Percorso 10 Diete e alimenti speciali Con il termine generico dieta (dal greco “diàita”, regola di vita) si indica il regime alimentare quotidiano necessario a coprire il fabbisogno energetico di un individuo. Nel nostro linguaggio quotidiano il termine dieta viene spesso associato, in modo erroneo, ad un regime alimentare restrittivo, da seguire in condizioni di disfunzioni o eccesso di peso. Esistono, al contrario, innumerevoli regimi alimentari particolari che negli anni hanno assunto ruoli differenti. In questo Percorso vengono descritte le tipologie dietetiche più frequenti e le loro caratteristiche principali. 10.1 Diete dimagranti Si ritiene che l’abuso di diete restrittive e di diete a scopi puramente “estetici” sia uno tra i fattori responsabili dell’insorgenza di comportamenti alimentari abnormi e dell’aumento dei disturbi del comportamento alimentare. Le diete dimagranti drastiche, se ripetute e protratte, producono spesso due conseguenze negative sull’organismo: da una parte alterano il metabolismo causando un abbassamento del metabolismo basale e finendo col favorire l’accumulo di grassi; dall’altro inducono disturbi nel comportamento alimentare, quali la bulimia. Se si ha un problema di sovrappeso e si intende dimagrire bisogna rivolgersi ad uno specialista, un dietologo o un nutrizionista. Le regole indispensabili da seguire per impostare una corretta dieta dimagrante sono: 1. dopo aver stabilito il peso teorico in relazione al sesso, all’età e all’altezza della persona, calcolare il fabbisogno calorico giornaliero. Questo fabbisogno dovrà, nella fase iniziale della dieta, essere ridotto affinché il soggetto cali di peso; FIGURA 1 Cibi grassi, fritture e dolci sono gli alimenti più calorici e pertanto da tenere maggiormente sotto controllo se si intende seguire un regime dimagrante. 322 MANGIARE BENE PER STARE BENE 2. evitare cibi ricchi di grassi, le fritture e i dolci; 3. saziarsi mangiando alimenti voluminosi e appaganti; 4. associare alla dieta l’attività fisica; 5. non attendersi risultati immediati, ma munirsi di costanza e di pazienza. 5 Una dieta dimagrante corretta ha come obiettivo una perdita di peso da 700 g fino a 1 kg alla settimana. Infatti, la capacità del nostro organismo di mobilizzare i grassi dal tessuto adiposo è comunque limitata, circa 1,5 kg alla settimana: non ha perciò alcun senso sottoporsi a riduzioni di peso superiori a tale valore poiché si finirebbe per intaccare la massa magra che va, invece, salvaguardata. Un regime dietetico caratterizzato da restrizione calorica per la donna adulta dovrebbe fornire intorno alle 1000-1200 Kcal, e per l’uomo circa 1500-1800 Kcal. Al di sotto di questi valori la dieta dimagrante non è corretta poiché non soddisfa le necessità di micronutrienti. La dieta, inoltre, deve prevedere un intervallo non eccessivo tra i 5 pasti giornalieri, che vanno suddivisi in 3 pasti principali e 2 spuntini. Il programma di dimagrimento dovrà prevedere abbondanti quantità di verdura e frutta di stagione, cereali e legumi. PASTO Colazione Spuntino Pranzo Spuntino Cena 10.2 ESEMPIO DI UNA DIETA IPOCALORICA DA 1200 KCAL CIRCA ALIMENTO QUANTITÀ (g) latte scremato 100 fette biscottate integrali 20 1 mela 100 pasta condita con 50 pomodoro 50 pollo cotto ai ferri 100 spinaci freschi cotti 150 pere 200 1 vasetto di yogurt 125 magro scamorza 70 zucchine 200 pane integrale 50 pesca 200 KCAL 46 76 67 163 48 175 56 83 43 234 25 121 59 Kcal totali 1196 Dieta mediterranea Gli antichi greci e romani basavano la loro alimentazione su prodotti tipicamente mediterranei: cereali, legumi, ortaggi, frutta, vegetali, olio di oliva e vino. La dieta mediterranea ha dunque radici molto remote ed è tuttora impostata allo stesso modo, prevedendo l’impiego di questi alimenti e un uso ridotto di carne e formaggi. Il termine “dieta mediterranea” fu proposto per la prima volta dal nutrizionista Keys Ancel negli anni Sessanta per indicare una dieta equilibrata da dare come riferimento alimentare alla popolazione statunitense. La dieta mediterranea è caratterizzata DIETE E ALIMENTI SPECIALI 323 dall’utilizzo di prodotti tipici del bacino mediterraneo quali: • prodotti vegetali come legumi, cereali, olio di oliva, frutta, verdure di stagione; • prodotti animali come latte, formaggi, uova, abbondante pesce. L’apporto di carne rossa è limitato. Numerosi studi hanno dimostrato i benefici effetti della dieta mediterranea nella prevenzione delle malattie cardiovascolari come aterosclerosi, diabete, ipertensione, infarto. I benefici che derivano dalla dieta mediterranea dipendono dai seguenti fattori: FIGURA 2 Protagonisti della dieta mediterranea sono i legumi, i cereali, l’olio di oliva. 1. ridotta introduzione di acidi grassi saturi di origine animale a favore degli acidi grassi insaturi di origine vegetale. L’olio di oliva è il simbolo della dieta mediterranea. La presenza dell’acido oleico lo rende insostituibile per il corretto equilibrio tra acidi grassi monoinsaturi e acidi grassi insaturi, fattore fondamentale per la prevenzione dell’aterosclerosi; 2. presenza di abbondanti sostanze antiossidanti e protettive, come le vitamine presenti nella verdura, i grassi monoinsaturi presenti nell’olio di oliva e gli acidi grassi polinsaturi di tipo Omega-3 presenti nel pesce azzurro; 3. presenza di alimenti ricchi di fibra, quali le verdure e i legumi. I legumi sono alimenti che forniscono fibra, proteine di buona qualità e carboidrati a lento utilizzo. A differenza delle fonti proteiche di origine animale, i legumi non sono veicoli di grassi saturi, ma, al contrario, di acidi grassi essenziali; 4. presenza di carboidrati di tipo complesso. Uno dei cardini della dieta mediterranea è la pasta, un alimento energetico di grande qualità nutrizionale. Infatti, oltre a contenere carboidrati complessi si abbina facilmente con altri alimenti, di diverso contenuto nutrizionale. La dieta mediterranea prevede anche il consumo di vino (purché assunto durante i pasti e con moderazione): il vino infatti esercita effetti positivi sul sistema cardiovascolare; prevede inoltre latte e latticini che, pur contenendo grassi saturi, sono una fonte importantissima di calcio. DIETA MEDITERRANEA ALIMENTI DA PRIVILEGIARE ALIMENTI DA USARE CON MODERAZIONE Pane, pasta Riso Legumi, verdure Frutta Olio di oliva Pesce Vino Carne Insaccati Pollame Latte e derivati Burro, strutto Formaggi Uova La dieta mediterranea sottolinea le sane abitudini alimentari del nostro paese e della nostra tradizione: non dobbiamo dimenticarci di queste tradizioni per seguire invece vie di consumismo tipiche della società industriali. Dobbiamo valorizzare i nostri alimenti tipici, variandoli e alternandoli opportunamente, secondo i gusti e la disponibilità economica di ciascuno. Gli alimenti dell’area mediterranea si prestano a formare piatti unici e completi, quali pasta e fagioli, spezzatino con patate e paste asciutte condite con formaggi o carni. Anche nel settore della ristorazione gli operatori devono essere attenti a valorizzare piatti di tradizione regionale, nella prospettiva di un’alimentazione sana e genuina ( ANCHE PERCORSO 5). 