamenti che poi associa a conseguenze piacevoli o spiacevoli. Thorndike elaborò la teoria del connessionismo, secondo cui la mente non è altro che un sistema di connessioni fra stimoli ambientali e le risposte manifestate dall’organismo. Uno degli esperimenti più importanti di Thorndike consisteva nel collocare un gatto affamato in una gabbia, dove al di fuori era posto il cibo. Inizialmente il gatto compiva azioni inefficaci fino a quando una azione non gli permise l’erogazione del cibo. Pian piano il gatto compiva sempre meno azioni inutili e diminuiva il tempo per uscire dalla scatola. Thorndike concluse che chi apprende procede per “prove ed errori”. Con i suoi esperimenti, Thorndike formulò una serie di leggi: LEGGE DELL’ESERCIZIO → per la quale ogni risposta si associa ad una situazione quanto più verrà utilizzata in quella situazione. LEGGE DELL’INTENSITA’ → quanto maggiore è il soddisfacimento o l’insoddisfazione prodotte dalla risposta, tanto maggiore sarà il rafforzamento o l’indebolimento del legame associativo esistente LEGGE DELL’EFFETTO → secondo cui le risposte riuscite vengono impresse e ripetute con più probabilità, mentre quelle non riuscite con meno probabilità. Secondo Skinner sia gli animali che gli uomini tendono a ripetere le azioni che determinano situazioni piacevoli. Secondo Skinner l’individuo non rimane passivo nel suo ambiente, ma entra in interazione con molti stimoli che discrimina, seleziona e modifica. Il risultato delle azioni può essere di rinforzo positivo, di rinforzo negativo o di una punizione. Il rinforzo positivo è una ricompensa piacevole all’attuazione di un comportamento. Il rinforzo negativo è un’esperienza piacevole che si verifica quando una azione riesce a far cessare uno stimolo avversativo, prevede un comportamento attivo che permette di evitare situazioni spiacevoli. La punizione è l’applicazione di un comportamento per favorirne un altro, ma non riesce ad insegnare nulla di nuovo. APPRENDIMENTO OSSERVATIVO ( O APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE) Secondo Bandura è molto importante nell’apprendimento l’imitazione. La maggior parte degli esperimenti di Bandura prevedevano l’apprendimento di un compito da parte di alcuni soggetti, che venivano divisi in 2 gruppi in cui solo uno aveva la possibilità di osservare un modello come esempio. Alla fine dell’esperimento si notò che l’osservazione del modello favoriva l’assunzione del comportamento. Anche questo apprendimento riguarda sia comportamenti negativi che positivi. Bandura ha anche attirato l’attenzione su un altro tipo di rinforzo, intrinseco, dove il piacere che deriva dall’aver compiuto un certo comportamento agisce all’interno nel rinforzare tale comportamento, anche senza il consenso esterno. Bandura sottolinea anche alcuni aspetti che fanno dell’apprendimento un atto cognitivo: Gli uomini sono individui cognitivi perché pensano e riflettono sulle conseguenze che derivano dal loro comportamento Gli individui sono influenzati da quello che pensano possa accadere che da quello che realmente accade I bambini imparano nuove risposte osservando il comportamento degli altri Il bambino è in grado di apprendere osservando e in seguito deciderà lui quando e se utilizzare tali comportamenti Bandura sostituisce il determinismo ambientale, secondo cui il bambino è visto come un recettore passivo degli stimoli, con il determinismo reciproco, che individua il bambino come fonte attiva degli stimoli ambientali. APPROCCIO BIOLOGICO Il bambino è un sistema in crescita; il corpo cresce, il comportamento cresce. LO SVILUPPO È MATURAZIONE Per i maturazionisti, la maturazione consiste in una serie di modifiche del Sistema Nervoso IL TEMPERAMENTO I fattori genetici determinerebbero nell’individuo specifici tratti temperamentali ereditati. Il termine “temperamento” indica l’aspetto della personalità dell’individuo, come il bambino reagisce e non perché. Le teorie sul temperamento sono discordanti fra loro, ma concordano su alcuni punti: PUNTO 1 → ogni individuo nasce provvisto di propri schemi caratteristici per rispondere all’ambiente e alle persone PUNTO 2 → le caratteristiche temperamentali persistono dall’infanzia all’età adulta. Gli schemi comportamentali si modificano, ma non cambiano PUNTO 3 → i tratti temperamentali spingono l’individuo verso attività e stimoli comportamentali congruenti con le sue attitudini innate. IL MODELLO TRANSAZIONALE Secondo l’approccio biologico le forze che spingono il processo di sviluppo sono di 2 tipi: FATTORI BIOLOGICI → costituiti da strutture anatomiche che realizzano una serie di funzioni adattive (genotipo) FATTORI AMBIENTALI → sono quell’insieme di esperienze che derivano dai rapporti che l’individuo stabilisce nell’ambiente in cui vive (ecotipo) L’ ecotipo interagisce costantemente col genotipo, producendo il fenotipo. Il bambino agisce sull’ambiente, il quale a sua volta agisce sul bambino. Il codice culturale è costituito dall’insieme di modelli che caratterizzano il modo di una società di allevare il bambino. Il codice familiare è costituito dall’insieme di regole che permette agli individui di costituire una famiglia. 2 CAPITOLO LE BASI BIOLOGICHE DELLO SVILUPPO L’individuo è costituito da un insieme di organi i quali si organizzano in apparati. L’elemento costitutivo dei vari organi è la cellula. In ogni organo la cellula assume una specializzazione funzionale in base ad una serie di informazioni contenute nei cromosomi. Le cellule umane contengono un patrimonio genetico costituito da 46 cromosomi. Esistono 22 coppie di cromosomi uguali sia per l’uomo che per la donna (autosomi). Gli altri 2 cromosomi nella donna sono uguali, rappresentati da 2 cromosomi X (XX), mentre nell’uomo sono diversi, rappresentati da un cromosoma X e da un cromosoma Y (XY). La continuità di questo patrimonio è garantito da un particolare processo di divisione cellulare, la mitosi, nella quale si ha una duplicazione del materiale cromosomico che viene diviso tra le cellule figlie. Gli organi preposti alla riproduzione, le gonadi, e sono costituiti dai testicoli nell’uomo e dalle ovaie nella donna. I fenomeni di moltiplicazione non si verificano attraverso la mitosi, ma attraverso un processo definito meiosi, costituita da 2 divisioni cellulari associate ad una sola moltiplicazione del materiale cromosomico. Da ciò deriva la formazione di una nuova cellula, il gamete, dotato di minori cromosomi. Il gamete maschile, spermatozoo, ha 23 cromosomi di cui uno solo sessuale che può essere X o Y. Il gamete femminile, oocita, ha 23 cromosomi di cui uno sessuale che è solo X. La fecondazione è il processo in cui il gamete maschile si fonde con quello femminile per dare luogo ad una nuova cellula, zigote. Nei cromosomi esistono i geni che contengono i caratteri che compongono l’individuo. Ogni individuo nasce con un proprio patrimonio genetico in cui sono iscritte le informazioni per lo sviluppo dei vari organi del Sistema Nervoso. Lo studio del Sistema Nervoso Centrale ha permesso di descrivere 8 stadi di sviluppo: 1) INDUZIONE DELLA PLACCA NEURALE → processo in base al quale le cellule dell’embrione iniziano a differenziarsi 2) PROLIFERAZIONE CELLULARE → le cellule della placca neurale si moltiplicano 3) MIGRAZIONE CELLULARE → le cellule moltiplicate migrano nella loro posizione definitiva 4) AGGREGAZIONE → i neuroni che hanno raggiunto la loro posizione si aggregano ad altri elementi cellulari per formare strutture specifiche 5) DIFFERENZIAZIONE E SINAPTOGENESI → i neuroni assumono il loro aspetto maturo e stabiliscono connessioni con altri neuroni, SINAPSI 6) MORTE CELLULARE SELETTIVA → in alcune regioni dell’encefalo il numero di neuroni è elevato e quindi in base alle connessioni stabilite vanno incontro alla degenerazione 7) ELIMINAZIONE DELLE SINAPSI IN ECCESSO → nello sviluppo i neuroni stabiliscono molte più connessioni del necessario e quelle meno utili vengono eliminate. I PRIMI ADATTAMENTI DEL NEONATO ALL’AMBIENTE Alla nascita il Sistema nervoso del bambino è ancora immaturo, è “funzionante” ma non “funzionale”. L’osservazione del neonato permette di valutare il livello di maturazione del Sistema Nervoso. L’elemento caratterizzante è una elevata motricità caotica, definito riflesso arcaico. Ne esistono diversi: RIFLESSO DEI PUNTI CARDINALI → si ottiene stimolando la cute periorale del neonato. La risposta è la rotazione del capo verso il lato stimolato RIFLESSO DI SUZIONE → movimenti di suzione ritmici che si producono mettendo una tettarella vicino la bocca del neonato RIFLESSO DI FUGA → retrazione di una parte del corpo in cui viene applicato uno stimolo nocicettivo RIFLESSO DI CHIUSURA DEGLI OCCHI → in presenza di stimoli luminosi intensi RIFLESSO DI INCURVAMENTO DEL TRONCO → dovuto a stimolazioni tattili paravertebrali con significato di allontanamento dallo stimolo RIFLESSO DI SOBBALZO → presentazione di uno stimolo rumoroso intenso RIFLESSO DI MORO → si verifica in seguito ad una brusca modificazione del capo rispetto al tronco. La reazione si divide in 2 fasi: prima una improvvisa estensione degli arti superiori, pianto e apertura delle mani, poi flessione e adduzione degli arti superiori RIFLESSO DI PRENSIONE PALMARE → stimolazione della superficie palmare. La risposta è la flessione sull’oggetto e chiusura delle dita RIFLESSO DELLA MARCIA AUTOMATICA → automatismo deambulatorio che si determina ponendo (sostenendo) il bambino in posozione eretta. Permette gli spostamenti intrauterini del feto REAZIONE GLOBALE DI RADDRIZZAMENTO → verticalizzare il bambino e stimolare la superficie plantare sul piano di appoggio. Determina l’estensione degli arti inferiori, del tronco e del capo. Permette la partecipazione attiva del feto al parto. Riguardo il bisogno alimentare, il bambino riconosce 2 stadi: quello di benessere (sazietà) e quello di malessere (fame). Per esprimere il malessere il neonato piange. Nel corso delle settimane successive alla nascita la maggioranza di questi riflessi scompare. (testimonianza di maturazione delle strutture encefaliche) LA PROGRESSIVA ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELL’ENCEFALO Parallelamente al progredire della maturazione si ha una specializzazione funzionale delle strutture encefaliche. CERVELLETTO → situato nel cranio sotto i lobi occipitali del cervello, svolge un ruolo determinante nell’organizzazione e realizzazione dell’atto motorio. Il cervelletto inoltre sembra coinvolto in alcuni quadri psicopatologici complessi, quali AUTISMO e SCHIZOFRENIA. LOBI FRONTALI → rappresentano il polo anteriore degli emisferi cerebrali, sede di strutture preposte all’organizzazione dei movimenti e alla programmazione degli atti comportamentali che richiede la capacità di pensare l’azione da compiere, di prevederne le conseguenze e coordinare gli atti che costituiscono l’azione (FUNZIONI ESECUTIVE). AMIGDALA → struttura localizzata nella profondità del lobo temporale, costituita da piccoli nuclei che prendono connessione con le aree encefaliche. Ha il compito di attribuire la connotazione emozionale alle esperienze. IL BAMBINO QUALE ESSERE PRE-ADATTATO AD INTERAGIRE ATTIVAMENTE CON L’AMBIENTE Il patrimonio genetico favorisce l’adattamento all’ambiente, la crescita. Le istanze che spingono il bambino ad agire sono: LE MOTIVAZIONI OMEOSTATICHE → motivazioni innate che spingono a favorire l’adattamento dell’individuo all’ambiente LE MOTIVAZIONI COGNITIVE → bisogno di crescere e capire LE MOTIVAZIONI SOCIALI → esigenza di entrare in interscambio comunicativo con gli altri. L’ambiente, inteso in termini di affetto, incide sul soggetto e sul substrato neurologico di fondo determinando modifiche strutturali di questo substrato e della sua organizzazione. 3 CAPITOLO LA VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO Per studiare le fasi dello sviluppo gli strumenti adottati sono: OSSERVAZIONE LIBERA IN SITUAZIONI SEMISTRUTTURATE QUESTIONARI INTERVISTE COLLOQUIO REATTIVI STANDARDIZZATI Questi strumenti sono utili per definire: Il livello raggiunto dal soggetto in tutte le aree funzionale Il percorso evolutivo che ha caratterizzato il livello attuale Le caratteristiche dell’ambiente: tipologia dei genitori, livello socio-culturale, etc. Un aspetto importante per un buon esame è l’atteggiamento che deve assumere l’esaminatore durante le fasi. La qualità della relazione che si va a formare è molto importante anche perché da essa deriva la compliace dei genitori. La qualità della relazione è garantita da: Grande disponibilità dell’esaminatore che deve essere a totale disposizione del bambino Assenza dei preconcetti, il bambino viene per parlarci di lui e solo lui può permetterci di conoscerlo Desiderio di comprendere, curiosità di capire il mondo del bambino Capacità di analizzare i sentimenti che scaturiscono dalla relazione Capacità di identificarsi con il bambino senza confondersi con esso. Le fasi critiche per lo studio dello sviluppo sono rappresentate da: L’OSSERVAZIONE IL COLLOQUIO L’UTILIZZAZIONE DI SPECIFICI STRUMENTI DI VALUTAZIONE L’OSSERVAZIONE Dal momento in cui il bambino e i genitori entrano nella sala visita fino al momento in cui escono, l’osservazione permette di raccogliere informazioni utili per il “processo di conoscenza”. Risultano molto importanti: Il modo in cui il bambino entra nella stanza, che può essere di rifiuto, inibizione o totale disinibizione Il modo in cui investe lo spazio, ricerca di uno spazio privilegiato o può esprimere un’attività motoria frenetica Come esplora gli oggetti nella stanza, se in modo sistematico o caotico In che modo reagisce alla presenza dell’altro, indifferenza o buona disponibilità Il modo in cui risponde alle richieste dell’esaminatore, buona disponibilità, aderenza passiva o totale rifiuto. L’osservazione si struttura come una situazione in cui il bambino è messo in condizione di agire ed interagire liberamente, ma in cui le variabili esterne sono controllate. Il ruolo dell’osservatore varia in base all’età del soggetto e al tipo di problema. Per i soggetti con disabilità sociali e per bambini molto piccoli l’osservazione costituisce l’elemento più importante per conoscere e capire il bambino, viene valutata l’attività esplorativa e ludica del bambino. Il comportamento esplorativo è un esame senso – percettivo – motorio di un oggetto, la cui funzione è ridurre l’incertezza soggettiva. Il gioco non è associato con l’acquisizione di informazioni, ma da esso ne derivano comportamenti e sequenze comportamentali che appaiono compiuti per se stesso e condotti ad un’attivazione emotiva positiva. IL GIOCO Offre all’esaminatore una serie di conoscenze: L’attitudine del bambino a rapportarsi ai giochi e le modalità con cui li usa La capacità del bambino di organizzare il gioco che indica la maturazione affettiva del bambino La tematica del gioco L’abilità psicomotoria La tolleranza alle frustrazioni Due aspetti vanno sottolineati: