Percorso 10
Diete e alimenti speciali
Con il termine generico dieta (dal greco “diàita”, regola di vita) si indica il regime alimentare quotidiano necessario a coprire il fabbisogno energetico di un
individuo. Nel nostro linguaggio quotidiano il termine dieta viene spesso associato,
in modo erroneo, ad un regime alimentare restrittivo, da seguire in condizioni di
disfunzioni o eccesso di peso.
Esistono, al contrario, innumerevoli regimi alimentari particolari che negli anni
hanno assunto ruoli differenti. In questo Percorso vengono descritte le tipologie
dietetiche più frequenti e le loro caratteristiche principali.
10.1
Diete dimagranti
Si ritiene che l’abuso di diete restrittive e di diete a scopi puramente “estetici” sia
uno tra i fattori responsabili dell’insorgenza di comportamenti alimentari abnormi e dell’aumento dei disturbi del comportamento alimentare.
Le diete dimagranti drastiche, se ripetute e protratte, producono spesso due conseguenze negative sull’organismo: da una parte alterano il metabolismo causando un
abbassamento del metabolismo basale e finendo col favorire l’accumulo di grassi; dall’altro inducono disturbi nel comportamento alimentare, quali la bulimia. Se si
ha un problema di sovrappeso e si intende dimagrire bisogna rivolgersi ad uno specialista, un dietologo o un nutrizionista.
Le regole indispensabili da seguire per impostare una corretta dieta dimagrante sono:
1. dopo aver stabilito il peso teorico in relazione al sesso, all’età e all’altezza della
persona, calcolare il fabbisogno calorico giornaliero. Questo fabbisogno dovrà,
nella fase iniziale della dieta, essere ridotto affinché il soggetto cali di peso;
FIGURA 1 Cibi grassi,
fritture e dolci sono gli
alimenti più calorici e
pertanto da tenere
maggiormente sotto
controllo se si intende
seguire un regime
dimagrante.
322
MANGIARE BENE PER STARE BENE
2. evitare cibi ricchi di grassi, le fritture e i dolci;
3. saziarsi mangiando alimenti voluminosi e appaganti;
4. associare alla dieta l’attività fisica;
5. non attendersi risultati immediati, ma munirsi di costanza e di pazienza.
5
Una dieta dimagrante corretta ha come obiettivo una perdita di peso da 700 g fino
a 1 kg alla settimana. Infatti, la capacità del nostro organismo di mobilizzare i grassi dal tessuto adiposo è comunque limitata, circa 1,5 kg alla settimana: non ha perciò alcun senso sottoporsi a riduzioni di peso superiori a tale valore poiché si finirebbe per intaccare la massa magra che va, invece, salvaguardata.
Un regime dietetico caratterizzato da restrizione calorica per la donna adulta
dovrebbe fornire intorno alle 1000-1200 Kcal, e per l’uomo circa 1500-1800
Kcal. Al di sotto di questi valori la dieta dimagrante non è corretta poiché non soddisfa le necessità di micronutrienti.
La dieta, inoltre, deve prevedere un intervallo non eccessivo tra i 5 pasti giornalieri, che vanno suddivisi in 3 pasti principali e 2 spuntini.
Il programma di dimagrimento dovrà prevedere abbondanti quantità di verdura
e frutta di stagione, cereali e legumi.
PASTO
Colazione
Spuntino
Pranzo
Spuntino
Cena
10.2
ESEMPIO DI UNA DIETA IPOCALORICA DA 1200 KCAL CIRCA
ALIMENTO
QUANTITÀ (g)
latte scremato
100
fette biscottate integrali
20
1 mela
100
pasta condita con
50
pomodoro
50
pollo cotto ai ferri
100
spinaci freschi cotti
150
pere
200
1 vasetto di yogurt
125
magro
scamorza
70
zucchine
200
pane integrale
50
pesca
200
KCAL
46
76
67
163
48
175
56
83
43
234
25
121
59
Kcal totali
1196
Dieta mediterranea
Gli antichi greci e romani basavano la loro alimentazione su prodotti tipicamente mediterranei: cereali, legumi, ortaggi, frutta, vegetali, olio di oliva e vino. La dieta mediterranea ha dunque radici molto remote ed è tuttora impostata allo stesso modo, prevedendo l’impiego di questi alimenti e un uso ridotto di carne e formaggi.
Il termine “dieta mediterranea” fu proposto per la prima volta dal nutrizionista Keys
Ancel negli anni Sessanta per indicare una dieta equilibrata da dare come riferimento
alimentare alla popolazione statunitense. La dieta mediterranea è caratterizzata
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
323
dall’utilizzo di prodotti tipici del bacino mediterraneo quali:
• prodotti vegetali come legumi, cereali, olio di oliva, frutta, verdure di stagione;
• prodotti animali come latte, formaggi, uova, abbondante pesce. L’apporto di
carne rossa è limitato.
Numerosi studi hanno dimostrato i benefici effetti della dieta mediterranea nella
prevenzione delle malattie cardiovascolari come aterosclerosi, diabete, ipertensione, infarto.
I benefici che derivano dalla dieta mediterranea dipendono dai seguenti fattori:
FIGURA 2 Protagonisti della
dieta mediterranea sono i
legumi, i cereali, l’olio di
oliva.
1. ridotta introduzione di acidi grassi saturi di origine animale a favore degli
acidi grassi insaturi di origine vegetale. L’olio di oliva è il simbolo della dieta mediterranea. La presenza dell’acido oleico lo rende insostituibile per il corretto equilibrio tra acidi grassi monoinsaturi e acidi grassi insaturi, fattore fondamentale per la prevenzione dell’aterosclerosi;
2. presenza di abbondanti sostanze antiossidanti e protettive, come le vitamine presenti nella verdura, i grassi monoinsaturi presenti nell’olio di oliva e gli acidi grassi polinsaturi di tipo Omega-3 presenti nel pesce azzurro;
3. presenza di alimenti ricchi di fibra, quali le verdure e i legumi. I legumi sono
alimenti che forniscono fibra, proteine di buona qualità e carboidrati a lento utilizzo. A differenza delle fonti proteiche di origine animale, i legumi non sono
veicoli di grassi saturi, ma, al contrario, di acidi grassi essenziali;
4. presenza di carboidrati di tipo complesso. Uno dei cardini della dieta mediterranea è la pasta, un alimento energetico di grande qualità nutrizionale. Infatti,
oltre a contenere carboidrati complessi si abbina facilmente con altri alimenti,
di diverso contenuto nutrizionale.
La dieta mediterranea prevede anche il consumo di vino (purché assunto durante i pasti e con moderazione): il vino infatti esercita effetti positivi sul sistema cardiovascolare; prevede inoltre latte e latticini che, pur contenendo grassi saturi, sono
una fonte importantissima di calcio.
DIETA MEDITERRANEA
ALIMENTI DA PRIVILEGIARE
ALIMENTI DA USARE CON MODERAZIONE
Pane, pasta
Riso
Legumi, verdure
Frutta
Olio di oliva
Pesce
Vino
Carne
Insaccati
Pollame
Latte e derivati
Burro, strutto
Formaggi
Uova
La dieta mediterranea sottolinea le sane abitudini alimentari del nostro paese e della
nostra tradizione: non dobbiamo dimenticarci di queste tradizioni per seguire invece vie di consumismo tipiche della società industriali. Dobbiamo valorizzare i nostri
alimenti tipici, variandoli e alternandoli opportunamente, secondo i gusti e la disponibilità economica di ciascuno. Gli alimenti dell’area mediterranea si prestano a
formare piatti unici e completi, quali pasta e fagioli, spezzatino con patate e paste
asciutte condite con formaggi o carni. Anche nel settore della ristorazione gli operatori devono essere attenti a valorizzare piatti di tradizione regionale, nella prospettiva di un’alimentazione sana e genuina ( ANCHE PERCORSO 5).