324 MANGIARE BENE PER STARE BENE 10.3 Dieta vegetariana 5 La dieta vegetariana viene normalmente classificata in due tipologie: FIGURA 3 Involtini vegetariani di verza e verdure miste. La dieta vegetariana non crea scompensi nutrizionali purché sia di tipo misto, comprendente cioè uova e latticini. • dieta vegetariana stretta: esclude qualsiasi prodotto di origine animale (pesci compresi). I vegetariani di questo tipo vengono anche detti vegani; • dieta vegetariana mista: esclude la carne animale (pesce compreso), ma accetta prodotti di derivazione animale come latte, formaggio, uova. A seconda del tipo di alimento ammesso, la dieta vegetariana mista si può definire latteo-ovo-vegetariana (ammessi uova, latte e derivati), latteo-vegetariana (ammesso solo il latte), ovo-vegetariana (ammesse solo le uova). La dieta vegetariana mista è una dieta accettabile perché apporta tutti i macro e i micronutrienti necessari. Le carenze proteiche che deriverebbero dalla mancanza di consumo della carne vengono evitate grazie al consumo di uova, latte e formaggi. Anche l’apporto di ferro, normalmente fornito dalla carne e dal pesce, viene assicurato dal consumo del tuorlo d’uovo e di vegetali come i legumi secchi e il frumento integrale. Mentre i vegetariani a regime misto non vanno incontro ad alcuna carenza nutrizionale, quelli a regime stretto devono prestare molta attenzione ad assumere con la dieta le combinazioni di vegetali in grado di apportare al proprio organismo il “pool” dei nove amminoacidi essenziali, al fine di non incorrere in eventuali deficienze proteiche. I vantaggi che derivano dall’uso della dieta vegetariana sono: • l’elevato apporto di fibra alimentare che favorisce la peristalsi intestinale, l’evacuazione e svolge, perciò, un ruolo preventivo nei confronti dei tumori dell’intestino; • la bassa introduzione di colesterolo e acidi grassi saturi, fattori importanti nella prevenzione delle malattie cardiovascolari; • il minore apporto calorico determina una minore incidenza delle patologie determinate da eccessi alimentari quali l’obesità, il diabete e la gotta. 10.4 FIGURA 4 Nella dieta “a zona” viene data la preferenza a pollo e tacchino piuttosto che alle carni rosse. DIETE E ALIMENTI SPECIALI Dieta “a zona” La dieta “a zona” è stata ideata dal dottor Barry Sears, un biochimico americano, negli anni Ottanta. Il termine “zona” sta ad indicare il conseguimento della massima efficienza fisica e mentale che si identifica in maggiore resistenza, forza, benessere; secondo il suo inventore, “stare a zona” significa, pertanto, raggiungere e soprattutto mantenere una “zona di equilibrio” mentale e fisico. Nella dieta “a zona” il cibo è considerato il mezzo per controllare il rilascio di alcuni ormoni e, questo, a sua volta, influenzerebbe l’efficienza dei sistemi biologici. Scopo della dieta è pertanto quello di mantenere il bilancio ormonale. Barry Sears prende in considerazione, in particolare, gli effetti che il cibo esercita su due ormoni secreti dal pancreas: l’insulina e il glucagone. L’insulina è un ormone anabolizzante e ha come effetto un accumulo di energia nelle cellule; il glucagone, 325 ormone catabolizzante, svolge l’effetto contrario, determinando il consumo di questa energia metabolica. La dieta a zona viene descritta come la dieta del 40:30:30 ad indicare la percentuale relativa dei diversi macronutrienti: FIGURA 5 Fabbisogno giornaliero dei nutrienti nella dieta a zona e nelle raccomandazioni generali della dieta equilibrata. • 40% di glucidi, tra i quali si devono preferire i glucidi semplici presenti nella frutta e verdura e a basso indice glicemico; • 30% di proteine: sono da preferire carne, pesce, uova e formaggi. Tra le carni si devono preferire quelle che contengono una percentuale inferiore di grassi saturi, quali la carne di pollo e il tacchino; • 30% di lipidi: è consigliabile consumare grassi monoinsaturi provenienti da olio di oliva, nocciole, mandorle. Dieta a zona Lipidi 30% Proteine 30% Glucidi 40% Dieta equilibrata Lipidi 30% Proteine Proteine 15% 30% Glucidi 40% Glucidi 55% Come evidenziato dai grafici, questo schema dietetico, rispetto alle indicazioni fornite in generale relative alla dieta equilibrata, privilegia la carne, il pesce e i formaggi mentre consiglia un apporto inferiore di pane, pasta e riso. Il regime alimentare suggerito dalla dieta “a zona” è fortemente ipocalorico e iperproteico e presenta tutti i limiti che derivano da una dieta ricca di proteine. Primo tra tutti è il sovraccarico del sistema renale conseguente a un’eccessiva introduzione alimentare di proteine: per evitare possibili danni a questi organi è consigliabile non superare le raccomandazioni fornite dai LARN relative al consumo di proteine, pari a 1 g/kg di peso corporeo al giorno. Per formulare una dieta a zona, oltre a tenere presente questa importante considerazione, dobbiamo ricordare i rapporti 40:30:30 tra i diversi macronutrienti e il potere calorico fisiologico di questi ( PERCORSO 4, PAGINA 121). • Si comincia con il quantificare la quantità di proteine necessarie in relazione alle percentuali di massa magra, massa grassa e livello di attività fisica praticata. Ad esempio, nel caso di un soggetto sedentario che pesa 77 kg la dieta dovrà apportare una quantità di proteine pari a 1 grammo per ogni kg di peso corporeo: otterremo perciò 77 grammi di proteine. 77 grammi di proteine forniscono 4 Kcal/g ¥ 77 g = 308 Kcal. Questo apporto calorico deve corrispondere al 30% delle calorie da introdurre giornalmente. • I carboidrati devono rappresentare il 40% dell’intero fabbisogno calorico giornaliero, pari a 411 Kcal. Poiché 1 grammo di carboidrati equivalgono a 4 Kcal/g dovremo introdurre una quantità di carboidrati pari a 411 Kcal/4 Kcal/g = 103 g. FIGURA 6 I carboidrati devono rappresentare il 40% dell’intero fabbisogno calorico giornaliero. 326 MANGIARE BENE PER STARE BENE • I lipidi devono essere presenti nella percentuale del 30% (pari a 308 Kcal) e 1 grammo di lipidi libera 9 Kcal. Dovremo perciò introdurre circa 34 g di lipidi. • Stabilita la quantità di proteine da assumere si divide la dieta in 11 blocchi (ognuno costituito da 7 g di proteine) da suddividere nei 5 pasti: 3 blocchi a colazione, 3 blocchi a pranzo, 1 blocco a merenda, 3 blocchi a cena, 1 blocco prima di coricarsi. Il rapporto 40:30:30 deve essere rispettato per ogni pasto. Così, dal momento che 1 grammo di proteine e carboidrati producono 4 Kcal, mentre 1 grammo di lipidi produce 9 Kcal, per mantenere il rapporto indicato ogni blocchetto di 7 grammi di proteine (7g ¥ 4 Kcal = 28 Kcal) dovrà essere accompagnato da 9,5 grammi di carboidrati e da 3 grammi di grassi. ESEMPI DI BLOCCHI PER COSTRUIRE LA DIETA A ZONA 30 g di prosciutto crudo (pari a 1 blocco di proteine) 30 g di pane integrale di segale (pari a 1 blocco di carboidrati) 240 cc di latte parzialmente scremato (pari a 1 blocco di proteine, 1 di carboidrati e 1 di grassi) 240 g di zucchine al vapore (pari a 2 blocchi di carboidrati) 30 g di pane integrale di segale (pari a 1 blocco di carboidrati) 1 fettina di petto di pollo (90 grammi sono pari a 3 blocchi di proteine) 2 cucchiaini di olio di oliva (pari a 3 blocchi di grasso) 10.5 FIGURA 7 Le uova strapazzate con formaggio sono un abbinamento valido per la dieta dissociata: entrambi gli alimenti vengono digeriti infatti in ambiente a pH acido. Dieta dissociata La definizione “dieta dissociata” fa riferimento alla strategia dietetica che dissocia, annulla l’usuale succedersi delle pietanze durante i pasti. Le diete