A) IL GIOCO COME STRUMENTO PER CONOSCERE IL LIVELLO DI SVILUPPO B) IL GIOCO COME STRUMENTO PER CAPIRE DINAMICHE RELATIVE AL MONDO INTERNO DEL BAMBINO [A] Il gioco come strumento per conoscere il livello di sviluppo Le attività che il bambino svolge nel gioco riflettono: Le sue capacità di organizzare i dati percettivi Gli schemi di conoscenze che ha Il repertorio di comportamenti che gli permettono di agire sulla realtà esterna La complessità del gioco rappresenta anche le progressive acquisizioni che il bambino acquisisce. Fino ai 7-8 mesi → il bambino si limita ad un gioco esplorativo. Dai 7-8 mesi → il bambino si impegna in giochi pre-simbolici, si diverte ad agire sugli oggetti. Non è ancora maturata la capacità di giocare con l’altro . il bambino o gioca con l’oggetto o con l’altro. A 10 mesi → gioco di finzione, il bambino fa finta di bere da una tazza vuota ad esempio è un gioco funzionale in quanto l’oggetto è riconosciuto nel suo uso. Col passare del tempo questo tipo di gioco subisce un cambiamento nel senso che il bambino fa finta di essere un’altra persona. A partire dai 2 anni → nel gioco di finzione gli oggetti assumono cose completamente diverse ( scopa → cavallo) 4-5 anni → compare il gioco socio-drammatico(il bambino assume ruoli den definiti) A 7 anni → il bambino si impegna in giochi che hanno regole ben definite (calcio, birilli) Alcuni elementi critici nel valutare l’evoluzione del bambino attraverso il gioco sono: L’AGENTE SIMBOLICO → il destinatario dell’atto simbolico. Ad un primo livello il bambino agisce su se stesso .al secondo livello agisce sull’altro. Al terzo livello assume l’identità di un’altra persona o animale. Al quarto livello organizza i ruoli ad altre persone IL SOSTITUTO SIMBOLICO → diviso anch’esso in 4 livelli: al primo livello il bambino utilizza oggetti reali, gioco funzionale; al secondo livello l’oggetto è reale; al terzo livello l’oggetto è ambiguo, ma con somiglianza a quello reale; al quarto livello gli oggetti sono immaginari. LA COMPLESSITA’ SIMBOLICA → numero di atti simbolici che il bambino riesce a combinare per creare un gioco. Al primo livello il bambino compie un solo atto di gioco, una sola volta. Al secondo livello un solo atto di gioco più volte. Al terzo livello compie 2-3 schemi collegati allo stesso tema. Al quarto livello il bambino ripete atti e scene collegati alla vita reale. [B] Il gioco come strumento per capire dinamiche relative al mondo interno del bambino Melanie Klein indicò nell’analisi del gioco una tecnica più adatta al bambino che permette di individuare i disturbi anche prima della comparsa del linguaggio verbale. L’indagine viene condotta osservando il bambino che gioca con giocattoli vari o con materiale prestabilito. Questo tipo di indagine può fornire indicazioni sull’organizzazione psichica del bambino sulla struttura dell’IO. I particolari del gioco vanno valutati secondo schemi fissi, in quanto uno stesso gioco può assumere significati diversi e quindi deve essere condotto all’ambiente di cui fa parte il bambino. Un aspetto molto importante è l’atteggiamento con cui partecipa l’esaminatore al colloquio, in modo intenso, positivo ed incoraggiante. Deve lasciare spazio all’iniziativa del bambino. L’osservazione deve avvenire in un contesto apparentemente libero, nel senso che nulla deve essere lasciato al caso. L’osservazione in campo psicoanalitico permette una analisi del comportamento ed è molto semplice in quanto l’osservatore è presente nella situazione, ma non deve in alcun modo intervenire nell’azione. IL COLLOQUIO Comporta un rapporto diretto col bambino ed il suo mondo interno. Molto importante per il colloquio è: La preparazione del bambino all’esame da parte della famiglia Le modalità con le quali viene accolto dall’esaminatore L’ambiente dove si svolge la valutazione Rispettando comunque la libera espressione del bambino bisogna domandare: motivo della consultazione natura degli interessi e delle attività ludiche tipo di rapporto con i coetanei progetti per il futuro qualità delle relazioni all’interno della famiglia partecipazione all’attività scolastica caratteristiche delle fantasticherie e delle esperienze sociali consapevolezza sociale. Bisogna evitare atteggiamenti direttivi in quanto possono mobilitare atteggiamenti negativi. Bisogna anche analizzare la natura dei sentimenti che l’esaminatore ha nei confronti del bambino ed analizzarne le motivazioni. Il colloquio con i genitori permette di valutare l’atteggiamento affettivo da parte dei genitori nei confronti del bambino ed il posto che il bambino occupa nella relazione di coppia. I genitori vanno esaminati insieme anche se sono separati. L’esaminatore lascia spazio al libero discorso dei genitori. GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE La valutazione dello sviluppo viene integrata da schede di valutazione e da reattivi mentali. 1. Le schede di valutazione Sono protocolli di esame predefiniti. Sono liste di elementi da valutare, utilizzando per ogni elemento un sistema di siglatura: BINARIA → ad esempio si/no riferito alla presenza di una determinata patologia nell’anamnesi, o presente/assente riferito ad un determinato segno patologico CATEGORIALE → a 3- 4 o più categorie, per esempio vivace/normale/debole/assente riferito ad un riflesso, o spesso/talvolta/mai riferito ad un comportamento Questi schemi vanno compilati attraverso l’intervista ai genitori, l’autosomministrazione o l’osservazione diretta. 2. I reattivi mentali Sono tecniche di valutazione standardizzata; sono prove selezionate dopo studi di valutazione fatti sulla popolazione. In rapporto all’area di valutazione essi vengono divisi in reattivi di livello e reattivi proiettivi. 2.1 reattivi mentali di livello Sono finalizzati a valutare l’efficienza intellettiva. Essi sono: SCALA STANFORD-BINET → utilizzata per la valutazione dell’intelligenza, costituita da prove di difficoltà crescente e permette di valutare l’Età Mentale. Facendo il rapporto tra Età Mentale ed Età Cronologica per 100 si ottiene il Quoziente Intellettivo (QI). SCALE DELLA SERIE WECHSLER → sono rappresentate da 3 scale: WPPSI per bambini tra i 4-6 anni; WISC-C per i ragazzi tra i 6-17 anni; WAIS per adulti. Sono scale complete che includono prove di diverso tipo per valutare l’intelligenza. Il numero di prove superate fornisce il QI che può essere: TOTALE → somma dei punteggi dei test fornisce un grado generale della capacità intellettiva; VERBALE → QI legato al livello socio-culturale e al profilo scolastico; PERFORMANCE → indicatore delle capacità del soggetto di mettere in atto la sua capacità intellettiva SCALA DI SVILUPPO PSICOMOTORIO DI BRUNET E LÈZINE → utilizzata per determinare il livello di sviluppo del comportamento del bambino nei primi 30 mesi di vita. Prevede esami sulla: postura, coordinazione motoria, linguaggio e socialità. Alcune prove sono eseguite dall’esaminatore, altre valutate sulla base di informazioni fornite dai genitori. Ogni prova ha un punteggio dove il totale dà l’Età di Sviluppo Psicomotorio (ESPM), che, riportata all’età cronologica, fornisce il Quoziente di Sviluppo Psicomotorio (QSPM) MATRICI PROGRESSIVE → si compone di 12 tavole di colori incomplete, il soggetto deve scegliere tra 6 risposte quella che completa il disegno. Le prove sono ordinate secondo una difficoltà crescente. È il test più saturo per l’intelligenza generale e meno influenzato da fattori culturali. 2.2 Reattivi proiettivi Si basano sulla tendenza di ogni individuo a strutturare qualsiasi materiale non organizzato rivelando in questo modo le motivazioni del comportamento. La tecnica di applicazione è molto complessa. I principali reattivi utilizzati sono: TEST DI RORSCHACH → per adulti, ma può essere applicato anche a bambini tra i 5-6 anni. Il materiale è composta da 10 tavole con macchie di inchiostro di cui alcune colorate. Al soggetto viene chiesto di dare un significato ad ogni tavola. I risultati possono fornire indicazioni sull’organizzazione della personalità. Permette di descrivere: le capacità di prestazioni intellettive del soggetto, il funzionamento affettivo e la varietà e la stabilità dei meccanismi che sottendono la personalità THEMATIC APPERCEPTION TEST (T.A.T.) → utilizzato per lo studio di personalità normali, costituito da 31 tavole, di cui una bianca, che raffigurano scene di situazioni interpersonali. Al soggetto vengono presentate 20 tavole e per ciascuna gli viene chiesto di raccontare una storia. L’interpretazione del T.A.T. fornisce informazioni sulle problematiche relazionali CHILDREN’S APPERCEPTION TEST (C.A.T.) → costituito da 10 tavole con rappresentate scene di animali in situazioni evocanti problemi affettivi fondamentali dell’età evolutiva (rivalità fraterna, rapporto con i genitori) derivato da T.A.T. ma per bambini TEST DI ROSENZWEIG PER FANCIULLI → per bambini da 4-5 anni a 10-12 anni, costituito da 24 vignette con rappresentati 2 soggetti coinvolti in situazioni frustranti. Il test è volto a valutare il grado di tolleranza del soggetto alle frustrazioni e le sue modalità di reazione METODI DELLE FAVOLE DI L. DÜSS → consiste in una serie di 10 brevi storie che il bambino deve completare. In ogni storia viene presentata una situazione relativa ad uno stadio di evoluzione dello sviluppo psichico. IL DISEGNO Strumento utile per stabilire un rapporto fra l’esaminatore e il bambino. Permette di rilevare elementi utili per una valutazione del livello di sviluppo e per la diagnosi della personalità. L’evoluzione del grafismo segue tappe ben precise, caratterizzata da segni disordinati che il bambino produce. In questa fase si osserva la partecipazione di tutto il corpo. Verso i 18 mesi il bambino capisce che c’è un rapporto di causa-effetto tra i gesti ei segni ottenuti e inizia a variare volontariamente i gesti. A 3 anni il bambino attribuisce dei significati ai segni prodotti. Dai 3-4 anni in poi gli elementi grafici sono più organizzati. Dai 5-6 anni l’attività grafica è spinta dalla volontà del bambino di raccontare le proprie esperienze. Anche il contenuto ha grande importanza sia nel disegno libero che a tema indicato. DISEGNI A TEMA INDICATO: DISEGNO DELLA FIGURA UMANA → verso i 3 anni è molto schematica: il cerchio è la testa da cui si dipartono dei tratti che sono le braccia e le gambe (omino-testone). A 4-5 anni compaiono gli occhi, la bocca, il naso, con aggiunta del tronco e vestiario. La figura umana diventa completa verso i 10 anni. Questo tipo di disegno può fornire indicazioni sullo sviluppo intellettivo del bambino. La figura umana che viene rappresentata è l’immagine che il bambino ha di sé stesso. Machover ha proposto l’utilizzazione proiettiva del disegno della figura umana. Il metodo di somministrazione è far disegnare al bambino 2 personaggi, il secondo di sesso opposto al primo. La testa rappresenta il potere intellettuale e le relazioni affettive; le braccia, le mani e le gambe sono gli strumenti di esplorazione. Omissioni o sproporzioni tra le parti possono indicare presenza di conflitti. DISEGNO DELLA FAMIGLIA → è utile per comprendere come il bambino si colloca nella famiglia. Nel disegno esprime più liberamente i propri desideri e conflitti. L’analisi del contenuto tiene conto di 3 aspetti: 1) DISPOSIZIONE E COMPOSIZIONE GLOBALE DELLA FAMIGLIA che fornisce indicazioni sul modo in cui il soggetto si rapporta con la famiglia; 2) IL POSTO IN CUI IL SOGGETTO STESSO SI COLLOCA in relazione agli altri. Troppo vicino ai genitori indica dipendenza e bisogno di protezione. Auto eliminazione indica autosvalutazione, sentimenti di esclusione. In alcuni casi il soggetto è assente, ma sostituito da un personaggio alla quale si identifica; 3) GRADO DI ENFATIZZAZIONE DEI COMPONENTI DELLA FAMIGLIA → il personaggio valorizzato rappresenta il soggetto alla quale il bambino è più legato e alla quale tende ad identificarsi. Viene disegnato per primo, di dimensioni maggiori rispetto agli altri e più curato. Mentre quello svalorizzato è disegnato per ultimo, con dimensioni minori e con meno dettagli. La valorizzazione è espressa anche con la cancellatura. 4 CAPITOLO LO SVILUPPO MOTORIO IL MOVIMENTO Realizza la possibilità di adattamento dell’individuo al suo ambiente. Indica lo spostamento nello spazio del corpo. L’azione motoria implica la partecipazione di funzioni preposte all’armonizzazione dei singoli movimenti. La realizzazione dell’azione motoria viene investita dal punto di vista anatomico, funzionale e relazionale. L’osservazione di un oggetto alle prese con un compito nuovo permette di rilevare che i suoi movimenti sono lenti e che poi attraversi prove e ripetizioni diventa più rapido e preciso, ovvero l’azione motoria viene automatizzata. L’automatizzazione dei movimenti è una forma di apprendimento LO SVILUPPO MOTORIO Lo sviluppo motorio si configura come un processo di apprendimento. Con il termine di sviluppo motorio si indica quel processo attraverso il quale il bambino acquisisce una serie di abilità motorie e posturali che gli permettono di inserirsi nell’ambiente. Nei primi 3 anni di vita il bambino passa: Da una completa incompetenza posturale ad un completo controllo dell’equilibrio e delle posture; Da una motricità caotica ad azioni motorie rispondenti ad obiettivi; Dal riflesso di prensione palmare alla motricità differenziata delle dita. Per descrivere le tappe dello sviluppo motorio si fa riferimento a 2 aspetti: 1. LO SVILUPPO DELLA MOTRICITA’ “GROSSOLANA” → processo di acquisizione di competenze che permettono al bambino di assumere una posizione. La motricità neonatale è globale e caratterizzata dalla presenza dei riflessi arcaici. Lo sviluppo si configura come costituito da 2 processi: LE FUNZIONI REGRESSIVE rappresentate dai riflessi arcaici che poi pian piano vanno scomparendo LE COMPETENZE EMERGENTI che sono le abilità che compaiono con la maturazione. Contemporaneamente evolvono anche competenze dinamiche, ovvero quei passaggi posturali che il bambino compie spontaneamente per spostarsi nell’ambiente (rotolamento, strisciamento). 