324
MANGIARE BENE PER STARE BENE
10.3
Dieta vegetariana
5
La dieta vegetariana viene normalmente classificata in due tipologie:
FIGURA 3 Involtini
vegetariani di verza e
verdure miste. La dieta
vegetariana non crea
scompensi nutrizionali
purché sia di tipo misto,
comprendente cioè uova
e latticini.
• dieta vegetariana stretta: esclude qualsiasi prodotto
di origine animale (pesci compresi). I vegetariani
di questo tipo vengono anche detti vegani;
• dieta vegetariana mista: esclude la carne animale (pesce compreso), ma accetta prodotti
di derivazione animale come latte, formaggio,
uova. A seconda del tipo di alimento ammesso, la dieta vegetariana mista si può definire latteo-ovo-vegetariana (ammessi uova, latte e derivati), latteo-vegetariana (ammesso solo il latte),
ovo-vegetariana (ammesse solo le uova).
La dieta vegetariana mista è una dieta accettabile perché apporta tutti i macro e i micronutrienti necessari. Le carenze proteiche che deriverebbero dalla mancanza di consumo della carne vengono evitate grazie al consumo di uova, latte e formaggi. Anche
l’apporto di ferro, normalmente fornito dalla carne e dal pesce, viene assicurato dal
consumo del tuorlo d’uovo e di vegetali come i legumi secchi e il frumento integrale.
Mentre i vegetariani a regime misto non vanno incontro ad alcuna carenza nutrizionale, quelli a regime stretto devono prestare molta attenzione ad assumere con
la dieta le combinazioni di vegetali in grado di apportare al proprio organismo il
“pool” dei nove amminoacidi essenziali, al fine di non incorrere in eventuali deficienze proteiche.
I vantaggi che derivano dall’uso della dieta vegetariana sono:
• l’elevato apporto di fibra alimentare che favorisce la peristalsi intestinale, l’evacuazione
e svolge, perciò, un ruolo preventivo nei confronti dei tumori dell’intestino;
• la bassa introduzione di colesterolo e acidi grassi saturi, fattori importanti nella
prevenzione delle malattie cardiovascolari;
• il minore apporto calorico determina una minore incidenza delle patologie determinate da eccessi alimentari quali l’obesità, il diabete e la gotta.
10.4
FIGURA 4 Nella dieta “a
zona” viene data la
preferenza a pollo e tacchino
piuttosto che alle carni rosse.
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
Dieta “a zona”
La dieta “a zona” è stata ideata dal dottor Barry Sears, un biochimico americano, negli anni Ottanta. Il termine “zona” sta ad indicare il conseguimento della massima efficienza fisica e mentale che
si identifica in maggiore resistenza, forza, benessere; secondo il suo
inventore, “stare a zona” significa, pertanto, raggiungere e soprattutto mantenere una “zona di equilibrio” mentale e fisico.
Nella dieta “a zona” il cibo è considerato il mezzo per controllare il rilascio di alcuni ormoni e, questo, a sua volta, influenzerebbe
l’efficienza dei sistemi biologici. Scopo della dieta è pertanto quello di mantenere il bilancio ormonale.
Barry Sears prende in considerazione, in particolare, gli effetti che il cibo esercita su
due ormoni secreti dal pancreas: l’insulina e il glucagone. L’insulina è un ormone
anabolizzante e ha come effetto un accumulo di energia nelle cellule; il glucagone,
325
ormone catabolizzante, svolge l’effetto contrario, determinando il consumo di questa energia metabolica.
La dieta a zona viene descritta come la dieta del 40:30:30 ad indicare la percentuale relativa dei diversi macronutrienti:
FIGURA 5 Fabbisogno
giornaliero dei nutrienti
nella dieta a zona e nelle
raccomandazioni generali
della dieta equilibrata.
• 40% di glucidi, tra i quali si devono preferire i glucidi semplici presenti nella
frutta e verdura e a basso indice glicemico;
• 30% di proteine: sono da preferire carne, pesce, uova e formaggi. Tra le carni
si devono preferire quelle che contengono una percentuale inferiore di grassi saturi, quali la carne di pollo e il tacchino;
• 30% di lipidi: è consigliabile consumare grassi monoinsaturi provenienti da olio
di oliva, nocciole, mandorle.
Dieta a zona
Lipidi
30%
Proteine
30%
Glucidi
40%
Dieta equilibrata
Lipidi
30%
Proteine
Proteine
15% 30%
Glucidi
40%
Glucidi
55%
Come evidenziato dai grafici, questo schema dietetico, rispetto alle indicazioni fornite in generale relative alla dieta equilibrata, privilegia la carne, il pesce e i formaggi
mentre consiglia un apporto inferiore di pane, pasta e riso.
Il regime alimentare suggerito dalla dieta “a zona” è fortemente ipocalorico e iperproteico e presenta tutti i limiti che derivano da una dieta ricca di proteine. Primo
tra tutti è il sovraccarico del sistema renale conseguente a un’eccessiva introduzione
alimentare di proteine: per evitare possibili danni a questi organi è consigliabile non
superare le raccomandazioni fornite dai LARN relative al consumo di proteine, pari
a 1 g/kg di peso corporeo al giorno.
Per formulare una dieta a zona, oltre a tenere presente questa importante considerazione, dobbiamo ricordare i rapporti 40:30:30 tra i diversi macronutrienti
e il potere calorico fisiologico di questi ( PERCORSO 4, PAGINA 121).
• Si comincia con il quantificare la quantità di proteine necessarie in relazione alle percentuali di massa magra, massa grassa e livello di attività fisica praticata. Ad esempio, nel caso di un soggetto sedentario che pesa 77 kg
la dieta dovrà apportare una quantità di proteine pari a 1 grammo per ogni
kg di peso corporeo: otterremo perciò 77 grammi di proteine. 77 grammi di proteine forniscono 4 Kcal/g ¥ 77 g = 308 Kcal. Questo apporto calorico deve corrispondere al 30% delle calorie da introdurre giornalmente.
• I carboidrati devono rappresentare il 40% dell’intero fabbisogno calorico giornaliero, pari a 411 Kcal. Poiché 1 grammo di carboidrati equivalgono a 4 Kcal/g dovremo introdurre una quantità di carboidrati pari a 411
Kcal/4 Kcal/g = 103 g.
FIGURA 6 I carboidrati devono rappresentare il 40% dell’intero fabbisogno calorico
giornaliero.
326
MANGIARE BENE PER STARE BENE
• I lipidi devono essere presenti nella percentuale del 30% (pari a 308 Kcal) e 1
grammo di lipidi libera 9 Kcal. Dovremo perciò introdurre circa 34 g di lipidi.
• Stabilita la quantità di proteine da assumere si divide la dieta in 11 blocchi (ognuno costituito da 7 g di proteine) da suddividere nei 5 pasti: 3 blocchi a colazione, 3 blocchi a pranzo, 1 blocco a merenda, 3 blocchi a cena, 1 blocco prima di
coricarsi. Il rapporto 40:30:30 deve essere rispettato per ogni pasto.
Così, dal momento che 1 grammo di proteine e carboidrati producono 4 Kcal,
mentre 1 grammo di lipidi produce 9 Kcal, per mantenere il rapporto indicato
ogni blocchetto di 7 grammi di proteine (7g ¥ 4 Kcal = 28 Kcal) dovrà essere
accompagnato da 9,5 grammi di carboidrati e da 3 grammi di grassi.