dissociate si sono diffuse infatti sulla base del principio che la digestione enzimatica e l’assorbimento siano specifici per i diversi principi nutritivi: secondo questo regime alimentare sarebbe perciò necessario dividere in momenti diversi l’assunzione di cibi ricchi di proteine da quelli ricchi di carboidrati. In realtà, negli ultimi anni, questo concetto è stato rivisto e si considera ora la necessità della dissociazione degli alimenti non tanto in virtù del funzionamento degli enzimi dell’apparato digerente, ma in relazione al valore di pH richiesto per digerire i vari alimenti: i glucidi, ad esempio, richiedono per la digestione un pH basico, mentre le proteine vengono digerite solo in ambiente acido. Sono stati quindi compilati elenchi di alimenti compatibili dal punto di vista del pH della loro digestione. In sintesi, perciò, la dieta dissociata prende in considerazione: • la composizione in nutrienti dei singoli alimenti; • la loro richiesta di ambiente acido o basico per la digestione. Su queste basi, l’alimentazione dissociata non accetta il tradizionale modo di mescolare cibi durante il pasto ma associa gli alimenti in base all’ambiente di cui necessitano per la digestione. DIETE E ALIMENTI SPECIALI 327 5 DIGESTIONE ACIDA Carne Pesce Salumi Uova Latte e derivati Formaggi magri Uova Mele e prugne Uva Fragole Pomodori cotti FIGURA 8 Pasta con il ragù di carne: un classico della nostra cucina, ma un errore di abbinamento secondo le regole della dieta dissociata. 328 DIGESTIONE BASICA Pane, pasta Riso Patate Banane Legumi secchi Marmellate Cioccolato Castagne Noci Mandorle Arachidi Possono associarsi nella dieta gli alimenti presenti nella medesima colonna; gli alimenti a digestione “neutra” possono essere associati sia a quelli acidi che a quelli basici; va evitata la combinazione tra alimenti a digestione basica e alimenti a digestione acida. ASSOCIAZIONI ERRATE ASSOCIAZIONI CORRETTE Pane, pasta, riso + verdure Pasta, riso + carne, pesce, salumi Latte, yogurt, pane + frutta Pasta, riso + dolci acidula Carni, pesce, salumi + dolci Pane + legumi Latte + pane o fette biscot- Carni, pesce, salumi + condimenti grassi tate 10.6 FIGURA 9 La dieta macrobiotica è in prevalenza vegetariana, e privilegia i cibi naturali, freschi e integrali. DIGESTIONE NEUTRA Burro Margarina Olio Panna Formaggi grassi Insalata Carote Pomodori crudi Zucchine Piselli Fagiolini ASSOCIAZIONI TOLLERABILI Pasta, riso + legumi Pasta, riso + formaggi Pasta, riso + frutta dolce Carni, pesce + frutta dolce Dieta macrobiotica Il termine “macrobiotica” ha origine dall’unione delle parole greche mákros e bíos, il cui significato è letteralmente: vita piena, grande vita. La macrobiotica si ispira al pensiero filosofico zen (filosofia orientale che risale a 5000 anni fa) che si basa su una visione olistica dell’uomo, dove ogni elemento cioè è in equilibrio con gli altri. Anche il cibo è considerato fondamentale per mantenere l’armonia tra la mente e il corpo. La realtà, secondo questa filosofia, si suddivide dal punto di vista energetico in componenti yin e yang, a cui corrispondono due differenti categorie anche dal punto di vista alimentare. Il principio della macrobiotica è che i cibi yin (acidi: latte, yogurt, frutta, tè, spezie, ecc.) e i cibi yang (alcalini: sale, carne, pesce, pollo, uova, ecc.), debbano essere assunti in modo equilibrato per mantenere l’armonia tra mente e corpo. La macrobiotica si inserisce in quelle correnti di pensiero che cercano di seguire strade naturali nell’alimentazione, assecondando il ciclo biologico sia degli esseri umani che del mondo animale e vegetale. Per questo motivo, la macrobiotica si propone di limitare, se non addirittura di abolire, gli alimenti di provenienza industriale, privilegiando i cibi naturali, freschi e integrali. L’alimento dominante è il riso, insieme ad altri cereali che vengono consumati di solito interi, con germe e crusca, mentre non vengono consumati carne e latticini. MANGIARE BENE PER STARE BENE GEORGE OHSAWA L FIGURA 10 George Ohsawa, padre della dieta macrobiotica, si ispirò alle regole alimentari seguite dai monaci buddisti. a macrobiotica si diffuse nella seconda metà del secolo scorso grazie agli studi di un giapponese, George Ohsawa: ammalatosi gravemente di tubercolosi, attribuì la sua guarigione ad una dieta basata sui principi e sulle pratiche spirituali della medicina orientale. Ohsawa, nato a Kyoto nel 1893, dopo gli studi di filosofia si laureò in medicina, viaggiò molto tra gli Stati Uniti e l’Europa e fu un grande sostenitore della macrobiotica, alla quale dedicò numerosi studi e trattati, ispirandosi alle regole alimentari dei monaci buddisti. Morì nella sua città natale all’età di 73 anni. Secondo Ohsawa, seguendo quotidianamente una corretta alimentazione è possibile mantenere l’equilibrio tra gli elementi yin e yang e dunque ottenere un buon livello di salute. La dieta macrobiotica deve essere così composta: • 50% di cereali integrali; • 25% di proteine (di cui il 10% di origine animale e il 15% di origine vegetale); • 25% di verdure (cotte e crude) e frutta. La dieta di tipo macrobiotico non è specificamente vegetariana; essa, ad esempio, non esclude il consumo saltuario di pesce e di altri organismi di origine marina. Molti cibi macrobiotici fanno parte della tradizione giapponese, come il miso (a base di soia fermentata e cereali), la salsa di soia, il tofu (formaggio di soia), alghe marine e radici conservate. I cibi macrobiotici vengono in genere consumati senza essere sottoposti a surgelamento, senza l’aggiunta di additivi e di dolcificanti artificiali: per zuccherare si utilizza zucchero di canna o composti dolci come lo sciroppo d’acero o di riso. Le modalità di cottura preferite sono la cottura a vapore e, al posto del caffè e del tè, si preferisce consumare caffè d’orzo o tè verde. I sostenitori della macrobiotica ritengono che tale dieta alimentare possa prevenire o guarire malattie come il cancro o malattie neurodegenerative, ma non vi sono prove che lo confermino. D’altra parte, il basso contenuto di grassi, unito all’elevato consumo di frutta e verdura e di alimenti ricchi di fibre alimentari, sono criteri validi in generale per la prevenzione dell’aterosclerosi e di molte malattie cardiovascolari. ESEMPIO DI DIETA MACROBIOTICA DIETE E ALIMENTI SPECIALI PRIMA GIORNATA SECONDA GIORNATA Colazione: 1 tazza di tè - 2 fette biscottate integrali Metà mattina: 1 frutto di stagione Pranzo: 200 g di insalata caprese con pomodori e tofu Metà pomeriggio: a piacere frutta secca o fresca Cena: 150 g di minestra di carote – 100 g di spinaci lessati Colazione: 1 caffè d’orzo con fiocchi di cereali Metà mattina: 1 centrifugato di carote Pranzo: 80 g di risotto con fave e piselli – 100 g di insalata verde Metà pomeriggio: 1 frutto di stagione Cena: minestrone di verdure e legumi – 100 g di insalata di pomodori 329 5 IL DECALOGO DELLA DIETA MACROBIOTICA 1. Evitare gli alimenti raffinati. 2. Preferire i cibi provenienti da coltivazioni e allevamenti “naturali” (nei quali non si utilizzino additivi chimici). 3. Eliminare lo zucchero, i dolci, le caramelle e il miele. 4. Preferire frutta e verdura di stagione, evitare frutti esotici e verdure surgelate. 5. Evitare patate, pomodori e melanzane. 6. Evitare latte e derivati. 