2. LO SVILUPPO DELLA MOTRICITA’ “FINE” → acquisizione delle capacità manuali che permettono al bambino di afferrare, manipolare. In epoca neonatale le mani sono coinvolte in un riflesso della prensione palmare che tende a scomparire verso i 2-3 mesi per lasciare spazio ad una prensione al contatto. Solo dal 4° mese in poi iniziano i movimenti del braccio verso l’oggetto con modalità di afferra mento. Contemporaneamente emergono le possibilità del bambino di agire sull’oggetto. A partire dai 2-3 anni l’elemento caratterizzante dello sviluppo motorio non è più la comparsa di nuove tappe ma la maturazione dei sistemi di controllo che rendono il movimento più controllato. La possibilità di muoversi con più competenza permette di conoscere meglio il proprio corpo, incrementare la conoscenza dell’ambiente, appropriarsi dei codici di comunicazione mimica e gestuale che poi alla comparsa del linguaggio verbale arricchiscono la comunicazione e la rendono più esplicita. LA LATERALIZZAZIONE LA PREFERENZA MANUALE Il corpo umano possiede numerosi organi in rappresentazione simmetrica e anche funzionale a differenza delle mani. La preferenza manuale è uno di quei fenomeni nei cui confronti viene assunto un atteggiamento di realismo ingenuo. Secondo alcune ipotesi la comparsa della preferenza manuale ha costituito una tappa fondamentale per il percorso evolutivo. Per cercare di spiegare la preferenza della mano destra rispetto alla sinistra sono state formulate alcune ipotesi: La teoria dello “scudo da guerra” dove viene ipotizzato che i nostri antenati per combattere da una mano reggevano lo scudo e dall’altra l’arma e risultava più efficiente colpire con la destra, ma questa teoria non è plausibile. Un’altra teoria è quella che fa riferimento a condizionamenti culturali, secondo cui la preferenza manuale destra è un comportamento appreso. L’organizzazione sociale ci spingerebbe a sviluppare competenze specifiche per ognuna delle mani. Per spiegare la preferenza della mano destra è stata ipotizzata anche l’influenza della posizione intrauterina, rilevando che la posizione intrauterina condiziona l’atteggiamento preferenziale del capo del neonato in posizione supina e a sua volta questo atteggiamento si mostra in correlazione con la preferenza manuale. È stato anche ipotizzato che il modo della madre di tenere in braccio il lattante possa condizionare la scelta del lato. In base a tutto ciò è evidente che deve esserci un fattore biologico che ne condiziona l’espressività fenomenica. Negli anni si è affermata l’esistenza di una asimmetria degli emisferi cerebrali la quale è responsabile della lateralizzazione. LA SPECIALIZZAZIONE EMISFERICA Broca nel 1861 dimostrò che una lesione a carico dell’emisfero sinistro determinava un disturbo del linguaggio. Ciò ha portato a formulare una teoria che si articola in diversi punti: a) L’emisfero sinistro è la sede dei più importanti processi mentali per cui viene denominato emisfero dominante. Mentre l’emisfero destro ha solo la funzione di elaborazione di funzioni senso-motorie elementari b) L’asimmetria funzionale non corrisponde ad una asimmetria strutturale, ovvero i 2 emisferi sono identici c) L’asimmetria funzionale è una caratteristica specie-specifica umana d) Nei destrimani l’emisfero dominante è il sinistro, mentre nei mancini si ha una dominanza dell’emisfero destro. Successivamente questi concetti sono stati modificati: a) È stato abbandonato il concetto di dominanza assoluta b) I 2 emisferi non sono uguali da un punto di vista anatomico c) Asimmetrie anatomiche sono state riconosciute in animali e non solo negli umani. LA MISURAZIONE DELLA PREFERENZA MANUALE L’esperienza di tutti i giorni ci permette di rilevare una serie di particolarità che ci rendono più difficile la definizione di preferenza di lato perché: Ci sono soggetti che per un compito usano la mano destra e per un altro la sinistra. Questo aspetto induce il concetto di costanza della preferenza Per uno stesso compito la preferenza di lato può variare in base al numero delle prove. Concetto di forza di preferenza (preferenza forte: sempre la stessa mano in tutte le prove di uno stesso compito; preferenza debole: intercambiabilità delle mani nel corso delle varie prove) I soggetti che per un compito preferiscono la sinistra per un altro la destra. L’empasse viene risolta con la divisione in 3 soggetti: 1. Lateralizzati a destra 2. Lateralizzati a sinistra 3. Ambidestri La misurazione della preferenza di lato è semplice attraverso questionari di autosomministrazione, in cui sono previsti molti comportamenti e il soggetto deve indicare per ogni comportamento quale lato preferisce utilizzare. L’ORGANIZZAZIONE MOTORIA DELLA DOMINANZA Nell’apprendimento motorio l’encefalo per effettuare un movimento non agisce su singole unità motorie periferiche, ma dispone di programmi di movimento che manda in esecuzione per l’effettuazione del compito. Questi programmi contengono tutte le informazioni necessarie per l’attivazione coordinata di unità motorie. I programmi motori sono frutto di apprendimenti. Nei confronti di un compito nuovo l’individuo sotto il controllo del feedback periferico, prova una serie di movimenti. La sequenza motoria che risponde alle richieste viene memorizzata attraverso l’apprendimento. Secondo Liepmann nei destrimani la corteccia premotoria dell’emisfero sinistro sarebbe la sede specializzata per l’acquisizione, la conservazione e la messa in esecuzione dei programmi. Il controllo bilaterale dei 2 emilati è garantito dalle connessioni callosali che permetterebbero il passaggio degli impulsi dall’area premotoria di sinistra a quella di destra. Un individuo per un compito usa si la destra che la sinistra e quindi è stata suggerita l’opportunità di sostituire il concetto di una preferenza assoluta, destra o sinistra, con quello di preferenza relativa, che può essere destra o sinistra in rapporto al compito. Esistono 2 tipi di apprendimento: PIRAMIDALE → riguarda l’apprendimento di programmi rappresentati da complesse sequenze di movimenti fini, ovvero le dita ASSIALE → consiste nell’acquisizione di programmi di movimenti relativi al tronco e al controllo dei cingoli. LO SVILUPPO DELLA PREFERENZA MANUALE Esiste una preferenza di un lato sull’altro, la quale a sua volta, è legata ad una specializzazione genetica programmata dell’emisfero controlaterale. È un programma genetico che si realizza nel corso dello sviluppo: solo con l’inizio della scuola comincia ad apprezzarsi una chiara preferenza di lato. Esistono numerose evidenze di preferenza di lato già prima dei 6 mesi di vita. Con riferimento al portare la mano alla bocca, già in epoca neonatale si rivelerebbe un uso preferenziale della mano destra. Ma comunque risulta difficile dimostrare una preferenza di una mano sull’altra in un periodo in cui non è ancora comparso l’uso intenzionale. Con l’inizio dell’uso intenzionale delle mani (4 mesi) comincia a rendersi evidente una preferenza manuale. In questa fase dello sviluppo, alcune ricerche hanno messo in evidenza che i bambini più precoci nel linguaggio mostrano una più rapida scelta nella preferenza manuale. 5 CAPITOLO LA PERCEZIONE IN ETA’ EVOLUTIVA LA PERCEZIONE La percezione è il processo attraverso il quale vengono estratte informazioni dall’ambiente. I sensi sono sistemi preposti alla raccolta dei dati provenienti dal mondo esterno. Attraverso i sensi le informazioni viaggiano come impulsi elettrici, poi il cervello che interpreterà questi messaggi e attribuirà loro un messaggio. Quello che noi vediamo o sentiamo non sempre corrisponde ad una realtà oggettiva. Esiste una discordanza fra realtà oggettiva e soggettiva, come dimostrano: o o o LE IMMAGINI MAL DEFINITE LE ORGANIZZAZIONI CONCORRENTI, che sono rappresentate da immagini che si prestano ad una doppia interpretazione L’EFFETTO “CONTESTO”, dove una configurazione visiva può essere percepita in maniera diversa in base alle informazioni derivanti dal contesto. Il cervello all’arrivo dei dati attraverso i sensi si attiva, quindi la percezione non è un processo passivo ma attivo. La percezione può anche essere definita come il processo in base al quale viene attribuito un significato all’esperienza sensoriale. Percezione e riconoscimento quindi sono 2 aspetti che fanno parte dello stesso processo. LE ABILITA’ PERCETTIVE IN ETA’ EVOLUTIVA Il bambino, già dalle prime fasi dello sviluppo, dimostra di possedere qualità percettive. METODOLOGIA PER LO STUDIO DELLE ABILITA’ PERCETTIVE IN ETA’ EVOLUTIVA Sono state utilizzate diverse strategie per studiare la percezione nelle varie fasi dello sviluppo. Vanno citate soprattutto le esperienze che utilizzano il fenomeno dell’ABITUDINE e della DISABITUDINE. o o IL FENOMENO DELL’ABITUDINE → con la presentazione di uno stimolo nuovo ad un bambino possono comparire: espressioni mimiche, reazioni neurovegetative, modifiche dei livelli dell’attività motoria, etc. Se questo stimolo continua ad essere presentato la risposta pin piano si attenua fino a scomparire e quindi non mostra più reazioni. Questo fenomeno è detto appunto ABITUDINE LA DISABITUDINE → è un fenomeno che può essere messo in evidenza solo con la comparsa dell’abitudine. Se alla scomparsa della reazione viene impressa una modifica nello stimolo, la reazione compare. Esistono anche altri metodi per studiare le capacità percettive del bambino e sono: IL METODO DELLA PREFERENZA → che consiste nel presentare contemporaneamente 2 stimoli, visivi o uditivi, ed osservare a quale dei 2 il bambino presta più attenzione I POTENZIALI EVOCATI → sono onde elettriche registrate attraverso l’uso di alcuni apparecchi. Si prevede la presentazione di uno stimolo e la registrazione delle onde che esso determina IL RITMO DELLA SUZIONE → dove si associa al ritmo della suzione la comparsa di uno stimolo, si verifica un aumento del ritmo di suzione. LE ABILITA’ PERCETTIVE DEL NEONATO Il neonato riesce a riconoscere un certo atteggiamento posturale (quando “viene messo al seno”) come anticipatorio di una funzione a lui cara (l’allattamento). Questo, più che un riflesso, è un vero e proprio comportamento. Per quanto riguarda la percezione uditiva è stato possibile rilevare che i neonati: Riconoscono la voce della madre Preferiscono la voce della madre a quella di una estranea Preferiscono le favole udite nell’utero Sono attratti dalla musica, ma sono infastiditi dai rumori. L’acuità uditiva è superiore a quella uditiva. Nell’ambito della percezione visiva sono state messe in evidenza alcune abilità, come il riflesso pupillare della luce (= restringimento della pupilla per stimolazione luminosa). Se la stimolazione luminosa è intensa, il bambino non si limita a restringere la pupilla, ma serra gli occhi. Il neonato è anche in grado di fissare ed inseguire lo sguardo. L’abilità percettiva più sorprendente è quella della capacità di imitare le espressioni facciali. Il neonato è attratto dal volto dell’altro e soprattutto dai movimenti della bocca, ma soprattutto non si limita a guardare, ma imita. LE ABILITA’ PERCETTIVE DEL LATTANTE A 4 mesi il lattante sembra riconoscere i colori, preferendo il giallo e il rosso. A 6 mesi hanno già la percezione della profondità come dimostrato dalle esperienze del precipizio visivo di Gibson e Walk. Il precipizio visivo consisteva in una piattaforma elevata di vetro divisa in 2: metà coperta con una tavola a scacchiera, l’altra metà trasparente con fondo sempre a scacchiera. È stato rilevato che il bambino striscia sulla parte solida e si ferma quando arriva a quella trasparente, dimostrando che ha percepito la profondità. Anche la percezione del volto umano ha dei progressi. Infatti il bambino giunge a 2 conquiste: o o L’IDENTITA’ DEL VOLTO I DIVERSI ASPETTI CHE UN VOLTO PUO’ ASSUMERE → il bambino impara che ogni espressione è associata ad un particolare stato emotivo. L’APPRENDIMENTO PERCETTIVO È possibile affermare che nell’età evolutiva si sviluppano 3 competenze: Le strategie di esplorazione dell’ambiente, ovvero le modalità di esaminare lo stimolo La capacità di estrarre le caratteristiche rilevanti La capacità di escludere ciò che è irrilevante. STRATEGIE DI ESPLORAZIONE È sufficiente una attenta osservazione del bambino. ESTRAZIONE DEI DATI RILEVANTI ED ESCLUSIONE DEI DATI IRRILEVANTI Questa capacità di estrarre i dati rilevanti, ovvero i tratti distintivi, conduce all’acquisizione di costanze percettive. Il bambino, già a 3-4 mesi è in grado di riconoscere il “suo” giocattolo. Dopo aver acquisito la costanza dell’oggetto (che riguarda le caratteristiche percettive dell’oggetto), il bambino acquisisce anche il concetto dell’oggetto. Con l’acquisizione del concetto dell’oggetto il bambino giunge alla realtà oggettiva della “cosa” , capisce che ha un’esistenza autonoma, è dotata di caratteristiche invarianti. Per alcuni autori l’estrazione dei tratti distintivi è il processo attraverso cui si giunge al riconoscimento delle lettere e all’apprendimento della lettura. Il bambino imparerebbe a riconoscere le lettere in base alla loro configurazione spaziale. L’INTEGRAZIONE FRA LE DIVERSE MODALITA’ PERCETTIVE Un aspetto molo studiato riguarda lo sviluppo dell’integrazione fra le diverse modalità percettive. L’adulto riesce a riconoscere un oggetto indipendentemente dalla modalità sensoriale utilizzata. Per la maggior parte degli autori questa capacità è una abilità che matura nel tempo. Ad esempio, secondo Piaget i sensi maturano in maniera indipendente e solo successivamente interagiscono fra loro. Ma una serie di ricerche recenti mostrano che i bambini sono in grado di integrare percezioni provenienti da diversi sistemi sensoriali. Inoltre è stato dimostrato che il lattante a 4 mesi prova disagio quando vede parlare la madre, ma sente la voce provenire da un’altra direzione. 