ESEMPI DI BLOCCHI PER COSTRUIRE LA DIETA A ZONA
30 g di prosciutto crudo (pari a 1 blocco di proteine)
30 g di pane integrale di segale (pari a 1 blocco di carboidrati)
240 cc di latte parzialmente scremato (pari a 1 blocco di proteine, 1 di carboidrati e 1 di grassi)
240 g di zucchine al vapore (pari a 2 blocchi di carboidrati)
30 g di pane integrale di segale (pari a 1 blocco di carboidrati)
1 fettina di petto di pollo (90 grammi sono pari a 3 blocchi di proteine)
2 cucchiaini di olio di oliva (pari a 3 blocchi di grasso)
10.5
FIGURA 7 Le uova
strapazzate con formaggio
sono un abbinamento
valido per la dieta
dissociata: entrambi gli
alimenti vengono digeriti
infatti in ambiente a pH
acido.
Dieta dissociata
La definizione “dieta dissociata” fa riferimento alla strategia dietetica che dissocia, annulla l’usuale succedersi delle pietanze
durante i pasti. Le diete dissociate si sono diffuse infatti sulla
base del principio che la digestione enzimatica e l’assorbimento siano specifici per i diversi principi nutritivi: secondo questo regime alimentare sarebbe perciò necessario dividere in
momenti diversi l’assunzione di cibi ricchi di proteine da quelli ricchi di carboidrati.
In realtà, negli ultimi anni, questo concetto è stato rivisto e si
considera ora la necessità della dissociazione degli alimenti
non tanto in virtù del funzionamento degli enzimi dell’apparato digerente, ma in relazione al valore di pH richiesto per
digerire i vari alimenti: i glucidi, ad esempio, richiedono per la
digestione un pH basico, mentre le proteine vengono digerite solo in ambiente acido.
Sono stati quindi compilati elenchi di alimenti compatibili dal punto di vista del
pH della loro digestione.
In sintesi, perciò, la dieta dissociata prende in considerazione:
• la composizione in nutrienti dei singoli alimenti;
• la loro richiesta di ambiente acido o basico per la digestione.
Su queste basi, l’alimentazione dissociata non accetta il tradizionale modo di
mescolare cibi durante il pasto ma associa gli alimenti in base all’ambiente di cui
necessitano per la digestione.
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
327
5
DIGESTIONE ACIDA
Carne
Pesce
Salumi
Uova
Latte e derivati
Formaggi magri
Uova
Mele e prugne
Uva
Fragole
Pomodori cotti
FIGURA 8 Pasta con il ragù
di carne: un classico della
nostra cucina, ma un errore
di abbinamento secondo le
regole della dieta
dissociata.
328
DIGESTIONE BASICA
Pane, pasta
Riso
Patate
Banane
Legumi secchi
Marmellate
Cioccolato
Castagne
Noci
Mandorle
Arachidi
Possono associarsi nella dieta gli alimenti presenti nella medesima colonna; gli alimenti a digestione “neutra” possono essere associati sia a quelli acidi che a quelli
basici; va evitata la combinazione tra alimenti a digestione basica e alimenti a digestione acida.
ASSOCIAZIONI ERRATE
ASSOCIAZIONI CORRETTE
Pane, pasta, riso + verdure Pasta, riso + carne, pesce,
salumi
Latte, yogurt, pane + frutta Pasta, riso + dolci
acidula
Carni, pesce, salumi + dolci
Pane + legumi
Latte + pane o fette biscot- Carni, pesce, salumi + condimenti grassi
tate
10.6
FIGURA 9 La dieta
macrobiotica è in
prevalenza vegetariana,
e privilegia i cibi naturali,
freschi e integrali.
DIGESTIONE NEUTRA
Burro
Margarina
Olio
Panna
Formaggi grassi
Insalata
Carote
Pomodori crudi
Zucchine
Piselli
Fagiolini
ASSOCIAZIONI TOLLERABILI
Pasta, riso + legumi
Pasta, riso + formaggi
Pasta, riso + frutta dolce
Carni, pesce + frutta dolce
Dieta macrobiotica
Il termine “macrobiotica” ha origine dall’unione delle parole greche mákros e
bíos, il cui significato è letteralmente: vita piena, grande vita. La macrobiotica si
ispira al pensiero filosofico zen (filosofia orientale che risale a 5000 anni fa) che si
basa su una visione olistica dell’uomo, dove ogni elemento cioè è in equilibrio
con gli altri. Anche il cibo è considerato fondamentale per mantenere l’armonia
tra la mente e il corpo.
La realtà, secondo questa filosofia, si suddivide dal punto di vista energetico in componenti yin e yang, a cui corrispondono due differenti categorie anche dal punto di
vista alimentare. Il principio della macrobiotica è che i cibi yin (acidi: latte, yogurt,
frutta, tè, spezie, ecc.) e i cibi yang (alcalini: sale, carne, pesce, pollo, uova, ecc.), debbano essere assunti in modo equilibrato per mantenere l’armonia tra mente e corpo.
La macrobiotica si inserisce in quelle correnti di pensiero che cercano di seguire
strade naturali nell’alimentazione, assecondando il ciclo biologico sia degli esseri
umani che del mondo animale e vegetale. Per questo motivo, la macrobiotica si propone di limitare, se non addirittura di abolire, gli alimenti di provenienza industriale, privilegiando i cibi naturali, freschi e integrali.
L’alimento dominante è il riso, insieme ad altri cereali che vengono consumati di
solito interi, con germe e crusca, mentre non vengono consumati carne e latticini.
MANGIARE BENE PER STARE BENE
GEORGE OHSAWA
L
FIGURA 10 George Ohsawa, padre della dieta macrobiotica,
si ispirò alle regole alimentari seguite dai monaci buddisti.
a macrobiotica si diffuse nella seconda metà del
secolo scorso grazie agli studi di un giapponese, George Ohsawa: ammalatosi gravemente di tubercolosi, attribuì la sua guarigione ad una dieta
basata sui principi e sulle pratiche spirituali della
medicina orientale. Ohsawa, nato a Kyoto nel 1893,
dopo gli studi di filosofia si laureò in medicina, viaggiò molto tra gli Stati Uniti e l’Europa e fu un grande sostenitore della macrobiotica, alla quale dedicò
numerosi studi e trattati, ispirandosi alle regole alimentari dei monaci buddisti. Morì nella sua città
natale all’età di 73 anni.
Secondo Ohsawa, seguendo quotidianamente una
corretta alimentazione è possibile mantenere l’equilibrio tra gli elementi yin e yang e dunque ottenere un
buon livello di salute.
La dieta macrobiotica deve essere così composta:
• 50% di cereali integrali;
• 25% di proteine (di cui il 10% di origine animale e il 15% di origine vegetale);
• 25% di verdure (cotte e crude) e frutta.
La dieta di tipo macrobiotico non è specificamente vegetariana; essa, ad esempio,
non esclude il consumo saltuario di pesce e di altri organismi di origine marina.
Molti cibi macrobiotici fanno parte della tradizione giapponese, come il miso (a
base di soia fermentata e cereali), la salsa di soia, il tofu (formaggio di soia), alghe
marine e radici conservate. I cibi macrobiotici vengono in genere consumati
senza essere sottoposti a surgelamento, senza l’aggiunta di additivi e di dolcificanti
artificiali: per zuccherare si utilizza zucchero di canna o composti dolci come lo sciroppo d’acero o di riso. Le modalità di cottura preferite sono la cottura a vapore
e, al posto del caffè e del tè, si preferisce consumare caffè d’orzo o tè verde.
I sostenitori della macrobiotica ritengono che tale dieta alimentare possa prevenire
o guarire malattie come il cancro o malattie neurodegenerative, ma non vi sono prove
che lo confermino. D’altra parte, il basso contenuto di grassi, unito all’elevato consumo di frutta e verdura e di alimenti ricchi di fibre alimentari, sono criteri validi in
generale per la prevenzione dell’aterosclerosi e di molte malattie cardiovascolari.