7. Preferire il pesce alla carne. La carne va inserita raramente nell’alimentazione macrobiotica. 8. Non usare spezie e sale comune ma solo il sale marino allo stato naturale. 9. Masticare a lungo i cibi, per favorire la digestione e per apprezzare il reale sapore del cibo. 10.7 FIGURA 12 Pesce con verdura cotta, preceduto da un abbondante antipasto a base di insalata: è un esempio di “monopiatto”, principio base della dieta eubiotica. FIGURA 11 Le verdure devono essere di stagione e coltivate senza l’impiego di additivi chimici. 10. Eliminare il caffè; al suo posto è possibile introdurre dei surrogati, quali ad esempio il jannoh (una miscela di frumento, soia, bardana e radici di tarassaco torrefatti), o ancora il dendelio (ottenuto dalle radici di tarassaco e cicoria torrefatte). Dieta eubiotica La dieta eubiotica è un tipo di alimentazione che privilegia la naturalità e l’integrità dei cibi, allo scopo di mantenere negli alimenti microrganismi e fattori probiotici vivi, fattori che concorrono ad aumentare le difese immunitarie del corpo e l’energia dello spirito. Fine ultimo di questo tipo di alimentazione è, pertanto, il miglioramento della salute psicofisica della persona. L’eubiotica considera l’uomo come un ecosistema, inserito nell’equilibrio ecologico dell’ambiente. In generale, la dieta eubiotica privilegia i cibi integrali, coltivati in modo naturale, mentre consiglia un uso limitato di prodotti raffinati e precotti. I cibi integrali vengono consigliati per apportare il giusto grado di fibre al nostro organismo, in quanto aiutano ad eliminare le tossine e le scorie accumulate con lo stress e con le cattive abitudini come il fumo e la vita sedentaria. I pasti principali dovrebbero essere costituiti da un monopiatto, costituito da un unico alimento di base: il cosiddetto “primo” (pasta, riso o minestre con verdure o legumi), oppure il “secondo” (carne, pesce, uova o formaggi) con abbondante insalata come antipasto, contorno di verdura cotta e pane integrale. I prodotti animali non andrebbero consumati più di una volta al giorno. Andrebbe inoltre evitato il consumo di frutta a fine pasto. 10.8 I cibi funzionali (functional foods) Negli ultimi anni il concetto di cibo ha subito una radicale trasformazione; per decenni le raccomandazioni nutrizionali dei vari organismi nazionali e internazionali si sono espresse di più su cosa non si deve mangiare, piuttosto che su cosa bisogna mangiare. Lo scopo primario della dieta, si è detto, è quello di fornire nutrienti sufficienti a soddisfare le esigenze nutrizionali della persona, ma sono sempre di più le prove 330 MANGIARE BENE PER STARE BENE scientifiche a sostegno dell’ipotesi che alcuni alimenti e componenti alimentari abbiano effetti benefici, fisiologici e psicologici, che vanno oltre l’apporto dei nutrienti di base. La moderna scienza dell’alimentazione insomma è andata oltre i concetti classici, che raccomandavano di evitare carenze di nutrienti e inadeguatezza dell’alimentazione di base. Si è passati così al concetto di alimentazione “positiva” od “ottimale”. Attualmente, infatti, di ogni alimento vengono definiti i seguenti parametri: • il valore nutrizionale; • le proprietà sensoriali (gradevolezza al palato); • il ruolo nel favorire una buona salute; • gli eventuali effetti nel determinare un benessere psico-fisico e anche nel suo utilizzo per prevenire alcune patologie. FIGURA 13 Verza, cavolo cappuccio, cavolfiore: come tutte le Crucifere, svolgono una preziosa azione anticancro. FIGURA 14 Le arance rosse offrono un vantaggio in più rispetto alle arance bionde: contengono infatti antocianidine, potenti antiossidanti. DIETE E ALIMENTI SPECIALI La nuova interpretazione salutistica del concetto di alimentazione e dell’uso degli alimenti, che per le loro caratteristiche nutrizionali e per i loro componenti chimici possono “curare”, è derivata da numerose ricerche scientifiche, che hanno evidenziato il legame stretto fra alimenti, nutrienti, alimentazione e salute. “Lasciate che il vostro cibo sia la vostra medicina”, sentenziò Ippocrate, padre della medicina, già nel quinto secolo avanti Cristo. Eppure, nonostante questa illustre premessa, nel mondo medico la nutrizione non occupa ancora il posto che le spetterebbe. Il “cibo come medicina” è diventata la base dei cibi dietetici, funzionali (functional foods), alimenti cioè modificati in modo tale da aggiungervi un fattore favorevole alla salute. Il numero di cibi funzionali è potenzialmente molto ampio e comprende cibi naturali, derivati di questi cibi aggiunti ad altri cibi o proposti come supplementi dietetici, e componenti alimentari di sintesi. Alcuni alimenti “tradizionali” sono cibi funzionali. Tanto per fare alcuni esempi, l’aglio e la cipolla contengono dei composti solforati: essi stimolano gli enzimi che inibiscono la crescita batterica e rafforzano il sistema immunitario, in grado di abbassare la pressione sanguigna, potenziare il sistema cardiovascolare e prevenire l’insorgenza di tumori. Uva, lamponi, mirtilli, ciliegie, more, fragole, barbabietole e le arance rosse di Sicilia sono alimenti ricchi di antocianidine, potenti agenti antiossidanti che combattono lo stress ossidativo e prevengono l’invecchiamento cellulare. Le carote, i meloni, i vegetali a foglia larga e verde scuro, gli asparagi, il cavolo cappuccio, i cavoletti di Bruxelles, la zucca e le albicocche contengono carotenoidi, molecole che riducono il rischio di infarto al miocardio, proteggono la pelle contro i danni dei raggi solari, proteggono contro bronchiti croniche, asma ed enfisema, tumori alle vie respiratorie e riducono il rischio di cataratte. Il pomodoro, il pompelmo rosa e il cocomero sono ricchi di licopene, importante composto che protegge contro il carcinoma della vescica, della prostata, del fegato, dello stomaco e del colon. Le Crucifere (cavoli, cavoletti di Bruxelles, broccoli, cavolfiore, verza) sono ricche di glucosinati, inibitori della cancerogenesi. Non vannno poi dimenticati i legumi, ricchi di isoflavoni (che prevengono la perdita di tessuto osseo, le malattie cardiache e riducono i livelli di colesterolo cattivo nel sangue), il tè verde, lo yogurt e i latti fermentati. Insomma, i cibi funzionali non sono altro che “metodi di prevenzione e benessere nel piatto”. 331 5 La ricerca è oggi incentrata sull’identificazione dei componenti alimentari biologicamente attivi, potenzialmente in grado di ottimizzare il benessere fisico e mentale e di ridurre anche il rischio di contrarre malattie. Questi particolari composti sono definiti nutriceutici, termine reso popolare dalla statunitense Foundation for Innovation in Medicine (FIM) e che si riferisce ad “ogni sostanza che possa essere considerata cibo o parte di cibo che fornisca comprovati benefici medici o per la salute, inclusi la prevenzione e il trattamento delle malattie”. La diffusione dei cibi funzionali Mentre in alcuni paesi come il Giappone, la Corea e la Cina è da tempo ritenuto che certi cibi procurino benefici per la salute, il concetto di cibo funzionale è relativamente recente in Occidente, dove alimenta forti interessi, anche economici; questo cambiamento è dovuto principalmente a: • rapidi progressi nelle conoscenze scientifiche sul ruolo cruciale della dieta per la salute e per la prevenzione di malattie; • richiesta da parte dei consumatori e cambiamento prospettico del ruolo del cibo, non più concepito come semplice mezzo di sussistenza; • costi crescenti per la tutela della salute; • invecchiamento progressivo della popolazione; • progressi tecnologici nell’industria alimentare, che hanno reso possibile la produzione di cibi salutari; • cambiamento delle leggi e delle norme regolatrici. FIGURA 15 Ottimi anche crudi in insalata, gli spinaci sono ricchi di folato, vitamina preziosa per la crescita e la riproduzione cellulare. 