6 CAPITOLO LO SVILUPPO COGNITIVO Lo sviluppo cognitivo indica quel processo attraverso il quale il bambino accede a forme di ragionamento che gli consentono l’adozione di strategie di risoluzione dei problemi più complessi. L’intelligenza è una funzione complessa e ancora mal definita. Le diverse prospettive di studio utilizzate sono: L’APPROCCIO PSICOMETRICO → basato sullo studio del potenziale cognitivo L’APPROCCIO DELLO SVILUPPO COGNITIVO → in cui l’interesse è centrato sullo studio delle strutture cognitive L’APPROCCIO DELL’ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE L’INTELLIGENZA E L’APPROCCIO PSICOMETRICO Uno degli approcci più utilizzati per studiare l’intelligenza è quello basato sui test. Secondo i teorici della psicometria, l’intelligenza può essere considerata come un tratto quantitativo e quindi misurabile. I test vengono definiti standardizzati, molto eterogenei per rispondere alle varie sfaccettature dell’intelligenza e cercano di fornire un valore alle capacità intellettive. LA STRUTTURA DELL’INTELLIGENZA Il QI esprime il potenziale cognitivo. La variabilità fra gli individui non riguarda il QI totale, ma anche il rendimento alle prove che contribuiscono a determinarlo. Mentre alcuni soggetti eccellevano in alcune prove e cadevano in altre, altri facevano viceversa. Ciò portò ad ipotizzare l’esistenza di abilità mentali diverse. Per valutare queste ipotesi è stata utilizzata una procedura definita analisi fattoriale, che prende in considerazione i risultati dei reattivi somministrati a molti soggetti mettendo in evidenza vari tipi di prove. Utilizzando l’analisi fattoriale Spearman ipotizzò l’esistenza di 2 fattori: Il fattore G, definito CAPACITA’ MENTALE GENERALE → condiziona le prestazioni dell’individuo Il fattore S, definito CAPACITA’ SPECIALE → prevedeva diverse capacità speciali. Il rendimento ad una prova dipenderebbe sia dal fattore g che da quello s. invece Thurstone ipotizzò l’esistenza di 7 fattori distinti, che indicò con il termine di capacità mentali primarie, costituite da: ABILITA’ SPAZIALI VELOCITA’ PERCETTIVA RAGIONAMENTO ARITMETICO ABILITA’ LESSICALE FLUIDITA’ VERBALE MEMORIA RAGIONAMENTO INDUTTIVO Le ricerche di Spearman e Thurstone mettono in evidenza abilità di base che costituiscono l’intelligenza. Secondo Raimond Cattell e John Horn i fattori s di Spearman e le capacità mentali primarie di Thurstone possono essere suddivise in 2 dimensioni dell’intelligenza: L’INTELLIGENZA FLUIDA → rappresentata da quelle abilità mentali preposte alla risoluzione di problemi astratti. Aumenta nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. L’INTELLIGENZA CRISTALLIZZATA → costituita da quelle abilità che dipendono dalla conoscenza acquisita come risultato dell’apprendimento scolastico. Aumenta nel corso dell’esistenza. Robert Sternberg riconosce l’esistenza di 3 dimensioni o tipi di intelligenza: L’INTELLIGENZA COMPONENZIALE → si riferisce ai processi di organizzazione dei dati percepiti, di richiamo dei dati in memoria L’INTELLIGENZA ESPERENZIALE → riguarda la capacità di “utilizzare” i dati dell’esperienza in maniera flessibile e “creativa” L’INTELLIGENZA CONTESTUALE → definita “scaltrezza” e riguarda le capacità di manipolare le situazioni a proprio vantaggio. Un altro studioso, HOWARD GARDNER, ha parlato di INTELLIGENZE MULTIPLE, riconoscendo 6 forme di intelligenza: 1) INTELLIGENZA CORPOREA-CINESTETICA 2) INTELLIGENZA LOGICO-MATEMATICA 3) INTELLIGENZA SPAZIALE 4) INTELLIGENZA LINGUISTICA 5) INTELLIGENZA MUSICALE 6) INTELLIGENZE PERSONALI Secondo Gardner anche nei rapporti interpersonali viaggiano una serie di informazioni che possono essere lette e interpretate secondo il modello dell’elaborazione dell’informazione e sono alla base dell’intelligenza personale. LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO LA PROSPETTIVA DI JEAN PIAGET Nel definire come gli esseri umani comprendono il mondo, egli ha analizzato quei processi di adattamento attraverso i quali il soggetto ricerca e realizza un equilibrio tra il sé ed il suo ambiente. Il pensiero di Piaget è caratterizzato da alcuni aspetti: 1. Lo sviluppo è un progressivo equilibrarsi, un passaggio da uno stato di minore equilibrio ad uno di equilibrio superiore, nella direzione di un adattamento il più adeguato possibile alla realtà. Lo sviluppo cognitivo viene concepito come un processo evolutivo regolare. 2. Questo processo è il risultato di un’attività del soggetto sulle cose. Il bambino costruisce la sua conoscenza, seleziona e interpreta in maniera attiva le informazioni del suo ambiente. 3. La partecipazione attiva del soggetto presuppone che a monte dell’azione ci sia un interesse. Questo interesse può essere un bisogno fisiologico, un’esigenza affettiva o intellettuale. La tensione che spinge il soggetto ad agire per comprendere e spiegare si configura come un’invariante funzionale. 4. Questa tensione è volta a rispondere ad un bisogno, ovvero la ricerca di un adattamento all’ambiente. L’adattamento si attua attraverso 2 processi: L’ASSIMILAZIONE → processo attraverso il quale l’individuo utilizza ed incorpora gli stimoli esterni attraverso le strutture mentali a disposizione reagendo con risposte comportamentali sperimentate già in passato L’ACCOMODAMENTO → processo messo in atto quando le risposte apprese non risultano idonee alla situazione attuale. Gli stimoli esterni impongono situazioni diverse. 5. Le strutture mentali sono modelli che servono per rappresentare, organizzare ed interpretare le esperienze. Piaget ha distinto 3 tipi di strutture mentali: GLI SCHEMI COMPORTAMENTALI → rappresentano le strutture mentali del bambino tra 0-18 mesi di vita. È un modello di comportamento che il bambino usa per adattarsi o affrontare oggetti diversi. Con lo sviluppo questo schema si differenzia, nel senso che il bambino classifica gli oggetti distinguendoli in categorie. GLI SCHEMI SIMBOLICI → sono le strutture mentali che compaiono nel 2° anno di vita e che permettono al bambino di lavorare “mentalmente” sulle esperienze. GLI SCHEMI OPERAZIONALI → cominciano a comparire dall’età di 7 anni. Un’operazione cognitiva è una attività mentale interna che il soggetto esegue sui contenuti del pensiero per raggiungere una conclusione logica. Le strutture apprese divengono modelli di confronto delle esperienze successive. Queste strutture mentali sono strutture variabili, cioè si modificano nel tempo e diventano sempre più complesse ed articolate. 6. All’interno del processo di adattamento vengono individuati una serie di stadi graduali. Ogni stadio è caratterizzato da strutture cognitive specifiche (= strutture variabili) che lo distinguono dagli altri. GLI STADI DELLO SVILUPPO Gli stadi definiti da Piaget sono: Lo stadio senso motorio Lo stadio preoperatorio Lo stadio operatorio concreto Lo stadio operatorio formale. LO STADIO SENSOMOTORIO va dalla nascita fino a 2 anni circa ed è caratterizzato da una attività conoscitiva che si realizza attraverso le prime esperienze sensoriali e motorie. Questo stadio si divide in 6 livelli: 1. I RIFLESSI → (primo mese di vita) sono caratterizzati da semplici coordinazioni sensoriali e motorie, innate ed automatiche. 2. LE REAZIONI CIRCOLARI PRIMARIE → (dal 1° mese fino al 4° mese) il comportamento riflesso ed automatico viene sostituito da movimenti più articolati e coordinati. Questi costituiscono le prime abitudini e percezioni organizzate. 3. LE REAZIONI CIRCOLARI SECONDARIE → (dai agli 8 mesi) il bambino scopre per caso che determinate azioni che compie determina spettacoli interessanti e quindi tende a ripeterli. In questo stadio il bambino inizia a provare interesse per gli oggetti esterni. 4. IL COORDINAMENTO DEGLI SCHEMI SECONDARI E LA LORO APPLICAZIONE A SITUAZIONI NUOVE → (dall’8° al 12° mese) stadio caratterizzato dall’utilizzazione delle attività senso motorie già raggiunte finalizzandole al raggiungimento di un obiettivo. In questo stadio l’intenzionalità diventa esplicita e le risposte non vengono date per caso, ma in modo intenzionale. L’acquisizione del concetto di permanenza dell’oggetto rappresenta un punto cruciale dello sviluppo. 5. LE REAZIONI CIRCOLARI TERZIARIE → (dai 12 mesi ai 8 mesi) caratterizzato da meccanismi di sperimentazione attiva e dall’utilizzazione variata degli schemi già acquisiti. Il bambino varia i movimenti o schemi per ottenere effetti diversi. L’apprendimento avviene per prove ed errori. 6. LE COMBINAZIONI MENTALI → (dai 18 mesi ai 2 anni) in questo stadio il bambino organizza e consolida le acquisizioni precedenti trasformandole in strumenti di soluzione dei problemi. Il bambino diventa capace di risolvere i problemi senza ricorrere ad attività di prove ed errori. Questa capacità viene definita sperimentazione interna. LO STADIO PREOPERATORIO Parte dai 2 ai 7 anni ed è suddiviso da Piaget in 2 sottostadi: IL PERIODO PRECONCETTUALE → che va dai 2 ai 4 anni ed è caratterizzato dal progressivo sviluppo e dal consolidamento della funzione simbolica (= capacità di utilizzare segni e simboli che rappresentano altre cose. IL PERIODO INTUITIVO → che va dai 4 ai 7 anni ed è costituito da un’estensione del pensiero preconcettuale, nel senso che il bambino ha un’abilità di manipolare mentalmente i simboli classificandoli. Il pensiero è intuitivo in quanto la capacità di capire gli oggetti e gli eventi è ancora basata su aspetti salienti. FUNZIONE SIMBOLICA → è stata definita come la capacità di utilizzare segni e simboli per rappresentare altre cose. Con l’accesso alla funzione simbolica, il bambino manifesta nuove competenze: o L’IMITAZIONE DIFFERITA → capacità del bambino di ripetere un’azione in momenti successivi a quello in cui essa viene osservata. Secondo Piaget se un comportamento viene osservato ed imitato in un secondo momento deve esserci un magazzino che richiede che gli eventi siano codificati simbolicamente. o IL GIOCO DI FINZIONE → attività in cui il bambino ripropone in chiave ludica azioni o scene che ha osservato nella vita reale. Giochi di finzione si ritrovano anche in epoche precedenti. Già a 10 mesi il bambino fa finta di bere da una tazzina vuota, ma solo dai 2 anni nel gioco di finzione gli oggetti rappresentano cose diverse. o IL LINGUAGGIO → in questa fase si arricchisce, in quanto la funzione simbolica permette di dare un significato alle parole. Il vocabolario a 15-16 mesi è di solo 10 parole, a 18 mesi di 50 parole, a 24 mesi di 300 parole. Il bambino passa rapidamente dalla parola-frase (18 mesi) al linguaggio telegrafico (18-24 mesi) e quindi alla frase grammaticalmente corretta. EGOCENTRISMO → In questo periodo il bambino è impegnato in un’esplorazione continua dell’ambiente circostante, che gli permette di acquisire simboli nuovi per rappresentare gli oggetti. Questi simboli mantengono un carattere soggettivo ed egocentrico. Il termine egocentrismo è stato utilizzato da Piaget per indicare 2 aspetti del pensiero infantile: o o una differenziazione incompleta di sé dal mondo circostante la tendenza a percepire, capire ed interpretare il mondo dal proprio punto di vista. Il linguaggio egocentrico è caratterizzato dal fatto che il bambino non si preoccupa di adattare il suo linguaggio alla necessità dell’ascoltatore. IL RAGIONAMENTO → l’egocentrismo influenza il pensiero del bambino determinando schemi “illogici” nell’interpretazione della realtà. Piaget definisce il pensiero del bambino di questo stadio precasuale o transduttivo(= tendenza del bambino a credere, nei confronti di 2 eventi che si verificano nello stesso tempo, che l’uno è la causa dell’altro). La rigidità del pensiero del bambino è espressa dall’incapacità di tener conto contemporaneamente di 2 aspetti: acquisisce i concetti spazio-temporali di quantità, qualità e casualità, ma non è in grado di unificarli in rapporti interdipendenti. A partire dai 4 anni, nel periodo definito da Piaget pensiero intuitivo, il bambino comincia ad acquisire una rudimentale coscienza delle possibili relazioni che legano le diverse caratteristiche di uno stesso oggetto. Questa nuova fase (dai 4 ai 7 anni) comporta una parziale riduzione dell’egocentrismo, in quanto il bambino non considera più se stesso come l’origine di ogni fenomeno osservato. Ma esiste un’indifferenziazione tra le proprie attività e quelle del mondo fisico, ed il bambino tende ad attribuire agli oggetti esterni i suoi stessi poteri personali. Ciò configura l’animismo del pensiero infantile, cioè la tendenza a considerare gli oggetti dotati di coscienza , intenzionalità e movimento autonomo. LO STADIO OPERATORIO CONCRETO Va dai 7 ai 12 anni ed è caratterizzato da importanti progressi sul piano dell’organizzazione intellettuale. In questo periodo compaiono gli schemi operazionali o operazioni. L’operazione è un’azione interiorizzata: è la capacità di agire, di operare, sulle rappresentazioni per raggiungere una conclusione logica. I bambini in fase operatoria sono capaci di conservazione, cioè realizzano che alcune proprietà degli oggetti rimangono immutati quando l’apparenza degli oggetti è modificata in maniera superficiale. Secondo Piaget il concetto di conservazione è reso possibile dall’acquisizione di 2 operazioni mentali: o o LA REVERSIBILITA’ → capacità di invertire mentalmente il flusso di una azione LA COMPENSAZIONE → capacità di tener conto di più di un aspetto del problema contemporaneamente. Il bambino in questo periodo raggiunge la consapevolezza del carattere reversibile delle azioni. Quindi è in grado di svolgere un processo di pensiero reversibile (possibilità di ritorno al punto di partenza) in una qualsiasi sequenza di operazioni mentali. LO STADIO OPERATORIO FORMALE È l’ultimo stadio dello sviluppo intellettivo e va dai 12 anni in poi, è caratterizzato da un nuovo modello di pensiero, il ragionamento ipotetico - deduttivo. Nel corso di questa fase ci sono notevoli cambiamenti: l’adolescente è in grado di compiere operazioni mentali indipendentemente dalla percezione o dalla manipolazione degli oggetti concreti e al di là della situazione immediata. L’adolescente tende sempre di più a ragionare su temi astratti e più lontani dall’esperienza diretta. Inoltre in questa fase è tipica l’attrazione per problemi generali e la tendenza a spaziare nel futuro e a formulare progetti. L’APPROCCIO DELL’ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE Il modello dell’elaborazione dell’informazione si fonda sulla metafora che il cervello è visto come un elaboratore elettronico, cioè è un sistema esperto nella manipolazione dei simboli, che rappresentano il prodotto delle diverse esperienze sensoriali. Secondo questo modello l’informazione in ingresso, l’input, viene trasformata, codificata e paragonata con informazioni già presenti nella memoria a lungo termine. Poi l’informazione viene riconosciuta dando luogo a una specifica risposta, l’output. Il cervello è investito da molti dati che arrivano attraverso gli organi sensoriali. Questi dati a loro volta vengono raccolti in un registro sensoriale, che può essere immaginato come una sorta di spazio in cui per brevi istanti soggiorna lo stimolo che colpisce gli organi di senso. Il Sistema Nervoso, che viene investito da questi dati, è protetto da un sistema di controllo, denominato filtro, che ha il compito di non far passare tutti gli stimoli. Gli stimoli che passano il filtro sono di 2 tipi: STIMOLI PREPOTENTI → che si pongono in modo prepotente all’attenzione, cioè stimoli che per la loro intensità costringono il Sistema Nervoso ad analizzarli. STIMOLI IMPORTANTI → che passano il filtro non per una loro forza intrinseca, ma per l’importanza che gli conferisce il contesto. L’informazione che entra nel registro sensoriale vi rimane per poco tempo e da qui può essere o ignorata e quindi perduta, o passa il filtro ed essere sottoposta a successiva elaborazione. La seconda fase del processo di elaborazione dell’informazione è il riconoscimento che inizia con la manipolazione dell’informazione che viene analizzata,scomposta e trasformata. Tutti questi dati vengono confrontati con le informazioni che sono presenti nel Sistema Nervoso Centrale, le quali rappresentano il frutto di esperienze passate. Attraverso il confronto avviene il riconoscimento. Questo modello investe alcuni processi importanti, quali: 1. L’ATTENZIONE → che si divide in: ATTENZIONE SELETTIVA → che è il filtro che lascia passare solo i dati utili in un dato momento, bloccando tutte le altre informazioni esterne ATTENZIONE DIVISA → che è la capacità di spostare rapidamente il fuoco dell’interesse nell’esecuzione dei compiti ATTENZIONE SOSTENUTA → che è la capacità di mantenere attivo lo spazio di lavoro per tutto il tempo necessario per completare un compito. Queste diverse forme di attenzione si sviluppano nel tempo. Esistono alcuni test che permettono di misurare l’attenzione. Il più diffuso è il Continuous Performance Test. Viene presentato al bambino sul monitor del computer una sequenza di stimoli e fra di essi viene stabilito uno stimolo bersaglio (target). Il bambino non deve fare altro che stare attento e premere un tasto quando sul monitor compare lo stimolo target. Gli errori che il bambino può compiere sono di omissione (capacità di mantenere l’attenzione) o di commissione (in relazione all’impulsività). Con questo test si è visto che gli errori diminuiscono con l’aumentare dell’età. 2. LE STRATEGIE DI RISOLUZIONE DEI PROBLEMI → gli elementi utili ad attivare i sistemi di conoscenza sono i tratti distintividello stimolo; i sistemi di conoscenza possono essere visti come il deposito di dati presenti nella memoria del Sistema Nervoso, frutto di esperienze precedenti. Nell’approccio dell’elaborazione dell’informazione, il processo di riconoscimento rappresenta un complesso procedimento di analisi di molti dati: o o o dati intrinseci allo stimolo dati relativi al contesto in cui lo stimolo è inserito dati già in possesso quale frutto di pregresse esperienze. 