ESEMPIO DI DIETA MACROBIOTICA
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
PRIMA GIORNATA
SECONDA GIORNATA
Colazione: 1 tazza di tè - 2 fette
biscottate integrali
Metà mattina: 1 frutto di stagione
Pranzo: 200 g di insalata caprese con
pomodori e tofu
Metà pomeriggio: a piacere frutta
secca o fresca
Cena: 150 g di minestra di carote –
100 g di spinaci lessati
Colazione: 1 caffè d’orzo con fiocchi
di cereali
Metà mattina: 1 centrifugato di carote
Pranzo: 80 g di risotto con fave e
piselli – 100 g di insalata verde
Metà pomeriggio: 1 frutto di stagione
Cena: minestrone di verdure e legumi
– 100 g di insalata di pomodori
329
5
IL DECALOGO DELLA DIETA MACROBIOTICA
1. Evitare gli alimenti raffinati.
2. Preferire i cibi provenienti da coltivazioni e allevamenti “naturali” (nei quali
non si utilizzino additivi chimici).
3. Eliminare lo zucchero, i dolci, le caramelle e il miele.
4. Preferire frutta e verdura di stagione, evitare frutti esotici e verdure surgelate.
5. Evitare patate, pomodori e melanzane.
6. Evitare latte e derivati.
7. Preferire il pesce alla carne. La carne va inserita
raramente nell’alimentazione macrobiotica.
8. Non usare spezie e sale comune ma solo il sale
marino allo stato naturale.
9. Masticare a lungo i cibi, per favorire la digestione
e per apprezzare il reale sapore del cibo.
10.7
FIGURA 12 Pesce con
verdura cotta, preceduto da
un abbondante antipasto a
base di insalata: è un
esempio di “monopiatto”,
principio base della dieta
eubiotica.
FIGURA 11 Le
verdure devono
essere di
stagione e
coltivate senza
l’impiego di
additivi chimici.
10. Eliminare il caffè; al
suo posto è possibile introdurre
dei surrogati, quali ad esempio il jannoh (una miscela di frumento, soia, bardana e radici di tarassaco torrefatti), o ancora il dendelio (ottenuto dalle radici di
tarassaco e cicoria torrefatte).
Dieta eubiotica
La dieta eubiotica è un tipo di alimentazione che privilegia la
naturalità e l’integrità dei cibi, allo scopo di mantenere negli
alimenti microrganismi e fattori probiotici vivi, fattori
che concorrono ad aumentare le difese immunitarie del
corpo e l’energia dello spirito. Fine ultimo di questo tipo di
alimentazione è, pertanto, il miglioramento della salute
psicofisica della persona.
L’eubiotica considera l’uomo come un ecosistema, inserito nell’equilibrio ecologico dell’ambiente.
In generale, la dieta eubiotica privilegia i cibi integrali, coltivati in
modo naturale, mentre consiglia un uso limitato di prodotti raffinati e precotti. I cibi integrali vengono consigliati per apportare il giusto grado di fibre al
nostro organismo, in quanto aiutano ad eliminare le tossine e le scorie accumulate con lo stress e con le cattive abitudini come il fumo e la vita sedentaria.
I pasti principali dovrebbero essere costituiti da un monopiatto, costituito da un
unico alimento di base: il cosiddetto “primo” (pasta, riso o minestre con verdure
o legumi), oppure il “secondo” (carne, pesce, uova o formaggi) con abbondante insalata come antipasto, contorno di verdura cotta e pane integrale.
I prodotti animali non andrebbero consumati più di una volta al giorno. Andrebbe inoltre evitato il consumo di frutta a fine pasto.
10.8
I cibi funzionali (functional foods)
Negli ultimi anni il concetto di cibo ha subito una radicale trasformazione; per decenni le raccomandazioni nutrizionali dei vari organismi nazionali e internazionali si sono
espresse di più su cosa non si deve mangiare, piuttosto che su cosa bisogna mangiare.
Lo scopo primario della dieta, si è detto, è quello di fornire nutrienti sufficienti a
soddisfare le esigenze nutrizionali della persona, ma sono sempre di più le prove
330
MANGIARE BENE PER STARE BENE
scientifiche a sostegno dell’ipotesi che alcuni alimenti e componenti alimentari abbiano effetti benefici, fisiologici e psicologici, che vanno oltre l’apporto dei nutrienti di base.
La moderna scienza dell’alimentazione insomma è andata oltre i concetti classici,
che raccomandavano di evitare carenze di nutrienti e inadeguatezza dell’alimentazione di base. Si è passati così al concetto di alimentazione “positiva” od “ottimale”. Attualmente, infatti, di ogni alimento vengono definiti i seguenti parametri:
• il valore nutrizionale;
• le proprietà sensoriali (gradevolezza al palato);
• il ruolo nel favorire una buona salute;
• gli eventuali effetti nel determinare un benessere psico-fisico e anche nel suo utilizzo per prevenire alcune patologie.
FIGURA 13 Verza, cavolo
cappuccio, cavolfiore: come
tutte le Crucifere, svolgono
una preziosa azione anticancro.
FIGURA 14 Le arance rosse
offrono un vantaggio in più
rispetto alle arance bionde:
contengono infatti
antocianidine, potenti
antiossidanti.
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
La nuova interpretazione salutistica del concetto di alimentazione e dell’uso degli
alimenti, che per le loro caratteristiche nutrizionali e per i loro componenti chimici possono “curare”, è derivata da numerose ricerche scientifiche, che hanno evidenziato il legame stretto fra alimenti, nutrienti, alimentazione e salute.
“Lasciate che il vostro cibo sia la vostra medicina”, sentenziò Ippocrate, padre della medicina, già nel quinto secolo avanti Cristo. Eppure, nonostante questa illustre premessa, nel mondo medico la nutrizione non occupa ancora il posto che le spetterebbe. Il
“cibo come medicina” è diventata la base dei cibi dietetici, funzionali (functional
foods), alimenti cioè modificati in modo tale da aggiungervi un fattore favorevole alla
salute.
Il numero di cibi funzionali è potenzialmente molto ampio e comprende cibi naturali, derivati di questi cibi aggiunti ad altri cibi o proposti come supplementi dietetici, e componenti alimentari di sintesi.
Alcuni alimenti “tradizionali” sono cibi funzionali. Tanto per fare alcuni esempi,
l’aglio e la cipolla contengono dei composti solforati: essi stimolano gli enzimi che
inibiscono la crescita batterica e rafforzano il sistema immunitario, in grado di abbassare la pressione sanguigna, potenziare il sistema cardiovascolare e prevenire l’insorgenza di tumori.
Uva, lamponi, mirtilli, ciliegie, more, fragole, barbabietole e le arance rosse di Sicilia sono alimenti ricchi di antocianidine, potenti agenti antiossidanti che combattono
lo stress ossidativo e prevengono l’invecchiamento cellulare.
Le carote, i meloni, i vegetali a foglia larga e verde scuro, gli asparagi, il cavolo cappuccio, i cavoletti di Bruxelles, la zucca e le albicocche contengono carotenoidi, molecole che riducono il rischio di infarto al miocardio, proteggono la pelle contro i
danni dei raggi solari, proteggono contro bronchiti croniche, asma ed enfisema,
tumori alle vie respiratorie e riducono il rischio di cataratte.
Il pomodoro, il pompelmo rosa e il cocomero sono ricchi di licopene, importante composto che protegge contro il carcinoma della vescica, della prostata, del fegato, dello stomaco e del colon.
Le Crucifere (cavoli, cavoletti di Bruxelles, broccoli, cavolfiore, verza) sono ricche
di glucosinati, inibitori della cancerogenesi.
Non vannno poi dimenticati i legumi, ricchi di isoflavoni (che prevengono la perdita di tessuto osseo, le malattie cardiache e riducono i livelli di colesterolo cattivo nel sangue), il tè verde, lo yogurt e i latti fermentati.