332 Va osservato, a questo proposito, che esiste una differenza tra le aspettative sui cibi funzionali nel mondo occidentale e quelle del mondo orientale. In Occidente, infatti, i cibi funzionali sono visti come una rivoluzione e rappresentano un settore dell’industria alimentare in rapida crescita. Industrie alimentari, farmaceutiche e chimiche e catene di negozi, partendo da una ricerca “dal basso” e dagli sforzi per promuoverla, sono tutte impegnate ad introdurre i cibi funzionali sul mercato. In Oriente, invece, i cibi funzionali fanno parte da secoli della cultura di questi paesi. Nella medicina tradizionale cinese, cibi dotati di effetti curativi sono descritti già dal 1000 a.C. Sin dall’antichità, i Cinesi hanno compreso che i cibi hanno effetti sia preventivi che terapeutici e che sono parte integrante della salute, un punto di vista che ora sta ottenendo crescenti consensi in tutto il mondo. Gli alimenti funzionali, però, non hanno ancora ottenuto una precisa definizione dalla legislazione europea. In generale, un alimento può essere considerato funzionale se “dimostra in maniera soddisfacente di avere effetti positivi su una o più funzioni specifiche dell’organismo, che vadano oltre gli effetti nutrizionali normali, in modo tale che sia rilevante per il miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o per la riduzione del rischio di malattia”. Esempi di alimenti convenzionalmente accettati come funzionali sono i cibi che contengono determinati minerali, vitamine, acidi grassi o fibre alimentari e quelli addizionati con sostanze biologicamente attive, come i principi attivi di origine vegetale o altri antiossidanti e probiotici (batteri che modulano positivamente la flora intestinale). MANGIARE BENE PER STARE BENE Parallelamente al crescente interesse per questa categoria di alimenti, sono comparsi nuovi prodotti ed è emersa la necessità di definire standard e “linee guida” che ne regolamentino lo sviluppo e la promozione. Molti ricercatori concordano nel ritenere che ogni cibo classificato come “funzionale” e con supposti specifici benefici sulla salute dovrebbe essere sottoposto a validazione scientifica prima che ne sia autorizzata la propaganda in termini di benefici specifici per la salute. In paesi con una ricca tradizione culturale concernente i benefici per la salute di vari alimenti, molti cibi sono associati a specifiche propagande salutistiche, ma non sempre possiedono una documentazione scientifica a sostegno delle presunte attività biologiche. Negli Stati Uniti, il Nutrition Labeling and Education Act del 1990 permette, per la prima volta, di apporre indicazioni salutistiche o di prevenzione di malattia sull’etichetta di un cibo. In questo contesto, la Food and Drug Administration (FDA) richiede che le indicazioni salutistiche siano supportate da solide ricerche e che siano approvate dalla FDA stessa. Ad oggi, solo un limitato numero di indicazioni è stato approvato. Le prospettive salutistiche (health claims) La Direzione Generale della Commissione Europea “Salute e tutela dei consumatori” ha prodotto nel 2002 una bozza di normativa, in cui si sostiene lo sviluppo di due tipi di “health claims” (prospettive salutistiche) per gli alimenti funzionali, i quali devono sempre essere validi nell’ambito dell’alimentazione nella sua globalità e devono riferirsi a quantitativi di cibo normalmente consumati in una dieta. Tali “health claims” sono: FIGURA 16 I consumatori nel mondo stanno diventando più consapevoli dei problemi legati al cibo e alla salute, ed è perciò destinata a crescere la richiesta di ingredienti salutari. • Tipo A: claim correlati al “miglioramento di una funzione biologica” in riferimento a specifiche attività fisiologiche, psicologiche e biologiche che vanno oltre il loro ruolo accertato nella crescita, nello sviluppo e in altre normali funzioni dell’organismo. Questo tipo di dicitura non fa riferimento a una malattia o a uno stato patologico; ad esempio, alcuni oligosaccaridi non digeribili (probiotici) migliorano la crescita di una determinata flora batterica nell’intestino; la caffeina può migliorare l’efficienza cognitiva. • Tipo B: claim correlati alla “riduzione del rischio di malattia”: si riferiscono al consumo di un alimento o di un componente alimentare che potrebbe contribuire alla riduzione del rischio di una malattia o di uno stato patologico grazie a specifici nutrienti o non nutrienti in esso contenuti. Ad esempio, il folato può ridurre in una donna le probabilità di avere un figlio con difetti del midollo spinale, e un apporto sufficiente di calcio può contribuire a ridurre il rischio di osteoporosi nell’età avanzata. Quando un cibo funzionale contiene nuovi ingredienti o è prodotto con nuovi procedimenti, diventa particolarmente importante che ne vengano accertate la sicurezza e la tollerabilità. DIETE E ALIMENTI SPECIALI 333 5 Con i cibi tradizionali, la sicurezza deriva da una lunga storia di assunzione senza conseguenze da parte di molte popolazioni nell’arco di diverse generazioni. Queste notizie mancano per gli ingredienti nuovi e per i nuovi procedimenti, e pertanto è richiesta una valutazione di sicurezza prima che questi cibi vengano accettati come alimento alternativo. Studi scientifici attuali e futuri avranno il compito di comprovare questa sicurezza conquistando così la fiducia dei consumatori. 10.9 FIGURA 17 Radice di ginseng, da cui si ricava l’omonimo integratore alimentare. Gli integratori alimentari L’Organizzazione Mondiale della Sanità e tutti i Ministeri della Salute europei raccomandano di mangiare, come minimo, quotidianamente, 5 porzioni di frutta fresca e cruda e 5 porzioni di verdura fresca e cruda. Il National Cancer Institute e tutte le autorità sanitarie statunitensi consigliano un consumo di 7-9 porzioni di frutta, verdura e cereali, ogni giorno. In realtà un numero veramente bassissimo, solo il 5-10% della popolazione, segue questo importante consiglio, e in Europa il consumo medio non raggiunge nemmeno la metà dei livelli raccomandati. Vitamine, probiotici, sali minerali, proteine, fibre sono tutte sostanze contenute nel cibo che hanno la proprietà di migliorare il funzionamento dell’organismo, di sopperire a carenze alimentari, di favorire lo stato di benessere della persona e soprattutto di prevenire alcune malattie. Questi e altri componenti, quando vengono proposti sotto forma di pastiglie o capsule, entrano a far parte della grande famiglia degli integratori alimentari. Il termine, “integratori alimentari”, fa pensare immediatamente a un intervento per porre rimedio alla carenza di qualche fondamentale principio nutritivo, non assunto in maniera adeguata con la normale alimentazione o eliminato troppo rapidamente. Si potrebbe pensare a una sorta di terapia, un intervento specifico per permettere all’organismo di funzionare meglio. Il fatto che esista un reale bisogno di questa integrazione è un concetto però non ancora assodato e talvolta contrastato dalla medicina ufficiale. Oltre a prodotti caratterizzati da componenti nutrizionali specifici, come le vitamine e i minerali, fanno parte della famiglia degli integratori anche una serie di prodotti vegetali, le “erbe”, e derivati come pappa reale e propoli, che vengono prodotti dalle api. Gli integratori dietetici possono essere suddivisi, per praticità, nel seguente modo: • energetici, ad esempio carboidrati; • idrosalini, ad esempio elettroliti e oligoelementi; • plastici, ad esempio proteine e amminoacidi; • metabolici, ad esempio creatina e vitamine; • antiossidanti, ad esempio vitamina C; • alcuni prodotti erboristici, ad esempio ginkgo biloba e ginseng. 