3. LA MEMORIA → questo termine viene utilizzato per indicare che il Sistema Nervoso riesce a mantenere una traccia delle esperienze. Questa traccia può essere stabile o labile e permanente o transitoria. Il concetto di memoria investe molti aspetti: LA CLASSIFICAZIONE DELLE DIVERSE FORME DI MEMORIA → la memoria può essere distinta in 3 componenti: o LA MEMORIA ISTANTANEA → svolge un ruolo importante in quanto permette l’elaborazione del messaggio verbale mentre l’interlocutore va avanti nel discorso. Inoltre è fondamentale per la percezione del movimento o LA MEMORIA A BREVE TERMINE → è quello spazio di lavoro in cui l’informazione rimane per un tempo variabile da pochi secondi a diversi minuti. Questa memoria trattiene l’informazione per il giusto tempo che serve per effettuare un determinato compito o LA MEMORIA A LUNGO TERMINE → in cui vengono collocati i prodotti dei vari apprendimenti. Essa conserva l’informazione in modo permanente. Un altro modo di classificare la memoria fa riferimento ai contenuti della memoria, vale a dire: o Se la traccia in memoria è di natura visiva, si parla di MEMORIA VISIVA o Se la traccia riguarda il ricordo della collocazione di un particolare oggetto, si parla di MEMORIA VISUO-SPAZIALE o Se la traccia riguarda il ricordo del nome di un particolare oggetto, si parla di MEMORIA SEMANTICO-LESSICALE o Se la traccia riguarda il ricordo di una particolare melodia, si parla di MEMORIA MUSICALE o Se la traccia riguarda il ricordo di un particolare suono, si parla di MEMORIA UDITIVA o Se la traccia riguarda il ricordo di una particolare sensazione tattile, si parla di MEMORIA TATTILE o Se la traccia riguarda il ricordo di una particolare sensazione motoria, si parla di MEMORIA CINESTESICA o Se la traccia riguarda il ricordo di un particolare odore, si parla di MEMORIA OLFATTIVA o Se la traccia riguarda un particolare sapore, si parla di MEMORIA GUSTATIVA. Ognuna di esse può configurarsi come traccia transitoria e quindi sia nella memoria a breve termine che nella memoria a lungo termine. Un altro tipo di classificazione fa riferimento alle modalità con cui la traccia in memoria riesce o meno ad essere oggetto di rielaborazione cosciente. Si distinguono 2 tipi di memoria: LA MEMORIA ESPLICITA O DICHIARATIVA → è quella forma di memoria i cui contenuti possono essere verbalizzati e/o sottoposti ad una elaborazione cosciente o LA MEMORIA PROCEDURALE → è quella forma di memoria che comprende atti, gesti o comportamenti complessi che si svolgono in maniera automatica, al di fuori del controllo della coscienza. LE STRATEGIE DI RECUPERO DEI DATI IN MEMORIA → un aspetto importante è quello relativo alle modalità con cui l’informazione depositata viene recuperata. Le strategie di recupero sono: o IL RICONOSCIMENTO → quando uno stimolo entra nel Sistema Nervoso esso viene analizzato, scomposto e trasformato. o LA RIEVOCAZIONE → consiste nel portare alla coscienza un contenuto di memoria non sulla base di un confronto con uno stimolo analogo, ma in relazione ad una richiesta di natura verbale. LE MODALITA’ DI RAPPRESENTAZIONE DELLA COSCIENZA (= DATI APPRESI E MEMORIZZATI) → il tipo di rappresentazione della conoscenza dipende dalla natura dell’informazione che deve essere codificata. Una stessa informazione può essere codificata in forme differenti. SVILUPPO DELLA MEMORIA IN ETA’ EVOLUTIVA → in tutti i test di memoria effettuati il bambino ha delle prestazioni inferiori rispetto a quelle dell’adulto. Ma in alcuni casi, come la memoria di riconoscimento, non è molto diversa tra l’adulto e il bambino. Quello che sicuramente è differente fra l’adulto e il bambino è la memoria di rievocazione perché il bambino non si è appropriato ancora di quelle tecniche che gli adulti utilizzano per ricordare. Una di queste è la reiterazione verbale (che consiste nel ripetere “sotto voce”). Per ricordare l’adulto utilizza anche altre strategie. Sono strategie che rimandano al concetto di: o METAMEMORIA → è la conoscenza sulla memoria e come tale rappresenta un tipo particolare di metacognizione, che consiste nella “conoscenza della conoscenza”, cioè nella capacità di comprendere e di riflette su ogni aspetto del pensiero umano. o Quello che c’è di differente nel bambino è appunto la meta memoria e quindi tutte le strategie che servono a ricordare. Solo progressivamente il bambino impara a riflettere sulla propria memoria e quindi a ricordare. 4. PROCESSI DI CONTROLLO → sono dei processi che hanno la funzione di dirigere le attività da eseguire. Le finalità dei processi di controllo sono: Attivare i programmi analizzatori dello stimolo Modificare le distorsioni dei canali sensoriali Attivare il meccanismo di reiterazione Modificare il flusso di informazioni dal registro sensoriale al magazzino a breve termine Codificare e trasferire informazioni dal magazzino a breve termine a quello a lungo termine Iniziare o modificare la ricerca dal magazzino a lungo termine Stabilire i criteri di decisione Avviare il generatore di risposte. 7 CAPITOLO LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO Il linguaggio verbale è solo uno degli strumenti con cui una persona comunica con l’altro. Esistono diversi tipi di linguaggio che l’individuo utilizza per comunicare. Comunicare significa produrre un segnale con lo scopo di trasmettere a chi lo riceve un proprio bisogno, un’emozione o un’informazione. La comunicazione viene utilizzata intenzionalmente per raggiungere uno scopo. Questi può essere: RICHIESTIVA → finalizzata a richiedere qualcosa o che qualcuno faccia qualcosa DICHIARATIVA → ha lo scopo di comunicare un proprio stato con lo scopo di renderne partecipe l’altro. La comunicazione, sia rischi estiva che dichiarativa, può utilizzare diversi strumenti, rappresentati da: La mimica facciale I gesti L’atteggiamento posturale Il linguaggio verbale e scritto Per utilizzare questi strumenti il bambino deve comprendere: Il valore comunicativo degli strumenti Il significato che hanno le cose che l’altro fa L’importanza del contesto nel modificare il significato di un dato messaggio L’acquisizione di questi strumenti permette al bambino di comprendere quello che l’altro vuole comunicargli. LE BASI ANATOMO-FUNZIONALI DEL LINGUAGGIO Il linguaggio è una funzione complessa che si realizza nel tempo attraverso la maturazione e lo sviluppo di una serie di strutture, rappresentate da: Organi fonoarticolatori Apparato sensopercettivo Strutture encefaliche “generiche” Strutture encefaliche “specifiche” Aree e fibre associative encefaliche Apparato sensopercettivo → per poter organizzare il linguaggio bisogna poter ricevere i messaggi sonori. Questo aspetto è garantito dall’orecchio e dalle sue strutture specifiche. Strutture encefaliche specifiche → all’organizzazione del linguaggio partecipano alcune strutture encefaliche specifiche, in particolare l’area di Wernicke (centro verbo-acustico) e l’area di Broca (centro verbo-motorio). Una lesione in un’area situata nella regione del lobo temporale medio dell’emisfero dominante comporta l’incapacità di “capire” il senso di quello che ascolta. Encefalo nella sua globalità → l’encefalo partecipa all’organizzazione del linguaggio non solo nei centri specifici, ma anche in tutta la sua globalità. Il patrimonio di conoscenze che possediamo è una funzione dell’encefalo nel suo complesso. Questo patrimonio di conoscenze non si riferisce solo ad un bagaglio nozionistico, che permette di capire quello di cui l’altro parla, ma anche ad un bagaglio di esperienze interpersonali ed affettivo - relazionali, che permette di attribuire il significato ad un enunciato verbale in rapporto al contesto. Apparato di trasmissione degli impulsi → tutto ciò che l’encefalo “pensa”, “pianifica” ed “organizza” viene mandato in esecuzione attraverso gli impulsi che, attraverso i nervi, raggiungono le strutture dell’apparato fonoarticolatorio. Apparato fonoarticolatorio → l’emissione dei vari suoni che compongono il linguaggio avviene attraverso l’emissione di aria dalla trachea alla laringe. LA STRUTTURA DEL LINGUAGGIO La funzione linguistica si organizza secondo una serie di regole che il soggetto pian piano acquisisce per poter utilizzare in maniera corretta il linguaggio. Queste regole si configurano come competenze che riguardano: Il riconoscimento e la gestione dei suoi che compongono il linguaggio (COMPETENZA FONOLOGICA) Il riconoscimento e la gestione delle parole e delle regole che le legano nelle frasi (COMPETENZA SINTATTICA) L’attribuzione del significato delle parole e delle frasi (COMPETENZA SEMANTICA) Il riconoscimento del significato di una frase sulla base delle informazioni extraverbali e contestuali, indipendentemente dal significato letterale (PRAGMATICA) La capacità di parlare e di comprendere il linguaggio deriva dall’integrità anatomica e funzionale dei vari organi implicati e dallo sviluppo di queste competenze che definiscono la struttura del linguaggio. FONOLOGIA → studia l’organizzazione e la funzione dei suoni del linguaggio, cioè studia i suoni distintivi di una lingua. Queste unità distintive vengono definite fonemi. Il mutamento di un fonema può cambiare il significato di una parola, formandone una nuova. MORFOLOGIA → i fonemi da soli non hanno alcun significato. Essi vengono combinati fra loro per poter diventare unità significative, definite morfemi. La morfologia è il sistema di regole che determina le modalità d’uso dei morfemi. SINTASSI → studia i criteri in base ai quali vanno associate le parole affinché una frase che abbia senso. PRAGMATICA → studia gli aspetti extraverbali del linguaggio, cioè quegli aspetti che regolano l’uso del linguaggio in rapporto ai differenti contesti e alle diverse situazioni. Un aspetto molto importante è la variazione che assume la forma di un enunciato in rapporto alla persona a cui ci si rivolge. La consapevolezza del contesto condiziona sia la forma dell’enunciato che il contenuto. Nella pragmatica rientra anche la capacità del ricevente di andare al di là del significato letterale di un enunciato verbale, aiutandosi con la mimica, l’intonazione e lo stato d’animo del “parlante”. Una comprensione del linguaggio che va al di là del significato letterale permette di rendersi conto che una domanda espressa verbalmente può assumere significati diversi e quindi prevede risposte diverse. LE TAPPE DEL LINGUAGGIO Le tappe del linguaggio si dividono in 2 fasi: FASE PREVERBALE → che dura fino ai 10-12 mesi. I suoni che il bambino emette in questa fase rappresentano un esercizio fono-articolatorio, di preparazione al linguaggio vero e proprio. A partire dalla sesta settimana il bambino inizia ad emettere dei vocalizzi, cioè suoni rappresentati da vocali. A partire dai 3-4 mesi il bambino inizia a produrre suoni consonantici. A 6 mesi il bambino inizia a mettere insieme suoni vocalici e consonantici per formare una sillaba, questa è la fase del balbettio. Queste sillabe vengono spesso ripetute dando l’impressione ai genitori che il bambino abbia cominciato a dire le prime parole. Il bambino esercita un controllo consapevole delle sue vocalizzazioni: ripete suoni di proposito, li allunga, fa delle pause, in una sorta di pseudo-linguaggio, conosciuto come lallazione. Verso i 10-12 mesi il bambino riesce ad imprimere alla sua produzione sonora inflessioni e schemi simili a quelli dei genitori. Il bambino sin da piccolo non è solo attento alla voce ma è anche in grado di riconoscere e discriminare i suoni del linguaggio. L’assenza del linguaggio in questa fase non indica che il bambino non è in grado di comunicare, ma utilizza una serie di segnalatori molto efficaci, quali il pianto, il sorriso, le espressioni mimiche, i gesti e gli atteggiamenti posturali. Con l’acquisizione della padronanza del corpo, il bambino arricchisce le sue capacità espressive: infatti a partire dai 4 mesi inizia a tendere le braccia per essere preso in braccio. A partire dagli 8-9 mesi infine il bambino utilizza forme più evolute di comunicazione attraverso i gesti (linguaggio gestuale), come ad esempio l’indicare con il dito. Anche in assenza di linguaggio, si configura, fin dalle prime fasi dello sviluppo, una motricità con elevato significato comunicativo. I movimenti del corpo diventano il tramite fra il mondo soggettivo e l’ambiente e permettono al bambino di comunicare ancor prima di possedere il linguaggio FASE VERBALE → inizia verso i 10-12 mesi, quando compare il linguaggio propriamente detto. Le tappe che caratterizzano questa fase variano da bambino a bambino LE PRIME PAROLE → verso i 10-12 mesi emergono fonemi mono o bisillabici che si configurano come parole. Fino a 15-16 mesi il vocabolario è povero, in quanto limitato a circa 5-10 parole, ma nel corso dei mesi successivi si ha un incremento elevato. IL LINGUAGGIO OLOFRASTICO → prima di associare più parole per formare delle frasi, il bambino utilizza singole parole per comunicare interi messaggi. Il bambino, cioè, aiutandosi con i gesti e con la mimica, esprime con una sola parola significati complessi. Questo periodo viene anche definito periodo della parola-frase. IL LINGUAGGIO TELEGRAFICO → a partire dai 18-24 mesi il bambino comincia a mettere insieme 2 o più parole per formare delle frasi. Queste prime frasi vengono però abbreviate. Nonostante queste frasi siano brevi, vengono create seguendo alcune regole: ad esempio il bambino rispetta una regolarità sistematica nell’rodine delle parole, in accordo ai rapporti grammaticali fondamentali del soggetto della proposizione, del predicato e del complemento oggetto del verbo. Relativamente al significato che il bambino attribuisce alle parole, in questa fase di sviluppo si verificano degli “errori”. Uno dei più frequenti è l’iperestensione, cioè il bambino collega ad una parola una varietà di oggetti o di eventi più ampia di quella indicata dagli adulti. Se le iperestensioni sono gli errori