Insomma, i cibi funzionali non sono altro che “metodi di prevenzione e benessere nel piatto”.
331
5
La ricerca è oggi incentrata sull’identificazione dei componenti alimentari biologicamente attivi, potenzialmente in grado di ottimizzare il benessere fisico e mentale e di ridurre anche il rischio di contrarre malattie.
Questi particolari composti sono definiti nutriceutici, termine reso popolare dalla
statunitense Foundation for Innovation in Medicine (FIM) e che si riferisce ad “ogni
sostanza che possa essere considerata cibo o parte di cibo che fornisca comprovati benefici medici o per la salute, inclusi la prevenzione e il trattamento delle malattie”.
La diffusione dei cibi funzionali
Mentre in alcuni paesi come il Giappone, la Corea e la Cina è da tempo ritenuto che certi cibi procurino benefici per la salute, il concetto di cibo funzionale è
relativamente recente in Occidente, dove alimenta forti interessi, anche economici;
questo cambiamento è dovuto principalmente a:
• rapidi progressi nelle conoscenze scientifiche sul ruolo cruciale della dieta per la
salute e per la prevenzione di malattie;
• richiesta da parte dei consumatori e cambiamento prospettico del ruolo del
cibo, non più concepito come semplice mezzo di sussistenza;
• costi crescenti per la tutela della salute;
• invecchiamento progressivo della popolazione;
• progressi tecnologici nell’industria alimentare, che hanno reso possibile la produzione di cibi salutari;
• cambiamento delle leggi e delle norme regolatrici.
FIGURA 15 Ottimi anche
crudi in insalata, gli spinaci
sono ricchi di folato,
vitamina preziosa per la
crescita e la riproduzione
cellulare.
332
Va osservato, a questo proposito, che esiste una differenza tra le aspettative sui cibi
funzionali nel mondo occidentale e quelle del mondo orientale. In Occidente, infatti, i cibi funzionali sono visti come una rivoluzione e rappresentano un settore dell’industria alimentare in rapida crescita. Industrie alimentari, farmaceutiche e chimiche
e catene di negozi, partendo da una ricerca “dal basso” e dagli sforzi per promuoverla, sono tutte impegnate ad introdurre i cibi funzionali sul mercato.
In Oriente, invece, i cibi funzionali fanno parte da secoli della cultura di questi
paesi. Nella medicina tradizionale cinese, cibi dotati di effetti curativi sono descritti
già dal 1000 a.C. Sin dall’antichità, i Cinesi hanno compreso che i cibi hanno effetti sia preventivi che terapeutici e che sono parte integrante della salute, un punto di
vista che ora sta ottenendo crescenti consensi in tutto il mondo.
Gli alimenti funzionali, però, non hanno ancora ottenuto una precisa definizione dalla legislazione europea. In generale, un alimento può
essere considerato funzionale se “dimostra in maniera soddisfacente di avere effetti positivi su una o più funzioni specifiche dell’organismo, che vadano oltre gli effetti nutrizionali normali,
in modo tale che sia rilevante per il miglioramento dello
stato di salute e di benessere e/o per la riduzione del
rischio di malattia”.
Esempi di alimenti convenzionalmente accettati come
funzionali sono i cibi che contengono determinati minerali, vitamine, acidi grassi o fibre alimentari e quelli addizionati con sostanze biologicamente attive, come i principi attivi di origine vegetale o altri antiossidanti e probiotici (batteri che modulano positivamente la flora intestinale).
MANGIARE BENE PER STARE BENE
Parallelamente al crescente interesse per questa categoria di alimenti, sono comparsi nuovi prodotti ed è emersa la necessità di definire standard e “linee guida”
che ne regolamentino lo sviluppo e la promozione.
Molti ricercatori concordano nel ritenere che ogni cibo classificato come “funzionale”
e con supposti specifici benefici sulla salute dovrebbe essere sottoposto a validazione
scientifica prima che ne sia autorizzata la propaganda in termini di benefici specifici per la salute. In paesi con una ricca tradizione culturale concernente i benefici per la salute di vari alimenti, molti cibi sono associati a specifiche propagande salutistiche, ma non sempre possiedono una documentazione scientifica a
sostegno delle presunte attività biologiche.
Negli Stati Uniti, il Nutrition Labeling and Education Act del 1990 permette, per
la prima volta, di apporre indicazioni salutistiche o di prevenzione di malattia sull’etichetta di un cibo. In questo contesto, la Food and Drug Administration
(FDA) richiede che le indicazioni salutistiche siano supportate da solide ricerche
e che siano approvate dalla FDA stessa. Ad oggi, solo un limitato numero di indicazioni è stato approvato.
Le prospettive salutistiche (health claims)
La Direzione Generale della Commissione Europea “Salute e tutela dei consumatori”
ha prodotto nel 2002 una bozza di normativa, in cui si sostiene lo sviluppo di due
tipi di “health claims” (prospettive salutistiche) per gli alimenti funzionali, i quali
devono sempre essere validi nell’ambito dell’alimentazione nella sua globalità e devono riferirsi a quantitativi di cibo normalmente consumati in una dieta.
Tali “health claims” sono:
FIGURA 16 I consumatori nel
mondo stanno diventando
più consapevoli dei
problemi legati al cibo e alla
salute, ed è perciò
destinata a crescere la
richiesta di ingredienti
salutari.
• Tipo A: claim correlati al “miglioramento di una funzione biologica” in riferimento
a specifiche attività fisiologiche, psicologiche e biologiche che vanno oltre il loro
ruolo accertato nella crescita, nello sviluppo e in altre normali funzioni dell’organismo. Questo tipo di dicitura non fa riferimento a una malattia o a uno stato
patologico; ad esempio, alcuni oligosaccaridi non digeribili (probiotici) migliorano la crescita di una determinata flora batterica nell’intestino; la caffeina può
migliorare l’efficienza cognitiva.
• Tipo B: claim correlati alla “riduzione del rischio di malattia”: si riferiscono al
consumo di un alimento o di un componente alimentare che potrebbe contribuire alla riduzione del rischio di una
malattia o di uno stato patologico grazie
a specifici nutrienti o non nutrienti in
esso contenuti. Ad esempio, il folato
può ridurre in una donna le probabilità
di avere un figlio con difetti del midollo spinale, e un apporto sufficiente di calcio può contribuire a ridurre il rischio di
osteoporosi nell’età avanzata.
Quando un cibo funzionale contiene
nuovi ingredienti o è prodotto con nuovi
procedimenti, diventa particolarmente
importante che ne vengano accertate la
sicurezza e la tollerabilità.
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
333
5
Con i cibi tradizionali, la sicurezza deriva da una lunga storia di assunzione senza
conseguenze da parte di molte popolazioni nell’arco di diverse generazioni. Queste notizie mancano per gli ingredienti nuovi e per i nuovi procedimenti, e pertanto
è richiesta una valutazione di sicurezza prima che questi cibi vengano accettati come
alimento alternativo. Studi scientifici attuali e futuri avranno il compito di comprovare questa sicurezza conquistando così la fiducia dei consumatori.
10.9
FIGURA 17 Radice di
ginseng, da cui si ricava
l’omonimo integratore
alimentare.
Gli integratori alimentari
L’Organizzazione Mondiale della
Sanità e tutti i Ministeri della Salute
europei raccomandano di mangiare,
come minimo, quotidianamente, 5
porzioni di frutta fresca e cruda e 5
porzioni di verdura fresca e cruda. Il
National Cancer Institute e tutte le
autorità sanitarie statunitensi consigliano un consumo di 7-9 porzioni di
frutta, verdura e cereali, ogni giorno.