334 MANGIARE BENE PER STARE BENE Che cosa dice la legge FIGURA 18 Gli integratori alimentari vengono forniti sotto forma di tavolette, compresse o gocce, in quantità misurate per ottimizzarne l’effetto. DIETE E ALIMENTI SPECIALI Gli integratori rispondono a esigenze nutrizionali precise o a condizioni fisiologiche particolari. Costituendo una fonte concentrata di nutrienti o di sostanze gli integratori sono destinati a complementare la dieta, e non a sostituire il cibo. Servono infatti, come spiega il Ministero della Salute, “a ottimizzare gli apporti nutrizionali, fornire sostanze di interesse nutrizionale ad effetto protettivo o trofico e migliorare il metabolismo e le funzioni fisiologiche dell’organismo”. Devono quindi essere somministrati in linea con precise indicazioni, sia in materia di composizione che di dosi massime di assunzione, come indicato dalle linee guida revisionate nel dicembre 2002 dal Ministero della Salute. Secondo quanto leggiamo nel testo della Direttiva Europea 2002/46, gli integratori alimentari sono definiti come “prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare – ma non in via esclusiva – amminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”. Gli integratori alimentari vengono infatti forniti sotto forma di tavolette, compresse o gocce, in quantità misurate in modo da ottimizzarne l’effetto. Gli integratori oggi sul mercato, sia singoli che combinati, sono più di 4500. Attualmente, in mancanza di una norma specifica, la loro commercializzazione è subordinata alla procedura di notifica, cioè alla trasmissione al Ministero della Salute del modello di etichetta impiegato per la commercializzazione, ai sensi dell’articolo 7 del Decreto legislativo n. 111 del 27 gennaio 1992. In attuazione della Direttiva Europea 2002/46, tesa a uniformare le discipline degli Stati membri in materia di integratori alimentari, il governo ha approvato il Decreto legislativo n. 169 del 21 maggio 2004, attraverso il quale vengono individuate le denominazioni possibili, le sostanze presenti con i relativi criteri di purezza, le modalità di etichettatura, di produzione e confezionamento, di immissione in commercio, nel rispetto delle competenze regionali. Tale Decreto, entrato in vigore il 30 luglio 2004 e con cui è stata recepita in Italia la Direttiva Europea 2002/46, impone che sull’etichetta degli integratori compaia un dosaggio preciso di ciò che è contenuto nella confezione, soprattutto se si tratta di sostanze vegetali. L’idea diffusa che si tratti di “sostanze naturali” potrebbe comportare da parte dei consumatori e dei non esperti un uso eccessivo e superficiale; ma proprio per via del ruolo metabolico, chimico e farmacologico che tali sostanze esplicano nell’organismo, e da cui nasce l’interesse per la loro formulazione in integratori nutrizionali, possono in specifici casi e in determinati dosaggi diventare addirittura pericolosi e dannosi. Infatti nessun farmaco o sostanza dotata di un effetto nell’organismo è totalmente innocua; tutte, oltre a produrre l’effetto specifico, determinano anche un numero più o meno grande di effetti collaterali indesiderati, soprattutto se usate senza un particolare motivo o nel modo sbagliato. Un attento dosaggio è quindi necessario, per limitare possibili controindicazioni o addirittura danni alla salute. Inoltre, l’etichetta non può contenere diciture che inducano il consumatore a pensare a una “cura miracolosa”, né al fatto che l’integratore sia essenziale e necessario anche in presenza di una dieta equilibrata e variata. 335 5 Il testo di legge stabilisce inoltre i criteri di purezza delle fonti di vitamine e minerali e i contenuti dei messaggi pubblicitari che promuovono l’uso degli integratori e che, ad esempio, non possono promettere cure miracolose e perdite di peso in tempi determinati. Infine, il Decreto stabilisce una serie di azioni di controllo e vigilanza e di sanzioni in ogni caso in cui le indicazioni del Decreto stesso non vengano rispettate. Le indicazioni e le nuove regole cui attenersi nell’ambito della produzione, commercializzazione e pubblicizzazione degli integratori alimentari sono entrati in vigore gradatamente e in tempi successivi fino all’agosto 2005, quando, secondo l’articolo 15 della Direttiva, gli stati membri hanno dovuto “... vietare il commercio di prodotti non conformi alla presente direttiva al più tardi a decorrere dal 1° agosto 2005”. Restrizioni severissime dunque, in base alle quali sono spariti dal mercato i prodotti che contengono forme di vitamine o minerali non elencate negli allegati della Direttiva stessa. Ad esempio, sono stati tolti dal commercio i prodotti contenenti vitamina E come tocoferoli misti e tocotrienoli, mentre è permesso solo l’a-tocoferolo. Così sono stati tolti dal commercio i prodotti contenenti forme di carotene diverse dal b-carotene. Sono stati poi fissati dei limiti di dosaggio per vitamine e minerali ammessi sensibilmente più bassi di quelli che venivano comunemente impiegati nella composizione degli integratori. L’art. 5 del medesimo Decreto dice infatti: “in attesa dell’adozione di specifiche direttive comunitarie i livelli ammessi di vitamine, minerali e altre sostanze sono definiti nelle Linee guida sugli integratori alimentari pubblicate dal Ministero della Salute”. Tanto per dare qualche esempio, secondo le prescrizioni ministeriali la vitamina E è limitata a 30 milligrammi, la vitamina C a 180 milligrammi, la B1 è disponibile fino a 2 milligrammi e la vitamina B6 a 3 milligrammi. La linea seguita dal Ministero è quella di un limite generalizzato per le vitamine ai dosaggi compresi tra il 30% e il 150% dei livelli di riferimento, con l’eccezione della vitamina C e la vitamina E, disponibili fino a tre volte (300%) delle RDA. In compenso, grazie all’etichettatura, i consumatori sono messi al corrente del contenuto di ogni componente rispetto alla dose giornaliera raccomandata (RDA); in etichetta sono per legge riportate la diciture “non superare la dose consigliata”, “non somministrare ai bambini al di sotto dei tre anni”, “gli integratori non sostituiscono una dieta variata”. È proibito d’ufficio, così come ogni riferimento all’eventuale prevenzione di malattie, pubblicizzare gli integratori alimentari come apporto di nutrienti importanti: ad esempio, per rafforzare le difese immunitarie e per raggiungere un livello di salute ottimale. Il problema consiste essenzialmente nel garantire sufficienti livelli di sicurezza degli integratori. Viene pertanto spesso sottolineata una possibile reazione da “effetto collaterale” di un qualsiasi integratore. Poiché i consumatori nel mondo stanno diventando più consapevoli dei problemi della salute, la richiesta di cibi e loro ingredienti salutari è destinata a crescere. Si presume che il mercato per tali cibi diventerà molto vasto. Prima che il pieno potenziale di mercato possa venir realizzato, però, ai consumatori dovranno essere garantite la sicurezza e l’efficacia dei cibi funzionali. Studi scientifici attuali e futuri avranno il compito di comprovare questa sicurezza e ispirare fiducia nei confronti dei cibi funzionali nella mente dei consumatori di tutto il mondo. 