più frequenti, si possono riscontrare anche delle ipoestensioni, cioè il bambino collega ad una parola un significato specifico senza estenderla all’intera classe cui fa riferimento. IL LINGUAGGIO IN ETA’ PRESCOLARE → a partire dai 24-36 mesi, in questa fase compaiono i funtori o flessioni grammaticali o morfemi grammaticali, cioè il bambino inizia ad utilizzare i plurali, gli ausiliari, il tempo passato e le preposizioni. Un aspetto importante nello sviluppo linguistico di questo periodo è rappresentato dall’ipergrammatismo, cioè il bambino una volta che ha appreso una regola relativa ad un morfema grammaticale tende a generalizzarla. IL LINGUAGGIO IN ETA’ SCOLARE → i successivi progressi nello sviluppo di forme grammaticali complesse sono legati alla padronanza delle regole trasformazionali. La padronanza di queste regole, che si sviluppa nel corso dell’età scolare, investe non solo la produzione, ma anche la comprensione. LE TAPPE SULLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Il linguaggio rappresenta la caratteristica distintiva del comportamento umano ed occupa un posizione primaria nelle interazioni sociali e nel funzionamento cognitivo. Le origini del linguaggio risultano ancora oggi mal definite. Le varie teorie suggerite sono riconducibili a 3 approcci fondamentali: 1] L’APPROCCIO AMBIENTALISTA → alle ipotesi proposte si collocano: LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO STIMOLO-RISPOSTA DI SKINNER → enfatizza l’importanza dell’ambiente. In un libro intitolato Verbal Behavior, Skinner sosteneva che i bambini imparavano a parlare correttamente se erano rinforzati sull’uso del linguaggio grammaticale. Gli adulti modellano il linguaggio del bambino rinforzando la lallazione, quindi sarebbe l’adulto che rinforzando il linguaggio del bambino lo modifica. L’approccio di Skinner è stato molto criticato in quanto tende a considerare il bambino come un organismo “passivo” e “vuoto”, capace di rispondere solo a stimoli e rinforzi esterni. L’APPRENDIMENTO SOCIALE → è proposto da Albert Bandura e altri seguaci della teoria dell’apprendimento sociale, i quali sostengono che la maggior parte di ciò che il bambino apprende è frutto dell’osservazione e dell’imitazione del comportamento di un modello. L’imitazione svolge un ruolo importante nell’arricchimento del vocabolario e nell’apprendimento di alcune strutture sintattiche, ma non riesce a spiegare la ricchezza e la varietà delle espressioni che il bambino acquisisce. Il linguaggio del bambino è molto creativo. Molte delle prime fasi che il bambino utilizza sono originali e quindi non possono essere stare imitate dall’adulto. LE INFLUENZE AMBIENTALI → in tale ambito rientrano vari orientamenti che tendono ad enfatizzare il ruolo del contesto nello sviluppo del linguaggio. Nelle prime relazioni adulto-bambino è stato individuato uno stile espressivo molto particolare, utilizzato dalle madri, che è stato definito madrese o mammarese o linguaggio puerile. Il madrese: è parlato con toni alti e con un ritmo più lento,sono presenti pause molto evidenti, le frasi sono corte e corrette, i periodi sono semplici e le ripetizioni delle stesse frasi hanno un lessico limitato. Anche l’ambiente socio-culturale è in grado di influenzare lo sviluppo linguistico. Tra le classi sociali esistono differenze di linguaggio molto notevoli. Bernstein ha definito linguaggio formale quello proprio delle classi medio - superiori. Le classi sociali svantaggiate usano invece il linguaggio pubblico. 2] L’APPROCCIO INNATISTA → le teorie innatiste hanno preso spunto dall’incapacità delle influenze ambientali di spiegare la ricchezza e la varietà delle acquisizioni linguistiche. Lo sviluppo del linguaggio segue un percorso che riconosce momenti critici, comuni a tutti gli individui, che sono la lallazione, la comparsa delle prime parole, arricchimento degli elementi extraverbali, parole-frasi, forme semplici nel linguaggio telegrafico e frase grammaticalmente completa. Secondo gli innatisti, indipendentemente dall’ambiente, il linguaggio si sviluppa in rapporto alla maturazione di una serie di meccanismi programmati. Noam Chomsky è il teorico che, più di altri, ha sostenuto questa posizione. Secondo Chomsky il linguaggio non si impara, ma si manifesta o emerge come parte del processo di maturazione. L’individuo dispone di un apparato per l’acquisizione del linguaggio che consente al bambino di elaborare il linguaggio, costruire regole e di comprendere e produrre un opportuno linguaggio. Come la maturazione delle capacità fisiche, ad esempio camminare, ha bisogno dell’aiuto dell’ambiente, anche la maturazione del linguaggio necessita di un aiuto. Dan Slobin, invece, non crede che i bambini abbiano una conoscenza innata del linguaggio, ma ritiene che essi abbiano una innata capacità di costruire il linguaggio. Slobin utilizza il termine di operativi per indicare la presenza di una serie di strategie che inducono il bambino a prestare attenzione ai suoni iniziali e finali di una determinata sequenza motoria ed inferire le regolarità fonologiche, le relazioni semantiche e le regole di sintassi che caratterizzano qualsiasi linguaggio ascoltato. 3] L’APPROCCIO INTERAZIONISTA → i sostenitori dell’approccio interazionista riconoscono che i bambini sono preparati ad acquisire il linguaggio. Essi sostengono che ciò che è innato è un generale preadattamento ad interagire attivamente con l’ambiente. Questo pre-adattamento si realizza attraverso la maturazione e lo sviluppo di un sistema cognitivo in grado di elaborare sia gli input linguistici che tutti gli apporti esperienziali per organizzarli in sistemi di conoscenza sempre più evoluti. In questo approccio vanno interpretati alcuni aspetti molto evidenti nello sviluppo del linguaggio: Le prime parole che un bambino pronuncia riguardano oggetti che possono essere manipolati o azioni che sono state compiute Il massimo sviluppo del linguaggio si verifica a 24 mesi, quando il bambino accede al pensiero rappresentativo, ovvero quando egli è capace di manipolare segni e simboli per rappresentare altre cose. Nelle situazioni in cui si verifica un ritardo nella comparsa del gioco simbolico e nell’imitazione si determina parallelamente un ritardo del linguaggio Le ipergeneralizzazioni sono legate all’incapacità del bambino di classificare Le iperreogolarizzazioni, utilizzate dagli innatisti come prova della creatività del linguaggio del bambino, sono riprese dagli interazionisti come testimonianza di un processo cognitivo generale. Il bambino, cioè, è un organismo programmato per interagire attivamente con l’ambiente, che lo porta e riguarda n sia l’area linguistica che quelle cognitive La costruzione di frasi ipotetiche avviene sempre alla stessa età, e cioè verso i 5-6 anni. Secondo gli interazionisti gli universali linguistici riflettono un’interazione fondamentale tra la maturazione biologica, lo sviluppo cognitivo e l’ambiente linguistico. 8 CAPITOLO LA PRESA DI COSCIENZA DI SE’ Nell’acquisizione della coscienza di sé, come persona, il bambino passa attraverso una serie di fasi che ha inizio nell’epoca neonatale. Molti autori concordano sul fatto che esiste una spinta che, fin dalla nascita, porta il bambino a conoscere, capire, agire ed interagire. Questa spinta gli consente di raccogliere una serie di informazioni che provengono dai vari organi di senso. Il bambino comincia gradualmente a differenziare le sensazioni che provengono dall’esterno, da quelle che provengono dall’interno. Il bambino impara a differenziare l’oggetto che è nella mano, dalla mano che lo contiene e che gli appartiene. La prima scoperta che il bambino fa è quella del corpo. Ciò avviene attraverso un’investigazione delle parti del proprio corpo: guardarsi le mani, portarle alla bocca e vederle in azione; guardarsi i piedi, toccarli e portarli alla bocca, etc. L’eliminazione non si limita al proprio corpo, ma si estende alle parti del corpo dell’altro. Questa esplorazione del proprio corpo avviene in modo sistematico. Il lattante: Nel primo mese porta le mani alla bocca A 2 mesi comincia a guardare con interesse le proprie mani A 3 mesi congiunge le mani, le guarda e le porta alla bocca A partire dai 4 mesi estende la sua esplorazione a tutto il corpo, toccandosi la pancia, le gambe e, verso gli 8 mesi, i piedi, che grazie all’ipotonia presente in questo periodo riesce anche a portare alla bocca Il bambino nei primi mesi di vita fissa il volto dell’altro, ne esamina i contorni, ne tocca le parti in movimento, si sofferma su alcuni particolari interessanti, guarda le mani dell’altro, si aggrappa al corpo dell’altro e vi si adatta. Questo adattamento posturale del bambino al corpo dell’altro, quando ad esempio viene preso in braccio, è un comportamento ricco di implicazioni motorie, emotive e relazionali, definito dialogo tonico che è un aspetto molto importante. L’aspetto di questo dialogo rimanda alla madre la spiacevole sensazione di non saper tenere il bambino in braccio. In questo processo di scoperta del corpo c’è un momento cruciale e critico, cioè un momento in cui il bambino arriva alla formazione di un modello interno del corpo. Lo schema corporeo, che è il momento in cui il bambino accede alla rappresentazione mentale del corpo e rappresenta un quadro di riferimento topologico che permette la localizzazione, la discriminazione, il riconoscimento degli stimoli e la consapevolezza della posizione del corpo o delle sue parti nello spazio. Lo schema corporeo viene acquisito verso i 9 mesi. All’età di 9 mesi il bambino prende coscienza del corpo come un tutt’uno, ma non riesce ad accedere all’autocoscienza del proprio corpo, che è un’acquisizione che si raggiunge in epoche successive. All’età di 8-9 mesi, secondo Piaget, il bambino riconosce un’esistenza autonoma dell’oggetto, che esiste anche quando non è nel suo campo percettivo. Secondo Spitz il bambino entra nello stadio dell’oggetto, cioè nella fase dell’oggettivazione ed inizia a fare i conti con l’ansia di separazione e con la paura dell’estraneo. Il bambino a partire dai 9 mesi comincia ad effettuare gesti e particolari espressioni su richiesta dei familiari: fare ciao, battere le mani o mimare espressioni di falso stupore. Si tratta di comportamenti finalizzati a ricevere la sua approvazione. Il bambino comincia a adottare comportamenti finalizzati a mettersi in mostra. Questi comportamenti, insieme al desiderio di stare al centro dell’attenzione, corrispondono al piacere di piacere. Intorno ai 2 anni il bambino accede alla fase dell’autoriconoscimento, una tappa fondamentale nell’evoluzione dell’identità personale. Con riferimento alle esperienze dello specchio, il bambino non si limita più a riconoscere all’immagine di un corpo, ma realizza che quell’immagine che vede riflessa rappresenta l’involucro che lo contiene e che lui stesso può rappresentarsi nella mente. Egli ha coscienza che questo corpo che vede ha una sua forma e un suo pensiero. Questi è l’autocoscienza. L’acquisizione della coscienza di sé induce il bambino a modificare le modalità relazionali con l’ambiente circostante che si caratterizza con tendenza ad attirare l’attenzione su di sé. Altri segni di progresso nella formazione di questa identità sono l’utilizzazione della prima persona (“io”) e del pronome possessivo (“mio”), sul piano verbale, e le accentuate manifestazioni della nozione di proprietà, sul piano comportamentale. Questo periodo viene anche definito fase dell’oppositività, in quanto il bambino, avendo preso coscienza di sé come persona, tende ad opporsi a tutte le richieste per affermare la sua personalità. In quest’età si configura una vera e propria crisi di personalità che spinge il bambino ad imporsi alla famiglia. Con l’entrata nel gruppo il bambino inizia a confrontarsi con i coetanei, ricevendo ed elaborando una serie di dati relativi a se stesso: le sue caratteristiche fisiche, le sue competenze motorie, le sue abilità prestazionali, etc. All’età di 5 anni il bambino è in grado di fornire una descrizione di sé, che è limitata ad un elenco di attributi generici, quali l’età che ha, la statura, il sesso a cui appartiene, etc. A partire dai 7 anni, la descrizione che il bambino fornisce di se stesso è molto più articolata e completa. Egli non si limita più a descrivere i propri attributi fisici o alcuni aspetti del proprio comportamento, ma comincia a fornire dettagli relativi alle proprie qualità interiori. Fra i 7 e gli 11 anni il bambino comincia a fornire una descrizione di sé molto più ricca e articolata, con riferimento ad una serie di aspetti psicologici che lo caratterizzano. Solo con l’adolescenza il soggetto arriva ad una completa coscienza di sé. Compare, cioè, la capacità di riflessione sul proprio aspetto fisico, sui tratti temperamentali e sugli stati emotivi che caratterizzano il suo modo di essere e rapportarsi alla realtà circostante. Nel processo di conoscenza di sé si inseriscono 2 aspetti importanti: L’IDENTITA’ DI GENERE → il bambino si confronta con le caratteristiche del proprio sesso. Il primo aspetto che il bambino deve chiarirsi è che esistono 2 sessi, il maschile e il femminile, e deve rendersi conto a quale sesso egli appartiene. Questa capacità del bambino viene chiamata identità sessuale, che viene raggiunta intorno ai 3 anni. Solo all’età di 4 anni il bambino raggiunge la stabilità del genere, intesa come la capacità di rendersi conto che il genere rimane tale per tutta la vita, come caratteristica propria di ciascun individuo. Verso i 7 anni il bambino sviluppa un concetto di costanza del genere, cioè egli capisce che una persona conserva lo stesso genere nonostante i possibili cambiamenti esteriori. A partire dai 7 anni il bambino è in grado di applicare il concettosi conservazione anche al genere. Ogni genere possiede una serie di caratteristiche distintive, che rappresentano il concetto di ruoli sessuali. I ruoli sessuali rappresentano l’insieme dei comportamenti, dei diritti, dei doveri, degli atteggiamenti previsti dalla cultura di appartenenza per ciascun genere (maschile e femminile). Il bambino dopo aver acquisito il concetto di identità sessuale impara a comprendere anche i ruoli sessuali. L’AUTOSTIMA → definita come la valutazione delle qualità che l’individuo percepisce come proprie. L’autostima può essere: ALTA → che significa avere sentimenti positivi verso i propri attributi BASSA → che significa avere una scarsa considerazione di sé e delle proprie capacità. Questa autovalutazione si riferisce a varie competenze, raggruppate in 4 aree: COMPETENZA COGNITIVA → si riferisce al concetto che il bambino sviluppa nei riguardi delle sue capacità di apprendere, ricordare e capire COMPETENZA SOCIALE → riguarda la capacità di riuscire a stabilire validi rapporti interpersonali e di essere accettato dal gruppo COMPETENZA FISICA → si riferisce alla capacità di riuscire a competere in maniera soddisfacente in attività motorie e/o sportive e di essere abile in giochi di movimenti COMPETENZA GENERALE DI SE’ → riguarda più in generale il sentimento di padronanza di se stesso e la soddisfazione per le caratteristiche che lo definiscono come persona. Per poter esprimere un giudizio su se stesso, il bambino deve aver raggiunto l’autocoscienza, cioè la capacità di percepirsi come persona. Lo sviluppo dell’autostima, o meglio il grado di autostima, è legato ad una serie di fattori sia ambientali che quelli legati al bambino. Per quanto riguarda l’ambiente significativo, è stato dimostrato che la qualità degli atteggiamenti delle figure di accadimento svolge un ruolo critico nello sviluppo dell’autostima, o meglio influisce sullo sviluppo dell’autostima. Per quel che riguarda i fattori legati al bambino, essi sono da riferire a difficoltà che egli può presentare. Il bambino, a partire dai 5-6 anni, impara a riconoscere e a capire le differenze fra le sue capacità e quelle degli altri e a sviluppare i livelli di autostima. L’autostima dipende dal modo in cui gli altri ci percepiscono e reagiscono al nostro comportamento. 