In realtà un numero veramente bassissimo, solo il 5-10% della popolazione, segue questo importante consiglio, e in
Europa il consumo medio non raggiunge nemmeno la metà dei livelli raccomandati.
Vitamine, probiotici, sali minerali, proteine, fibre sono tutte sostanze contenute
nel cibo che hanno la proprietà di migliorare il funzionamento dell’organismo, di
sopperire a carenze alimentari, di favorire lo stato di benessere della persona e soprattutto di prevenire alcune malattie. Questi e altri componenti, quando vengono proposti sotto forma di pastiglie o capsule, entrano a far parte della grande famiglia
degli integratori alimentari.
Il termine, “integratori alimentari”, fa pensare immediatamente a un intervento per porre rimedio alla carenza di qualche fondamentale principio nutritivo,
non assunto in maniera adeguata con la normale alimentazione o eliminato troppo rapidamente. Si potrebbe pensare a una sorta di terapia, un intervento specifico per permettere all’organismo di funzionare meglio. Il fatto che esista un
reale bisogno di questa integrazione è un concetto però non ancora assodato e
talvolta contrastato dalla medicina ufficiale.
Oltre a prodotti caratterizzati da componenti nutrizionali specifici, come le vitamine e i minerali, fanno parte della famiglia degli integratori anche una serie di
prodotti vegetali, le “erbe”, e derivati come pappa reale e propoli, che vengono prodotti dalle api.
Gli integratori dietetici possono essere suddivisi, per praticità, nel seguente modo:
• energetici, ad esempio carboidrati;
• idrosalini, ad esempio elettroliti e oligoelementi;
• plastici, ad esempio proteine e amminoacidi;
• metabolici, ad esempio creatina e vitamine;
• antiossidanti, ad esempio vitamina C;
• alcuni prodotti erboristici, ad esempio ginkgo biloba e ginseng.
334
MANGIARE BENE PER STARE BENE
Che cosa dice la legge
FIGURA 18 Gli
integratori alimentari
vengono forniti sotto forma
di tavolette, compresse o
gocce, in quantità misurate
per ottimizzarne l’effetto.
DIETE E ALIMENTI SPECIALI
Gli integratori rispondono a esigenze nutrizionali precise o a condizioni fisiologiche
particolari. Costituendo una fonte concentrata di nutrienti o di sostanze gli integratori sono destinati a complementare la dieta, e non a sostituire il cibo. Servono infatti, come spiega il Ministero della Salute, “a ottimizzare gli apporti nutrizionali, fornire sostanze di interesse nutrizionale ad effetto protettivo o trofico e
migliorare il metabolismo e le funzioni fisiologiche dell’organismo”.
Devono quindi essere somministrati in linea con precise indicazioni, sia
in materia di composizione che di dosi massime di assunzione, come
indicato dalle linee guida revisionate nel dicembre 2002 dal Ministero
della Salute.
Secondo quanto leggiamo nel testo della Direttiva Europea 2002/46, gli
integratori alimentari sono definiti come “prodotti alimentari destinati a
integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di
sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare – ma non in via esclusiva – amminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”. Gli
integratori alimentari vengono infatti forniti sotto forma di tavolette,
compresse o gocce, in quantità misurate in modo da ottimizzarne l’effetto.
Gli integratori oggi sul mercato, sia singoli che combinati, sono più di 4500. Attualmente, in mancanza di una norma specifica, la loro commercializzazione è subordinata alla procedura di notifica, cioè alla trasmissione al Ministero della Salute del
modello di etichetta impiegato per la commercializzazione, ai sensi dell’articolo 7
del Decreto legislativo n. 111 del 27 gennaio 1992.
In attuazione della Direttiva Europea 2002/46, tesa a uniformare le discipline degli
Stati membri in materia di integratori alimentari, il governo ha approvato il
Decreto legislativo n. 169 del 21 maggio 2004, attraverso il quale vengono individuate le denominazioni possibili, le sostanze presenti con i relativi criteri di purezza, le modalità di etichettatura, di produzione e confezionamento, di immissione
in commercio, nel rispetto delle competenze regionali.
Tale Decreto, entrato in vigore il 30 luglio 2004 e con cui è stata recepita in Italia la Direttiva Europea 2002/46, impone che sull’etichetta degli integratori compaia un dosaggio preciso di ciò che è contenuto nella confezione, soprattutto se si
tratta di sostanze vegetali. L’idea diffusa che si tratti di “sostanze naturali” potrebbe comportare da parte dei consumatori e dei non esperti un uso eccessivo e superficiale; ma proprio per via del ruolo metabolico, chimico e farmacologico che tali
sostanze esplicano nell’organismo, e da cui nasce l’interesse per la loro formulazione
in integratori nutrizionali, possono in specifici casi e in determinati dosaggi
diventare addirittura pericolosi e dannosi. Infatti nessun farmaco o sostanza dotata di un effetto nell’organismo è totalmente innocua; tutte, oltre a produrre l’effetto specifico, determinano anche un numero più o meno grande di effetti collaterali indesiderati, soprattutto se usate senza un particolare motivo o nel modo
sbagliato.
Un attento dosaggio è quindi necessario, per limitare possibili controindicazioni o
addirittura danni alla salute. Inoltre, l’etichetta non può contenere diciture che inducano il consumatore a pensare a una “cura miracolosa”, né al fatto che l’integratore sia essenziale e necessario anche in presenza di una dieta equilibrata e variata.
335
5
Il testo di legge stabilisce inoltre i criteri di purezza delle fonti di vitamine e
minerali e i contenuti dei messaggi pubblicitari che promuovono l’uso degli integratori e che, ad esempio, non possono promettere cure miracolose e perdite di peso
in tempi determinati. Infine, il Decreto stabilisce una serie di azioni di controllo
e vigilanza e di sanzioni in ogni caso in cui le indicazioni del Decreto stesso non
vengano rispettate.
Le indicazioni e le nuove regole cui attenersi nell’ambito della produzione,
commercializzazione e pubblicizzazione degli integratori alimentari sono entrati in vigore gradatamente e in tempi successivi fino all’agosto 2005, quando,
secondo l’articolo 15 della Direttiva, gli stati membri hanno dovuto “... vietare il commercio di prodotti non conformi alla presente direttiva al più tardi a
decorrere dal 1° agosto 2005”.
Restrizioni severissime dunque, in base alle quali sono spariti dal mercato i prodotti che contengono forme di vitamine o minerali non elencate negli allegati della
Direttiva stessa. Ad esempio, sono stati tolti dal commercio i prodotti contenenti vitamina E come tocoferoli misti e tocotrienoli, mentre è permesso solo l’a-tocoferolo. Così sono stati tolti dal commercio i prodotti contenenti forme di carotene diverse dal b-carotene.
Sono stati poi fissati dei limiti di dosaggio per vitamine e minerali ammessi sensibilmente più bassi di quelli che venivano comunemente impiegati nella composizione degli integratori. L’art. 5 del medesimo Decreto dice infatti: “in attesa
dell’adozione di specifiche direttive comunitarie i livelli ammessi di vitamine, minerali e altre sostanze sono definiti nelle Linee guida sugli integratori alimentari pubblicate dal Ministero della Salute”.
Tanto per dare qualche esempio, secondo le prescrizioni ministeriali la vitamina E
è limitata a 30 milligrammi, la vitamina C a 180 milligrammi, la B1 è disponibile fino a 2 milligrammi e la vitamina B6 a 3 milligrammi.
La linea seguita dal Ministero è quella di un limite generalizzato per le vitamine
ai dosaggi compresi tra il 30% e il 150% dei livelli di riferimento, con l’eccezione della vitamina C e la vitamina E, disponibili fino a tre volte (300%) delle RDA.