336 MANGIARE BENE PER STARE BENE 10.10 Novità nel piatto: gli OGM Un organismo geneticamente modificato (OGM) è un organismo nel quale viene inserito nuovo materiale genetico – o viene modificato quello esistente – mediante le tecniche di ingegneria genetica. Il termine OGM si applica perciò, secondo la terminologia ufficiale, agli organismi nel cui DNA sono state provocate variazioni mediante processi diversi da incroci o ricombinazione genetica. Gli OGM sono anche detti prodotti transgenici, ossia geneticamente modificati. La modificazione genetica di piante coltivate può avere scopi diversi: • può servire a rendere le piante resistenti a un parassita o a una malattia; • può aiutare le piante a sopportare condizioni climatiche difficili, come la siccità o il gelo; • può permetterne la coltivazione in terreni poco adatti (ad esempio terreni troppo ricchi di sali); • può migliorarne il contenuto nutritivo o sviluppare caratteristiche utili alla sua trasformazione alimentare: ad esempio, può essere impiegata per aumentare il contenuto di proteine nel frumento per la panificazione; • può consentire l’utilizzo di tali piante per produrre medicine come vaccini, antibiotici e ormoni, oppure materiali chimici di uso industriale (ad esempio, plastiche biodegradabili). FIGURA 19 Negli Stati Uniti, il 40% del mais che viene coltivato è costituito da organismi geneticamente modificati. Le tecniche di ingegneria genetica sono arrivate sulla nostra tavola poiché sono state utilizzate per modificare materiale alimentare di specie commestibili per l’uomo. Negli Stati Uniti circa il 75% del cibo contiene qualche ingrediente geneticamente modificato; tra le colture, più dell’80% della soia e il 40% del mais sono composti da varietà OGM. Come si costruisce un prodotto OGM? Le tecniche di ingegneria genetica permettono di trasferire materiale genetico da un organismo a un altro sfruttando delle vere e proprie “forbici molecolari”, gli enzimi di restrizione, in grado di riconoscere e tagliare specifiche sequenze di DNA. Nei punti di “taglio” possono essere inseriti nuovi geni modificando così il materiale genetico. Immaginiamo di voler trasferire una caratteristica di un organismo ad un altro organismo che in natura non possiede tale caratteristica: ad esempio, la resistenza al gelo che caratterizza la “patata andina”, alle fragole, con l’obiettivo di rendere anche queste ultime resistenti alle basse temperature. 1. La prima fase per produrre un organismo geneticamente modificato è il clonaggio genico (o clonazione), processo che permette di isolare uno o più geni di un dato organismo. Un gene è costituito da una sequenza di nucleotidi e porta con sé l’informazione per codificare una specifica proteina. Per clonare un gene è prioritario possedere una mappa genetica, ossia la sequenza dei geni presenti nel genoma per individuare la specifica sequenza che possieda le proprietà che vogliamo trasferire da un organismo a un altro. Nel nostro esempio, che riguarda “patata andina”, dovremo conoscere la sequenza che le conferisce la caratteristica di resistere al gelo. 2. Una volta individuata, la sequenza va estratta dall’intero genoma: si utilizzano, a questo scopo, gli “enzimi di restrizione” capaci di tagliare il DNA a livello di sequenze specifiche di nucleotidi. 3. La sequenza estratta deve ora essere inserita in un vettore di trasporto della modiDIETE E ALIMENTI SPECIALI 337 5 ficazione genetica, ad esempio il plasmide di un batterio, sfruttando un enzima che opera una vera ri-combinazione, la DNA-ligasi, che lega il segmento estraneo nel plasmide del batterio precedentemente tagliato. Otterremo così dei batteri con un genoma modificato, ricombinanti. Nel nostro esempio dovremo scegliere un batterio idoneo, con un plasmide dove inserire il tratto di DNA della “patata andina” precedentemente clonato e isolato. 4. A questo punto i batteri ricombinanti vengono messi a contatto, per rimanere al nostro esempio, con le cellule della fragola, in modo che queste vengano infettate dal batterio, il quale agisce come vettore di trasporto della modificazione genetica della fragola stessa. Si otterrà così una “fragola OGM”, dotata di una caratteristica che prima non aveva: sarà infatti resistente al gelo. Uno dei batteri più utilizzati per realizzare organismi geneticamente modificati è l’Agrobacterium tumefaciens, un “ingegnere genetico” naturale. Si tratta di un microrganismo, innocuo per gli animali e per l’uomo, che è presente comunemente nel terreno e che per sopravvivere sfrutta le piante nelle quali si insedia, modificandone il genoma: inserisce cioè alcuni geni del proprio DNA nel DNA della pianta, “costringendola” a produrre ormoni vegetali dei quali si nutre. I biologi molecolari hanno imparato a usare l’Agrobacterium tumefaciens come mezzo di trasporto del frammento di DNA che il batterio trasferisce alla pianta da modificare. FIGURA 20 Per clonare un gene di un organismo occorre possederne la mappa genetica, ossia la sequenza dei geni presenti nel genoma. Un altro metodo di trasformazione consiste nell’introdurre i geni direttamente nel nucleo della cellula vegetale da modificare. In questo caso si “sparano”, all’interno delle cellule, micro-proiettili metallici ricoperti di DNA: questi penetrano nella cellula e inseriscono il nuovo DNA nel genoma, come se alcune nuove pagine venissero “incollate” all’enciclopedia che contiene le informazioni vitali della pianta. OGM e terzo mondo FIGURA 21 Un esempio di utilizzo di prodotti OGM nei paesi in via di sviluppo è una varietà di riso geneticamente modificato contenente b-carotene. 338 Un esempio di utilizzo di prodotti OGM nei paesi in via di sviluppo è una varietà di riso contenente b-carotene. I carotenoidi sono importanti per la salute umana per le loro proprietà antiossidanti (riducono la produzione di radicali liberi); svolgono un’azione preventiva verso alcune forme di cancro e di malattie cardiache, riducendo, inoltre, l’invecchiamento precoce. Il b-carotene è un precursore della vitamina A, indispensabile per il normale funzionamento della vista, per la crescita, per lo sviluppo delle ossa e per la risposta immunitaria. La carenza di vitamina A rappresenta un grave problema sanitario in ben 118 paesi: si stima che alleviando la carenza di vitamina A tra i bambini in età prescolare dei paesi in via di sviluppo, sia possibile ridurne la mortalità fino al 23%. È inoltre allo studio un riso geneticamente migliorato ricco di ferro e dotato di una proteina che ne favorisce l’assorbimento da parte dell’intestino. OGM e allergie Le allergie alimentari colpiscono una bassa percentuale della popolazione: gli individui allergici manifestano reazioni ad alcune proteine, gli allergeni, presenti