9 CAPITOLO LA PRESA DI COSCIENZA DELL’ALTRO Come già accennato a proposito dello sviluppo percettivo, la presa di coscienza del volto umano subisce notevoli progressi nei primi mesi di vita. L’esame sistemico delle parti del volto e delle modificazioni che assumono permettono al bambino di giungere a 2 importanti conquiste complementari: L’identità del volto La variabilità di uno stesso volto in rapporto a determinate circostanze Il bambino impara che uno stesso volto può assumere configurazioni percettivamente diverse, ciascuna delle quali ha uno specifico significato. La capacità del bambino di riconoscere in maniera definita l’altro è espressa in maniera evidente intorno al 3° mese di vita con la comparsa del sorriso al volto umano. A questa età il bambino non sorride solo al volto della madre o dei familiari, ma anche ad una semplice maschera che raffigura i caratteri del volto. All’età di 8 mesi il bambino giunge alla definizione dell’altro come una persona autonoma. Questa consapevolezza dell’altro come persona è alla base di 2 paure comuni nella prima infanzia: LA PAURA DELL’ESTRANEO → è una reazione emotiva negativa che il bambino mette in atto alla comparsa di una figura non familiare L’ANSIA DI SEPARAZIONE → è una reazione emotiva negativa che compare quando il bambino vede che la madre si allontana. Queste 2 paure rappresentano una testimonianza dell’avvenuta capacità da parte del bambino di percepire l’altro come entità fisica dotata di esistenza autonoma, che può essere presente ma può anche allontanarsi (ansia di separazione), e di effettuare un confronto discriminatorio fra figure conosciute e figure sconosciute. Nel processo di conoscenza di se stesso e dell’altro, il bambino non si limita scoprire le caratteristiche fisiche del suo corpo e di quello dell’altro, ma impara a conoscere e riflettere sugli stati mentali propri e altrui. Gli stati mentali vengono intesi come: EMOZIONI → il bambino, nel suo percorso di conoscenza, analizza ed elabora non solo gli stimoli fisici, ma anche i comportamenti degli altri e le reazioni emotive che li accompagnano, cioè il bambino impara a riflettere sulle emozioni e a riconoscerle negli altri. Questo comporta l’interesse del bambino per l’altro e la voglia di relazionarsi con esso DESIDERI CREDENZE Una serie di ricerche ha messo in evidenza la capacità del neonato di imitare espressioni mimiche. Le esperienze cui fa riferimento sono quelle di Meltzof e collaboratori, i quali ritengono che l’aspetto eccezionale dell’imitazione a questa età risiede nel fatto ch il bambino non può effettuare un confronto visivo diretto fra il proprio volto e quello dell’adulto e che quindi sia una capacità innata. Il repertorio comportamentale del bambino, indicativo del processo in base al quale impara a conoscere e gestire le emozioni, si arricchisce di nuove modalità espressive. Sotto questo aspetto un’importanza particolare assume lo sguardo referenziale, che indica un comportamento evidenziabile a partire dal 6° mese di vita, rappresentato dal guardare la madre per stabilire con essa un’esperienza di sintonizzazione emotiva. Lo sguardo referenziale, oltre a mediare questa funzione di sintonizzazione emotiva, assolve molte altre funzioni. Esso può assumere un significato comunicativo, sia in senso richiestivo (per richiedere) che dichiarativo (per rendere partecipe l’altro di un proprio interesse). In senso richiestivo, lo sguardo referenziale è messo in atto quando il bambino sposta lo sguardo da un oggetto, lontano dalla sua portata, alla madre affinché glielo prenda. In senso dichiarativo, lo sguardo referenziale rientra in un repertorio di comportamenti che assolvono ad una funzione più complessa, definita attenzione condivisa, considerata come un bisogno o volontà di condividere con l’altro un comune fuoco di interesse. Essa si realizza attraverso una serie di comportamenti messi in atto dal bambino per richiamare l’attenzione dell’altro sull’oggetto per renderlo partecipe dei suoi interessi. I comportamenti che realizzano questo bisogno di attenzione congiunta cominciano a comparire dai 9 mesi di vita e sono rappresentati da: Sguardo referenziale Indicare con il dito Mostrare Dichiarare verbalmente Dopo aver preso coscienza dell’altro e dei suoi comportamenti, il bambino comincia a comprendere che i comportamenti dell’altro sono dettati dalla volontà di rispondere a determinati desideri. A partire dai 14-15 mesi il bambino ripropone nel gioco di finzione sequenze comportamentali che ha visto nella realtà. Una tappa decisiva nella presa di coscienza degli stati mentali dell’altro e dei suoi comportamenti è capire quello che gli altri credono riguardo ad alcuni aspetti della realtà e che condiziona il loro comportamento. Per arrivare a questa competenza sono implicite alcune capacità, quali: La capacità di capire che gli altri hanno delle loro convinzioni relativamente ad alcuni aspetti della realtà La capacità di capire che quello che gli altri credono può essere falso La capacità di capire che gli altri si comporteranno in rapporto a quello che loro credono, indipendentemente dal fatto che sia falso o vero. Queste capacità rientrano nella Teoria della Mente, cioè la capacità del bambino di riflettere sulle emozioni, sui desideri e sulle credenze proprie ed altrui e di comprendere il comportamento degli altri in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che l’altro sente, desidera o conosce. Secondo molti teorici di questo approccio la capacità del bambino di pensare a quello che gli altri pensano, desiderano o credono viene raggiunta all’età di 4 anni circa. 10 CAPITOLO IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE Un ruolo importante nello sviluppo della personalità spetta ai fattori socio-culturali che contribuiscono a determinare le caratteristiche personali dell’individuo. Ogni soggetto umano vive in uno specifico ambiente sociale, caratterizzato da una propria cultura, consistente nell’insieme di valori, norme, conoscenze, modi di pensare e agire. Sin dall’inizio della vita, il bambino è quindi sottoposto a seguire certi modelli di comportamento accettabili o desiderabili. LE RELAZIONI PRECOCI Il neonato nasce con una predisposizione innata ad agire ed interagire con l’altro, che si fonda su una specifica organizzazione anatomica e funzionale del Sistema Nervoso Centrale. Questa organizzazione si traduce in 2 aspetti importanti: La presenza di una motivazione intrinseca ad entrare in uno scambio relazionale con l’altro, definita pulsione sociativa, intersoggettività primaria o empatia non inferenziale La dotazione innata di un apparato senso – percettivo - motorio, che permette al neonato di cogliere i segnali sociali e privilegiarli rispetto agli altri. La prima persona con cui il bambino stabilisce un rapporto sociale è la madre, con la quale instaura una relazione stabile e continuativa. I rapporti che si stabiliscono durante i primi mesi di vita fra il bambino e la madre sono tanto intimi da configurare un’unità inscindibile, denominata diade o relazione diadica. l’aspetto che colpisce in questa relazione è l’attaccamento del bambino alla madre e della madre al bambino. L’attaccamento può essere definito come un legame emotivo fra due persone. L’esistenza di un attaccamento è testimoniata dalla presenza di comportamenti di attaccamento, finalizzati a ricercare e mantenere la vicinanza con una figura per cui si prova attaccamento. Esistono varie ipotesi circa la natura dell’attaccamento: PROSPETTIVA PSICOANALITICA → secondo Freud l’attaccamento del bambino alla madre era legato al fatto che essa soddisfa i suoi bisogni alimentari. Di conseguenza tutte queste esperienze affettive del neonato sono dovute all’urgenza dei bisogni fisiologici fondamentali, i quali provocano sensazioni di disagio o di piacere che si alternano continuamente. All’inizio la madre è solo uno strumento per soddisfare i bisogni fisiologici e non un oggetto d’amore in se stesso. PROSPETTIVA ASSOCIAZIONISTA → secondo cui il bambino si attacca alla madre in quanto l’associa a sentimenti piacevoli e a sensazioni favorevoli. In altri termini la relazione sociale dipende da un condizionamento con valore di ricompensa positiva verso la madre. Qualsiasi stimolo nuovo che sia associato ad una ricompensa (cibo o sensazione piacevole) acquista di per sé un valore di ricompensa. La madre, in quanto stimolo, acquista il significato di piacere e soddisfazione, cioè il bambino impara che l’avvicinamento a questa fonte di piacere determina una gratificazione effettiva dei suoi bisogni. Entrambe le interpretazioni, quella psicoanalitica e quella associazionistica (o per apprendimento), riconducono l’attaccamento a soddisfare un bisogno più primitivo. Esser, pertanto, considerano la motivazione sociale (cioè il bisogno di entrare in relazione empatica con l’altro) una pulsione secondaria. PROSPETTIVA ETOLOGICA → nasce in rapporto ad alcune esperienze effettuate sul comportamento degli animali. Una delle più importanti serie di ricerche è stata svolta da Harlow, il quale mise delle scimmiette appena nate insieme a scimmie “madri” finte, inanimate. Alcune di queste scimmiette venivano nutrite con un poppatoio fissato al “petto” di una madre costituita da una semplice rete metallica forgiata; altre venivano “alimentate” in maniera analoga “pupazzo”, la quale si differenziava dalla prima in quanto era rivestita di un tessuto spugnoso e soffice. Quando alle scimmiette veniva offerta la possibilità di avvicinarsi sia alla prima che alla seconda madre, esse sceglievano sempre la seconda. Quando nella gabbia veniva introdotto uno stimolo capace di causare paura (un grosso ragno di legno) la scimmietta correva dalla madre di tessuto a spugna invece che da quella di rete metallica. Un altro contributo determinante che deriva dall’etologia è quello di Lorenz, relativo al fenomeno dell’imprinting o impronta percettiva. È stato osservato che un’oca, appena uscita dall’uovo, segue la prima cosa che cade nel suo campo percettivo, solitamente la madre. Ma gli etologi hanno scoperto che se questa prima cosa è un oggetto o anche una figura umana in movimento, l’oca comincerà a seguirla. Nell’area della ricerca etiologica si inserisce la teoria di Bowlby dell’attaccamento. Bowlby pone come elemento centrale della sua teoria la tesi della socializzazione come motivazione primaria. Il bambino nasce come una predisposizione a ricercare e a mantenere la vicinanza con una figura specifica, che garantisce la sopravvivenza. Affinché si strutturi un solido legame di attaccamento è necessario che il bambino dispone di un rapporto stabile e continuativo con la figura materna. Ciò è garantito dal fatto che da un lato c’è un attaccamento del neonato, alla madre, dall’altro c’è un attaccamento della madre al neonato. Tutti alla vista di un bambino mettono in atto una serie di comportamenti molto caratteristici, che sono: Le espressioni facciali di falsa sorpresa e di partecipazione emotiva, associate ad espressioni vocali congruenti Il sorriso Il linguaggio puerile, rappresentato da una semplificazione grammaticale della frase Lo sguardo, che si caratterizza per la continuità e l’insistenza L’esigenza di attirare l’attenzione e di cercare di mantenerla. Gli stimoli in grado di innescare tali reazioni vanno considerate diverse categorie di segnali rappresentate da: L’APPARENZA FISICA → Lorenz parla di un prototipo infantile, cioè di un insieme di tratti distintivi di un bambino, costituiti da una fronte molto ampia e sporgente, occhi molto grandi rispetto all’ampiezza della faccia, e da guance paffute. Queste caratteristiche di prototipo infantile spiega il sentimento di tenerezza e protezione che si prova nei confronti dei bambini piccoli o anche degli animali. I COMPORTAMENTI DI SEGNALAZIONE → includono le molte espressioni mimiche. Il neonato dispone di un’ampia varietà di espressioni facciali che appaiono identiche a quelle utilizzate dagli adulti. Questi atteggiamenti inducono la madre a percepire il proprio bambino come piccolo uomo, attribuendogli competenze comunicative, capacità intellettive ed esigenze affettive. Questo porta la madre a considerare il bambino una persona distinta da lei, nonostante lo abbia fatto nascere. I COMPORTAMENTI DI AVVICINAMENTO → con il procedere della maturazione e dello sviluppo, accanto ai comportamenti di segnalazione, che hanno l’effetto di avvicinare la madre al bambino, compaiono i comportamenti di avvicinamento, che hanno l’effetto inverso, cioè quello di avvicinare in qualche modo il bambino alla madre. Il bambino e la madre imparano come anticipare il comportamento l’uno dall’altro. Queste esperienze emozionali e relazionali si traducono in strutture interne, definite da Bowlby come modelli operativi interni di attaccamento, che divengono la base per interpretare tutti i futuri rapporti. L’attaccamento svolge molteplici funzioni. Esso nasce come bisogno del bambino di un rapporto di vicinanza fisica che gli garantisce sicurezza e tranquillità, soprattutto quando è spaventato o ha timore. Questo senso di sicurezza gli permette di esplorare il mondo e di organizzare in maniera produttiva e positiva tutte le esperienze che nel corso dell’esplorazione effettua. Il benessere del bambino dipende soprattutto, nelle prime fasi di sviluppo, dalla capacità da parte della madre di comprendere e soddisfare i suoi bisogni urgenti, al fine di aiutarlo a costruirsi un modello operativo interno di attaccamento positivo. La Ainsworth ha utilizzato una situazione sperimentale, la strange situation, rappresentata dal mettere a confronto il bambino con una situazione nuova, sconosciuta, in cui egli viene separato per 3 minuti dalla madre. Tale situazione sperimentale è stata applicata a bambini di 12 mesi. La sperimentazione