In compenso, grazie all’etichettatura, i consumatori sono messi al corrente del contenuto di ogni componente rispetto alla dose giornaliera raccomandata (RDA); in
etichetta sono per legge riportate la diciture “non superare la dose consigliata”, “non
somministrare ai bambini al di sotto dei tre anni”, “gli integratori non sostituiscono
una dieta variata”.
È proibito d’ufficio, così come ogni riferimento all’eventuale prevenzione di
malattie, pubblicizzare gli integratori alimentari come apporto di nutrienti importanti: ad esempio, per rafforzare le difese immunitarie e per raggiungere un livello di salute ottimale. Il problema consiste essenzialmente nel garantire sufficienti livelli di sicurezza degli integratori. Viene pertanto spesso sottolineata una possibile reazione da “effetto collaterale” di un qualsiasi integratore.
Poiché i consumatori nel mondo stanno diventando più consapevoli dei problemi della
salute, la richiesta di cibi e loro ingredienti salutari è destinata a crescere.
Si presume che il mercato per tali cibi diventerà molto vasto. Prima che il pieno potenziale di mercato possa venir realizzato, però, ai consumatori dovranno essere garantite la sicurezza e l’efficacia dei cibi funzionali. Studi scientifici attuali e futuri avranno il compito di comprovare questa sicurezza e ispirare fiducia nei confronti dei cibi
funzionali nella mente dei consumatori di tutto il mondo.
336
MANGIARE BENE PER STARE BENE
10.10
Novità nel piatto: gli OGM
Un organismo geneticamente modificato (OGM) è un organismo nel quale viene
inserito nuovo materiale genetico – o viene modificato quello esistente – mediante le tecniche di ingegneria genetica. Il termine OGM si applica perciò, secondo
la terminologia ufficiale, agli organismi nel cui DNA sono state provocate variazioni mediante processi diversi da incroci o ricombinazione genetica. Gli OGM
sono anche detti prodotti transgenici, ossia geneticamente modificati.
La modificazione genetica di piante coltivate può avere scopi diversi:
• può servire a rendere le piante resistenti a un parassita o a una malattia;
• può aiutare le piante a sopportare condizioni climatiche difficili, come la siccità
o il gelo;
• può permetterne la coltivazione in terreni poco adatti (ad esempio terreni troppo ricchi di sali);
• può migliorarne il contenuto nutritivo o sviluppare caratteristiche utili alla
sua trasformazione alimentare: ad esempio, può essere impiegata per
aumentare il contenuto di proteine nel frumento per la panificazione;
• può consentire l’utilizzo di tali piante per produrre medicine come vaccini, antibiotici e ormoni, oppure materiali chimici di uso industriale (ad
esempio, plastiche biodegradabili).
FIGURA 19 Negli Stati Uniti, il
40% del mais che viene
coltivato è costituito da
organismi geneticamente
modificati.
Le tecniche di ingegneria genetica sono arrivate sulla nostra tavola poiché sono state
utilizzate per modificare materiale alimentare di specie commestibili per l’uomo.
Negli Stati Uniti circa il 75% del cibo contiene qualche ingrediente geneticamente
modificato; tra le colture, più dell’80% della soia e il 40% del mais sono composti da varietà OGM.
Come si costruisce un prodotto OGM?
Le tecniche di ingegneria genetica permettono di trasferire materiale genetico da
un organismo a un altro sfruttando delle vere e proprie “forbici molecolari”, gli enzimi di restrizione, in grado di riconoscere e tagliare specifiche sequenze di DNA.
Nei punti di “taglio” possono essere inseriti nuovi geni modificando così il materiale genetico. Immaginiamo di voler trasferire una caratteristica di un organismo
ad un altro organismo che in natura non possiede tale caratteristica: ad esempio,
la resistenza al gelo che caratterizza la “patata andina”, alle fragole, con l’obiettivo di rendere anche queste ultime resistenti alle basse temperature.
1. La prima fase per produrre un organismo geneticamente modificato è il clonaggio
genico (o clonazione), processo che permette di isolare uno o più geni di un dato
organismo. Un gene è costituito da una sequenza di nucleotidi e porta con sé
l’informazione per codificare una specifica proteina. Per clonare un gene è prioritario
possedere una mappa genetica, ossia la sequenza dei geni presenti nel genoma per
individuare la specifica sequenza che possieda le proprietà che vogliamo trasferire da
un organismo a un altro. Nel nostro esempio, che riguarda “patata andina”, dovremo conoscere la sequenza che le conferisce la caratteristica di resistere al gelo.
2. Una volta individuata, la sequenza va estratta dall’intero genoma: si utilizzano,
a questo scopo, gli “enzimi di restrizione” capaci di tagliare il DNA a livello di
sequenze specifiche di nucleotidi.
3. La sequenza estratta deve ora essere inserita in un vettore di trasporto della modiDIETE E ALIMENTI SPECIALI
337
5
ficazione genetica, ad esempio il plasmide di un batterio, sfruttando un enzima
che opera una vera ri-combinazione, la DNA-ligasi, che lega il segmento estraneo nel plasmide del batterio precedentemente tagliato. Otterremo così dei batteri con un genoma modificato, ricombinanti. Nel nostro esempio dovremo scegliere un batterio idoneo, con un plasmide dove inserire il tratto di DNA della
“patata andina” precedentemente clonato e isolato.
4. A questo punto i batteri ricombinanti vengono messi a contatto, per rimanere
al nostro esempio, con le cellule della fragola, in modo che queste vengano infettate dal batterio, il quale agisce come vettore di trasporto della modificazione
genetica della fragola stessa.
Si otterrà così una “fragola OGM”, dotata di una caratteristica che prima non aveva:
sarà infatti resistente al gelo.
Uno dei batteri più utilizzati per realizzare organismi geneticamente modificati è
l’Agrobacterium tumefaciens, un “ingegnere genetico” naturale. Si tratta di un
microrganismo, innocuo per gli animali e per l’uomo, che è presente comunemente
nel terreno e che per sopravvivere sfrutta le piante nelle quali si insedia, modificandone il genoma: inserisce cioè alcuni geni del proprio DNA nel DNA della pianta, “costringendola” a produrre ormoni vegetali dei quali si nutre. I biologi molecolari hanno imparato a usare l’Agrobacterium tumefaciens come mezzo di trasporto
del frammento di DNA che il batterio trasferisce alla pianta da modificare.
FIGURA 20 Per clonare un
gene di un organismo
occorre possederne la
mappa genetica, ossia la
sequenza dei geni presenti
nel genoma.
Un altro metodo di trasformazione consiste nell’introdurre i geni direttamente nel
nucleo della cellula vegetale da modificare. In questo caso si “sparano”, all’interno delle
cellule, micro-proiettili metallici ricoperti di DNA: questi penetrano nella cellula e
inseriscono il nuovo DNA nel genoma, come se alcune nuove pagine venissero “incollate” all’enciclopedia che contiene le informazioni vitali della pianta.
OGM e terzo mondo
FIGURA 21 Un esempio di
utilizzo di prodotti OGM nei
paesi in via di sviluppo è
una varietà di riso
geneticamente modificato
contenente b-carotene.
338
Un esempio di utilizzo di prodotti OGM nei paesi in via di sviluppo è una varietà di
riso contenente b-carotene. I carotenoidi sono importanti per la salute umana per le
loro proprietà antiossidanti (riducono la produzione di radicali liberi); svolgono
un’azione preventiva verso alcune forme di cancro e di malattie cardiache, riducendo, inoltre, l’invecchiamento precoce. Il b-carotene è un precursore della vitamina A,
indispensabile per il normale funzionamento della vista, per la crescita, per lo sviluppo
delle ossa e per la risposta immunitaria. La carenza di vitamina A rappresenta un grave
problema sanitario in ben 118 paesi: si stima che alleviando la carenza di vitamina A
tra i bambini in età prescolare dei paesi in via di sviluppo, sia possibile ridurne la mortalità fino al 23%. È inoltre allo studio un riso geneticamente migliorato ricco di ferro
e dotato di una proteina che ne favorisce l’assorbimento da parte dell’intestino.