in una ristretta classe di cibi: frutta a guscio, uova, soia, latte, arachidi, pesce, crostacei, frumento ( PERCORSO 11). La FAO (Food and Agriculture Organization) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno reso ulteriormente sicuri i processi di sviluppo e sperimentazione di nuovi OGM, al fine di escludere ogni possibile allergenicità degli alimenMANGIARE BENE PER STARE BENE ti derivati. I prodotti OGM vengono sottoposti obbligatoriamente a questi controlli, rendendo così le piante geneticamente modificate, sotto questo profilo, di fatto più sicure rispetto a diversi frutti e verdure esotiche, che sempre più spesso vengono importate dai paesi tropicali e venduti senza aver prima verificato se possano causare allergie in una popolazione che prima di quel momento non se ne era mai cibata. OGM e resistenza agli antibiotici Non sempre il batterio che funge da vettore per l’inserimento del DNA nella pianta riesce a portare a termine il suo lavoro in maniera soddisfacente. È quindi necessario identificare le piante che contengono effettivamente il gene che si è voluto introdurre. A questo scopo si inseriscono nel DNA del batterio alcuni geni detti “marcatori”, che permettono ai ricercatori di distinguere le piante trasformate con successo da quelle non trasformate. I “marcatori” utilizzati sono spesso geni che codificano per un fattore di resistenza a un antibiotico. Il pericolo che viene ipotizzato è che questo gene marcatore entri nei batteri che normalmente fanno parte della normale flora intestinale del nostro organismo e si inserisca nel suo genoma. OGM e biodiversità FIGURA 22 L’introduzione degli OGM rappresenta un reale rischio per la conservazione della biodiversità. Le biotecnologie intervengono sulla natura più intima degli esseri viventi e portano alla creazione di nuovi organismi non previsti dall’evoluzione. Nel corso di oltre tre miliardi di anni, l’evoluzione naturale ha generato l’enorme patrimonio di diversità biologica che popola il nostro pianeta, la “biodiversità” appunto. Questo potenziale genetico è essenziale per assicurare l’adattamento delle specie al progressivo mutamento delle condizioni di vita: la perdita della biodiversità rappresenta quindi una minaccia grave per la sopravvivenza delle specie viventi sulla Terra. Lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, e la progressiva selezione delle piante di maggior interesse produttivo, ha effettivamente portato a una riduzione della variabilità genetica e solo di recente si è cominciato a porre la dovuta attenzione alla conservazione della biodiversità esistente. Esistono nel mondo centri specializzati per la conservazione del materiale genetico vegetale (detto germoplasma), che funzionano come vere e proprie “banche delle sementi e dei geni”: lo scopo del loro lavoro è evitare la scomparsa di una moltitudine di varietà vegetali non più coltivate perché di non sufficiente interesse sotto il profilo della resa produttiva o perché non comprese nei costosi programmi di miglioramento genetico che hanno portato alla realizzazione delle colture attuali. OGM e ambiente: il “terminator” Riguardo alla diffusione di una pianta OGM nell’ambiente si devono considerare due aspetti. Il primo aspetto, di carattere generale, riguarda l’effetto dell’introduzione di nuovi vegetali in un ecosistema. L’agricoltura utilizza da sempre specie che non sono presenti naturalmente nel luogo di coltivazione: basti pensare al mais, alla patata e al pomodoro, arrivate in Europa dall’America e quindi solo dopo la scoperta di quel Continente. Se parecchie di queste specie sono innocue o addirittura offrono benefici, altre sono definite “infestanti”, per la capacità di invadere l’ambiente e di degraDIETE E ALIMENTI SPECIALI 339 5 FIGURA 23 Gli insetti impollinatori possono diventare involontari veicoli di contaminazione genetica crociata. darlo. Questo pericolo è inesistente per le specie molto addomesticate, come il mais o la soia, che non sono in grado di sopravvivere senza l’intervento umano, mentre se ne deve tenere conto nel caso di specie più “selvatiche” come può essere il colza. Il secondo aspetto riguarda la possibilità della cosiddetta contaminazione genetica crociata determinata dalla possibilità che il polline prodotto da una pianta geneticamente modificata fecondi i fiori di piante vicine. Occorre considerare il tipo di riproduzione delle piante: esistono infatti numerose specie che si autofecondano, per le quali la probabilità di contaminazione genetica è bassissima, e specie che invece si riproducono per fecondazione crociata, disperdendo il polline nell’ambiente attraverso il vento o usando come “corrieri” gli insetti. Per queste ultime, i fenomeni di impollinazione crociata sono in effetti possibili. Per limitare la probabilità di contaminazione genetica da parte delle varietà geneticamente modificate si è sviluppata la tecnologia nota come “terminator” o “a semi suicidi”. In queste piante i semi prodotti dalla fecondazione con il polline transgenico si sviluppano normalmente, ma sono incapaci di germinare e produrre nuove piante, evitando così che possa avvenire la dispersione del gene estraneo introdotto. Questa tecnologia, richiesta per evitare rischi potenziali di contaminazione genetica, è stata oggetto di forti critiche: si è infatti obiettato che le piante “terminator” possono rappresentare un sistema mediante il quale le industrie sementiere costringono gli agricoltori all’acquisto di nuove sementi ogni anno. OGM vantaggi e rischi Il dibattito sull’uso degli organismi geneticamente modificati in campo alimentare è quanto mai acceso, nel tentativo di evidenziare i vantaggi, ma d’altra parte anche i possibili rischi, per la salute umana e per l’ambiente, provenienti dagli OGM. I “sostenitori” della prevalenza dei vantaggi sottolineano come l’agricoltura convenzionale miri ad adattare la pianta all’ambiente, ma, per tale scopo, sia spesso costretta ad utilizzare sostanze chimiche per aumentare la resa (fertilizzanti), per combattere erbe infestanti (erbicidi o diserbanti), o per eliminare la presenza di parassiti (fitofarmaci): l’utilizzo su vasta scala degli OGM permetterebbe invece di mantenere un’agricoltura intensiva (cioè in grado di produrre grandi quantità di alimenti su superfici limitate) riducendo l’impatto ambientale provocato dalle sostanze chimiche. Infatti, vengono prodotte piante OGM che si autoproteggono da insetti, funghi o batteri e piante modificate per resistere agli erbicidi. Dall’altra parte si evidenziano i rischi di un uso massiccio degli OGM dovuti al fatto che, oltre al grave e sottovalutato problema della riduzione della biodiversità negli ecosistemi del pianeta, è tuttora impossibile prevedere tutte le implicazioni sul lungo periodo che il loro uso potrebbe recare sulla salute. VANTAGGI Riduzione dell’utilizzo di diserbanti e fitofarmaci RISCHI Incertezza dell’impatto degli OGM sulla salute Riduzione dell’utilizzo di insetticidi Sviluppo di semi e piante in condizioni ambientali avverse Possibile utilizzo nei paesi del terzo mondo Ipotesi di aumento di allergie alimentari Ipotesi di aumento di resistenza agli antibiotici Riduzione della biodiversità L’elenco degli organismi geneticamente modificati approvati nel mondo è disponibile sul sito: http://www.agbios.com. 340 MANGIARE BENE PER STARE BENE