era tesa a registrare i comportamenti del bambino quando, dopo l’assenza, la madre ritornava da lui. In tal modo sono stati registrati una serie di comportamenti che hanno portato all’individuazione di 4 pattern di attaccamento, che sono: L’ATTACCAMENTO SICURO → caratterizzato da un particolare comportamento del bambino, in cui, dopo un’iniziale timore per l’assenza della madre, si tranquillizza rapidamente quando la vede ritornare e riprende a giocare. In questo tipo di attaccamento il bambino dimostra di aver fiducia che la madre sarà disponibile in situazioni paurose o pericolose. L’ATTACCAMENTO RESISTENTE → nel quale l’esperienza di una separazione in una situazione estranea determina nel bambino una sovra-attivazione del sistema di attaccamento. Il bambino si mostra molto ansioso e non si tranquillizza al ritorno della madre, ma anzi persiste ed insiste in comportamenti di ricerca di prossimità con la madre, nonostante il contatto con il genitore. In questo tipo di attaccamento manca nel bambino la certezza che il genitore sarà presente e disponibile in caso di bisogno. L’ATTACCAMENTO EVITANTE → il comportamento del bambino è caratterizzato da un apparente disinteresse nei confronti dell’assenza della madre e la ignora quando ritorna. In questo tipo di attaccamento il bambino sviluppa la completa sfiducia nelle capacità dell’ambiente rispondere ai suoi bisogni di aiuto e protezione. L’ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO/DISORIENTATO → caratterizzato da comportamenti disorganizzati e indicativi di un marcato disorientamento al ritorno della madre, che assume atteggiamenti affettivo - relazionali poco chiari. Man mano che il bambino cresce, il pattern di attaccamento e le caratteristiche di personalità ad esso connesse diventano sempre più resistenti al cambiamento. La qualità delle prime relazioni sociali svolge un ruolo critico e determinante per tutto lo sviluppo affettivo. LE FASI SUCCESSIVE A partire dai 2-3 anni il bambino acquisisce maggiore coscienza di sé e dell’altro. In questo processo i genitori assumono un ruolo determinante. Una posizione centrale è assunta dalla madre, specialmente nei primi anni di vita, per l’intenso legame che essa stabilisce con il figlio. Anche la figura paterna ricopre un ruolo importante nella vita affettiva del bambino. Una delle funzioni più importanti del padre è quella di interporsi nello stretto legame madre-bambino, attenuando il carattere simbiotico. La presenza di un padre disponibile facilita inoltre lo sviluppo della sfera cognitiva, del concetto di sé, della capacità di controllare gli impulsi e di acquisire padronanza sull’ambiente esterno, sia fisico che sociale del bambino. La disponibilità di modelli di riferimento stabili rende possibili processi di identificazione, che si traducono in una fonte di sicurezza e si riferisce al processo che porta il bambino a pensare, provare sensazioni e comportarsi come se le caratteristiche di un’altra persona appartenessero a lui. Quando entrambi i genitori appaiono validi e rassicuranti, il bambino tende ad identificarsi in una certa misura con ciascuno di essi, solitamente più con il genitore dello stesso sesso. La presa di coscienza di sé, oltre a favorire i processi di identificazione, comporta anche un progressivo abbandono del bisogno di cure totali, l’emergere di sentimenti di padronanza del proprio corpo e un interesse all’ambiente circostante. Intorno ai 2 anni di età il bambino ricerca la compagnia dei coetanei, anche se le attività intraprese si configurano come giochi paralleli, nel senso che ciascun bambino gioca per conto proprio in presenza dell’altro. Verso i 3-4 anni, con la scolarizzazione, il gioco di gruppo diventa sempre più vario ed articolato. Nella terza infanzia (o fanciullezza) la scuola e i coetanei diventano il centro della vita extrafamiliare del bambino, nel cui ambito egli amplia le norme morali ed acquisisce comportamenti più autonomi ed indipendenti dalla famigli. Nel fanciullo al momento dell’ingresso a scuola la scolarizzazione favorisce nuove occasioni di esperienza e di crescita sociale. Il gruppo-classe costituisce uno spazio sociale specifico e molto diverso sia dal gruppo familiare che dai gruppi ludici occasionali. Nella scuola può capitare che ci siano dei sentimenti di rivalità e competizione tra bambino e bambino in quanto l’affetto e l’approvazione di un unico adulto va diviso con gli altri. Il bambino si costruisce un sistema abbastanza ordinato e preciso di principi e valori, che contribuiscono a definire meglio e caratterizzare l’immagine di sé. L’ADOLESCENZA L’immagine di sé, che il bambino progressivamente acquisisce viene messa in crisi nell’adolescenza, sia a causa dei bruschi e rapidi cambiamenti somatici della pubertà, sia per effetto di nuovi compiti sociali, che impongono all’adolescente l’abbandono definitivo dei modelli infantili. Le trasformazioni somatiche puberali hanno importanti ripercussioni psicologiche in quanto comportano un aumento degli impulsi libidici e la modifica dell’immagine di sé. Tale crisi si concluderà in un adattamento al proprio ruolo sessuale e nella ricerca di oggetti d’amore al di fuori della famiglia. L’integrazione sociale porta l’adolescente ad allontanarsi dalla famiglia per costruirsi un sistema di valori autonomo rispetto a quello familiare e per ricercare un ruolo adulto nel gruppo sociale tramite atteggiamenti più o meno netti di rifiuto e di ribellione nei confronti dei modelli infantili e delle costrizioni educative. La ricerca dell’identità personale avviene attraverso il gruppo, che fornisce all’adolescente un sostegno nella ricerca della propria emancipazione e modelli di identificazione. L’adolescenza comporta la ricapitolazione di tutti i principali problemi infantili, che ricevono un inquadramento definitivo. Nella società contemporanea si è verificato un prolungamento dei limiti superiori dell’adolescenza, legato alla diffusione della scolarizzazione in relazione alle più complesse competenze richieste dall’organizzazione sociale. Ciò comporta la duratura dipendenza dalla famiglia fino all’età matura, ritardando in questo modo il raggiungimento della totale autonomia e quindi prolungando negli studenti l’età adolescenziale. 11 CAPITOLO LE CRISI EVOLUTIVE Con il termine di crisi evolutiva viene generalmente indicato un periodo in cui il bambino presenta comportamenti e segni di disagio emotivo. Tali crisi sono strettamente connesse a particolari fasi dello sviluppo. Lo sviluppo di una funzione è un continuum biologico o psichico che presenta un andamento non lineare per l’alternarsi di periodi in cui i processi di maturazione sono spinti e periodi in cui tale spinta maturativa è molto debole. Tali periodi si configurano come punti nodali in cui l’equilibrio psico-fisico presenta un momento di scarsa integrazione. In corrispondenza di questi punti nodali si verifica abitualmente una situazione transitoria di irregolarità di comportamento. Nel corso dell’età evolutiva si configurano 4 “crisi evolutive”, che sono: LA CRISI DEGLI 8 MESI → indicata in passato come crisi dello svezzamento, è meglio definibile come crisi dell’oggettivazione. Secondo Spitz il percorso che porta allo stabilirsi della relazione oggettuale si realizza attraverso 3 fasi distinte in: LO STADIO PER-OGGETTUALE → che caratterizza il primo trimestre di vita (0-3 mesi). Corrisponde al NARCISISMO PRIMARIO di altri autori e denota la condizione di non differenziazione fra il soggetto ed il mondo esterno LO STADIO DELL’OGGETTO PRECURSORE → (3-8 mesi) che inizia con la comparsa del sorriso al volto umano. Le osservazioni di Spitz hanno dimostrato che il bambino non percepisce ancora un oggetto specifico e non distingue gli individui tra di loro LO STADIO DELL’OGGETTO LIBIDICO → (8 mesi) che rappresenta la fase in cui il bambino riesce ad individuare la madre come “persona”. L’inizio di questo stadio è caratterizzato da una reazione specifica definita “angoscia dell’ottavo mese”. Il bambino inizia a distinguere le figure familiari reagendo a quelle estranee con evidenti comportamenti di dispiacere. L’angoscia dell’ottavo mese è la prova che il rapporto individualizzato con la madre è stato definitivamente stabilito. LA CRISI DEI 3 ANNI → all’età di 3 anni il bambino raggiunge la completa consapevolezza di sé come persona, comincia a pronunciare il pronome “io”, abbandona il gioco individuale per il gioco di gruppo e inizia ad avere una visione più ampia del mondo. Questa consapevolezza lo porta ad assumere atteggiamenti dettati dalla voglia di proporsi ed imporsi nella famiglia. Ed inizia a contrapporsi alle richieste che gli vengono fatte. Il bambino deve fare i conti con le richieste e le regole che gli vengono poste dall’ambiente. Quindi il bambino che fino ad allora era buono, docile, diventa teso, aggressivo, impulsivo, si rinchiude in se stesso, abbandona i giochi e non vuole uscire dalla sua stanza. Egli comincia a presentare manifestazioni varie che sottendono uno stato di angoscia e di panico per ogni cosa. LA CRISI DEI 7-9 ANNI → definita anche crisi logico-morale. Questo periodo è caratterizzato da 3 elementi: 1) Il passaggio dal globalismo percettivo al pensiero astratto → il bambino esce dal linguaggio egocentrico e si sforza di comunicare il proprio pensiero. Inoltre in questo periodo il bambino inizia a comprendere il pensiero di morte come fatto irreversibile. Al disotto dei 3-4 mesi il concetto di morte non esiste e la morte stessa non provoca alcuna emozione particolare, ma viene vissuta come privazione dell’oggetto amato. Tra i 3-5 anni il concetto di morte viene qualche volta espresso, ma in forma irreale o limitata; la morte viene concepita come una lunga assenza, una sparizione improvvisa. Dopo i 6 anni il bambino comincia a realizzare la possibilità della morte altrui, considerata come un fenomeno reversibile, come una punizione, realizzazione magica di cose pensate. Tra i 7-9 anni il bambino comprende il significato della parola morte e lo applica agli esseri umani. Durante la crisi dei 7-9 anni comincia la paura di perdere una persona cara. Dopo i 9 anni la morte viene considerata come cessazione della vita, come distribuzione totale e irreversibile. 2) Il passaggio da una morale imitativa ad un codice morale → le norme morali subiscono una notevole trasformazione. Le regole normative, che vengono vissute nella prima infanzia come uno stile di vita imposto o insegnato, sono interiorizzate e giungono a formare sui 7-9 anni una coscienza ed un pensiero morale 3) Il passaggio dal clan familiare al gruppo sociale → un passo importante in questo periodo è l’immissione nella società. Dopo un primo periodo (intorno ai 6 anni) in cui il ragazzo è turbolento e aggressivo, inizia a comparire la voglia di aggregarsi ad un gruppo . l’elemento che caratterizza questa crisi è rappresentato della conquiste cognitive che portano il ragazzo a riflettere su cose, eventi ed avvenimenti in un periodo in cui lo sviluppo emotivo non ha ancora raggiunto un livello tale da elaborare e metabolizzare le scoperte effettuate. Quest’età può essere definita l’età della ragione, ma si configura come un periodo problematico. Il ragazzo di fronte alle nuove possibilità che sorgono in lui reagisce al nuovo: ne è attratto e nello stesso tempo è turbato dal dover uscire dal suo mondo di esperienze prevedibili e rassicuranti. Le manifestazioni psicopatologiche di questa crisi evolutiva sono più serie quando il fanciullo si presenta a questa età con un disarmonico sviluppo affettivo - intellettivo. In questo caso i disturbi sono molto più accentuati. Sul piano clinico i disturbi del comportamento che questa crisi presenta si possono riunire in 3 gruppi: 1° GRUPPO → è caratterizzato da sindromi comportamentali che possono assumere l’aspetto di opposizione, aggressività verso i genitori e l’ambiente e crisi di ira improvvisa, o l’aspetto di timidezza grave, disinteresse, apatia con possibile comparsa di crisi d’ansia con varie somatizzazioni 2° GRUPPO → è denominato da sintomi riferibili ad una situazione regressiva: l’enuresi, l’encopresi, la masturbazione, il succhiarsi il dito, terrori notturni, raramente l’anoressia, etc. 3° GRUPPO → è caratterizzato da tics, balbuzie, fobie varie associate spesso a spunti ossessivi, quale paura di malattia e della morte. Una situazione tipica di questo periodo è la fobia scolare. La fobia scolare o “rifiuto ansioso della scuola” si manifesta tra i 5 e i 10 anni, in bambini di normale intelligenza. I bambini affetti da questa fobia, al mattino, al momento di andare a scuola, presentano marcati segni di ansia, espressi attraverso sintomi somatici: cefalea, dolori addominali, stanchezza, sonnolenza, dolori muscolari, nausea o diarrea. Nella maggioranza dei casi la fobia scolare rappresenta l’espressione di un’ansia di separazione ed è legata alla crisi logico-morale, tipica di questo periodo. Il disagio emotivo che si verifica nel corso di questa crisi comporta la riattivazione della paura di separazione della figura di accudimento. In questi casi non è la scuola di per sé l’oggetto che fa paura, ma la separazione dalla famiglia e dalle figure familiari. In bambini più grandi la fobia scolare è legata ad un’ansia prestazionale (cioè il dover rispondere alle richieste scolastiche) e alla paura dell’insuccesso (cioè ad un basso livello di autostima, nell’ambito di dinamiche di tipo depressivo. LA CRISI DEI 15-16 ANNI → definita crisi dell’adolescenza. Riguardo la natura di questa crisi esistono 2 orientamenti. Per alcuni autori essa è “una vera rivoluzione, la crisi per antonomasia”, “una seconda nascita”. Per latri è la fine di un’evoluzione: la sola vera trasformazione che realizza l’adolescenza è di tipo sociale. Essa può aggravare e rendere più evidenti certe turbe del carattere, ma non le crea né le migliora. L’adolescenza è un passaggio difficile, un grave periodo conflittuale tra l’Io e la società e la scala di valori che questa esprime. Nel corso dell’adolescenza: Si verifica il pieno raggiungimento delle possibilità dialettiche iniziate a 7-9 anni. Periodo del razionalismo, dell’ipercriticismo liceale, del massimo desiderio di scoprire le cause logiche dei fenomeni. Compare la forte spinta verso la socializzazione, verso il gruppo e verso il rapporto etero-sessuale. Fra le sindromi più conosciute vanno incluse: L’anoressia mentale, frequente nelle donne, che rappresenta un tentativo di soluzione di un conflitto psichico, ma che finisce per assumere un carattere di un vero suicidio biologico Le astenie gravi, tipiche dell’adolescenza, che rappresentano un modo di eludere le nuove richieste a cui il ragazzo non riesce a far fronte Le depressioni atipiche, in cui si ha un disgusto di vivere, dovute ad un insuccesso sentimentale, associate ad un senso di colpa legato alla masturbazione Le forme aggressive di ribellione alla società degli adulti.