OGM e allergie
Le allergie alimentari colpiscono una bassa percentuale della popolazione: gli
individui allergici manifestano reazioni ad alcune proteine, gli allergeni, presenti in una ristretta classe di cibi: frutta a guscio, uova, soia, latte, arachidi, pesce, crostacei, frumento ( PERCORSO 11).
La FAO (Food and Agriculture Organization) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno reso ulteriormente sicuri i processi di sviluppo e sperimentazione di nuovi OGM, al fine di escludere ogni possibile allergenicità degli alimenMANGIARE BENE PER STARE BENE
ti derivati. I prodotti OGM vengono sottoposti obbligatoriamente a questi controlli,
rendendo così le piante geneticamente modificate, sotto questo profilo, di fatto più
sicure rispetto a diversi frutti e verdure esotiche, che sempre più spesso vengono importate dai paesi tropicali e venduti senza aver prima verificato se possano causare
allergie in una popolazione che prima di quel momento non se ne era mai cibata.
OGM e resistenza agli antibiotici
Non sempre il batterio che funge da vettore per l’inserimento del DNA nella pianta riesce a portare a termine il suo lavoro in maniera soddisfacente. È quindi necessario identificare le piante che contengono effettivamente il gene che si è voluto
introdurre. A questo scopo si inseriscono nel DNA del batterio alcuni geni detti
“marcatori”, che permettono ai ricercatori di distinguere le piante trasformate con
successo da quelle non trasformate. I “marcatori” utilizzati sono spesso geni che codificano per un fattore di resistenza a un antibiotico.
Il pericolo che viene ipotizzato è che questo gene marcatore entri nei batteri che
normalmente fanno parte della normale flora intestinale del nostro organismo e
si inserisca nel suo genoma.
OGM e biodiversità
FIGURA 22 L’introduzione
degli OGM rappresenta un
reale rischio per la
conservazione della
biodiversità.
Le biotecnologie intervengono sulla natura più intima degli esseri viventi e portano
alla creazione di nuovi organismi non previsti dall’evoluzione. Nel corso di oltre tre
miliardi di anni, l’evoluzione naturale ha generato l’enorme patrimonio di diversità
biologica che popola il nostro pianeta, la “biodiversità” appunto. Questo potenziale genetico è essenziale per assicurare l’adattamento delle specie al progressivo mutamento delle condizioni di vita: la perdita della biodiversità rappresenta quindi una
minaccia grave per la sopravvivenza delle specie viventi sulla Terra.
Lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, e la progressiva selezione delle piante di maggior interesse produttivo, ha effettivamente portato a una riduzione della variabilità genetica e solo di recente si è cominciato a porre la dovuta attenzione alla conservazione della biodiversità esistente.
Esistono nel mondo centri specializzati per la conservazione del materiale genetico
vegetale (detto germoplasma), che funzionano come vere e proprie “banche delle
sementi e dei geni”: lo scopo del loro lavoro è evitare la scomparsa di una moltitudine di varietà vegetali non più coltivate perché di non sufficiente interesse sotto il
profilo della resa produttiva o perché non comprese nei costosi programmi di
miglioramento genetico che hanno portato alla realizzazione delle colture attuali.
OGM e ambiente: il “terminator”
Riguardo alla diffusione di una pianta OGM nell’ambiente si devono considerare due aspetti.
Il primo aspetto, di carattere generale, riguarda l’effetto dell’introduzione di nuovi
vegetali in un ecosistema. L’agricoltura utilizza da sempre specie che non sono presenti naturalmente nel luogo di coltivazione: basti pensare al mais, alla patata e al
pomodoro, arrivate in Europa dall’America e quindi solo dopo la scoperta di quel
Continente. Se parecchie di queste specie sono innocue o addirittura offrono benefici, altre sono definite “infestanti”, per la capacità di invadere l’ambiente e di degraDIETE E ALIMENTI SPECIALI
339
5
FIGURA 23 Gli insetti
impollinatori possono
diventare involontari veicoli
di contaminazione genetica
crociata.
darlo. Questo pericolo è inesistente per le specie molto addomesticate, come il
mais o la soia, che non sono in grado di sopravvivere senza l’intervento umano, mentre se ne deve tenere conto nel caso di specie più “selvatiche” come può essere il colza.
Il secondo aspetto riguarda la possibilità della cosiddetta contaminazione genetica
crociata determinata dalla possibilità che il polline prodotto da una pianta geneticamente modificata fecondi i fiori di piante vicine. Occorre considerare il tipo di riproduzione delle piante: esistono infatti numerose specie che si autofecondano, per le quali
la probabilità di contaminazione genetica è bassissima, e specie che invece si riproducono
per fecondazione crociata, disperdendo il polline nell’ambiente attraverso il vento o
usando come “corrieri” gli insetti. Per queste ultime, i fenomeni di impollinazione crociata sono in effetti possibili. Per limitare la probabilità di contaminazione genetica
da parte delle varietà geneticamente modificate si è sviluppata la tecnologia nota come
“terminator” o “a semi suicidi”. In queste piante i semi prodotti dalla fecondazione
con il polline transgenico si sviluppano normalmente, ma sono incapaci di germinare
e produrre nuove piante, evitando così che possa avvenire la dispersione del gene estraneo introdotto. Questa tecnologia, richiesta per evitare rischi potenziali di contaminazione genetica, è stata oggetto di forti critiche: si è infatti obiettato che le piante “terminator” possono rappresentare un sistema mediante il quale le industrie sementiere costringono gli agricoltori all’acquisto di nuove sementi ogni anno.
OGM vantaggi e rischi
Il dibattito sull’uso degli organismi geneticamente modificati in campo alimentare
è quanto mai acceso, nel tentativo di evidenziare i vantaggi, ma d’altra parte
anche i possibili rischi, per la salute umana e per l’ambiente, provenienti dagli OGM.
I “sostenitori” della prevalenza dei vantaggi sottolineano come l’agricoltura convenzionale miri ad adattare la pianta all’ambiente, ma, per tale scopo, sia spesso
costretta ad utilizzare sostanze chimiche per aumentare la resa (fertilizzanti), per
combattere erbe infestanti (erbicidi o diserbanti), o per eliminare la presenza di parassiti (fitofarmaci): l’utilizzo su vasta scala degli OGM permetterebbe invece di mantenere un’agricoltura intensiva (cioè in grado di produrre grandi quantità di alimenti
su superfici limitate) riducendo l’impatto ambientale provocato dalle sostanze chimiche. Infatti, vengono prodotte piante OGM che si autoproteggono da insetti,
funghi o batteri e piante modificate per resistere agli erbicidi.
Dall’altra parte si evidenziano i rischi di un uso massiccio degli OGM dovuti al
fatto che, oltre al grave e sottovalutato problema della riduzione della biodiversità
negli ecosistemi del pianeta, è tuttora impossibile prevedere tutte le implicazioni
sul lungo periodo che il loro uso potrebbe recare sulla salute.
VANTAGGI
Riduzione dell’utilizzo di diserbanti e
fitofarmaci
RISCHI
Incertezza dell’impatto degli OGM
sulla salute
Riduzione dell’utilizzo di insetticidi
Sviluppo di semi e piante in
condizioni ambientali avverse
Possibile utilizzo nei paesi del terzo
mondo
Ipotesi di aumento di allergie alimentari
Ipotesi di aumento di resistenza agli
antibiotici
Riduzione della biodiversità
L’elenco degli organismi geneticamente modificati approvati nel mondo è disponibile sul sito: http://www.agbios.com.
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MANGIARE BENE PER STARE BENE